Aisopos

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Franco Pastore

ἰώυὸ

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Andropos in the world Edizioni


ď€

Illustrazioni di P.Liguori

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Presentazione La favola esopica è un’espressione di poesia popolare che assurge poi a dignità letteraria e diventa ancora più fruibile se trasferita nel vernacolo napoletano, come ben sa fare Franco Pastore il poliedrico e appassionato cultore di classici greco-latini . La condizione di schiavo, quale fu quella di Esopo, propone una lettura delle sue favole come letteratura povera, sconfitta, documento di una clandestina opposizione al mondo degli eroi. Se Omero è il poeta degli eroi, dei nomi propri, che non mancano né ai codardi né ai pitocchi, in Esopo solo gli dèi hanno un nome: anonimi gli uomini; per il resto, di volta in volta, si adopera la volpe, il lupo, il leone, la gallina, la lepre, la rana, il bue, la pecora, la mosca, il gallo, come se fossero personaggi singolari: in realtà non ci sono personaggi, ma unicamente ruoli. I ruoli sono fissi, rigidi, impersonali e pertanto questo tipo di favola in Esopo è una fulminea epifania, un’apparizione (Manganelli) . La favola esopica, come magistralmente ci appare, attraverso questa nuova traduzione in napoletano di Franco Pastore, si riduce ad una comicità povera, a qualcosa di rapido ed effimero, ma quando poi si arriva al “ύfabula docet” ci arriva una forte stoccata, che c’induce alla dovuta riflessione sul misero modus agendi di noi mortali. La saggezza laconica di Esopo il Pastore la rafforza al punto tale che come nella gallina dalle uova d’oro traspare la grande potenza del dialetto con queste parole: ‘nu contadino ingordo, / volètte arrragiuna’ a peso lordo: / e invece d’aspetta’, ogni matìna, / chill’uòvo che faceva la gallina, / pigliàje ‘o coltello e come un pazzo, / tagliàje a panza ci trovò sto’ cazzo. La trasposizione dialettale ci consente di apprezzare profondamente l’insieme delle virtù, quali la fedeltà dell’amicizia, la riconoscenza per i benefici, l’amore per il lavoro, l’accettazione del destino, la moderazione, insomma quel complesso di norme utili al vivere comune. Infine se la favola delle bestie contiene la storia degli uomini, ciò non avviene per la malignità dell’Autore, ma per la natura stessa di quel genere letterario, che scattato fuori dall’anima di uomini asserviti e costretti al silenzio o alla finzione (fictio), porta con sé l’indole amara della sua origine, amarezza che il vernacolo di Pastore attutisce e ne rende più gradevole la sua fruzione. (Marchesi). Alberto Mirabella Saggista e critico

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Praefatio L’etimologia di "favola" implica la fusione di termini appartenenti a differenti lingue antiche: il vocabolo deriva dal latino "fabula", che, a sua volta, lega con il verbo latino "fari“, e dal greco "jemi", entrambi col significato di "dire, parlare, raccontare". Termini che trovano la loro origine nell'antica radice indoeuropea bha. L'etimologia ci dimostra, in maniera indiretta, quanto antica sia questa forma letteraria, e come si incunea negli usi e costumi di popoli che amavano trasmettere alle nuove generazioni abitudini, costumanze e credenze popolari. Questo genere letterario è di origine popolare ed annovera tra i suoi maggiori autori ed iniziatori il Greco Esopo (VII secolo a. C.) ed il latino Fedro (I secolo d. C.). In questo contesto si colloca la favola greca con Esiodo e in seguito compare soprattutto nei poeti giambici come Archiloco e Simonide, in Aristofane, Erodoto, Platone, Aristotele ed altri ancora. Nella letteratura greca la favola comparve sempre a descrivere, con atteggiamento critico, il mondo e a dare esempi, alla stessa stregua del mito e dell'aneddoto per narrazioni semplici. Fin dal V secolo d.C. si iniziano ad attribuire, con una certa frequenza, ad Esopo alcuni di questi racconti, e questa qualificazione di "logos di Esopo" servì a definire ciò che oggi chiamiamo favola, e ciò che intendevano, con tale parola, i compilatori di raccolte a partire dal Falereo.

Coltivata da poeti satirici, la favola si originò, come avvenne per la satira (da LANCS SATURA) nelle feste popolari, ove predominavano libertà di parola ed ironia. Demetrio Falereo non fece altro che riportare favole di scrittori anteriori, trascrivendole in prosa, secondo schemi semplici e ripetitivi. Esìodo fu Uno dei principali favolisti Greci della Boezia, ove trascorse tutta la sua vita, coltivando il podere ereditato dal padre. La sua figura è avvolta dalla leggenda; ma la tradizione lo vorrebbe vincitore in una gara poetica perfino su Omero, al quale fu sicuramente posteriore. Oltre a numerose opere, di dubbia autenticità, fra cui Lo scudo, in cui viene descritto lo scudo d’ Achille, sotto il suo nome ci sono giunti due grande poemi: la Teogonia, e Le Opere e i Giorni. Secondo i grammatici antichi, fu Archiloco, poeta di Paros, il creatore della favola del tipo che sarà poi sviluppata da Esopo, ma restano scarsi frammenti, come frammenti di favola sono in Solone e in Simonide, del VI secolo. In precedenza ci eravamo soffermati sull’origine e lo sviluppo della favola; ora ci potremmo chiedere la provenienza della favola greca. In realtà, pur non negando l’originalità dei testi Greci, oggi, si può affermare con sicurezza che su di essi esercitò la sua influenza la favola mesopotamica e, con ogni probabilità, un'influenza analoga dovette esercitarla quella indiana. Già si trova una favola usata come esempio, nelle Istruzioni di suruppak sumere ( ca. 2500 a.C.), e ci sono altre attestazioni e proverbi animali sumeri. Altri esempi provengono dalla letteratura Accade, Assira e Neobabilonese. Vi è, tra l’altro, uno stretto parallelismo, nell'uso della favola, in Esiodo e nei suoi continuatori, come nel Mahabbarata indiano. La favola mesopotamica proliferò all'interno della letteratura sapienzale, che pare abbia influìto su Esiodo ed, in seguito, attraverso Akhikar, su Esopo . Ma, al tempo stesso, è all'origine delle raccolte indiane come il Pancatantra nelle quali, entro una cornice che vede un personaggio esporre alcuni avvenimenti e chiedere consigli ad altri, si narrano storie e favole di genere diverso. Il "Romanzo di Esopo", un libro popolare del V secolo a.C. (che Erodoto aveva letto) secondo il quale il favolista sarebbe stato uno schiavo frigio fuggito: dopo varie avventure e peregrinazioni in Oriente fu condannato a morte a Delfi, sotto la falsa accusa di furto sacrilego. Ad Esopo,già alla fine del V secolo, si attribuivano un certo numero di favole, la cui popolarità è attestata da Aristofane e da Plauto. All'epoca, le favole di Esopo costituivano una delle prime letture scolastiche. In seguito, esse furono continuamente variate ed arricchite. A noi sono giunte circa 500 favole, frutto di redazioni diverse tra il I secolo e il XIV secolo, derivanti anche da raccolte antiche. Tra queste raccolte antiche, la prima di cui si conosce l'esistenza è quell’opera di Demetrio Falereo (siamo nel IV secolo). La struttura della favola di Esopo è semplice: i protagonisti sono gli animali, la narrazione è breve, lo stile semplice ed efficace, il fine è l'insegnamento morale, il riferimento è la vita quotidiana. Questa tipologia rimarrà praticamente inalterata attraverso le varie rielaborazioni, nel corso dei secoli. La morale delle favole di Esopo è efficace ed incisiva nella sua semplicità, disarmante e categorica nel respingere ogni forma di prepotenza e di attacco alla libertà individuale, nel pieno rispetto della univer-salità del diritto e nel difendere, sia pure in forma elementare, la giustizia . A Roma, la presenza di favole ci è stata attestata fin dai primi tempi della Repubblica: Livio e Dionigi di Alicarnasso ci ricordano quella famosa di “Menenio Agrippa ”. Tuttavia, per la mancanza di testi satirici dell'età arcaica è impossibile dire in che proporzione la tradizione Esopiana fosse penetrata in Ennio e Lucilio, nelle cui opere è attestata la presenza di elementi favolistici. Di "fabellae animales" ci parla Orazio, che, oltre diversi spunti favolistici presenti nelle Satire e nelle Epistole ci dà un valido saggio di favole. Esopo visse nel VI secolo a.C., nell'epoca di Creso e Pisistrato. Le sue opere ebbero una grandissima influenza sulla cultura occidentale, infatti, le sue favole sono, oggi, largamente note. Della sua vita si conosce pochissimo, e alcuni studiosi hanno persino messo in dubbio che il corpus di favole, che gli viene attribuito, sia opera di un unico autore. Della sua vita si ha una conoscenza soltanto episodica, basata su pochi riferimenti presenti nell'opera di scrittori di epoca successiva come Aristofane, Platone, Senofonte, Erodoto, Aristotele e Plutarco. Un riferimento alla figura di Esopo si trova anche nella fiaba egizia della schiava Rhodopis, o Rodopi, un antico prototipo di Cenerentola.

