Elaborato 1

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La dismissione industriale come opportunità di rigenerazione urbana, il caso dell’area di Tito scalo (PZ)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA BASILICATA “DICEM” FACOLTA’ DI ARCHITETTURA CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA A CICLO UNICO IN INGEGNERIA EDILE - ARCHITETTURA 4/S RELATORE: Prof.re Arch. Pirgiuseppe Pontrandolfi

n. 1 2 3 4 5 6

Suddivisione dei SIN estensione Fig. 2. Luogo edper estensione deie per SIN,regione_Fonte: APAT (2006)

divisi per Regioni.

7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18

REGIONI SUPERFICIE (ha) Abruzzo 3 Basilicata 3.707 Calabria 2.318 Campania 1.825 Emilia Romagna 26 Friuli Venezia Giulia 12.727 Liguria 22.440 Lombardia 1.643 Marche 1.274 Piemonte 89.370 Puglia 28.785 Sardegna 447.144 Sicilia 19.639 Toscana 8.786 Trentino-Alto Adige 24 Umbria 655 Valle D'Aosta 15 Veneto 5.730

Una sottocategoria dei siti inquinati sono i brownfields, che possono essere localizzati in

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Tra le esperienze europee sono state analizzate quella del bacino della Ruhr e dei Docklands londinesi. Il primo rappresenta un riferimento fondamentale per la riqualificazione di altre aree dismesse; si tratta, infatti, di un’esperienza da cui non si può prescindere, perché come nel passato la Ruhr ha costituito il modello di urbanizzazione della città industriale, così negli anni Ottanta, in seguito alla crisi di tale modello, è diventata il campo di sperimentazione ottimale per nuove forme di sviluppo urbano. Il caso dei Docklands costituisce una vicenda interessante nella quale si è verificata una forte contrapposizione tra due modi diversi di intendere la natura e l’uso delle aree industriali dismesse. Un primo modo che interpreta l’area industriale dismessa come un’occasione per affrontare i problemi che la stessa dismissione ha provocato (disoccupazione, degrado fisico, degrado ambientale), e che punta al coinvolgimento diretto degli abitanti e degli ex lavoratori. Un secondo modo che guarda all’area industriale dismessa come ad un vero e proprio vuoto urbano, e che individua negli operatori economici gli unici soggetti ai quali fare riferimento per la sua trasformazione, minimizzando le relazioni con il contesto locale. Tra i casi italiani invece troviamo quello del Lingotto a Torino, una tra le prime trasformazioni urbane avvenute in Italia, ma anche una delle più dibattute sia per le dimensioni dello stabilimento sia per le ripercussioni in campo urbanistico, sociale e culturale che la sua riconversione ha determinato; il progetto dello stabilimento Pirelli nell’area Bicocca a Milano, promosso dalla società proprietaria dell’area e risultato significativo per le consistenti operazioni di bonifica, che i gravi problemi di inquinamento, determinati dalle attività pregresse dell’industria pesante ivi insediata, hanno reso necessarie.

