Franco Pastore
Romanzo breve
A.I.T.W. Edizioni
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Romanzo breve
di Franco Pastore ___
Prefactio Natale Ammaturo, Sociologo, Professore ordinario Ateneo Salernitano
Deductio
La trama ed i dialoghi di questa storia romanzata sono presenti nel dramma in due atti, dello stesso autore, TERRA AMARA
Disegni
Luigi Grieco
Š Franco Pastore 1982 III ed. marzo 2014 Cod ISBN 9788868143053
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Prefactio “… L’autore nella narrazione ha riscoperto l’ira del sud, quell’ira che difficilmente si fa azione: è l’ira soffocata che diventa rassegnazione, impotenza, preghiera. E tutto concorre al mantenimento dei rapporti sociali consolidati: li istituzioni difendono i privilegi e non consentono spazi a mutamenti, nel sostanziale miglioramento della condizione umana della povera gente del Sud, sottoproletariato, cje è costretta a cedere una parte della propria giornata lavorativa, già malpagata, al caporale, figura questa parassitaria, che fa da tramite e da mediatore tra il potere costituito, i grossi latifondisti e la povera gente. Forse, la sfiducia nello stato e nelle istituzioni della gente del Sud nasce dai maltrattamenti storici, dalla soggezione e dalla educazione all’obbedienza ed alla sudditanza. L’arroganza del potere allunga le sue mani violente anche sull’unica ricchezza posseduta: l’intimità e la purezza della povera gente del sud. Ma Nunziatina sceglie il suicidio per la violenza subita; il dolore della propria miseria e la consapevolezza di nessuna giustizia per la propria condizione sociale hanno il sopravvento sulla religiosità e sul potere consolatore della provvidenza. La morte è l’estremo rimedio ed è solo con essa che si possono risvegliare sentimenti sopiti, rancori atavici ed il senso 5
della giustizia storica. […] Come è lontano lo Stato, il poterew costituito, garante della propria libertà! Lo Stato ricompare dopo l’uccisione del caporale, arrestando e condannando i giovani vendicatori. […] L’autore si riallaccia alla tradizione naturalistica di stampo francese nella forma e nei contenuti, senza mai discostarsi dalla coerenza e dalla fedeltà ai fatti ed i personaggi appaiono in tutta la loro pienezza di sentimenti e sofferenze: l’umanità è presente. […] Natale Ammaturo
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Capitolo I Oltre le gole selvagge del monte Marzano, la valle del Sele si estende a triangolo tra l'Alburno ed i monti Picentini. Tra i lembi estesi di terrazze fluviali‚ il Sele si allarga ad irrorare la pianura, un tempo inospitale e malarica. La nostra storia si svolge‚ agli inizi del ventesimo secolo, in quella parte della valle chiamata "fémmena morta", in seguito al ritrovamento del cadavere di una donna che non fu mai identificata. A quel tempo, vaste masse di proletari, coloni e contadini, si addensavano là dove forme capitalistiche di conduzione si erano insediate in un contesto sociale dominato da “residui feudali” e dalla assoluta mancanza di una regolamentazione giuridica‚ che garantisse la tutela dei prestatori di opera,vittima dei caporali. Questi ultimi attuavano una vera mafia d'ingaggio, impedendo il contatto diretto tra padroni e lavoratori ed avvantaggiandosi, indebitamente, sul compenso del lavoro. Nel contempo, taglieggiavano le loro vittime, pretendendo utili per l’arruolamento. Su di un guadagno complessivo di venticinque lire, essi truffavano sino a sei lire, continuando l'opera con atti di strozzinaggio ed imponendo prestiti iniziali a tassi impossibili. Altri ancora‚ contro ogni legge morale, pretendevano che le donne alzassero le gonne e soggiacessero alla loro voglie. Don Filippo Capo apparteneva a questi ultimi‚ e non perdeva nessuna occasione per trarre benefici economici e sessuali‚ in tutta la pianura. 7
I Farnesi ed i Casati era i più grossi latifondisti della valle ed egli era procuratore di entrambe la famiglie. Senza figli, aveva per moglie un curioso animale, che somigliava ad una donna per via di due grosse protuberanze, che le gonfiavano la veste nella parte alta del corpo. Angelina, così si chiamava, spettegolava su tutti‚ compiacendosi del lavoro del marito e del timore che incuteva negli altri. Basso, tarchiato, con la barba rada, che si concentrava nella parte alta delle guance‚ portava a spasso un naso piuttosto grosso e sgraziato, sotto due occhi porcini. La pelle olivastra‚ sudaticcia e maleodorante, si accompagnava ad una voce roca, bassa e volgare. Un ciuffo di capelli, lisci, unti e neri come il carbone, gli cadeva sulla fronte, segnata da una brutta cicatrice. Uomo di fiducia, don Filippo percorreva la lunga "carrara" (1), sul leggero calesse, tirato da "Diavolo", un cavallo snello a nervoso, e sorvegliava i lavoranti, da un capo all'altro del territorio, compiendo‚ ogni giorno‚ un lungo giro per Pagliarone e la zona collinosa a valle di Capaccio. Al suo passaggio, le donne si facevano il segno della croce, mentre gli uomini, fingendo di ignorarlo‚ stringevano i denti e sbiancavano le nocche sull’asta delle zappe dalle lame lucenti. Erano circa la tredici, quando arrivò nella zona dei salici, che facevano da confine tra la terra buona ed il "deserto" : una _____________ 1) Carrara, carraia, strada per carretti. 8
lunga striscia di terra, oggi chiamata "Licinelle", bruciata dal sole a schiaffeggiata dal mare. Alcune donne si riparavano dal sole, sotto un grosso albero di gelsi rossi, tra esse vi era Nunziatina, una giovanetta di una bellezza esuberante: sedici anni‚ forse diciassette‚ con un casco di capelli neri‚ come i suoi occhi irrequieti‚ ma limpidi come l’acqua d’una fonte. La camicia leggera aderiva alla pelle sudata, mostrando l'abbondanza dei seni turgidi, sul ventre piatto. Una gonna a campana, che la leggera brezza incollava all'inguine, alle cosce ben fatte, metteva in risalto la figura agile a slanciata della giovane. Le donne si segnarono, la fanciulla scappò, scomparendo tra i cespugli ed i fichi d'India. Don Filippo spronò il cavallo e la seguì. Sudava, il fazzoletto, intorno al collo taurino, era bagnato e la camicia, aperta sul davanti, lasciava intravedere rivoli di sudore, tra i peli del largo torace. Ad un tratto, la vide. S'arrampicava sui sassi che delimitavano la terra dei Casati. La raggiunse. La fanciulla si girò prontamente, come una tigre che si prepara all'assalto: con la fronte corrugata, sugli occhi duri, fronteggiò l'uomo che, sceso da cavallo, si avvicinava lentamente a lei. Con le spalle contro il muretto a secco‚ Nunziatina ansimava, cercando scampo con gli occhi. Le braccia tese artigliarono all'indietro due grosse sporgenze nel muro. Fece forza ed una di queste cedette. La fanciulla si sentì protetta. Lanciò la pietra ed il sangue sprizzò fuori velocemente dalla fronte 9
dell'uomo che, con un urlo di rabbia, si lanciò in avanti, afferrandola nel punto in cui i due seni formano il lungo solco d'amore. Il tessuto cedette e la fanciulla coprì‚ con le mani‚ la pelle eburnea. Negli occhi dell’uomo una luce torbida e cattiva. Intanto‚ l'altra mano artigliava le gonne che, strappate nella parte alta, si raccolsero ai piedi della fanciulla nuda e tremante. Uno stormo di uccelli volò via in direzione della piana‚ mentre l’eco di uno sparo si infranse sul fianco della collina‚ tra gli ulivi ricurvi. Le mani dell'uomo erano d'acciaio, un rivolo di saliva scendeva, dall'angolo della bocca, sul mento sudato. La terra secca graffiò le spalle delicate di Nunziatina che, esausta, abbandonò ogni resistenza. L'immagine del cielo divenne nebulosa e scomparve, mentre il membro dell'uomo le straziavano il ventre. Gocce di sangue bagnarono la leggera peluria, mentre, sui seni martoriati, tracce di bava inumidivano i piccoli capezzoli rosei. L'uomo si alzò, si chiuse i pantaloni‚ tolse con l'indice destro il sudore dalla fronte e sghignazzò: - O lupe s’è futtùte ‘a pecurèlla ... ‘a notte nù durmìa pensànne a tè! Ma‚ te lo giuro! (bacia le dita a croce e sputa a terra) Da oggi, ci sarà sèmpe lavoro pe’ te a famiglia toia -. Salì a cavallo e scomparve. La fanciulla incominciò a riprendersi ed aprì lentamente gli occhi verso il cielo di un azzurro intenso. Un coro di cicale davano colore a quel 10
maledetto pomeriggio. Nunziatina cercò di alzarsi, ma ricadde supina‚ con le mani sul ventre dolorante ed una sensazione di vomito l'assalì. Si girò di fianco a vomitò sulla terra bruciata. Si sentiva sporca insozzata ed aveva una gran voglia di morire. Si sentì chiamare, guardò giù verso il pendio e vide due donne, che venivano nella sua direzione. Non rispose. Raccolse accanto a lei quello che rimaneva dei suoi panni e cercò di coprirsi. La raggiunsero. - Non vergognarti, figlia mia! – - Dio lo punirà quel mascalzone! – Una della due, tolse dal capo il fazzoletto e cercò di pulirle le cosce, mentre l'altra le asciugava delicatamente i seni. Nunziatina singhiozzava. Dopo circa una mezzora la fanciulla ripresasi alquanto, fu riaccompagnata a casa.
