La lupa

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FRANCO PASTORE

UN SOGNO PROIBITO

A.I.T.W. Edizioni Collana Poesia Monografica

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UN SOGNO PROIBITO Riduzione in versi Di FRANCO PASTORE

© 24 sett. 2004 by Franco Pastore Una realizzazione A. I. T. W. Da “Un unico grande sogno” ISBN IT\ICCU\MO1\0035686

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INTRODUCTIO

Giovanni Carmelo Verga nacque a Catania il 2 settembre 1840, al numero 8 di via Sant'Anna, da Giovanni Battista Verga Catalano e Caterina Di Mauro Barbagallo originaria di Belpasso. Discendente del ramo cadetto dei baroni di Fontanabianca ed appartenente alla nobiltà antica di Vizzini,era il secondo condo di sei figli. Lasciati gli studi di legge per entrare, nel 1861, nella Guardia Nazionale, manifesta fin da giovane, un grande interesse per la letteratura, pubblicando,a soli 22anni, "I carbonari della montagna", un romanzo storico dove è già visibile l‟entusiasmo patriottico per l„ annessione della Sicilia al Regno d'Italia, ardore che diventa ancora più evidente nel secondo romanzo, "Sulle lagune"(1863) e con la fonda-zione del giornale "Roma degli Italiani". Nel 65, si trasferisce a Firenze,ove pubblica i romanzi “ Una peccatrice" (66) e "Storia di una capinera" (71). Si sposta, poi, a Milano, dove entra in contatto con Arrigo Boito, Giuseppe Giocosa e Federico De Roberto. Pubblica, successivamente, i romanzi "Eva", "Tigre reale" (1874), "Eros" (1875) e la raccolta "Primavera e altri racconti" (1876). In una lettera del 1878 espone il suo progetto di un ciclo di romanzi dal titolo "I vinti". Nel 1880 esce la raccolta di novelle "Vita dei campi“ e, l'anno successivo, il primo romanzo del ciclo dei vinti ed il suo capolavoro: "I Malavoglia". Nel 1882, pubblica il romanzo "Il marito di Elena"; nel 1883, le raccolte di novelle "Per le vie" e "Novelle rusticane". Nel 1884, viene rappresentata in teatro una sua novella, della

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raccolta "Vita dei campi", la "Cavalleria rusticana",che Pietro Mascagni tramuterà in opera lirica nel 1890. L’HISTORIA Era alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna - e pure non era più giovane - era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano. Al villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai di nulla. Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell'andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si spolpava i loro figliuoli e i loro mariti in un batter d' occhio, con le sue labbra rosse, e se li tirava dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi da satanasso, fossero stati davanti all' altare di Santa Agrippina. Per fortuna la Lupa non veniva mai in chiesa, né a Pasqua, né a Natale, né per ascoltar messa, né per confessarsi. Padre Angiolino di Santa Maria di Gesù, un vero servo di Dio, aveva persa l'anima per lei. Maricchia, poveretta, buona e brava ragazza, piangeva di nascosto, perché era figlia della Lupa, e nessuno l'avrebbe tolta in moglie, sebbene ci avesse la sua bella roba nel cassettone, e la sua buona terra al sole, come ogni altra ragazza del villaggio. Una volta la Lupa si innamorò di un bel giovane che era tornato da soldato, e mieteva il fieno con lei nelle chiuse del notaro; ma proprio quello che si dice innamorarsi, sentirsene ardere le carni sotto al fustagno del corpetto, e provare,