I CASI DI STUDIO

Per comprendere la dimensione problema ambito urbano o periferico. L’accezione che,del in Italia, viene datarisulta al terminenecessariguarda le rio distinguere le aree dismesse dai siti inquinati. Le prime sono aree dismesse con problemi di inquinamento ai sensi della norma in materia di bonifica aree hanno bisogno interventi diunriqualificazione o rifune diche ripristino ambientale, e per di le quali è previsto progetto di riqualificazione. I zionalizzazione. I secondi invece sono delle aree che necessibrownfields possono, inoltre, ricadere in quelle aree dove le attività standard di bonifica tano di interventi di bonifica; secondo il Codice dell’Ambiente non possono essere applicate. il sito è “l’area o porzione di territorio, geograficamente definita In ambito europeo il progetto CLARINET5 definisce i brownfields come “sites that e determinata, intesa nelle diverse matrici ambientali (suolo, have been affected by the former uses of the site and the surrounding land; are derelict sottosuolo ed acque sotterranee) e comprensiva delle eventuaunderused; have real or perceived contamination problems; are mainly in developed leor strutture edilizie e impiantistiche presenti”. Tale sito risulta urban areas; require intervention to (soprattutto bring them back to beneficial use”, non inquinato perché le industrie chimiche, acciaierie, sottilineando gli effetti economici, connessi allaavevano loro mancatarilasciato utilizzazione.nel miniere, etc.) che sociali eranoed su tale territorio Fissandoel’attenzione sulla riqualificazione dei brownfields, questi vengono suolo nell’acquifero sostanzeambientale contaminanti potenzialmente consideratiper dal CLARINET ostacolo i governi. Viceversa questo aspetto è nocive la salute come dellaunflora e per della fauna, compresa la saconsiderato un’opportunità dalla Unitedrisulta States Environmental Protection Agency (EPA) lute umana. A tal proposito necessario comprendere la differenza dal Ministero dell’Ambiente italiano: sito che definisce iproposta brownfields come “real property, the expansion, redevelopment, or contaminato e sito d’interesse nazionale. Per sito contaminato s’intende un territorio geografico nel quale i valori delle spe8 cie chimiche nocive superano i livelli prefissati nella norma che indica le soglie di rischi, espresse in termini di concentrazione. Questi siti, prima di poter essere riutilizzati, necessitano di una procedura di bonifica. Ai siti inquinati non dichiarati siti d’interesse nazionale la bonifica è di competenza del soggetto responsabile dell’inquinamento.

Complesso principale dell’IBA_Fonte: http://de.wikipedia.org/ (2011)

AREE DISMESSE SITI INQUINATI E BROWNFIELDS

ASPETTI GENERALI E CAUSE DELLA DISMISSIONE

Una caratteristica che accomuna le città ed il territorio di oggi è la presenza di aree industriali dismesse, siti occupati in passato da attività produttive, industriali o estrattive che ad oggi risultano “contenitori” abbandonati o sottoutilizzati che in molti casi presentano un grado molto alto di contaminazione. Questo fenomeno, che viene denominato dismissione ha origine tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta, ed ha coinvolto, in modo particolare i paesi più avanzati dell’Occidente (Europa e Stati Uniti), dotati di aree ed edifici industriali, ben inserite all’interno dei contesti urbanizzati delle città e/o delle zone limitrofe. Questo fenomeno ha cominciato a suscitare un forte interesse nel mondo scientifico, imponendosi, agli inizi degli anni novanta, al centro del dibattito e della ricerca europea sulle trasformazioni delle aree urbane, interessando anche il tema della riqualificazione economica ed ambientale del territorio e della città. Questi spazi ed edifici, presenti in quantità consistenti all’interno del tessuto urbanizzato, rappresentano ormai una routine, per questi motivi è sempre più forte la necessità di recuperare queste aree. Uno dei motivi principali che ha portato alla dismissione delle attività originariamente svolte nelle aree, ed al successivo smantellamento degli impianti o all’abbandono degli stessi, è sicuramente la delocalizzazione delle attività industriali in altri edifici o luoghi. Questo spostamento a sua volta è stato causato inizialmente da tre ragioni. La prima consiste nell’evoluzione della tecnologia e della tecnica o dall’esaurimento della materia prima estratta, nei rispettivi campi di produzione o estrazione; ciò ha fatto sì che i vecchi edifici risultati obsoleti, fossero lasciati liberi ed inutilizzati. La seconda ragione è legata a motivi economici che hanno portato allo spostamento delle attività in aree esterne della città, con il vantaggio di avere minori costi di occupazione del suolo ed una accessibilità migliore al sito che qui risulta libero da vincoli legati alla storicità del luogo di provenienza. L’ultima delle ragioni è strettamente collegata al tema della globalizzazione dei mercati e alla necessità di costi produttivi più economici, ciò implica lo spostamento degli impianti in aree geografiche più distanti comportando l’ampliamento del commercio dei materiali di produzione a scala sovranazionale. Nello specifico il centro della capacità produttiva mondiale si è spostato verso L’Est; in questa maniera i paesi dell’antica e obsoleta industrializzazione, tra i quali si colloca anche l’Italia, stanno diminuendo gradualmente la produzione industriale. Questo fenomeno in Italia ha riguardato principalmente gli impianti dell’industria chimica, siderurgica, mineraria, meccanica e petrolifera, lasciando gran parte dei suoli occupati in un grave stato di contaminazione.

