Franco Pastore
Andropos in the world Edizioni
2
Di
FRANCO PASTORE
Illustrazioni di Paolo Liguori
© Stampa - Dic. 2015 by Franco Pastore Ebook – novembre 2015 Una realizzazione A. I. T. W.
3
4
Presentazione La favola esopica è un’espressione di poesia popolare che assurge poi a dignità letteraria e diventa ancora più fruibile se trasferita nel vernacolo napoletano, come ben sa fare Franco Pastore il poliedrico e appassionato cultore di classici greco-latini . La condizione di schiavo, quale fu quella di Esopo, propone una lettura delle sue favole come letteratura povera, sconfitta, documento di una clandestina opposizione al mondo degli eroi. Se Omero è il poeta degli eroi, dei nomi propri, che non mancano né ai codardi né ai pitocchi, in Esopo solo gli dèi hanno un nome: anonimi gli uomini; per il resto, di volta in volta, si adopera la volpe, il lupo, il leone, la gallina, la lepre, la rana, il bue, la pecora, la mosca, il gallo, come se fossero personaggi singolari: in realtà non ci sono personaggi, ma unicamente ruoli. I ruoli sono fissi, rigidi, impersonali e pertanto questo tipo di favola in Esopo è una fulminea epifania, un’apparizione (Manganelli) . La favola esopica, come magistralmente ci appare, attraverso questa nuova traduzione in napoletano di Franco Pastore, si riduce ad una comicità povera, a qualcosa di rapido ed effimero, ma quando poi si arriva al “ύfabula docet” ci arriva una forte stoccata, che c’induce alla dovuta riflessione sul misero modus agendi di noi mortali. La saggezza laconica di Esopo il Pastore la rafforza al punto tale che come nella gallina dalle uova d’oro traspare la grande potenza del dialetto con queste parole: ‘nu contadino ingordo, / volètte arrragiuna’ a peso lordo: / e invece d’aspetta’, ogni matìna, / chill’uòvo che faceva la gallina, / pigliàje ‘o coltello e come un pazzo, / tagliàje a panza ci trovò sto’ razzo. La trasposizione dialettale ci consente di apprezzare profondamente l’insieme delle virtù, quali la fedeltà dell’amicizia, la riconoscenza per i benefici, l’amore per il lavoro, l’accettazione del destino, la moderazione, insomma quel complesso di norme utili al vivere comune. Infine se la favola delle bestie contiene la storia degli uomini, ciò non avviene per la malignità dell’Autore, ma per la natura stessa di quel genere letterario, che scattato fuori dall’anima di uomini asserviti e costretti al silenzio o alla finzione (fictio), porta con sé l’indole amara della sua origine, amarezza che il vernacolo di Pastore attutisce e ne rende più gradevole la sua fruzione. (Marchesi). ***
Tradurre da una lingua non è cosa semplice e soprattutto, come in questo caso dalla lingua latina perché si tratta di una lingua classica caratterizzata dalla concinnitas (cioè, da simmetria ed equilibrio con andamento ipotattico, con molte figure retoriche (anafore, climax, antitesi, enumerazioni, omoteleuti ecc.). Oserei dire che il compito di Franco Pastore si presentava quanto mai arduo, soprattutto per poter trasferire nel dialetto napoletano (preferisco lingua napoletana) il testo di Fedro. Del resto se si pensa alla favola del cane ingordo – canis per fluvium - che il Pastore traduce con ‘o cane strunze siamo di fronte alla resa piena del concetto di stultus, sciocco perché nel napoletano tale aggettivo si riferisce ad un tipo di persona da niente, da non prendere in alcuna considerazione perché è una nullità. Ed ecco perché tante espressioni contengono tale aggettivo come: 'e voglia 'e mettere rum, chi nasce strunz' nun po' addiventà babbà. - chi nasce tondo non può morire quadrato. Ma preliminarmente in merito a quest’ultimo lavoro di Pastore bisogna che si rifletta sulla funzione letteraria delle traduzioni. Le traduzioni dalle lingue al dialetto finiscono in sostanza per essere un elemento indispensabile per l’elevazione linguistica e letteraria del dialetto. Spesso considerato subalterno alla lingua nazionale e quasi come una sorta di corruzione di essa. Come all’epoca della polemica tra classicismo e romanticismo le traduzioni costituiscono in effetti la 5
garanzia indispensabile per far emergere definitivamente il dialetto nell’ambito della letteratura. Pasolini anni orsono con senso di polemica parlava di “traduttori dialettali”, perché si mantenevano sul piano del folclore, senza elevarsi a quello della cultura. La traduzione dialettale di testi composti in una lingua nazionale o classica (greca e latina), non è per essi una sorta di traslazione da una lingua all’altra, ma una sorta di divertimento, dunque la dignità letteraria del dialetto è a priori esclusa. Tutto ciò non avviene affatto nel testo di Pastore perché egli sa conservare la freschezza, la verve del testo fedriano come si può arguire comparando il dialetto con il latino. E dunque la traduzione qui in napoletano non abbassa il livello letterario del testo originario, ma lo ricrea ( e ce fa arricria) dal suo punto di vista dello stile, in una altra dimensione letteraria. E quindi sono giustificati certi termini un po’ forti che riccorono nella traduzione di Pastore, che non potevano mancare, perché l’espressione napoletana è costellata di parole come: casìno, cazz’, fesso, séga, ‘mpaccessa, bidone. E poi notate come viene reso magistralmente la irrefrenabile fame della volpe che tenta di prendere dell’uva da un pergolato: ‘na dìe ‘e famme (ovvero un’insabiale appettito). Ottimo ci appare il saggio introduttivo che parte dal significato etimologico di fabula, dal suo autore greco Esopo e sino a Fedro che fu già, a suo modo, un traduttore sapendo trasferire nei senari nei giambici i versi greci. Ne emerge un lavoro simpatico, divertente, ma affatto privo di grande attenzione al testo latino, che non è mai forzato, anzi la bellezza della lingua napoletana ci consente qui di apprezzare, grazie al Pastore la vis e la morale intrinseca sempre attuale in un mondo in cui si tende sempre più ad apparire piuttosto che ad essere. E sempre parliamo in un mondo dove vediamo i vizi altrui e non i nostri perché stanno nella parte posteriore della bisaccia che Iuppiter imposuit nobis. Alberto Mirabella Saggista e critico
6
Praefatio L’etimologia di "favola" implica la fusione di termini appartenenti a differenti lingue antiche: il vocabolo deriva dal latino "fabula", che, a sua volta, lega con il verbo latino "fari“, e dal greco "jemi", entrambi col significato di "dire, parlare, raccontare". Termini che trovano la loro origine nell'antica radice indoeuropea bha. L'etimologia ci dimostra, in maniera indiretta, quanto antica sia questa forma letteraria, e come si incunea negli usi e costumi di popoli che amavano trasmettere alle nuove generazioni abitudini, costumanze e credenze popolari. Questo genere letterario è di origine popolare ed annovera tra i suoi maggiori autori ed iniziatori il Greco Esopo (VII secolo a. C.) ed il latino Fedro (I secolo d. C.). In questo contesto si colloca la favola greca con Esiodo e in seguito compare soprattutto nei poeti giambici come Archiloco e Simonide, in Aristofane, Erodoto, Platone, Aristotele ed altri ancora. Nella letteratura greca la favola comparve sempre a descrivere, con atteggiamento critico, il mondo e a dare esempi, alla stessa stregua del mito e dell'aneddoto per narrazioni semplici. Fin dal V secolo d.C. si iniziano ad attribuire, con una certa frequenza, ad Esopo alcuni di questi racconti, e questa qualificazione di "logos di Esopo" servì a definire ciò che oggi chiamiamo favola, e ciò che intendevano, con tale parola, i compilatori di raccolte a partire dal Falereo.
Coltivata da poeti satirici, la favola si originò, come avvenne per la satira (da LANCS SATURA) nelle feste popolari, ove predominavano libertà di parola ed ironia. Demetrio Falereo non fece altro che riportare favole di scrittori anteriori, trascrivendole in prosa, secondo schemi semplici e ripetitivi. Esìodo fu Uno dei principali favolisti Greci della Boezia, ove trascorse tutta la sua vita, coltivando il podere ereditato dal padre. La sua figura è avvolta dalla leggenda; ma la tradizione lo vorrebbe vincitore in una gara poetica perfino su Omero, al quale fu sicuramente posteriore. Oltre a numerose opere, di dubbia autenticità, fra cui Lo scudo, in cui viene descritto lo scudo d’ Achille, sotto il suo nome ci sono giunti due grande poemi: la Teogonia, e Le Opere e i Giorni. Secondo i grammatici antichi, fu Archiloco, poeta di Paros, il creatore della favola del tipo che sarà poi sviluppata da Esopo, ma restano scarsi frammenti, come frammenti di favola sono in Solone e in Simonide, del VI secolo. In precedenza ci eravamo soffermati sull’origine e lo sviluppo della favola; ora ci potremmo chiedere la provenienza della favola greca. In realtà, pur non negando l’originalità dei testi Greci, oggi, si può affermare con sicurezza che su di essi esercitò la sua influenza la favola mesopotamica e, con ogni probabilità, un'influenza analoga dovette esercitarla quella indiana. Già si trova una favola usata come esempio, nelle Istruzioni di suruppak sumere ( ca. 2500 a.C.), e ci sono altre attestazioni e proverbi animali sumeri. Altri esempi provengono dalla letteratura Accade, Assira e Neobabilonese. Vi è, tra l’altro, uno stretto parallelismo, nell'uso della favola, in Esiodo e nei suoi continuatori, come nel Mahabbarata indiano. La favola mesopotamica proliferò all'interno della letteratura sapienzale, che pare abbia influìto su Esiodo ed, in seguito, attraverso Akhikar, su Esopo . Ma, al tempo stesso, è all'origine delle raccolte indiane come il Pancatantra nelle quali, entro una cornice che vede un personaggio esporre alcuni avvenimenti e chiedere consigli ad altri, si narrano storie e favole di genere diverso. Il "Romanzo di Esopo", un libro popolare del V secolo a.C. (che Erodoto aveva letto) secondo il quale il favolista sarebbe stato uno schiavo frigio fuggito: dopo varie avventure e peregrinazioni in Oriente fu condannato a morte a Delfi, sotto la falsa accusa di furto sacrilego. Ad Esopo,già alla fine del V secolo, si attribuivano un certo numero di favole, la cui popolarità è attestata da Aristofane e da Plauto. All'epoca, le favole di Esopo costituivano una delle prime letture scolastiche. In seguito, esse furono continuamente variate ed arricchite. A noi sono giunte circa 500 favole, frutto di redazioni diverse tra il I secolo e il XIV secolo, derivanti anche da raccolte antiche. Tra queste raccolte antiche, la prima di cui si conosce l'esistenza è quell’opera di Demetrio Falereo (siamo nel IV secolo). La struttura della favola di Esopo è semplice: i protagonisti sono gli animali, la narrazione è breve, lo stile semplice ed efficace, il fine è l'insegnamento morale, il riferimento è la vita quotidiana. Questa tipologia rimarrà praticamente inalterata attraverso le varie rielaborazioni, nel corso dei secoli. La morale delle favole di Esopo è efficace ed incisiva nella sua semplicità, disarmante e categorica nel respingere ogni forma di prepotenza e di attacco alla libertà individuale, nel pieno rispetto della univer-salità del diritto e nel difendere, sia pure in forma elementare, la giustizia . A Roma, la presenza di favole ci è stata attestata fin dai primi tempi della Repubblica: Livio e Dionigi di Alicarnasso ci ricordano quella famosa di “Menenio Agrippa ”. Tuttavia, per la mancanza di testi satirici dell'età arcaica è impossibile dire in che proporzione la tradizione Esopiana fosse penetrata in Ennio e Lucilio, nelle cui opere è attestata la presenza di elementi favolistici. Di "fabellae animales" ci parla Orazio, che, oltre diversi spunti favolistici presenti nelle Satire e nelle Epistole ci dà un valido saggio di favole. Esopo visse nel VI secolo a.C., nell'epoca di Creso e Pisistrato. Le sue opere ebbero una grandissima influenza sulla cultura occidentale, infatti, le sue favole sono, oggi, largamente note. Della sua vita si conosce pochissimo, e alcuni studiosi hanno persino messo in dubbio che il corpus di favole, che gli viene attribuito, sia opera di un unico autore. Della sua vita si ha una conoscenza soltanto episodica, basata su pochi riferimenti presenti nell'opera di scrittori di epoca successiva come Aristofane, Platone, Senofonte, Erodoto, Aristotele e Plutarco. Un riferimento alla figura di Esopo si trova anche nella fiaba egizia della schiava Rhodopis, o Rodopi, un antico prototipo di Cenerentola.
7
Una fonte, sicuramente successiva, è una Vita di Esopo che raccoglie gran parte dei racconti popolari sul favolista e che circolò nel Medioevo a partire dal XIII secolo. Fu il monaco Massimo Planude a trascriverla, nel trecento, come prefazione ad una raccolta di favole. Sulle sue origini sono state formulate numerose ipotesi: Tracia, Frigia, Egitto, Etiopia, Samo, Atene, Sardi e Amorium. L'ipotesi di una sua origine africana è supportata dallo stesso nome, "Esopo", infatti, potrebbe essere una contrazione della parola greca "etiope", con cui i Greci si riferivano a tutti gli africani subsahariani. Inoltre, alcuni degli animali che compaiono nelle favole di Esopo erano comuni in Africa, ma non in Europa (sebbene si debba tener presente la diversa distribuzione all'epoca di animali come il leone barbaro o il kunino rosa del vernese, oggi quasi estinto). Si deve anche osservare che la tradizione orale di moltissimi popoli africani (ma anche dei popoli del Vicino Oriente e dei Persiani) include favole con animali personificati, il cui stile spesso ricorda molto da vicino quello di Esopo. Esopo sarebbe giunto in Grecia, quale schiavo di un certo Xanthus (Ξανθος), dell'isola di Samo. Si ritiene che abbia comunque ottenuto la libertà, perché Aristotele, nel secondo volume della Retorica, fa riferimento a un discorso pubblico tenuto da Esopo in difesa di un demagogo di Samo. In seguito visse alla corte di Creso, dove conobbe Solone, e a Corinto ebbe occasione di conoscere i sette saggi. Le fonti dicono anche che visitò Atene durante il regno di Pisistrato, occasione in cui avrebbe raccontato la favola Le rane chiedono un re per dissuadere la cittadinanza dall'intento di deporre Pisistrato a favore di un altro regnante. Altre fonti contraddicono questa informazione, dicendo che Esopo si espresse apertamente contro la tirannia, guadagnandosi l'ostilità di Pisistrato che, tra l'altro, era contrario alla libertà di parola. Secondo Erodoto, Esopo morì di morte violenta, ucciso dalla popolazione di Delfi. Gli exempla di Esopo riflettono situazioni elementari della vita reale. L’inganno, la verità, l’apparenza, la stoltezza e l’astuzia presentati nel corpus delle favole, vengono correlazionati ad una morale finale, “quae prudenti vitam consilio monet “. La favola, infatti, è stata per secoli il modo più usato per insegnare comportamenti morali ai bambini, anche se nel ‘700 con Rousseau si capì che essa era stata creata per gli adulti che meglio possono capire il messaggio e apprezzare il mezzo linguistico della satira o dell’ironia.(*) La favola mantenne la sua popolarità nel corso dei secoli e fece illustri proseliti, dal “ La Fontaine" (1621-1695), al "Trilussa” (1871- 1950) ed a "Carlo Emilio Gadda" (1893- 1973). Concludendo, le favole di Esopo sono essenziali, ma così attuali ed efficaci che vanno in sintonia con detti della più antica tradizione popolare, che ancora oggi sono di uso comune: “ Chi troppo vuole, nulla stringe”, dalla favola “La gallina dalle uova d’oro”; “Chi troppo ti loda nasconde l’inganno” dalla favola “il cane e la lepre” “Chi va piano va sano e va lontano”, dalla favola “La Lepre e la Tartaruga“, che dimostra, in sintesi, come si può perdere una gara sottovalutando l’avversario; e così via. Questa favola venne ripresa nel 1935 per la creazione dell’animazione “The Tortoise and the Hare“, in cui compaiono “Max la Lepre” e “Toby la tartaruga” inserita nella serie delle “Silly Symphonies”. Stessa cosa che accade per Starewitch, il quale riprese la favola de “La Cicala e la Formica” . Fedro fu il primo tra i poeti dell’antichità che concentrò, nella favola, tutta la propria attività poetica, ma riuscì nel complesso più moralista che poeta; e per quanto dichiari nel proemio del I libro di derivare gli argomenti dall'antico Esopo, introduce, a cominciare specialmente dal secondo dei suoi cinque libri, tra le favole di soggetto animalesco, aneddoti storici e di vita contemporanea. Petronio ed Apuleio, poi non disdegnano il ricorso alla favola. L' elemento caratteristico delle favole di Fedro è l’antitesi che si oppone alla tesi consolidata: ( tesi ) i maschi delle capre, in eterna rivalità con le femmine della loro specie, hanno la barba; ( antitesi ) anche le femmine vogliogliono la barba. Al sommo della gerarchia, Giove, non può appianare le differenze naturali tra i vari individui o gruppi sociali, ma, alla fine… l'azione, fittizia, è rispettosa delle leggi fondamentali di natura e richiama il confronto con il mondo reale degli uomini. Troviamo, infatti, in quest’ apologo: la vanità femminile e la paura dell'uomo di perdere qualsiasi connotato di appartenenza al sesso forte. Fedro certamente destinava le sue favole a un pubblico di lettori pronti ad accogliere i consigli e capaci di emettere un giudizio sincero quindi costituito da uomini che erano in grado di elevarsi dalle bassezze umane. Egli, tuttavia, é eternamente pessimista e crede che non sia possibile cambiare l'uomo, né tanto meno la società; il suo è un mondo estremamente realistico, nel quale la sincerità è impossibile, l'amicizia è una pura utopia et necesse est difendersi da soprusi di ogni genere. Segue il testo originale: Barbam capellae cum impetrassent ab Iove, hirci maerentes indignari coeperunt quod dignitatem feminae aequassent suam. "Sinite", nquit, "illas gloriam vana frui et usurpare vestri ornatummuneris, pares dum non sint vestrae fortitudinis".