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Capitolo II Verso la otto di sera Felice‚ il fratello della ragazza, rincasò. La pallida luce del lume a petrolio rischiarava a mala pena l'ambiente‚ annerito dal fumo del focolare. In un angolo, un piccolo mucchio di legna secca, attendeva di essere acceso per la cena. Sulla spalliera d’una sedia impagliata, un asciugamano logoro gocciolava in una bacinella di acqua ed aceto. Felice entrò chiudendo la porta con un calcio all'indietro. Il saliscendi scattò. Andò verso la finestra aperta e fischiò, poi chiamò, con voce secca, ma non fredda: - Baró -. Il cane guardò verso di lui e si avvicinò, scodinzolando. Il giovane tolse la camicia, e prese a massaggiare, con la grossa mano, la braccia stanche. Di poi, chiamò: - Mamma! - Nunziatina! Nessuno rispose. Bussò‚ poi spinse adagio la porta della camera da letto : la sorella giaceva in un bagno di sudore: il delirio alterava i lineamenti della giovane, che sembrava rivivere l'incubo di quel pomeriggio. Una donna, sui cinquanta anni, alzò lo sguardo verso di lui: - Figlio mio‚ disse con voce rotta dal pianto, il disonore a la morte sono entrati in questa casa! – Sul vecchio comò, un lume ardeva davanti al ritratto di un uomo, mentre, al lato destro della cornice, l'immagine della Madonna di Pompei formava un singolare altare di numi 12
tutelari‚ che sintetizzava un unico grande rispetto per la morte e la fede. Felice strinse i pugni: - Chi? - chiese, guardando con dolore la sorella; - Chi è stato! - ripeté con voce alterata, stringendo i pugni ed imprecando tra i denti. La donna non rispose, abbassò lo sguardo verso il fazzoletto che aveva in grembo e strinse tra le dita i nodi del Rosario. - Ma’, chi è stato! - chiese ancora il giovane‚ provando una pena profonda per le lacrime della vecchia. - Don Filipp'ò capurale... - rispose la donna, tutto d'un fiato, come se avesse voluto liberarsi di un grosso peso‚ ma perfettamente consapevole delle conseguenze, che quella verità avrebbe avuto sul figlio Felice. Il giovane, uscì dalla stanza senza dire una parola‚ rimise la camicia, che aveva appena tolto e stava per varcare la soglia di casa‚ quando il grido disperato di sua madre‚ per un breve attimo, lo bloccò: - Fìgliu mio, nunn'ascì, statte ccà cu' mamma toia! – Felice, dopo un attimo di esitazione, sbatté la porta dietro di sé e si addentrò nella campagna. Rimasta sola, la povera donna si accasciò sulla sedia: - Gesù e Maria, mò che succede? – quella accorata invocazione si trasformò in una preghiera che accompagnò il lento scorrere del rosario, tra le dita avvezze al duro lavoro dei campi. Nell'altra stanza, Nunziatina, ripresasi, chiamò la madre; la 13
donna accorse, mentre il cane lanciava lunghi ululati nella sera. Felice‚ intanto‚ aveva raggiunto la casa del cugino Gaetano. Fischiò tre volte‚ dal lato della finestra sopra il pergolato e rimase in attesa. Il cane, riconoscendolo, gli andò vicino, senza abbaiare, ma il giovane lo allontanò bruscamente: - Va via‚ disse‚ la selvaggina di questa battuta va lasciata ai vermi!Dieci minuti dopo‚ Gaetano lo raggiunse. Si allontanarono, dirigendosi verso il pozzo. - Che succede, Felì! – gli chiese il giovane‚ senza nascondere una certa apprensione. - Succede che… - il giovane scoppiò in singhiozzi ed afferrando il cugino per le spalle aggiunse: - 'Aimm'accìre chélla carogna! – (2) - Chi?- chiedeva Gaetano, già in preda ad una agitazione profonda; - Don Filippo 'ò capurale ha sverginat'à Nunziatina, che sta murènne!Gaeta portò entrambe la mani al viso e, dopo un lungo silenzio, disse: - Calmate‚ giustizia sarà fatta, pàtreme ìsse l'ha accìse! __________ 2) Dobbiamo uccidere quella belva.
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Si avviarono verso l'interno della campagna‚ per decidere il giorno a l'ora della vendetta. Quella notte fu tremenda per Felice: i gemiti della sorella accrescevano in lui un furore mai provato prima; la mamma vegliava la fanciulla senza concedersi un istante di riposo. Nei momenti in cui il sonno distendeva i lineamenti della sventurata‚ la dita scorrevano i nodi del Rosario‚ che accompagnava con penosi sussurri di preghiera. E venne l'alba. L'aria fresca del mattino avvolgeva la natura ancora addormentata; piccoli voli incoraggiavano i primi raggi del sole. Felice uscì sull'aia a si diresse verso il pozzo. Il secchio venne su gocciolando acqua limpida e fresca. V’immerse il viso, passando la mano bagnata sul collo e sui capelli scomposti. Si raddrizzò massaggiandosi il torace villoso e le braccia pesanti. Prese il secchio e lo svuotò in direzione del basso vigneto di uva fragola‚ ancora acerba. Adagiò il secchio vuoto sul muretto del pozzo e‚ con passi lenti‚ guadagnò l'uscio di casa. Mamma Rita aveva acceso il focolare ed aveva messo a bollire dell' acqua con delle piantine di camomilla. - Ma’‚ come sta Nunziatina? - chiese il giovane sottovoce. - Come deve stare, povera figlia mia! Sta riposando Giunse dalla carrara un lungo fischio: era Gaetano che chiamava il cugino. - Ciao mà! – - Buon lavoro‚ figliu mio! – 15
Si recarono nei pressi della fontana‚ di fronte alla terra di compare Picariello‚ lì avrebbero atteso l'offerta di lavoro. Altri giovani aspettavano l'arrivo del Caporale, con la speranza di guadagnare qualche lira. Il sole illuminava il bianco delle rade case‚ voli di passeri, tra gli alberi dalle fronde immobili. Un gregge s'arrampicava per la stretta mulattiera, che portava su in collina ed un grosso cane da pastore andava avanti ed indietro‚ guidando le bestie al pascolo. Un rumore di zoccoli‚ avvertì gli uomini che don Filippo stava arrivando. Gaetano strinse il braccio del cugino per invitarlo alla calma. L'uomo arrivò e‚ senza smontare da cavallo: - Oggi c'è lavoro solo per due! Tu e tu‚ disse, indicando Felice ed il cugino‚ venite nel fondo di compare Sabìa, che c'è da zappare Non ebbe il coraggio di guardarli in faccia, e non perse tempo ad allontanarsi‚ scomparendo‚ subito dopo‚ dietro il boschetto di salici. I due giovani si avviarono. Intanto, schiantata dal dolore, Nunziatina pose fine alla sua vita, lanciandosi nel pozzo, al centro dell’aia, tra la casa e la terra e le piante di granturco. Sull'aia‚ tutto il paese attendeva che la bara uscisse. Sebastiano guardava il pozzo‚ come se l'anima di Nunziatina dovesse schizzare fuori da un momento all'altro. Gruppetti muti, soffrivano il caldo nei vestiti pesanti, altri 16
commentavano il dramma, sottovoce. Dopo circa mezz'ora‚ dall'uscio spalancato‚ le lucide sfaccettature della bara brillarono al sole. Quattro uomini reggevano il feretro sulle spalle‚ con la tempia poggiata al legno lucido. La commozione prese tutti. Felice seguiva subito dopo‚ col bavero della giacca alzato e la barba sul viso stanco‚ tirato. Gaetano e l'amico Giuvanniello gli stavano a lato‚ tenendolo sotto braccio. Cummare Rita‚ tutta vestita di nero‚ veniva avanti urlando al mondo intero il suo dolore : - Figlia mia‚ t'hann'accisa! – Il corpo le si piegava in due‚ nello sforzo di superare la grande sciagura. Rosa ed Ersilia‚ le due donne che avevano soccorso Nunziatina dopo li stupro‚ le stavano accanto‚ reggendola in tutto il suo peso. Il feretro si mosse lungo la "carrara". Il pianto disperato la vecchia risuonò nella piana‚ con i rintocchi della campana e gli ululati di Barone‚ il cane di Nunziatina. Sulla collina di "Spinazzo"‚ Don Filippo‚ dritto sul cavallo‚ seguiva la scena e non provava altri sentimenti, oltre la paura. Il sole‚ alle sua spalle‚ dava alla sua figura un non so che d’irreale e di diabolico insieme. Felice‚ come attratto da una forza irresistibile‚ guardò nella sua direzione e lo scorse. Strinse gli occhi e mosse affermativamente il capo‚ giurando‚ su quel feretro‚ che gli avrebbe preso la vita. Anche Gaetano guardò ed un unico sentimento lo unì al cugino.