invece, di competenza del soggetto responsabile dell’inquinamento.

CANDIDATO: Antonio Mastria 37775

Vista aerea dell’area della Bicocca_Fonte: www.ordinearchitetti.mi.it

07.2016 MATERA

LA DISMISSIONE INDUSTRIALE COME OPPORTUNITA’ DI RIGENERAZIONE URBANA Il termine APEA è stato introdotto per la prima volta in Italia dall’art. 26 del decreto legislativo n. 112 del 19981 (c.d. Decreto Bassanini). Originariamente l’obiettivo era quello di semplificare gli adempimenti di natura amministrativa connessi alla localizzazione di imprese nei siti produttivi, sfruttando la naturale presenza di servizi e infrastrutture collettivi per la gestione di alcuni importanti aspetti ambientali (acqua, rifiuti, contaminazione del suolo etc.). Poiché la norma delega alle Regioni la sua attuazione, le Regioni stesse hanno provveduto, nella pratica, a trasformare il concetto di APEA. Oggi questa definizione è utilizzata per indicare aree in cui la concentrazione di aziende e di manodopera consente di definire un programma di gestione unitaria e integrata delle infrastrutture e dei servizi utili a garantire gli obiettivi di sostenibilità dello sviluppo socio-economico locale e ad aumentare la competitività delle imprese insediate, nel rispetto dell’ambiente. Sono quindi “eco-aree produttive” che assumono rilevanza sia ai fini della pianificazione territoriale sostenibile (regionale o locale) sia della gestione operativa, dove viene valorizzato l’aspetto cooperativo nella gestione degli aspetti ambientali. Inoltre in queste aree vi è la possibilità di applicare semplificazioni normative e amministrative, realizzare politiche di green marketing a favore delle imprese insediate, perseguire politiche industriali orientate all’eco-innovazione e allo sviluppo della green economy. Tutte soluzioni che comportano razionalizzazione dei costi delle imprese, aumento del valore aggiunto delle produzioni delle filiere presenti nelle APEA, maggiore competitività.

1_1.Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano, con proprie leggi, le aree industriali e le aree ecologicamente attrezzate, dotate delle infrastrutture e dei sistemi necessari a garantire la tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente. Le medesime leggi disciplinano altresì le forme di gestione unitaria delle infrastrutture e dei servizi delle aree ecologicamente attrezzate da parte di soggetti pubblici o privati, anche costituiti ai sensi di quanto previsto dall’articolo 12 della legge 23 dicembre 1992, n.498, e dall’articolo 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142, nonché le modalità di acquisizione dei terreni compresi nelle aree industriali, ove necessario anche mediante espropriazione. Gli impianti produttivi localizzati nelle aree ecologicamente attrezzate sono esonerati dall’acquisizione delle autorizzazioni concernenti la utilizzazione dei servizi ivi presenti. 2.Le regioni e le province autonome individuano le aree di cui al comma 1 scegliendole prioritariamente tra le aree, zone o nuclei già esistenti, anche se totalmente o parzialmente dismessi. Al procedimento di individuazione partecipano gli enti locali interessati.

Piana di Tito prima dell’industrializzazione (1958)_Fonte: “Perchè a Potenza”, quaderno monografico del Consorzio per l’Area Industriale.