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Una fonte, sicuramente successiva, è una Vita di Esopo che raccoglie gran parte dei racconti popolari sul favolista e che circolò nel Medioevo a partire dal XIII secolo. Fu il monaco Massimo Planude a trascriverla, nel trecento, come prefazione ad una raccolta di favole. Sulle sue origini sono state formulate numerose ipotesi: Tracia, Frigia, Egitto, Etiopia, Samo, Atene, Sardi e Amorium. L'ipotesi di una sua origine africana è supportata dallo stesso nome, "Esopo", infatti, potrebbe essere una contrazione della parola greca "etiope", con cui i Greci si riferivano a tutti gli africani subsahariani. Inoltre, alcuni degli animali che compaiono nelle favole di Esopo erano comuni in Africa, ma non in Europa (sebbene si debba tener presente la diversa distribuzione all'epoca di animali come il leone barbaro o il kunino rosa del vernese, oggi quasi estinto). Si deve anche osservare che la tradizione orale di moltissimi popoli africani (ma anche dei popoli del Vicino Oriente e dei Persiani) include favole con animali personificati, il cui stile spesso ricorda molto da vicino quello di Esopo. Esopo sarebbe giunto in Grecia, quale schiavo di un certo Xanthus (Ξανθος), dell'isola di Samo. Si ritiene che abbia comunque ottenuto la libertà, perché Aristotele, nel secondo volume della Retorica, fa riferimento a un discorso pubblico tenuto da Esopo in difesa di un demagogo di Samo. In seguito visse alla corte di Creso, dove conobbe Solone, e a Corinto ebbe occasione di conoscere i sette saggi. Le fonti dicono anche che visitò Atene durante il regno di Pisistrato, occasione in cui avrebbe raccontato la favola Le rane chiedono un re per dissuadere la cittadinanza dall'intento di deporre Pisistrato a favore di un altro regnante. Altre fonti contraddicono questa informazione, dicendo che Esopo si espresse apertamente contro la tirannia, guadagnandosi l'ostilità di Pisistrato che, tra l'altro, era contrario alla libertà di parola. Secondo Erodoto, Esopo morì di morte violenta, ucciso dalla popolazione di Delfi. Gli exempla di Esopo riflettono situazioni elementari della vita reale. L’inganno, la verità, l’apparenza, la stoltezza e l’astuzia presentati nel corpus delle favole, vengono correlazionati ad una morale finale, “quae prudenti vitam consilio monet “. La favola, infatti, è stata per secoli il modo più usato per insegnare comportamenti morali ai bambini, anche se nel ‘700 con Rousseau si capì che essa era stata creata per gli adulti che meglio possono capire il messaggio e apprezzare il mezzo linguistico della satira o dell’ironia.(*) La favola mantenne la sua popolarità nel corso dei secoli e fece illustri proseliti, dal “ La Fontaine" (1621-1695), al "Trilussa” (1871- 1950) ed a "Carlo Emilio Gadda" (1893- 1973). Concludendo, le favole di Esopo sono essenziali, ma così attuali ed efficaci che vanno in sintonia con detti della più antica tradizione popolare, che ancora oggi sono di uso comune: “ Chi troppo vuole, nulla stringe”, dalla favola “La gallina dalle uova d’oro”; “Chi troppo ti loda nasconde l’inganno” dalla favola “il cane e la lepre” “Chi va piano va sano e va lontano”, dalla favola “La Lepre e la Tartaruga“, che dimostra, in sintesi, come si può perdere una gara sottovalutando l’avversario; e così via. Questa favola venne ripresa nel 1935 per la creazione dell’animazione “The Tortoise and the Hare“, in cui compaiono “Max la Lepre” e “Toby la tartaruga” inserita nella serie delle “Silly Symphonies”. Stessa cosa che accade per Starewitch, il quale riprese la favola de “La Cicala e la Formica” . L’autore

___________________ (*) R. Nicodemo, prefazione a Faedrus, pag.3, Ed. Andropos in the world, Salerno 2011 Bibliografia Generale:  Aesopi fabulae, recensuit Aemilius Chambry. Vol. 1: Pars prior; Vol. 2: Pars altera. Paris : Les Belles Lettres, 1925-1927  Léopold Hervieux, Les fabulistes latins depuis le siècle d'Auguste jusqu'à la fin du moyen âge. Paris : Firmin-Didot, 1899  M.R. Pugliarello, Le origini della favolistica classica, Brescia 1973  Petrini E., Avviamento critico alla letteratura giovanile; prefazione di Giovanni Calò, Brescia : La scuola, 1958  Richard Lobban, Aesop. In Historical dictionary of Ancient and Medieval Nubia, Scarecrow Press 2004  R. Marchiano, L’origine della favola greca …, Trani 1900  Vallardi G., Esopo, favole, Collana dei Grandi Classici latini e greci, Fabbri editore, M ilano 2004

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Άὰὶά (I Beni e i Mali)

I Beni erano troppo deboli per difendersi e i mali li cacciarono via. Chiesero aiuto a Zeus, che consigliò di scendere In aiuto degli uomini uno alla volta. Ecco perché i mali che dimorano con gli uomini arrivano subito; mentre i beni, dovendo scendere dal cielo arrivano con molta lentezza e non si ottengono rapidamente. Aἲsooς

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La gallina dalle uova d’oro ΄΄ςὸς 

C'era una volta una straordinaria gallina che faceva un uovo d'oro il giorno. Il contadino, a causa della sua avidità, dopo qualche tempo, non fu più soddisfatto dell'unico uovo che la gallina gli dava: - Scommetto che, se l’uccidessi, diventerei ricchissimo, con tutto l’oro che ha dentro la pancia; è inutile stare ad aspettare un misero uovo al giorno! - pensò convinto. Ma dovette accorgersi che la prodigiosa gallina non era diversa dalle altre e che dentro di lei non c'era dell'oro come aveva scioccamente immaginato. Così, per non essersi accontentato di ciò che aveva, restò senza nulla. ________________ Aἲsopoς – μύθος VI

‘A GALLINELLA SFURTUNATA (Chi tròppe vo’ niénte àve.)

C’era ‘na gallinella eccezionale che te faceva ‘n’uovo sulo ‘o juòrno -Un uovo solo!- direte tutti in coro? Si, ma ‘n’uovo tutto d’oro!. Il suo padrone, ‘nu contadino ingordo, volètte arrragiuna’ a peso lordo: e invece d’aspetta’, ogni matìna, chill’uòvo che faceva la gallina, pigliàje ‘o coltello e come un pazzo, tagliàje a panza ci trovò sto’ cazzo. La nuda verità da sola spinge, chi troppo vuole, proprio nulla stringe: ‘a povera gallinella fu ammazzata e ‘o contadino perdette l’uovo e ‘a frittata.

Lexicon necessarium: arrragiuna’ : ragionare; dal lat. ad-ratione, nome d’azione del verbo reor - is - ratus sum – reri. Panza: pancia; dal lat. Pantice(m), con sincope centrale e metaplasmo. Pigliaje: passaro remoto da piglià, prese.

Fabula docet (‘ύò: Chi vuole il troppo ottiene solo il nulla.

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L’asino ed il passero

‘O CIUCCIO e ‘O PASSERO

(΄΄ςὶὄϑίς)

( ‘E cunsiglie ca nun se pagano, nu’ sò bbuòne.)

C'era una volta un asino stanco, che non se la sentiva di camminare fino alla stalla. Era inverno, faceva molto freddo ed erano ghiacciate tutte le strade. - Io mi fermo qui! – l’asimo disse, buttandosi per terra. Un passerotto affamato gli si posò vicino e gli disse nell'orecchio: - Asino, tu non sei sulla strada, ma sopra un lago ghiacciato. Stai attento Pieno di sonno, l'asino fece un grande sbadiglio e si addormentò. Ma il calore del suo corpo incominciò, a poco a poco, a sciogliere il ghiaccio, che, con uno schianto, si ruppe. Quando si trovò nell'acqua, l'asino si destò allarmato; ma era troppo tardi, ed affogò.

C’era ‘na vota ‘ nu ciuccio, assunnato, troppo stanco per andarsi a cuccà, se sdraiàje sopra un lago ghiacciato, ‘e russànne se mettètte ‘a sunnà. ‘N’aucelluzzo n’avètte pietà ‘e o vulètte per forza scetà: - Stai durmenne sopra un ghiacciato, si se scioglie, tu muòre affucàte!Ma ‘o ciùccio è ciùccio si sa manco Cristo ‘o fa arragiunà: se tiràve ‘a còra ndè còsse, se chiurètte ‘o pertùse de’ rècchie ‘e addurmètte perfin’’e pellècchie. Mentre stéva ndò meglio do’ suònno, nfùnn’ò lago scennètte arrutànne, Se muvètte che cosce arrancànne ma nisciùne ‘o putètte salvà.