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fissandolo negli occhi, la sete che si ha nelle ore calde di giugno, in fondo alla pianura. . Ma lui seguitava a mietere tranquillamente, col naso sui manipoli, e le diceva: - O che avete, gnà Pina? - Nei campi immensi, dove scoppiettava soltanto il volo dei grilli, quando il sole batteva a piombo, la Lupa, affastellava manipoli su manipoli, e covoni su covoni, senza stancarsi mai, senza rizzarsi un momento sulla vita, senza accostare le labbra al fiasco, pur di stare sempre alle calcagna di Nanni, che mieteva e mieteva, e le domandava di quando in quando: - Che volete, gnà Pina? Una sera ella glielo disse, mentre gli uomini sonnecchiavano nell'aia, stanchi dalla lunga giornata, ed i cani uggiolavano per la vasta campagna nera: - Te voglio! Te che sei bello come il sole, e dolce come il miele. Voglio te! - Ed io invece voglio vostra figlia, che è zitella - rispose Nanni ridendo. La Lupa si cacciò le mani nei capelli, grattandosi le tempie senza dir parola, e se ne andò; né più comparve nell'aia. Ma in ottobre rivide Nanni, al tempo che cavavano l'olio, perché egli lavorava accanto alla sua casa, e lo scricchiolio del torchio non la faceva dormire tutta notte. - Prendi il sacco delle olive, - disse alla figliuola, - e vieni Nanni spingeva con la pala le olive sotto la macina, e gridava Ohi! - alla mula perché non si arrestasse. - La vuoi mia figlia Maricchia? - gli domandò la gnà Pina. - Cosa gli date a vostra figlia Maricchia? - rispose Nanni. - Essa ha la roba di suo padre, e dippiù o le do la mia casa; a me mi basterà che mi lasciate un cantuccio nella cucina, per stendervi un po' di pagliericcio. – Se è così se ne può parlare a Natale - disse Nanni.

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Nanni era tutto unto e sudicio dell'olio e delle olive messe a fermentare, e Maricchia non lo voleva a nessun patto; ma sua madre l„ afferrò pe' capelli, davanti al focolare, e le disse co' denti stretti: - Se non lo pigli, ti ammazzo! – […] Suo genero, quando ella glieli piantava in faccia, quegli occhi, si metteva a ridere, e cavava fuori l'abitino della Madonna per segnarsi. Maricchia stava in casa ad allattare i figliuoli, e sua madre andava nei campi, a lavorare cogli uomini, proprio come un uomo, a sarchiare, a zappare, a governare le bestie, a potare le viti, fosse stato greco e levante di gennaio, oppure scirocco di agosto, allorquando i muli lasciavano cader la testa penzoloni, e gli uomini dormivano bocconi a ridosso del muro a tramontana. In quell'ora fra vespero e nona, in cui non ne va in volta femmina buona, la gnà Pina era la sola anima viva che si vedesse errare per la campagna, sui sassi infuocati delle viottole, fra le stoppie riarse dei campi immensi, che si perdevano nell'afa, ontan lontano, verso l„ Etna nebbioso, dove il cielo si aggravava sullo orizzonte. - Svegliati! -disse la Lupa a Nanni che dormiva nel fosso, accanto alla siepe polverosa, col capo fra le braccia. - Svegliati, ché ti ho portato il vino per rinfrescarti la gola -. Nanni spalancò gli occhi imbambolati, tra veglia e sonno, trovandosela dinanzi ritta, pallida, col petto prepotente, e gli occhi neri come il carbone, e stese brancolando le mani. - No! non ne va in volta femmina buona nell'ora fra vespero e nona! - singhiozzava Nanni, ricacciando la faccia contro l'erba secca del fossato, in fondo in fondo, colle unghie nei capelli. Andatevene! andatevene! non ci venite più nell'aia! -