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Capitolo III Nella piana non si lavorò quel giorno. Tutti avevano lasciato i campi‚ nelle prime ore del mattino e nessun sorvegliante aveva avuto il coraggio di intervenire. La ricchezza dei poveri è la solidarietà, che unisce gli animi nella cattiva sorte. Tutti i braccianti della "piana” avrebbero alzato volentieri la zappa contro l'ingiustizia, perché ci sono limiti, oltre i quali nessuno può andare: oltraggiare l'onore, quando questo è l'unico bene posseduto‚ è un delitto che si paga con la vita. Don Filippo questo lo sapeva e se ne preoccupava, nell'attesa impaziente di Micheluccio‚ un tirapiedi, cui aveva dato l'incarico di vedere come stavano le cose. Si udirono dei passi fuori casa, trasalì. Si precipitò alla finestra e lo vide: - Entra‚ fai presto! - gli intimò. Il giovane entrò e, togliendosi il cappello: - Brutto segno Don Filì‚ quando la gente non parla, è pericoloso avventurarsi nella piana -. Il "caporale” si avvicinò alla finestra, fissò l'orizzonte per un lungo instante e mille pensieri lo assalirono, mentre il sole dipingeva di rosso il tramonto. Poi‚ girandosi di scatto, disse: - Sempre pècore sono! – - Tieni cumpariè, bevi alla mia salute! – Micheluccio vuotò in fretta il bicchiere di vino e si congedò. Il caporale lo vide correre come se fuggisse da un appestato. - Schifosa carogna! – 18
L’insulto gli veniva dalla moglie, che ora vedeva in pericolo il suo futuro e la sicurezza economica. Don Filippo afferrò il fiasco ancora pieno e lo lanciò contro la donna‚ che si scansò appena in tempo, mentre il vino si sparse come una grossa macchia di sangue, sulla parete bianca. Angelina scappò più per superstizione‚ che per paura. Intanto‚ nella casa di Felice‚ il silenzio era totale. Donna Rita si riposava sul letto al posto della povera figlia e‚ nella cucina‚ il giovane si intratteneva con l'amico Giuvanniello ed il cugino Gaetano. Il lume a petrolio‚ al centro del tavolo‚ illuminava scarsamente l'ambiente; il cane‚ accucciato al lato della sedia del padrone‚ emetteva strani mugolii. Bussarono. Gaetano andò ad aprire; un ragazzino scalzo gli porse un cesto di taralli ed un fiasco di vino‚ la porta venne rinchiusa. Nessuno aveva voglia di mangiare‚ l'immagine della ragazza era ancora tra loro: l'avevano tirata su dal pozzo‚ dove si era gettata con la forza della disperazione. Era stato Giuvanniello a calarsi giù ed a legare la fune intorno al cadavere. Il capo‚ col collo spezzato, dondolava come quello di una bambola rotta. Gli occhi sbarrati sembravano guardare il muretto del pozzo. La lunga camicia da notte, attaccata al corpo fradicio di acqua gelida, gocciolava. Il piede sinistro era privo dell’alluce, troncato nella caduta, dalle pietre
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vive. I bei capelli neri erano aggrovigliati come una informe matassa melmosa. Felice aveva preso il corpo della sorella e l'aveva portato in casa adagiandolo sul letto intatto. Aveva pianto col capo poggiato sul ventre profanato ed aveva sentito il gelo della morte. Giuvanniello tolse dalla tavola i "taralli” e versò il vino nel bicchiere. Felice bevve tutto d'un fiato come per allontanare la scena di morte del giorno prima. Quel vino gli sembrava sangue che chiedeva altro sangue e bevve ancora, fino a stordirsi. Nella piana il lavoro riprese con ritmo normale. Agosto volgeva a termine con i suoi giorni infuocati ed una strana calma sembrava aleggiasse nell'aria. Il sole era calato da circa un'ora‚ quando Felice si fermò poco più avanti del podere di compare Sabìa‚ sedendosi sul tronco di un salice. Accese una sigaretta guardando fisso verso l'incrocio‚ dove la carrara lasciava intravedere una strada più grande‚ percorsa da una lenta carovana che‚ dall'agro nocerino‚ si avviava verso la salita di Ogliastro. Era tempo di mercato ed i commercianti‚ appisolati sul piano dei carretti‚ carichi di semenze‚ si affidavano alla esperienza dei muli‚ che già conoscevano la strada. All' imbrunire‚ arrivò Gaetano, reggendo, con ambi la mani, l'asta della zappa : - Sera‚ Felì - Sera‚ Gaetà‚ rispose il cugino‚ è molto che aspetti? - No! – 20
Seduti l'uno accanto all'altro‚ trascorse molto tempo prima che iniziassero a parlare "del fatto". - Allora‚ quando?- chiese Gaetano‚ rompendo quel penoso silenzio. - È per domani sera al tramonto‚ lungo la strada dei salici‚ dove inizia il canale dei Farnesi‚ lì la strada è piena di buche ed il calesse va piano - Va bene! Felice giunse a casa per ultimo‚ la madre sentì sbattere l' uscio a lo chiamò : - Come stai, mà ?- le chiese il giovane‚ entrando nella stanza; - Cumm'à nà vecchia, figliu mio! – - Va a mangià‚ cà mamma tòia nun se sènte! – Felice‚ dopo essersi lavato‚ si accomodò‚ si versò da bere a poi scoperchiò il piatto‚ fissando i fagioli ancora caldi. Di mala voglia mandò giù una cucchiaiata ed allontanò il piatto; si avvolse una sigaretta‚ fissando il ritratto del padre‚ sulla parete di fronte. Sì alzò‚ si diresse verso la grossa cassapanca sotto la finestra a l'aprì. Prese il fucile‚ pulendolo col panno che l'avvolgeva; l'acciaio della canna lanciò un bagliore sinistro‚ mentre il freddo della bascula diede al giovane una sensazione di potenza e di morte. Il sonno‚ quella notte‚ tardò a venire e‚ solo all'alba‚ vi fu
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un momento di pace‚ col canto del gallo‚ che annunziava un nuovo giorno. Il sole stava tramontando sul mare tranquillo e gli ultimi raggi proiettavano lunghe ombre sul viale costeggiato dai salici immobili. Un fosso erboso accompagnava‚ a sinistra‚ la carrara sconnessa. Don Filippo seguiva‚ a testa bassa‚ il bianco della strada‚ gettando‚ di tanti in tanto‚ veloci occhiate alla ruota del calesse. Il cavallo avanzava lento sul terreno spaccato e quasi si fermò‚ quando l'uomo tirò le briglie: qualcuno procedeva‚ a piedi‚ avanti a lui : era Giuvanniello‚ che tornava dal lavoro. Il "caporale” spronò l'animale‚ che si portò al trotto‚ ed il giovane fece appena in tempo a saltare nel fosso‚ imprecando a denti stretti. Don Filippo rallentò‚ si fermò‚ e guardò con strafottenza il povero bracciante che chinò la testa in segno di saluto. Il calesse proseguì per la sua strada‚ sul viso del "caporale” un ghigno soddisfatto: era il più forte. Giuvanniello risalì sulla carreggiata a fissò con malumore il calesse che s'allontanava‚ scomparendo nella curva più avanti. Erano trascorsi cinque minuti circa‚ quando s’udì uno sparo‚ che si ripercosse sinistramente nella piana. Il giovane pensò a qualche cacciatore e tirò avanti. Dopo un quarto d'ora‚ giunse nella zona dei salici. Il sole era tramontato all'orizzonte ed una leggera brezza‚ che veniva dal mare‚ muoveva la cima dei grossi alberi. Ad un tratto udì un lamento ed istintivamente si girò verso il fosso indirizzando lo sguardo lì dove l'erba 22
sembrava tinta di rosso. Si avvicinò‚ il corpo di don Filippo giaceva lungo disteso‚ col sangue che gli usciva dal petto squarciato. La mani destra artigliava l'erba, mentre premeva la sinistra sul petto straziato. L'uomo lo guardò sbarrando gli occhi: l'angoscia aveva cancellato la strafottenza abituale di suo viso: - Aiutami Giuvanniè! – Il giovane stava per chinarsi‚ poi‚ all'improvviso‚ si ricordò di tante sue perfidie‚ di Nunziatina‚ del funerale‚ degli infelici che‚ come lui‚ sudavano sangue per un tozzo di pane e scappò via. Correva come se avesse avuto le ali ai piedi‚ per soffocare quell'impulso, che spinge l'uomo ad aiutare l'amico‚ il fratello‚ chiunque si trovi in pericolo. Don Filippo non era un amico‚ né un fratello‚ ma la peggiore carogna che potesse venire fuori da un ventre di donna. Più avanti rallentò l'andatura‚ aveva sentito delle voci che gli sembravano note e‚ di lì a qualche istante‚ si imbatté in Felice a Gaetano. Li chiamò e, con voce concitata, esclamò:- Hanno sparato a don Filippo! – I due si guardarono e‚ senza una sola parola di commento‚ proseguirono. Giuvanniello‚ che era un tipo sveglio‚ comprese all'istante ed aggiunse:- Mi ha chiesto aiuto, è ancora vivo! – Felice si fermò‚ sfilò il fucile dalla spalla e mise in canna un'altra cartuccia‚ avendo cura di riporre in tasca quella già sparata. Tornò indietro di corsa a guardò bene in faccia l'uomo che tentava di alzarsi: - Questo, per la brava gente della piana! – 23
La canna sinistra del fucile tuonò ancora‚ lacerando la camicia giù verso la cintura dei pantaloni. Il corpo ebbe un sussulto e cadde all'indietro sull'erba‚ dove rimase immobile. Felice guardò il sangue che sgorgava copioso, facendosi strada tra la carne squarciata ed il pezzo di camicia bruciacchiata, resisté al forte impulso di vomitare e si allontanò rivolgendo un pensiero fugace alla sorella. -La caccia è stata buona! - disse agli amici, fissandoli per un lungo istante. Ripresero insieme il cammino e raggiunsero ciascuno la propria casa. Calavano le ombre della sera ed il cielo si dipingeva di rosso nel punti in cui il mare rifletteva gli ultimi raggi di un sole calante. I lumi già rischiaravano di luce pallida l'interno della casa, annerita dal fumo, e l'odore di legna bruciata si diffondeva nella campagna. Sui focolari i contadini approntavano il pasto‚ tra la voci dei bimbi a l'abbaiar dei cani alla catena. Le donne stanche rassettavano gli umili ambienti‚ mentre gli uomini si ripulivano dalla terra a dal sudore. I vecchi, seduti sull'aia‚ pensavano agli anni trascorsi e, stringendo tra le mani callose la scura creta della pipa, aspettavano silenziosi la cena‚ tra una boccata e l’altra dalla canna ricurva. Scene antiche quando il mondo sul palcoscenico della "piana"‚ dove la vita continuava la sua lenta rappresentazione.