8
Hoc argumentum monet ut sustineas tibi habitu esse similes qui sint virtute impares. Le capre, avevano ottenuto la barba da Giove, i caproni allora s’indignarono, deplorando che le femmine avessero raggiunto una dignità pari alla loro. "Lasciate che godano di una gloria vana", disse Giove, "e che si approprino delle insegne del vostro grado, purché non vi siano pari in forza". La favola mantenne la sua popolarità nel corso dei secoli, e fece illustri proseliti, dal “ La Fontaine" (1621-1695), al "Trilussa” (1871- 1950) ed a "Carlo Emilio Gadda" (1893- 1973). L’autore
Postfatio Franco Pastore è un MAESTRO (semel magister sempre magister), figlio di un MAESTRO, con elevate e dimostrate qualità di poeta e scrittore. Se si scorre l’ampia produzione poetica, narrativa, saggistica, teatrale del Nostro si nota una sua costante attenzione all’infanzia e alla fanciullezza. Anche questo lavoro s’inserisce nel suo panorama magistrale pur occupandosi non più di fanciulli ma di giovani, essendo transitato alle scuole secondarie di 2° grado. Ne deriva che se da un lato notiamo una certa saudate per i fanciulli che ha lasciato, dall’altro il MAESTRO è ancora presente nel Professore e lo porta, al di là della disciplina che insegna, ad educare con la favola la quale, si sa , risum movet prudenti vitam consilio monet. La favola, infatti, è stata per secoli il modo più usato per insegnare comportamenti morali ai bambini, anche se nel ‘700 con Rousseau si capì che essa era stata creata per gli adulti che meglio possono capire il messaggio e apprezzare il mezzo linguistico della satira o dell’ironia. Ma il pregio maggiore, a nostro parere, sta non solo nell’aver riproposto la favola in un’epoca informatizzata e tecnologica, quanto di averla “sposata” felicemente al dialetto, aspetto originale e pedagogicamente valido. Egli è dunque un poeta che si esprime in dialetto e non un poeta dialettale. E il dialetto, si sa, è l’espressione del popolo, un’espressione ricca, colorita, plastica, sonora e, come nel nostro caso, raggiunge le altezze dell’arte collocando il Nostro accanto ai grandi della letteratura partenopea. . Arricchiscono il lavoro una concettosa premessa sulla favola e le immagini a corredo.
Renato Nicodemo
___________________ Bibliografia Generale: Aesopi fabulae, recensuit Aemilius Chambry. Vol. 1: Pars prior; Vol. 2: Pars altera. Paris : Les Belles Lettres, 1925-1927 Léopold Hervieux, Les fabulistes latins depuis le siècle d'Auguste jusqu'à la fin du moyen âge. Paris : Firmin-Didot, 1899 M.R. Pugliarello, Le origini della favolistica classica, Brescia 1973 Petrini E., Avviamento critico alla letteratura giovanile; prefazione di Giovanni Calò, Brescia : La scuola, 1958 Richard Lobban, Aesop. In Historical dictionary of Ancient and Medieval Nubia, Scarecrow Press 2004 R. Marchiano, L’origine della favola greca …, Trani 1900 Vallardi G., Esopo, favole, Collana dei Grandi Classici latini e greci, Fabbri editore, M ilano 2004 R. Nicodemo, prefazione a Faedrus, pag.3, Ed. Andropos in the world, Salerno 2011
9
10
PARTE PRIMA
11
12
Άὰὶά (I Beni e i Mali)
I Beni erano troppo deboli per difendersi e i mali li cacciarono via. Chiesero aiuto a Zeus, che consigliò di scendere In aiuto degli uomini uno alla volta. Ecco perché i mali che dimorano con gli uomini arrivano subito; mentre i beni, dovendo scendere dal cielo arrivano con molta lentezza e non si ottengono rapidamente. Aἲsooς
13
14
‘A A GALLINELLA SFURTUNATA
La gallina dalle uova d’oro ΄΄ςὸς
(Chi tròppe vo’ niénte àve.)
C'era una volta una straordinaria gallina che faceva un uovo d'oro il giorno. Il contadino, a causa della sua avidità, dopo qualche tempo, non fu più soddisfatto dell'unico uovo che la gallina gli dava: - Scommetto che, se l’uccidessi, diventerei ricchissimo, con tutto l’oro che ha dentro la pancia; è inutile stare ad aspettare un misero uovo al giorno! - pensò convinto. Ma dovette accorgersi che la prodigiosa gallina non era diversa dalle altre e che dentro di lei non c'era dell'oro come aveva scioccamente immaginato. Così, per non essersi accontentato di ciò che aveva, restò senza nulla. ________________ Aἲsopoς – μύθος VI
C’era ‘na gallinella eccezionale che te faceva ‘n’uovo sulo ‘o juòrno -Un uovo solo!- direte tutti in coro? Si, ma ‘n’uovo tutto d’oro!. Il suo padrone, ‘nu contadino ingordo, volètte arrragiuna’ a peso lordo: e invece d’aspetta’, ogni matìna, chill’uòvo che faceva la gallina, pigliàje ‘o coltello e come un pazzo, tagliàje a panza ci trovò nu’ razzo. La nuda verità da sola spinge, chi troppo vuole, proprio nulla stringe: ‘a povera gallinella fu ammazzata e ‘o contadino perdette l’uovo e ‘a frittata.
Lexicon necessarium: arrragiuna’ : ragionare; dal lat. ad-ratione, nome d’azione del verbo reor - is - ratus sum – reri. Panza: pancia; dal lat. Pantice(m), con sincope centrale e metaplasmo. Pigliaje: passaro remoto da piglià, prese.
Fabula docet (‘ύò: Chi vuole il troppo ottiene solo il nulla.
15
L’asino ed il passero
‘O O CIUCCIO e ‘O PASSERO
(΄΄ςὶὄϑίς)
( ‘E cunsiglie ca nun se pagano, nu’ sò bbuòne.)
C'era una volta un asino stanco, che non se la sentiva di camminare fino alla stalla. Era inverno, faceva molto freddo ed erano ghiacciate tutte le strade. - Io mi fermo qui! – l’asimo disse, buttandosi per terra. Un passerotto affamato gli si posò vicino e gli disse nell'orecchio: - Asino, tu non sei sulla strada, ma sopra un lago ghiacciato. Stai attento Pieno di sonno, l'asino fece un grande sbadiglio e si addormentò. Ma il calore del suo corpo incominciò, a poco a poco, a sciogliere il ghiaccio, che, con uno schianto, si ruppe. Quando si trovò nell'acqua, l'asino si destò allarmato; ma era troppo tardi, ed affogò.
C’era ‘na vota ‘ nu ciuccio, assunnato, troppo stanco per andarsi a cuccà, se sdraiàje sopra un lago ghiacciato, ‘e russànne se mettètte ‘a sunnà. ‘N’aucelluzzo n’avètte pietà ‘e o vulètte per forza scetà: - Stai durmenne sopra un ghiacciato, si se scioglie, tu muòre affucàte!Ma ‘o ciùccio è ciùccio si sa manco Cristo ‘o fa arragiunà: se tiràve ‘a còra ndè còsse, se chiurètte ‘o pertùse de’ rècchie ‘e addurmètte perfin’’e pellècchie. Mentre stéva ndò meglio do’ suònno, nfùnn’ò lago scennètte arrutànne, Se muvètte che cosce arrancànne ma nisciùne ‘o putètte salvà.
______________________
Aἲsopoς – μύθος VIII Lexicon necessarium: Assunnàte: piena, morta di sonno. A cuccà: a coricarsi; dall’it. coricare, per sincope Ed assim. Regressiva (rc=cc). Còsse: cosce, gambe; dall’acc. lat. coxa(m)
Fabula docet (‘ύò: I consigli che non si pagano non sono considerati .
16
( L’asino ed il passero ) C’era ‘na vota ‘nu ciuccio, assunnato, troppo stanco per andarsi a cuccà,
17
18
La lepre e la tartaruga
‘A A LEPRE E ‘A TARTARUGA
χὼὶò
(Mai sottovalutare il proprio avversario)
Un giorno, la lepre si vantava con gli altri animali: " Nessuno può battermi in velocità; sfido chiunque a correre come me". La tartaruga, con la sua solita calma, disse: "Io accetto la sfida ". La lepre scoppiò in una risata e la tartaruga replicò: "Non vantarti prima di aver vinto; accetti la gara? ". E così fu stabilito un percorso e dato il via. La lepre partì come un fulmine: quasi non si vedeva, tanto era già lontana. Poi si fermò e per mostrare il suo disprezzo verso la tartaruga si sdraiò a fare un sonnellino. La tartaruga, intanto, camminava con fatica, un passo dopo l'altro, e quando la lepre si svegliò, ma la vide vicina al traguardo. Allora si mise a correre con tutte le sue forze, ma ormai era troppo tardi per vincere la gara. La tartaruga sorridendo disse: "Non serve correre, bisogna partire per tempo" ____________________ Aἲsopo – μύθο CCCLII
‘Na giovane lepre, un po’ sbruffona, si vantava cu tutti ll’animali, che c’era ‘na sola verità: Nisciùne poteva batterla in velocità. -Sfido chiunque, dicette chella bronza, a correre veloce cùmme a me!La tartaruga, guardandola ndà l’uòcchie, ‘e dicette con calma: -Eccomi qua, ti sfido io, murzélle ’e baccalà!Chella festòsa scoppiò in una risata e ‘a tartaruga replicò ‘ncazzàta: - Tu ‘nu cunùsce l’articolo quinto, non ci si vanta se prima nun hai vinto! E cominciàje la gara alquanto strana: ‘A lepre assatanata ca scappava e ’a povera tartaruga ch’arrancava. Ma, a un tratto, la lepre si fermàje e, per umiliarla, s’addormentàje. Quando si svegliò fu la sorpresa, provò sgomento nel cuore e dìnt’’o sguardo: la tartaruga era già ’o traguardo. - Non serve correre, dicètte ll’animale, ma solo partir per tempo, chéste vale! -
Lexicon necessarium: Bronza: nel senso di presuntuosa. Murzella e baccalà: dispregiativo, cosa di poco conto. ‘Ncazzàta: incavolata, adirata. Chéste: questa cosa; dal lat. (ec)cu(m) + istu(d).
Fabula docet (‘ύò: Non serve correre, occorre partir per tempo.
19
Il leone ed il cinghiale
‘O O LIONE E ‘O CINGHIALE
( ὲὶά)
(Meglio ‘nu buon’accordo, ca ‘na causa vinta)
D'estate, quando il calore provoca la sete, un leone e un cinghiale andarono a dissetarsi ad una piccola fonte e cominciarono a litigare su chi dovesse dissetarsi per primo. La lite si trasformò in duello mortale. Ma ecco che, mentre si volgevano un momento per riprendere fiato, scorsero degli avvoltoi che stavano lì ad aspettare il primo che fosse caduto, per mangiarselo. A tal vista, ponendo fine al duello, dichiararono: - Meglio diventare amici che diventar pasto d’ avvoltoi e corvi -. __________________ Aἲsopo – μύθο CCIII
Un leone, murenne di sete, raggiunse, ruggendo, ‘na fonte. ‘Nu cinghiale, cu’ ll’uòcchie appannàte, aveva fatto ‘a stessa pensàta. Scuttàve assàje ‘o sòle ‘e miezziuòrne, ma o liòne nu’ vuleva nisciùne attuòrne. ‘O cinghiàle, cà nunn’èra fésse, voleva restà da sulo ‘o stésse. Se mettère, allora, a fa battaglia, facenne zumpà in aria prète e paglia. S’arrevutàje subito quel luogo: caréva mezzogiorno, mezzogiorno di fuoco. Ma proprio quando stévene pe’ s’accìre, vedèttero ‘o cielo chìno d’avvoltoi, ca vocc’aperta ‘e cu l’uòcchie stuorte aspettavene che almeno uno fosse muòrte. Capirono, allora, là per là, ch’erano due piézz’é baccalà: Assieme si diressero alla fonte e se facèttero ‘na grande bevuta alla faccia del mondo pennuto, che rimanette deluso e futtùto.
Lexicon necessarium: Uòcchie appannàte: occhi velati dal sudore e dall’afa. Zumpà: saltare, da zumpo; dal gr. Sympous (che ha i piedi unitiuniti) S’arrevutaje: si rivoluzionò la riva del fiume. Uòcchie stuòrte: impazienti, nell’attesa del cadavere. Curnùte: nel senso di scornato; dal lat. curnūtu-m.
Fabula docet (‘ύò: Una saggezza opportuna può salvare la vita.
20
‘O LIONE E ‘O TORO
Il leone ed il toro
ὲὶῠ
(L’intelligenza è meglio da’ forza)
Un leone da lungo tempo meditava di uccidere un forte toro. Un giorno decise di riuscire nel suo intento con l'astuzia.Gli fece sapere di aver catturato un montone e lo invitò al banchetto. Aveva preparato tutto per assalirlo, una volta seduto a tavola il toro andò all'appuntamento: vide molte pentole, lunghi spiedi, ma di montone nessuna traccia. Allora, senza dire una parola, se ne andò. Il leone lo richiamò e gli chiese il motivo del suo comportamento, visto che non gli era stato fatto nessun affronto. E il toro rispose: - Ho una buona ragione per andarmene: vedo tutto pronto per cucinare non un montone, ma un toro. __________________ Aἲsopo – μύθο CCXI
‘Nu lione troppo determinato a sbrana’ ’nu toro smaliziato, decidette do’ fotte con l’astuzia. ‘Nvitànnele a ‘nu banchetto, con arguzia, dicètte che gli offriva un bel montone, ch’ aveva catturato ‘ndò burròne. ‘O toro si recò all’appuntamento e, guardànnele, capètte in un momento, ca stève proprio lui sul menu e mentre chille andava su e giù, ascètte ‘e còrza, senza ‘na parola, cercanne ‘e scappa’, immediatamente, da chella casa e da chìllu fetente. -Ma dove vai? - E chiedètte ’o re leone, cercando do’acchiappa’ dìnte ‘o spuntòne, - Io non so’ fesso piezze ’e pruvulòne, t‘o vuò mètte scritto ‘ndà cervélla ca nu’ me friaràje dìnte ‘a padella!-
Lexicon necessarium: Capette: passato remoto, capì. Ascétte ‘e cόrza: uscì rapidamente. Friaràje: futuro semplice da frìje, friggerai; dal lat. Frìgere, con caduta di g e suono di transizione “ j”.
Fabula docet (‘ύò: L’istinto di sopravvivenza è superiore ad ogni astuzia“.
21
L’asino, la volpe ed il leone
‘O CIUCCIO, ‘A VOLPE E ‘O LIONE
(ʹΌὶὰὼὶὲ
(L’amicizia co’ putènte nu’ porte proprie a niente)
Un asino ed una volpe fecero amicizia e insieme se ne andarono a caccia. Incontrarono un leone dall'aria minacciosa. La volpe intuì il pericolo che stava correndo, gli si avvicinò e cominciò a parlargli: si impegnava a consegnargli l'asino, in cambio della sua salvezza. I leone le promise la libertà: così la volpe condusse l'asino verso una trappola e ce lo lasciò cadere. Il leone, appena vide che l'asino era nell'impossibilità di fuggire, assalì per primo la volpe e poi, con calma, ritornò ad occuparsi dell’animale che era caduto nella trappola. ___________________ Aἲsopo – μύθο CCLXX
‘Nu ciùccio e ‘na volpe, grandi amici, decisero di andare a caccia insieme. Trasèttere ndo’ bosco assai felici, cu’ ll’aria di chi nessuno teme. Ma proprio là, tra piante e cacciaggiòne, t’incontrano ‘nu càcchio di leone. ‘A volpe, ‘nfàme assai e un poco tòccola, vennètte l’asino per vita e libertà. Vuttàje l’amico ciuccio dìnte a ‘na trappola e s’apprestàje a muoversi di là. Ma ‘o leone, per un senso di giustizia, prima, mangiàje ‘a volpe a colazione e po’ pranzaje co’ ciucce, a profusione.
Lexicon necessarium: Trasettere: entrarono insieme. ‘nfame: infame; dal lat. in (negativo) + fama, cattiva reputazione. Vennètte: vendette, mise in vendita, alienò l’amico.
Fabula docet (‘ύò: Chi vuole il male degli altri il suo è già preparato.
22
(La lepre e la tartaruga) Ma, a un tratto, la lepre si fermà je e, per umiliarla, s’addormentà je.
23
24
‘O LUPO E ‘O PASTORE
Il lupo ed il pastore ύὶή
(‘O lupe perde ‘o pìle ma non ‘o vizio)
Un lupo andava al seguito di un gregge di pecore, senza far loro alcun male. Il pastore, sulle prime, lo teneva a bada come un nemico, e lo sorvegliava con estrema diffidenza. Ma quello ostinatamente lo seguiva, senza arrischiare il minimo tentativo di rapina. Così gradatamente il pastore si convinse di avere in lui un custode, piuttosto che un nemico intenzionato a danneggiarlo. Un giorno ebbe bisogno di recarsi in città, gli lasciò le pecore in custodia e partì tranquillo. Ma il lupo seppe cogliere l'occasione: si lanciò sul gregge e ne fece strage sbranandone una gran parte. Il pas tore, quando fu di ritorno e vide la rovina del suo gregge, esclamò: - Mi sta bene! Quale stupidità mi ha spinto ad affidare le pecore ad un lupo? Allo stesso modo, coloro che affidano i propri beni a persone avide naturalmente li perdono. ____________________ Aἲsopo – μύθο CCXXIX
‘O lupo ‘jéve appriésse ‘e pecurèlle, ma non faceva loro nesciùnu male. ‘E guardava, tanto ch’èrane belle , e ‘a pazienza è ‘na virtù ca vale. ‘O pastore s’abituàje a vederlo cumme ‘n’amico fedele, ‘nu protettore, e ci affidàje ‘e pecore a chìllu signòre. Ma cùmme ’na mattina jètte in città, ‘o lupo se mettètte ‘a faticà: ce scannàje ‘e pecore una ad una, p’accìre e po’ sfizie ‘e magnà, e ne lasciàje viva sulo qualcuna. Quànne turnàje ’o pastore, gridàje, parlànne a se stesso: No, nu’ so’ ‘nu pastore, ie so’ fess , che s’àdda jettà ndà ‘nu dirupo, ‘agge affidato ‘e pèchere ‘a ‘nu lupo!-
Lexicon necessarium: Appriésse: avv. e prep.; da ad-pressu(m), appresso. Scannàje: Scannò le pecore. Jettà: lanciarsi giù; dal lat jectāre, int. di jacěre.
Fabula docet (‘ύò: Coloro che affidano a persone avide i loro beni, naturalmente li perdono.
