Antropos in the worldgennaio 2015

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òς European Journalism - GNS Press Ass.tion - The ECJ promotes publishing, publication and communication- P. Inter.nal

I COMPORTAMENTI A RISCHIO GLI INTERVENTI ( IX parte )

ANNO XI N.RO 1 del 01/01 /2015

Pag. 1. Pag. psicologica 2. L’anno che verrà 3. La Torre Eiffel 5. Il teatro romano 6. Fagioli della buonan. 7. Rapsodia asinina 8. Le grotte di Favignana 10.Il racconto del mese 11.Chi batte moneta? 13.La satira immortale 14.La papessa Giovanna 15.Il Compl.so di S.Rocco 17.Pagina medica 18.I grandi pensatori 19.Peggio del Terrorismo 20.Boom del caffè in agro 21.Piatti tipici: le carni 23.Diogene di Sinope 24.Storia della musica 25.Commedia All’italiana 26.Elisabeth Bennet 27.Stranieri ai Beni Cult. 28.Madonna delle Galline 29.’A bizzòca 31.Musei invisibili 32.Regimen sanitatis sal. 33.La strage di Parigi 34.Centen.La grande g.rra 35.Tenerezze di Giuffrida 36.Redazioni e riferimenti

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L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, che non consiste solamente nell’ assenza di malattie o d’infermità, ma è strettamente correlato ad una crescita armonica ed alla capacità di esprimere un progetto di vita. Come quella fisica,la salute mentale è importante in ogni momento dello sviluppo: ne influenza l’andamento ed il percorso futuro. L’adolescenza, periodo di rapide trasformazioni sul piano fisico, psicologico e relazionale rappresenta una fase particolarmente delicata dello sviluppo: molte sono le sue potenzialità e le sue risorse, ma elevato è il rischio di perturbazioni sia intrapsichiche, sia interpersonali. Le espressioni del disagio adolescenziale possono essere molteplici, riguardo alle caratteristiche di personalità ed ai diversi contesti socio-familiari. Così, se ad un estremo del continuum troviamo tutte quelle forme di reazione “internalizzate” (come depressione, disturbi d’ansia, anoressia nervosa e bulimia, etc.), all’estremo opposto vi sono le forme “esternalizzate”: comportamenti che turbano gli equilibri familiari, scolastici e sociali, come la commissione di reati o l’abuso di sostanze, che non sempre implicano nell’adolescente la consapevolezza di una sofferenza, ma costituiscono campanelli d’allarme per gli adulti che li osservano. Queste ultime forme di disagio possono manifestarsi come fallimento scolastico o bullismo; come ricerca esasperata di stimoli intensi e sensazioni forti (in letteratura si parla di sensation seeking); come abuso di droghe o di alcool, come violenza, fuga e suicidio. La comprensione di queste forme di disagio è affidata a tutta una serie di fattori individuali – anche biologici - familiari e sociali: esse sono il risultato degli effetti cumulativi ed interattivi dei fattori di rischio e della crisi dei fattori protettivi, che variano in funzione del momento, della situazione e degli individui. Le società occidentali, però, si trovano in difficoltà di fronte a chi delinque, abusa di sostanze, rischia la propria vita in comportamenti pericolosi o compie atti di bullismo scolastico. In questo lavoro è stata più volte evidenziata l’importanza dell’ascolto, dell’educazione e dell’informazione in ambito scolastico, familiare e di altre realtà di aggregazione giovanile, per prevenire i comportamenti esternalizzati del disagio adolescenziale. Tali comportamenti, infatti, possono determinare effetti drammatici sulla salute psichica e fisica, effetti, che i ragazzi spesso sottovalutano perché animati da un ottimismo ingiustificato, dalla pressione del gruppo o da altri fattori che attenuano la percezione del rischio. Riconoscere i comportamenti esternalizzati di disagio dei ragazzi, aiutarli a comprendere i rischi ad essi connessi e cogliere il malessere che li muove, rappresenta una strategia fondamentale per prevenire effetti indesiderati sulla loro salute fisica e mentale. 1) F. Pastore, LE PROBLEMATICHE DELL’ADOLESCENZA, pag. 120- 121 A.I.T.W. ed.SA. 2013 – cod ISBN Cod. SBN: IT\ICCU\MOD\1622636

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L’ANNO CHE VERRA’ «L’anno vecchio è finito ormai – recitava una vecchia canzone di Lucio Dalla – ma qualcosa ancora qui non va.» Se si volesse adattare il testo alle vicende di oggi, si dovrebbe cambiare almeno una parola: «qualcosa». Altro che qualcosa. Qui non va niente bene. Tanto per cambiare, dal 1° gennaio sono scattati una serie di aumenti: benzina e gasolio (ma il prezzo del petrolio non sta precipitando?), tasse automobilistiche, contributi previdenziali, alcolici, multe e un’altra mezza dozzina di voci, fino… all’acqua potabile. All’appello manca soltanto l’aria che respiriamo, ma non dubito che “il governo che ha tolto 18 miliardi di tasse” riesca prima o poi a porre rimedio a questa imperdonabile lacuna. Si continua, in sostanza, nella vecchia linea imbecille dei “sacrifici”; non comprendendo – o fingendo di non comprendere – che ogni centesimo di euro speso in più per tasse o servizi viene sottratto ai consumi. E se i consumi diminuiscono, il commercio arretra. E se il commercio arretra, l’industria di produzione e di trasformazione rallenta. E se l’industria rallenta, crescono i licenziamenti. E se crescono i licenziamenti, diminuisce la platea di quanti possono ancora fare dei “sacrifici”. È una specie di catena di Sant’Antonio. Va bene all’inizio; poi incomincia a perdere colpi; poi arranca; e alla fine, quando i soggetti che rappresentano gli ultimi anelli della catena non pagano più, salta tutto per aria. È un meccanismo semplicissimo, lapalissiano. Lo capirebbe anche un bambino. Ma lor signori sono troppo dotti e addottorati per percepire certi concetti elementari, certi principi basilari della meccanica dei fluidi, primo fra tutti il principio dei vasi comunicanti. E continuano perciò a sottrarre denaro dal circuito dell’economia nazionale per destinarlo al pagamento degli interessi sul debito pubblico: unica cosa che sta a cuore ai mercati, all’Europa e al Fondo Monetario Internazionale. È questo l’unico sistema di vasi comunicanti che i nostri illustri economisti conoscono: il grosso recipiente del sistema finanziario internazionale e il piccolo recipiente della nostra economia; in mezzo, il condotto che mette in comunicazione i due recipienti, e cioè il flusso degli interessi che sottrae risorse al contenitore più piccolo per riversarle nel grande calderone della speculazione finanziaria. È la ricetta vecchia, decrepita, mummificata che – imposta dal FMI, dall’OCSE e dagli altri cani da guardia della globalizzazione pro-americana – ha già ridotto sul

lastrico intere nazioni, dentro e fuori l’Unione Europea: penso alla Grecia, ma penso anche all’Argentina del 2001, costretta a dichiarare fallimento dopo una serie infinita di “riforme” ultra-liberiste. A proposito: sapete chi è stato, fino al 2005 il Direttore esecutivo per la Grecia (oltre che per l’Italia) del Fondo Monetario Internazionale? Risposta: il nostro attuale Ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. E sapete qual’è stata, a suo tempo, la prescrizione padoaniana per il risanamento dell’economia ellenica? Eccola, desunta fresca fresca dal libro di Enrica Peruchietti “Il lato B di Matteo Renzi” (Arianna editrice): «La Grecia si deve aiutare da sola. A noi spetta controllare che lo faccia e concederle il tempo necessario. La Grecia deve riformarsi, nell’amministrazione pubblica e nel lavoro.» I risultati del Padoan-pensiero sono sotto gli occhi di tutti. Adesso – ci scommetto – toccherà all’Italia. Anche noi dovremo aiutarci da soli, mentre il Fondo Monetario Internazionale controllerà e ci concederà «il tempo necessario». Anche noi dovremo riformarci, nella amministrazione pubblica e nel lavoro. Abbiamo cominciato con l’abolizione dell’articolo 18 per i nuovi assunti. Continueremo – vedrete – estendendo le “tutele crescenti” (cioè la precarietà istituzionalizzata) anche ai lavoratori in servizio. Lo hanno già fatto – appunto – in Grecia. Anche lì, naturalmente, per “attrarre investimenti”. Poco importa se, poi, gli unici investitori ad essere attratti siano stati un pugno di affaristi che hanno fatto shopping ad Atene a prezzi stracciati (e che non hanno creato un solo posto di lavoro). Il mancato rottamatore fiorentino, intanto, continua ad imperversare dagli schermi di tutte le tv di destra e di sinistra, sprizzando ottimismo da ogni poro, mentre i boy-scout e le vaghe fanciulle del suo entourage assicurano che sono in procinto di “cambiare l’Italia”. Anche qui vengono alla mente i versi di Dalla: «ma la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione, e tutti quanti stiamo già aspet-tando… ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno, anche i muti potranno parlare mentre i sordi già lo fanno… vedi caro amico cosa si deve inventare per poterci ridere sopra, per continuare a sperare.» E si, aveva proprio ragione Lucio Dalla. Malgrado tutto, si deve continuare a sperare, altrimenti la vita si ferma, altrimenti il futuro viene ucciso da un presente impazzito. Ma – aggiungo – chi opera nella politica, oltre che sperare, deve anche agire. Deve – soprattutto – opporsi alla rassegnazione, alla accettazione di tutti quei mali del presente che ci vengono indicati come “ine-

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Antropos in the world vitabili” e come “segno dei tempi”: il disastro climatico, la globalizzazione economica, la fine dello Stato sociale, l’invasione migratoria, la subordinazione ad una Potenza straniera, eccetera, eccetera, eccetera. Non è vero che “così va il mondo”. Il mondo (e con esso l’Italia) va così perché la “cupola” globale vuol farci credere che non sia possibile invertire la rotta. E invece è possibilissimo: basta trovare il coraggio per opporsi al “pensiero unico” ed al “politicamente corretto”.

Ma, ancòra una volta, mi sono lasciato prendere la mano e sono andato un po’ oltre. In fondo, questo articolo ha il solo scopo di formulare un augurio per l’anno che verrà. E, per il mio augurio, chiedo ancòra aiuto alle parole di Dalla: «e senza grandi disturbi qualcuno sparirà, saranno forse i troppo furbi e i cretini di ogni età.» MICHELE RALLO [Da “OPINIONI ERETICHE”]

DALLA REDAZIONE DI S. VALENTINO T.

LA TORRE EIFFEL

La Torre Eiffel è il monumento-simbolo di Parigi. E quando si pensa a Parigi si pensa subito alla Torre Eiffel e viceversa. La Torre Eiffel e Parigi rappresentano la meta preferita nei desideri di tutti i potenziali viaggiatori del mondo. Forse più che di un simbolo si potrebbe parlare di un mito. La sua particolare e slanciata silhouette è visibile da moltissimi punti della città e, in lontananza, condizioni meteorologiche permettendo, è visibile anche a distanza di 20/25 chilometri. La ”dama di ferro”, come è chiamata, è davvero apprezzata in tutto il mondo e non per nulla è il monumento più visitato: più di sette milioni all’anno. Fino ad oggi è stata visitata da ben 250 milioni di persone... La struttura è divisa in tre livelli. Al primo piano, quello più ampio, vi sono negozi di souvenirs e ristoranti. Si può salire a piedi ( chi ha il coraggio di affrontare questa prova sappia che sono circa 1700 gli scalini da salire) o in ascensore. L’ing. Eiffel percorse a piedi, il giorno dell’inaugurazione, con una bandiera della Francia in mano (che fu issata sulla sommità) tutti i 1700 scalini … I meccanismi degli ascensori attualmente usati sono gli stessi di quando fu costruita la torre nel 1889. Si calcola che in un anno gli ascensori percorrano 100 mila km ….. Per preservare la Torre occorre un’accurata manutenzione: ogni cinque anni occorrono circa 50/70 mila tonnellate di vernice e sedici mesi di lavoro! La Torre Eiffel può essere ammirata in tantissimi film, in tantissimi quadri, in tantissime cartoline e foografie; e per tanti turisti è il primo monumento da visitare appena giunti a Parigi. Di sera, ora, è illuminata, per cui è ancora più attraente. Dall’ultimo piano si gode un panorama unico, indimenticabile. E sempre all’ultimo piano vi è ancora la stanzetta riservata all’ing. Eiffel per ricevere i propri ospiti. Questa postazione è’ considerata, a ragione, il luogo ideale per promesse tra innamorati (quante di queste

promesse sono andate a buon fine, pur in uno scenario da sogno, non è dato sapere). La città è ai vostri piedi, la Senna lambisce il monumento e si può osservare, fotografare, riprendere tutto a 360 gradi. Si dice che il momento più romantico per una visita in cui si vuole letteralmente far presa sul partner sia un’ora prima del tramonto. Ma, attenzione: La punta della Tour Eiffel a causa del fenomeno della dilatazione dovuta a influenze climatiche fa brutti scherzi: Il sole la fa dilatare di circa 18 cm, mentre il vento la fa oscillare fino a 12 cm., ma, quando il vento è troppo forte, le visite sono interrotte o ridotte ai piani bassi. La Torre fu costruita nel 1889 in occasione dell’Esposizione Universale (oggi ha più di 125 anni!): esattamente 100 anni dopo la Rivoluzione Francese; la nuova repubblica voleva celebrare l’avvenimento in grande stile e, allo stesso tempo, dare una dimostrazione di “grandeur” di sè stessa . Così fu bandito un concorso in base al quale gli ingegneri dovevano “costruire sull’esplanade del Champ-deMars una torre di ferro, a base quadrata, lunghezza di m.125 per ogni lato, e alta 300 m.”Fu scelto il progetto dell’ing.Gustavo Eiffel e cominciarono i lavori che si protassero per due anni. All’epoca le costruzioni in ferro erano previste per grandi opere pubbliche, come capannoni, mercati pubblici, stazioni ecc. Il progettino, a cui parteciparono anche altri ingegneri e disegnatori, era composto di 5.300 disegni e i pezzi, assemblati da 132 operai, furono ben 18.000. La sua struttura ha un peso di 7.300 tonnellate, mentre il suo peso totale è di 10.100 tonnellate (è un po’ pesante questa leggiadra dama!); è composta da 2.500.000 bulloni e 18.000 pezzi di ferro. Nel 1898 sulla sommità della Torre fu installato un laboratorio meteorologico. Alcuni anni dopo si pensò di mettervi un trasmettitore per radio e telefono e oggi ospita un trasmettitore di programmi radiotelevisivi. L’ing.Gustavo Eiffel quando partecipò al concorso per la Torre aveva al suo attivo la costruzione di un

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Antropos in the world ponte (in ferro) a Bordeaux, la struttura dei negozi “Le bon marché” a Parigi, la struttura del liceo Carnot e la cupola dell’Osservatorio di Nizza, i negozi Berthier di Parigi ed altro ancora ( collaborò anche alla realizzazione della struttura interna della Statua della Libertà, che fu un dono dei Francesi agli Americani) . La Torre Eiffel restò per più di 40 anni la torre più alta del mondo; ed è ancora la più alta costruzione di Parigi. Poi è subentrato il cemento armato e, con i grattacieli si sono abbondantemente superati i 324 metri della nostra torre. Questo gioiello che tutto il mondo, giustamen-te, invidia alla Francia non ha avuto sempre vita facile e vi fu addirittura il pericolo di demolirla nel 1903 ( per la verità era stata costruita per l’Esposi-zione e, alla sua chiusura, doveva essere smontata). Meno male che non prevalse il comitato dei NO TORRE EIFFEL. In effetti scesero in campo moltissimi (tra scrittori, pittori, scultori, architetti, amanti della bellezza e della conservazione del gusto francese). I dardi di coloro che erano favorevoli si basavano sul successo di pubblico che subito arrise all’opera, sugli aspetti tecnici, non trascurabili, della torre ed ai numerosi esperimenti scientifici e di meteorologia, effettuati dalla sua sommità. Coloro che erano contrari a conservare quel monumento sostenevano che essa non si inseriva bene nel contesto monumentale circostante. Alcune stroncature al veleno di coloro che mal digerivano la torre: “Questo lampadario è proprio tragico”(Léon Bloy) “Questo scheletro di torre” (Paul Verlaine). Per finire ancora due notizie:1) La Torre Eiffel in una memorabile e autentica truffa fu venduta nel 1925; 2) La visita di Hitler alla Torre, durante l’occupazione tedesca. 1)La truffa. Totò in un famoso film riuscì a vendere ad un americano la Fontana di Trevi di Roma e fu una piccola truffa perché, aiutato anche da un complice (Nino Taranto), si limitò ad incassare solamente la somma prevista come caparra. Nel caso della Torre Eiffel la truffa fu portata incredibilmente a compimento. Ecco come andarono le cose. Nel 1925 un giornale francese pubblicò un articolo in cui si parlava di difficoltà economiche dell’ente che gestiva la Torre. Bastò questo per mettere in moto la mente del truffatore, il sig.Victor Listing, che, procuratisi dei documenti falsi del ministero incaricato della vendita, convocò con un invito segreto i sei più importanti commercianti di ferro della Francia, ai quali propose l’acquisto della Torre. Esibendo falsi documenti relativi alla procura a vendere che aveva ricevuto dal Ministero egli riuscì a far credere che il Governo era intenzionato, per Motivi economici, a smontare la Torre e rivendere, sempre in tutta segretezza, il materiale ferroso. Lo

sfortunato e ingenuo acquirente si chiamava André Poisson e come cognome nella storia della truffa ci sta proprio bene, considerando che “poisson” in francese significa “pesce”, si prese proprio un gran pesce d’aprile! Il truffatore, naturalmente, incassati i soldi, sparì dalla circolazione e fu arrestato solo nove anni dopo. Sempre per la cronaca, si racconta che il sig. Listing, l’ideatore della truffa, nella sua cella mise una fotografia della Torre Eiffel con la scritta: “Venduta per 100.000 franchi”. Veniamo alla visita di Adolfo Hitler. Siamo nell’anno 1940 e la Francia, come tanti altri stati europei,era stata occupata dai Tedeschi. Come in tanti turisti anche nell’animo gentile del sig. Adolfo si fece avanti la la voglia di visitare la Torre. I Francesi, pur di non dargli questa soddisfazione, disattivarono un congegno dell’ascensore con la scusa che, essendo in periodo bellico, non era stato possibile procurarsi un pezzo di ricambio. In effetti, se l’illustre ospite voleva salire sulla sommità doveva servirsi dei circa 1700 scalini da salire a piedi. Naturalmente, il sig. Adolfo dovette accontentarsi di ammirarla con il naso all’insù, come si vede nella foto.