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Aἲsopoς – μύθος VIII Lexicon necessarium: Assunnàte: piena, morta di sonno. A cuccà: a coricarsi; dall’it. coricare, per sincope Ed assim. Regressiva (rc=cc). Còsse: cosce, gambe; dall’acc. lat. coxa(m)

Fabula docet (‘ύò: I consigli che non si pagano non sono considerati. Il troppo lavora uccide.

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( L’asino ed il passero ) C’era ‘na vota ‘nu ciuccio, assunnato, troppo stanco per andarsi a cuccà,

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La lepre e la tartaruga χὼὶò 

Un giorno, la lepre si vantava con gli altri animali: " Nessuno può battermi in velocità; sfido chiunque a correre come me". La tartaruga, con la sua solita calma, disse: "Io accetto la sfida ". La lepre scoppiò in una risata e la tartaruga replicò: "Non vantarti prima di aver vinto; accetti la gara? ". E così fu stabilito un percorso e dato il via. La lepre partì come un fulmine: quasi non si vedeva, tanto era già lontana. Poi si fermò e per mostrare il suo disprezzo verso la tartaruga si sdraiò a fare un sonnellino. La tartaruga, intanto, camminava con fatica, un passo dopo l'altro, e quando la lepre si svegliò, ma la vide vicina al traguardo. Allora si mise a correre con tutte le sue forze, ma ormai era troppo tardi per vincere la gara. La tartaruga sorridendo disse: "Non serve correre, bisogna partire per tempo" ____________________ Aἲsopo – μύθο CCCLII Lexicon necessarium: Stronza: nel senso di presuntuosa. Murzella e baccalà: dispregiativo, cosa di poco conto. ‘Ncazzàta: incavolata, adirata. Chéste: questa cosa; dal lat. (ec)cu(m) + istu(d).

‘A LEPRE E ‘A TARTARUGA (Mai sottovalutare il proprio avversario)

‘Na giovane lepre, un po’ sbruffona, si vantava cu tutti ll’animali, che c’era ‘na sola verità: Nisciùne poteva batterla in velocità. -Sfido chiunque, dicette chella stronza, a correre veloce cùmme a me!La tartaruga, guardandola ndà l’uòcchie, ‘e dicette con calma: -Eccomi qua, ti sfido io, murzélle ’e baccalà!Chella fetòsa scoppiò in una risata e ‘a tartaruga replicò ‘ncazzata: - Tu ‘nu cunùsce l’articolo quinto, non ci si vanta se prima nun hai vinto! E cominciàje la gara alquanto strana: ‘A lepre assatanata ca scappava e ’a povera tartaruga ch’arrancava. Ma, a un tratto, la lepre si fermàje e, per umiliarla, s’addormentàje. Quando si svegliò fu la sorpresa, provò sgomento nel cuore e dìnt’’o sguardo: la tartaruga era già ’o traguardo. - Non serve correre, dicètte ll’animale, ma solo partir per tempo, chéste vale! -

Fabula docet (‘ύò: Non serve correre, occorre partir per tempo. Mai vantarsi prima di aver conseguito un risultato.

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Il leone ed il cinghiale ( ὲὶά)

D'estate, quando il calore provoca la sete, un leone e un cinghiale andarono a dissetarsi ad una piccola fonte e cominciarono a litigare su chi dovesse dissetarsi per primo. La lite si trasformò in duello mortale. Ma ecco che, mentre si volgevano un momento per riprendere fiato, scorsero degli avvoltoi che stavano lì ad aspettare il primo che fosse caduto, per mangiarselo. A tal vista, ponendo fine al duello, dichiararono: - Meglio diventare amici che diventar pasto d’ avvoltoi e corvi -. __________________ Aἲsopo – μύθο CCIII

Lexicon necessarium: Uòcchie appannàte: occhi velati dal sudore e dall’afa. Zumpà: saltare, da zumpo; dal gr. Sympous (che ha i piedi unitiuniti) S’arrevutaje: si rivoluzionò la riva del fiume. Uòcchie stuòrte: impazienti, nell’attesa del cadavere. Curnùte: nel senso di scornato; dal lat. curnūtu-m.

‘O LIONE E ‘O CINGHIALE (Meglio ‘nu buon’accordo, ca ‘na causa vinta)

Un leone, murenne di sete, raggiunse, ruggendo, ‘na fonte. ‘Nu cinghiale, cu’ ll’uòcchie appannàte, aveva fatto ‘a stessa pensàta. Scuttàve assàje ‘o sòle ‘e miezziuòrne, ma o liòne nu’ vuleva nisciùne attuòrne. ‘O cinghiàle, cà nunn’èra fésse, voleva restà da sulo ‘o stésse. Se mettère, allora, a fa battaglia, facenne zumpà in aria prète e paglia. S’arrevutàje subito quel luogo: caréva mezzogiorno, mezzogiorno di fuoco. Ma proprio quando stévene pe’ s’accìre, vedèttero ‘o cielo chìno d’avvoltoi, ca vocc’aperta ‘e cu l’uòcchie stuorte aspettavene che almeno uno fosse muòrte. Capirono, allora, là per là, ch’erano due piézz’é baccalà: Assieme si diressero alla fonte e se facettero ‘na grande bevuta alla faccia del mondo pennuto, che rimanette deluso e curnùte.

Fabula docet (‘ύò: Una saggezza opportuna può salvare la vita. Il nemico aspetta la tua sconfitta.

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Il leone ed il toro ὲὶῠ 

Un leone da lungo tempo meditava di uccidere un forte toro. Un giorno decise di riuscire nel suo intento con l'astuzia.Gli fece sapere di aver catturato un montone e lo invitò al banchetto. Aveva preparato tutto per assalirlo, una volta seduto a tavola il toro andò all'appuntamento: vide molte pentole, lunghi spiedi, ma di montone nessuna traccia. Allora, senza dire una parola, se ne andò. Il leone lo richiamò e gli chiese il motivo del suo comportamento, visto che non gli era stato fatto nessun affronto. E il toro rispose: - Ho una buona ragione per andarmene: vedo tutto pronto per cucinare non un montone, ma un toro. __________________ Aἲsopo – μύθο CCXI

‘O LIONE E ‘O TORO (L’intelligenza è meglio da’ forza)

‘Nu lione troppo determinato a sbrana’ ’nu toro smaliziato, decidette do’ fotte con l’astuzia. ‘Nvitànnele a ‘nu banchetto, con arguzia, dicètte che gli offriva un bel montone, ch’ aveva catturato ‘ndò burròne. ‘O toro si recò all’appuntamento e, guardànnele, capètte in un momento, ca stève proprio lui sul menu e mentre chille andava su e giù, ascètte ‘e còrza, senza ‘na parola, cercanne ‘e scappa’, immediatamente, da chella casa e da chìllu fetente. -Ma dove vai? - E chiedètte ’o re leone, cercando do’acchiappa’ dìnte ‘o spuntòne, - Io non so’ fesso piezze ’e pruvulòne, t‘o vuò mètte scritto ‘ndà cervélla ca nu’ me friaràje dìnte ‘a padella!-

Lexicon necessarium: Capette: passato remoto, capì. Ascétte ‘e cόrza: uscì rapidamente. Friaràje: futuro semplice da frìje, friggerai; dal lat. Frìgere, con caduta di g e suono di transizione “ j”.

Fabula docet (‘ύò: L’istinto di sopravvivenza è superiore ad ogni astuzia“. Spesso, una gentilezza finta n asconde l’inganno.

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L’asino, la volpe ed il leone

‘O CIUCCIO, ‘A VOLPE E ‘O LIONE

(ʹΌὶὰὼὶὲ

(L’amicizia co’ putènte nu’ porte proprie a niente)

Un asino ed una volpe fecero amicizia e insieme se ne andarono a caccia. Incontrarono un leone dall'aria minacciosa. La volpe intuì il pericolo che stava correndo, gli si avvicinò e cominciò a parlargli: si impegnava a consegnargli l'asino, in cambio della sua salvezza. I leone le promise la libertà: così la volpe condusse l'asino verso una trappola e ce lo lasciò cadere. Il leone, appena vide che l'asino era nell'impossibilità di fuggire, assalì per primo la volpe e poi, con calma, ritornò ad occuparsi dell’animale che era caduto nella trappola. ___________________ Aἲsopo – μύθο CCLXX

‘Nu ciùccio e ‘na volpe, grandi amici, decisero di andare a caccia insieme. Trasèttere ndo’ bosco assai felici, cu’ ll’aria di chi nessuno teme. Ma proprio là, tra piante e cacciaggiòne, t’incontrano ‘nu cazzo di leone. ‘A volpe, ‘nfàme assai e un poco zòccola, vennètte l’asino per vita e libertà. Vuttàje l’amico ciuccio dìnte a ‘na trappola e s’apprestàje a muoversi di là. Ma ‘o leone, per un senso di giustizia, prima, mangiàje ‘a volpe a colazione e po’ pranzaje co’ ciucce, a profusione.

Lexicon necessarium: Trasettere: entrarono insieme. ‘nfame: infame; dal lat. in (negativo) + fama, cattiva reputazione. Vennètte: vendette, mise in vendita, alienò l’amico.