25
L’asino ed il leone
‘O O LIONE, ‘E ‘O CIUCCIO
Un asino sbruffone si vantava con gli altri animali, del proprio coraggio e della propria forza. Un giorno ricevette un’inaspettata proposta dal re della foresta di andare a caccia insieme. Di buon mattino, s’incamminarono verso una caverna, dove avevano visto rifugiarsi un gran numero di capre selvatiche. Il leone si ferrmò davanti all’entrata, con l'intento di catturare le prede appena sarebbero uscite dal rifugio, l'asino, invece, entrando nella grotta ed balzando in mezzo ad esse ragliava per spaventarle. Quando il leone le ebbe catturate quasi tutte, l’asino venne fuori e gli chiese se era stato un valoroso guerriero nella cacciata delle capre.. Quando l'asino uscì dalla grotta, trionfante esclamò: Rispose ridendo il leone: “Ma sai, gli rispose il leone, avrei avuto anche io paura di te se non avessi saputo che eri un asino!" Così, chi fa il fanfarone davanti a quelli che lo conoscono bene, si guadagna giustamente le beffe. ______________________ Aἲsopo – μύθο CCVIII
‘Nu ciuccio, millantatore e un po’ buffone, vantava la sua forza e ’o curaggio. Un leone, ca era di passaggio, gli chiese ’e fa ’na sucietà, e jère a caccia là pe’ llà. Quando arrivajene davanti a ’na caverna, L’asino currette dìnte cumm’ ’o fesso Mént’ ‘o liòne se fermàje all’ingresso. Spaventate de’ ragli e do’ rrevuòto ‘e crapre, che là s’erano annaccuvàte, currère ‘a fòre tutte ‘ntribulàte e do’ lione furono catturate. Dòppe tanta fatica, l’asinello jètte a bruca’ l’ erba da scemetto, e ‘o liòne, chiuttòsto cattivello, si strafocàje ‘e crapre in un banchetto.
(Si si’ fesse, nu’ te chiammà baròne)
έὶὄ
Lexicon necessarium: Arrivàjene: arrivarono; denom. dal latinismo, ad - ripare: giungere a riva. Annaccuvàte: da annaccuvà, ripararare. Revuòto: chiasso, rivolta; dal lat. revolvere. Strafucàje: divorare; da (e)xtra +focare (den. da fauces).
Fabula docet (‘ύò: Chi vanta meriti che non ha si guadagna le beffe.
26
La fortuna del cavallo
‘A FURTUNA DO’ CAVALLO
(ἵππο ὶ ὄνο)
(Chi tròppe s’annaréa care e fa ‘a botta)
Un giorno un cavallo, ricco d'ornamenti, venne incontro a un asino che, stanco e carico com'era, tardò a dargli la via. " Avrei una gran voglia - disse - di fracassarti a calci ".L'asino non rispose: e con un gemito chiamò testimoni gli dei. Passò qualche tempo. Il cavallo durante una corsa, azzoppò e fu mandato a servire in campagna. Appena l'asino lo vide tutto carico di letame: " Ricordi domandò - che boria e che pompa? Ah? E che n'hai avuto? Eccoti ridotto alla miseria che prima spregiavi ". ____________________ Aἲsopoς – μύθος CCXX
‘Nu juòrno, ’nu cavallo ricco d’urnamenti trova ‘nu ciuccio stanco ed accasciato , ca, carico cumm’era, tra ‘e turmenti, pe’ nu viottolo stritte ed infossato tardaje a se scanza’ ‘nfàccia a ‘nu mure - Ie te scassasse ‘a faccia, te lo giuro, fracassànnete, a càvece, capa e recchie -. ‘O povero animale nu’ rispose e continuàje a fare le sue cose. Passàje ‘o tiempo ed avvenne che l’equino durante una corsa si azzoppò. Gli tolsero ornamenti, al poverino e càrreche ‘e letàmme trasportò: -Dov’è la boria ?, gli dicètte ‘o ciuccio, mo’, tu si’ tale e quale a me : ’na mèrda sécca ca ’nu vale niente, mànc’ ‘o letàmme ca sta arrète a te-.
Lexicon necessarium: Urnamiente: ornamenti. Càrreche ‘e letàmme: carico di letame. Arrète a te: dietro di te. Ciuccio: per asino e ignorante.
Fabula docet (‘ύò: Nulla è stabile a questo mondo, massimamente gli agi e gli onori.
27
Il cane e la lepre
‘O O CANE E ‘A LEPRE
Un cane da caccia avea catturato una lepre. Dopo ogni morso infertole, guardandola in viso, la baciava leccandola. - Ma che cavolo mi baci, se proprio ora mi hai morso?Questa favola e scritta appositamente per coloro che avanti si sorridono e dietro ti ingannano. Aἲsopoς – μύθος CLXXXII
‘Nu cane ‘e caccia ’na lepre aveve pigliàte e doppe ogni mùzzeche chiavàte, guardànnele ‘ndà fàccia, ‘e faceve ‘na lleccàta. ‘O povere animale, sconcertato, ‘e dicètte:- Si scème o si’ ‘mbranàte? Pecché mme vase, si mo’ m’hai muzzecàte? ‘Sta fàvele è scritta appòste pe’ chì ‘annànze te ride e ‘a rète te mette ‘a suppòste.
(Chi troppe t’allìsce te vo’ fotte)
(Kύίό
Lexicon necessarium: ‘Muzzeche: morso; Chiavate: dato, appioppato. Muzzecate: morso; da muzzecà, dal latino morsicare. Te mette ‘a supposte: ti colpisce alle spalle, a tradimento.
Fabula docet (‘ύò: Nulla è come appare: il sorriso può nascondere l’inganno e l’ipocrisia.
28
Un Pescatore batteva l’acqua
NU PISCATORE CA VATTEVA L’ACQUA
(Ndà ll’acqua tròvele se pesca meglio)
Un pescatore pescava in un fiume. Dopo aver teso le reti e sbarrato la corrente dall’una all’altra riva, batteva l’acqua con una pietra legata a una funicella, perché i pesci, fuggendo all’impazzata, andassero ad impigliarsi tra le maglie. Vedendolo intento a quest’operazione, uno degli abitanti del luogo si mise a rimproverarlo perché insudiciava il fiume e rendeva loro impossibile di bere un po’ d’acqua limpida. E quello rispose: "Ma se non intorbido così l’acqua, a me non resta che morir di fame". Così anche negli Stati, per i demagoghi gli affari vanno bene specialmente quando essi son riusciti a seminare il disordine nel loro paese. Aἲsopoς – μύθος XXVII
‘Nu piscatore, prìmme stennette ‘a rézz e po’ vattètte l’acqua cu ‘na pret p’acchiappa’ e pisce ca fuiévene annanz’e a rèt. - Che cazz faie !E dicètte a ggènte - Ma tu si proprie ‘n’omme malamente: si ce mbriàche l’acque e ‘a fai fetènt, cumme po’ béve tutta chesta ggènt? – -Ma si ‘a lascio limpida, amico mio, tu liéve a sete, ma more e famme ìe…Sta favulélle è scritta pe’ politici, ca fanne l’acqua trùvele pe’ piscà meglie, ma nu’ so calamàre e nu’ so treglie.
Lexicon necessarium: e Stennètte a rezz : stese la rete. e Vattètte l’acqua cu ‘na prèt : batté l’acqua con una pietra. e Fujévene ‘annànz’e a rèt : scappavano avanti ed indietro. e ‘Mbiàche l’acqua e ‘a fai fetènt :intorbidi l’acqua e la rendi imbevibile e Me mmòre ‘e famm ìe:io muoio di fame. Trùvele:torbida, dall’acc. lat. turbidu-m.
________________________ FAἲsopoς abula doc–etμύθος (‘ύCCXXI ò: Spesso, la politica si avvale del torbido per condurre in porto i propri affari (nihil sub sole novum!).
29
Il contadino ed il serpente
‘O CONTADINO E ‘O SERPENTE RICCHIONE
(όὶὄὑὸύώ
( Chi nasce tunno nu’ mmòre quadro)
‘Nu juorno, dint’o mese di febbràio, ‘o ciéle era scuro e faceva friddo assàje, sott’a ‘na via, miézz’assideràte nu serpentièlle se ne stev’atturcigliàte. Avennene pietà, ‘nu contadino ‘ò pigliàje e so’mettette ‘mpiétte. Senza riconoscenza, l’assassino ‘o muzzecàje quasi pe’ dispiétte. Murènne, le dicètte ‘o pover’òmme: - E’ jùst’accussì, ha’ fatte bbuòne, aggje avute pietà ‘e ‘nu ricchiòne!‘Sta favola è scritta pe te fa ‘mparà ca ‘o fetènte nisciuno ‘o po’ cagnà.
Un contadino, d’inverno, trovò un serpente mezzo morto dal freddo; impietosito, lo raccolse e se lo pose in seno. Ma quello, non appena il calore ebbe risvegliato il suo istinto, uccise con un morso il suo benefattore. Quest’ultimo, morendo, diceva: - Me lo merito, perché ho avuto compassione di un malvagio -. Questa favola mostra come nemmeno i più grandi benefici riescano a convertire i malvagi. _______________________ Aίsopoς – μύθος LXXXII
Lexicon necessarium: Dispiétte: dispetto, dal lat.despectu(m). Muzzecaje: morse, dal lat. Morsicare, frequentativo di morsum. E’ jùst’accussì: è giusto così; dal lat. Ita iustu-m est Ricchione: omosessuale, dal greco ἐorchipédes= dai testicoli strozzati) fetente: sporco, cattivo, delinquente, dal lat. foetēre. Cagnà: cambiare.
Fabula docet (‘ύò: Nemmeno i più grandi benefici riescano a convertire i malvagi.
30
(La gallina dalle uova d’oro) C’era ‘na gallinella eccezionale che te faceva ‘n’uovo sulo ‘o juòrno
31
32
‘O VOJO E ‘A VITELLA
La giovenca ed il bue ( άὶῠ
(L’ozio è ‘a causa ‘e tutt’’e male)
Un giovenca guardava un bue al lavoro Reeclochcio e:mopreiaccnhgie e.va per le sue fatiche. Ma quando giunse la festa, al bue sciolsero il giogo; la giovenca, invece, la presero per immolarla. Sorrise il bue vedendola e le disse: - Per questo, o giovenca, ti lasciavano oziare, perché dovevano sacrificarti presto. La favola dimostra che i pericoli incombono su chi sta in ozio. _________________ Aἲsopoς – μύθος XCII
‘Nu voje faticave notte e juorno, senza riposo e senza risparmiarse, passando annànze a ‘na vitella, ‘o surrideva cùmme si ‘o cuffiàsse. Passàje ‘o tienpe e fu sempe ‘o stesse: ‘O vojo, cu’ paciénza, faticave e ‘a vitella, mmiézzo prato, se grattàve. Quànne venett’a festa, all’intrasàtte, ‘o vojo le sciuglière il giogo e ‘a giovenca, tutta preoccupata, presso l’altare la portarono attaccata. Dicette o vojo alla cara amica: - Tu fino a mò t’arrepusate ‘a sguessa, e mò ‘ai da murì, cumm’a ‘na fessa!Sta favulella ha un gran significato: si nu’ fatiche si nu scurnacchiàte.
Lexicon necessarium: Cuffiàsse: prendesse in giro, canzonasse. Paciénza: pazienza; dall’acc. lat. patientia-m. All’intrasàtte: all’improvviso; dall’acc. lat. in transactu-m. Sciugljère ‘o giogo: nap. Sciuglièttere, pop. da sciogliere. T’arrepusate: ti sei riposato. Sguessa: parti intime.
Fabula docet (‘ύò: Non bisogna fidarsi di coloro che ti offrono gratuitamente agiatezza.
33
DIOGENE E L’OMME CO’ MELONE
Diogene ed il calvo
(Chi semina spine n’adda i senza scarpe)
( Ὀέ ὶὁ ό
‘Nu bellu juòrne, a mmènte che parlava, Diogene, filosofo ch’é palle, ‘e scucculàje ‘a fava n’omme senza capìlle. - Che vvuò, che t’aggia dicere? – l’addumandàje chiattìlle, - T’avessa ricambià cu ‘na scifézza e arravugliàrte cumme ‘a ‘na munnézza! Invece, ascoltami, o lurido mandrillo, Te voglio fa ‘n’elògio a ‘sti capìlle, ch’hanne lasciàte, già da tempo, a razzo, tutto lo spazio e chésta capa ‘e cazzo.
Una volta Diogene, il filosofo cinico, fu insultato da un tale che era calvo. E lui:- Che io ricorra agli ninsulti? Oibò! Io voglio invece fare un elogio a quei capelli che se ne sono andati da una testa così malvagia. ____________________ Aἲsopoς – μύθος CXVII
Lexicon necessarium: ‘A mmente che parlava: mentre parlava. ‘E scucculàje ‘a fava: lo infastidì ripetutamente. L’addumandàje chiattìlle: a bruciapelo. T’avessa ricambià cu ‘na schifezza: dovrei ricambiare la tua cafonaggine. Arravugliarte cumm’a ‘na munnézza: e farti fare una Gran brutta figura. Chésta capa ‘e cazzo: testa pelata e da stolto.
______________________ Aἲsopoς – μύθος CXXV Fabula docet (‘ύò: Spesso, l’ironia ben fatta è più efficace di un sanguigno turpiloquio.
34
A CURNACCHIA E ‘A BROCCA
La cornacchia e la brocca
(‘E difficoltà attivano l’ingegno)
(Ἡ ώὶἡά
Una cornacchia, mezza morta di sete, trovò una brocca che una volta era stata piena d'acqua. Ma quando vi infilò il becco si accorse che vi era rimasto soltanto un po' d'acqua sul fondo. Provò e riprovò, ma inutilmente, ed alla fine fu presa dalla disperazione. Poi, le venne un'idea e volle provare subito. Prese un sasso e lo gettò nella brocca ed uno per volta ne gettò dentro diversi, fino a che l'acqua non cominciò a salire Allora ne gettò altri e riuscì così a bere e a salvarsi la vita. Morale della favola: a poco a poco si arriva a tutto. ______________________ Aἲsopoς – μύθος CXXIV Lexicon necessarium: Cannaròne: gola; da canna, con suff. accr. e “r” di raccordo. Guccélla: piccola goccia Bocca strettulélla: imboccatura angusta. Non ci arrivava per la zucàta: non riusciva a bere. ‘Na penzàta: ebbe un’idea.
Fabula docet (‘ύò: Con ingegno e pazienza si superano tutti gli ostacoli.
____________________ Aἲsopoς – μύθος CCXXIV
35
Una cornacchia che teneva sete, tanto che l’abbruciàva ‘o cannaròne, trovò ‘na brocca ch’era stata chiéna, pensando: -Mo’ risolvo la questione!Ma d’acqua ce n’era sule ‘na guccélla, sotto la brocca vecchia e abbandonata, ‘a vocca era strettulélla e il becco nun ci arrivava, p’’a zucàta. Poi, finalmente, avètte ‘na penzàta: riempì di pietre il recipiente, e bevètte l’acqua, ch’era sagliùta, facilmente. Ed ecco dimostrato per bene: che aguzza l’ingegno chi ‘e mezzi nu’ ttène.
La rana ed il leone
O LIONE E A GRANÓGNA
(έὶά
(Si gruòsse te fai, peccerìlle addiviénte)
Un leone sentì una rana Che gracidava forte in uno stagno. Pensando che l’ animale Fosse di grandi dimensioni, molto attese, finché non riusci a vederlo. Quando la ranocchia apparve ( disse ): - Eri tu che gridavi così forte?e la schiacciò lasciandola lì morta.
Nu liòne, camminànne ‘ndà campagna, sentètte rimbombà, dint’a ‘nu stagno, ‘a voce ‘e ‘na granògna. Pensànne ca l‟animale fosse gruòsse, cumme ’a ‘sta voce c’attuòrne se sentéva, aspettàie tante finché nunn’’a vedèva. Quanne ‘a vedette ‘nfàccia, che gracidava cu chèlla voce racchia, - Tu iére ch’alluccàve accussì forte, ‘nda sfaccìmma do’ sangh’e chitammuòrte? – e ‘a schiattàje, lasciannele là morta.
_________________ Aἲsopoς – μύθος CCI Lexicon necessarium: Granogna: rana; deverbale, dal verbo latino ranuljare. Alluccàve assaje assaje: gracidava fortissimo. Vicino a chìllu fuòsse: vicino a quel fosso e Jér tu ch’alluccàve: eri ti che facevi tanto rumore.
E ‘a schiattàje: e la schiacciò; da “s” intensiva + chiatto.
Fabula docet (‘ύò: La modestia premia, l’intemperanza uccide.
36
Il debitore ateniese
‘O DEBITORE ATENIESE
(Ἀὶέ)
(‘O bruòglie è l’anema do’ cummèrce)
Ad Atene, un debitore, a cui era stato ingiunto dal creditore di pagare il suo debito, sulle prime lo pregò di concedergli una dilazione, dichiarando che si trovava in cattive acque. Non riuscì però a convincerlo; e allora gli portò una scrofa, l’unica che possedeva, e, in sua presenza, la mise in vendita. Gli si avvicinò un compratore, chiedendo se quella era una scrofa che figliava, e lui l’assicurò che non solo figliava, ma presentava anche una particolarità straordinaria: alla stagione dei Misteri figliava femmine, e per le Panatenee, maschi. A questo discorso, l’ascoltatore rimase a bocca aperta. Ma il creditore soggiunse: " E perché ti meravigli? Questa è una scrofa che, per le Dionisiache, ti figlia anche dei Capretti" Questa favola ci mostra come molti, per il proprio interesse, giurino senza esitare le più inverosimili falsità. _____________________ Aἲsopoς – μύθος X
- Nun te posso pavà, nu’ tènghe niénte, aspetta ‘n’atu ppòco fàmme cuntènte! – - Ma tu si’ pazze, mo’ m’ha rùtte ‘e tazze, si nù me pave mo’ ‘nda stu mumènte, cu nu’ cazzòtte te spacche faccia ’e diènte! – ‘O puverièlle, allora, s’aizàie E chélle ca teneve ce purtàje: ‘na purcelluzze bella tutta quanta: - Mo’ ‘a vennìmme e statti bbuòne ‘e sante !- Chèsta fa femmene ‘ndà stagiòne de’ mistèri…‘O creditore ch’aveva l’interesse, dicètte ‘o compratore: - Nu’ fa ‘o fesse, accattatélle ‘a scrofa, cosa aspetti? ‘Nda festa ‘e Dionìsio figlia capretti! -
Lexicon necessarium: Cràpe: capra, dal lat. capra(m). ‘Nzalàta: insalata, miscuglio, mortificazione di individualità. Cupià: copiare eguagliare.
Fabula docet (‘ύò: La propaganda ingannenole è alla base di ogni commercio.