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Vincenzo Soriente Nouvelles sur la Tour Eiffel Trecento metalmeccanici 18.038 pezzi di ferro forgiato, assemblarono. Due milioni e mezzo di bulloni ( sostituiti, durante la costruzione, con rivetti incandescenti) la unirono. E’ alta 324 metri con la sua antenna, con un peso di circa 8 000 tonnellate, ma di appena 15 metri discendono, al di sotto del livello del terreno le sue fondamenta. La struttura più alta del mondo, per 40 anni, è stata. Nelle giornate di vento la cima oscilla sino a 12 cm.

BRONTOLO IL GIORNALE SATIRICO DI SALERNO

Direzione e Redazione via Margotta,18 - tel. 089.797917


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IL TEATRO ROMANO a cura di Andropos

La parola commedia è tutta greca: κωμῳδία, "comodìa", infatti, è composta da κῶμος, "Kòmos", corteo festivo e ᾠδή,"odè", canto. Di qui il suo intimo legame con indica le antiche feste propiziatorie in onore delle divinità elleniche, con probabile riferimento ai culti dionisiaci . Negli ultimi decenni della repubblica, si assiste a una grande crescita di interesse verso il teatro, che ormai non coinvolge più solo gli strati popolari, ma anche le classi medie e alte, e l'élite intellettuale. Cicerone, appassionato frequentatore di teatri, ci documenta il sorgere di nuove e più fastose strutture, e l'evolvere del pubblico romano verso un più acuto senso critico, al punto di fischiare quegli attori che, nel recitare in versi, avessero sbagliato la metrica. Accanto alle commedie, lo spettatore latino comincia ad appassionarsi anche alle tragedie. Il genere tragico fu anch'esso ripreso dai modelli greci. Era detta fabula cothurnata (da cothurni, le calzature con alte zeppe degli attori greci) oppure palliata (da pallium, come per la commedia) se di ambientazione greca. Quando la tragedia trattava dei temi della Roma dell'epoca, con allusioni alle vicende politiche correnti, era detta praetexta (dalla toga praetexta, orlata di porpora, in uso per i magistrati). Ennio, Marco Pacuvio e Lucio Accio furono autori di tragedie, non pervenuteci. L'unica praetexta ("Octavia") giunta fino ai nostri giorni è un'opera falsamente attribuita a Lucio Anneo Seneca, composta poco dopo la morte dell'imperatore Nerone. Il massimo dei tragici latini si ritiene sia stato Accio, il quale, oltre a scrivere una quarantina di tragedie d'argomento greco, si avventurò nella composizione di due praetextae: Bruto e Decius, tratteggiando i caratteri di due eroi repubblicani romani. Seneca si distinse per lo spostamento del nodo tragico, dalla tradizionale contrapposizione tra l'umanità e le norme divine, alla passione autenticamente sgorgata dal cuore umano.

Marco Pacuvio: PROMETEUS

(fabula coturnata - circa 220-130 a.C.)

Nacque nel 170 a.C, da genitori liberti , E’ incerto il luogo di nascita: potrebbe essere nato a Roma ed essersi trasferito successivamente a Pesaro in occasione di una adscriptio novorum colonorum, oppure proprio a Pesaro, dove visse da giovane. Esordì come autore tragico nel 140 a Roma e le sue prime opere, pare, destarono invidia nell'allora più celebre letterato Pacuvio, più anziano di lui. Verso il 135 visitò Pergamo per poter meglio conoscere la cultura greca di quel periodo.Tornato a Roma divenne uno dei principali esponenti del collegium poetarum (Corporazione dei poeti), tanto da raggiungere una certa notorietà già attorno ai trent'anni. Attorno al 120 raggiunse definitivamente la fama proponendosi non solo come teatrante, come era invece ad esempio Plauto, ma come un grammatico che vive delle proprie opere. Fu quindi l'inizio di quel processo che ha portato il teatro ad essere considerato parte integrante della letteratura. TRAMA DELLA COMMEDIA –

è descritta la tortura inflitta a Prometeoda Giove: un rapace si nutre quotidianamente con il fegato del titano, destinato a ricrescergli per essere nuovamente dilaniato il giorno successivo. SINOSSI: Della tragedia ci rimangono per tradizione indiretta due frammenti: Il primo è citato da Nonio Marcello (XVII, 2): «… e mentre spicca il volo verso l'alto lambisce con la coda il nostro sangue ». Il secondo frammento, citato dal grammatico Prisciano (GLK, II, 210, 14): « …allora, battuto da raffiche di gelo invernale » Quest'opera fu scritta ad imitazione dell'omonima tragedia di Eschilo. È questo assieme a un lacerto del Giudizio delle armi l'unico brano di tragedia sicuramente connesso a Eschilo, in quanto la produzione ellenizzante della fine del II secolo a.C. gradiva maggiormente le sottigliezze del dramma Euripideo, ma da particolari

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biografici riferitici da Aulo Gellio (Noctes Atticae XIII, 2, 1) Accio volle confrontarsi con la tradizione del predecessore all'epoca più in vista, Marco Pacuvio, prima di cimentarsi su nuove strade. Il mito di Promèteo doveva trovare nuove fortune in un'epoca di virilità prorompente come il Rinascimento e l'età barocca.Ma più che nella poesia e nella tragedia trova raffigurazioni e apologie nella pittura.

ASSOCIAZIONE LUCANA “G. Fortunato” - SALERNO SEDE SOCIALE in Via Cantarella

(Ex Scuola Media “A. Gatto”)


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I FAGIOLI DELLA BUONANIMA Rocco, uno di quelle brave persone degne di ogni rispetto, era amato da tutti in paese; ma come capita spesso alle brave persone, anche lui fu colpito dalla sventura, restando vedovo dopo qualche anno di matrimonio. Ma nella vita vige la legge della compensazione e Rocco pensò di risposarsi; e, fortunato nella sventura, conobbe una brava ragazza con la quale convolò a nozze. Non sembrava vero al brav’uomo di aver ritrovato la felicità: Fifina, così la chiamavano tutti, era per il marito la miniera della gioia. Rocco era beato. Ogni sera, quando rincasava, non si doleva della stanchezza e, sorridendo, contemplava lo splendore del volto della cara mogliettina. Mentre era intento a consumare la minestra, che la nuova compagna con amore, premura e competenza preparava quotidianamente, Rocco, pensando alle sventure pregresse, non avrebbe mai immaginato di ritrovare la perduta serenità. Tra una cucchiaiata e l’altra non indugiava a trovare parole nuove inneggianti alle virtù dell’amore familiare. “Tesoro, cosa posso fare per dimostrare la mia gratitudine per le tante attenzioni che riservi alla mia persona? mi sollevi dalla stanchezza ed alimenti la speranza che il domani sia migliore dell’oggi”. Ogni giorno, durante il pranzo c’era l’encomio solenne che Rocco elevava alla bellezza femminile o alle virtù nascoste delle donne e ovviamente della sua donna. Fifina dal canto suo, pensando che ciò che faceva, era solo la parte dovuta alle sue mansioni, si scherniva e un giorno ebbe a dire: -Non vorrei ricordarti la situazione del passato, ma la tua prima moglie non faceva ciò che faccio io? Rocco raccolse con freddezza la frase e, dopo una pausa di silenzio, aggiunse: - Lasciamola riposare in pace: sì… ma la buonanima era un’altra cosa -. Da quel giorno gli elogi continuarono e furono più abbondati di quelli precedenti, ma contenevano un’aggiunta che, a mo’ di giaculatoria, si ripeteva alla fine di ogni frase: - Sì … Ma la buonanima era un’altra cosa -. Dopo un po’ non mancò la tirannia del tempo che manifesta, con modi opportuni ed inopportuni, il cinismo delle sue strategie: a Fifina non piaceva il ricordo della buonanima. Con queste premesse, Rocco domandò alla moglie: - Che te ne pare se io ti suggerisco il menu della settimana?Fifina si mostrò incline alla proposta e disse: - Cosa ti piacerebbe di più? La risposta fu immediata: “A me piacciono molto i fagioli con la pasta e, ti consiglio, se poi li fai raffreddare, diventano più saporiti e certamente se li accompagni con un po' di peperoncino e un sorso di vino, questo piatto di estrema semplicità, diventa una delle più squisite leccornie”. Il lunedì successivo Fifina, animata da buoni pro-

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positi si mise al lavoro per accon-tentare il marito. Quando Rocco rincasò domandò: -Hai preparato il piatto che ti avevo suggerito?Fifina rispose con un sorriso e, avvicinandosi al banco di cucina prese il paiolo con la minestra e distribuì nei piatti, quel boccone che avrebbe dovuto essere la felicità dell'autore della ricetta e dell'autrice della preparazione. Ma, ahimè, Rocco apprezzò il tutto e, come al solito, si lasciò andare alla fatidica espressione: -Hai preparato un bel bocconcino ma… si fa per dire, senza omettere alcunché al tuo lavoro, ma la buonanima era un'altra cosa-. Fifina era saggia e seppe incassare il colpo: un atteggiamento polemico non avrebbe cambiato la situazione. Ogni giorno Rocco a pranzo esprimeva il giudizio di valutazione su ogni pietanza e, come era da immaginarsi, la occulta presenza di uno spettro era la celata ossessione della povera donna che con amore, dedizione e tenerezza preparava il desinare per il marito. Ogni giudizio e ogni apprezzamento aveva la sua pena, perché mentre gratificava il marito ossessionava la moglie - Sì …ma la buonanima era una altra cosa-. Fifina, man mano che si velavano di grigio le tenerezze dei primi mesi del matrimonio, incominciò ad abbandonarsi. Non per una normale sciatteria, bensì per quella naturale posizione che è tipica nelle più banali abitudini femminili. Uno dei tanti lunedì Fifina preparava il piatto che piaceva al marito e mentre pensava di aggiungere alla ricetta qualche intingolo che potesse rallegrare il palato di Rocco, quasi avvilita, si lasciò cadere sulla sedia e pensò tra sé: -Ma chi me lo fa fare se poi il merito è sempre della buonanima?Bastarono pochi istanti perché la distrazione di Fifina fu fatale che il cibo si attaccò al fondo del tegame e quel tipico profumo di bruciacchiatura completò l'opera; la buona donna avrebbe voluto ripetere la preparazione del pranzo, ma di fatto mancava il tempo materiale perché il marito di ritorno potesse trovare la pasta e fagioli. Alla fine però concluse: "Ormai è fatta, vuol dire che il refrain non si ripeterà". Come al solito Fifina preparò il coperto per servire la minestra e iniziò il pranzo. Dopo il primo boccone Rocco si alzò dal tavolo per avvicinarsi a Fifina, la quale, temendo il peggio, era già pronta per andare in un'altra stanza. Non ci fu tempo utile perché Rocco in preda al delirio grido:-Fifina, tesoro, amor mio, finalmente hai preparato pasta e fagioli come soleva fare la buonanima!Egidio Siviglia


RAPSODIA ASININA

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Quelli cui fu imposta la Torah e che non seppero portarla s’assomigliano all’asino che porta i libri (Corano LXII,5) L’asino ha trovato celebrazione letteraria e biblica.Ecco una breve antologia di canzoni, preghiere e poesie sull’asino. L’asino è stato così prezioso per il contadino che per descrivere un lutto irreparabile si diceva: “Gli è morto l’asino” , ed ecco la famosa canzone calabrese di Mino Reitano: Ciucciu bellu Ciangitilu ciangitilu/ch’è mortu u ciucciu miu/ cussì ha vulutu Ddiu/e chi ‘nciavimu a ffà RIT: Cu ragghiu chi faciva/pariva nu tenori/ ciucciu bellu di stu cori/comu ti pozzu amà/ Quandu ragghiava faciva/ia ia ia/ciucciu bellu di stu cori/comu ti pozzu amà/ Avia nu sceccareddhu/ ch’era na cosa fina/si la facia ragghiandu/da sira a la matina/ RITORNELLO/Nu iornu immu a spassu/‘nci misi a brigghia d’oru/e ammenzu a ddhi signori/si misi poi a ragghià/RITORNELLO/ Quandu m’è morta moglima/ non ‘ndeppi dispiaceri/senza suspiri e lacrimi/ le ietti a sutterrari/RIT: Mò chi m’è mortu u ciucciu/ciangiu cu gran duluru ciucciu bellu di stu cori/ comu ti pozzu amà/ Quandu ragghiava faciva/ia ia ia/ ciucciu bellu di stu cori/comu ti pozzu amà/ Sulla leggenda “apprezzami l’asino” fu composta la seguente poesia: Da quando siamo al mondo/ trasportiamo di tutto a dorso colmo,/dal mare all’entroterra cilentano su sentieri che percorriamo piano piano./Adesso che ci incontriamo/in due non ci passiamo e qui l’apprezzamento subiamo!/“Ho un carico che vale poco/e il mio ardor di vita si fa fioco … I padroni han già deciso/uno dei due verrà ucciso./ Verrò buttato giù per il dirupo mazziato e pure cornuto”.

asina” (Gv 12,14) Cavalcato da Gesù per entrare in Gerusalemme sarebbe un discendente dell’asino che stava nella grotta a Betlemme) Sciocchi! Io pur ebbi l’ora mia solenne,/ ebbi un’ora fierissima e dolcissima, percosse un alto grido le mie orecchie,/e sui rami di palma camminavo. Anche il nostro vate della terza Italia gli dedicò un sonetto, forse uno dei meno conosciuti di Carducci, uno dei meno notomizzati dai suoi critici A UN ASINO Oltre la siepe, o antico pazïente,/De l’odoroso biancospin fiorita,/Che guardi tra i sambuchi a l’orïente Con l’accesa pupilla inumidita?/ Che ragli al cielo dolorosamente?/Non dunque è amor che te, o gagliardo, in vita?/Qual memoria flagella o qual fuggente/Speme risprona la tua stanca vita?/Pensi l’ardente Arabia e i padiglioni./Di Giob, ove crescesti emulo audace/E di corso e d’ardir con gli stalloni?/ O scampar vuoi ne l’Ellade pugnace/Chiamando Omero che ti paragoni/Al telemonio resistente Aiace? Le prerogative dell’Asino di Mons. Nicolò Antonio de Tura Non è abbietto animale. Ei quaggiù onusto/Sen’va d’onor, ch’è pien d’alto mistero;Altro giumento in ogni suo sentiero/Non volle Abram, ch’era amator del giusto. E il Redentor nel suo Natale Augusto/Pur seco il trasse in testimon del vero; E scelto di Maria fu condottiero,/Per fuggir con Gesù da Erode ingiusto. Parlò talor, e dal Ciel ebbe il fiato/Per Preghiera per andare in Paradiso insieme agli avvertire un Balaam, che giva A maledire i suoi da altrui chiamato./ Se così va: qual dunque sia stuasini di Francis Jammes Quando dovrò venire da Te, mio Dio,/che io pore che molti (anz’oggi al senno s’ascriva)/Diano agli Asini solo il primo onore. appaia al tuo cospetto in mezzo agli asini …

PREGHIERE DELL’ASINO Signore, ormai stiamo per scomparire …/Mi hanno detto che in Italia/Siamo rimasti in soli centomila. E’ vero, siamo semplici asini …/Però Omero ci ha cantati in versi sublimi;/Però Tu stesso uno di noi l’hai cavalcato!/Conservaci, Signore!/ Che sarebbe il Presepio senza asino? G.K. Chesterton sulla cavalcatura di Gesù a / Che sarebbe il mondo? Che in quel soggiorno di anime,/chino sulle tue acque divine io sia simile agli asini,/che specchiano/la loro umile e dolce povertà/nella limpidezza dell’eterno amore.Io lacero, bandito della terra,/vecchio testardo, storto e ostinato; /voi m’affamate e colpite e irridete. Muto, so custodire il mio segreto. Gerusalemme (Secondo un’antica tradizione il puledro figlio”di

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LE GROTTE E L’INSEDIAMENTO MEDIEVALE DI FAVIGNANA ( parte II ) L’ isola di Favignana forma con Marettimo e Levanzo l’arcipelago delle Isole Egadi, e trae il suo nome dal vento Favonio, lo Zefiro, che rende il suo clima particolarmente mite. Centro principale dell'isola e capoluogo dell'arcipelago, possiede un piccolo porto situato in una vasta baia dominata dal Forte di S. Caterina in cima all'omonimo monte1. Il Forte era un'antica postazione di avvistamento saracena, riedificata dal re normanno Ruggero II ed ingrandita in seguito, in epoca borbonica, per essere utilizzato come carcere (1794-1860). Fin dal paleolitico superiore, Favignana fu un rifugio sicuro per l'uomo, del quale sono state trovate evidenti tracce nei pressi delle grotte del Faraglione e nella grotta del Pozzo in zona S. Nicola. Attorno all'VIII secolo a.C., la stessa zona fu interessata da un insediamento fenicio la cui attestazione è tuttora riscontrabile dalla presenza di grotte ad uso abitativo e funerario. Le Egadi furono teatro delle celebri guerre puniche, che decretarono la supremazia dell'Impero Romano nei confronti del popolo cartaginese, con la conseguente conquista della Sicilia, che divenne a tutti gli effetti provincia romana. Verso la metà del III secolo a.C., infatti, i Romani ed i Cartaginesi si scontrarono per il dominio del Mediterraneo occidentale per la prima volta nello stretto di Messina. Era l’inizio della I guerra punica. I primi scontri videro in Roma la sola vincitrice sia a terra che in mare, ma successivamente, a seguito di alcune cocenti sconfitte, si arrivò ad una situazione di stallo. Dopo 22 anni dall'inizio della guerra i Romani costruirono una nuova flotta che sotto il comando del console Lutazio Catulo si diresse prontamente in Sicilia. I Cartaginesi accorsero con una flotta ancora più numerosa comandata dell'ammiraglio Annone. Quest'ultimo si mosse dall'isola di Marettimo verso le antistanti coste della Sicilia. Annone, che conosceva i movimenti della flotta romana, si nascose ad aspettare l'arrivo della flotta nemica nei pressi di Marettimo. L'ammiraglio sapeva che la flotta romana, di circa 300 navi lunghe, si era spostata dalle coste tra Marsala e Trapani fino a Favignana e, sapendo di non poter contare sull’elemento sorpresa per arrivare ad Erice, mentre Lutazio attendeva le sue mosse, scelse una rotta diretta per arrivare ad Erice, passando subito a Nord di Levanzo1. Questa scelta era vantaggiosa sia dal punto di vista della navigazione, perché più breve e meno pericolosa rispetto a quella tra le isole, che dal punto di vista mili-

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tare, perché la flotta avrebbe potuto manovrare facilmente e disimpegnarsi girando al largo in caso di attacco romano, cosa che puntualmente avvenne. La mattina dell’11 Marzo del 241 a.C. egli diede l’ordine di salpare, convinto che i Romani non avrebbero avuto il coraggio di muoversi dal sicuro approdo di Favignana per affrontare sia il mare in burrasca che una flotta determinata e con il vento in poppa. In realtà Lutazio Catulo, prima incerto sulla decisione da prendere, decise poi di affrontare il mare in burrasca e la navigazione contro vento, piuttosto che attendere condizioni di tempo migliori. Quindi, informato che la flotta cartaginese stava lasciando l’approdo di Marettimo, salpò come un fulmine, riuscendo a piazzare rapida-mente davanti al nemico tutta la flotta disposta su una unica linea e con la prua rivolta contro di lui. Quando i Cartaginesi si accorsero che i Romani stavano bloccando la loro traversata, ammainarono le vele e avvenne lo scontro. Le navi cartaginesi cariche e mal equipaggiate non reggevano il confronto con quelle romane e presto 50 navi vennero affondate e 70 catturate con tutto l’equipaggio. La flotta cartaginese sarebbe stata annientata completamente, se per loro fortuna il vento non avesse cambiato direzione verso Occidente. Annone diede allora l’ordine di alzare le vele ed il resto della flotta si diresse di nuovo a Marettimo. Il Console Lutazio Catulo vittorioso non ritenne opportuno inseguire il nemico e ritentare la sorte che gli era già stata così favorevole, ma invece fece rotta verso Marsala con le navi catturate e, secondo quanto racconta lo storico Polibio, 10.000 prigionieri. Secondo altri storici posteriori, nella battaglia morirono circa 15.000 uomini per parte, i Romani persero 12 navi ed i Cartaginesi addirittura 125. Alla caduta dell'Impero romano seguirono le molteplici invasioni da parte delle popolazioni barbare (440 a.C.) e più tardi quella dei saraceni, artefici delle prime torri di avvistamento poste sul Monte S.Caterina, poi trasformate in fortezze da Ruggero II, re dei normanni. Nel XIV secolo, al regno degli angioini, subentrò quello degli aragonesi, durante il quale Favignana dovette spesso subire insurrezioni, prigionie e soprusi dovuti alla cattiva amministrazione dei governanti. Dott.ssa Paola LEO _________________ RACHELI 1979; MAURICI 2005, pp. 221-229, in particolare 221: si tratta della sintesi storico -archeologica più esauriente, alla quale rinviamo per il quadro complessivo e per la discussione puntuale della bibliografia.