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La campagna andava impreziosendosi del silenzio della sera‚ quando spuntò un carretto‚ che avanzava macinando la terra con il ferri della grandi ruote. Il cavallo‚ sudato‚ tirava stancamente il carico di letame per la terra dei Casati e Pasquale tratteneva le redini‚ serrandole tra l’indice ed il medio. All'inizio del lungo canale‚ incominciò a fischiettare un motivetto inesistente‚ pensando al piatto di minestra che avrebbe mangiato tra breve. Un lamento‚ seguito da un lungo rantolo‚ attirò la sua attenzione. Fermò il carretto a stette più attento. Poco più avanti‚ gli sembrò di vedere una mano che si muoveva sul ciglio del canale. Scesa e corse in quella direzione. - Gesù, don Filippo! – Due occhi spenti si girarono a guardarlo‚ implorando aiuto‚ con la bocca che si muoveva‚ senza che ne uscisse alcun suono. Pasquale lo tirò fuori dal fosso, senza sforzo eccessivo‚ data la sua mole e la sua forza. Lo adagiò lentamente sul caldo letame ed il puzzo del "concime” coprì l'odore del sangue. Il carretto si incamminò col suo carico umano. Al villaggio, girò a sinistra‚ verso la casa del caporale e si fermò sull'aia‚ dopo un lungo corridoio tra i vigneti. Il cane abbaiò‚ poi corse scodinzolando verso la coda del carretto. Angelina aprì l'uscio: - Buona sera, Pasqualì! – Il giovane non rispose e‚ scendendo dal carretto‚ prese il corpo di don Filippo Capo e si diresse verso la casa. La donna 25
avanzò di un passo e lanciò un urlo. Il cane accompagnò il corpo del padrone. Micheluccio‚ il tirapiedi‚ udì l'urlo dalla stalla e si precipitò in casa". Adagiarono il "caporale” sul divano. Nella propria dimora‚ il ferito aprì gli occhi quando la moglie cercò di ripulirgli il viso con un panno bagnato. - Pasqualì‚ andate a chiamare il dottore‚ correte‚ fatelo per i morti vostri! – L'uomo risalì sul carretto e si avviò verso il paese. Don Filippo cercò con gli occhi Micheluccio a gli fece cenno di avvicinarsi; il giovane abbassò il capo quasi fin sopra le labbra di lui:- Il maresciallo... va a chiamare il maresciallo!Micheluccio uscì dalla casa e corse verso il paese pigliando la scorciatoia‚ giù per la piccola scarpata‚ attraverso il vigneto di compare Albino. Angelina tolse le scarpe al marito‚ coprendo con un lenzuolo gli squarci che l'uomo aveva nel petto e nell’addome. La puzza del letame‚ unita all'odore del sangue‚ le dava il voltastomaco‚ ma si faceva forza. Chiamava il marito‚ tra un singhiozzo e l'altro‚ sentendosi impotente‚ finita. - Chi è stato, Felì – - Dillo ad Angelina toia! – L'uomo non rispose‚ girò gli occhi verso la porta ed aspettò. È incredibile la forza di volontà che spinge l'uomo‚ assetato di vendetta‚ a ritardare la propria morte‚ anche se nel corpo non scorre più una sola goccia di sangue. 26
La porta si aprì ed il maresciallo si diresse verso l' uomo‚ che sbarrò gli occhi nell'ansia di parlargli. La mano destra di don Filippo gli artigliò il braccio ed egli si chinò per ascoltarlo. Non vi fu bisogno di domande‚ il "caporale” raccolse la poche forza che gli restavano e disse‚ piuttosto chiaramente: - M'hann'accise! Tutt'è ttre m'hanno sparate! – - Chi?- chiese il maresciallo;- Felice Marra, Gaetano Galdi e Giovanni Falcone. . . – Con l' ultimo cognome‚ il corpo giacque e gli occhi rimasero sbarrati‚ come in una eterna denuncia‚ mentre la mano si bloccò intorno al braccio del militare‚ che si liberò dalla presa‚ aprendo‚ una ad una‚ le dita rigide di morte. Entrò il dottore ed abbassò la palpebre di quel cadavere martoriato. Il cane ululò tre volte‚ sull'aia illuminata dalla luna. Angelina‚ chiusa nel suo dolore‚ non piangeva‚ né urlava‚ come è consuetudine della donne meridionali‚ ma rimase immobile presso del suo uomo‚ provando per lui una pena immensa. Quella era la vendetta della "piana". Nel frattempo sopraggiunsero alcune donne e‚ dopo numerosi a doverosi commenti‚ si diedero da fare nel preparare la salma per la veglia funebre.
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Capitolo IV In un 'altra zona del paese‚ intanto‚ qualcun altro‚ dimentico dei fatti della giornata‚ coglieva quei frutti che allietano la vita a la giovinezza‚ rendendole più belle. Il bacio di Mariuccia era stato dolcissimo‚ Giuvanniello ne conservava ancora il calore. Con le mani in tasca‚ il sorriso dei diciotto anni ed il capo che ondeggiava‚ seguendo il ritmo dei passi‚ il giovine ritornava verso casa. La luna gli illuminava la strada ed il profumo della campagna gli entrava nei polmoni‚ che respiravano soddisfatti. Era contento‚ né l'episodio del pomeriggio lo aveva eccessivamente turbato. Prese a calci un sasso‚ che rotolò sulla strada polverosa‚ fermandosi più in là‚ nel buio della carrara‚ che portava alla fattoria di compare Albino‚ il cacciatore. Giunse nei pressi di casa sua ma nessun chiarore veniva dalle imposte chiuse. Sono andati a letto‚ pensò tra sé‚ rallentando il passo. Entrò in casa adagio‚ senza far rumore e‚ nel chiudere la porta‚ trattenne il saliscendi‚ per lasciarlo cadere lentamente. Accese il lume‚ ancora caldo‚ e sbirciò sulla tavola, aspettandosi di trovare la cena. Non c'era nulla. Si meravigliò‚ ma sedette ugualmente‚ per richiamare alla mente gli avvenimenti della giornata. Ad un tratto‚ una voce inconsueta risuonò nella stanza‚ alle sue spalle: - Giuvanniè sei in arresto! Il giovane impallidì‚ cercando di rendersi conto della situazione. Ora udiva il pianto della madre‚ mentre il padre‚ alle 28
spalle del maresciallo‚ aveva una espressione che non gli aveva mai visto. Non disse una parola‚ quando le manette gli stritolarono i polsi. Guardava muto i suoi genitori‚ fissando a lungo le lacrime sul volto della madre. - Marescià n'àggio fatto niente! – - Cammina guagliò‚ cà pò se vede – Si allontanarono tra i singhiozzi della donna sull'aia‚ mentre la luna disegnava lunghi fantasmi tra la casa a gli alberi‚ muti spettatori di quella tragedia. E tutto tacque‚ i grilli ripresero il concerto‚ tra la fronde immobili. Nelle prime ore del mattino‚ anche Felice venne arrestato e‚ nei pressi del pozzo‚ si fermò per guardare la madre un'ultima volta. I carabinieri lo spinsero in avanti con una sorta di delicatezza e di rispetto: avevano compreso che quello era l'epilogo di un dramma iniziato qualche tempo prima‚ in un pomeriggio di sole a di miseria. Il giovane si allontanò a testa alta‚ salutando i suoi campi‚ la casa di sui padre e la mamma‚ vestita di nero‚ che non avrebbe più rivisto. Era già lontano‚ quando sentì abbaiare alle sue spalle. Si fermò e fissò a lungo il fedele compagno di tanti giorni di caccia‚ quando l'alba colorava i cespugli e la collina si apriva al canto degli uccelli ed al volo dei merli‚ che planavano giù a valle sulle piante di fichi. La bestia scodinzolò‚ annusandolo e leccandogli le mani ammanettate‚ poi tornò indietro‚ verso il fantasma di una donna che‚ molto presto‚ non avrebbe più dato da mangiare alla galline. 29
Gaetano stava "curando” i conigli dietro la stalla‚ quando il fratellino Carminuccio lo raggiunse di corsa: - Ci soni due carabinieri che vogliono parlarti - gli disse tutti d'un fiato. Forse dovrò partire militare commentò il giovane‚ senza tradire alcuna emozione. Girò intorno alla casa‚ mentre il padre invalido‚ seduto sulla sedia‚ guardava i due figli più piccoli che giocavano sull'aia. Una donna anziana‚ la madre di Gaetano s'asciugava le mani con un lembo del grosso grembiule che aveva davanti. I due carabinieri‚ sotto il pergolato‚ aspettavano pazienti né si mossero‚ quando il giovane venne verso di loro con un'aria strana‚ tra il rispetto e la paura. Uno dei due‚ quelli più alto‚ che s'asciugava i baffi con un fazzoletti colorato‚ dal grosso orlo ribattuto a mano‚ gli chiese: - Sei tu Gaetano Galdi? – - Per servirvi! - rispose il giovane‚ con un filo di voce che quasi gli moriva in gola‚ intanto‚ l'altro carabiniere gli si portava alla spalle‚ dicendogli: - Sei in arresto! – I bambini smisero di giocare‚ un urlo di dolore giunse dalla porta socchiusa‚ il povero vecchio padre protese la braccia verso la finestra spalancata‚ mentre la labbra gli tremavano sotto la barba incolta. Mamma Filomena strinse il grembiule‚ maleodorante di aglio e di miseria‚ tra la mani ossuta ed il viso. I tre s'allontanarono‚ seguiti a distanza da Carminuccio che‚ scalzo‚ li guardava in silenzio‚ col viso rigato di lacrime e la
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mani ficcate nelle grosse tasche del pantaloncino sfilacciato‚ lacero e non adatto alla sua età. - Gaetà! – - Vatténne a casa e pensa a papà! – - Gaetà! – - Vatténne guagliò e fatte ‘omme ambrèsse! – Il ragazzino‚ come se in quell’istante avesse compreso la gravità dell’evento‚si fermò: - Gaetà; nce pense ìe! – S'allontanarono‚ mentre Carminuccio tornò indietro‚ a testa bassa‚ nettandosi il naso sul dorso della mano, sporca di terra. La piana era in subbuglio. Da Battipaglia ad Ogliastro non si parlava d'altro che dell' "atto di giustizia” compiuto in difesa dell'onore e dell'onestà. La notizia dell'arresto si diffuse con una rapidità incredibile‚ per quei tempi‚ tanto che nella “ taverna” i carrettieri del nocerino commentavano il fatto‚ tra una zuppa di soffritto ed una porzione di baccalà “arrecanato”. I caporali covavano un odio impotente‚ ma nei loro atteggiamenti bruschi‚ traspariva una sorta di un "rispetto”‚ per i lavoratori della terra‚ mai provato prima. Razza di vipere! Rinvigorivano le loro file macinando vite ed ingrassando con il lavoro delle raccoglitrici di fragole‚ di carciofi e di pomodori. Procuratori senza scrupoli‚ se ne infischiavano della istituzioni e della morale‚ pescando nel torbido di una politica irresponsabile ed avvantaggiandosi del fallimento di quella agraria. 31
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Capitolo V Nel carcere di Salerno‚ i tre attendevano di essere giudicati e l'attesa‚ nella celle‚ aveva un sapore di angoscia : chi li avrebbe difesi? Carminuccio intanto manteneva la promessa fatta al fratello Gaetano e "crebbe” all'istante‚ dimenticandosi persino di giocare a "spaccastrummolo”(3). Accudiva gli animali e lavava la gamba morta del padre‚ con una rassegnazione che lo rendeva più grande di quel che era. Le donne nella "piana” non cantavano più‚ lavoravano in gruppo‚ senza allontanarsi l'una dall'altra. E venne il tempo della vendemmia. Anche Nunziatina‚ se non fosse morta‚ avrebbe colto i grappoli maturi‚ per il vino dei Casati. Gli altri anni‚ quelli era stati giorni di festa‚ ma quell'anno perfino l'uva faceva resistenza alla dita delle raccoglitrici. La moglie di don Filippo lavorava ora con le altre‚ ma nessuno le rivolgeva la parola. Con i capelli raccolti in una lunga traccia‚ arrotolata dietro il capo‚ evitava che il suo guardo ne incrociasse un altro ma‚ quando era sicura di non essere scorta‚ "guardava storto” e coglieva pure l'uva “puttanella" (4). La veste nera‚ unta e grigiastra per lo sporco‚ per nulla addolciva la linea pesante del corpo, piuttosto massiccio. I peli sul grosso cece‚ al ________________
3) Spaccastrummolo:antico gioco campano, fatto con una trottolina di legno con punta metallica ed uno spago. 4) Uva puttanella: uva selvatica, piccola, amara e non adatta al mosto.