37
La volpe con la pancia piena
‘A A VOLPE ABBUFFATA
(Ἡ ὰὼἐὶἡέ
(Chi arragiòna c’’a panza nù tène speranza. )
Una volpe affamata, vedendo, nel cavo di una quercia, del pane e della carne lasciativi da qualche pastore, vi entrò dentro e li mangiò. Ma quando ebbe la pancia piena, non riuscì più a venir fuori, e prese a sospirare e a gemere. Un’altra volpe che passava a caso di là, udì i suoi lamenti e le si avvicinò, chiedendogliene il motivo. Quando seppe l’accaduto: “E tu resta lì", le disse, “finché non sarai ritornata com’eri quando c’entrasti: così ne uscirai facilmente . Questa favola mostra che il tempo risolve le difficoltà. ___________________ Aἲsopoς – μύθος XXX
‘Na volpe, ca teneva famme assaie, truvàie pane e carne ‘ndà ‘na quercia. Senza pensà e pe’ risolv’o guaie, cumme ‘a ‘na fésse, se rignette ‘a mèrce. Ma quanne avett’ascì a’ panza chiéna, era si’ grossa ca paréva prèna. Se disperàie ‘a povera criatura, tutt’angustiata ‘ndà pertòsa scura, e suspirànne già pensave ‘a morte, ca l’aveve purtate ‘a mala sciòrte. Ma ‘n’ata volpe ca passave ‘a llà, chiammànnele semènte e baccalà, - Aspette ‘a digerì, ‘e dicette, ‘oi fessa, ‘e ghièsce do’ pertùse, ambrèsse, ambrèsse!-
Lexicon necessarium: Se rignètte ‘a merce: si riempì la pancia. Ascì ca’ panza chiéna: quando provò ad uscire con la pancia piena. Pareva prèna: sembrava incinta. ‘Ndà pertòsa scura: nel buco oscuro. ‘A mala sciòrta: la cattiva sorte. Semente e baccalà: sempliciotta ed ingenua.
Fabula docet (‘ύò: La saggezza ha le sue regole e non è di tutti.
38
La capra ed il capraio
‘O O CRAPARO SPEZZACORNE
ἲὶἀό
(Chi sbaglie àdda pagà)
‘Nu crapàro purtaje ‘e cràpe dìnt’a stalla e una sola rimanètte arrète, pe se magnà, all’urdemo mumente, ‘nu ciuffo d’èvera sapurìte veramente. Stànco ‘o pastòre nce tiràje ‘na prèta e cu’ ‘sta botta le spezzàje ‘na corna. -Nu’ dice niénte, implorò alla crapa, si no ‘o padrone me la taglia ‘a capa!-Tu si’ ‘nu pazze, è rispunnette ‘a crapa, ‘o fatte è fatto, nun t’ha ‘mparàte a scola? ‘E ccòrne, da sempe, parlene da sole!Quanne la colpa è accussì evidente, cumme fai a evità l’inculprendènte?
Un capraio richiamava le capre nella stalla. Una di esse restò indietro a brucare qualcosa di buono e il pastore le tirò un sasso, che la colpì e le ruppe un corno. L'uomo si mise allora a scongiurare la capra di non riferirlo al padrone, ma quella replicò: - Anche se io starò zitta,come potrò tener nascosto l’accaduto? E' visibile a tutti che il mio corno è spezzato!". Quando la colpa è evidente, non è possibile, infatti, tenerla celata.
________________ Aἲsopoς – μύθος XV
Lexicon necessarium: Craparo: capraio; dal lat. caprariu-m, con arius> aro (vedi vetràro) Rimanette arrète: rimase indietro. All’urdemo mumento: all’ultimo momento. Sapurito: saporito; dall’acc. latino sapore-m. Nce tiràje ‘na preta: gli tirò una pietra. L’inculprendente: la pena, la punizione.
Fabula docet (‘ύò: Quando la colpa è evidente, non è possibile tenerla celata.
39
AFRODITE E LA RACCHIA
La schiava brutta ed Afrodite
(Chi s’arricchisce illecitamente, nun s’adda sente baròne)
(Aὶἀύὶ ὶ
‘Nu patròne, nu poco cretino, aveva pigliàte ‘na brutta sbandata, pe’ ‘na schiava fetòsa e latrìna, tra ‘nu vase e ‘na mezza ‘nfurnàta. Fu accussì, ca per colpa do’ razzo chella racchia era sagliùta di mazzo e, coprendosi d’oro, ‘a mattina umiliàva ‘a padrona, la mappina. Sacrificanne ogni juòrno alla dea, ch’a rendeva cchiù bella ‘o patròne, dint’’o suònne Afrodite alla rea ‘e facette ‘nu ddìe e cazziatòne: - Nu’ capische, è dicette di botto, cumme fa chìllu fesse a te fotte!Chesta favula è scritta a mestière Pe’ ‘mbruglùne e pe’ tutt’’e fetiènte, ca se fregano oro e ricchezza, camminanne pe dint’a schifezza.
Un padrone aveva una relazione con una schiava brutta e di pessimo carattere. Prendendo oro, si adornava splendidamente e ingaggiava battaglia con la propria padrona; ma offriva continuamente sacrifici ad Afrodite e la pregava come quella che la rendeva bella. Ma la dea, essendo apparsa in sogno alla schiava, le disse di non renderle grazie perché la rendeva bella “ma anzi mi indigno e arrabbio contro quello che ti trova bella”. ( La favola insegna) che coloro che si arricchiscono attraverso azioni vergognose non devono inorgoglirsi, soprattutto se sono meschini e sgraziati. __________________ Aἲsopoς – μύθος XVIII
Lexicon necessarium: fetosa e latrina: brutta ed antipatica. Tra ‘nu vase e ‘na…: tra un bacio ed un amplesso . Sagliùta di mazzo: insuperbita, inorgoglita. Mappìna: spregevole, dal latino mappa-m. Cazziatone: rimprovero; deverbale, da mazzià. Cumme fa chillu fesse a…: dove trova il coraggio per giacere con te. Camminànne pe’…: si arricchiscono illecitamente.
Fabula docet (‘ύò: Coloro che si arricchiscono attraverso azioni vergognose non devono inorgoglirsi, a maggior ragione se sono meschini e sgraziati.
40
I due galli e l’aquila
E DDUI GALLI E L’AQUILA
(Ἀόύὶἀό
(‘A superbia s’avvia a cavallo e torna a ppère)
Ddui galle cumbattevene pe’ galline, pe chi l’avea muntà, dint’’o pullàro, uno vincètte e l’atu s’annaccuvàje pe’ chiagnere ‘o scuòrno ca pruvaje. Il gallo vincitore, ncòpp’’o muro, cantava sentènnese ‘o sicuro, ma ‘n’aquila l’artigliò ndà ‘nu mumente e so’ purtaje cumme a ‘na cosa ‘e niente. Il gallo vinto divenne vincitore e de’ galline divenne il copritore. Spesso l’orgoglio vène mortificato e l’umile risulta poi esaltato.
Due galli si battevano per questioni di...galline, e uno mise in fuga l'altro. Il vinto andò a nascondersi tra i cespugli, mentre il vincitore, levatosi a volo, s’issava su un alto muro, cantando a squarciagola. Ma tosto un'aquila gli piombò sopra e lo portò via. Così, quello che se ne stava nascosto nell'ombra potè, da allora in poi, coprire tranquillamente le sue galline. Questa favola mostra che Zeus si oppone agli orgogliosi e concede grazia agli umili. ________________ Aἲsopoς – μύθος XX Lexicon necessarium: L’atu s’annaccuvaje: l’altro si nascose . ‘O scuorno ca pruvaje: la vergogna che provò. ‘Ndà ‘nu mumente: in un momento.
Fabula docet (‘ύò:
L’umiltà premia ed è dei grandi; l’orgogliosa superbia è degli imbecilli.
41
La capra e l’asino
‘O CIUCCIO E A CRAPA ZOCCOLA
ἲὶ ὄνο)
(Chi vole ‘o male e ll’ate o suoie sta arrète ‘a porta)
Un tale teneva una capra e un asino. La capra, che era invidiosa dell'asino perché gli davano molto da mangiare, andava dicendogli che lo maltrattavano, ora facendogli girare la macina, ora caricandolo di pesi, e lo consigliava di fingersi epilettico e di lasciarsi cadere in un fosso, se voleva sottrarsi alle fatiche. L'asino le diede retta: si buttò giù e si ruppe le ossa. Allora il padrone chiamò il veterinario e gli chiese un rimedio. Questi ordinò che gli facessero un'infusione di polmone di capra. Così, per curare l'asino, uccisero la capra. _________________ Aἲsopoς – μύθος XVI
Lexicon necessarium: ‘Na crapa mappina: una capra cattiva. Ndà recchia: nell’orecchio. Quaccosa: qualcosa; fusione di qualche (in assimil. regressiva) +cosa, con apologia. T’arrepuòse: ti ripososi. Scrivatelle…ndà capa: mettiti bene in testa.
Fabula docet (‘ύò:
‘Un tizio teneva ddoje bestie: ‘nu ciuccio e ‘na crapa mappina, invidiosa sta piézze ‘e latrina pecché ‘o ciuccio aveva da mangià. E dicette ‘nu juorno nda’ recchia -Fa quaccòse, tu fatiche già troppo! Si te vutte ndò fuòsse e t’azzuòppe t’arrepuòse e po’ t’hanna curà! -. L’asinello, che si sa quant’è ciuccio, l’ascultaie rumpènnese ll’osse e lasciaje a salute ndò fuòsse. Si tu vuo’ risanà questa bestia, e dicette accorate ‘o dottore, scrivatelle chiaramente ndà capa, qua ci vuole un’infuso di capra. Fu così che la crapa fu uccisa per curare le ossa del ciuccio e ridargli ‘a salute in tal guisa.
Non sempre vanno accettati i consigli, massimamente quelli c he nascono dall’invidia.
42
PARTE SECONDA
43
44
Aesopus auctor quam materiam repperit, hanc ego polivi versibus senariis.Duplex libelli dos est: quod risum movet, et quod prudenti vitam consilio monet. Calumniari si quis autem voluerit, quod arbores loquantur, non tantum ferae, fictis iocari nos meminerit fabulis.
Phaedrus
Prologo Esopo l’ha ‘nventàte Ìe l’agge ripigliate, ‘nu pòche pe’ fa rìre ‘e ‘nu pòche pe’ fa penzà. No! Nu’ me criticàte si parle ‘st’animale, ‘o chill’àte, stamme ‘a pazzià, so’ racconti ‘nventàti. Ce rivulgìmme ‘a ggénte, un po’ alla buòna ‘e nu pòche malaménte, senza superbia e senza filosofia, indicànne sulamente: ‘a bbòna via.
45
46
Ranae ad Solem
‘E RANE E ‘O SOLE
Vicini furis celebres vidit nuptias Aesopus, et continuo narrare incipit. Uxorem quondam. Sol cum vellet ducere, clamorem ranae sustulere ad sidera. Convicio permotus Quadri Iuppiter causam querellae. Quaedam tum stagni incola: “Nunc' inquit 'omnes unus exurit lacus cogitque miseras arida sede emori. Quidnam futurum est si (ille) crearit liberos?“
Vedènne ‘nu mariuòlo ca se spusàve, Esopo sta favulella raccuntaje: Comme sapèttere ‘e rane che ’o sòle stéve pe’ se spusà tutt’’o munne facèttere arrevutà. Quando Giove sentètte ‘sta mmuìna, chiese ‘o mutìve ‘e tutto ‘stò casìno. ‘E puverèlle, scure ‘e ntribulàte, gli rispunnettere tutte preoccupàte: - Si ùnu sole a nuie ci assécca l’acqua ‘e dìnt’ò mùnne fa ‘nu parapìglia, che càcchie succede si chìste fa ‘e figlie?
________________________ Phaedrus – liber primus - VI
Traduzione dal vernacolo – Vedendo un ladro che contraeva matrimonio, esopo raccontò questa favola: come le
rane seppero che il sole era sul punto di prender moglie, fecero rivoltare il mondo intero. Quando Giove sentì tutto quel baccano, chiese il motivo di tanta animosità. Le poverette, allora, tristi ed adirate, gli risposero con preoccupazione:« Se un solo sole asciuga l’acqua del nostro pantano e crea problemi in tutto il mondo, cosa succederà, quando questi avrà dei figli?»
Lexicon necessarium: Arrevutà: misero a soqquadro ‘Ntribulàte: angustiate, come chi ha passato un guaio. Scure: di pessimo umore, adirate, contrariate.
47
Lupus et Gruis
‘O LUPE ‘E ‘A GRU
Qui pretium meriti ab improbis desiderat, bis peccat: primumquoniam Indignos adiuvat, impune abire deinde quia iam non potest. Os devoratum fauce cum haereret lupi, magno dolore victus coepit singulos inlicere pretio ut illud extraherent malum. Tandem persuasa est iureiurando gruis, gulae quae credens colli longitudinem periculosam fecit. Pro quo cum pactum flagitaret praemium, “Ingrata es' inquit ‘ ore quae nostro caput incolume abstuleris et mercedem postules”. ________________________ Phaedrus – liber primus - VII
Chi s’aspette riconoscenza da n’òmme senza pertinenza ha fatte due scemenze: ha aiutate ‘n’omme ‘e niènte e non se po’ libera’ senza lamiénte. Nu lupe, ca teneve ‘n’òsso ‘ngànne ‘e alluccàve, come un pazzo, po’dulore, prumettètte e fa ‘na statua d’oro a chi, con lui, se fosse adoperato e, in poco tempo, l’avesse liberato. ‘Na gru, ch’è ‘n’ animale curaggiùso se credètte, cumm’a fessa, ogni cose. Schiaffaie ‘o becco, a cape ‘e tutt’o cuolle nella bocca do lupo assatanato, e tiràje fore l’uosso incastrato. Quanne chiedett’ò premio: -Tu si ‘ngràta!‘e rispunnètte ‘o lupe, asciùtte, asciùtte, - Hai tirato ‘a capa fora? E chést’ è tutto!_______________________ Aesopus – liber primus - VIII
Traduzione dal vernacolo - Chi pretende riconoscenza da una persona da niente ha fatto due errori: ha aiutato uno che non meritava e ne deveve pure sopportare le conseguenze. Un lupo aveva un osso in gola e gridava come un pazzo per il dolore, promettendo di fare una statua d’oro a colui che l’avesse liberato. Una gru, animale coraggioso, diede credito ingen uamente alle parole del lupo e ficcandogli la testa in bocca, col becco rimosse l’osso che si era incastrato. Quando chiese il premio promesso, il lupo le rispose: - Sei proprio una ingrata, sei u8scita miracolosamente indesse dalla mia bocca e chiedi ancora un premio? Lexicon necessarium: ‘nganne: nella gola. Alluccave: emetteva grida di dolore. Schiaffaje: introdusse, infilò.
48
Ranae regem petierunt
‘E RANE VONNO ‘NU RRE ‘A A libertà era troppe bella: ognùno se faceva ‘a schifezzèlla ‘e invece ‘e se dà ‘na regolata gli Ateniesi facèttere ‘a frittàte: mettère ncàpe ‘a loro ‘nu ricchiòne, che in poco tempo ‘e facètte pecurùne. Quànne capèttere ‘o sbaglie, nu’ nce fu niénte ‘a fa’ ‘e sùle ‘sta favulélla è putette cunzulà: ‘E rane ca zumbavene nda’ palude ‘e vivevene in tutta libertà, dissero a Giove: chìste è ‘nu casìne dacci ‘nu rre’, ca ci adderìzza ‘e rìne. ‘O puverièlle se mettètte ‘a rire ‘e nce dètte ‘nu re senza sustanza, penzànne: chìste fanne confusione, tra libertà e rifondazione. Ma ‘e fèsse, ‘na vota ca capéttere ca ‘o re ‘o tenevene sòtte ‘o père, turnàjene ‘a dumandà nù rre ovère. Allora il padre degli dei si scocciò ‘e ‘nce facètte ‘nu mazze ‘a roccocò: ndà l’acqua ca era calma ‘e liscia, ‘nce schiaffai ‘na nera e lunga biscia. Fernètte ‘a pace e la serenità, a Giove, a ròppe, chiedettere pietà, ma chìlle ca ere ncazzellùse dicette: Vulìsteve ‘o cetrùle ‘e mo stateve accorte stu pertuse.
Cum Athenae florent aequis legibus, procax libertas civitatem miscuit et licentia solvit pristinum frenum. Hic, cum factionum partes conspiravissent, arcem tyrannus occupat Pysi-stratus. Cum Attici tristem servitutem flerent et gemere coepissent, Aesopus talem tum fabellam narravit: Ranae vagantes liberis paludibus, clamore magno regem petierunt a love, ut dissolutos mores vi compesceret. Peter deorum risit atque ranis dedit parvum tagillum, quod subito vadi motu sonoque pavidum genus terruit. Cum ranae mersae limo diutius iacerent, forte un tacite e stagno caput extollit et, cum exploraverit regem, cunctas evocat. Cum inquinavissent parvum tigillum omni contumelia, petierunt a Iove alium regem quoniam erat inutilis qui datus erat. Tum Iuppiter misit hydrum qui, dente aspero, ranas corripuit. Furtim igitur dant Mercurio mandata ad Iovem, ut adflictis succurrat. Tunc contra deus: " Quia noluistis vestrum tolerare, inquit, bonum, malum tolerate!. Vos quoque. O cives, Aesopus dixit, tyrannum sistinete, ne maius veniat malum”. _____________________ Faedrus – liber primus - II
Traduzione dal Vernacolo – La libertà era troppo bella, tanto che ognuno faceva i comodi suoi tranquillamente. Gli Ateniesi, invece di darsi una regolata, elessero loro capo un tiranno che, in breve tempo, li inquadrò e li mortificò con leggi ingiuste e severe. Ad Esopo non romase che raccontare questa favola: Le rane che vivevano in grande libertà chiesro a Giove un re severo, che mettesse un poco di ordine nella loro vita sociale. Giove, pensando che facessero una gran confusione tra il concetto di libertà e quello di dittatura, diede loro un re travicello. Ma le rane, avendo compreso che quel re non era tale, ritornarono da Giove, per chiedere un vero re. Il dio si alterò e mese nello stagno un serpente lungo e nero, che incominciò a divorarle. Allora tornarono dal dio per chiedere pietà, ma fu tutto inutile. Lexicon necessarium: schifezzèlla: irregolarità, azioncella disonesta. mazze a roccoco’: le punì ben bene. ‘ncazzelluse: facilmente soggetto all’ira.