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(RAPSODIA ASININA, di R.Nicodemo, continuazione da pag. 7) C’è sempre bisogno di qualche asino/Che tiri avanti in silenzio/Sena farsi vedere in televisione; C’è sempre bisogno di qualche asino/Che sappia solo dare, /E mai prendere, mai rubare! Signore, salva questi asini: /Sono essi che ancora una volta/Salveranno l’Italia! ******* Gesù, guarda i i miei piedi fissati sulla terra/e le mie orecchie dritte verso il cielo./Dammi un dorso coraggioso per sopportare i pesi,/e una voce possente per farmi sentire./Dammi la forza di avanzare sicuro, sprezzando carezze e bastonate./Io non saprò evitare di sicuro certe asinerie:/fanno parte di me. Ma Gesù, con la tua grazia, fammi camminare con te, /da Betlemme a Gerusalemme./Con te, per te e con tutti i miei fratelli. /Amen Signore, mi hai creato asino:/sia fatta la Tua volontà./Ma Ti prego, non darmi un padrone Che sia più asino di me! Io … e il mio asino di Cesare Pascarella ‘Na vorta ‘no scurtore de cartello,/Doppo fatto un Mosè ch’era un portento, Je disse: “Parla” e lì co’ lo scarpello/Scorticò sur ginocchio er monumento. Io pure mo che ho fatto ‘st’asinello/provo quasi lo stesso sentimento; Ma invece d’acciaccallo còr martello/Lo licenzio co’ ‘sto ragionamento: Fratello! In oggi, ar monno, senza ciarla,/Starai male dovunque te presenteno;

Dunque, per cui, si vôi fa’ strafa, parla./ E parla, ché si parli, sur mio onore, Còr fisico che ci hai, come te senteno,/Si tu parli, te fanno professore. Ci piace concludere questo articolo riportando qualche curiosità su questo quadrupede: - I pagani,com’è dimostrato da un graffito del Palatino, accusavano i cristiani di adorare un asino crocifisso (onolatria). - Si vuole che quando Cristo scese dall’asino dopo essere entrato in Gerusalemme gli lasciò un ricordo indelebile, quella specie di croce nera sulla groppa che tutti gli asini portano. - Pare che fosse stato un asino a insegnare all’uomo a potare la vite. Una volta un asino entrò in una vigna, ghiotto dei tralci teneri, cimò le viti di parecchi filari, scorpacciata che gli costò una solenne bastonatura. Alla vendemmia, però, il contadino si accorse che le viti brucate dall’asino avevano molto più frutto delle altre. Da allora si capì che per avere più frutto le viti debbono essere potate. Da qui il proverbio “ L’asino pota e Dio fa l’uva” e l’usanza di seppellire gli asini nelle vigne. - Il protettore di questi animali è sant’Antonio da Padova, perché un asino lungo la strada s’inginocchiò davanti a lui col Santissimo Sacramento, mentre molte persone rimasero indifferenti. - (3.continua)

Η Βενετία, η παγκόσμιος πόλις της ειρήνης, η πρωτεύουσα της cultura και της arte, πλουσιωτάτη εις Βιβλιοθήκας και Αρχεία, με την περίφημον Μαρκιανήν και τα ιστορικά κείμενα και χειρόγραφα και τους παλαιφάτους κώδικας, υπήρξε και χθες –σήμερον- αληθινή Οικουμενική Πόλις, η οποία δέχεται χιλιάδας κόσμου. Venezia, la città della pace nel mondo, la capitale della cultura e dell’arte, molto ricca di biblioteche e archivi, con il famoso Markianin e testi storici e manoscritti e codici […] vera Universal City, che accetta migliaia di persone, da tutto il mondo.

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IL RACCONTO DEL MESE:

TOMMASO GUARDATI

( II parte )

Da “Masuccio in teatro”di Franco Pastore - ISBN IT\ICCU\NAP\0646027 – pag.14-16 Presso le Librerie universitarie di Padova, Pavia, Napoli, Modena e Roma

Nessuno dei figli del Guardati ebbe prole e con essi ed il nipote Gian Roberto, l'unico figlio del fratello Francesco, si estinse il ramo salernitano dei Guardati. Come si evince dal tono di Francesco Del Tuppo, nella lettera dedicatoria, premessa alla sua stampa, nel 1476, l’autore a quel tempo doveva essere già scomparso. Dunque, il Masuccio morì intorno al 1475, amareggiato dai pessimi rapporti col nuovo signore di Salerno, che però non causarono la sospensione al lavoro di segretario. Fiore sposta la data al 1480, fidandosi solo del documento in cui i figli si dividono l' eredità (8 genn. 1480, cfr.Mauro,1926, p.36), compreso il giuspatrotronato sulla chiesa di S.Maria de Alimundo cui Vincenzo, entrato nell'Ordine dei domenicani le novelle XI-XV trattano di adulteri avventurodi Napoli, rinunciò, a favore dei fratelli, Loise samente commessi sotto il naso di mariti gelosi, avidi di denaro e stupidi; le novelle seguenti raced Alferio. Alla fine, venne tutto confiscato da Antonello contano di beffe, furti e truffe monetarie Sanseverino l'8 gennaio 1496, per la irriducibile particolarmente abili perché ai danni di persone di fedeltà dei Guardati alla dinastia aragonese. livello sociale e intellettuale elevato. Il corpo di Masuccio fu sepolto probabiLa novella XIX è una beffa sui generis, in cui il lmente nella chiesa di S. Maria de Alimundo. Sulla protagonista, un mercante, perde il suo carico di tomba fu inciso l'epitaffio composto in suo onore dal giubboni per paura di essere inseguito da un Pontano, ma la lastra ben presto scomparve. condannato all'impiccagione, scambiato per un L'influenza del Decamerone sul Novellino "morto vivente". del Masuccio si avverte sia sul piano strutturale, Il titolo del terzo gruppo annuncia che "il che nello stile sintat-tico e narrativo. L’opera defettivo muliebre sesso serà in parte crociato": raccoglie cinquanta novelle, la metà di quelle "in parte" perché le novelle anti-femministe, alcudel Decame-rone, divise anch'esse a gruppi di ne di una grottesca violenza,sono solo cinque. Il dieci e le cinque parti riassumono a grandi linee tema comune è la libidine femminile, irrefrenagli stessi temi del modello. bile, irrazionale ed inquietante, che spinge donne, Il primo gruppo contiene "alcune dete- anche di alta condizione sociale, a giacere con stande operazioni di certi religiosi",ovvero truf- nani, mori, schiavi neri e perfino con il proprio fife, beffe e adulteri architettati da preti, frati o glio (XXII, XXV, XXVIII). suore (II-IV, VI, IX). Nella metà dei casi però le Diverso è il tenore delle altre cinque novelle, azioni finiscono male (I, V, VII), i religiosi sono in cui le donne dimostrano accortezza e astuzia truffati a loro volta (X) o, in un empito di sin- negli amori illeciti (XXVI, XXIX, XXX), o cocerità, ammettono la loro invidia per chi può go- raggio virile nel cercare vendetta al tradimento dere senza impacci delle donne (VIII). subito dallo amante (XXVII); nella novella XXI, Il secondo gruppo tratta "beffe e danni infine, il tema è quello di un onorevole sodalizio per gelosi ricevuti e altri piacevoli accidenti", maschile che ha la meglio sulla passione amorodiviso in due sottogruppi di cinque: sa. (Continua) - 10 -


Antropos in the world DA TRAPANI

GLI STATI NON POSSONO CREAR MONETA, LE BANCHE SI

Strana società, quella dei nostri giorni. E per “società” intendo quel complesso di regole che scandisce la vita dei popoli e delle nazioni. Strana società – dicevo – è la nostra, che vede gli Stati, ricchi e poveri, incapaci di provvedere con mezzi propri anche alle più elementari esigenze dei propri cittadini. Ogni cosa (dall’alimentazione alla sicurezza, dalla sanità all’edilizia pubblica, dai trasporti alla istruzione, dalla tutela ambientale alla difesa militare) ha i relativi costi; e questi costi possono essere affrontati, oltre che con l’imposizione fiscale, solamente con denaro che gli Stati non possono creare, ma che devono necessariamente farsi prestare dalle banche private. Tutti gli Stati, sostanzialmente, anche quelli che hanno l’illusione di avere ancora una propria “sovranità monetaria”. Prendete gli Stati Uniti d’America – per esempio – il cui governo ha, proprio in queste settimane, immesso sul mercato interno una gran quantità di danaro “fresco”. Ebbene, quel denaro non lo ha stampato il governo degli Stati Uniti, ma la FED, la Federal Reserve, cioè la banca “centrale” che lo ha poi prestato al governo. Malgrado la ambigua denominazione di “centrale”, infatti, la Federal Reserve è una banca privata, posseduta da un azionariato composto da banche private americane e straniere. Per l’esat-tezza (dati del 1992): le americane Goldman Sachs, Kuhln Loeb, Lehman Broters, Chase Manhattam, l’inglese Rotschild, la tedesca Warburg, la francese Lazard, ed una misteriosa – per me – Banca Israel Moses Seif con sede a Roma.(1) Certo, i popoli europei avvertono in modo particolare il problema, perché hanno perduto la sovranità politica (non soltanto la monetaria) a beneficio di una struttura sovranazionale quale è l’Unione Europea. Ma gli altri popoli del mondo non stanno messi molto meglio, perché tutti o quasi hanno rinunziato al diritto-dovere di creare il proprio denaro, delegandolo a banche private, pudicamente indicate come “centrali”. Così facendo, gli Stati non hanno solamente regalato a pochissimi soggetti privati la possibilità di arricchirsi a dismisura sulla pelle dei popoli, ma – cosa forse più grave – si sono consegnati anima e corpo alla finanza interna zionale, accettando di farsi dettare da questa le regole della vita sociale interna, oltre che le linee della propria politica estera. Pena, la destabilizzazione delle proprie economie nazionali. Se oggi la Russia di Putin – per esempio –

disobbedisce ai voleri dei poteri forti, i “mercati” decretano la perdita di valore del rublo, con ciò provocando anche una crisi economico-sociale interna al paese. Se, a suo tempo, l’Italia di Berlusconi – per fare un altro esempio – comprava petrolio dalla Russia e dalla Libia, ecco che i “mercati” – sempre loro – determinavano una crescita anomala del famigerato spread, con ciò incidendo pesantemente sui no-stri equilibri sociali. Ma – mi si obietterà – non è stato sempre così? Nossignore, non sempre e, comunque, non in maniera così totale e asfissiante. La guerra delle banche (e mi riferisco ovviamente alle grandi banche “d’affari”, non alle normali banche commerciali) per impossessarsi del potere politico dura da secoli, con vicende alterne. Si pensi che la capostipite di tutte le banche “centrali”, la Banca d’Inghilterra, è in attività sin dal 1694: da sempre in mani private, nel 1946 venne stranamente nazionalizzata, per essere poi riprivatizzata nel 1997, a sèguito di una riforma invocata a gran voce dal mondo della finanza. Lo stesso tipo di riforma che nel 1993 fu attuata in Italia, privatizzando la Banca d’Italia che il regime fascista aveva nazionalizzato nel 1936. Eppure, stranamente, nessuno sembra scandalizzarsi per l’enormità di questa aberrazione. Pensate: gli Stati rinunziano al potere di creare denaro, e tale po-tere attribuiscono a dei soggetti privati. E non solo. Ma – cosa ancora più grave – lasciano decidere a quei privati quali debbano essere le direttrici della politica economica e sociale: se si debba assumere o licenziare, aumentare o diminuire la pressione fiscale, se incentivare la spesa pubblica o gli investimenti, se fare o non fare questa o quell’altra riforma. E ancòra, sommando obbrobrio ad obbrobrio, per finanziare le proprie spese istituzionali gli Stati si fanno sovente prestare il denaro occorrente dal sistema bancario privato (banche centrali o banche d’affari, non fa molta differenza), ed a quel sistema finanziario pagano cospicui interessi, sottraendo tali somme alle necessità del governo. Dopo di che, naturalmente, gli Stati diventano ostaggio del “debito pubblico” contratto con la finanza speculativa. Non solo l’Italia, naturalmente. Se il nostro debito pubblico è pari a circa il 120% del PIL, quello della media europea è più o me-no dell’85%, quello degli Stati Uniti del 105%, quello del Giappone addirittura del 210%. E siamo soltanto all’inizio di questa serie di paradossi. Perché il sistema finanziario dal quale gli Stati

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Antropos in the world attingono il denaro in prestito è drogato – se così posso dire – dalla presenza di una grande quantità di titoli derivati, cioè – sostanzialmente – di denaro virtuale, che non esiste: carta straccia creata dal nulla, senza che il sistema finanziario detenga un controvalore reale. Una volta, gli Stati potevano stampare moneta solamente in quantità corrispondente (o comunque proporzionale) alla riserva aurea posseduta. Poi, alla fine della seconda guerra mondiale, venne creato un sistema economico globale che si basava sul primato del dollaro (unica valuta ammessa per il commercio delle materie prime) e sulla sua convertibilità in oro. Poi, infine, nel 1971 gli USA decretarono (e gli Stati vassalli disciplinatamente accettarono) la fine della convertibilità delle altra valute in dollari e della convertibilità del dollaro in oro. Allora, quando le folli spese militari avevano assottigliato la riserva aurea di Fort Knox, gli Stati Uniti pensavano bene di far pagare al mondo intero i loro guai economici, e quindi abolivano, insieme al sistema dei cambi fissi, anche l’ancoraggio delle monete a quella misura di ricchezza reale che è l’oro. Da quel momento, teoricamente, ognuno poteva stampare moneta a volontà, sol che riuscisse a mantenere un rapporto accettabile nella “fluttuazione dei cambi”. Chiedo scusa per questa lunga digressione, necessaria tuttavia per comprendere che – dal 1971 in poi – per “fabbricare” denaro non è più necessario detenere un corrispettivo reale, cioè una riserva di oro o di altri metalli preziosi. E, tuttavia, gli Stati non hanno mai abusato oltre una certa misura della possibilità di creare moneta, preoccupati di non alterare gli equilibri della fluttuazione. Non così la finanza speculativa, che – soprattutto dall’inizio degli anni ’90 – ha cominciato a battere, di fatto, una propria moneta: non una moneta convenzionale, naturalmente, ma quella che gli esperti chiamano “finanza derivata” e che si sostanzia nella emissione di titoli privi di reale consistenza. Michele Rallo

DOVEROSE CONSIDERAZIONI dalla MENSA DI TOMMASO Quando il cuore di un uomo è più grande della sua ricchezza, allora gli effetti dell’amore arrivano lontano e curano gli animi dalla disperazione, lo spirito dal silenzio delle istituzioni, rinnovando la fiducia nel genere umano. Ciò è successo attualmente, con la offerta di persone generose alla mensa di Tommaso, che non offre solo cibo per i corpi, ma pillole di speranza, a tutte le famiglie, che, tacitamente, sperano nella luce del bene e nel conforto di una eco di solidarietà, da noi, da voi, dall’universo umano che ci circonda. Allora,è doveroso dirvi:- Grazie! a nome di noi tutti della mensa e di quelli che, silenziosamente mangiano e ringraziano Dio. Don Flaviano Calenda

Γίγνωσκε καιρόν. Ghìgnōske kairòn Riconosci il momento giusto! di Pittaco di Mitilene. La versione latina è

Pagani, Don Flaviano tra i suoi ospiti alla Mensa

Tempus nosce

di Tommaso. Una realtà che fa onore a che l’ha realizzata ed alla città che la ospita e la sostiene, con generose offerte quotidiane. - 12 -


Antropos in the world

DALLA REDAZIONE DI BERGAMO:

DI IMMORTALE C’E’ SOLO LA SATIRA “Menippus ille nobilis quondam canis hic liquit nomine omnes in terra pila” “Menippo, il cane una volta famoso, qui lasciò tutti gli uomini su quella palla che è la terra” ( Marcus Terentius Varro, Saturae Menippeae, Fr. 519 – 333, 21)