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lato sinistro del naso‚ erano più irti del solito‚ tanto da darle un'aria tra il coniglio ed il topo. L'atmosfera nella piana stava cambiando‚ mentre un vago senso di dignità si faceva strada negli animi‚ troppi assuefatti a servire. Mariuccia si era rinchiusa in sé‚ ricordando i momenti belli in compagnia del suo fidanzato": quanta nostalgia e quanta angoscia. Quell' ultima sera‚ Giuvanniello era stato particolarmente caldo‚ l'aveva baciata con un desiderio struggente‚ carezzandole le guance e la schiena delicata. La ragazza aveva sentito il sesso di lui premerle sul ventre ed aveva desiderato ardentemente che, libero dalla prigione, le avesse carezzato la parte alta della cosce. Per la verità il giovane cercò di forzare la resistenza dell'innamorata, ma fu lei a dirigere altrove il sesso caldo dell' uomo, con mille proteste tra le labbra umide di piacere represso : - No, nnu' voglio! - Ma ... - cercò di convincerla Giuvanniello. La giovane fu irremovibile, poi, baciandolo con le labbra calde, cercò di svuotare l'oggetto del desiderio, con mille movimenti della mano inesperta. Forse avvertendo inconsciamente il dramma dei prossimi giorni‚ il giovane desiderò amarla di più e sbottonandole la camicetta, liberò le mammelle dai piccoli capezzoli scuri : gemiti di piacere tra momenti di smarrimento. La mano, lasciata la pelle eburnea del seno, si infilò sotto la gonna larga‚ carezzando le cosce di fuoco e, quando raggiunse l’in34
cavo dolce ed irrequieto, Mariuccia si sentì svenire, cedendo appena sulle gambe tremanti. Un unico sussulto li avvinse, mentre le loro lingue s'incrociarono, per sublimare quell'attimo. Anche Giuvanniello ricordava quei momenti dolcissimi‚ fissando la tenue luce che filtrava dalla piccola finestra della cella. Tra qualche qualche giorno ci sarebbe stato il processo e sperava in una pena mite‚ non avendo preso parte al delitto. Felice non sperava più in nulla‚ chiuso in sé stesso‚ era sempre più convinto che "l'atto di giustizia” andava fatto. Gaetano pensava ai suoi vecchi‚ al fratello Carminuccio e spe-rava che il ragazzo fosse cresciuto in fretta‚ tanto più che aveva la strana sensazione‚ che non avrebbe rivisto più la sua casa. Era il 15 marzo del 1908¸ quando il giudizio iniziò nel Tribunale i Salerno e gli imputati ebbero una difesa d'ufficio. Dopo giorni di interrogatori‚ di arringhe e di false speranze‚ fu pronunciata la sentenza‚ dura e spietata: ergastolo. Era il tempo in cui in Italia del nord iniziava la lotta sindacale del mondo operaio e contadino; al ponte di Berra i soldati sparavano contro i lavoratori della terra‚ mentre il sud lottava con la fame a la miseria. Era quest'ultima che armava il coraggio dei nostri emigranti. Quelli che rimanevano, venivano tenuti nell’ignoranza e nella superstizione, alimentata da visioni apocalittiche, di retaggio feudale. In questi clima sociale si trovarono a vivere i nostri protagonisti; ecco perchè vendicarono l'unico affronto, che mai avrebbero potuto sopportare. 35
Giuvanniello‚ alla Gorgona di Livorno‚ rigirava, tra le mani sudate, l'ultima lettera di Mariuccia‚ trattenendo a stento le lacrime‚ con l'angoscia che ti rode nelle situazioni di impotenza. La ragazza prometteva di attenderlo a gli giurava quell'amore che tutte le innamorate‚ a diciotto anni‚ giurano al loro fidanzato. Le parole di Mariuccia erano sincere‚ accorate e mostravano tutto il dolore di chi viene privato dell'unico bene che dà uno scopo alla vita. Fu allora che il giovane capì di dover chiudere per sempre quel capitolo della sua vita. Scrisse alla fanciulla‚ che la liberava da ogni impegno e che‚ se gli voleva bene‚ doveva pensare a sposarsi con chi avrebbe potuto ridarle il sorriso e quei figli che avrebbero allietato la sua casa di donna e di sposa felice. I giorni trascorrevano lenti nella piana a Mariuccia aspettava con ansia la risposta alla sua ultima lettera. Finalmente‚ quel lunedì mattina‚ sentì il fischio del postino e si precipitò sull'aia. Corsa verso il calesse‚ asciugandosi sul grembiule la mani bagnata di bucato. Prese la lettera e corse verso la campagna‚ seguita dagli sguardi pensierosi della madre. Si addentrò nel vialetto‚ tra la vigna ed i salici‚ sedendo‚ affannata sull'erba. Per un lungo istante‚ il cuore smise di battere a gli occhi fissarono lucidi quello scrigno di speranze‚ prima che lo aprisse con la mani tremanti e nervose. Estrasse il foglio lentamente‚ poi‚ d'un tratto‚ lo aprì a lesse. Le lacrime di Mariuccia scesero 36
copiose, fino al cuore. Riattraversò‚ di corsa‚ la campagna‚ coprendo in breve tempo di spazio dal vigneto alla casa; sull'aia‚ le galline lasciarono i chicchi di grano e scapparono dividendosi in due gruppi disordinati. Nella penombra della camera da letto‚ il materasso di spoglie accolse i penosi singhiozzi della giovane‚ con un brusio di foglie secche. Alla spalle‚ un'ombra osservava in silenzio: era Assunta che assisteva alla disperazione della figlia‚ anche a lei sarebbe piaciuto che Giuvanniello fosse entrato in casa sua‚ quella casa che‚ da tempo‚ mancava di un uomo‚ dopo la morte del marito Nunzio. La donna prese la lettera sgualcita dalla mani della figlia e lesse faticosamente tra la righe‚ comprendendo più per intuito‚ che per esperienza di lettura. Sedette sul bordo del letto ed accarezzò il capo della sua creatura‚ come faceva un tempo. Stettero a lungo l'una vicino all'altra‚ senza dire una parola. Di fronte al letto‚ una specie di armadio senza specchi custodiva il misero corredo di Mariuccia‚ mentre‚ sul vecchio comò, la fotografia di compare Nunzio troneggiava al centro delle altre fotografie di defunti‚ messe lì come lari protettori. La giornata si spense lentamente e la notte sopraggiunse sulla casa‚ sugli animali e sui sogni della ragazza. Gaetano iniziò a Portolongone la sua vita di recluso‚ spegnendosi giorno dopo giorno‚ con gli occhi fissi sulla piccola finestra della cella umida ed angusta. Per circa cinque anni‚ visse nell'attesa della lettera che gli inviava Carminuccio‚ 37
ma quando apprese della morte del padre prima e della madre poi‚ si lasciò andare. Morì il 20 febbraio del 1913‚ all'alba del primo conflitto mondiale.