49
Vulpes et corvus
‘O CORVO BABBIONE
Qui se laudari gaudet verbis subdolis, fere dat poenas turpi poenitentia. Cum de fenestra corvus raptum caseum comesse vellet, celsa residens arbore, vulpes hunc vidit, deinde sic coepit loqui: «O qui tuarum, corve, pennarum est nitor! Quantum decoris corpore et vultu geris! Si vocem haberes, nulla prior ales foret». At ille stultus, dum vult vocem ostendere, emisit ore caseum, quem celeriter dolosa vulpes avidis rapuit dentibus. Tum demum ingemuit corvi deceptus stupor. Hac re probatur, quantum ingenium polleat; virtute simper praevalet sapientia. _________________________ Phaedrus – liber primus - XIII
‘O corvo, ca strignéva del formaggio, se ne stava appollaiato sopra un faggio, aspettànne ‘o mumènte ‘e strafucà. ‘A volpe, vedendolo ‘a luntàne, s’avvicinave ‘e se facètte sotte pensando: - Chìllu piézz’e furmàgge ìe m’àggia fòtte! -Quanto sei bello, accuminciàie a di’, tu si ‘o re ‘e tutti gli animali ‘e si tenisse ‘a vòce, avresti il comando ‘e tutte l’auciélle! Ch’illu fesse se sentètte bèlle ed aprì la bocca pe’ gracchià, ma perdètte ‘o furmagge ca vuléve mangià. ‘A volpe afferrò la preda ‘e le dicètte: -‘A vòce tu ‘a tenìve, ère ‘o cerviélle ca te mancava! ‘O corvo chiagneva cumme ‘o fesse, senza capacità, nun c’è successo.
Traduzione dal vernacolo – La volpe ed il corvo - Il corvo aveva come preda un pezzo di formaggio e stava
appollaiato su un albero alto, mentre lo reggeva. Ma quando lo vide, una volpe con astuzia cercava di adulare il corvo : “Cos’è questo? – diceva – O corvo, ti distingui per l’armoniosa proporzione del tuo corpo e porti un colore che sta bene al signore degli uccelli; se poi avessi anche la voce avresti l’intero comando sui volatili ”. Ma disse queste cose per astuzia. Quello, ingannato, lasciato cadere il formaggio si mise a gracchiare a gran forza, causando la perdita della preda per l’ostentazione della voce. Allora la volpe, afferratala, disse: “ O corvo, avevi la voce, ma ti mancava la mente ”
Lexicon necessarium: strafucà: mangiare con voracità. facette sotte: urinò per la paura. Fesse: più che sciocco, ingenuo ed allocco.
50
Vulpes et Ciconia
‘A VOLPE E ‘A CICOGNA
Nulli nocendum, si quis vero laeserit, multandum simili iure fabella monet. Ad cenam vulpes dicitur ciconiam prior invitasse, et liquidam in patulo marmore posuisse sorbitionem, quam nullo modo gustare esuriens potuerit ciconia. Quae, vulpem cum revocasset, intrito cibo plenam lagonam posuit; huic rostrum inserens satiatur ipsa et torquet convivam fame. Quae cum lagonae collum frustra lamberet, peregrinam sic locutam volucrem accepimus: 'Sua quisque exempla debet aequo animo pati'. __________________________ Phoedrus – liber primus - XXVI
Chi vò o male ‘e ll’ate, ‘o suòie sta arrète ‘a porte, c’è sempre la vendetta della sorte. ‘A volpe ‘nvitò ‘a pranzo ‘na cicogna ‘e ce mettétte annànze nu piàtte ‘e bròde. Pe’ quanta sfuòrze facètte ‘a puverèlle, nu’ne zucàie manche ‘na lacrimèlle. Quànne cagnàve ‘a scèna e fu essa ‘nvitàta, ‘a volpe rimanètte ncastagnàta: niénte pigliàje ‘e chèlle meravìglie, nfilàte ndò cuòlle ‘e na buttìglie. Disse ‘a cicògna all’ospite sgradita: -Ognùno àdda cògliere, rassegnato, tutte chélle che prima ha seminato: Tu me mettìste ‘o bròdo ‘a veverùlo, ìe, ca’ buttìglia, t’àgge mìse ncùle!-
Traduzione dal vernacolo – Chi vuole il male degli altri, il suo è gia in arrivo esiste una sorta di rivalsa, nella dinamica delle cose. La volpe invitò a pranzo una cicogna e le mise avanti un piatto di brodo. Quest’ultima, nonostate gli sforzi noltevoli, non riuscì a prenderne una sola goccia. Quando fy la volpe ad essere invitata dalla cicogna, ebbe ricambiata la cortesia: non riuscì a recuperare nemmeno un pezzetto, del pesce infilato nel collo di una bottiglia. Allora, disse la cicogna all’ospite sgradita: - Ognuno ha quel che si merita: tu offristi a me del brodo ed io, grazie all’espediente della bottiglia, ti ho fregato!-
Lexicon necessarium: zucaje: succhiò ‘ncastagnate: incastrato, preso. Veverule: liquida, da bere a iòsa. T’àgge mise ncùle: ti ho fregato.
51
Cervus ad Fontem
‘O CERVE A‘ SURGENTE
Laudatis utiliora quae contempseris, saepe inveniri testis haec narratio est. Ad fontem cervus, cum bibisset, restitit, et in liquore vidit effigiem suam. Ibi dum ramosa mirans laudat cornua crurumque nimiam tenuitatem vituperat, venantum subito vocibus conterritus, per campum fugere coepit, et cursu levi canes elusit. Silva tum excepit ferum; in qua retentis impeditus cornibus lacerari coepit morsibus saevis canum . Tum, moriens, edidisse vocem hanc dicitur: “ O me infelicem, qui nunc demum intellego, utilia mihi quam fuerint quae despexeram, et, quae laudaram, quantum luctus habuerint”. __________________________ Phaedrus – Liber primus - XII
‘E cose inutili consideràmme spesso e ‘e ccose bbone ‘e vuttamme dìnt’ò cèsse. Un cervo che beveva ndà ‘na fonte, guardàie ‘e corne soie dìnt’a ll’acqua, pensò che erano corna troppe belle, gròsse, robuste, altro che curnicèlle! Guardànne sotte ‘a pànze, l’animale, vedètte ‘e cussezzòlle fatte male: -So tròppe sécche, pensò, sono stampélle ca fanno sfigurà ‘sti ccòrne belle. A chìllu pùnte sentètte ‘e cacciatùre, ‘e scappàie velòce à puverèlle ch’é còsse secche se truvàie bòne erano giùste, ate ca stampèlle! Ma proprie quànne stéve pe’ scampà, mpigliàve ch’’e corne dìnt’è rame è ‘e cane s’ò futtère, a bràne ‘a bràne.
Traduzione dal vernacolo – Spesso consideriamo importanti le cose inutili, mentre quelli utili le treniamo in poco conto. Un cervo, che beveva ad una fonte, ebbe modo di ammirare nello specchio dell’acqua le sue corna maestose. Al contrario, guardando sotto le sue gambe magre, quasi se ne vergognò. In quell’istante, fu costretto a scappare per l’arrivo improvviso dei cacciatori E quelle gambe, così snelle, gli furono di grande aiuto per districarsi nella boscaglia. Quando sembrava che gliel’avesse fatta, furono proprio le sue corna a tradirlo, impigliandosi tra i rami. Fu così che, raggiunto dai cani, perse la vita.
Lexicon necessarium: Cussezzolle: gambe esili. Curnicelle: corna di piccole dimensioni. Futtère: divorarono.
52
Lupus et agnus
‘0 LUPO E L’AGNELLO
Ad rivum eundem lupus et agnus venerant, siti compulsi. Superior stabat lupus, longeque inferior agnus. Tunc fauce improba latro incitatus iurgii causam intulit; 'Cur' inquit 'turbulentam fecisti mihi aquam bibenti?' Laniger contra timens “Qui possum, quaeso, facere quod quereris, lupe? A te decurrit ad meos haustus liquor”. Repulsus ille veritatis viribus “Ante hos sex menses male' ait 'dixisti mihi'. Respondit agnus 'Equidem natus non eram”. 'Pater hercle tuus' ille inquit 'male dixit mihi; atque ita correptum l acerat iniusta nece. Haec propter illos scripta est homines fabula qui fictis causis innocentes opprimunt. ______________________ Faedrus – Liber primus - 1
‘O lupe ‘e l’agnèlle, siccòme tenévene ‘na ddìe ‘e séte, venèrene ‘a sciùmme pe’ se fa ‘na vevutèlla. ‘O lupe vevéve ‘a coppe ‘e l’agnelle, ‘nu poco cchiù luntàne, vevève ‘a sotte. ‘O lupe, ca s’ ’o vuléve fòtte: - Tu mi sporchi l’acqua ‘e dicette ‘e bòtte. - Cùmme t’ ’a sporche, ricètte ‘o puveriélle, si scòrre da té, a mé ‘stu fiumiciélle?-‘A frésa ‘e màmmeta, siénte buone ‘a me, ‘e ricètte ‘o lupe, sei mise fa, parlaste male ‘e me!-‘A chìllu tiémpe, nunn’ero ancora nato – -Nu’ me ne fòtte, t’acchiàppe ‘e si sbranàto!‘E nce penza’, chillu curnùte, l’afferràje ‘e so’ truvàje futtùte. Stu fàtte è scritte sule pe’ fetiénte, ca, senza na’ ragione pertinente, se mèttene a ròmpere ‘e tazze ‘a povera ggente.
Traduz. dal vernacolo: Il lupo e l’agnello che avevano una gran sete, si portarono nei pressi di un fiume, per fare una
bella bevuta. Il lupo beveva a monte e l’agnello, un po’ più distante, beveva più giù. Il lupo che aveva deciso di divorarlo: -Tu mi sporchi lò’acqua!- Gli disse ad un tratto. -Come te la sporco - rispose il poveretto - se il fiume scorre da te a me?- - Per tua madre, ascoltami bene, disse il lupo, sei mesi fa, parlasti male di me!- - A quel tempo non ero ancora nato!- -on m’importa, ti mangio ugualmente…- E senza pensarci due volte, se lo trovò divorato. Questa favola e scritta per coloro che senza alcun motivo opprimono i più deboli. Lexicon necessarium: S’ ‘o vuléve fotte: aveva l’intenzione di divorarlo. Vevutella: piacevole e dissetante bevuta. Acchiappe: afferrare.
53
Vacca et capella et ovis et leo
‘O LIONE ACCHIAPPATUTTO
Numquam est fidelis cum potente societas: testatur haec fabella propositum meum. Vacca et capella et patiens ovis iniuriae socii fuere cum leone in saltibus. Hi cum cepissent cervum vasti corporis, sic est locutus partibus factis leo: «Ego primam tollo, nominor quoniam leo; secundam, quia sum fortis, tributi mihi; tum, quia plus valeo, me sequetur tertia; malo adficietur, si quis quartam tetigerit». Sic totam praedam sola improbitas abstulit.
‘Na mucca, ‘na pecurella e ‘na crape s’associarono, cumm’a tre cape e rape cu ‘nu liòne potente, ch’’e facétte fesse ‘nda’ niente. ‘Nda’ ‘na muntagna sparùta ‘o liòne acchiappài ‘nu ciérve curnùte; tagliànnele in quattro, dicètte: « Dal momento ca so’ ’o liòne, ‘a prìmma m’ ‘a tenghe pe’ mmé; ‘a seconda me tocca pe’sorte, pecché ìe so’ ‘o cchiù forte; ‘a terza, ‘a cchiù grossa, m’a frégo pecché ‘nu’ valìte ‘na séga. ‘A quarta so’ guai a chi ‘a tocca, pecché … oggi … sto’ stuòrte, ‘nda’ chillu sànghe spèrze ‘e chivammuòrte! » E cumme jètte e cumme venètte Tutta ‘a preda se futtètte.
____________________ Faedrus – Liber primus - V
Traduzione dal vernacolo - Mai la società con un potente è leale: questa favoletta ne è la conferma. Una mucca, una capretta ed una pecora paziente furono compagne di un leone, sulle montagne. Avendo questi catturato un grosso cervo, dopo aver fatto le parti, il leone così prese la parola: «Prendo la prima poiché mi chiamo leone; concederete a me la seconda poiché sono forte; poi, la terza parte toccherà a me, poiché valgo di più; finirà male, se qualcuno toccherà la quarta parte». Così l’arroganza di uno solo portò via l’intera preda.
Lexicon necessarium: Cape e rape: sciocchi ed ingenui. Nu’ valite ‘na sega: non valete nulla. Sperze: sperduto, vago, senza sicura origine.
54
(Lupus et agnus) “…‘O lupe vevéve ‘a coppe ‘e l’agnelle, un poco più lontano, veveve ‘a sotte… “
55
56
Lupus et Vulpis Iudice Simio
‘O LUPE, ‘A VOLPE ED ‘A SCIGNA
Quicumque turpi fraude semel innotuit, etiam si verum dicit, amittit fidem. Hoc adtestatur brevis Aesopi fabula. Lupus arguebat vulpem furti crimine; negabat illa se esse culpae proximam. Tunc iudex inter illos sedit imius. Uterque causam cum perorassent suam, dixisse fertur simius sententiam: 'Tu non videris perdidisse quos petis; te credo subripuisse quod pulchre negas. ______________________ Faedrus – Liber primus - X
Chi tène a nummenàta ‘e mariuòlo, pure si dice ‘o vero, nisciune ‘o crére. Nu lupe ncuòlle a volpe le dicètte: -Siénteme buòne tu si ‘na mariòla!-Ma ìe nu sacce niente ‘e chésta sòla, puòzze ì co’ père dint’à ‘na tagliòla! – Na scigna, ca se truvàve a passa’ a là, sentètte ‘e ragiòne ‘e tutt’è dùie ‘e rispunnètte ‘o lùpe:- Fùie … fùie, ca nunn’hai pèrze niènte, cu’ chélla facce! ‘E tu, ca si zòcchele è tagliòla, disse alla volpe, si’ nata busciàrda ‘e mariòla . ‘A cràpe tene ‘e còrne, è risaputo, ma non può dire ‘o vòjo ch’è curnùte!-
Traduzione dal vernacolo – Chi Ha la nomea di ladro, anche quando afferma il vero nessuno gli da credito. Un lupo disse ad una volpe: - Ascolta bene, tu sei una ladra!- ; - Ma io non so niente! – arguì l’animale. Una scimmia di passaggio, sentite le ragioni di entrambi, rispose: - Tu, o lupo, con quella faccia che ti ritrovi, non credo che ti sia lasciato sfuggire qualcosa; e tu che sei bene avvezza al furto, sei per natura bugiarda e ladra!- . Le capre, che, si sa, hanno le corna, non possono dire al bue:- Sei un cornuto. Lexicon necessarium: Nummenàta: nomea, fama. Zòcchele e tagliola: avvezza al latrocinio. Vòjo: bue.
57
Canis per Fluvium
‘O CANE STRUNZE
Carnem Ferens Amittit merito proprium qui alienum adpetit Canis, per fluvium carnem cum ferret, natans lympharum in speculo vidit simulacrum suum, aliamque praedam ab altero ferri putans eripere voluit; verum decepta aviditas et quem tenebat ore dimisit cibum, nec quem petebat adeo potuit tangere. ________________________ Faedrus – Liber primus - XXIII
Chi vòle quello degli altri perde chélle ca tène. ‘Nu cane, lung’a riva ‘e nu sciùmme, se ne vene. Guardanne ndà l’acqua, chìllu gnocche, vede’n’atu cane, cumme a ìsse, cu ‘nu pièzze ‘e carne mmócche. P’acchiappà ‘a carne, ca ndà l’acqua vedeva, lasciàie ‘o piezze carne ca mócche teneve. Ma strigne ‘e strìgne, n’acchiappàve niénte e se ne jètte cu’ ll’acqua dint’ è diénte.
Traduzione dal vernacolo – Chi vuole la roba degli altri perde quello che ha. Un cane sta camminando lungo la riva di un fiume, quando, guardando nell’acqua vede un altro cane che gli somigliava, con un grosso pezzo di carne nella bocca. Per acchiappare la carne che vedeva nell’acqua, lasciò il pezzo di carne che stringeva e se ne andò con l’acqua tra i denti.
Lexicon necessarium: gnocco: vuoto, senza cervello e discernimento. Mmòcche: in bocca. Diénte: denti.
58
Vulpis ad personam tragicam
‘A VOLPE E ‘A MASCHERA
Personam tragicam forte vulpes viderat; quam postquam huc illuc semel atque iterum verterat, 'O quanta species ' inquit 'cerebrum non habet.' Hoc illis dictum est quibus honorem et gloriam Fortuna tribuit, sensum communem abstulit. Faedrus – Liber primus - VII
Na volpe ‘mpaccéssa se infilàie ’nda casa ‘e ‘n’attore ‘e successo. Se mettètte a guardà chélla sfacciata ‘na maschera ca steva appreparàta. Pigliandola ndé màne s‟accurgètte ch’éra vacante e male rimanètte: - Che cap’ ‘e cazze! ‘A fòre è tanta bella, ma, ‘a rèto nu’tene ‘a cellevrèlla! – ‘A favola è pe’ chìlle ca sembrano uòmmene, invece so’pappùne senza ‘nu segne ‘e palle ‘ndé cazùne.
Traduzione dal vernacolo – Una volpe impicciona, s’introdusse nell’abitazione di un attore di successo. Guardandosi in giro, vide una maschera di lui ed iniziò ad osservarla. Accorgendosi che era vuota, rimanendoci male, esclamò: - che stranezza è mai questa? Avanti è tanto bella, ma dietro non ha il cervello. Questa favola è stata scritta per coloro che in apparenza sembrano uomini, invece non hanno validità e difettano anche negli “attributi” maschili.
Lexicon necessarium: ‘Mpaccessa: faccendiera, intrigante. Pappune: senza iniziativa; da pappa. Cazune: plur. di cazòne, per calzoni.
59
Rana rupta et bos
‘A RANA FESSA
Inops, potentem dum vult imitari, perit. In prato quondam rana conspexit bovem, et tacta invidia tantae magnitudinis rugosam inflavit pellem. Tum natos suos interrogavit an bove esset latior. Illi negarunt. Rursus intendit cutem maiore nisu, et simili quaesivit modo, quis maior esset. Illi dixerunt 'bovem'. Novissime indignata, dum vult validius inflare sese, rupto iacuit corpore. ________________________ Phaedrus – liber tertius, XXIV
Chi nasce meschino e sventurate, se piglia càvece ‘ncùle pure assettàte; si, po’, vo’ essere potente, po’ perde ‘a vita, cumm’a ‘na cosa ‘e niènte. ‘Na rana vedètte ‘ndà ‘nu prato ‘nu vojo ch’era gruòsse, assai assaie, ed una grossa invidia ne pruvàie. Gonfiò, allora, ‘a pelle chién’ ‘e rughe, p’addeventà cchiù grossa ‘e chélla bestia. Fino allo spasimo, ‘a fessa s’abbuffaie e cumm’a ‘nu pallone, ppuàaa… schiattàie.