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Ella se ne andava infatti, la Lupa, riannodando le trecce superbe, guardando fisso dinanzi ai suoi passi nelle stoppie calde, cogli occhi neri come il carbone. Ma nell'aia ci tornò delle altre volte, e Nanni non le disse nulla. […] Maricchia piangeva notte e giorno, e alla madre le piantava in faccia gli occhi ardenti di lagrime e di gelosia, come una lupacchiotta anch'essa, allorché la vedeva tornare da' campi pallida e muta ogni volta. - Scellerata! - le diceva. Mamma scellerata! - Taci! - Ladra! ladra! - Taci! - Andrò dal brigadiere, andrò - Vacci! E ci andò davvero, coi figli in collo, senza temere di nulla, e senza versare una lacrima, come una pazza, perché adesso l'amava anche lei quel marito che le avevano dato per forza, unto e sudicio delle olive messe a fermentare. E meglio sarebbe stato per lui che fosse morto in quel giorno, prima che il diavolo tornasse a tentarlo e a ficcarglisi nell'anima e nel corpo quando fu guarito. - Lasciatemi stare! - diceva alla Lupa - Per carità, lasciatemi in pace! Io ho visto la morte cogli occhi! La povera Maricchia non fa che disperarsi. Ora tutto il paese lo sa! Quando non vi vedo è meglio per voi e per me... – Ed avrebbe voluto strapparsi gli occhi per non vedere quelli della Lupa, che quando gli si ficcavano ne' suoi gli facevano perdere l'anima ed il corpo. Non sapeva più che fare per svincolarsi dall'incantesimo. Pagò delle messe alle anime del Purgatorio, e andò a chiedere aiuto al parroco e al brigadiere. A

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Pasqua andò a confessarsi, e fece pubblicamente sei palmi di lingua a strasciconi sui ciottoli del sacrato innanzi alla chiesa, in penitenza - e poi, come la Lupa tornava a tentarlo:- Sentite! le disse,- non ci venite più nell'aia, perché se tornate a cercarmi, com'è vero Iddio, vi ammazzo! - Ammazzami, - rispose la Lupa, - ché non me ne importa; ma senza di te non voglio starci -. Ei come la scorse da lontano, in mezzo a' seminati verdi, lasciò di zappare la vigna, e andò a staccare la scure dall'olmo. La Lupa lo vide venire, pallido e stralu-nato, colla scure che luccicava al sole, e non si arretrò di un sol passo, non chinò gli occhi, seguitò ad andargli incontro, con le mani piene di manipoli di papaveri rossi, e mangiandoselo con gli occhi neri. - Ah! malanno all'anima vostra! balbettò Nanni. (G.Verga: da Vita dei Campi)

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PROLOGO

Geme il tuo corpo lì, nell‟aria bruna, nuda ti vesti coi raggi della luna. Mugoli al vento, le unghia nelle mani, s‟agita il seno: l‟oggi è già domani. Pallido il viso, senz‟ombra di un sorriso, e sul piacer voluto le labbra di velluto. Non c‟è più via di scampo, il tempo è ormai scaduto. Nel cuore e nelle vene, fuoco e ardor ti piglia e per aver l‟amore, baratti carne e figlia. EPILOGO Cieca nell‟aia corri, come un animale tanto, c‟è Nanni tuo

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e solo questo vale. Quel giorno, al suo morire, la scorse da lontano, veniva per gioire, recando fiori in mano Prese la scure e lucido si mise ad avanzare tra il verde dei filari dove dovea zappare. La lupa vide pallido il viso suo venire, ma non avea paura forse, volea finire. Non arretrò d‟ un passo, né pronunciò parole, gli cose solo incontro, come per far l‟amore . Guardandolo negli occhi, gridò:- Meglio la morte, se è questo che tu vuoi accetto la mia sorte!Mentre sull‟aia umida il Nanni la uccideva, su quella terra arida il sole vi piangeva.

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Sui campi di papaveri, forte soffiò il vento, gemiti di dolore, tra i sassi e il firmamento.