“Castigare ridendo mores”, ossia “Colpire i vizi sorridendo”: questo lo scopo dichiarato della satira di Orazio (poeta latino di età augustea), con riferimento al genere della “satura” letteraria, una forma d’arte che nasce nella cultura antica all’insegna del realismo, della varietà dei temi e dei linguaggi, per la rappresentazione della realtà quotidiana e per la critica, spesso feroce e spregiudicata, dei vizi degli uomini e della società. I Romani distinguevano due tipi di satira latina:  la satira in versi di Lucilio, Orazio e Persio;  la satira menippea, introdotta a Roma da Marco Terenzio Varrone, ma inventata in Grecia dal filosofo cinico Menippo di Gadara, nel III secolo a.C. Se Quintiliano ( maestro di retorica in età flavia, nato nel 35 d.C. e morto nel 96 d.C,) afferma l’autoctonia del genere satirico a Roma ( “Satura tota nostra est”, ossia “La satira è tutta nostra” ), la critica moderna ha indagato se mai esistessero modelli greci della satira latina. Si è pensato all’epos satirico, alla commedia, al mimo, all’antico giambo, alla diatriba cinica e all’epigramma, ma non si è riusciti a far derivare la satira latina da un preciso genere letterario greco. Il termine “satura” ha certamente un’origine latina, ma presenta una curiosa etimologia, ancora oggi controversa. Diomede, grammatico nel IV sec.d.C., offre diverse possibili spiegazioni in senso etimologico del termine “satura”:  “a saturis”, perché in questo genere di poesia vengono dette cose buffe ed oscene, come fanno i satiri greci. Questa è certamente una falsa etimologia, ma interessante per il collegamento con il carattere licenzioso e comico dei satiri greci, esseri mitologici metà umani e metà caprini, in riferimento al tema del riso, come momento catartico e liberatorio;  satura si può far derivare da “lanx satura”, ossia il “piatto misto” di primizie di campo e di orto, che veniva offerto nel tempio agli dei a; - 13 -

scopo rituale;  satura può provenire dall’espressione “a quodam genere faciminis”, ossia un ripieno gastronomico farcito di molti ingredienti, chiamato “satura”, secondo quanto scrive Varrone (“La satura è fatta di uva secca, noccioli d’orzo e pignoli aspersi di miele; alcuni ci aggiungono anche le melagrane”): si pensa ad un pasticcio o ad un ripieno fatto di vari ingredienti, per esempio di selvaggina;  satura può derivare da “lex per saturam”, ossia un provvedimento giuridico che comprendeva molte disposizioni di legge, con riferimento alla varietà dei temi trattati. Oggi non sappiamo ancora quale di queste possa essere l’etimologia vera – anche se la più attendibile sembra essere quella di derivazione dal linguaggio gastronomico - ma possiamo con certezza affermare che l’origine del termine “satura” sia all’insegna della varietà ed eterogeneità delle forme (prosa e versi, metri di vario tipo) e dei temi trattati (sfoghi personali, scene di vita quotidiana, riflessioni morali e politiche, considerazioni letterarie, attacchi feroci agli avversari). Insomma, una forma d’arte antichissima, ispirata alla libertà dei motivi e dei linguaggi, espressione fra le più alte della nostra libertà di pensiero e di parola, come tratto caratteristico della nostra civiltà letteraria e della nostra cultura occidentale. Maria Imparato

 "Il carattere è il destino dell'uomo." , perché così forgia il proprio destino, affermava Eraclito. «Faber est quisque fortunae suae.», ripeteva Sallustio.


Antropos in the world LA DONNA NELLA STORIA - A cura di Andropos -

GIOVANNA LA PAPESSA « D’allora st’antra ssedia sce fu mmessa / pe ttastà ssotto ar zito de le vojje / si er pontefisce sii Papa o papessa » Giuseppe Gioacchino Belli

Secondo quanto tramandano voci antipapali del medioevo, la papessa Giovanna era una donna inglese, educata a Magonza che, per mezzo dei suoi convincenti e ingannevoli travestimenti in abiti maschili, riuscì a farsi monaco con il nome di Johannes Anglicus per poi salire al soglio ponti-ficio, alla morte di Leone IV (17 luglio 855), con il nome di Giovanni VIII. Sempre secondo la leg-genda, a Giovanna succedette papa Benedetto III, che regnò per breve tempo, ma si assicurò che il suo predecessore venisse omesso dalle registrazioni storiche. Benedetto III si considera abbia regnato dall'855 al 7 aprile 858. Il nome papale che Giovanna assunse venne in seguito utilizzato da un altro papa Giovanni VIII (pontefice dal 14 dicembre 872 al 16 dicembre 882). La papessa non praticava l'astinenza sessuale e rimase incinta di uno dei suoi tanti amanti. Durante la solenne processione di Pasqua nella quale il Papa tornava al Laterano dopo aver celebrato messa in San Pietro, mentre il Corteo Papale era nei pressi della basilica di San Clemente, la folla entusiasta si strinse attorno al cavallo che portava il Pontefice. Il cavallo del Papa, impaurito, reagì violentemente provocando a "papa Giovanni" un travaglioprematuro. Scopertone il segreto, la papessa Giovanna fu fatta trascinare per i piedi da un cavallo, attraverso le strade di Roma, e lapidata a morte dalla folla inferocita nei pressi di Ripa Grande. Fu sepolta nella strada dove la sua vera identità era stata svelata, tra San Giovanni in Laterano e San Pietro in Vaticano. Questa strada, poi, fu evitata dalle successive processioni papali, anche se quest'ultimo dettaglio divenne parte della leggenda popolare, nel XIV secolo, durante la cattività del papato ad Avignone, quando non c'erano processioni papali a Roma. In altre versioni, come quella riportata nella cronaca di Martino di Troppau, la papessa Giovanna sarebbe morta subito al momento del parto, mentre, secondo altri, una volta scoperta, sarebbe stata rinchiusa in un convento. Di qui, deriverebbe il rito dell’”accertamento penis” che precederebbe la elezione del pontefice, per assicurarsi che non fosse una donna travestita.

Il rito era il seguente: l nuovo papa veniva fatto sedere su una sedia di porfido rosso, nella cui seduta era presente un foro. I più giovani tra i diaconi presenti avrebbero avuto il compito di tastare da sotto la sedia, onde assicurarsi della presenza degli attributi virili del nuovo papa. Nel riscontro positivo, uno dei diaconi esclamava a gran voce: - Virgam et testicolos habet! – - Deo gratias! – rispondevano in coro gli astanti. Paradossalmente furono degli studiosi calvinisti a dimostrare in modo inequivocabile, già verso la fine del Seicento, la mancanza di fondamento della vicenda di Giovanna. Espulsa dalla storia, la papessa ha continuato a vivere nelle polemiche anticattoliche e nella letteratura anticlericale dei secoli successivi. Ora approda al cinema, sulla scia di un pregiudizio anticattolico negli ultimi tempi facile e redditizio. In effetti, verso la metà del Duecento si svilupparono a Metz, in Francia, delle accese dispute tra i sostenitori del potere imperiale e i fautori della supremazia del papa, una versione transalpina dei nostri guelfi e ghibellini. Tra questi ultimi, peraltro,non mancavano i religiosi e fu proprio il domenicano Jean de Mailly a redigere la prima versione scritta di una storiella, che tra la gente circolava già da alcuni decenni: appunto la storia di una papessa.

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ANNA BURDUA DA ERICICE

IL COMPLESSO SAN ROCCO Quando, nel 1570, scoppiò a Palermo una Il Beneficiale di quella Chiesa dispose anche terribile pestilenza della durata di circa sei anni che, esauriti i fabbisogni delle messe e il salario e che costò tante vittime, gli Ericini impauriti del sacrista, tutto il resto fosse destinato alle fanche un evento così disastroso si estendesse anche ciulle in questione. Nel 1811 Vincenzo Leone, nella loro Città, fecero il voto che, se fossero ricco massaro ericino, ingrandì a proprie spese rimasti immuni da quel flagello, avrebbero fon- il Conservatorio; l’adornò e l’abbellì con la dato nella loro Città una chiesa intitolata ai Santi costruzione di una cappella in onore di San Giuprotettori Rocco e Sebastiano. La costruzione seppe lasciando alla stessa Chiesa sei onze cominciò nel 1610 e sembra che nel corso degli annue per la celebrazione della festa ed inoltre anni sia stata anche ingrandita; il completamento fece costruire un appartamento separato per le avvenne comunque nel 1625. La chiesa era a donne “sviate”con dormitorio sorvegliato; provtre navate divise da quattro colonne. Oltre all’al- vedeva infine al mantenimento, alla ricreazione tare maggiore altri sei altari. Il primo a destra in ed allo sposalizio delle sue congiunte fino al settela ed olio era dedicato a Sant’Anna, il secondo timo grado di parentela. Altri lasciti testamentari in tavola ed olio a San Giuseppe, il terzo una si registrarono nel corso degli anni che servirono statua in legno dedicata a San Sebastiano. Il pri- soprattutto ad ampliare il Conservatorio di altri mo altare a sinistra era dedicato a San Gaetano e saloni e camere oltre che di un altro piano. Nel quello seguente, una tavola ad olio, a San 1915 il Conservatorio si estinse e l’edificio fu Raffaele . A sinistra dell’Altare Maggiore l’alta- permutato al Comune dalla Congregazione di re di San Rocco con una bella statua in legno Carità che in cambio riceveva l’ex Monastero dello scultore ericino Pietro Croce. Nell’Altare delle Clarisse in San Pietro. L’Istituto da quei Maggiore una statua del Santissimo Crocifisso; locali fu trasferito a quello del San Pietro munel tempo gli altari furono abbelliti con stucchi e tando la propria denominazione. Ciò spiega la decorazioni e ricoperti di marmo come pure la scritta sul portale “Istituto San Rocco” nonopavimentazione, rifatta con mattoni stagnati di stante l’edificio con la chiesa adiacente è ricodisegni vari. nosciuto come complesso San Pietro. Oggi, il Nel 1636 un francescano fra’ Matteo Curatolo Convento è sede del Polo Museale dove si tendecise di fondare attiguo alla Chiesa un piccolo gono anche convegni, mostre, conferenze e la convento. Il convento però ebbe poca durata per chiesa è stata adattata Teatro denominato Gebel effetto di un Breve di Innocenzo X del 1658 che – el – Hamid il nome dato ad Erice dagli Arabi sopprimeva tutti i piccoli conventi. durante la loro dominazione. A. Burdua Nel 1752, il Vescovo di Mazara don Giuseppe Stella fece costruire su quell’edificio un Conservatorio per donne penitenti e vi aggregò la Chiesa. Il Conservatorio viveva di elemosine dei fedeli, delle rendite del Comune e della Chiesa e di persone caritatevoli ed accoglieva fanciulle povere delle quali inizialmente si prendeva cura Ma non una seconda volta la volpe una pia donna ericina, Anna Curatolo. Altre don[sarà presa al laccio]. ne nobili e generose verranno in aiuto del Conservatorio mediante legati perpetui a sostegno Cioè: delle fanciulle da marito. Non si rifà due volte lo stesso errore. Ogni due anni nella Chiesa del Carmine venivano estratte a sorte una o più fanciulle che potevano beneficiare di 15 onze per il matrimonio. - 15 -

Ἀλλ' οὐκ αὖθις ἀλώπηξ [πάγαις ἁλώσεται].


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PROVERBI E MODI DI DIRE - OVVERO ELEMENTI DI PAREMIOLOGIA 1. Acqua passata nu’ macina cchiù grano. 2. L’amico ‘e tutti n’è amico ‘e nisciùne. 3. Chi capisce, patisce.

Implicanze semantiche:

nisciùne: nessuno, da neminis unus capisce: avaro,da carestia, chi con-

Ciò che è passato perde la sua attualità. Chi mostra amicizia a tutti, non è amico di nessuno, così come il capire le cose, a volte, reca sofferenza e disagio. Riflessio: Sono proverbi antichissimi, che ritroviaEsplicatio:

mo nel mondo greco e latino. Fraseologia:

L’amicìzia è sacra e non si da a tutti. Chi trova un amico trova un tesoro. Lo stupido gode della sua ignoranza.

serva per sé, eccessivamente, timoroSirica Dora so della povertà. Patisce: soffre, dal latino patior – iris = soffrire. Da cui paziente, colui che soffre. Antropologia:

Il seme dei tre proverbi è chiaramente espresso in latino: Amicus certus in re incerta cernitur L’amico vero si vede nei momenti incerti. Amicus omnibus, amicus nemini (est). L’Amico di tutti, (è) amico di nessuno

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LA PAGINA MEDICA: a cura di Andropos

LE MALATTIE DELL’INVERNO Con il termine “malattie invernali” si intendono le patologie da raffreddamento. In genere la gente si lamenta di una possibile “tendenza ad ammalarsi” che talora è effettivamente pre-sente, La società attuale utilizza l'antibiotico praticamente in qualsiasi situazione di febbre, dimenticando che la febbre è solo un sintomo ed esprime la reazione di un individuo verso alcuni agenti che lo hanno aggredito. L'antibiotico è un'ottima arma, e in alcune rare occa-sioni può essere utilizzato efficacemente, ma va ricordato che esso agisce solo sui batteri e sulle patologie che derivano dalla loro azione (polmoniti, broncopolmoniti, tonsilliti batteriche), ma non agisce assolutamente sui virus, che sono invece la causa di più del 90% delle malattie invernali (raffreddori, tracheiti, laringiti, faringiti, ecc., anche con febbre). Inoltre i possibili danni da antibiotici sono sempre più evidenti, e la somminiztrazione di antibiotici inutili rischia di diventare criminale.In compenso la stanchezza intensa e la debilitazione dopo l'influenza possono invece essere state causate dall'antibiotico stesso, che ha alterato la normale flora microbica dell'individuo, riducendo inoltre la sua capacità difensiva verso altre eventuali infezioni. Un bellissimo lavoro inglese sulle malattie da raffreddamento dei bambini precisa che tra due gruppi di bambini si è fatta una distinzione trattando in caso di malattia un gruppo sistematicamente con gli usuali antibiotici, il secondo gruppo solo con antifebbre, in caso di effettiva necessità, lasciando che l'infezione e la malattia seguissero il loro corso naturale; questo per tutta una stagione invernale. L'anno successivo i bambini trattati con antibiotici si sono riammalati con la stessa frequenza delle stesse malattie, mentre quelli non trattati hanno dimezzato le loro malattie. Un analogo lavoro svolto in Italia, trattando però i bambini solo con oligoelementi, ha portato al risultato dell'80% di malattie nell'anno successivo nei bambini così trattati, rispetto all'altro gruppo di controllo trattato normalmente con antibiotici. Si consideri comunque che in diversi casi l'antibioticoterapia è utile e doverosa, ma va fatta in modo modo mirato, solo quando può essere veramente utile e prendendo tutte le precauzioni necessarie a limitare i potenziali danni che apporta. Le classiche vitamine, che comunque non tutti i medici usano, sono utili ma non sufficienti in quanto gli antibiotici danneggiano anche la flora microbica vivente e necessaria all'organismo, quindi, in qualsiasi situazione in cui li si assuma, è necessario integrare l’alimentazione

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zione con vitamine del gruppo B, vitamina C e con i bioflavonoidi, ma soprattutto con probio-tici che vanno assunti lontano dai pasti almeno per 4 o 5 giorni oltre il tempo di assunzione degli antibiotici. Tra i prodotti indicati ricordiamo Biodophilus (2 capsule al giorno), Probiofor (2 capsule al giorno), e ABCdophilus utilissimo per i bambini. Pure di estrema importanza è la possibilità di usare deicomposti antiossidanti solforati che aiutano l'organismo a contrastare gli effetti dell'inquinamento sul sistema respiratorio. Ai dosaggi indicati, queste sostanze, affiancate a minerali di supporto come quelli sotto indicati. Il trattamento omeopatico delle forme da raffreddamento invernale può appoggiarsi a numerosi rimedi complessi, come Stodal (tosse), Corylia (Raffreddamento) , Homeox (afonia), Homeogene 9 (raucedine) ed altri . Qui di seguito alcu-ni dei rimedi omeopatici utili in questo tipo di malattie. Aconitum: insorgenza immediata, brusca, dopo esposizione a vento freddo, febbre senza sudore, sete intensa di acqua fredda. Belladonna: colorito rosso lampone, faccia congestionata, pupille dilatate. Emana calore come un termosifone, sudore presente. Apis mellifica: sensazione locale di aghi, desiderio locale di ghiaccio o di freddo. Spesso lateralità destra. Phytolacca: gonfiore e rossore della zona e dei muscoli vicini, dolore aggravato dal caldo, si irradia all'intorno. Kalim bichromicum:presenza di muco o secrezioni verdastre, lesioni piccole e dolenti. Mercurius solubilis: intensa salivazione, alito fetido, recrudescenza notturna. Eventualmente febbre bruciante alternata con brividi, possibile presenza di pus o di muco, sete è abbondante. Causticum: dopo esposizione a freddo secco, con desiderio di umidità locale. Hepar sulphur: peggio al mattino, miglioramento col caldo locale, tendenza alla suppurazione, secrezioni di odore cattivo. Arum triphyllum: senso di scorticatura locale, che peggiora col calore, secrezioni brucianti. Dulcamara: dopo esposizione al freddo umido o all'umidità, migliora con il calore. Lachesis: il dolore inizia a sinistra e poi si dirige a destra, localmente colorito rosso cianotico, senso di soffocamento e fastidio intorno al collo.


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I GRANDI PENSATORI: a cura di Andropos

DIOGENE DI SINOPE

Accanto alle scuole filosofiche esistono individui che praticano la filosofia senza risiedere in luoghi stabili oppure senza raccogliere intorno a sè gruppi permanenti e discepoli. Un esempio lampante di questo tipo di filosofo é Diogene di Sinope (400-325 a.C. circa) che visse ad Atene e divenne ben presto l'esempio del sapiente cinico, che mira alla completa autosufficienza (autarkeia) rispetto ai bisogni indotti dalla vita in società. Nessuno dei suoi scritti ci é pervenuto, ma intorno alla sua figura fiorì una vasta letteratura di aneddoti, dalla quale é possibile inferire i tratti dominanti del suo insegnamento. Riprendendo la distinzione tra natura (fusiV) e leggi o convenzione (nomoV) – distinzione al centro della speculazione sofistica -, Diogene individua i modelli di vita naturale nel comportamento degli animali, dei mendicanti e dei bambini. Con Diogene emerge, forse per la prima volta sullo scenario greco, l'idea che il bambino rappresenti una natura buona non ancora corrotta dai bisogni artificiali prodotti dalla vita associata, in contrapposizione all'ideale corrente (avvalorata dallo stesso Aristotele) che vedeva nell'uomo maturo l'esemplare del vero uomo e il bambino come mero "uomo in potenza", privo di valore in sè. Partendo da questi presupposti, Diogene rifiuta drasticamente, non senza esibizionismo, le convenzioni e i tabù sessuali e alimentari (per esempio, cibarsi di carni non cotte), oltre che i valori correnti come la ricchezza, il potere, la gloria. Il cinico si addestra a ciò con un duro esercizio fisico e morale – basti ricordare che Diogene per dimora aveva una botte - e non attraverso indagini teoriche, che egli svalutava completamente, sulla scia del fondatore del cinismo (Antistene). In tal modo, egli mira a porsi in una situazione al tempo stesso di eccezionalità e di marginalità rispetto alla vita del cittadino integrato nellapoliV, ma senza pretendere di costruire forme alternative di organizzazione politica. Il filosofo cinico non é radicato in una città, anche se vive itinerando per le città, dove presenta se stesso come modello di vita. La libertà di parola (parrhsia), che negli aneddoti sulla Sua vita Diogene rivendica anche davanti ad Alessandro Magno, é nel parlare fran-camente senza timore ai potenti, non nel diritto di esprimersi in organismi ove si prendono decisioni politiche. Un'ampia sezione del libro delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio é dedicata a Diogene il cinico e alla fama che aleggiava intorno alla sua enigmatica figura.