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Capitolo VI Era il periodo della guerra balcanica e di mille illusioni di conquista. La pace di Losanna dava all'Italia il possesso della Libia‚ la cui conquista fu possibile solamente molti anni dopo. Il nazionalismo si andava affermando come movimento letterario e politico‚ Gabriele D'Annunzio inneggiava alla forza a al dinamismo. Quanto ai socialisti‚ la guerra libica aveva riportato in auge la corrente massimalista e rafforzata quella rivoluzionaria‚ ove militava Benito Mussolini che‚ insieme all' allora repubblicano Pietro Nenni‚ aveva organizzato manifestazioni di protesta‚ violentissime‚ a Forlì. Ad Ancona‚ la polizia sparava su di una manifestazione socialista‚ ammazzando tre dimostranti; lo sciopero era proclamato in tutta Italia ed il paese veniva scosso da violenze ed atti di teppismo. La settimana rossa rappresentava l'epicentro di tutta una serie di sommosse nella Marche ed in Romagna‚ nonché l'inizio della crisi profonda del movimenti operaio italiano. Il sud era pressoché assente‚ come assente era qualunque tentativo di riforma agraria‚ dal momento che la legalità era nella mani dei latifondisti a della piccola borghesia. I caporali fissavano le condizioni con i padroni e ciò significava miseria‚ per i lavoratori della terra, quella che impediva la loro emancipazione e favoriva l'emarginazione del sud. Nel 1906 la Società Umanitaria‚ in concomitanza con la Federterra, riusciva a fare i primi passi contro il caporalato e la disoccupazione‚ portando 39
l'assise del primo congresso internazionale a votare per la istituzione degli uffici interregionali di collocamento. Ma gli imprenditori padani ed i caporali del sud‚ vinsero la battaglia‚ perchè appoggiati dalle forze patronali e dallo stesso stato. Invano il Giolitti ‚ allora Presidente del Consiglio‚ appoggiò il disegno di legge, che prevedeva la fine della mafia d'ingaggio. Era anni difficili. Sembrava‚ infatti‚ che il mondo fosse sopra una grossa polveriera e Prencip‚ lo slavo irredentista‚ ne accese la miccia che incendiò‚ in breve tempo‚ il furore degli uomini. L'Italia‚ incerta a dubbiosa‚ cercava una sua linea di condotta‚ sballottata‚ come sempre‚ da molteplici forza politiche; finché non vinsero gli interventisti a fu la guerra. Era il 24 maggio del 1915. Povera Italia, mal governata e sedotta‚ come una bella donna‚ dal gioco di forze più grandi di lei! Il 6 aprile del 1917‚ gli Stati Uniti entravano in guerra e Wilson presentava l'intervento come una lotta per la democrazia‚ per la libertà a per un'egemonia universale del diritto. Sul fronte occidentale‚ seguì la famosa ritirata di Caporetto. Sia Giuvanniello, sia Felice‚ nelle loro celle‚ non seppero che poche notizie di questi eventi storici. I giorni passavano lentamente e gli anni erano secoli. La vita del carcere era dura ed i problemi più semplici si ingigantivano fino ad assumere proporzioni assurde. Il sesso diveniva il pensiero dominante e generava manifestazioni innaturali che rendevano la fantasia fervida di espedienti. Nella lunga attesa di niente‚ la dita veloci 40
impastavano la mollica del pane‚ che‚ lentamente‚ assumeva la forma del sesso femminile: la massa molle riproduceva le grandi labbra‚ dove il sesso turgido andava ad infilarsi nelle lunghe notti insonni. Anche Giuvanniello‚ dopo mesi d’astinenza‚ volle illudersi di essere con la sua donna. Mariuccia attese‚ per sette lunghi anni‚ il ritorno di Giuvanniello‚ poi‚ la lettera del giovane e la convinzione che la domanda di grazia non sarebbe mai stata accettata‚ maturarono nella donna la decisione di fidanzarsi con un bravo giovane‚ Pasqualino quello stesso che aveva raccolto il corpo morente di don Filippo ò capuràle. Nel maggio del 1914‚ i due si sposarono ed andarono a vivere nella casetta della madre di lei. Mamma Assunta era morta l'anno prima‚ con una gran pena nel cuore‚ e fu in quella casa che i due sposini iniziarono la loro vita di sacrifici. Quando Giuvanniello seppe‚ tramite Carminuccio‚ del matrimonio della sua fidanzata‚ tra le lacrime‚ approvò quella decisione. Quell'evento causò nel giovane un atteggiamento nuovo‚ infatti decise di apprendere un lavoro che gli permettesse di sopravvivere. Iniziò a frequentare la grossa falegnameria del penitenziario‚ specializzandosi in ebanisteria. Apprese quest'arte sotto la guida di un altro detenuto‚ un vecchio catanese che gli fece da maestro. Carminuccio‚ nel frattempo‚ era cresciuto ed ora aveva quasi vent'anni. Alto‚ agile e sicuro di sé‚ parlava del fratello Gaetano come di un 41
eroe‚ che aveva sistemato le cose della piana. Effettivamente la situazione era di molto migliorata; non che fosse finita la miseria‚ ma almeno i caporali l’avevano smesso con lo strozzinaggio ed i ricatti. Intanto‚ il dopoguerra preparava nuove pagine di storia. Il partito socialista si dilaniava nelle lotte interne‚ mentre un certo movimento nasceva con carattere di elìte: Benito Mussolini dava l'avvento al fascismo. Era il 1919. Nel settembre del 1920‚ operai e sindacalisti socialisti occuparono le fabbriche‚ chiedendo il rinvio del contratto ed aumenti salariali‚ ma i risultati furono deludenti. Nel gennaio del 1921‚ a Livorno‚ la corrente, che faceva capo a Gramsci, decise di staccarsi dal partito socialista e fondare un nuovo partito : il partito comunista italiano. Mentre nel nord il contadino cessava di essere un salariato e diveniva socio d'azienda‚ nel Mezzogiorno‚ dove il latifondo era ancora radicato‚ non si verificò alcuna riforma agraria‚ soffocando il grido - La terra ai contadini! - e deludendo la speranza delle masse. Gli eventi precipitarono‚ le squadre fasciste aumentarono la loro forza e‚ col beneplacito dell'esercito e della polizia‚ organizzarono spedizioni punitive. Il 24 ottobre del 1922‚ le forze fasciste‚ concentrate a Napoli‚ iniziarono la marcia su Roma‚ ove entrarono il 28 ottobre. Quattro giorni dopo‚ Mussolini ebbe dal Re l'incarico di formare il nuovo governo. Seguirono le elezioni che determinarono la maggioranza 42
parlamentare del fascismo e l'assassinio di Matteotti. Dal 29 al 36‚ il regime conobbe i suoi anni migliori; in questo periodo sorse il mito del Duce‚ sotto l'azione della propaganda per l'incremento demografico‚ della politica agraria e con la battaglia del grano. Era il tempo in cui l'Italia si sentiva realmente fascista‚ né si sognava tanti antifascisti‚ quanti sostengono oggi di esserlo stato. Erano tempi brutti che dovevano servire da insegnamento‚ non da spauracchio di comodo. Il 5 maggio del 1936, si concludeva l'impresa Etiopica, con l'occupazione di Addis Abeba e Vittorio Emanuele II diveniva imperatore. Il 15 maggio, Giovanni Falcone veniva messo in libertà dopo 2 anni di reclusione.
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Capitolo VII Alla stazione di Napoli, incominciò a respirare l'aria della sua terra. Nell'animo, i sentimenti più contrastanti si alternavano ad una gioia immensa. Il treno si mosse a l'ansia crebbe con la stessa velocità della campagna che gli veniva incontro. La piccola stazione di Capaccio Scalo era gremita: Carminuccio, vestito a festa, andava su e giù, sorridendo a tutti coloro che si rallegravano per l'arrivo del compaesano. Era come se aspettasse il fratello, quello che aveva perso nel carcere di Portolongone. Pochi erano rimasti della vecchia guardia, ma tutti sapevano del fatto accaduto ventotto anni prima. Compare Albino era stato tra i primi a recarsi alla stazione‚ partendo di buon mattino col suo abito buono ed il mezzo sigaro in bocca. C'era pure Micheluccio‚ l'ex tirapiedi di don Filippo. Finalmente‚ il fischio del treno ruppe l'ansia di tutti e la piccola folla si accalcò nei pressi dei binari. - Eccolo‚ eccolo! - qualcuno gridò‚ ma il treno era ancora distante e si scorgeva solo la testa del macchinista‚ che guardava preoccupato la folla. Il treno sbuffò‚ rallentò‚ si fermò con un lungo sibilo. La folla assaltò i primi due vagoni, qualcuno gridò in corrispondenza dei finestrini : - Giuvanniè‚ Giuvanniè! – Per cinque lunghi minuti nessuno scese‚ nessuno si mostrò. La piccola folla ondeggiò‚ mentre il mormorio si fece sempre più forte. Qualcuno chiese: 44
- Carminuccio‚ si sicuro ch'è chìsto ‘o treno? – Il giovane non rispose a si spostò lungo i Vagoni‚ verso destra. Nel quarto‚ lo sportello si aprì. Carminuccio accorse‚ si fermò e guardò nel vano: Giuvanniello era là‚ con due valige in mano ed il volto rigato di lacrime. Un modesto vestito blu‚ a righe bianche delineava il corpo ancora snello, ma come era diverso al giovane che era partito tanti anni prima. I capelli brizzolati con due grosse ciocche bianche alla tempie‚ mettevano in risalto le rughe del viso scavato dalla sofferenza. Scese due gradini del treno e si fermò lasciando cadere la valigie. Si strinsero in un abbraccio senza parole, mentre il treno ripartiva con un lungo fischio. La folla attese‚ pazientemente‚ che si salutassero‚ poi‚ con grida festose‚ corse verso di loro, con una generosità che è tipica dei meridionali: - Giuvanniè‚ salute! – - Ben tornato Giuvanniè! -. L'uomo si fece largo ringraziando e si diresse verso l'uscita‚ dove compare Albino aspettava. Il vecchio lo guardò‚ con le mani che gli tremavano ed una lacrima‚che subito asciugò con l'indice destro. - Giuvanniè!.. - mormorò, con un filo di voce, che era un singhiozzo. L'uomo abbracciò quel povero vecchio ed insieme uscirono fuori sulla strada‚ dove Carminuccio attendeva con il calesse‚ già carico delle due valigie. Salirono e si allontanarono‚ salutati calorosamente dalla folla. Nessuno dei tre 45
parlò‚ nel lungo tragitto verso casa. Il mattino era pieno di sole e gli alberi ombreggiavano silenziosi e tranquilli. Per qualche chilometro‚ la strada continuò diritta e polverosa‚ poi‚ uscirono all'aperto‚ tra due ali immense di campi‚ con lunghi filari di salici all'orizzonte. Una leggera brezza‚ da sinistra‚ portava il profumo del mare. Giuvanniello chiuse gli occhi a respirò a pieni polmoni l'aria della "piana". Una grossa mandria di bufali si godeva il sole‚ nell'ultimo tratto della terra dei Casati‚ quando il calesse rallentò. Giuvanniello fissò Carminuccio‚ quasi a chiedergli il perché‚ il giovane guardava verso una piccola fattoria‚ con l'entrata rivolta verso il mare ed un vialetto‚ costeggiato da gerani a rose‚ che immetteva sulla strada. Una donna‚ non più giovane guardava verso di loro‚ si alzò‚ fece un passo avanti e si fermò incerta. Giuvanniello si accorse di lei e la fissò finché il calesse non si fermò completamente‚ a pochi passi da lei. Il volto stanco mostrava le rughe del tempo‚ gli occhi tristi avevano qualcosa di familiare: - Giuvanniè! - I singhiozzi della donna erano penosi‚ ma li soffocò in un grosso fazzoletto colorato. L'uomo si sentì turbato e‚ reggendosi sul ginocchio del giovane amico‚ scese dal calesse:- Mariu'! – Si abbracciarono. Dov'era finita la sua meravigliosa freschezza! In quell' abbraccio vi era il dolore di trent'anni. Giuvanniello l'allontanò con garbo e guardò con tristezza la 46
casa solitaria‚ desolata‚ come la povera donna‚ vestita di nero‚ che gli stava di fronte. - E tuo marito? – - È morto l'altr’anno – - Come è andata l'annata scorsa – - Quest'anno andrà meglio - gli rispose‚ alzando le spalle con una rassegnazione, che Giuvanniello non ricordava. - Vienimi a trovare‚ quando avrai un poco di tempo - Verrò! - rispose l'uomo‚ guardandola allontanarsi per lo stretto viale‚ verso la casa grigia. Risalì sul calesse‚ che riprese la sua corsa verso "femmena morta". Le prime case gli venivano incontro‚ con quell' aria tra il triste ed il dormiente‚ mentre i raggi del sole‚ mettevano in risalto il giallo delle facciate‚ sotto gli spioventi di tegole cotte. Non era poi cambiato molto il suo paese‚ pensava Giuvanniello ed aveva la piacevole sensazione di non essersi mai allontanato dalla sua terra. Ed i caporali? Quelli avevano finito di stuprare e schiavizzare‚ ma c'erano ancora e ci sarebbero sempre stati‚ finché ci sarebbero stati loro: i padroni e la povera gente‚ quella che non ha altro che due braccia per lavorare‚ con la schiena ricurva e le mani deturpate dai calli‚ con le macchie delle piante ruvide dei carciofini. I caporali‚ razza dura a morire‚ indistruttibili come la gramigna‚ che spunta ovunque e non si distrugge mai.