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L’Autore Franco Pastore nasce a San Valentino Torio, frequenta il ginnasio ed il Liceo nella vicina Sarno, il paese dei nonni materni, e completa gli studi presso l’Ateneo salernitano. Fin da giovanissimo, inizia a scrivere racconti, poesie ed articoli su periodici e giornali locali. Dopo il servizio militare, si trasferisce con la famiglia a Salerno, dove, nel 1971, inizia a collaborare con lo scrittore Arnaldo Di Matteo, scrivendo sul periodico “Verso il 2000”. Di poi, entra a far parte dell’equipe del Varo, la galleria d’arte di Vito Giocoli, sostenuta dal giornalista napoletano Saverio Natale, che lo veicola verso la critica d’arte. Intanto diviene un punto di riferimento nella famiglia di “Verso il 2000”, collaborando con il Prof. Zazo dell’Ateneo napoletano, il preside Marino Serini, il pittore Luigi Grieco, Achille Cardasco, Nicola Napolitano, Renato Ungaro, Luigi Fiorentino ed altre personalità della cultura, come Franco Angrisano Domenico Rea e Gaetano Rispoli. Fu appunto Rispoli a presentarlo a Carlo Levi, a Roma, nel dicembre del 1971. Alla metà degli anni settanta, sarà Domenico Rea, presso la Camera di Com-mercio di Salerno, a presentare alla stampa il libro di estetica morale Il Vangelo di Matteo (Roma - n. 136 del 12/6/1980), che il Pastore scriveva, nel 1979 (Il Giorno - 23 marzo 1980), con Liana Annarumma. Intanto, Franco Angrisano lo presentava ad Eduardo De Filippo, nel periodo in cui l’attore recitava nella sua compagnia. Fu allora che in Franco Pastore si rafforzò l’amore per il teatro. Frattanto, grazie al Grieco, conosceva Lucia Apicella di Cava (Mamma Lucia), per la quale pubblicava su Verso il 2000 una serie di racconti, raccolti poi nel libro “Mamma Lucia ed altre novelle” (L’Eco della stampa - gennaio 1980 / Il Faro del 13/2/1980), con le illustrazioni del Grieco. Seguiva, sempre sull’eroina cavese,“Mutter der Toten”, un radiodramma, pubblicato dalla Palladio, che Angrisano drammatizzò nel salone dei marmi del Comune di Salerno (la Voce del Sud - 12/7/1980 - Roma 11 giugno 1980 52 n.135), il giorno in cui Mamma Lucia fu Premiata con medaglia d’oro del Presidente della

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Repubblica nel luglio del 1980 (Il Secolo d'Italia - Anno XXIX dell'11/07/1980). Dopo il suo primo romanzo “L’ira del Sud” (verso il 2000 - anno XXIII - n.82 del 1983, con nota autografa di Nilde Iotti) scrisse per Franco Angrisano “La moglie dell’oste”, ispirata alla XII novella de Il Novellino, di Masuccio Salernitano; seguì “Terra amara”, sul problema del caporalato nel sud. Negli anni novanta, viene trasferito al Liceo di Piaggine. Fu in quegli anni che scrisse “All’ombra del Cervati” una raccolta di liriche e “Fabellae”, un testo di drammatizzazione per la scuola elementare. Sono gli anni in cui si accosta all’informatica, è docente di sociologia e psicologia di gruppo nell’Ospedale Tortora di Pagani. Inizia un dialogo stretto con il teatro, grazie alla disponibilità dell’auditorium del Centro Sociale paganese ed all’incontro con la compagnia teatrale “02”, diretta da Enzo Fabbricatore. Nascono così le commedie: “Un giorno come un altro”, “Un maledetto amore”, “Una strana Famiglia” ( Le Figaro / Education, samedi 4 juin 2005). Tra il 1995 ed il 2000, è direttore di Corsi di alfabetizzazione informatica per il M.I. e tiene, al Centro sociale di Pagani, Corsi di Pedagogia speciale (metodi: Decroly e Froebel). Alla fine degli anni novanta, si abilita per l'insegnamento delle lettere negli istituti superiori e, nel 2000, il commediografo passa dalla pedagogia (didattica e metodologia), all’insegnamento di italiano e storia nell’Istituto “G. Fortunato” di Angri. Nello stesso anno, ritorna nella sua Salerno, in via Posidonia. Oramai ha perso tutti gli amici di un tempo. Intensifica il suo interesse per il teatro, entra in rapporto con alcune compagnie salernitane e conosce Gaetano Stella e Matteo Salsano della compagnia di Luca De Filippo. Con questi ultimi, ripropone “La moglie dell’oste” che viene rappresentata nel 2006, al teatro dei Barbuti, nel Centro storico. Il successo dell’opera lo spinge a scrivere altre tre commedie, ispirate al Novellino del Masuccio: Le brache di San Griffone , “Un vescovo una monaca ed una badessa” e “Lo papa a Roma”.