Διογένης

Essa dà un'idea del modo in cui era costruita la biografia esemplare di un filosofo destinata alla lettura da parte di un pubblico che non fosse formato di soli filosofi. Ingredienti di essa sono, più che dottrine o ragionamenti articolati, osservazioni di fatti della vita di Diogene, per esempio l'influenza che i comportamenti degli animali o dei bambini hanno rispetto alle scelte decisive della vita, in primo luogo a proposito della necessità di limitare drasticamente i bisogni. Il modo di vita del cinico, nel modo di vestire, nel tipo di abitazione e così via. Inoltre, egli impartisce i suoi insegnamenti, più che attraverso lunghi discorsi o complicati ragionamenti, mediante battute rapide e incisive (dette "apoftegmi") o addirittura attraverso i gesti, come metten-dosi a camminare per rispondere a colui che, come Diodoro Crono, appartenente al filone megarico, negava la realtà del movimento. Riportiamo qui alcuni passi sulla vita e sulla filosofia di Diogene : "giunto in Atene si imbattè in Antistene. Poichè costui, che non voleva accogliere nessuno come alunno, lo respingeva, egli, assiduamente perseverando, riuscì a spuntarla. Ed una volta che Antistene allungò il bastone contro di lui, Diogene gli porse la testa aggiungendo: "Colpisci pure, chè non troverai un legno così duro che possa farmi desistere dall'ottenere che tu mi dica qualcosa , come a me pare che tu debba". Da allora divenne suo uditore, ed esule qual era si dedicò ad un moderato

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tenore di vita ( ... ) Una volta vide un topo correre qua e là, senza mèta (non cercava un luogo per dormire nè aveva paura delle tenebre nè desiderava alcunché di ciò che si ritiene desiderabile) e così escogitò il rimedio alle sue difficoltà. Secondo alcuni, fu il primo a raddoppiare il mantello per la necessità anche di dormirci dentro, e portava una bisaccia in cui raccoglieva le cibarie; si serviva indifferentemente di ogni luogo per ogni uso, per far colazione o per dormirci o per conversare. E soleva dire che anche gli Ateniesi gli avevano procurato dove potesse dimorare: indicava il portico di Zeus e la Sala delle processioni. In un primo tempo si appoggiava al bastone solo quando era ammalato, ma successivamente lo portava sempre, non tuttavia in città, ma quando camminava lungo la strada, insieme con la bisaccia ( ... ). Una volta aveva ordinato ad un tale di provvedergli una casetta; Confinua a pag. 23

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Antropos in the world DA PAVIA

Terrorismo o peggio ancora Tra i piu' interessanti e stringenti interventi elaborati sul massacro di Charlie Hebdo, quello dell'amico Erri de Luca m'è parso il più eloquente nel mettere sull'avviso qualunque tentativo di manomissione della verità: “Morire con la matita in mano, la scatola dei colori, mentre si sta disegnando lo sgambetto a una qualche tirannia, con lo strumento insuperabile del sorriso. La strage non si limita a minacciare la libertà di critica. Mira a ferire la libertà in se stessa, data per immorale dagli assassini”. Non ho la sua capacità comunicativa nè la sua sintesi di ghiaccio bollente, cercherò quindi di non farla tanto lunga con i soliti ossimori. A Parigi la ghigliottina reclama il dazio che le è dovuto, la caccia è giunta a conclusione, i combattenti senza onore sono stati messi pancia a terra, adesso è tempo di contare i morti, i feriti, le eventuali attenuanti prevalenti alle aggravanti per lenire il dolore delle nuove assenze. Qualcuno si ostina a dire che non bisogna offendere il Dio degli altri, tanto meno provocare quel Dio tanto protetto e osannato. Qualcuno sarebbe ora tacesse. Dio e tutti i santi sono nominati invano e pure presi a scaracchi in terra nostra, in alcune parti italiche non si pronuncia parola che bestemmia non incolga, manco fosse sport d'imperio paesano, cittadino, fin'anche regionale-nazionale. Dio è preso a ginocchiate, tra sorrisi e pernacchie, un assolo straripante di parolacce e improperi, persino vip e famosi per forza ne fanno grande sfoggio, e chissà se qualcuno ricorda un grande mezzo busto di veneta periferia, che tra una notizia e l'altra, intratteneva bellamente il popolino con smargiassate di vario tenore. Il comando alto ci impone di non nominare il nome di Dio invano, noi infrangiamo tranquillamente la regola, ciò è chiaramente diseducativo, profondamente sbagliato, perfino fastidioso, ma la punizione non contempla il taglio scarnificante del machete nè i botti in entrata del kalashnikov. Chiudere la partita affermando che quanto accaduto in Francia (dappertutto è residenza francese o almeno così la penso io) sia da ricondurre all’uso scriteriato di una satira qualunquista, una presa per il deretano irresponsabile del credo mussulmano, è a dir poco disarmante. Quanto accaduto a Parigi non è riconducibile alla semplice affermazione terroristica, pensare che quegli spari a bruciapelo siano il risultato

di una banda di esaltati, di numeri a perdere, di persone destinate al macero, è quanto meno discutibile, riduttivo, drammaticamente semplicistico, una spiegazione minore a favore del prossimo colpo in canna. Ciò che sta avvenendo in Europa, in America, nel mondo occidentale, è esattamente ciò che sta imperversando in ogni parte del mondo, a democrazia esportata (nel processo di esportazione democratica non ho mai creduto ) corrisponde altro identico sangue versato, a massacro perpetrato in nome di una giustizia alta, ecco la carneficina come equivalente di una giustizia meno importante, eppure delirante al punto da scambiare Dio con il carico di plastico da fare detonare tra infedeli e traditori, inventando patenti di eroi irriconoscibili e di martiri che invece non hanno onorato alcun dettato coranico. E’ senz’altro terroristica la forma di guerra combattuta, è terrorismo il modo in cui si fa combattimento mordi e fuggi, è terrorismo figlio di una ideologia, è terrorismo che però non alimenta se stesso, ma si abbevera alla sua fonte, la religione, dove partorisce e nasce la sua capacità di erosione intellettuale, in quella parte di Corano sprovvisto di esegeti, di oracoli, di interpreti, di testimoni, i quali avrebbero tutto il diritto di predicare la necessità di non farsi infinocchiare, non dalla preghiera, non dalla fede, non dalla speranza che ognuno mantiene e custodisce per tentare di rimanere un uomo libero. Quando la fede, diviene lo scarpone chiodato per fare politica, per rendere accettabile la miseria e il sopruso, allora, quella fede non ha piu’ nulla da recriminare se la religione professa vendette e guerre sante, se la voce di Dio è schiacciata tra incudine e martello, se profeti e testimoni vestono tute mimetiche vendute al migliore offerente. L’Islam non è un mostro dalle mille teste, non c’è nulla di incomprensibile e quindi colpevolmente sconosciuto, piuttosto è la violenza l’arma letale che annienta il dialogo e la possibilità di accorciare le distanze, è violenza messa in atto per difendere, è violenza messa in campo per attaccare, la violenza che la violenza che conta da una parte i morti per attentati e omicidi di massa premeditati, la violenza che adagia con indifferenza nelle fosse pubbliche centinaia di migliaia di innocenti in nome del riordino mondiale,

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CONTINUA A PAG.21


Antropos in the world IO LA VEDO COSI’

BOOM NELL’AGRO DEL CAFFE’ IN CIALDE La magia del caffè, col suo successo secolare, è un misto di sapori, aromi e miscele a cui si aggiunge il piacere di dedicare un attimo a sé o agli amici, la convivialità più genuina. La magia del caffè è quell’arte partenopea che ha tutto un suo preciso rituale nel preparare la moka, in casa, a fuoco lento. La lentezza, appunto, è quello che oggi è venuto a mancare nella nostra quotidianità e che pertanto ha spostato nettamente l’asse del business del caffè dal tradizionale macinato alle monodosi, pratiche, pronte, veloci! Il motivo per cui sono è in crescita il numero delle famiglie che decide di passare dalla tradizionale moka alle capsule, non è semplicemente la praticità, quanto piuttosto la convenienza: “Nel preparare la macchinetta del caffè, tradizionalmente per 4 tazzine, il 50 % andava buttato quando a bere il caffè non sono tutti i membri della famiglia” – spiega una consumatrice, e non è l’unica a pensarla così. Lo sa bene un giovane imprenditore campano, Rosario Federico, gestore di macchine del caffè in comodato d’uso, venditore di cialde, capsule e caffè in grani, che nel 2005 ha deciso di investire nel caffè. “Il motivo per cui ho deciso di aprire un’azienda online, Caffè nobiltà, è stata prima di tutto una sfida con me stesso e poi perché al caffè nessuno rinuncia, per cui aprire un’attività commercializzando prodotti di cui nessuno saprebbe fare a meno, credo sia un buon punto di partenza” – ci spiega il giovane imprenditore. La sfida di ‘Caffè nobiltà’ è doppia: il boom delle cialde da una parte, ed il boom delle vendite online dall’altra. Il giovane imprenditore ci spiega che sempre più consumatori di caffè, anche qui nell’Agro, hanno sostituito la tradizionale moka con le mono cialde in quanto quest’ultima preserva l’aroma del caffè, essendo la cialda un ambiente protetto, e soprattutto il caffè non viene disperso, con un doppio risparmio in termini qualitativi ed economici. Se il tradizionale caffè del bar costa in media 0,80 centesimi, lo stesso gusto lo si può avere a costa propria con solamente 0,30 centesimi, pertanto sempre più aziende e privati della zona ne usufruiscono. Negli ultimi tempi, però il vero boom si registra nelle vendite online, motivo per cui anche con ‘Caffè nobiltà’ la vendita di caffè porta a porta è sensibilmente calata, a favore delle vendite online, - 20 -

che hanno raggiunto una soglia di oltre il 60%. “Le vendite online aumentano giorno dopo giorno poiché senza spese di spedizione, il proprio ordine nel giro di un paio di giorni è a casa, anche se nell’Agro-nocerino-sarnese questa tipologia di vendita ha ancora difficoltà ad attecchire”. C’è però da dire che seppur il settore abbia registrato un vero boom, e a livello nazionale e a livello locale, negli ultimi mesi la commercializzazione del caffè, in tutte le sue tipologie, ha subito un lieve calo di circa il 2,5 % per le cialde. Tutta colpa della crisi poiché la gente preferisce spendere per i beni di consumo davvero necessari. Nonostante ciò, si può affermare che la commercializzazione del caffè in cialde ed online è un mercato sempre più redditizio. Maresca Maria Rosaria

‘Na tazzulella ‘e café te concilia co’ munno!

La cialda meglio jè…


Antropos in the world

Terrorismo o peggio ancora – continua da pag.19 di una presupposta difesa dei principi e diritti universali. Ostinato e cocciuto, per altri pensatori, arguto e lungimirante, c’è chi si ostina a specificare che non si tratta di fatti eclatanti riconducibili alla propria religione, c’è fretta di rimarcare che non c’entra nulla il Dio degli altri, ancora meno il sangue versato ieri, l’anno scorso, oppure domani. C’è urgenza di sottoscrivere l’epitaffio autoassolvente di un terrorismo becero e tracotante, emerge la necessità di confinare questa minaccia incombente in uno spazio ben delimitato, dove poi fare confluire l’urto potente e,

indiscriminato della pace e della democrazia, e chissà potrebbe risultare addirittura meno costoso in termini di vite umane questa politica della bomba ( poco ) intelligente. Non è terrorismo di tutti, non è terrorismo di ognuno e di ciascuno, l'islam moderato è una realtà, oltre che vittima primaria del terrorismo di matrice islamica, l'errore più grave in questo momento è confondere le cose, perdendo contatto e attenzione con la sostanza del vero problema.

Vincenzo Andraous

PIATTI TIPICI DEL MEDITERRANEO - A cura di Rosa Maria Pastore

I manzi sono bovini di età compresa fra uno e quattro anni, castrati se maschi, non hanno mai partorito se femmine. La castrazione favorisce l’accumulo di grasso e dunque l’ingrasso precoce, per poter ottenere così una carne più gustosa. Essa contiene, infatti, una quantità di grasso elevato, che la rende saporita, nutriente. A seconda dell’età dell’animale e dal tipo di alimentazione, la carne di manzo può essere di colore rosso vivo, di grana consistente e con abbondanti striature di colore bianco o giallo chiaro, più o meno tenera. Dalla regione dorso-lombare, ovvero dal quarto posteriore, si ricavano i tagli di maggior pregio delle carni bovine: controfiletto ( detto anche lombo o “roast beef” ), filetto e costata. Il controfiletto è la parte di carne che si trova sopra i lombi, da ambedue le parti della schiena, praticamente è la zona posteriore del lungo muscolo dorsale compresa tra l’ultima costola e il sacro. Da questo stesso pezzo, quando risulta incorporato al filetto e appartiene a un manzo giovane (comunemente definito vitellone), vengono ricavate le famose “fiorentine”, le bistecche di peso gigante (circa 500 g l’una) e di 4 cm circa di spessore. Il controfiletto, opportunamente sgrassato, può essere utilizzato per un ottimo “roast beef”, parola inglese che significa letteralmente “bue arrostito”. È anche possibile tagliarlo in lombatine da cucinare ai ferri o in padella. Al contrario di altre parti del manzo, il contro-filetto non viene mai picchettato o lardellato. Ben ripulito, può essere bardato, cioè fasciato con sottili strisce di pancetta o di lardo o prosciutto trat-

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tenute da una legatura di spago da cucina che ha lo scopo di mantenere intatta la forma originale del pezzo di carne. Circa dieci minuti prima del termine della cottura la bardatura deve essere tolta per permettere alla carne di prendere una bella colorazione brunodorata. Il filetto è una massa muscolare a forma allungata e piramidale situata, sempre nella regione lombare, verso l’interno del corpo, sotto i lombi, nelle vicinanze dei reni, in posizione parallela al controfiletto. In genere il peso medio di un bel filetto varia dai 7 ai 7,5 chili. Il filetto, precedentemente sgrassato e privato delle pellicine, può essere cotto intero, in un unico pezzo, oppure può venire suddiviso in tre parti: testa di filetto, parte assai larga e con-siderata meno fine perché intersecata da tendini e sedimenti connettivi, destinata per bistecche. Il cuore di filetto è la parte centrale del pezzo di filetto, quella da cui viene ricavato il famoso “chateaubriand”, da cuocersi alla griglia, e i filetti da porzione. La coda di filetto è costituita dalla zona più sottile, situata verso le costole, e viene usata, nel punto in cui è più spessa, per preparare i “tournedos”, cioè i medaglioni rotondi di bella forma e alti 2-3 cm circa; dalla parte estrema della coda di filetto si ottengono invece i “filetmignon”, così chiamati appunto per le loro porzioni più minute che li rendono adatti a essere utilizzati soprattutto per prepa-razioni molto raffinate..


Antropos in the world ALCUNE REGOLE FONDAMENTALI PER LE CARNI ARROSTITE. Per qualsiasi tipo di cottura arrosto – allo spiedo, in gratella, in forno e in casseruola – è indispensabile salare le carni solo verso fine cottura per evitare che il sale, liquefacendosi, formi uno strato umido che impedisce la formazione della “crosticina” necessaria a trattenere i succhi. Le erbe aromatiche vanno unite alla carne o prima di arrostirla (se tritate e mescolate in una marinata) o all’inizio della cottura. Al contrario le spezie, tranne quelle usate per la marinata, vanno aggiunte solo verso la fine della cottura. Nel rivoltare la carne durante la rosolatura non la si deve punzecchiare con la forchetta per evitare che i succhi interni escano: è preferibile invece ricorrere a una paletta. COME ARROSTIRE ALLO SPIEDO. Il filetto, liberato da ogni sedimento nervoso e grasso, bardato con sottili fette di lardo e legato con spago da cucina, viene fissato al girarrosto. Nella indispensabile vaschetta sottostante (leccarda) si raccoglie il grasso liquefatto durante la cottura, nel quale si potrà intingere un largo pennello o un rametto di rosmarino, di alloro o di salvia per ammorbidire il filetto man mano che viene arrostito. Il forno deve essere già caldo (almeno 250 °C), dopo circa un quarto d’ora si può ridurre il calore a 200 °C. Il controfiletto deve essere scalcato con cura dall’osso (se questa operazione non è stata già eseguita dal macellaio), quindi ripulito dal grasso e dai nervetti e infine preparato nella stessa maniera sopra descritta. COME ARROSTIRE AL FORNO La cottura del filetto e del controfiletto può essere effettuata o direttamente in forno in forno oppure prima sulla fiamma viva e successivamente in forno. Nel primo caso il pezzo di carne deve essere collocato in una placca su una griglietta per evitare il contatto diretto con i grassi. Nel secondo caso il pezzo di carne deve essere fatto prima rosolare in casseruola su fuoco vivace e passato poi in forno ben riscaldato (250 °C) su una griglia. Il condimento deve essere abbondante e la carne irrorata sovente durante la cottura. Il giusto grado di cottura dell’arrosto può essere verificato introducendo un grosso ago da cucina nel pezzo di carne: se ne fuoriesce un po’ di sugo roseo è segno che, all’interno, la carne è ancora al sangue COME CUOCERE ALLA GRIGLIA In genere le carni da cuocere alla griglia devono essere battute con lo spiana carne allo scopo di.spezzarne le fibre senza però schiacciarle; per il filetto tale metodo è assolutamente da scartare