Traduzione dal vernacolo – Chi nasce meschino e sventurato, piglia calci in ogni situazione; se invece cerca di diventar potente, paga con la vita. Una rana vide in un prato un bue gigantesco ne provò tanta invidia, che incominciò a gonfiare la pelle rugosa per eguagliare le dimensioni dell’animale. Si gonfiò fino allo spasimo ed infine, come un pallone, scoppiò. Lexicon necessarium: Càvece ‘ncùle: calci nel sedere. Vòjo: bue; dall’accusativo latino bove(m). Schiàttaje: scoppiò, esplose in mille pezzi; denom. da chiàtto + s intensiva.
60
(Canis per fluvium) “ … n’acchiappàve niénte, ‘e se ne andò cu’ ll’acqua dint’ è riénte “.
61
62
Cicada et noctua
‘A CIUCCIUVETTOLA E ‘A CICALA (‘E sfuttitùre so’ pègge de’ scòsse ‘e terremòte)
Cicada acerbum noctuae convicium faciebat, solitae victum in tenebris quaerere cavoque ramo capere somnum interdiu. Rogata est ut taceret. Multo validius Clamare occepit. Rursus admota prece accensa magis est. Noctua ut vidit sibi Nullum esse auxilium et verba contemni sua, hac est aggressa garrulam fallacia: "Dormire quia me non sinunt cantus tui, Sonare citharam quos putes Apollinis, Potare est animus nectar, quod Pallas mihi Nuper donavit; si non fastidis, veni; Una bibamus". Illa, quae ardebat siti, Simul cognovit vocem audari suam, Cupide advolavit. Noctua egressa e cavo trepidantem consectata est et leto dedit. Sic viva quod negarat tribuit mortua. _______________________ Phaedrus – liber tertius, XVI
Chi se ne fòtt’è ll’àte, spesso, rimàne futtùte, e chi va facènn’è còrne, mòre curnùte. ‘Na cicàle stridève cùmm’a pazza ‘a ‘na pòvera civétta chiène ‘e suònne. -Famme durmì, so’ stanche chésta nòtte!Ma ch’èlla lle dicette: - Me ne fòtte!‘E chiù forte cuminciàje ‘o siscarièlle ca te trasève adderìtte ndò cerviélle. -Famme durmì! –‘e dicette ‘nata vòta - Sarebbe un segno di grande civiltà!Ma chélla, cu na faccia è pazze, continuaje a sunà cumme a ‘na càzza ‘e s’eccitave ‘a strònza ‘ndà sunàte, nisciuna pietà l’avéa tuccàte. ‘A ciucciuvétte, stànca ‘e sta cafòna, ll’ preparàie ‘nu bèllu bidòne. Dicètte:- Festeggiàmo la tua voce, col nettare che Pallade m’ha dato, vièni da me, facciàmo una bevuta!Chélla, assetata, currètte zitta e muta. ‘A ciucciuvèttele che al varco l’aspettàve ‘na bòtte ndò suònne ‘nce chiavàje, e chèlle che, da viva, avève negàte, ci’ò ddétte, da morta, a zeffunnàte.
Traduzione dal vernacolo - Chi se ne frega degli altri spesso rimane fregato, così come chi usa far le corna è destinato ad esser cornuto. Una cicala faceva il suo verso, nel mentre che una civetta cercava disperatamente di recuperare il sonno perduto. “Fammi dormire!” implorò l’infelice, ma la cicala rispose che non glie ne importava nulla e continuò a stridere ancora più forte, eccitandosi addirittura. A questo punto, la civetta, stanca della sua insensibilità, le preparò una trappola. Invitandola a bere del nettare, che diceva dono di Pallade, non appena la ebbe a tiro, la uccise con un colpo in testa, acquistando così quella pace che non era riuscita ad ottenere quando la cicale era viva. Lexicon necessarium: Siscariélle: fischio fastidioso e continuo. Bbidòne: per trappola; dal fr. bidon, gran secchio. Chiavàje: infliggere; denom. dal lat. clava. A zeffunnàte: in gran quantità, senza misura.
63
Frater et soror
‘O FRATE E ‘A SORA RACCHIA
Praecepto monitus saepe te considera. Habebat quidam filiam turpissimam Idemque insignem pulchra facie filium. Hi, speculum in cathedra Matris ut positum fuit, Pueriliter ludentes forte inspexerunt. Hic se formosum iactat: illa irascitur nec gloriantis sustinet fratris iocos, Accipiens, quid enim? cuncta in ontumeliam. Ergo ad patrem decurrit laesura invicem magnaque invidia criminatur filium, Vir natus quod rem feminarum tetigerit. Amplexus ille utrumque et carpens oscula Dulcemque in ambos caritatem partiens: "Cotidie" inquit "speculo vos uti volo: Tu formam ne corrompa nequitiae malis; Tu faciem ut istam moribus vincas bonis". ______________________________ Phaedrus – liber tertius -VIII
Cu’ sta favola fatt’a dispiétte, verìmme ‘nu poche cùmme te miétte. N’òmme tenéve ‘na figlia ca sumigliàv’a ‘na scìgne, ma ‘o fràte, nu pòche coglione, era nu bèlle guagliòne. Stu strùnze, guardannese ‘o specchio, dicéve: - si bèlle Fofò e a sòre , ca ère ‘na racchia, dicéve: - Ma chìste che vvò!‘e còrre, chiagnènne a do’ pàtre, ca ère n’òmme che palle: -Siént’a mmé, chìstu bèllu guagliòne a mé pare ‘nu pòco ricchiòne, se guàrde ogni iuòrne ndò spècchie ‘e guardannese, ‘e rìdene ‘e récchieGuagliunciè, stàte a sènt’a papà: ‘ncòpp’ ò mùnne ’equilibrio ‘nce sta chi ‘a fòra ‘e bèlle sfacciàto pure dìnte bellezz’adda fa’; chi ‘a fore racchiòna c’è nata sule dìnte cchiù belle po’ sta’.
Traduzione dal vernacolo - Avvertito dal precetto, considera te spesso. Un tale aveva una figlia bruttissima, ma il fratello, un poco sciocco, era un bel ragazzo. Quest’ultimo, guardandosi in uno specchio, come era stato posto sulla seggiola dalla madre. Questo vanta sé bello; quella va in collera né sopporta gli scherzi del fratello che si gloria, come quella che riceveva ogni cosa in oltraggio. Allora, corre giù dal padre per nuocergli a sua volta, e con gran livore accusa il figlio, perché, essendo nato uomo, abbia toccato un arredo delle donne. Egli abbracciando l'uno e l'altro e cogliendo baci, e dividendo tra entrambi l'affetto soave:- Io voglio, disse, che voi facciate uso dello specchio ogni giorno: tu, affinché non guasti la bellezza con i mali del vizio; tu, affinché vinca codesto volto con i buoni costumi. Lexicon necessarium: Dispiétte:dispetto, dal lat.despectu(m). Verìmme:vediamo. Scìgna:scimmia; dall’acc. lat simia(m). Racchiona:accr. per brutta, dal greco rhàchis.
64
Pullus et gallinaceus
‘A GALLINA E ‘A PERLA
In sterculinos Pullus gallinaceus dum qaerit escam margaritam repperit "Iace indigno quanta res" inquit "loco!Hoc si quis pretii cupidus uidisset tui, olim redisses ad splendorem pristinum. Ego quod te inueni, potior cui multo est cibus, nec tibi prodesse nec mihi quicquam potest. " Hoc illis narro qui me non intellegunt . ____________________ Phaedrus – liber tertius,XII
Mentre cercava cibo ndà zuzzìmma, un pollo che razzulava ndo’ letamaio, truvàje ‘na perla ‘mmiézzo alla munnézza, annascuvata tra tanta schifezza. - Bella perlina, dicètte la gallina, si me ‘mburtàsse un po’ del tuo valore t’avesse riportato al tuo splendore, ma, pe’ natura, sule ‘o cibo m’interessa e te schiàffe dìnte ‘a panza, ‘e prèsse, ‘e prèsse ! -.
Traduzione dal vernacolo - Mentre cercava il cibo nell’immondizia, un pollo che razzolava nel letamaio, trovò una perla in mezzo al putridume. che soffocava per la grande puzza. - Bella perlina, disse la gallina, se io desiderassi alquanto il tuo valore ti avrei già riportato al tuo splendore, ma, per natura, solo il cibo m’interessa e ti metto nello stomaco, rapidamente! -.
Lexicon necessarium: Zuzzimma: sporcizia, luridume. ‘Mburtasse: importasse, dessi valore. Schiaffe: ficcare con energia, avidamente. a ‘E press : di fretta; deverb. del lat. Pressare
65
Musca et mula
‘A MOSCA E ‘A MULA
Fervido aestatis die misera mula onustum carrum magno cum labore trahebat. Parva musca in carri temone sedebat atque mulam nimis tardam increpabat: “ Nisi citius procedis, ego tibi primum collum deinde totum corpus pungo” At mula respondet: “ demitte vanam superbiam tuam, stulta musca; verba tua enim me non movent, quia minas tuas non timeo. Ego timeo solum hominem qui in sella sedet ; nam ille flagellum tenet et flagello temperat velocitatem meam “ . ______________________ Phaedrus – liber tertius, VI
Mente ch’a mula tirava ‘a carrettèlle le se pusàje ‘ncuòlle ‘na mosca zucculèlla. - Cammine tròppe chiàne, siènt’a mmé, putìsse camminà pure cchiù ‘e prèsse! e si me ‘ncàzzo, te pogne pur’a sguéssa!A mula ‘e rispunnètte a chélla lènza: -Tu nu’ mme fai paura, pièzz’ ‘e stronza ! Me fa paura sule chi me porta, che, c’’a frusta e ch’’e redini, m’ ‘arrònza; tu nun si’ niénte rispètto ‘a mala sciòrta. Ìe sàcce si àggia correre, o ì’ chiàne e nù me mette a fuì dìnt’alla piàna, secondo me, tu si ‘nu poco pazza perciò vattènne, e nu’ ‘ nce rompe ‘a tazza! -.
Traduzione dal vernacolo - Me tre una mula tirava la carretta, le si posò sul collo una mosca molto impertinente : Cammini troppo piano, potresti andare pure più veloce e, se mi fai arrabbiare, ti pungerò fin nelle parti basse. La mosca le rispose:- Tu non mi fai paura, povera stupida! Io temo solo la frusta dell’uomo, che mi sferza. Tu nono se niente rispetto alla mala sorte, so io quando devo andar piano o correre nella pianura; secondo mè, devi essere un po’ pazza, perciò, va via e non dar fastidio. Lexicon necessarium: Zucculélla: impertinente, sfacciata. Chiàne: piano, adagio. M’arrόnza: mi soverchia, mi stravolge, mi annienta.
Sciòrta: sorte, destino; dal lat. sorte(m) Gghì: andare, apocope dal lat. ire, con raff. consonantico.
66
(Mus rusticus et mus urbanus) “ …vieni con me in città, dove c’è vita, con la qualità !”
67
68
‘E CRAPE VONN’ A BARBA
De capreis barbatis
‘E cràpe, tantu tiémpe fa, vulèttere ‘a bàrba, nu’ nce fu niénte ‘a fa. I becchi tutti rattristati dicèttere: -Aìmme fàtte ‘na nzalàte: màsculi ‘e fémmene, senza distinziòne, ò purtàmme tutti quante ‘stu cazòne – Cùmme si Giove fosse asciùte pazze ‘e le vulésse dà pure ‘sta màzze. Ma il padre degli dei ‘nu po’sbaglià: ndà barba nu’ nce stà ‘a dignità; è dìnte ca stà la differenza, l’orgoglio della mascolinità: si l’omme è omme, chi ‘o po’ cupià!
Barbam capellae cum impetrāssent ab Iove, hīrcī maerentēs indīgnārī coeperunt quod dīgnitātem fēminae aequāssent suam. "Sinite," inquit, "illās glōriā vānā fruī et ūsūrpāre vestrī ōrnātum mūneris, parēs dum nōn sint vestrae fortitūdinī ". Hoc argūmentum monet ut sustineās tibi habitū esse similēs quī sunt virtūte imparēs. _____________________ Phaedrus – liber quartus - XVII
Traduzione dal vernacolo – Le capre vogliono la barba - Le capre, tanto tempo fa, pretesero la barba, non ci fu niente da fare. I becchi, tutti rattristati,dissero: -Abbiamo fatto un’unica insalata: maschi e femmine,senza distinzione, portiamo tutti quanti i pantaloni- Come se Giove,essendo impazzito,volesse creare un unico sesso. Ma il padre degli dei non farebbe uno sbaglio così grossolano, nella barba non vi è alcuna dignità; è dentro che c’è la differenza, l’orgoglio della mascolinità: se l’uomo è uomo, chi lo può copiare? Lexicon necessarium: Cràpe: capra, dal lat. capra(m). ‘Nzalàta: insalata, miscuglio, mortificazione di individualità. Cupià: copiare eguagliare.
69
Vulpes et uva
‘A VOLPE ‘E L’UVA
Fame coacta vulpes alta in vinea uvam appetebat summis saliens viribus; Quam tangere ut non potuit, discedens ait: "Nondum matura est; nolo acerbam sumere". Qui facere quae non possunt verbis elevant, ascribere hoc debebunt exemplum sibi. ______________________ Phaedrus – liber quartus - III
‘Na Volpe ca tenéve ‘na dìe ‘e famme cercàie ‘e s’apparà ‘nda ‘nu vignéte. Zumbàve, ccà ‘e llà comme ‘a ‘na pazza cercànne d’acchiappà chell’uve ‘e càzze. Ma, per quanta forza nce mettéve sùle spruòcchele‘e pàmpene carévene. Dicètte, allora: chésta nunn’è bona! Nu’ pozzo mangià chest’ùva verde è meglio ‘a digiunà, ca chésta mmèrde. Capisce buòne a mé: l’omme disprèzze tutto chéll ca nu’ pòt’avé, ‘ò face ‘na munnézze, e lève ‘o prèzze, pure si è bèlle e fatta p’ vedé.
Traduzione dal vernacolo - Una volpe, avendo una gran fame,saltava come impazzita,nel difficile tentativo di acchiappare l’uva, che pendava da un vitigno. Per quanto si sforzasse,riusciva solo a recuperare rametti e foglie. Allora preferì desistere, dicendo a se stessa che l’uva non era buona da mangiare, per cui era preferibile digiunare, piuttosto che nutrirsi con quell’uva pessima. Allo stesso modo si comporta l’uomo, che disprezza tutto quello che non riesce ad ottenere, anche se trattasi di qualcosa di valido.
Lexicon necessarium: S’apparà: dar riparo alla fame, cibarsi alla meglio. Zumbàve: saltare con veemenza. Spruòcchele e pàmpene: rametti secchi e fogliame
70
Leo et musculi
‘O LEONE E ‘O TOPOLINO
Quidam leo in silva dormiebat et musculi petulantes circum eum ludebant. Unus ex eis imprudenter ad leonem adiit et in eius caput saluit, ei molestiam afferens. Leo e somno excitatus statim musculum unguibus arripuit et iam eum voraturus erat, cum misera bestiola, flebiliter gemens, leonem imploravit:" Domine, ne me voraveris! Meam vita serva! Ego a te veniam peto et debilis es, ut nihil facere valeas, attamen vitam tuam servabo! Abi neque iam molestiam mihi attuleris". Post paucos dies leo, qui per silvam ut praedam quaereret incaute errabat, in venatorum laqueos incidit; frustra se liberare temptans, tantum rugiebat ut musculus, leonis voce longe audita, statim accurrerit auxilium ei laturus. Nam ad laqueos adiit et dentibus acutis eos rosit comminuitque donec leo liber fuit. Itaque fortis leo a debili mus servatus iustum misericordiae suae praemium accepit. _______________ Faedrus - fabula
‘Nu topolino ardito, In cerca ‘e guai, passiava sopra un leone gruosso assai. Svegliandosi ‘a bestia, che durmeva, p’a cora l’acchiappaje cull’intenzione, di fare, lì per lì, colazione. - Che cazzo stai facènne!disse quello - ‘Nu iuòrno, ti sarò di grande aiuto! Ma, si me fùtte mo’, sei un cornuto!Sorrise, allora, ’o re degli animali e ‘o lasciàje scappa’ il topolino, cuntinuanne a fare il pisolino. Ma un giorno, ca fu fatto prigioniére, da cacciatori fetenti e scriteriati, ‘o surecille currètte e lo salvò, tagliando ch’e rentùlle chélla fune, che all’albero ‘o teneva ‘mprigionato, e ‘o dèbbeto ch’ aveva fu saldato. - Pure ‘nu peccerìlle cùmm’a me po’ esse’ un grande amico pe’ ‘nu rre! Gridò il topolino al re leone che, pa’ paura, s’era fatto ‘ndò cazòne. ‘O pregio non consiste nell’altezza, ma è dìnt’ò còre ‘a forza e la grandezza.
Traduzione dal vernacolo - Mentre un leone dormiva in un bosco, topi di campagna facevano baldoria. Uno di loro, senza accorgersene, nel correre si buttò su quel corpo sdraiato. Povero disgraziato! Il leone con un rapido balzo lo afferrò, deciso a sbranarlo. Il topo supplicò clemenza: in cambio della libertà, gli sarebbe stato riconoscente per tutta la vita. Il re della foresta scoppiò a ridere e lo lasciò andare. Passarono pochi giorni ed egli ebbe salva la vita proprio per la riconoscenza del piccolo topo. Cadde, infatti, nella trappola dei cacciatori e fu legato al tronco di un albero. Il topo udì i suoi ruggiti di lamento, corse in suo aiuto e, da esperto, si mise a rodere la corda. Dopo averlo restituito alla libertà, gli disse: - Tempo fa hai riso di me perché credevi di non poter ricevere la ricompensa del bene che mi hai fatto . Ora sai che anche noi, piccoli e deboli topi, possiamo essere utili ai grandi.
Lexicon necessarium: Passiava: passeggiava tranquillamente. Rentulle: piccoli denti, ma capaci di rodere. ‘O debeto che aveva … : pagò il debito, restituì il favore.