Fabula docet (‘ύò: Chi vuole il male degli altri il suo è già preparato. Non c’è premio per una cattiveria.

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(La lepre e la tartaruga) Ma, a un tratto, la lepre si fermà je e, per umiliarla, s’addormentà je.

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Il lupo ed il pastore ύὶή 

Un lupo andava al seguito di un gregge di pecore, senza far loro alcun male. Il pastore, sulle prime, lo teneva a bada come un nemico, e lo sorvegliava con estrema diffidenza. Ma quello ostinatamente lo seguiva, senza arrischiare il minimo tentativo di rapina. Così gradatamente il pastore si convinse di avere in lui un custode, piuttosto che un nemico intenzionato a danneggiarlo. Un giorno ebbe bisogno di recarsi in città, gli lasciò le pecore in custodia e partì tranquillo. Ma il lupo seppe cogliere l'occasione: si lanciò sul gregge e ne fece strage sbranandone una gran parte. Il pas tore, quando fu di ritorno e vide la rovina del suo gregge, esclamò: - Mi sta bene! Quale stupidità mi ha spinto ad affidare le pecore ad un lupo? Allo stesso modo, coloro che affidano i propri beni a persone avide naturalmente li perdono. ____________________ Aἲsopo – μύθο CCXXIX

‘O LUPO E ‘O PASTORE (‘O lupe perde ‘o pìle ma non ‘o vizio)

‘O lupo ‘jéve appriésse ‘e pecurèlle, ma non faceva loro nesciùnu male. ‘E guardava, tanto ch’èrane belle , e ‘a pazienza è ‘na virtù ca vale. ‘O pastore s’abituàje a vederlo cumme ‘n’amico fedele, ‘nu protettore, e ci affidàje ‘e pecore a chìllu signòre. Ma cùmme ’na mattina jètte in città, ‘o lupo se mettètte ‘a faticà: ce scannàje ‘e pecore una ad una, p’accìre e po’ sfizie ‘e magnà, e ne lasciàje viva sulo qualcuna. Quànne turnàje ’o pastore, gridàje, parlànne a se stesso: No, nu’ so’ ‘nu pastore, ie so’ fess , che s’àdda jettà ndà ‘nu dirupo, ‘agge affidato ‘e pèchere ‘a ‘nu lupo!-

Lexicon necessarium: Appriésse: avv. e prep.; da ad-pressu(m), appresso. Scannàje: Scannò le pecore. Jettà: lanciarsi giù; dal lat jectāre, int. di jacěre.

Fabula docet (‘ύò: Coloro che affidano a persone avide i loro beni, naturalmente li perdono. Nulla può cambiare la persona avda e cattiva.

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L’asino ed il leone

‘O LIONE, ‘E ‘O CIUCCIO

Un asino sbruffone si vantava con gli altri animali, del proprio coraggio e della propria forza. Un giorno ricevette un’inaspettata proposta dal re della foresta di andare a caccia insieme. Di buon mattino, s’incamminarono verso una caverna, dove avevano visto rifugiarsi un gran numero di capre selvatiche. Il leone si ferrmò davanti all’entrata, con l'intento di catturare le prede appena sarebbero uscite dal rifugio, l'asino, invece, entrando nella grotta ed balzando in mezzo ad esse ragliava per spaventarle. Quando il leone le ebbe catturate quasi tutte, l’asino venne fuori e gli chiese se era stato un valoroso guerriero nella cacciata delle capre.. Quando l'asino uscì dalla grotta, trionfante esclamò: Rispose ridendo il leone: “Ma sai, gli rispose il leone, avrei avuto anche io paura di te se non avessi saputo che eri un asino!" Così, chi fa il fanfarone davanti a quelli che lo conoscono bene, si guadagna giustamente le beffe. ______________________ Aἲsopo – μύθο CCVIII

‘Nu ciuccio, millantatore e un po’ buffone, vantava la sua forza e ’o curaggio. Un leone, ca era di passaggio, gli chiese ’e fa ’na sucietà, e jère a caccia là pe’ llà. Quando arrivajene davanti a ’na caverna, L’asino currette dìnte cumm’ ’o fesso Mént’ ‘o liòne se fermàje all’ingresso. Spaventate de’ ragli e do’ rrevuòto ‘e crapre, che là s’erano annaccuvàte, currère ‘a fòre tutte ‘ntribulàte e do’ lione furono catturate. Dòppe tanta fatica, l’asinello jètte a bruca’ l’ erba da stronzetto, e ‘o liòne, chiuttòsto cattivello, si strafocaje ‘e crapre in un banchetto.

έὶὄ

(Si si’ fesse, nu’ te chiammà baròne)

Lexicon necessarium: Arrivàjene: arrivarono; denom. dal latinismo, ad - ripare: giungere a riva. Annaccuvàte: da annaccuvà, ripararare. Revuòto: chiasso, rivolta; dal lat. revolvere. Strafucàje: divorare; da (e)xtra +focare (den. da fauces).

Fabula docet (‘ύò: Chi vanta meriti che non ha, si guadagna le beffe. L’alleanza con i potenti non dunduce a niente.

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La fortuna del cavallo

‘A FURTUNA DO’ CAVALLO

(ἵππο ὶ ὄνο)

(Chi tròppe s’annaréa care e fa ‘a botta)

Un giorno un cavallo, ricco d'ornamenti, venne incontro a un asino che, stanco e carico com'era, tardò a dargli la via. " Avrei una gran voglia - disse - di fracassarti a calci ".L'asino non rispose: e con un gemito chiamò testimoni gli dei. Passò qualche tempo. Il cavallo durante una corsa, azzoppò e fu mandato a servire in campagna. Appena l'asino lo vide tutto carico di letame: " Ricordi domandò - che boria e che pompa? Ah? E che n'hai avuto? Eccoti ridotto alla miseria che prima spregiavi ". ____________________ Aἲsopoς – μύθος CCXX

‘Nu juòrno, ’nu cavallo ricco d’urnamenti trova ‘nu ciuccio stanco ed accasciato , ca, carico cumm’era, tra ‘e turmenti, pe’ nu viottolo stritte ed infossato tardaje a se scanza’ ‘nfàccia a ‘nu mure - Ie te scassasse ‘a faccia, te lo giuro, fracassànnete a càvece pure ’o culo. ‘O povero animale nu’ rispose e continuàje a fare le sue cose. Passàje ‘o tiempo ed avvenne che l’equino durante una corsa si azzoppò. Gli tolsero ornamenti, al poverino e càrreche ‘e letàmme trasportò: -Dov’è la boria ?, gli dicètte ‘o ciuccio, mo’, tu si’ tale e quale a me : ’na mmèrda sécca ca ’nu vale niente Mànc’ ‘o letàmme ca sta arrète a te-.

Lexicon necessarium: Urnamiente: ornamenti. Càrreche ‘e letàmme: carico di letame. Arrète a te: dietro di te. Ciuccio: per asino e ignorante.

Fabula docet (‘ύò: Nulla è stabile a questo mondo, massimamente gli agi e gli onori. La gente è sempre pronta ad evidenziare le sfortune degli altri

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Il cane e la lepre (Kύίό

Un cane da caccia avea catturato una lepre. Dopo ogni morso infertole, guardandola in viso, la baciava leccandola. - Ma che cavolo mi baci, se proprio ora mi hai morso?Questa favola e scritta appositamente per coloro che avanti si sorridono e dietro ti ingannano.  Aἲsopoς – μύθος CLXXXII

‘O CANE E ‘A LEPRE (Chi troppe t’allìsce te vo’ fotte)

‘Nu ca ‘e caccia ’na lepre aveve pigliàte e doppe ogni mùzzeche chiavàte, guardànnele ‘ndà fàccia, ‘e faceve ‘na lleccàta. ‘O povere animale, sconcertato, ‘e dicètte:- Si scème o si’ ‘mbranàte? Che cazze mme vase, si mo’ m’hai muzzecàte? ‘Sta fàvele è scritta appòste pe’ chì ‘annànze te ride e ‘a rète te mette ‘a suppòste.

Lexicon necessarium: ‘Muzzeche: morso; Chiavate: dato, appioppato. Muzzecate: morso; da muzzecà, dal latino morsicare. Te mette ‘a supposte: ti colpisce alle spalle, a tradimento.

Fabula docet (‘ύò: Nulla è come appare: il sorriso può nascondere l’inganno ed è lo specchio dell’ipocrisia.