“Dove ora sono le industrie erano gli orti della Potenza antica, e il Basento straripava durante l’inverno fino a coinvolgere la strada divenuta poi statale. Il nuovo volto di Potenza è dato dalla città che ha valicato gli antichi confini della città sulla collina, fino a integrarsi con quella che un tempo era periferia o, più popolarmente, «campagna». Nuove realtà, quindi, e nuovi problemi emersi nel tempo: una risposta l’ha data l’industrializzazione.2” 2_Comm.Gino Viggiani (1974) in “PerL’area industriale di Potenza nasce nel 1959, quando l’amministrazione provinciale, fiduciosa chè a Potenza”, quaderno monografico del Consorzio per l’Area Industriale. delle buone capacità realizzatrici della classe dirigente ed imprenditoriale lucana, avviò un ampio processo d’industrializzazione nel mezzogiorno italiano attraverso l’istituzione del primo consorzio industriale della Basilicata. Ciò provocò scetticismo, infatti l’idea dell’industrializzazione in Basilicata era molto lontana dal potersi tradurre in concrete iniziative: mancavano le grandi infrastrutture di viabilità, mancavano i servizi civili fondamentali, mancavano i collegamenti rapidi con i centri economici e di mercato, inoltre l’indice di ruralità superava il 70%. Nonostante le innumerevoli difficoltà da affrontare, risultò necessario agire al fine di non rimanere isolati e tagliati fuori da un processo di industrializzazione che doveva investire, sia pure gradualmente, anche la Basilicata. Le scelte strategiche sostenute dalle pubbliche amministrazioni e dai privati incominciarono, fu attrezzata una prima area ai piedi di Potenza, con viabilità, energia, servizi civili, raccordo ferroviario etc. . Con la realizzazione di queste prime infrastrutture sarebbe stato possibile sollecitare l’attenzione degli imprenditori esterni disposti ad investire nel Mezzogiorno e incoraggiare anche gli operatori locali ad organizzare iniziative industriali, superando la dimensione artigianale prevalente nei settori extra agricoli. Trascorso il primo decennio (intorno agli anni ’70) di vita del Consorzio Industriale, la società non tardò a sentire i benefici dell’occupazione e del reddito derivanti dagli oltre duemila addetti che animarono gli stabilimenti della piana di Betlemme (Potenza). Al termine di questo periodo si ritenne necessario di creare un secondo agglomerato, nella piana di Tito. Una superficie molto ampia, attraversata a nord dalla basentana, l’attuale raccordo autostradale Potenza – Sicignano e dalla linea ferroviaria Battipaglia - Potenza, servita ad est da un grosso rifornimento idrico (il lago del Pantano del comune di Pignola), a circa 4 km dal centro del comune di Tito e a circa 5 km dalla periferia di Potenza, dove si andarono presto ad insediare importanti stabilimenti industriali. Il Consorzio realizzò le opere imponenti di sistemazione e di attrezzature a servizio del nuovo agglomerato, assecondando il processo di industrializzazione che, con gradualità, si è incrementato. Esso assumeva anche iniziative per qualificare la manodopera e predisporla alla migliore preparazione tecnica in funzione dell’attività da svolgere negli im- Chimica Meridionale s.p.a., primo stabilimento insediato nell’agglomerato di Tito (1969)_Fonte: “Perchè a Potenza”, quaderno monografico del Consorzio per l’Area Industriale. pianti produttivi.

analisys

research

01

project

Inquadramento del tema

Regioni che hanno intrapreso un percorso sullo sviluppo di una normativa regionale in materia di APEA_Fonte: LE AREE PRODUTTIVE ECOLOGICAMENTE ATTREZZATE IN ITALIA, stato dell’arte e prospettive_report ERVET ed Emilia Romagna (2012)

L’AREA INDUSTRIALE DI TITO: il territorio, la storia, l’identità

LE AREE PRODUTTIVE ECOLOGICAMENTE ATTREZZATE

IL CASO DELL’AREA DI TITO SCALO (PZ)


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