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Oramai l’insegnamento non lo interessa più e dà le dimissioni, nel settembre del 2005, chiudendo innanzi tempo il suo impegno con la scuola, per dedicarsi completamente al Teatro. Come European journalist (GNS Press Association), fonda, con il patroci-nio del Comune e della Provincia di Salerno, la rivista virtuale di lettere ed arti “ Antropos in the world”, alla quale collaborano l’on.Michele Rallo da Trapani, Anna Burdua da Erice, Maria imparato da Bergamo e Gaetano Rispoli, l’ultimo maestro di pittura, amico di Carlo levi e di Domenico Rea. Intanto, inizia il ciclo de’ “I Signori della guerra”, ovvero “La Saga dei Longobardi”, un insieme di cinque drammi storici, sulla Salerno longobarda e normanna, che completa il 29 gennaio del 2011. Dopo la pubblicazione delle raccolte di racconti “Il gusto della vita” (ed. Palladio) e di “Ciomma” (edito dalla Ed. Antitesi di Roma), va in scena, a Pagani, il primo dei drammi storici “L’Adelchi”, replicato il 25 febbraio 2011 al Diana di Nocera Inf., con il patrocinio della Provincia di Salerno (Dentro Salerno, 25 febbr. 2011). Dunque, nelle sue opere, traviamo profonde tracce delle sue radici: le figure ed i personaggi delle sue commedie e dei racconti ci riportano all’agro nocerino-sarnese, ricco di caratteristiche peculiari, artisticamente incastonati in situazioni socio antropologiche sui generis. E’ il caso di “Peppe Tracchia”, così come di “Ciomma” o “Luciano Valosta”, per non citare tante altre figure, prese dai campi o dalle fabbriche di pomodori. Nemmeno l’agro si dimentica di lui, con la consegna dell’Award dell’Agro, per la letteratura. (Cronache del Salernitano, del 27 agosto 2013) e la pubblicazione di “Oltre le stelle”, presentata al palazzo formosa, il 12 febbraio del 2014 (Dentro Salerno, 13.02.2014) Nel settembre del 2014, ha bisogno di una pausa e rallenta le fatiche letterarie, ritornando alla scuola come preside (coordinatore didattico) di un istituto superiore parificato, ma continua a dirigere “Antropos in the world”, la rivista letteraria da lui fondata nel 2004, con il patrocinio del Comuni di Salerno, Pagani, San Valentino Torio, nonché della Provincia di Avellino. Fin dagli inizi del suo percorso artistico, Pastore, pur avendo acquisito una formazione classica (Euripide, i lirici greci, Aristofane e la commedia antica, Omero, Esopo e Fedro), si trova ad essere rivolto

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verso il presente del nostro tempo. La sua narrativa si può ritenere, in alcune sfumature, neorealista, con testimonianze forti sulle difficoltà di una Italia degli anni della ricostruzione. CosÏ, nel teatro, nel mentre delinea il dramma di antiche dominazioni, passa alla commedia di denuncia ed alla farsa.

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© 24 sett, 2004 by Franco Pastore Una realizzazione A. I. T. W. Da “Un unico grande sogno” ISBN IT\ICCU\MO1\0035686

Nellle biblioteche universitarie in formato cartaceo In formato ebook dal 2014

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