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Un Pescatore batteva l’acqua  Un pescatore pescava in un fiume. Dopo aver teso le reti e sbarrato la corrente dall’una all’altra riva, batteva l’acqua con una pietra legata a una funicella, perché i pesci, fuggendo all’impazzata, andassero ad impigliarsi tra le maglie. Vedendolo intento a quest’operazione, uno degli abitanti del luogo si mise a rimproverarlo perché insudiciava il fiume e rendeva loro impossibile di bere un po’ d’acqua limpida. E quello rispose: "Ma se non intorbido così l’acqua, a me non resta che morir di fame". Così anche negli Stati, per i demagoghi gli affari vanno bene specialmente quando essi son riusciti a seminare il disordine nel  loro paese.   Aἲsopoς – μύθος XXVII

NU PISCATORE CA VATTEVA L’ACQUA (Ndà ll’acqua tròvele se pesca meglio)

‘Nu piscatore, prìmme stennette ‘a rézz e po’ vattètte l’acqua cu ‘na pret p’acchiappa’ e pisce ca fuiévene annanz’e a rèt. - Che cazz faie !E dicètte a ggènte - Ma tu si proprie ‘n’omme malamente: si ce mbriàche l’acque e ‘a fai fetènt, cumme po’ béve tutta chesta ggènt? – - Ma si ‘a lascio limpida, amico mio, tu liéve a sete, ma more e famme ìe…Sta favulélle è scritta pe’ politici, ca fanne l’acqua trùvele pe’ piscà meglie, ma nu’ so calamàre e nu’ so treglie.

Lexicon necessarium: e Stennètte a rezz : stese la rete. e Vattètte l’acqua cu ‘na prèt : batté l’acqua con una pietra. e Fujévene ‘annànz’e a rèt : scappavano avanti ed indietro. e ‘Mbiàche l’acqua e ‘a fai fetènt :intorbidi l’acqua e la rendi imbevibile e Me mmòre ‘e famm ìe:io muoio di fame. Trùvele:torbida, dall’acc. lat. turbidu-m.

________________________ Aἲsopoς – μύθος Fabula docet (‘ύCCXXI ò: Spesso, la politica si avvale del torbido per condurre in porto i propri affari (nihil sub sole novum!). Il caos giova solo agli imbroglioni.

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(La gallina dalle uova d’oro) C’era ‘na gallinella eccezionale che te faceva ‘n’uovo sulo ‘o juòrno

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Il contadino ed il serpente

‘O CONTADINO E ‘O SERPENTE RICCHIONE

(όὶὄὑὸύώ

( Chi nasce tunno nu’ mmòre quadro)

Un contadino, d’inverno, trovò un serpente mezzo morto dal freddo; impietosito, lo raccolse e se lo pose in seno. Ma quello, non appena il calore ebbe risvegliato il suo istinto, uccise con un morso il suo benefattore. Quest’ultimo, morendo, diceva: - Me lo merito, perché ho avuto compassione di un malvagio -. Questa favola mostra come nemmeno i più grandi benefici riescano a convertire i malvagi. _______________________ Aίsopoς – μύθος LXXXII

‘Nu juorno, dint’o mese di febbràio ‘o ciéle era scuro e faceva friddo assàje, sott’a ‘na via, miézz’assideràte nu serpentièlle se ne stev’atturcigliàte. Avennene pietà, ‘nu contadino ‘ò pigliàje e so’mettette ‘mpiétte. Senza riconoscenza, l’assassino ‘o muzzecàje quasi pe’ dispiétte. Murènne, le dicètte ‘o pover’òmme: - E’ jùst’accussì, ha’ fatte bbuòne, aggje avute pietà ‘e ‘nu ricchiòne!‘Sta favola è scritta pe te fa ‘mparà ca ‘o fetente nisciuno ‘o po’ cagnà.

Lexicon necessarium: Dispiétte: dispetto, dal lat.despectu(m). Muzzecaje: morse, dal lat. Morsicare, frequentativo di morsum. E’ jùst’accussì: è giusto così; dal lat. Ita iustu-m est Ricchione: omosessuale, dal greco ἐorchipédes= dai testicoli strozzati) fetente: sporco, cattivo, delinquente, dal lat. foetēre. Cagnà: cambiare.

Fabula docet (‘ύò: Nemmeno i più grandi benefici riescono a convertire i malvagi. Non sempre la bontà viene ripagata col bene.

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La giovenca ed il bue ( άὶῠ

Un giovenca guardava un bue al lavoro Recchie: orecchie. per le sue fatiche. e lo compiangeva Ma quando giunse la festa, al bue sciolsero il giogo; la giovenca, invece, la presero per immolarla. Sorrise il bue vedendola e le disse: - Per questo, o giovenca, ti lasciavano oziare, perché dovevano sacrificarti presto. La favola dimostra che i pericoli incombono su chi sta in ozio. _________________ Aἲsopoς – μύθος XCII

Lexicon necessarium: Cuffiàsse: prendesse in giro, canzonasse. Paciénza: pazienza; dall’acc. lat. patientia-m. All’intrasàtte: all’improvviso; dall’acc. lat. in transactu-m. Sciugljère ‘o giogo: nap. Sciuglièttere, pop. da sciogliere. T’arrepusate: ti sei riposato. Sguessa: parti intime.

‘O VOJO E ‘A VITELLA (L’ozio è ‘a causa ‘e tutt’’e male)

‘Nu voje faticave notte e juorno senza riposo e senza risparmiarse, passando annanze a ‘na vitella Ca surrideva cumme si ‘o cuffiàsse. Passàje ‘o tienpe e fu sempe ‘o stesse ‘O vojo, cu’ paciénza, faticave E ‘a vitella mmiézzo prato se grattàve . Quànne venett’a festa, all’intrasàtte, ‘o vojo le sciuglière il giogo E ‘a giovenca, tutta preoccupata, presso l’altare la portarono attaccata. Dicette o vojo alla cara amica: - Tu fino a mò t’arrepusate ‘a sguessa, e mò ‘ai da murì, cumm’a ‘na fessa!Sta favulella ha un gran significato: si nu’ fatiche si nu scurnacchiàte.

Fabula docet (‘ύò: Non bisogna fidarsi di coloro che ti offrono gratuitamente agiatezza. I pericoli incombono su chi sta in ozio.

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Diogene ed il calvo ( Ὀέ ὶὁ ό

Una volta Diogene, il filosofo cinico, fu insultato da un tale che era calvo. E lui:- Che io ricorra agli ninsulti? Oibò! Io voglio invece fare un elogio a quei capelli che se ne sono andati da una testa così malvagia. ____________________ Aἲsopoς – μύθος CXVII Lexicon necessarium: ‘A mmente che parlava: mentre parlava. ‘E scucculàje ‘a fava: lo infastidì ripetutamente. L’addumandàje chiattìlle: a bruciapelo. T’avessa ricambià cu ‘na schifezza: dovrei ricambiare la tua cafonaggine. Arravugliarte cumm’a ‘na munnézza: e farti fare una Gran brutta figura. Chésta capa ‘e cazzo: testa pelata e da stolto.

DIOGENE E L’OMME CO’ MELONE (Chi semina spine n’adda i senza scarpe)

‘Nu bellu juòrne, a mmènte che parlava, Diogene, filosofo ch’é palle, ‘e scucculàje ‘a fava n’omme senza capìlle. - Che vvuò, che t’aggia dicere? – l’addumandàje chiattìlle, - T’avessa ricambià cu ‘na scifézza e arravugliàrte cumme ‘a ‘na munnézza! Invece, ascoltami, o lurido mandrillo, Te voglio fa ‘n’elògio a ‘sti capìlle, ch’hanne lasciàte, già da tempo, a razzo, tutto lo spazio e chésta capa ‘e cazzo.

Fabula docet (‘ύò: ______________________ Spesso, l’ironia ben fatta è più efficace di un sanguigno turpiloquio. Aἲsopoς μύθοςraccoglie CXXV tempesta. Chi semina– vento

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La cornacchia e la brocca (Ἡ ώὶἡά

Una cornacchia, mezza morta di sete, trovò una brocca che una volta era stata piena d'acqua. Ma quando vi infilò il becco si accorse che vi era rimasto soltanto un po' d'acqua sul fondo. Provò e riprovò, ma inutilmente, ed alla fine fu presa dalla disperazione. Poi, le venne un'idea e volle provare subito. Prese un sasso e lo gettò nella brocca ed uno per volta ne gettò dentro diversi, fino a che l'acqua non cominciò a salire Allora ne gettò altri e riuscì così a bere e a salvarsi la vita. Morale della favola: a poco a poco si arriva a tutto. ______________________ Aἲsopoς – μύθος CXXIV Lexicon necessarium: Cannaròne: gola; da canna, con suff. accr. e “r” di raccordo. Guccélla: piccola goccia Bocca strettulélla: imboccatura angusta. Non ci arrivava per la zucàta: non riusciva a bere. ‘Na penzàta: ebbe un’idea.

A CURNACCHIA E ‘A BROCCA (‘E difficoltà attivano l’ingegno)

Una cornacchia che teneva sete, tanto che l’abbruciàva ‘o cannaròne, trovò ‘na brocca ch’era stata chiéna, pensando: -Mo’ risolvo la questione!Ma d’acqua ce n’era sule ‘na guccélla, sotto la brocca vecchia e abbandonata, ‘a vocca era strettulélla e il becco nun ci arrivava, p’’a zucàta. Poi, finalmente, avètte ‘na penzàta: riempì di pietre il recipiente, e bevètte l’acqua, ch’era sagliùta, facilmente. Ed ecco dimostrato per bene: che aguzza l’ingegno chi ‘e mezzi nu’ ttène.