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perché la carne, dopo la cottura deve rimanere internamente morbida e ricca dei suoi succhi. Il filetto tagliato a fette di un certo spessore (circa 2 cm) può essere pressato in superficie solo con il palmo della mano, quindi circa due ore prima della cottura, unto con cura da ambedue le parti e lungo il bordo con un po’ d’olio d’oliva o con un po’ di burro tiepido chiarificato. Per mantenere una bella forma rotonda alle fette di filetto, occorre legarle, intorno allo spessore con uno spago sottile, che verrà tolto al momento di servire. TEMPI DI COTTURA Come già detto, il filetto e il controfiletto, nonché i pezzi da essi derivati, richiedono cotture piuttosto rapide e perciò molto precise. Per tale motivo viene indicati qui di seguito i tempi di cottura dei singoli pezzi, sia arrosto che alla griglia e in padella. È importante rispettare rigorosamente i tempi indicati per ottenere un perfetto risultato. ROAST BEEF INTERO : Arrosto (sul fuoco e in forno) (per kg) 25’ al sangue “ 40’ cottura media “ 60’ ben cotto FILETTO INTERO Arrosto (sul fuoco e in forno) (per kg) 20’ al sangue “ 30’ cottura media “ 40’ ben cotto TUORNEDOS (cm 2-3 di spessore) In padella e alla griglia 5’ al sangue 7’ cottura media 10’ ben cotto COSTATA E FIORENTINA (cm 3-4 di spessore) Alla griglia 7’ al sangue 10’ cottura media 15’ ben cotto BISTECCA (cm 2 di spessore) In padella e alla griglia 3’ al sangue 5’ cottura media 7’ ben cotto CHATEAUBRIAND (cm 5-6 di spessore) Alla griglia 10/15’


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Diogene di Sinope continuazione da pag.18 poichè quello indugiava, egli si scelse come abitazione una botte, come attesta egli stesso nelle Epistole. E d'estate si rotolava sulla sabbia ardente, d'inverno abbracciava le statue coperte di neve, volendo in ogni modo temprarsi alle difficoltà (... ). Una volta vide un fanciullo che beveva nel cavo delle mani e gettò via dalla bisaccia la ciotola, dicendo: "Un fanciullo mi ha dato lezione di semplicità". Buttò via anche il catino, avendo pure visto un fanciullo che, rotto il piatto, pose le lenticchie nella parte cava di un pezzo di pane. Ecco come ragionava: "Tutto appartiene agli dei; i sapienti sono amici degli dei; i beni degli amici sono comuni. Perciò i sapienti posseggono ogni cosa". Una volta vide una donna che supplicava gli dei in atteggiamento piuttosto sconveniente e le disse: "Non pensi, o donna, che il dio può stare dietro di te, poichè tutto é pieno della sua presenza, e che tu debba vergognarti di pregarlo scompostamente?" ( ... ). In ogni modo egli era senza città, senza tetto, bandito dalla patria, mendico, errante, alla ricerca quotidiana di un tozzo di pane. Era solito dire di opporre alla fortuna il coraggio, alla convenzione la natura, alla passione la ragione. Mentre una volta prendeva il sole, Alessandro Magno sopraggiunto e fattogli ombra disse: "Chiedimi quel che vuoi". E Diogene, di rimando: "Lasciami il mio sole". Così rispose ad un tale che sosteneva che non esistesse il movimento: si alzò e si mise a camminare". Per Diogene il vero piacere consisteva nell'avere l'anima in allegria e in pace e che senza di questo nè le ricchezze di Medo nè quelle di Ciro fossero utili. Il sovrano Alessandro, per farsi gioco di lui che veniva chiamato il cinico, gli mandò un vassoio pieno di ossi e lui lo accettò e gli mandò a dire: "Degno di un cane il cibo, ma non degno di re il regalo". Riferisce Diogene Laerzio: Navigando infatti verso Egina, fu preso dai pirati il cui capo era Scirpalo. Fu portato a Creta ed ivi esposto alla vendita. E chiedendogli l'araldo che cosa sapesse fare, Diogene rispose: 'Comandare agli uomini'. Fu allora che egli additò un tale di Corinto che indossava una veste pregiata di porpora, il predetto Seniade, e disse: 'Vendimi a quest'uomo: ha bisogno di un padrone'. Seniade, invero, lo compra e lo porta a Corinto. Qui gli affidò l'educazione dei figli e l'amministrazione domestica. Diogene curò l'amministrazione in ogni riguardo, in modo tale che Seniade andava in giro dicendo: 'Un demone buono è venuto a casa mia'.

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(...) Durante un banchetto gli gettarono degli ossi, come a un cane. Diogene, andandosene, urinò loro addosso, come fa un cane. » Il medesimo Eubulo attesta che Diogene invecchiò presso Seniade e, morto, fu seppellito dai suoi figli. Chiedendogli al tempo Seniade come volesse essere seppellito, egli replicò: 'Sulla faccia'. Domandandogliene quello la ragione, Diogene soggiunse: 'Perché tra poco quel che è sotto si sarà rivoltato all'insù'. Disse questa battuta perché oramai i Macedoni dominavano, o da umili erano diventati potenti.

Ἂν ἡ λεοντῆ μὴ ἐξίκηται, τὴν ἀλωπεκῆν ρόσαψον. An è leontè me exiketai tèn alopekèn rosapsòn ---------------

Se la pelle di leone non basta, mettiti quella di volpe.


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STORIA DELLA MUSICA - A cura di Ermanno Pastore

LA MUSICA LEGGERA - I BEATLES (IV parte) Il 1968 si aprì con un viaggio in India a Rishikesh, presso il Maharishi Mahesh Yogi, alla scuola di pensiero della "Rigenerazione spirituale" di cui i Beatles erano nel frattempo diventati adepti. Al ritorno dall'India, John e Paul volarono a New York per il lancio della loro società di produzione ribattezzata "Apple" e che aveva per simbolo una mela verde. Con la loro società, essi spiegarono, volevano offrire la possibilità a tutti gli artisti che avevano qualcosa da dire, fossero essi musicisti, scrittori, cineasti, di potersi esprimere senza passare dalla dura gavetta e dalla spasmodica ricerca di qualcuno che gli desse fiducia come era capitato a loro. Paul disse in una conferenza stampa che l'idea era quella di un "comunismo occidentale". Di fatto, l'attività principale della Apple fu la produzione dei loro dischi, che dal White Album in poi iniziarono ad apparire con l'etichetta della mela verde, intera su un lato del disco e tagliata a metà sull'altro. Si trattò di un'impresa velleitaria che risucchiò molto denaro e dette risultati assai modesti rispetto alle aspettative artistiche, anche se alla fine uscirono per la Apple dischi di autori di talento, come il giovane James Taylor. Con il contributo anche di molti brani composti durante il loro soggiorno presso l'ashram himalayano del Maharishi nacque il doppio The Beatles (soprannominato White Album per la copertina completamente bianca), uscito nel novembre del 1968. Nel disco è evidente come il gruppo stesse perdendo la propria coesione, in quanto ogni brano riporta l'identificabile cifra stilistica del suo autore, ma anche in positivo il prepotente emergere come compositore di George Harrison (sua infatti la notevole While My Guitar Gen-tly Weeps, che si segnalò anche per l'inedita presenza alla chitarra solista di Eric Clapton). Alcuni brani (Revolution 9, Piggies, Blackbird e soprattutto Helter Skelter) furono distorti dalla mente ossessionata di Charles Manson che li interpretò come un messaggio inviatogli dai Beatles in cui veniva sollecitato a pre-pararsi a un prossimo scontro razziale, e fu proprio "Helter Skelter" il nome che Manson diede al futuro conflitto fra bianchi e neri. L'album presenta particolarissimi spunti innovativi psichedelici e di musica ambient-alternativa come Re-volution 9 e alcune sonorità di contaminazione jazz, blues e musica etnica. In quel periodo i percorsi della musica cosiddetta "alta" e della musica "bassa", per così dire, si incrociarono e da questi accostamenti nac-quero progetti, suite, opere sempre più avveniristici. Il disco ebbe uno strepitoso successo di vendite, ma nonostante il trionfo i quattro musicisti si accorsero di non avere più tra loro quella sintonia dei

primi tempi. Per questi motivi e per rimediare ai sempre più frequenti contrasti interni (dovuti anche alla presenza ingombrante della nuova compagna di Lennon, Yoko Ono), nacque l'idea di "tornare alle origini" con un disco più spontaneo e meno ricercato, registrato in diretta senza le ricercatezze e le elaborazioni in studio dei loro ultimi lavori. Il progetto, dal nome Get Back, prevedeva anche un film sulla sua realizzazione e il ritorno a una performance dal vivo. La leggenda più nota, forse la prima leggenda metropolitana del rock, fu quella della morte di Paul McCartney (Paul Is Dead, PID). Nel 1969 fu fatta circolare una voce secondo la quale il bassista sarebbe deceduto tre anni prima in un incidente stradale e sarebbe stato sostituito da un sosia. La leggenda fu poi smentita, ma in qualche modo continuò a suscitare dubbi e interrogativi. Il sosia che avrebbe preso il posto del musicista si chiamerebbe William Campbell, un ex poliziotto che si sarebbe sottoposto a delicati interventi di chirurgia estetica per assomigliare al Beatle. Questo, secondo i seguaci della teoria, spiegherebbe la decisione da parte dei Beatles di non suonare più dal vivo. Il 26 ottobre 1965 i Beatles arrivarono a Buckingham Palace per ricevere la medaglia dell'Ordine dell'Impero Britannico in un'atmosfera di grande eccitazione e con migliaia di ammiratori urlanti che assediavano il Palazzo Reale. La leggenda vuole che i quattro abbiano fumato uno spinello nei bagni della residenza reale per calmare il nervosismo causato dall'ufficialità della cerimonia, e questo coincide con l'ammissione che John Lennon fece in seguito. Successivamente, George Harrison smentì Lennon dichiarando che si era trattato di semplici sigarette. Anche in tale circostanza le versioni sono discordanti, e in questo caso provengono da due strettissimi collaboratori del quartetto. (Continua)

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Antropos in the world POLITICA E NAZIONE – OVVERO IL PENSIERO DELLA GENTE COMUNE

COMMEMDalIa AtempAoraLcLur’ruInTt! ALIANA Possiamo tapparci il naso ma la puzza della politica, specialmente in questi ultimi anni, è terribile. Nel periodo di Presidenza di Giorgio Napolitano si sono succeduti in Italia cinque governi: Prodi, Berlusconi, Monti, Letta e Renzi. In questo periodo il Presidente Napolitano doveva essere al di sopra delle partii ma, per interesse di partito (PD), ha adottato un metodo molto caro alla sinistra: due pesi due misure. Infatti per il Presidente Napolitano vi sono stati governi di serie A e di serie B, per cui andavano controllati in modo diverso. E così mentre alcuni (pref. di sinistra) andavano lasciati operare liberamente altri, andavano umiliati pubblicamente, arrivando a dire, nel periodo del governo Berlusconi, che la fiducia posta per l’approvazione di leggi e decreti svilisce e svuota il ruolo del Parlamento. Per capire che il comportamento del Presidente Napolitano è stato a dir poco squallido e poco dignitoso basta guardare le statistiche, che sono pubbliche e sotto gli occhi di tutti: Governo ……….. MONTI……………….. leggi approvate a colpi di fiducia………. 45,1 % Governo ……….. RENZI ………………. Leggi approvate a colpi di fiducia……… 76,9 % Governo……….. BERLUSCONI………. Leggi approvate a colpi di fiducia……… 16 %. Giorgio Napolitano, così attivo nell’anno 2011, sempre pronto a bastonare il governo Berlusconi, forse perché si doveva procedere al cambio della guardia voluto dall’Europa e che tanti intrighi e tante complicità trovò nelle più alte cariche dello Stato Italianooggi, con Renzi, come fu per Monti, tace. Non dice più che “ il voto di fiducia non dovrebbe comunque eccedere limiti oltre i quali si verificherebbe una inaccettabile compressione delle prerogative delle Camere”. Napolitano con un silenzio complice, colpevole e imbarazzante non parla di Renzi che ha approvato leggi e decreti a colpi di fiducia con una percentuale del 77% . Per Berlusconi che, nel periodo del suo governo, non ha superato il 16%, invece ci fu un comportamentoodioso e diverso. Perché ? D’altronde Napolitano a cui piacevano i carri armati sovietici che schiacciavano il popolo ungherese che lottava per la propria libertà, divenuto famoso in Europa e nel mondo per i famosi rimborsi sui viaggi in aereo da parlamentare europeo , ci ha abituato, in alcuni casi, a vederlo soffiare sul fuoco anziché spegnerlo. Così invece di essere al di sopra delle parti,come gli imponeva il suo ruolo istituzionale, ha fatto e fa politica inseguendo, elaborando, imponendo suoi progetti come quello delle

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“larghe intese”. Fortunatamente dopo nove anni passati al Colle Giorgio Napolitano si appresta a lasciare dopo aver trasformato un paese prospero , in così poco tempo, in una valle di lacrime. Specialmente dal 2011 ad oggi ha di fatto commissariato l’Italia nominando premier fantocci Letta Monti e Renziche hanno di fatto, volutamente, applicato politiche recessive ed hanno distrutto il tessuto economico italiano diffondendo miseria, disoccupazione e disperazione. Come se non bastasse con questo suo anomalo comportamento di parte il Presidente lascia il suo partito, il PD, nel caos più completo, tanto che da tempo si parla di scissione. Il PD, che in passato vantava, con molta presunzione, una superiorità morale nei confronti di altri partiti politici, a causa di comportamenti personalistici, oggi ha un’immagine offuscata agli occhi degli italiani. Infatti, il PD più che un partito, grazie anche a Giorgio Napolitano, è diventato un’aggregazione di persone, ciascuna delle quali, a volte, pensa e dice una cosa, ma ne fa un’altra. In una logica di partito la parola del segretario dovrebbe valere per tutti. Invece no. Dopo il segretario e, spesso, in contrasto con lui, arriva sempre e puntualmente il coro delle “comari” degli altri dirigenti. I contorcimenti ideologico- rancorosi della minoranza PD hanno fatto perdere ogni fiducia agli italiani che oggi, in caso di voto, diserterebbero ( 45%) le urne, perché nauseati dalla politica che, nonostante i proclami ( una riforma al mese) , non ha compiuto alcuna opera di ricostruzione. Inoltre, per quanto riguarda la questione morale, in questi ultimi anni, dalle Alpi alla Sicilia, sono stati numerosi gli esponenti del PD, nazionali e locali, arrestati o indagati per reati classici legati all’attività politica, abuso d’ufficio, truffa, corruzione e concussione ma anche per associazione a delinquere, associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, violenza sessuale e omicidio. Questi assurdi comportamenti hanno messo a repentaglio la vita democratica del Paese. Per tenere in vita governi non eletti e non voluti dal popolo, gli elettori del PD sono stati costretti ad ingoiare “rospi” grandi come case. Ad esempio la vicenda dell’abolizione dell’ IMU è allucinante e anche, per certi versi, spudorata. L’IMU non è stata più abolita come Letta aveva sbandierato ai quattro venti, . La stessa tassa, con altri nomi, è stata riproposta e, cosa più mortificante, con valori economici più alti e mai raggiunti in passato. CONTINUA A PAGINA 30


Antropos in the world UNA DONNA NELLA LETTERATURA – a cura di De Boris

Eliz abe t h Benne t È la seconda delle cinque figlie della famiglia Bennet: Jane, Mary, Kitty e Lydia. Nonostante la sua giovane età, non ha ancora compiuto 21 anni, è molto intelligente e dotata di carattere, tanto che l’ironico padre Mr. Bennet la preferisce alle altre sorelle, nonostante Jane sia considerata la più bella della famiglia, dimostrando di ascoltarne le opinioni e rispettando la sua intelligenza ma anche il suo spirito e la sua vivacità. La personalità di Elizabeth è tracciata da Jane Austen come un'armoniosa combinazione di sensibilità, razionalità e fermezza. Nonostante una visione del mondo che non è scevra del cinismo paterno, è comunque sensibile e premurosa nei confronti della famiglia quanto basta per essere imbarazzata dalla loro mancanza di contegno, come nel caso del ballo di Netherfield, o di intuire i pericoli causati dall'esuberanza delle proprie sorelle, esemplare la discussione col padre a proposito dell'inopportuno viaggio a Brighton di Lydia. Elizabeth trae divertimento dalla osservazione e dalla comprensione dei caratteri delle persone che incontra ma, mentre a volte i suoi giudizi sono corretti (come nel caso di Bingley "Vi comprendo perfettamente"), in altri casi, non avendo il cinico distacco di suo padre, si lascia fuorviare dalla propria emotività, come nel caso delle iniziali opinioni nei riguardi di Wickham e di Mr. Darcy. Le sue impressioni vengono comunque messe in discussione dalla sua razionalità e dalla sua intelligenza, giungendo, infine, a conclusioni diametralmente opposte al suo iniziale pregiudizio. Elizabeth dimostra anche sentimenti di ribellione, come molti personaggi femminili della Austen, nei confronti del rigido classismo della sua epoca, ben dimostrati dai suoi tempestosi rapporti con la tirannica Lady Catherine de Bourgh, dapprima a Rosings, e poi a Longbourn, nella sua stessa casa, dove la nobildonna le intima di "non inquinare le nobili ombre di Pemberley". Attraverso Elizabeth la Austen ha creato la sua immagine di donna ideale, una persona dotata di forza morale ed intelligenza tali da farla stimare sia dagli uomini che dalle donne, ma allo stesso tempo dotata di qualità, quali la sensibilità e la femminilità, tali da farne apprezzare tutte le sfumature caratteriali. Questo personaggio femminile trascende il periodo tardo-illuministico ed è amato anche dai lettori e dalle lettrici