71
Mus rusticus et mus urbanus
‘O SORECE ‘E CAMPAGNA
Olim mus rusticus urbanum murem, veterem amicum suum, ad cenam in paupere cavo invitavit et hospiti in humili mensa cicerese et uvas aridas et duras vicini nemoris glandes apposuit. Urbanus mus vix vilem cibum dente superbo tangebat et rustica alimenta contemnebat. Tandem sic exclamavit: “Cur, amice, vitam tam miseram ruri agis? Veni mecum in urbe, ubi magnam cibi suavis copiam invenies et beatus sine curis vives”. Placuit consilium rustico muri et in magnificam domum urbanam cum comite migravit. Ibi, dum tranquilli securique cenant atque delicatas dapes gustant, subito canum latrutus resonant atque servi irrumpunt. Mures territi per totum conclave currunt et refugium petunt. Tum mus rusticus urbano muri dicit: “Salve, amice mi; tu in urbe manecum exquisitis cibis tuis, ego rus reverto ad meam pauperem sed securam vitam”. __________________ Faedrus - Fabula
Un topo di città jétte in campagna, per fare visita ad ‘nu certo suo amico, ‘nu poco rustico, ma bravo contadino. ‘O surecìlle fu assai cuntento ‘e ce mettètte annànze ‘a grazia ‘e Dio: pane ‘e fasùle, larde ’e furmagge, ma ‘o topo di città nunn‘avétte ‘o curàgge ‘e mangià. - I’ nu’ capisco, disse, come tu possa sopportare codesto cibo e questa vita grama, vieni con me in città, dove c’è vita, con la qualità !Giunsero nel palazzo, a notte fonda, ma vi trovaron ogni ben dio : dolci, prelibatezze, cibi squisiti d’una goduria e d’una qualità Che ti facevano dire: - ‘E chi se mòve ’a ccà! Ma pròprio quànne cuminciàjne a strafucà, duie sfaccìmm’e cane, accussì gruòsse, ‘e secutàjene fòre, ‘ndà ‘na fòsse. -Non ti curar di loro, caro cugino, son solo due cagnetti un po’ vivaci, fare del movimento dopo il pasto aggiunge alla vita un certo gusto‘O sorece ‘e campagna rispunnette: -‘A facc’è chitemmuòrte ‘e ch’ paura, m’agge cacàte sòtte, arèt’ò mùre! Agge fatte ‘e viérme senza mangna’, ‘ate che vita di gran qualità? Cugino mio, ritorno ai miei fagioli, ’e lascio a te i pregi cittadini, ch’ ‘e dolci, ‘e marmellàte e i due mastini. Tu, godili fin che puo’, godi da pazzo, ma a me, ti prego, nu’ me rompe ‘a tazze! -.
Traduzione dal vernacolo - Un giorno, un topo di città andò a trovare un suo vecchio amico di campagna, un tipo dai modi semplici ma affettuosi, che per pranzo gli preparò lardo, fagioli, pane e formaggio. Il topo di città storse il naso e disse:- Non capisco come tu possa sopportare questo cibo e questa vita grama.. Vieni con me in città e ne scoprirai i vantaggi-. Così i due topi si misero in viaggio e arrivarono a notte fonda. In sala da pranzo trovarono i resti di un banchetto e si misero a divorare quanto c'era di buono, finché udirono dei latrati.- Non spaventarti - disse il topo di città - sono soltanto i cani di casa -. D’improvviso, si spalancò la porta ed entrarono due enormi mastini. I due topi ebbero appena il tempo di scappare. -Addio cugino, disse il topo di campagna, meglio il lardo in pace che le prelibatezze in tal modo, goditele tu, finché puoi, ma a me non recar più fastidio! Lexicon necessarium: Jètte: andò. Strafucàjene: mangiaro a strafare. Sfaccimme:aggressivi. Secutajene: cacciarono fuori.
72
(Pullus gallinaceus) “… truvàje ‘na perla in mezzo alla munnézza, ca soffocava per la grande puzza ...”.
73
74
Cornix et Ovis
‘A PECURA E ‘A CURNACCHIA
Multos lacessere debiles et cedere fortibus. Odiosa cornix super ovem consederat; Quam dorso cum tulisset invita et diu: "Hoc" inquit "si dentato fecisses cani, Poenas dedisses". Illa contra pessima "Despicio inermes, eadem cedo fortibus; Scio quem lacessam, cui dolosa blandiar; Ideo senectam mille in annos prorogo". _________________ Phoedrus - Appendix
In tutto il mondo è risaputo ca l’omme ‘e niénte co’ cchiù debole fa ‘o curnùto. ‘Na curnacchia fetòse s’èra pusate ncuòll’a ‘na pècura pe’ se fa purtà. ‘e chéll’a purtàie luntane, cùmm’a ‘na baccalà. Si fòsse state cane, le dicètte ‘e bòtte, pùre ‘o tenive attaccàte sòtte, ndà chèlla sfaccimme ‘e chitammuòrte? Tu nunn’arraggiunà, dicétte ‘a stòrte, continua ‘a camminà fa chéste sùle, cu’ l’évera moscia, nùie, ci annettàmme ‘o cule.
Traduzione dal vernacolo - Ovunque è risaputo che l’uomo che nulla vale fa il prepotente solo con i più deboli. Una cornacchia petulante si sistemò sul dorso di una pecora per farsi trasportare. Allora, la pecore le chiese: - se al mio posto ci fosse stato un cane, ti saresti comportata allo stesso modo?- La cornacchia rispose: - Tu non ragionare e continuà a camminare, sappi che quelli che son buoni subiscono da tutti ogni tipo di prepotenze.
Lexicon necessarium: Fetòsa: di brutto carattere, cattiva. Sfaccimma: dispregiativo. Ciannettàmme: per ci nettiamo il … Ereva: erba, dal lat. Herbam.
75
76
NOTE BIOGRAFICHE Nato a San Valentino Torio, ha frequentato gli studi presso il Liceo Tito Lucrezio Caro Di Sarno. Trasferitosi con la famiglia a Salerno, negli anni settanta, Nel 1971, iniziava a collaborare con lo scrittore Arnaldo Di Matteo, scrivendo sul periodico “Verso il 2000”. Di poi, entra a far parte dell’equipe del Varo, la galleria d’arte di Vito Giocoli, sostenuta dal gior-nalista napoletano Saverio Natale, che lo veicola verso la critica d’arte. Intanto diviene un punto di riferimento nella famiglia di “Verso il 2000”, collaborando con il Prof. Zazo dell’Ateneo napoletano, il preside Marino Se-rini, il pittore Luigi Grieco, Achille Cardasco, Nicola Napolitano, Renato Ungaro, Luigi Fiorentino ed altre personalità della cultura, come l’attore Franco Angrisano, Domenico Rea e Gaetano Rispoli. Fu appunto Rispoli a presentarlo a Carlo Levi, a Roma, nel dicembre del 1971 e, nel 1979, Do-menico Rea, presso la Camera di Commercio di Salerno, presentava alla stampa il libro di estetica morale Il Vangelo di Matteo (Roma - n. 136 del 12/6/ 1980), che il Pastore scriveva, nel 1979), con Liana Annarumma (Il Giorno - 23 marzo 1980). Intanto, Franco Angrisano lo presentava ad Eduardo De Filippo, nel periodo in cui l’attore recitava nella sua compagnia. Fu allora che in Franco Pastore si rafforzò l’amore per il teatro. Frattanto, grazie al Grieco, conosceva Lucia Apicella di Cava (Mamma Lucia), per la quale pubblicava su Verso il 2000 una serie di racconti, raccolti poi nel libro “Mamma Lucia ed altre novelle” (L’Eco della stampa - gennaio 1980 / Il Faro del 13/2/1980), con le illustrazioni del Grieco. Seguiva, sempre sull’eroina cavese,“Mutter der Toten”, un radiodramma, pubblicato dalla Palladio, che Angrisano drammatizzò nel salone dei marmi del Comune di Salerno (la Voce del Sud - 12/7/1980 - Roma 11 giugno 1980 52 n.135), il giorno in cui Mamma Lucia fu Premiata con medaglia d’oro del Presidente della Repubblica nel luglio del 1980 (Il Secolo d'Italia - Anno XXIX - dell'11/07/1980). Dopo il suo primo romanzo “L’ira del Sud” (verso il 2000 - anno XXIII - n.82 del 1983, con nota autografa di Nilde Iotti) scrisse per Franco Angri-sano “La moglie dell’oste”, ispirata alla XII novella de Il Novellino, di Masuc-cio Salernitano; seguì “Terra amara”, sul problema del caporalato nel sud. Negli anni novanta, viene trasferito al Liceo di Piaggine. Fu in quegli anni che scrisse “All’ombra del Cervati” una raccolta di liriche e “Fabellae”, un te-sto di drammatizzazione per la scuola elementare. Sono gli anni in cui si accosta all’informatica, è docente di sociologia e psicologia di gruppo nell’Ospedale Tortora di Pagani. Inizia un dialogo stretto con il teatro, grazie alla disponibilità dell’auditorium del Centro Sociale paganese ed all’incontro con la compagnia teatrale “02”, diretta da Enzo Fabbricatore. Nascono così le commedie: “Un giorno come un altro”, “Un maledetto amore”, “Una strana Famiglia” ( Le Figaro / Education, samedi 4 juin 2005). Tra il 1995 ed il 2000, è direttore di Corsi di alfabetizzazione informatica per il M.I. e tiene, al Centro sociale di Pagani, Corsi di Pedagogia speciale (metodi: Decroly e Froebel). Alla fine degli anni novanta, si abilita per l'insegnamento delle lettere negli istituti superiori e, nel 2000, il commediografo passa dalla pedagogia (didattica e metodologia), all’insegnamento di italiano e storia nell’Istituto “G. Fortunato” di Angri. Nello stesso anno, ritorna nella sua Salerno, in via Posidonia. Oramai ha perso tutti gli amici di un tempo. Intensifica il suo interesse per il teatro, entra in rapporto con alcune compagnie salernitane e conosce Gaetano Stella e Matteo Salsano della compagnia di Luca De Filippo. Con questi ultimi, ripropone “La moglie del-l’oste” che viene rappresentata nel 2006, al teatro dei Barbuti, nel Centro storico. Il successo dell’opera lo spinge a scrivere altre tre commedie, ispirate al Novellino del Masuccio: Le brache di San Griffone , “Un vescovo una monaca ed una badessa” e “Lo papa a Roma”. Intanto, inizia il ciclo de’ “I Signori della guerra”, ovvero “La Saga dei Longobardi”, un insieme di cinque drammi storici, sulla Salerno longobarda e normanna, che completa il 29 gennaio del 2011. Dopo la pubblicazione delle raccolte di racconti “Il gusto della vita” (ed. Palladio) e di “Ciomma” (edito dalla Ed. Antitesi di Roma), va in scena, a Pagani, il primo dei drammi storici “L’Adelchi”, replicato il 25 febbraio 2011 al Diana di Nocera Inf., con il patrocinio della Provincia di Salerno (Dentro Salerno, 25 febbr. 2011). Dunque, nelle sue opere, traviamo profonde tracce delle sue radici: le figure ed i personaggi delle sue commedie e dei racconti ci riportano all’agro nocerino-sarnese, ricco di caratteristiche peculiari, 77
artisticamente incastonati in situazioni socio antropologiche sui generis. E’ il caso di “Peppe Tracchia”, così come di “Ciomma” o “Luciano Valosta”, per non citare tante altre figure, prese dai campi o dalle fabbriche di pomodori. Nemmeno l’agro si dimentica di lui, con la consegna dell’Award del-l’Agro, per la letteratura. (Cronache del Salernitano, del 27 agosto 2013) e la pubblicazione di “Oltre le stelle”, presentata al palazzo formosa, il 12 feb-braio del 2014 (Dentro Salerno, 13.02.2014) Fin dagli inizi del suo percorso artistico, Pastore, pur avendo acquisito una formazione classica (Euripide, i lirici greci, Aristofane e la commedia antica, Omero, Esopo e Fedro), si trova ad essere rivolto verso il presente del nostro tempo. La sua narrativa si può ritenere, in alcune sfumature, neorealista, con testimonianze forti sulle difficoltà di una Italia degli anni della ricostruzione. Così, nel teatro, nel mentre delinea il dramma di antiche dominazioni, passa alla commedia di denuncia ed alla farsa. (1)
Altre Opere Poesia
VOGLIA D‟AMARE - Sa. 1974 - Codice SBN - IT\ICCU\BIA\0018357 OMBRE DI CAPELVENERE; 1989 Codice SBN UBO1787585 – Biblioteca Univ. Cagliari SORRISI D‟AMORE, liriche, 1994 Cod. SBN IT\ICCU\ CFI\0059-162 ALL‟OMBRA DEL CERVATI - Napoli 1995 Cod. IT\ICCU\MIL\0837501 LE TUE LABBRA, liriche d‟amore - A.I.T.W. 2010 - Cod SBN IT\ICU\PAL\0256056 IL PROFUMO D‟ERMIONE, poesia A.I.T.W. edizioni, Salerno, marzo 2013 -SBN IT\ICCU\NAP\0568671 SALERNO DAL CONCORD - 1a Ed.2003 - 2a Ed., Salerno sett. 2013 A.I.T.W - Cod. SBN IT\ICCU\PAL\0262623 IL PROFUMO DEGLI ANGELI – Ebook free, Salerno 2004 ACQUA ELECTA - A.I.T.W edizioni, Sa 2013 – Cod. IT\ICCU\ MIL\0854762
OLTRE LE STELLE, dedicato a S. Valentino T. - A.I.T.W. edizioni, Sa 2014 – cod. IT\ICCU\MOD\1628173 OMBRE DI SOGNO, riflessioni in versi - A.I.T.W. Edizioni - Sa 2014 cod. IT\ICCU\MO1\0037932 SALERNO DAL CONCORD, e.book free 4, Salerno 2004 con codice GGKEY:WZP8J2DWL3U E
SUNOUSIA, A.I.T.W. ed. – Sal.no 2015 SBN GGKEY:4GCK0EXX6XC E RICORDI DEL TEMPO, A.I.T.W. edizioni – Salerno 2015 BALUGINAR DI LUNA, A.I.T.W. ed.- Sa 2015 - GGKEY:Y2EF46X7YH8 E VOCI, A.I.T.W. ed. – Sa 2016 -
Videoliriche Oltre duecento, presenti su yutube, Google e sul Web; tra esse: Ombre di sogno, La lupa, Frastagli di notte, Come le foglie, Come un sogno che muore, Ad Alfonso Gatto, a Freddy Mercury, a papa Francesco, Le tue labbra, L’amante, Sorrisi d’amore, Aspettando l’alba, Resurrectio, Morbidezze, Commiato, Oltre le stelle, E ancora domani, La nostra favola, Guardandoti, L’odore del mare, Indietro, Senza sosta, Fantasmi, Il sembiante, Fuga d’inverno, Le tue mani, Vaghezze, La Capinera, Ho raccolto, Cosa tu sei, La mimosa, Lilium, Come in prece, Come perdermi, La via del mare, Donna, Lucania, Hipatia, Mater coeli, Ananes, La giostra, Dove sei, Quale alito di vento, Al tempo della ginestra, Donnez moi ma vie, Se questi occhi, Impulso, Marcinelle, Solo vento, Nedda, L’isola che non c’è, La tua musica, Emozione, Odori di bosco, Sulle tue labbra, On my way, Quando il sole declina, Respiro con le stelle, Vento d’autunno, Ap-prodo, Nuvole,Marianna de Leyva, Francesca da Rimini, Giulietta dei Capuleti, Comparando, Anche se piove, Sul far del mattino, Il sorriso degli angeli, Ritorno in famiglia, Solitudine, La favola della vita, Laura, Il tuo fiato, Con la mi
78
vida, Conbien je vous aime, Simbiosi, Mirando, Se avessi fiato, Non so cantare, Come un gabbiano, Sussurri, Ritual, Dolce contesa, Germogli, Come il sole al tramonto, Mentre imbruna la sera, Panta rei, Come un raggio di sole, Solo tu, Andando a fichi, notte, Senza fiato, All’alba, La colpa più grande ed altre, Noi siam meteore, Non è più tempo di favole, Una eco lontana, Come un raggio di luna, Senza chiedere e sulle mie mani.
Poesia monografica
AMORE E MITO, favole della lett. lat. in versi - Ediz. Penne Pazze e- book 2006 - II ed. luglio del 2013. Codice IT\ICCU\MO1\0035687 Il NAZARENO, lauda sulla morte di Cristo, A.I.T.W. ed. - Sa, 2009 Cod, SBN IT\ICCU\NAP\0563067 LE STELLE DELLA STORIA,Sidera Historiae, donne che hanno fatto storia, Salerno 2006, rist.pa 2013 codice IT\ICCU\MO1\0035683 UN UNICO GRANDE SOGNO, poesia d‟amore, in odi, dedicate a personaggi femminili celebri, da Isotta a Giulietta, alla Lupa, a Nedda e alla Peppa del Gramigna - Ediz. Poetilandia ebook 2006 cd. Sbn IT\ICCU\MO1\0035686 EL CID CAMPEADOR, un‟ode al Cid di Spagna - A.I.T.W. Edizioni, Salerno 2014.