Fabula docet (‘ύò: Con ingegno e pazienza si superano tutti gli ostacoli. Il____________________ bisogno aguzza l’ingegno

Aἲsopoς – μύθος CCXXIV

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La rana ed il leone (έὶά

Un leone sentì una rana Che gracidava forte in uno stagno. Pensando che l’ animale Fosse di grandi dimensioni, molto attese, finché non riusci a vederlo. Quando la ranocchia apparve ( disse ): - Eri tu che gridavi così forte?e la schiacciò lasciandola lì morta. _________________ Aἲsopoς – μύθος CCI Lexicon necessarium: Granogna: rana; deverbale, dal verbo latino ranuljare. Alluccàve assaje assaje: gracidava fortissimo. Vicino a chìllu fuòsse: vicino a quel fosso e Jér tu ch’alluccàve: eri ti che facevi tanto rumore.

O LIONE E A GRANÓGNA (Si gruòsse te fai, peccerìlle addiviénte)

Nu liòne, camminanne ‘ndà campagna, sentètte rimbombà dint’a ‘nu stagno ‘a voce ‘e ‘na granògna. Pensànne ca l‟animale fosse gruòsse, cumme ’a ‘sta voce c’ attuòrne se sentéva, tante aspettàie finché nunn’’a vedèva. Quanne ‘a vedette ‘nfàccia, che gracidava con la voce racchia, - Iére tu ch’alluccàve accussì forte, ‘nda sfaccìmma de’ muòrte e chitammuòrte? – ‘e a schiattàje, lasciannele là morta.

E ‘a schiattàje: e la schiacciò; da “s” intensiva + chiatto.

Fabula docet (‘ύò: La modestia premia, l’intemperanza uccide. È sempre opportuno non mettersi sempre in mostra.

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Il debitore ateniese (Ἀὶέ)

Ad Atene, un debitore, a cui era stato ingiunto dal creditore di pagare il suo debito, sulle prime lo pregò di concedergli una dilazione, dichiarando che si trovava in cattive acque. Non riuscì però a convincerlo; e allora gli portò una scrofa, l’unica che possedeva, e, in sua presenza, la mise in vendita. Gli si avvicinò un compratore, chiedendo se quella era una scrofa che figliava, e lui l’assicurò che non solo figliava, ma presentava anche una particolarità straordinaria: alla stagione dei Misteri figliava femmine, e per le Panatenee, maschi. A questo discorso, l’ascoltatore rimase a bocca aperta. Ma il creditore soggiunse: " E perché ti meravigli? Questa è una scrofa che, per le Dionisiache, ti figlia anche dei Capretti" Questa favola ci mostra come molti, per il proprio interesse, giurino senza esitare le più inverosimili falsità. _____________________ Aἲsopoς – μύθος X

‘O DEBITORE ATENIESE (‘O bruòglie è l’anema do’ cummèrce)

- Nun te posso pavà, nu’ tènghe niénte, aspetta ‘n’atu ppòco fàmme cuntènte! – - Ma tu si’ pazze, mo’ m’ha rùtte ‘o cazze, si nù me pave mo’ ‘nda stu mumènte, cu nu’ cazzòtte te spacche faccia ’e diènte! – ‘O puverièlle, allora, s’aizàie E chélle ca teneve ce purtàje: ‘na purcelluzze bella tutta quanta: - Mo’ ‘a vennìmme e statti bbuòne ‘e sante !- Chèsta fa femmene ndà stagiòne de’ mistèri…‘O creditore ch’aveva l’interesse, Dicètte ‘o compratore: - Nu’ fa ‘o fesse, accattatélle ‘a scrofa, cosa aspetti? ‘Nda festa ‘e Dionìsio figlia capretti! -

Lexicon necessarium: Cràpe: capra, dal lat. capra(m). ‘Nzalàta: insalata, miscuglio, mortificazione di individualità. Cupià: copiare eguagliare.

Fabula docet (‘ύò: La propaganda ingannenole è alla base di ogni commercio. L’interesse conduce all’esagerazione.

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La volpe con la pancia piena (Ἡ ὰὼἐὶἡέ

Una volpe affamata, vedendo, nel cavo di una quercia, del pane e della carne lasciativi da qualche pastore, vi entrò dentro e li mangiò. Ma quando ebbe la pancia piena, non riuscì più a venir fuori, e prese a sospirare e a gemere. Un’altra volpe che passava a caso di là, udì i suoi lamenti e le si avvicinò, chiedendogliene il motivo. Quando seppe l’accaduto: “E tu resta lì", le disse, “finché non sarai ritornata com’eri quando c’entrasti: così ne uscirai facilmente . Questa favola mostra che il tempo risolve le difficoltà. ___________________ Aἲsopoς – μύθος XXX

‘A VOLPE ABBUFFATA (Chi arragiòna c’’a panza nù tène speranza. )

‘Na volpe, ca teneva famme assaie, truvàie pane e carne ‘ndà ‘na quercia. Senza pensà e pe’ risolv’o guaie, cumme ‘a ‘na fésse, se rignette ‘a mèrce. Ma quanne avett’ascì a’ panza chiéna, era si’ grossa ca paréva prèna. Se disperàie ‘a povera criatura, tutt’angustiata ‘ndà pertòsa scura, e suspirànne già pensave ‘a morte, ca l’aveve purtate ‘a mala sciòrte. Ma ‘n’ata volpe ca passave ‘a llà, chiammànnele semènte e baccalà, - Aspette ‘a digerì, ‘e dicette, ‘oi fessa, ‘e ghièsce do’ pertùse ambrèsse, ambrèsse!-

Lexicon necessarium: Se rignètte ‘a merce: si riempì la pancia. Ascì ca’ panza chiéna: quando provò ad uscire con la pancia piena. Pareva prèna: sembrava incinta. ‘Ndà pertòsa scura: nel buco oscuro. ‘A mala sciòrta: la cattiva sorte. Semente e baccalà: sempliciotta ed ingenua.

Fabula docet (‘ύò: La saggezza ha le sue regole e non è di tutti. Solo il tempo appiana ogni difficoltà.

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La capra ed il capraio

‘O CRAPARO SPEZZACORNE

ἲὶἀό

(Chi sbaglie àdda pagà)

Un capraio richiamava le capre nella stalla. Una di esse restò indietro a brucare qualcosa di buono e il pastore le tirò un sasso, che la colpì e le ruppe un corno. L'uomo si mise allora a scongiurare la capra di non riferirlo al padrone, ma quella replicò:"Anche se io starò zitta, come potrò tenere nascosto l'accaduto? E' visibile a tutti che il mio corno è spezzato!". Quando la colpa è evidente, non è possibile tenerla celata.

________________ Aἲsopoς – μύθος XV

‘Nu crapàro purtaje ‘e cràpe dìnt’a stalla e una sola rimanètte arrète, pe se magnà all’urdemo mumente ‘nu ciuffo d’èvera sapurìte veramente. Stànco ‘o pastòre nce tiràje ‘na prèta e cu’ ‘sta botta le spezzàje ‘na corna. -Nu’ dice niénte, implorò alla crapa, si no ‘o padrone me la taglia ‘a capa!-Tu si’ ‘nu cazze, è rispunnette ‘a crapa, ‘o fatte è fatto, nun t’ha ‘mparàte a scola? ‘E ccòrne, da sempe, parlene da sole!Quanne la colpa è accussì evidente, cumme fai a evità l’inculprendènte?

Lexicon necessarium: Craparo: capraio; dal lat. caprariu-m, con arius> aro (vedi vetràro) Rimanette arrète: rimase indietro. All’urdemo mumento: all’ultimo momento. Sapurito: saporito; dall’acc. latino sapore-m. Nce tiràje ‘na preta: gli tirò una pietra. L’inculprendente: la pena, la punizione.

Fabula docet (‘ύò: Quando la colpa è evidente, non è possibile tenerla celata. La cattiva grazia qualifica il maleducato.

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La schiava brutta ed Afrodite (Aὶἀύὶ ὶ 

Un padrone aveva una relazione con una schiava brutta e di pessimo carattere. Prendendo oro, si adornava splendidamente e ingaggiava battaglia con la propria padrona; ma offriva continuamente sacrifici ad Afrodite e la pregava come quella che la rendeva bella. Ma la dea, essendo apparsa in sogno alla schiava, le disse di non renderle grazie perché la rendeva bella “ma anzi mi indigno e arrabbio contro quello che ti trova bella”. ( La favola insegna) che coloro che si arricchiscono attraverso azioni vergognose non devono inorgoglirsi, soprattutto se sono meschini e sgraziati. __________________ Aἲsopoς – μύθος XVIII

AFRODITE E LA RACCHIA (Chi s’arricchisce illecitamente, nun s’adda sente baròne)

‘Nu patròne nu poco cecàte aveva pigliàte ‘na brutta sbandata, pe’ ‘na schiava fetòsa e latrìna, tra ‘nu vase e ‘na mezza ‘nfurnàta. Fu accussì, ca per colpa do’ cazzo chella racchia era sagliùta di mazzo e coprendosi d’oro ‘a mattina umiliàva ‘a padrona ‘a mappina. Sacrificanne ogni juòrno alla dea ch’a rendeva cchiù bella ‘o patròne, dint’’o suònne Afrodite alla rea ‘e facette ‘nu ddìe e cazziatòne: Nu’ capische, è dicette di botto, cumme fa chìllu fesse a te fotte!Chesta favula è scritta a mestière Pe’ ‘mbruglùne e pe’ tutt’’e fetiènte ca se fregano oro e ricchezza camminanne pe dint’a schifezza.