contemporanei. L a p r i ma t r a s p o s i z i o n e c i n e ma t o g r a f i c a d i O r g o g l i o e P r e g i u d i zi o ri s al e al 1 9 4 0 , p er l a r e g i a d i R o b e r t Z. L e o n a r d , d o ve G r e e r G a r s o n i n t er p r e t a i l p e r s o n a ggi o d ’ E l i za b e t h B e n n e t n e t e L a u r e n ce O l i vi e r q u e l l o d i M r . D a r c y . Il f i l m v i n s e a n c h e u n p r e mi o O s c a r p e r l a “M i gl i or s c e n o gr af i a ” . N el 1 9 9 5 n a s ce u n a mi n i s e r i e t e l e v i s i v a i n s e i p u n t a t e d i r e t t a d a S i m o n L a n g t o n , s c e n e ggi a t a d a A n d r ew D a v i e s e p r o d o t t a d al l a B B C , c h e ve r r à c o n si d e r a t a u n a d e l l e mi g l i o r i t r a s p o s i z i o n i c i n e ma t o g r a f i c h e d e l r o ma n z o , i n q u a n t o mo l t o f e d e l e a l t e s t o o r i g i n a l e . N e l l a mi n i s e r i e C o l i n F i r t h i n t e r p r e t a F i t z w i l l i a m D a r c y , me n t r e i l p e r s o n a g g i o d i E l i z a b e t h B e n n e t è i n t e r p r e t a t o d a J e n n i f e r E h l e , c h e v i n s e i l p r e mi o c o me “ M i g l i o r e a t t r i c e p r o t a g o n i s t a ” a i B r i t i s h A c a d e m y o f F i l m a n d T e l e v i s i o n A r t s ( B A FT A ) 1 9 9 6 . L a mi n i s e r i e h a a v u t o t r e n o mi n a t i o n a g l i E m m y 1 9 9 6 e h a v i n t o i l p r e mi o p e r i “ M i g l i o r i c o s t u mi ” . L ’ u l t i ma t r a s p o s i z i o n e c i n e ma t o g r a f i c a , d i r e t t a d a J oe W r i g ht , r i s a l e a l 2 0 0 5 e d è a b b a s t a n z a f e d e l e a l r o ma n z o ; a l c u n e b a t t u t e d e l f i l m s o n o ve r e e p r o pr i e c i t a zi o n i d e l l i br o . C o n c l u d e n d o , l a s c r i t t r i c e J a n e A u s t e n c i mo s t r a t u t t a l a c o mp l e s s i t à e l e v e n a t u r e d i E l i z a b e t h , c h e d i v e n t a c o s ì u n p e r s o n a g g i o s e mp r e p i ù a u t e n t i c o . N e l c a r a t t e r e d i El i z a be t h B e n n e t s i n ot a u n a n t i c o n f o r mi s mo a v o l t e n o n t r o p p o c e l a t o , c h e l a p o r t a a e s p r i me r e l i b e r a me n t e l a p r o p r i a o p i n i o n e ( i n t e mp i i n c u i l e d o n n e e r a n o r e l e g a t e a r u o l i d i d i p e n d e n za ) . M e t t e i n di sc u s s i o ne i p r i vi l e gi d e gl i u o mi n i , r i v e n d i c a n d o i l d i r i t t o d e l l e d o n n e a u n a ma g g i o r e i n d i p e n d e n z a e p r o v a n d o a d a b b a t t e r e i l mu r o d e l l e r i s t r e t t e c o n v e n z i o n i s o c i a l i d e l l ’ e p o c a . Il s u o c a r a t t e r e f o r t e e l a s u a d e t e r mi n a z i o n e , a s s o c i a t i a u n a n i mo n o b i l e , n o n p o s s o n o n o n a f f a s c i n a r e i l l e t t o r e ; q u e i v a l o r i e s e n t i me n t i d i o n e s t à , c h e r e n d o n o v i r t u o s i ma a v o l t e r i c h i e d o n o s a c r i f i c i o e s o f f e r e n za , r e n d on o L i zz y u n a d e l l e e r o i ne p i ù a ma t e d i t u t t i i t e mp i . A n c h e p e r q u e s t o i l l i b r o , c h e h a c o mp i u t o 2 0 0 a n n i a g e n n a i o 2 0 1 3 , c o n t i n u a a i n c a n t a r e l e t t o r i e l e t t r i c i d i t u t t o i l mo n d o . E l i za b e t h B e n n e t a n c or a o gg i è u n p e r s on a ggi o a t t u al e e vi n c e n t e .

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TRE MINISTRI STRANIERI NEL GOVERNO UCRAINO E L’ITALIA ASSUME MANAGER STRANIERI AI BENI CULTURALI La notizia gli italiani l’hanno appresa dai telegiornali di qualche sera fa: il parlamento ucraino ha votato il nuovo governo; e di tale governo fanno parte tre cittadini stranieri, cui il Presidente della Repubblica ha prontamente conferito la cittadinanza ucraina. La maggior parte degli ascoltatori non ha attribuito particolare importanza alla vicenda, dai più giudicata una semplice bizzarrìa. L’indomani, quasi tutti i giornali italiani hanno relegato la notizia negli angoli più remoti dedicati alla politica internazionale. Con qualche eccezione, come quelle rappresentate dai quotidiani “La Stampa” e “Il Sole 24 Ore”. Da queste fonti ho appreso delle notizie che (condite con alcune mie riflessioni più che mai eretiche) ritengo possano servire a capire qualcosa di più sulla spinosa vicenda ucraina. Ma non solo su questa: anche sui fatti italiani di un recente passato, e forse – spero di sbagliarmi – su certi scenari che determinati ambienti vorrebbero riproporre anche in Italia. Procediamo con ordine. I tre ministri stranieri – uno dei quali neanche parla l’ucraino – sono Natalie Jaresko (statunitense) alle Finanze, Aivaras Abromavicius (lituano ma già dipendente dal Dipartimento di Stato USA) all’Economia, e Aleksandr Kvitashvili (georgiano ma di accese simpatie filoamericane) alla Sanità. Un’altra ventina di elementi stranieri, inoltre, saranno collocati nei vari Ministeri, come Sottosegretari o comunque in posizioni-chiave. La qualcosa comporterà immancabilmente che, anche nei dicasteri guidati da cittadini ucraini, le linee-guida della pubblica amministrazione saranno stabilite da soggetti estranei. La formazione del nuovo governo – si tenga presente – era stata pubblicamente sollecitata dal Vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Il figlio di Biden, Hunter (sia detto tra parentesi) ha trovato anche lui il modo di “piazzarsi” in Ucraina: per la precisione, nel consiglio d’amministrazione della società petrolifera Burisma Holdings. Guarda caso, la Burisma – apprendo da “La Stampa” – è titolare dei diritti di sfruttamento dei giacimenti di gas scisto del Donbas; ma tali diritti potrà sfruttare soltanto dopo aver sottratto quella regione al controllo delle milizie filorusse. Chiusa la parentesi. Alle amorevoli sollecitazioni del vice di Obama si era prontamente associato il Fondo Monetario Internazionale, l’organismo internazionale (ma egemonizzato dagli USA) i cui prestiti hanno finora consentito alla “nuova” Ucraina di sopravvivere, ma che dovrebbe allargare ulteriormente i cordoni della

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borsa per non far fallire una Ucraina privata del “soccorso invernale” russo. Ma non è tutto. Perché l’elemento più interessante dell’ intera vicenda è che la composizione del nuovo governo quel governo ch’oltre atlantico tanto trepidamente attendevano – era stata commissionata non so da chi ( ma probabilmente dal Presidente-magnate Porošhenko) a due società di “cacciatori di teste”, cioè – fuori dal gergo – specializzate nella individuazione dei manager cui affidare particolari incombenze. Attenzione: non l’incarico di individuare dei can-didati all’interno dei partiti ucraini, ma fra gli ucraini residenti all’estero, fra gli stranieri residenti in Ucraina, e fra i cittadini stranieri che potessero vantare una qualche origine o relazione con l’Ucraina. Procediamo; e chiedo scusa ai lettori per questo intricato gioco dell’oca. Sembra che la parcella per questa singolare ricerca di personale non sia stata pagata dalla Presidenza della Repubblica, ma dalla International Renaissance Foundation, organizzazione “non governativa” ufficialmente ucraina, ma in realtà eterodiretta. È infatti una costola della Open Society Foundations, l’organizzazione di George Soros che opera in molte nazioni per promuovere governi ispirati al concetto americano di democrazia e, naturalmente, alla libertà dei “mercati”. George Soros – ed è questo il primo aggancio con le vicende italiane – è un ebreo ungherese divenuto cittadino americano, che si è segnalato per la sua spregiudicatezza nelle speculazioni finanziarie. A noi italiani quella spregiudicatezza («come operatore di mercato non mi preoccupo delle conseguenze delle mie operazioni finanziarie») ha fatto molto male nel 1992, quando le sue manovre speculative ci causarono una perdita valutaria di 48 miliardi di dollari, all’origine della successiva svalutazione del 30% della lira italiana. Tornando al nuovo governo ucraino, la sua singolare composizione non mi sorprende. È semplicemente la certificazione che questo sia aspresione di quei poteri forti che – lo ho sempre sostenuto – sono all’origine della rivolta “spontanea” del febbraio scorso. CONTINUA A PAG. 30


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LA FESTA DELLA MADONNA DELLE GALLINE Raccontata da Gaetano, alunno dell’ITC San Giuseppe A Pagani ogni anno1.si festeggia la Madonna delle Galline. Tutto ebbe inizio in una notte quando la Madonna del Carmelo andò in sogno al prete della Chiesa stessa, che era situata sopra alla Torretta di Pagani, annunciando di andarsene. Pochi giorni dopo vi fu una grande alluvione, che fece crollare la chiesa e il quadro della Madonna del Carmelo. All'epoca, dove oggi sorge la chiesa, c'era un pollaio e le galline, razzolando, fecero risalire il quadro alla luce, nel XVI secolo, nell'ottava di Pasqua. Fu, poi, il padrone delle galline, che fece edificare la chiesa, che verrà chiamata della Madonna delle Galline. Altri affermano che, nel 1610, mons. Lunadoro, vescovo della diocesi di Nocera, «per il concorso del popolo devoto, ch'ivi lassa larghe elemosine, diede cominciamento ad una chiesa molto più capace» da costruire nel luogo in cui le galline avevano trovato la tavola. I lavori dovettero procedere con molta speditezza se mons. Stefano Vicari, nella sua visita pastorale fatta nel 1615, parla di una «ecclesia noviter erecta». Nell'agosto del 1786, il vescovo diocesano, mons. Benedetto dei Monti Sanfelice, pubblicò un decreto con cui il Capitolo di San Pietro in Vaticano stabiliva di incoronare solennemente la Madonna delle Galline in riconoscenza della protezione di Maria alla popolazione. La cerimonia di incoronazione avvenne nel 1787. L'immagine avrebbe compiuto ben otto miracoli. Tutto iniziò nel 1609, quando uno storpio, che si era addormentato davanti ad un locale di pertinenza dell'antica parrocchia di San Felice

ce adibito a spogliatoio (o spogliaturo), lì dove si conservava la tavola trovata dalle galline, vide nel sonno la Madonna che lo invitò ad alzarsi e a buttare le stampelle perché era guarito. Il miracolo,evidentissimo, attirò sul piccolo oratorio l'attenzione generale e nel giro di pochissimo tempo si ebbero nuove guarigioni. I festeggiamenti per la Vergine delle Galline hanno inizio il venerdì sera alle ore 18, con l'apertura delle porte della chiesa Madonna delle Galline. La domenica in albis, si fa una processione della statua della Madonna del Carmine, trasportata su un carro spinto dai fedeli. A essa il popolo offre vari volatili, principalmente galline, ma anche papere, colombe, tacchini, pavoni o gallinelle. All'offerta delle galline si accompagna quella di dolci o di tortani, torte rustiche, infarcite di salame e uova, che costituivano un tempo il cibo ricco dei contadini. Le mamme avvicinano i loro bambini alla Vergine, affinché li protegga. La processione passa per le strade, i vicoli, i cortili e le masserie di Pagani, con al seguito i gallinacei, che godono dell'ammirazione di tutti, standosene appollaiati sul capo, sulle braccia, ai piedi della Vergine, noncuranti delle vocì, della musica e dei botti. Durante questa festa si addobbano i Toselli, ((in principio, luoghi in cui i Madonnari si fermavano per riposare), oggi allestiti a luoghi di devozione. Alcuni Toselli, per tradizione, sono destinati a luoghi di degustazione di prodotti tipici locali. Durante la festa si suona a ritmo di Nacchere, Fisarmoniche e Tammorre, il luogo ideale dove, ballare e mangiare è la villa di Pagani. Gaetano Visconte

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IMMAGINI DI UN ALTRO TEMPO

‘A BIZZOCA Il termine “bizzoca” non ci deve far pensare ad un insulto; perché le bizzoche o vezzoche, o Monache di casa, o beghine o begarde erano laiche consacrate in una sorta di monachesimo domestico, godevano in mezzo al popolo di prestigio e venerazione. La consacrazione delle vergini non di vita comunitaria era pratica diffusa nella chiesa antica con l’imposizione del velo (velatis virginis), con un suo articolato rituale e con un compito specifico nell’interno della comunità ecclesiale. Secondo alcuni studiosi è attestata la presenza di al-cune vergini nelle prime comunità apostoliche (cfr. 1 Corinti 7,17-8.25-38; Atti 21,9). Altri studiosi intravedono le origini nel racconto della Risurre-zione di Gesù: «Era il primo giorno dopo il sabato, quando Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quando era ancora buio» (Gv 20). In questo passaggio scritturistico va radicata l'identità e il carisma della verginità consacrata nel mondo ed il rapporto sponsale con il Risorto. Successiva-mente in epoca Patristica fino al concilio di Nicea (325) le vergini vivono nelle case, costituiscono nella Chiesa l'Ordo Virginum, sono dedite al culto divino, fino alla metà del secolo VII aumenta il numero delle vergini e si approfondisce la rifles-sione sulla verginità per merito dei Padri della Chiesa, sia in Oriente sia in Occidente. Con i nomi di Begardi e di Beghine si indicano i seguaci di un vasto movimento spirituale iniziatosi nella seconda metà del sec, XII nei Paesi Bassi.1 La forma di convivenza religiosa sotto la denomi nazione generica di continentes fu approvata dal papa nel 1216; poco dopo si ebbero anche comunità maschili a Lovanio e ad Anversa. Appartenevano al noto ambiente penitenziale del tempo e partecipavano alle tendenze e agli sforzi riformatori del mondo cattolico che traevano le loro origini dalla riforma gregoriana del sec. XI passando per le molteplici Rinascenza monastica del sec. XII e allacciandosi al mondo duecentesco dei mendicanti.1 Nel sec. XIII il numero dei beghinaggi crebbe rapidamente in tutta Europa, ma soprattutto nei paesi nordici, accogliendo centinaia di donne.3 1 Il termine beghine indica donne (mulieres religiose) appartenenti a un movimento spirituale che si colloca tra i religiosi e i laici. Il termine beghine indica donne (mulieres religiose) appartenenti a un movimento spirituale che si colloca tra i religiosi e i laici.

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La forma di convivenza religiosa sotto la denominazione generica di continentes fu approvata dal papa nel 1216; poco dopo si ebbero anche comunità maschili a Lovanio e ad Anversa. Appartenevano al noto ambiente penitenziale del tempo e partecipavano alle tendenze e agli sforzi riformatori del mondo cattolico che traevano le loro origini dalla riforma gregoriana del sec. XI passando per le molteplici Rinascenza monastica del sec. XII e allacciandosi al mondo duecentesco dei mendicanti.2 Nel sec. XIII il numero dei beghinaggi crebbe rapidamente in tutta Europa, ma soprattutto nei paesi nordici, accogliendo centinaia di donne.3 Tale movimento si spiega storicamente data l'impossibilità di donne consacrate (recluse) a continuare a vivere associate a un Ordine religioso e a seguire una Regola, cosa proibita dalla nuova disciplina monastica del sec. XII e XIII. Per tale motivo le beghine cominciarono a raggrupparsi in associazioni autonome per dedicarsi a una fervida vita religiosa, ma senza formare conventi. Per esempio, nel 1170, il sacerdote Lamberto organizzò a Liegi una casa di beghine, mentre nella fondazione (1180) di s. Ivetta di Huy si allestì un lebbrosario assistito da beghine. Probabilmente c'erano già case nella prima metà del sec. XII.4 […]. Il fenomeno delle beghine nel nord Europa e del bizzocaggio nel Napoletano fu assai diffuso. Anche le donne rinchiuse nel medioevo erano presenti in molte località europee, ma anche italiane. Gabriele Tardio [Da “Donne eremite”] 2 A. G. Matinic, Bizzochi e bizzoche, in Dizionario degli Istituti di perfezione, Roma, 1974, Vol. I, p. 1475. 3 Luigi IX (1270), re di Francia, fece costruire a Parigi un beghinaggio per 400 donne e sostenne tale fondazione non solo con la sua generosità ma anche con pie allocuzioni. Le beghine non emet-tevano voti perpetui perciò potevano tornare nel mondo e anche sposarsi. 4 Le donne che avevano aderito al movimento beghinale/bizzocale, diffuso in tutta Europa, ebbero, oltralpe l'appellativo di beghine; mentre, nell’Italia centrale, ricorrenti erano i nomi di cellane, incarcerate, bizzoche.