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ambiano i tempi e cambia il loro approccio con il mondo del lavoro‚ ma in sostanza il risultato è il medesimo: lo sfruttamento delle masse‚ un dissanguamento costante‚ parassitario‚ volto alla speculazione. Forse‚ anche essi servono‚ come servono gli ignoranti e gli sciacalli‚ servono al gioco dei potenti per creare nuove forme capitalistiche poggiate sull'illegalità. Felice‚ scarcerato‚ un anno prima non era andato alla stazione per ricevere l'amico. Forse per un sensi di colpa verso il fratello di sventura‚ che aveva pagato per il suo delitto. I due s’incontrarono due giorni dopo‚ in quella stessa campagna che era stato il teatro della loro impresa. - Siamo dei sopravvissuti - iniziò Felice‚ parlando a testa bassa e con le mani in tasca‚ come per prendere coraggio. - Quel che abbiamo fatto‚ andava fatto! È la legge della vita! - aggiunse Giuvanniello‚ appoggiandosi sulla gamba buona‚ quella che non aveva subito le conseguenze dell'anello della prigione. Il discorso andò avanti per un bel pezzo e si concluse con un abbraccio e qualche lacrima amara. Il sole tramontava all'orizzonte e la piana andava riempiendosi della voci della sera‚ del fumo dei focolari e del latrato dei cani nelle aie. Nulla era cambiato e la nuova generazione era forse più vivace‚ ma con lo stesso sguardo deciso‚ quello che scruta la terra‚ ma sa opporsi alle ingiustizie dei caporali.
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In lontananza, un antico canto popolare si scioglieva malinconico nella piana. Era una voce di donna che lanciava nella sera il pianto di una terra: Cantane 'e cicale, sott'ò sole ca còce'e cumme coce. Tutt' é suònne fenìscene 'cca' nda' sta terra bruciata, 'addò 'o vìne è sànghe 'e 'o viénte porte l'èco de' battaglie luntàne e nu pòpele antìche, ca lòtte ancòre 'ndé tèrre,...'ndé vìche, c'a fàmme 'e c'a misèria... Càntene 'e cicàle sott' ò sole ca còce, vòlle 'o sànghe 'ndé vvéne 'e 'nu po' truvà pàce... Si si 'n'òmme, sta a sente 'a voce e chésta gènte do' pòpele 'o lamiénte da ' fàmme e da ' miseria. Si si 'n' òmme, guàrdete attuòrne 'e chiàgne: e' làcreme cchiu' amàre. 'A terra è fatt'é sànghe, ch'é càlle 'mmiéze 'e mmàne e senza mànch'a fòrze e te guardà. Si si ' n'òmme, scìnne 'mmiéze 'a sta gènte e dice 49
onestamènte: chéste nunn'è campà! E' 'a storie 'e 'n' ingiustizia, ca 'nisciùne vòle, ma porte 'o capurale ca' 'o sànghe fa iettà E' 'a storia 'é tanta gente ca' 'o mùnno malamènte nu 'vòle fa' campa': so 'uòmmene senza cappiélle so 'fémmene ca vanno 'o maciélle, so' muòrte senza tavùte, 'ndà terra da' 'nfamità 'O bene? O bene è 'nu suònne, ca 'more lentamente 'ndà l' ànema da 'gente, ca 'lotta pe 'campà…-
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L’autore Franco Pastore nasce a San Valentino Torio, frequenta il ginnasio ed il Liceo nella vicina Sarno, il paese dei nonni materni, e completa gli studi presso l’Ateneo salernitano. La sua sensibilità lo porta, fin da giovanissimo, a scrivere racconti, poesie ed articoli che vengono pubblicati su giornali locali. Dopo il servizio militare, si trasferisce con la famiglia a Salerno, in via Camillo Sorgente, 21, dove, nel 1972, inizia la sua collaborazione con lo scrittore Arnaldo Di Matteo, scrivendo racconti ed articoli sul periodico “Verso il 2000”. L’anno successivo, entra a far parte dell’equipe del Varo, una galleria d’arte di Vito Giocoli e sostenuta dal giornalista napoletano Saverio Natale, che lo veicolano verso la critica d’arte. Intanto diviene un punto di riferimento nella famiglia di “Verso il 2000”, collaborando con il Prof. Zazo dell’Ateneo napoletano, il preside Marino Serini, il pittore Luigi Grieco, Achille Cardasco ed altre personalità della cultura campana. Alla metà degli anni settanta conosce Domenico Rea e Franco Angrisano. Sarà Rea, presso la Camera di Commercio di Salerno a presentare alla stampa il libro di estetica morale Il Vangelo di Matteo (Roma - n. 136 del 12/6/1980), che il Pastore scriveva, nel 1979 (Il Giorno - 23 marzo 1980), con Liana Annarumma. Intanto, Franco Angrisano lo presentava ad Eduardo De Filippo, nel periodo in cui l’attore recitava nella sua compagnia. Fu allora che in Franco Pastore si rafforzò l’amore per il teatro. Frattanto, conosceva Lucia Apicella di Cava (Mamma Lucia), per la quale pubblicava su Verso il 2000 una serie di racconti, raccolti poi nel libro “Mamma Lucia ed altre novelle” (L’Eco della stampa gennaio 1980 / Il Faro del 13/2/1980), con le illustrazioni del Grieco. Seguiva, sempre sull’eroina cavese,“Mutter der Toten”, un radiodramma, pubblicato dalla Palladio, che Angrisano drammatizzò nel salone dei marmi del Comune di Salerno (la Voce del Sud 12/7/1980 - Roma 11 giugno 1980 52 n.135), il giorno in cui Mam51
ma Lucia fu Premiata con medaglia d’oro del Presidente della Repubblica nel luglio del 1980 (Il Secolo d'Italia - Anno XXIX dell'11/07/1980). Dopo il suo primo romanzo “L’ira del Sud” (verso il 2000 - anno XXIII - n.82 del 1983, con nota autografa di Nilde Iotti) scrisse per Franco Angrisano “La moglie dell’oste”, ispirata alla XII novella de Il Novellino, di Masuccio Salernitano; seguì “Terra amara”, sul problema del caporalato nel sud. Negli anni novanta, viene trasferito al Liceo di Piaggine. Fu in quegli anni che scrisse “All’ombra del Cervati” una raccolta di liriche e “Fabellae”, un testo di drammatizzazione per la scuola elementare. Sono gli anni in cui si accosta all’informatica, è docente di sociologia e psicologia di gruppo nell’Ospedale Tortora di Pagani. Inizia un dialogo stretto con il teatro, grazie alla disponibilità dell’auditorium del Centro Sociale paganese ed all’incontro con la compagnia teatrale “02”, diretta da Enzo Fabbricatore. Nascono così le commedie: “Un giorno come un altro”, “Un maledetto amore”, “Una strana Famiglia” ( Le Figaro / Education, samedi 4 juin 2005). Tra il 1995 ed il 2000, è direttore di Corsi di alfabetizzazione informatica per il M.I. e tiene, al Centro sociale di Pagani, Corsi di Pedagogia speciale (metodi: Decroly e Froebel). Alla fine degli anni novanta, si abilita per l'insegnamento delle lettere negli istituti superiori e, nel 2000, il commediografo passa dalla pedagogia (didattica e metodologia), all’insegnamento di italiano e storia nell’Istituto “G. Fortunato” di Angri. Nello stesso anno, ritorna nella sua Salerno, in via Posidonia. Oramai ha perso tutti gli amici di un tempo. Intensifica il suo interesse per il teatro, entra in rapporto con alcune compagnie salernitane e conosce Gaetano Stella e Matteo Salsano della compagnia di Luca De Filippo. Con questi ultimi, ripropone “La moglie dell’oste” che viene rappresentata nel 2006, al teatro dei Barbuti, nel Centro storico. Il successo dell’opera lo spinge a scrivere altre tre commedie, ispirate al Novellino del 52