Lexicon necessarium: fetosa e latrina: brutta ed antipatica. Tra ‘nu vase e ‘na…: tra un bacio ed un amplesso . Sagliùta di mazzo: insuperbita, inorgoglita. Mappìna: spregevole, dal latino mappa-m. Cazziatone: rimprovero; deverbale, da mazzià. Cumme fa chillu fesse a…: dove trova il coraggio per giacere con te. Camminànne pe’…: si arricchiscono illecitamente.

Fabula docet (‘ύò: Coloro che si arricchiscono attraverso azioni vergognose non devono inorgoglirsi, a maggior ragione se sono meschini e sgraziati.

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I due galli e l’aquila

E DDUI GALLI E L’AQUILA

(Ἀόύὶἀό

(‘A superbia s’avvia a cavallo e torna a ppère)

Due galli si battevano per questioni di...galline, e uno mise in fuga l'altro. Il vinto andò a nascondersi tra i cespugli, mentre il vincitore, levatosi a volo, s’issava su un alto muro, cantando a squarciagola. Ma tosto un'aquila gli piombò sopra e lo portò via. Così, quello che se ne stava nascosto nell'ombra potè, da allora in poi, coprire tranquillamente le sue galline. Questa favola mostra che Zeus si oppone agli orgogliosi e concede grazia agli umili. ________________ Aἲsopoς – μύθος XX

Ddui galle cumbattevene pe’ galline, pe chi l’avea muntà, dint’’o pullàro, uno vincètte e l’atu s’annaccuvàje pe’ chiagnere ‘o scuòrno ca pruvaje. Il gallo vincitore, ncòpp’’o muro, cantava sentènnese ‘o sicuro, ma ‘n’aquila l’artigliò ndà ‘nu mumente e so’ purtaje cumme a ‘na cosa ‘e niente. Il gallo vinto divenne vincitore e de’ galline divenne il copritore. Spesso l’orgoglio vène mortificato e l’umile risulta poi esaltato.

Lexicon necessarium: L’atu s’annaccuvaje: l’altro si nascose . ‘O scuorno ca pruvaje: la vergogna che provò. ‘Ndà ‘nu mumente: in un momento.

Fabula docet (‘ύò: L’umiltà premia ed è dei grandi; L’orgogliosa superbia è soltanto degli imbecilli.

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La capra e l’asino ἲὶ ὄνο)

Un tale teneva una capra e un asino. La capra, che era invidiosa dell'asino perché gli davano molto da mangiare, andava dicendogli che lo maltrattavano, ora facendogli girare la macina, ora caricandolo di pesi, e lo consigliava di fingersi epilettico e di lasciarsi cadere in un fosso, se voleva sottrarsi alle fatiche. L'asino le diede retta: si buttò giù e si ruppe le ossa. Allora il padrone chiamò il veterinario e gli chiese un rimedio. Questi ordinò che gli facessero un'infusione di polmone di capra. Così, per curare l'asino, uccisero la capra. _________________ Aἲsopoς – μύθος XVI

Lexicon necessarium: ‘Na crapa mappina: una capra cattiva. Ndà recchia: nell’orecchio. Quaccosa: qualcosa; fusione di qualche (in assimil. regressiva) +cosa, con apologia. T’arrepuòse: ti ripososi. Scrivatelle…ndà capa: mettiti bene in testa.

‘O CIUCCIO E A CRAPA ZOCCOLA (Chi vole ‘o male e ll’ate o suoie sta arrète ‘a porta)

‘Un tizio teneva ddoje bestie: ‘nu ciuccio e ‘na crapa mappina, invidiosa sta piézze ‘e latrina pecché ‘o ciuccio aveva da mangià. E dicette ‘nu juorno nda’ recchia -Fa quaccòse, tu fatiche già troppo! Si te vutte ndò fuòsse e t’azzuòppe t’arrepuòse e po’ t’hanna curà! -. L’asinello, che si sa quant’è ciuccio, l’ascultaie rumpènnese ll’osse e lasciaje a salute ndò fuòsse. Si tu vuo’ risanà questa bestia, e dicette accorate ‘o dottore, scrivatelle chiaramente ndà capa, qua ci vuole un’infuso di capra. Fu così che la crapa fu uccisa per curare le ossa del ciuccio e ridargli ‘a salute in tal guisa.

Fabula docet (‘ύò: Non sempre vanno accettati i consigli, massimamente quelli che nascono dall’invidia. Chi nasconde l’inganno, rimane ingannato.

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Franco Pastore nasce a San Valentino Torio, frequenta il ginnasio ed il Liceo nella vicina Sarno, il paese dei nonni materni, e completa gli studi presso l’Ateneo salernitano. La sua sensibilità lo porta, fin da giovanissimo, a scrivere racconti, poesie ed articoli che vengono pubblicati su giornali locali. Dopo il servizio militare, si trasferisce con la famiglia a Salerno, in via Camillo Sorgenti, 21, dove, nel 1972, inizia la sua collaborazione con lo scrittore Arnaldo Di Matteo, scrivendo racconti ed articoli sul periodico “Verso il 2000”. L’anno successivo, entra a far parte dell’equipe del Varo, una galleria d’arte di Vito Giocoli e sostenuta dal giornalista napoletano Saverio Natale, che lo veicolano verso la critica d’arte. Intanto diviene un punto di riferimento nella famiglia di “Verso il 2000”, collaborando con il Prof. Zazo dell’Ateneo napoletano, il preside Marino Serini, il pittore Luigi Grieco, Achille Cardasco ed altre personalità della cultura campana. Alla metà degli anni settanta conosce Domenico Rea e Franco Angrisano. Sarà Rea, presso la Camera di Commercio di Salerno a presentare alla stampa il libro di estetica morale Il Vangelo di Matteo (Roma – n. 136 del 12/6/1980), che il Pastore scriveva, nel 1979 (Il Giorno – 23 marzo 1980), con Liana Annarumma. Intanto, Franco Angrisano lo presentava ad Eduardo De Filippo, nel periodo in cui l’attore recitava nella sua compagnia. Fu allora che in Franco Pastore si rafforzò l’amore per il teatro. Intanto, conosceva Lucia Apicella di Cava (Mamma Lucia), per la quale pubblicava su Verso il 2000 una serie di racconti, raccolti poi nel libro “ Mamma Lucia ed altre novelle” ( L’Eco della stampa – gennaio 1980 /Il Faro del 13/2/1980), con le illustrazioni del Grieco. Seguiva, sempre sull’eroina cavese, “Mutter der Toten”, un radiodramma, pubblicato dalla [[Palladio]], che Angrisano drammatizzò nel salone dei marmi del Comune di Salerno (la Voce del Sud – 12/7/1980 – Roma 11 giugno 1980 n.135), il giorno in cui Mamma Lucia fu Premiata con medaglia d’oro del Presidente della Repubblica nel luglio del 1980 (Il Secolo d'Italia - Anno XXIX dell'11/07/1980). Dopo il suo primo romanzo “L’ira del Sud” (verso il 2000 – anno XXIII – n.82 del 1983, con nota autografa di Nilde Iotti) scrisse per Franco Angrisano “La moglie dell’oste”, ispirata alla XII novella de Il Novellino, di Masuccio Salernitano; seguì “Terra amara”, sul problema del caporalato nel sud. Negli anni novanta, viene trasferito al Liceo di Piaggine. Fu in quegli anni che scrisse “ All’ombra del Cervati” una raccolta di liriche e “Fabellae”, un testo di drammatizzazione per la scuola elementare. Sono gli anni in cui si accosta all’informatica, è docente di sociologia e psicologia di gruppo nell’Ospedale Tortora di Pagani. Inizia un dialogo stretto con il teatro, grazie alla disponibilità dell’auditorium del Centro Sociale paganese ed all’incontro con la compagnia teatrale “02”, diretta da Enzo Fabbricatore. Nascono così le commedie: “Un giorno come un altro”, “Un amore impossibile”, “Una strana Famiglia” ( Le Figaro / Education, samedi 4 juin 2005). Tra il 1995 ed il 2000, è direttore di Corsi di alfabetizzazione informatica per il M.I. e tiene, al Centro sociale di Pagani, Corsi di Pedagogia speciale (metodi: Decroly e Froebel). Alla fine degli anni novanta, si abilita per l'insegnamento delle lettere negli istituti superiori e, nel 2000, il commediografo passa dalla pedagogia (didattica e metodologia), all’insegnamento di italiano e storia nell’Istituto “G.Fortunato” di Angri. Nello stesso anno, ritorna nella sua Salerno, in via Posidonia. Oramai ha perso tutti gli amici di un tempo. Intensifica il suo interesse per il teatro, entra in rapporto con alcune compagnie salernitane e conosce Gaetano Stella e Matteo Salsano della compagnia di Luca De Filippo. Con questi ultimi, ripropone “La moglie dell’oste” che viene rappresentata nel 2006, al teatro dei [[Barbuti]], nel Centro storico. Il successo dell’opera lo spinge a scrivere altre tre commedie, ispirate al Novellino del Masuccio: Le brache di San Griffone , “Un vescovo una monaca ed una badessa” e “Lo papa a Roma”. Oramai l’insegnamento non lo interessa più e dà le dimissioni, nel settembre del 2005, chiudendo innanzi tempo il suo impegno con la scuola, per dedicarsi completamente al Teatro. Fonda, con il patrocinio del Comune e della Provincia di Salerno, la rivista virtuale di lettere ed arti “ Andropos in the world” e inizia il ciclo de’ “I Signori della guerra”, ovvero “La Saga dei Longobardi”, un insieme di cinque drammi storici, sulla Salerno longobarda e normanna, che completa il 29 gennaio del 2011. Dopo la pubblicazione delle raccolte di racconti “Il gusto della vita” (ed. Palladio) e di “Ciomma” (edito dalla Ed. Antitesi di Roma), va in scena, a Pagani, il primo dei drammi storici “L’Adelchi”, replicato il 25 febbraio 2011 al Diana di Nocera Inf., con il patrocinio della Provincia di Salerno (Dentro Salerno, 25 febbr. 2011). Fin dagli inizi del suo percorso artistico, Pastore, pur avendo acquisito una formazione classica (da Euripide ed i lirici greci, Aristofane e la commedia antica, da Omero ad Esopo e Fedro), si trova ad essere rivolto verso il presente del nostro tempo. La sua narrativa si può ritenere, in alcune sfumature, neorealista, con testimonianze forti, sulle difficoltà di una Italia degli anni della ricostruzione. Così, nel teatro, nel mentre che delinea il dramma di antiche dominazioni, passa alla commedia di denuncia ed alla farsa.