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Tre ministri stranieri nel governo Ucraino ( da pag.27)

LA SINISTRA DELLE TASSE ( da pagina 25)

C’è un aspetto dei fatti ucraini che mi inquieta particolarmente. La sensazione che si tratti di un assaggio, di un ballon d’essai, per dirla alla francese. Che si sia voluto far passare il messaggio – diretto agli europei – che non è detto che i popoli debbano essere governati da elementi tratti dal loro seno, e che possano benissimo essere amministrati da soggetti stranieri, purché “competenti”. Dove la “competenza” coincide con la disponibilità a massacrare le popolazioni in nome della libertà dei mercati. Anche l’ultimo declassamento decretato da Standard & Poors per i titoli italiani (siamo oramai appena ad un gradino più su dei titoli-spazzatura) mi sembra compatibile con un disegno più vasto: quello che porterebbe ad un sostanziale commissariamento dell’Italia da parte del Fondo Monetario Internazionale e dei suoi reggicoda europei. Ecco che, in un contesto del genere, il governo italiano potrebbe essere integrato da una pattuglia di “competenti” made in USA, cui spetterebbe il còmpito di adottare le misure più dure. Intanto – lo scrive Maria Grazia Bruzzone su “La Stampa - Opinioni” – il giulivo cinguettatore fiorentino ha annunziato, proprio in questi giorni, che sarà dato l’incarico a manager stranieri di sovrintendere ai nostri principali “giacimenti” di beni culturali. Avete capito? L’Italia, che esporta “cervelli” in tutto il mondo e per tutte le materie dello scibile umano, non riesce a trovarne qualche decina che si occupino dei suoi siti archeologici e dei suoi monumenti. Ma forse questi manager stranieri avranno qualche particolare “competenza”. Chessò, per esempio, nel campo delle privatizzazioni. Certo, non siamo ancòra ai livelli brutalmente colonialisti dell’Ucraina. Ma, nel nostro piccolo, facciamo la nostra porca figura. D’altro canto, noi italiani siamo stati tanto bravi che, dopo essere stati affossati da George Soros, gli abbiamo conferito una laurea honoris causa in scienze politiche. Per comportamenti analoghi – cioè per aver speculato contro le rispettive monete nazionali – in Idonesia lo hanno condannato all’ergastolo in contumacia e in Malesia alla pena di morte. Noi gli abbiamo dato una laurea. Possiamo ben prenderci il lusso, quindi, di assumere esperti stranieri per un settore in cui siamo maestri. E speriamo che ci si fermi lì.

ed ha annunciato che per fine anno o, al massimo, all’inizio del 2015 rassegnerà le dimissioni da Presidente della Repubblica. Questa decisione è maturata dopo i molti annunci e le molte sfide lanciate dai vari Monti, Letta e Renzi che non hanno sortito nulla. Forse Napolitano ha anche preso atto che gli italiani hanno sentito molto e non hanno visto niente perché non c’era niente da vedere. Infatti, alla fine, il cittadino, a parte il suo essere di destra o di sinistra , misura la realtà della sua condizione, delle sue aspettative e delle sue prospettive. Non c’è bisogno dell’Istat o del Censis per sapere che in troppi, anche alla fine di quest’anno, non stanno certamente meglio di un anno fa; basta considerare il futuro dei giovani, sempre più incerto. In effetti, i vari governi voluti da Napolitano sono riusciti a mettere solo ” pezze” e non abiti nuovi. Con le sospirate dimissioni di Giorgio Napolitano, avremo la possibilità di un ritorno alla vita democratica, con governi eletti dal popolo, che si preoccuperanno del bene comune, invece di rinviare ogni decisione, in attesa di una ipotetica ripresa spontanea dell’economia italiana e internazionale. Mario Bottiglieri

MICHELE RALLO (Dalle OPINIONI ERETICHE)

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Il BASILISCO Periodico dellaAssociazione Lucana - Salerno Presidente: Rocco Risolia


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I MUSEI INVISIBILI Di Paolo Liguori

Definiti patrimoni inaccessibili, o musei invisibili, i depositi sono ampi patrimoni, un’ampia riserva dei musei, che non viene fruita dal pubblico. Con l’espressione “beni culturali invisibili” si intende la sommatoria delle opere d’arte, delle testimonianze storiche, culturali, sociali, tecnico-scientifiche e di costume che, allo stato attuale, non godono di adeguata visibilità e fruizione, perché nascoste, non adeguatamente conosciute e valorizzate. L’espressione si può declinare in vari modi, facendo riferimento a quei siti culturali scarsamente (o per nulla) visitati, oppure all’arte invisibile, che giace nei depositi dei musei italiani, un patrimonio artistico di cui il pubblico può fruire. Migliaia d’opere nei magazzini che non sono certo di aiu-to concreto alla cultura. Per essere più chiari, la fruizione del nostro patrimonio culturale risulta essere per lo più concentrata sui grandi attrattori. A titolo esemplificativo, l’84% dei fruitori registrati nel 2010 ha visitato soltanto il 10% dei siti statali. In altri termini il restante 90% dei siti, nel medesimo anno, ha registrato una fruizione inferiore ai 100.000 visitatori annui, mentre per il 25% della totalità dei siti ministeriali, i flussi risultano essere inferiori a 1.000 fruitori. A fianco di un patrimonio poco conosciuto e poco fruito, se ne cela un altro di cui si ignora la composizione e la quantità: trattasi di quello stipato nei magazzini dei musei. Da un recente articolo, scritto dal Direttore della Galleria degli Uffizi, si è appreso che il museo fiorentino, su una superficie totale di 6 mila metri quadri e all’interno di 55 sale, espone 1.835 opere. Quelle conservate nei depositi sono 2.300, per cui le opere esposte rappresentano poco più del 44% del totale delle opere possedute1. In molti musei, in Italia così come in altre parti del mondo, una parte considerevole dei beni posseduti non viene esposta; in molti casi rimane accessibile, come detto, solamente agli studiosi. Il problema principale riguarda pertanto la mancata valorizzazione della totalità del patrimonio posseduto. Uno degli aspetti più problematici della gestione museale è la scarsa va-

lorizzazione del capitale del museo, in particolare per quello che riguarda il tasso di esposizione della collezione. Mentre, per i musei minori, una buona parte della collezione viene esposta e solo alcuni pezzi sono rinchiusi nei magazzini, per i maggiori musei la quota dei beni esposti è molto bassa2. Infatti, la quota esposta all’Hermitage di San Pie-troburgo, par exempla, è pari al 7%, al Guggen-heim di New York è dell’8%, al Prado di Ma-drid del 9%, al British Museum di Londra del 10%. Al Louvre di Parigi, la quota degli oggetti esposti è, eccezionalmente, del 60%3. In questi anni sono nate nuove iniziative per rendere accessibile al pubblico il maggior nume-ro di oggetti d’arte posseduti dai singoli musei. Una di queste è rappresentata dagli open stora-ges. Si tratta di “veri e propri magazzini che, a differenza dei depositi dei musei tradizionali, sono liberamente accessibili dal pubblico”4. Ad esempio, nel 2006, il Birmingham Museum and the Art Gallery, ha inaugurato il Museum Collections Centre, un vero e proprio open storage, che permette al pubblico di visitare più dell’80% delle opere immagazzinate nel deposito del museo. A tal proposito, Towse scrive che uno degli aspetti di politica museale, che gli economisti della cultura hanno criticato, è che i musei non utilizzano nel modo più efficiente i loro asset migliori, le collezioni possedute, sostenendo che, a meno che non sia concesso di cedere oggetti appartenenti alla propria collezione, attraverso la vendita o il prestito, ad altri musei, il museo non farà mai un uso efficiente delle proprie risorse 5. Nel caso italiano, i problemi riguardano essenzialmente due ambiti: l’autonomia dei musei e l’inalienabilità del patrimonio. Nel primo caso, i ricavi prodotti da un museo statale prendono la via che porta al ministero del Tesoro; nel secondo, la normativa non consente la vendita di ciò che fa parte di collezioni pubbliche. __________________

1) Natali, 2011 2) Candela e Scorcu, Economia delle arti, Bologna, Zanichelli, 2004, p. 152. 3) Candela e Scorcu, op.già citata. 4)Chiavarelli, 2010, La globalizzazione dei beni culturali, Bologna, il Mulino, p.138. 5)Towse, 2010, Manuale di economia e politica dei beni culturali, Soveria Mannelli, Rubbettino, pp.248-9

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Regimen Sanitatis Salernitanum - Caput XLIII

DE FICUBUS Scrofa, tomor, glandes, cataplasmate cedunt Junge papaver ei, confracta foris tenet ossa. Pediculos veneremque facit,sed cuilibet obstat.

Sana il fico strume, ghiande, e i tumor su cui si spande. Se il papaver gli si aggiunge, l’osse infrante ad estrar giunge. Crea pidocchi e voglie oscene, ma chiunque le previene.

LEVIORA

Cose che succedono ai vivi Una coppietta innamorata va al parco, si baciano e fanno all’amore. Dopo di ché, stanchio di chiacchierare, decidono di giocare al verso degli animali e lei acconsente. “ Bau bau” comincia lei e lui prontamente:”E’ il cane mia cara!”. “Miao, miao!” continua lui “E’ un gatto, caro!” risponde lei. A questo punto, lei lo abbraccia dolcemente coprendolo ed inserendo un ginocchio fra le sue gambe. Il giovane urla come incredibilmente. “Ma non toccava a me?” gli chiede la fanciulla, “ Comunque è l’urlo di Tarzan”. Il ragazzo, allora:” Hai sbagliato passerotto, mi hai semplicemente schiacciato le palle!”.

Breve ma efficace Maestro: "fammi un esempio di angolo" Pierino: "la parte più polverosa della mia stanza!"

BRONTOLO

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Immagini correlate:


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Da “Le opinioni eretiche”

LA STRAGE DI PARIGI: Come volevansi dimostrare

Premetto di non essere affatto ostile al mondo arabo e musulmano. Durante il mio mandato parlamentare ho anche fatto parte di un’associazione d’amicizia italo-araba denominata as-Sadaka, cioè – per l’appunto – “l’Amicizia”. Semplicemente – l’ho detto più volte e lo ripeto – ritengo che il presupposto indispensabile dell’amicizia euro-araba ed euroislamica (e non si tratta della stessa cosa) sia un concetto semplice semplice: ognuno a casa propria. Non è xenofobia, non è intolleranza, ma è soltanto consapevolezza della assoluta inconciliabilità di due mondi; due mondi che possono convivere pacificamente e amichevolmente solo a patto di restare rigidamente separati. Storicamente, ogni qual volta si è tentata una commistione più o meno pacifica si sono causate guerre devastanti, i cui effetti sono giunti fino ai nostri giorni: dalle Crociate cristiane in Terrasanta alle invasioni arabe in Spagna e Sicilia, dalla dominazione turca nei Balcani alla colonizzazione greca dell’Asia Minore. Ciò premesso, va anche detto che episodi come quelli di Parigi (e quelli dei mesi precedenti in Inghilterra, Canada, Australia) non sono ascrivibili al mondo islamico nel suo complesso, ma soltanto ad una sua parte che è in guerra con tutto il resto delle nazioni arabe e musulmane: contro gli arabi laici (e in primo luogo contro la Siria), contro gli sciiti (e in primo luogo contro l’Iran e l’Iraq), contro la gran parte degli Stati arabo-sunniti (dalla Giordania all’Egitto, dall’Algeria al Marocco) e, addirittura, contro l’autentico tradizionalismo religioso islamico (la grande e pacifica scuola del sufismo). Senza contare che un’altra parte consistente dell’attivismo fondamentalista arabo-sunnita utilizza metodi terroristici solamente in patria, rifiutando la parteci-pazione a “guerre sante” oltre i confini nazionali: penso ai Fratelli Musulmani in Egitto o ad Hamas in Palestina. Il terrorismo islamista – dalle Torri Gemelle a Charlie Ebdo, passando per al-Qaeda e per l’ISIS – ha solamente due radici, entrambe riconducibili non genericamente al sunnismo (la confessione largamente maggioritaria dell’islamismo) ma alla sua parte più estremista ed intollerante: una radice è quella della setta wahabita dominante in Arabia Saudita, Qatar e fra gli altri alleati “petroliferi” degli Stati Uniti; l’altra

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è quella della setta salafita che rappresenta la costola (minoritaria) nordafricana dell’estremismo islamista. Chiarito che è assolutamente imbecille l’equazione “terrorismo = islamismo”, va però detto che solamente all’interno del mondo musulmano nascono e crescono certe manifestazioni estreme di fondamentalismo religioso, che danno luogo ad episodi aberranti incompatibili con la civiltà europea. Né tra gli ebrei, né tra i buddisti, né tra gli induisti – confessioni che pure hanno al loro interno delle componenti radicali – attecchiscono fenomeni estremistico-terroristici del genere di quelli sorti in àmbito islamico. Di ciò va preso atto, senza estremizzazioni inopportune ma anche senza pericolosissimi buonismi. Sarebbe perciò au-spicabile una radicale inversione di rotta nella nostra politica in materia di immigrazione: le frontiere andrebbero chiuse, sbarrate, per ineludibili esigenze di sicurezza oltre che in aggiunta agli evidenti motivi economici. E in una ragionata e limitata accoglienza dei profughi (pro-fughi veri e non migranti economici) si dovrebbero privilegiare gli elementi di religione cristiana (penso ai nostri correligionari in fuga dalla barbarie dell’ISIS) che sono gli unici ad essere realisticamente integrabili nel nostro tessuto sociale. Inoltre, andrebbe bandito ogni automatismo nella concessione della cittadinanza, che dovrebbe essere attribuita solamente agli stranieri imparentati con cittadini italiani e, comunque, a soggetti che dimostrino di voler piena-mente rispettare le leggi e la cultura del Paese che li ospita. Chi tresca con i terroristi – ma pure chi comunque delinque – va espulso senza tentennamenti, anche se avesse per avventura ottenuto la cittadinanza italiana. Altro che – vero, Angelino? – “controllare” e “monitorare” chi va e viene dalla Siria e dall’Afghanistan o chi raccoglie soldi per la Jihad. I nostri politici, però, non hanno certo gli attributi necessari per attuare misure del genere, anche perché ciò equivarrebbe a riconoscere di avere sbagliato tutto in materia di immigrazione. Matteo Renzi è andato all’Università di Bologna per dichiarare che non è vero che l’integrazione (degli stranieri) si contrappone al mantenimento dell’identità (degli italiani), e che chi non condivide questa singolare teoria è un cialtrone. Dopo di che – tra un Matteuccio e un Angelino


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– vorrei sapere quali garanzie gli italiani possano avere per la propria sicurezza individuale e collettiva.V’è però da dire che i nostri politici non sono certamente gli unici ad avere sbagliato tutto. Altri – e con ben maggiori responsabilità – portano il fardello di scelte perversamente, scelleratamente errate. A incominciare dal Premio Nobel “per la Pace” Barak Obama, la cui aggressiva politica mediterranea è stata scritta sotto dettatura di Israele e dell’Arabia Saudita: osteggiando l’Iran sciita che è il principale avversario della Jihad estremo-sunnita; aggredendo – in forma palese o mascherata – gli Stati arabi laici, dalla Libia di Gheddafi alla Siria di Assad; tollerando che in Medio Oriente si installasse un pericolosissimo Califfato, che le bombe americane potrebbero invece spazzar via in solo ventiquattr’ore; tollerando altresì che mezza Nigeria (guarda caso, paese ricco di petrolio) sia tenuta in ostaggio dagli aguzzini di Boko Aram, la cui ultima azione – pochi giorni fa – ha causato la morte di 2.000 (dico duemila) incolpevoli civili. E, con il Presidente a stelle e strisce, dovrebbe fare autocritica – fra gli altri – anche l’ineffabile Presidente francese Hollande, il quale, fra un’avventura galante e l’altra, si è dato un gran daffare sulla scena diplomatica per essere ammesso a svolgere l’ambìto ruolo di principale interlocutore europeo dell’Arabia Saudita e del Qatar; di quei Paesi, cioè, da cui provengono le risorse finanziarie dei movimenti estremo-islamisti che stanno mettendo a ferro e fuoco il Medio Oriente e che sognano di fare altrettanto con l’Europa infedele. È l’insieme delle politiche occidentali verso il mondo arabo-islamico ad essere profondamente sbagliato. Si stanno cancellando gli Stati mediorientali per assecondare i furori ideologici di Israele e per garantire gli interessi petroliferi dei sauditi. Si consente alle bande fondamentaliste (travestite da “eserciti di liberazione”) di aggredire Stati sovrani: ieri la Libia, oggi la Siria, l’Iraq e la Nigeria, domani – vedrete – il Libano. E tutto ciò alimenta il dilagare dell’estremismo islamista anche in una Europa che è stata – casualmente? – invasa da una devastante ondata migratoria; ondata migratoria che nella sua maggioranza proviene dal mondo musulmano e che annovera una quota-parte – non so quanto estesa – sensibile alle sollecitazioni dello jihadismo. I morti di Parigi sono figli di questa politica folle, autolesionista, delle “primavere arabe” finanziate dai magnati americani, delle gelosie religiosoaffaristiche mediorientali, di certa demagogia buonista che, in nome di una fantomatica “integrazione”, vuole cancellare l’identità delle nazioni

europee. In accordo perfetto – e qui il cerchio si chiude – con le manovre della speculazione finanziaria che, in altri àmbiti e con altri mezzi, mirano al medesimo obiettivo. MICHELE RALLO

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ACCADEMIA ROVERETANA DEGLI AGIATI CON IL PATROCINIO DELLA PROVINCIA DI TRENTO E DEL COMUNE DI ROVERETO

Nel Palazzo Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto Piazza Rosmini 5 Il centenario della Grande Guerra sta stimolando iniziative di ogni tipo, spesso ricche di interesse, talvolta banalizzanti o dispersive. Il ciclo che proponiamo vuol segnalare una serie di studi recenti utili per orientarsi, per capire, per intraprendere ulteriori percorsi di conoscenza. Una sintesi di ampio respiro sulle conseguenze della vittoria italiana nelle regioni di confine, dal Brennero all’Adriatico e sulle ambizioni espansive della politica estera del nostro paese; una panoramica originale sulla letteratura italiana di fronte all’esperienza vissuta di un conflitto che gran parte degli Intellettuali avevano idealizzato e voluto; l’edizione e l’articolata interpretazione di una cronaca privata redatta quotidianamente a Riva del Garda, documento di uno sguardo ravvicinato sulle dinamiche della “guerra in casa”; una guida a più voci e da diversi punti di vista alla rilettura della guerra italo-austriaca. Intendiamo offrire con questo percorso una sorta di mappa e insieme un’occasione di dialogo diretto con i protagonisti di ricerche storiche attrezzate e innovative. Giovedì 22 gennaio 2015, ore 17.30 Vittorio Fiorio. Memorie della guerra mondiale: dall’8 giugno 1914 al 20 giugno 1915. Giovedì 29 gennaio 2015, ore 17.30 Giovanni Capecchi Lo straniero nemico e fratello. Letteratura italiana e Grande Guerra Giovedì 5 febbraio 2015, ore 17.30 La guerra italo-austriaca (1915-1918) a cura di N. Labanca, Oswald Überegger.


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Una tenerezza di Giuffrida Farina Cara mamma, hai portato con te e conservi un mio affettuoso pensiero a te dedicato, che risale al 1977. Il tempo trascorre inesorabile, ma non cancella, non può cancellare i sentimenti veri, autentici, che resteranno immutati per sempre, in papà, in noi figli, nei tuoi cari nipoti. Allora,ricordi?, eri commossa e compiaciuta, lo sarai anche ora. E’ una nuova tenera ed amorevole idea che ti dedico, la rievocheremo quando verrò a raggiungerti in questa tua nuova dimensione di vita che è l’Aldilà. Non avere paura, vi sono i tuoi affetti a te vicino, ma idealmente, accanto a te ci siamo anche noi, che non ti lasceremo mai, e proseguiremo il nostro cammino terreno, con la tua immagine e bontà impresse nel cuore. Grazie, mamma, il bagliore di Dio e la fiamma del nostro amore,stai certa,brilleranno in eterno1.

Madre, ora Dio ti è vicino, so che vedi una spina in ogni nostra goccia di lacrima ma so che non sei lì, non vivi dentro una gelida pietra. Una luce ti riporterà in noi, sarà quella del nostro cuore terreno la vera preghiera che la guiderà. Ritornerai a noi cari per amore, nel perdono divino tu rivivrai, e noi quel giorno saremo davvero noi quando con tenerezza ci indicherai: E’ là il sogno dell’ amore celeste, ogni umana barriera è abbattuta. Ritornerai per l’umanità tutta che nella parola madre si racchiude, sarai di nuovo madre quando innanzi ai miei occhi si aprirà la pagina di un libro segreto, la aprirai : la pagina della tua libertà

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1) Pubblichiamo questo delicato pensiero dell’amico Giuffrida Farina, che ha recentemente perso la sua mamma Antonetta Vitale. L’ANGOLO DEL CUORE

GUARDERO’ LE STELLE Per te ritornerò bambino e guarderò le stelle negli occhi di mia madre, mentre mi trasporta per mano nel mondo delle favole. Per te catturerò la luna per scacciare i fantasmi della notte. A te regalerò un aquilone, che salirà in alto, con su scritto il tuo nome. ________________ 1) Da “LE TUE LABBRA” di Franco Pastore – cod. IT\ICCU\PAL\0256056 .

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