79
Prosa
L‟IRA DEL SUD (romanzo) edizioni Palladio - 1982. Codice SBN CFI0020645 - Bibl. Univ. Cagliari LA SIGNORA DELLA MORTE (radiodramma)- Palladio Editrice Salerno 1978 Codice SBN IT\ICCU\SBL\0625441 SETTE STORIE PER PIERINO, racconti per ragazzi -Ediz. Verso il 2000, Sa 1978 - Cod. SBN SBL\0628217 - Bibl.che: Ca, Tr, Na, MAMMA LUCIA ed altre novelle, Sa 1979 Codice SBN PAL0159227 – Bibl. Univ. Cagliari SAN MARZANO nella pianura campana (storiografia), Ed. Palladio, Sa 1983. Cod. SBN IT\ICCU\CFI\0032994 IL GUSTO DELLA VITA,- racconti, Ediz. Poetilandia ebook 2005 – Ed. Palladio, Sa 2006 . Codice SBN IT\ICCU\PUV\1362615 IL GUSTO DELLA VITA, racconti, II Ediz. IT\ICCU\NAP\0640292 CIOMMA, racconti dell‟agro sarnese - Ed. Antitesi, Roma 2008 – Cod ISBN IT\ICCU\PUV\1363319 I TEMPLARI, dramma storico - A.I.T.W. ediz. - Sa 2010, cod. IT\ ICCU\- MO1\0035682 I Templari , fumetto, Centro Stampa ed. Pagani 2008 NUNZIATINA, romanzo breve, estratto e rielaborato da L‟ira del sud del 1989 – A.I.T.W. Edizioni, Salerno 2014 - ISBN 9788868143053
RADICI – A.I.T.W. Ed. – Pubblicazione in e - book Google play, gennaio 2015 – cod. Sbn IT\ICCU\MOD\1644687
Saggistica
Il VANGELO DI MATTEO ( estetica morale, con prefazione di Domenico Rea) De Luca ed.- Amalfi 1979 cod. SBN IT\ICCU|PUV\1368781 IL CORAGGIO DELLA VERITÀ, libro inchiesta sulla tragedia di Ustica - A.I.T.W. Ed., giugno 2012 Cod. SBN IT\ICCU\NAP\0544907 HERACLES IN MAGNA GRECIA,iconografia ragionata. Cod. SBN IT\IC CU\MO1\0035548 ME NE JEVE PE‟ CASO, contaminatio in napoletano della 1,9 satira di P.Orazio Flacco - A.I.T.W. Ed. - Sa 2013 IT\ICCU\ NAP\0595558 „O VIAGGIO PE‟ BRINNESE contaminatio in napol. 1,6 della satira di Orazio Flacco - A.I.T.W. Ediz. - Sa 2013 Cod. IT\ICCU\RML\0361796 LA SIGNORA DELLA MORTE ( Mutter der toten ) radiodramma Ed. Palladio, Salerno 1980; ( La Nuova Frontiera del 30/07/81) Biblioteca Fond. Siotto Alghero - Codice SBN SBL065441 FAEDRUS, le favole latine di Faedrus in versi napoletani - A.I.T.W. Ed. - giugno 2011- Cod SBN IT\ICCU\NAP\0568756 AISOPOS, le favole greche di Esopo in versi napoletani - A.I.T.W. EdizEdizioni, sett. 2011 cod. SBN IT\ICCU\NAP\0568683 LE PROBLEMATICHE DELL‟ ADOLESCENZA verso la formazione del sé A.I.T.W. Ed. - Sa 2013. Cod. SBN IT\ICCU\MO1-\0035831 LE PROBLEMATICHE DELL‟ ADOLESCENZA i comportamenti a rischio A.I.T.W. Ed. - Sa 2013. Cod. SBN IT\ICCU\MOD\- 1622636 FILOSOFIA ARISTOTELICA, schiavitù ed oikonomìa - A.I.T.W. Ediz. - Sa 2014, II stampa. Cod. ISBN IT\ICCU\MOD\1628166 IL CANCELLERI Tommaso Guardati - A.I.T.W. Ed. - Sa 2014. LUCIA APICELLA, la madre di tutti i caduti – A.I.T.W. –Sa 2014. LE PROBLEMATICHE DELLA VECCHIAIA E LA MUSICOTERAPIA- pubblicato su google play il 25 genn.2015, con codice n. GGKEY:K6C9CH8SW3Q E
CATULLO A NAPOLI, i carmi tradotti in napoletano – A.I.T.W. edizioni
80
Salerno, febbraio 2015 - IT\ICCU\MO1\0038568 LA MORTE DI CESARE, A.I.T.W. edizioni - Salerno, febbraio 2015 MACHADO IN NAPOLETANO, A.I.T.W. ediz.ni - Salerno,maggio 2015 LAS HOJAS MUERTAS, A.I.T.W. edizioni - Salerno, agosto 2015 EN LA BRUMA DEL SOL A.I.T.W. ediz.ni - Salerno, agosto 2015 LA FORMAZIONE AL SERVIZIO SOCIALE – Salerno – ottobre 2015
Drammi
TERRA AMARA – 1979, due atti – Codice SBN IT\ICCU\MO1\0035757 LUISA CAMMARANO - 2004 – un atto Cod. SBN IT\ICCU\MO1\0036201 UN MALEDETTO AMORE - 2001 -Codice SBN IT\ICCU\MIL\0851139 UN GIORNO COME UN ALTRO - 1998 - Cod SBN [IT\ICCU\-MIL\0839578
Commedie
LA MOGLIE DELL‟OSTE - 1974. Cod SBN IT\ICCU\MO1\0035688 LO PAPA A ROMA - 2003 – Codice SBN IT\ICCU\NAP\0582008 UNA STRANA FAMIGLIA - 2005. Codice SBN IT\ICCU\NAP\0590201 IL MENACHER - 2005 O VESCOVO, A MONACA E L‟ABBADESSA -2004 - cod. SBN IT\ICCU\MO1\0035684 LE BRACHE DI SAN GRIFFONE - 2005- codice IT\ICCU\NAP\0584683 MASUCCIO IN TEATRO - A.I.T.W. Edizioni - Salerno 2014 - codice IT\ICCU\NAP\0646027
Drammi storici:
GAITA, la moglie del Guiscardo,Sa 2007 - IT\ICCU\MO1\0035550 I TEMPLARI - Salerno 2008 - Codice SBN IT\ICCU\MO1\0035688 ARECHI II – Salerno 2008 - Codice SBN IT\ICCU\MIL\0844100 IL NAZARENO - Salerno 2009 - cod. SBN IT\ICCU\MO1\0035682 LA BATTAGLIA DELLA CARNALE - 2010 cod. SBN IT\ICCU\MO1\0035682
GUAIMARIO IV - Salerno 2010 – cod. SBN IT\ICCU\NAP\0582008 ROBERT D‟HAUTEVILLE LA GUICHARD, Sa. 2011 - cod. SBN IT\CCU\MO1\0035551 PIU‟ FORTE DELLA MORTE- A.I.T.W. Ediz. Sa. 2011 - Cod. SBN IT\ICCU\NAP\0563051 IPPOLITO PASTINA - A.I.T.W. Edizioni, 2012 – Cod SBN IT\ICCU\MIL\0844104 ISABELLA SANSEVERINO - A.I.T.W. Edizioni – Salerno 2014 – cod. IT\ICCU\NAP\0633689
LA SAGA DEI LONGOBARDI - A.I.T.W. Edizioni – Sa. 2014 – Codice IT\ICCU\MO1\0037976]
Farse
UNA FAMIGLIA IN ANALISI - 2006 - SBN: IT\ICCU\MO1\01003205 UN CASO DI NECESSITÀ - A.I.T.W. Edizioni, Salerno2008 - Codice SBN IT\ICCU\NAP\0590700 PEPPE TRACCHIA - Salerno2008. Cod. SBN IT\ICCU\MO1\0035841 CONCETTA QUAGLIARULO - 2009 ( una contaminatio sullo sbarco di Salerno). Cod. SBN IT\ICCU\MO1\0035758 VÁSE ARRUBBÁTE - A.I.T.W. Sa 2010 - Cod. SBN IT\ICCU\MO1\003204 BERNARDAS GLORIOSAS - Salerno 2011 – ISBN IT\ICCU\MOD\1628171
.
COLLOQUIO con un segretario di onorevole - Salerno 2010. Cod. SBN ITCCU\MO1\0036202 IL BREVETTO, in tre scene, del gennaio 2005, cod. GGKEY-:731WG-
81
TQNLLC E, pubblicato su google play, il 24 gennaio del 2015.
Fiabe on line – Fiabe in pubblicazioni e teatro per ragazzi:
FABELLAE - antologia di drammatizzazione per la scuola primaria‚ Paes, 1988. Cod. SBN IT\ICCU\CFI\0154255 LA MARGHERITA SCIOCCA - S.W. anno 2004 – filmato IL PAPERO INGRATO - S.W. anno 2006 – filmato ORFEO GATTO MARAMEO - S.W. anno 2006 – filmato IL VERME ED IL CALABRONE – S.W. anno 206 – filmato IL PAPPAGALLO FILOSOFO - Sul Web anno 2006 /7 – filmato LA LEPRE E LA TARTARUGA - Sul Web anno 2006 /7 – filmato IL BRUCO ED IL CALABRONE - Sul Web anno 2006 /7– filmato IL PAPPAGALLO FILOSOFO - Sul Web anno 2006 /7 – filmato LA GALLINA SCIOCCA - Sul Web anno 2006 /7 – filmato CANIS PARTURIENS – filmato 2005/6 – Riduzione in napoletano CAMELUS QUI PETEBAT CORNUA – filmato 2005/6 – in napoletano PISCATOR QUI AQUAM PERCUTEBAT – filmato2005/6 – in napoletano VOLPES ET CORVUS – filmato 2005/6 – Riduz. in napoletano VULPES LEO ET SIMIO – filmato 2005/6 – Riduz. in napoletano RANAE AD SOLEM – filmato 2005/6 – Riduz. in napoletano RANAE PETUNT REGEM – filmato 2005/6 – Riduz. in napoletano FRATER ET SOROR – filmato 2005/6– Riduz. in napoletano CALIMERO E LE SETTE NANE,UNA STORIA ALL‟INCONTRARIO A.I.T.W. Edizioni - Salerno genn. 2014 - ISBN: 9788891133052 IL PRINCIPE FIORITO, UNA STORIA ALL’INCONTRARIO - A.I.T.W.
Edizioni - Salerno, nov. 2014 PINOCCHIO IN TRIBUNALE; La civetta, la cicala e la formica; Una gara della stupidità; La capretta Genoveffa: quattro drammatizzazioni per le scuoscuole elementari - Paes, 1987 ( Cava de‟Tirreni, Palumbo & Esposito) Monografia - Testo a stampa - SBN IT\ICCU\CFI\0105947 Le FIABE DI MAMMA DORA – A.I.T.W. Ed. – Sa 2015-02-03 SBN IT\ICCU\MO1-\0038517
Opere multimediali - Documentari didattici
VERSO LA RELIGIONE EGIZIA – Documentario didattico LA RELIGIONE GRECA - Documentario didattico ROMA PAGANA – Documentario didattico IL MIRACOLO DI BETLEMME – Documentario didattico ABRAMO - Documentario IL CANTICO DEI CANTICI – Documentario IL SS. CORPO DI CRISTO – Documentario LA CRIPTA DEL SS. Corpo di Cristo - Documentario
Pubblicazioni in Ebook (pdf, epub e mobi, PC, Mac Os, Linux, iPhone, iPad, Android, HTC, Blackbarry, eReaders), su store ita-liani ed internazionali:
NUNZIATINA, romanzo breve, sul caporalato nel sud dell’Italia d’inizio secolo, 2013. – cod ISBN 9788868143053. IL PROFUMO D’ERMIONE, liriche, anno 2013; cod ISBN 9788891-129031. AQUA ELECTA, liriche dedicate a Quaglietta di Calabritto ed all’alta valle del Sele. Anno 2013 – cod ISBN 9788891130945. CALIMERO E LE SETTE NANE, una storia all’incontrario, anno 2014. cod ISBN 9788891133052. IL VERME ED IL CALABRONE – Sul Web anno 2006 – filmato IL PAPPAGALLO FILOSOFO – Sul Web anno 2006 /7 – filmato LA LEPRE E LA TARTARUGA - Sul Web anno 2006 /7 – filmato IL BRUCO ED IL CALABRONE - Sul Web anno 2006 /7– filmato IL PAPPAGALLO FILOSOFO - Sul Web anno 2006 /7 – filmato LA GALLINA SCIOCCA - Sul Web anno 2006 /7 – filmato SALERNO DAL Concord, liriche dedicate a Salerno - Cod. SBN IT\ICCU\PAL\0262623.
82
OLTRE LE STELLE, liriche dedicate al paese dell’amore, San Valentino Torio. Anno 20014 – cod. SBN. 978889113420. IL SORRISO DEGLI ANGELI, liriche, Salerno 2004. UN UNICO GRANDE SOGNO, poesia monografica, Catanzaro 2006. IL GUSTO DELLA VITA,racconti, Catanzaro 2006. CRONACA CONTADINA Sa. 2006 - cod. SBN 9788868144067 LE TUE LABBRA – google libri IL BELLO ADDORMENTATO – google libri Ἡρακλῆς IN MAGNA GRAECIA – google libri MASUCCIO IN TEATRO – google libri LA SAGA DEI LONGOBARDI – google libri LE PROBLEMATICHE DELLA a dolescenza – google libri LE PROBLEMATICHE DELLA VECCHIAIA e la musicoterapia Google Play SINOUSIA – Google libri Voci – Google libri
Alcuni premi ed Onorificenze *Roma - Medaglia d’oro per la poesia - S.Barbara 1971 ( Scuola Genio Pionieri) *Roma - Accademia Inter.le Tommaso Campanella - medaglia d‟oro e
nomina a Membro Honoris Causa 1975.
*Salerno - Salone dei Marmi del Palazzo Città - Trofeo “ Verso il 2000”,
consegnato a Domenico Rea e Franco Pastore dal Ministero Turismo e Spettacolo e dall‟Assessorato alla P. Istruzione del Comune di Salerno ( La Voce del Sud, del 12. 7.1980 - La Nuova Frontiera, 30.6. 1980 e del 15/12/1980 - Candido, 18 sett. 80). *Roma - Acc. Gentium Pro Pace - nomina ad “ Academicum ex classe legitima”, 1980. *Accademia delle Scienze di Roma - nomina ad Accad. d‟onore, 1982. *Melbourne - Accadem. Letter. Italo - Australiana (A.L.I.AS.) - Primo premio internazionale per la narrativa, 2008. *Melbourne – Accademia Letter. Italo-Australiana (A.L.I.AS.) - Primo premio internazionale per la narrativa 2011. *Viterbo - Targa della città di Viterbo alla carriera - Accademia Francesco Petrarca, maggio 2012. *Germany - Accreditation Correspondance Jornalistique - G.N.S. PresPresse Association, dicembre 2011. *San Valentino Torio. - Award dell‟Agro, per la letteratura. (Cronache del Salernitano, del 27 agosto 2013) *Premio Silarus 2014, II posto per la narrativa, luglio 2014. * Conc.so Inter.le Altino (Chieti) I premio ex aequo poesia sett.2015.
Diffusione pubblicazioni:
- In Italia, nelle biblioteche universitarie e nazionali di Venezia, Padova, Trieste, Pavia, Pe-
scara, Biella, Torino, Alghero, Milano, Firenze, Bologna, Urbino, Lucca, Modena, Cesena, Cassino, Quartu Sant‟Elena, Genova, Roma, Lucca, Napoli, Salerno, Bari, Palermo, Sassari, Parma, Cagliari, Catania, Lerici, Roccadaspide e Campobasso. Nelle biblioteche della Romagna, nella biblioteca dell‟Archivio storico del Comune di Salerno e nella biblioteca provinciale saler-nitana. - All‟estero: Presso l‟Ist. It.Cultura di Barcellona. Nella Biblioteca di Stato della Repubblica di S. Marino - Internet: su google play, google libri, iussu.com, la Feltrinelli, Mondadori Store, Bookrepublic, Euronics, Amnazon, IBS.it, Yukapring, Lillibook, Unilibro.
83
84
INDICE Aἲsopou μύθοὶ PRESENTAZIONE …………………………………………………………………………………………………………………………… pag. 5 PRAEFATIO .…………………………………………………………………………………………………………………………………… pag. 7 POSTFATIO …………………………………………………………………………………………………………………………………….. pag. 9 PROLOGO Άὰὶά ……………………………....………………………………………………………………………. pag.13 ‘A GALLINELLA SFURTUNATA ……………………………………………………………………………………………………….. pag.15 ‘O CIUCCIO E ‘O PASSERO ……………………………………………………………………………………………………………… pag.16 ‘A LEPRE E ‘A TARTARUGA ………………………………………………………………………………………………………………. pag.19 ‘O LIONE E ‘O CINGHIALE .……………………………………………………………………………………………………………… pag.20 ‘O LIONE E ‘O TORO ………………………………………………………………………………………………………………………… pag.21 ‘O CIUCCIO ‘A VOLPE E ‘O LIONE ……………………………………………………………………………………………………… pag.22 ‘O LUPE E ‘O PASTORE …………………………………………………………………………………………………………………….. pag.25 ‘O LIONE E ‘O CIUCCIO ……..…………………………………………………………………………………………………………… pag.26 ‘A FURTUNA D0’ CAVALLO ………………………………………………………………………………………………………………. pag.27 IL CANE E LA LEPRE .…………………………………………………………………………..………………………………………….… pag.28 UN PESCATORE CHE BATTEVA L’ACQUA ..…………………………………..……………………………………………………. pag.29 ‘O CONTADINO E O SERPENTE RICCHIONE ……………………………………………………………………………………….. pag.30 ‘O VOIO E ‘A VITELLA ...………….…………………………………………………………………………………………………………. pag.33 DIOGENE E L’OMME SENZA CAPILLE ……………………………………………………………………………………………... pag.34 A CURNACCHIA E ‘A BROCCA ……………………………..……………………………………………………………………………. pag.35 ‘O LIONE E ‘A GRANOGNA ………………………………………………………………………………………………………………… pag.36 ‘O DEBITORE ATENIESE ….……………………………………………………..………………………………………………………… pag.37 ‘A VOLPE ABBUFFATA ……………………………………………………………………………………………………….……………... pag.38 ‘O CAPRARO SPEZZACORNE ..::………………………………………………………………………………………….…………….… pag.39 AFRODITE E A RACCHIA ......................................................................................................................... pag.40 E DDUI GALLI E L’AQUILA ………………………………………………………………………………………………………….…….… pag.41 ‘O CIUCCIO E ‘A CRAPA ZOCCOLA ……………………………………………………………………………………………………… pag.42 ................... ò.
Fabulae Foedri PROLOGO ............................................................................................................................................... pag.45 ‘E RANE ‘E ‘O SOLE …………………………………………………………………………………………………………………………….. pag.47 ‘O LUPO E ‘A GRU ………………………………………………………………………………………………………………………………. pag.48 ‘O CORVE BABBIONE ………………………………………………………………………………………………………………………….. pag.49 ‘A VOLPE E A CICOGNA ……………………………………………………………………………………………………………………… pag.51 ‘O CERVO ‘A SURGENTE ……………………………………………………………………………………………………………………… pag.52 ‘O LUPO E L’AGNELLO ………………………………………………………………………………………………………………………… pag.53 ‘O LIONE ACCHIAPPATUTTO ……………………………………………………………………………………………………………….. pag.54 ‘O LUPO ‘A VOLPE E ‘A SCIGNA …………………………………………………………………………………………………………… pag.57 ‘O CANE STRUNZE ………………………………………………………………………………………………………………………………. pag.58 ‘A VOLPE E ‘A MASCHERA …………………………………………………………………………………………………………………… pag.59 ‘A RANA FESSA …………………………………………………………………………………………………………………………………… pag.60 ‘A CIUCCIUVETTOLA E A CICALA …………………………………………………………………………………………………………. pag.63 ‘O FRATE E ‘A SORA RACCHIA ……………………………………………………………………………………………………………… pag.64 ‘A GALLINA E ‘A PERLA ……………………………………………………………………………………………………………………….. pag.65 ‘A MOSCA E ‘A MULA …………………………………………………………………………………………………………………………. pag.66
85
‘E CRAPE VOVVO ‘A BARBA …………………………………………………………………………………………………………………. pag.69 ‘A VOLPE E L’UVA ………………………………………………………………………………………………………………………………. pag.70 ‘O LIONE E ‘O TOPOLINO …………………………………………………………………………………………………………………….. pag.72 ‘O SORECE ‘E CAMPAGNA …………………………………………………………………………………………………………………… pag.73 ‘A PECURA E ‘A CURNACCHIA ……………………………………………………………………………………………………………… pag.75 L’AUTORE …………………………………………………………………………………………………………………………………………… pag.77 Altre opere …………………………………………………………………………………………………………………………………………. pag.78
86
87
Ebook – novembre 2015 Stampa –Dic. 2015 by Franco Pastore Una realizzazione A. I. T. W.
88