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Opere Prosa e poesia:                     

VOGLIA D’AMARE – Salerno 1974 L’IRA DEL SUD (romanzo) edizioni Palladio – 1977. LA SIGNORA DELLA MORTE (radiodramma) Palladio Editrice – Salerno 1978 SETTE STORIE PER PIERINO, Ediz. Verso il 2000 , Sa 1978 MAMMA LUCIA ed altre novelle, Sa 1979 Il VANGELO DI MATTEO (estetica morale, con prefazione di Domenico Rea) De Luca ed.- Amalfi 1979 SAN MARZANO nella pianura campana (storiografia), Edizioni Palladio, Sa 1983 FABELLAE– antologia di drammatizzazione per la scuola primaria‚ Paes, 1988 LA SIGNORA DELLA MORTE (Mutter der toten) radiodramma Ed. Palladio, Sa. 88; (La Nuova Frontiera del 30/7/81) OMBRE DI CAPELVENERE; 1989 SORRISI D’AMORE 1994 ALL’OMBRA DEL CERVATI (poesia) Napoli 1995 IL GUSTO DELLA VITA, Ed. Palladio, Sa 2006 AMORE E MITO – EDIZ. E-BOOK - PENNE PAZZE. 2006 CIOMMA, Ed.Antitesi, Roma 2008 Il NAZARENO, A.I.T.W. Sa, 2009 I TEMPLARI, A.I.T.W. Sa,2010-05-05 LE TUE LABBRA - A.I.T.W. 2010 Il GUSTO DELLA VITA, II ediz. ampliata e riveduta d.p.p. LA ZIZZEIDE - A.I.T.W. Edizioni, maggio 2011 FAEDRUS- A.I.T.W. Edizioni, giugno 2011

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LA MOGLIE DELL’OSTE – 1974 TERRA AMARA - 1979 UN GIORNO COME UN ALTRO - 1998 LO PAPA A ROMA - 2003 LUISA CAMMARANO - 2004 UNA STRANA FAMIGLIA - 2005 IL MENACHER – 2005 UNO STRANO AM ORE – 2001 O VESCOVO, LA MONACA E L’ABBADESSA LE BRACHE DI SAN GRIFFONE

Commedie:

Drammi storici:        

GAITA, la moglie del Guiscardo - 2007 I TEMPLARI - 2008 ARECHI II - 2008 IL NAZARENO – 2009 LA BATTAGLIA DELLA CARNALE GUAIMARIO IV ROBERT D’HAUTEVILLE LA GUICHARD PIU’ FORTE DELLA MORTE - A.I.T.W. Edizioni, marzo 2011

Farse:       

UNA FAMIGLIA IN ANALISI - 2006 UN CASO DI NECESSITA’ - 2008 PEPPE TRACCHIA - 2008 CONCETTA QUAGLIARULO – 2009 (una contaminatio sullo sbarco di Salerno) VÁSE ARRUBBÁTE – 2010 BERNARDAS GLORIOSAS COLLOQUIO con un segretario di onorevole

Alcuni premi ed Onorificenze   

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Roma - Medaglia d’oro per la poesia - S.Barbara 1971 (Scuola Genio Pionieri) Roma- Accademia Int.le Tommaso Campanella - medaglia d’oro e nomina a Membro Honoris Causa, 1975 Salerno - Salone dei Marmi del Palazzo Città - Trofeo “Verso il 2000”, consegnato a Domenico Rea e Franco Pastore dal Ministero Turismo e Spettacolo e dall’Assessorato alla P. Istruzione del Comune di Salerno – (La Voce del Sud del 12 luglio 1980 – La Nuova Frontiera, 30/6/1980 e del 15/12/1980 – Candido, 18 sett.1980) Roma - Acc. Gentium Pro Pace - nomina ad “ Academicum ex classe legitima”, 1980 Accademia delle Scienze di Roma - nomina ad Accademico d’onore, 1982 Melbourne – Accademia Lett. Italo-Australiana (A.L.I.AS.) - Primo premio internazionale per la narrativa,2008 Melbourne – Accademia Lett. Italo-Australiana (A.L.I.AS.) - Primo premio internazionale per la narrativa,2011.

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INDICE PRESENTAZIONE ………………………………………………………………………………………………………………………………. pag.3 PRAEFATIO ……………………………………………………………………………………………………………………………………….. pag.4 PRAEMISSA ………………………………………………………………………………………………………………………………………. pag.4 Άὰὶά …..………..………………………………………………………………………………………………………………. pag.6 ‘A GALLINELLA SFURTUNATA …………………………………………………………………………………………………………….. pag.7 ‘O CIUCCIO E ‘O PASSERO ..………………………………………………………………………………………………………………… pag.8 ‘A LEPRE E ‘A TARTARUGA …………………………………………………………………………………………………………………. pag.9 ‘O LIONE E ‘O CINGHIALE ..………………………………………………………………………………………………………………… pag.10 ‘O LIONE E ‘O TORO …………………………………………………………………………………………………………………………… pag.11 ‘O CIUCCIO ‘A VOLPE E ‘O LIONE ………………………………………………………………………………………………………… pag.12 ‘O LUPE E ‘O PASTORE ……………………………………………………………………………………………………………………….. pag.13 ‘O LIONE E ‘O CIUCCIO …………..…………………………………………………………………………………………………………… pag.16 ‘A FURTUNA D0’ CAVALLO .………………………………………………………………………………………………………………. pag.17 IL CANE E LA LEPRE ……………………………………………………………………………..………………………………………….… pag.18 UN PESCATORE CHE BATTEVA L’ACQUA ……………………………………..……………………………………………………. pag.19 ‘O CONTADINO E O SERPENTE RICCHIONE ………………………………………………………………………………………….. pag.21 ‘O VOIO E ‘A VITELLA …………….…………………………………………………………………………………………………………. pag.22 DIOGENE E L’OMME SENZA CAPILLE ……………………………………………………………………………………………….... pag.23 A CURNACCHIA E ‘A BROCCA ……………………………..……………………………………………………………………………… pag.24 ‘O LIONE E ‘A GRANOGNA ………………………………………………………………………………………………………………… pag.26 ‘O DEBITORE ATENIESE ….………………………………………………………..………………………………………………………… pag.27 ‘A VOLPE ABBUFFATA ……………………………………………………………………………………………………….……………... pag.28 ‘O CAPRARO SPEZZACORNE ..::………………………………………………………………………………………….…………….… pag.29 E DDUI GALLI E L’AQUILA ………………………………………………………………………………………………………….…….… pag.31 ‘O CIUCCIO E ‘A CRAPA ZOCCOLA ……………………………………………………………………………………………………… pag.32 L’AUTORE ……………………………………………………………………………………………………………………………………….… pag.33 Altre opere …………………………………………………………………………………………………………………………….…………. pag.34

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