Masuccio: Le brache di San Griffone , “Un vescovo una monaca ed una badessa” e “Lo papa a Roma”. Oramai l’insegnamento non lo interessa più e dà le dimissioni, nel settembre del 2005, chiudendo innanzi tempo il suo impegno con la scuola, per dedicarsi completamente al Teatro. Come European journalist (GNS Press Association), fonda, con il patrocinio del Comune e della Provincia di Salerno, la rivista virtuale di lettere ed arti “ Antropos in the world” e inizia il ciclo de’ “I Signori della guerra”, ovvero “La Saga dei Longobardi”, un insieme di cinque drammi storici, sulla Salerno longobarda e normanna, che completa il 29 gennaio del 2011. Dopo la pubblicazione delle raccolte di racconti “Il gusto della vita” (ed. Palladio) e di “Ciomma” (edito dalla Ed. Antitesi di Roma), va in scena, a Pagani, il primo dei drammi storici “L’Adelchi”, replicato il 25 febbraio 2011 al Diana di Nocera Inf., con il patrocinio della Provincia di Salerno (Dentro Salerno, 25 febbr. 2011). Dunque, nelle sue opere, traviamo profonde tracce delle sue radici e figure, personaggi delle sue commedie e dei racconti ci riportano all’agro nocerino-sarnese, ricco di caratteristiche peculiari, artisticamente incastonati in situazioni socio antropologiche sui generis. E’ il caso di “Peppe Tracchia”, così come di “Ciomma” o “Luciano Valosta”, per non citare tante altre figure, prese dai campi o dalle fabbriche di pomodori. Nemmeno l’agro si dimentica di lui, con la consegna dell’Award dell’Agro, per la letteratura. (Cronache del Salernitano, del 27 agosto 2013) e la pubblicazione di “Oltre le stelle”, presentata al palazzo formosa, il 12 febbraio del 2014 (Dentro Salerno, 13.02. 2014) Fin dagli inizi del suo percorso artistico, Pastore, pur avendo acquisito una formazione classica (Euripide, i lirici greci, Aristofane e la commedia antica, Omero, Esopo e Fedro), si trova ad essere rivolto verso il presente del nostro tempo. La sua narrativa si può ritenere, in alcune sfumature, neorealista, con testimonianze forti, sulle difficoltà di una Italia degli anni della ricostruzione. Così, nel teatro, nel mentre delinea il dramma di antiche dominazioni, passa alla commedia di denuncia ed alla farsa. 53
Hanno scritto di lui: Il Giorno - La Nuova Frontiera - L’Eco della Stampa - Verso il 2000 - La Voce del Sud - La Gazzetta di Salerno - La Gazzetta di Frosinone - Candido Nuovo - Il Secolo - Il Faro - L’Amico del popolo - La Città - Cronache di Potenza - Dentro Salerno - La gazzetta di Teramo - Le Figaro - La Lampada - Dossier Sud - Il Roma - La gazzetta di Pescara - Areapago Cirals - La Gazzetta di Matera - La Tribuna dell’Irpinia - Settimanale Unico - Corriere del Mezzogiorno - Cancello ed Arnone News - Cronache del Mezzogiorno - L’Osservatore dell’Agro - Dentro Salerno - Agire - Il Mattino - Cronache del salernitano - Epucanostra - Brontolo Tvoggi Salerno - Cilento Notizie - Il Basilisco - Unico - Cronache Cilentane ed altre testate. Hanno parlato di lui: L. Fiorentino (Ateneo di Siena) - Nicola Napolitano - Nilde Iotti Saverio Natale - A. Di Matteo - Gualdoni (del Giorno, Mi) - Lucia Salvatore - N. Ammaturo (Ateneo di Salerno) – Renato Ungaro Domenico Rea - Laura Vichi (Roma) - A. Mirabella - R. Nicodemo Giuffrida Farina - L. Crescibene - R. Ungaro - A. Palumbo - Paolo Romano - G. Rispoli - A. Burdua ed altri. Trasmissioni televisive: TLC Campania, Serata napoletana - Presentazione del libro di racconti “Il gusto della vita” ( 13 ottobre 2006); Telecolore, Ore dodici - Present. Rivista “Antropos in the world; Telecolore, Ore dodici - Presentaz. lir. “Il profumo di Ermione”; Telecolore,Trasmissione dell’ ARECHI II (sab. 9 marzo 2013); Telecolore, Trasmiss.ne dramma ARECHI II ( dom.10 marzo 2013 ); Telediocesi,presentazione de“La Saga dei Longobardi”(14.8.2013); Telediocesi, presentazione de “La Saga dei Longobardi” ( 15 ag. 2013 ).
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Altre Opere Poesia VOGLIA D’AMARE - Sa. 1974 - Cod. SBN IT\ICCU\BIA\0018357 OMBRE DI CAPELVENERE; 1989 Codice SBN UBO1787585 Bibl.ca Univ. Cagliari SORRISI D’AMORE, liriche, 1994 Cod. SBN IT\ICCU\CFI\0059162 ALL’OMBRA DEL CERVATI - Na 1995 Cod. IT\ICCU\MIL\0837501 LE TUE LABBRA, liriche d’amore - A.I.T.W. 2010 - Cod SBN IT\ICCU\PAL\0256056 IL PROFUMO D’ERMIONE, poesia A.I.T.W. edizioni, Salerno, marzo 2013 -SBN IT\ICCU\NAP\0568671 SALERNO DAL CONCORD - 1a Ed. 2003 - 2a Ed.., Salerno sett. 2013 - A.I.T.W - Cod. SBN IT\ICCU\PAL\0262623 ACQUA ELECTA - A.I.T.W edizioni, Sa 2013 –Cod. IT\ICCU\MIL\0854762
OLTRE LE STELLE, dedicato a S. Valentino T. - A.I.T.W. edizioni, Sa 2014 – cod. [IT\ICCU\MOD\1628173] Poesia monografica AMORE E MITO, favole della lett. lat. in versi - Ediz. Penne Pazze e-book 2006 - II ed. luglio del 2013. Cod. IT\ICCU\MO1\0035687 Il NAZARENO, lauda sulla morte di Cristo, A.I.T.W. ed. - Sa, 2009 - Cod, SBN IT\ICCU\NAP\0563067 LE STELLE DELLA STORIA, Sidera Historiae, donne che hanno fatto storia, Salerno 2006, rist.pa 2013 cod. IT\ICCU\MO1\0035683 UN UNICO GRANDE SOGNO, poesia d’amore in odi dedicate ai personaggi femminili celebri, da Isotta a Giulietta, alla Lupa, a Nedda e alla Peppa del Gramigna - Ediz. Poetilandia ebook 2006 cd. Sbn [IT\ICCU\MO1\0035686] EL CID CAMPEADOR, un’ode al cid di Spagna - A.I.T.W. Edizioni, Salerno 2014 55
Prosa L’IRA DEL SUD (romanzo) edizioni Palladio - 1982. Codice SBN CFI0020645 - Bibl. Univ. Cagliari LA SIGNORA DELLA MORTE (radiodramma) Palladio Editrice - Salerno 1978 Codice SBN IT\ICCU\SBL\0625441 SETTE STORIE PER PIERINO, racconti per ragazzi -Ediz. Verso il 2000, Sa 1978 - Cod. SBN SBL\0628217 - Bibl.che: Ca, Tr, Na, MAMMA LUCIA ed altre novelle, Sa 1979 Codice SBN PAL0-159227 - Bibl. Univ. Cagliari SAN MARZANO nella pianura campana (storiografia), Ed. Palla-dio, Sa 1983. Cod. SBN IT\ICCU\CFI\0032994 IL GUSTO DELLA VITA,- racconti, Ediz. Poetilandia ebook 2005 - Ed. Palladio, Sa 2006 . Codice SBN IT\ICCU\PUV\1362615 IL GUSTO DELLA VITA, racconti, II Ediz. IT\ICCU\PUV\1362615
CIOMMA, racconti dell’agro sarnese - Ed. Antitesi, Roma 2008 - Cod ISBN IT\ICCU\PUV\1363319 I TEMPLARI, dramma storico - A.I.T.W. ediz. - Sa 2010, cod. IT\ICCU\MO1\0035682
I Templari , fumetto, Centro Stampa ed. Pagani 2008 LA ZIZZEIDE, I e II volume, ovvero l’inferno salernitano, A.I.T.W. Edi-zioni, maggio 2011
Saggistica Il VANGELO DI MATTEO (estetica morale, con prefazione di Domenico Rea) De Luca ed.- Amalfi 1979 cod. SBN IT\ICCU-\PUV\1368781 IL CORAGGIO DELLA VERITÀ, libro inchiesta sulla tragedia di Ustica - A.I.T.W. Ed., giugno 2012 Cod. SBN IT\ICCU\NAP-\0544907 HERACLES IN MAGNA GRECIA, iconografia ragionata. Cod. SBN IT\ICCU\MO1\0035548
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ME NE JEVE PE’ CASO, contaminatio in napoletano della 1,9 sa-tira di P.Orazio Flacco - A.I.T.W. Ed. - Sa 2013 IT\ICCU\ NAP\0595558
‘O VIAGGIO PE’ BRINNESE contaminatio in napoletano 1,6 della satira di P.Orazio Flacco - A.I.T.W. Ed. - Sa 2013 Cod. IT\ICCU\RML\0361796 LA SIGNORA DELLA MORTE (Mutter der toten) radiodramma Ed. Palladio, Sa. 1980; (La Nuova Frontiera del 30/7/81) Biblioteca Fond. Siotto Alghero - Codice SBN SBL065441 FAEDRUS, le favole latine di Faedrus in versi napoletani A.I.T.W. Ediz., giugno 2011- Cod SBN IT\ICCU\NAP\0568756 AISOPOS, le favole greche di Esopo in versi napoletani A.I.T.W. Edizioni, sett. 2011 cod. SBN IT\ICCU\NAP\0568683 LE PROBLEMATICHE DELLA ADOLESCENZA verso la formazione del sé - A.I.T.W. Ed. - Sa 2013. Cod. SBN IT\ICCU\MO1-\0035831
LE PROBLEMATICHE DELLA ADOLESCENZA i comportamenti a rischio - A.I.T.W. Ed. - Sa 2013. Cod. SBN IT\ICCU\MOD\-1622636 FILOSOFIA ARISTOTELICA, schiavitù ed oikonomìa - A.I.T.W.
Ed. - Sa 2014, II stampa. Cod. ISBN IT\ICCU\MOD\1628166 Commedie LA MOGLIE DELL’OSTE - 1974. Cod SBN IT\ICCU\MO1\0035688
TERRA AMARA - 1979. Cod SBN IT\ICCU\MO1\0035757 UN GIORNO COME UN ALTRO - 1998 - Cod SBN [IT\ICCU\MIL\0839578
LO PAPA A ROMA - 2003 - Cod. SBN IT\ICCU\NAP\0582008 LUISA CAMMARANO - 2004 - Cod. SBN IT\ICCU\MO1\0036201 UNA STRANA FAMIGLIA -2005. Cod.SBN IT\ICCU\NAP\0590201
IL MENACHER - 2005 - Cod.SBN IT\CCU\PAL\0159227 UNO STRANO AMORE - 2001 -Cod.SBN IT\ICCU\MIL\0851139 57
O VESCOVO, A MONACA E L’ABBADESSA -2004 - cod. SBN IT\ICCU\MO1\0035684 LE BRACHE DI SAN GRIFFONE - 2005- cod. isbn IT\ICCU\
NAP\0584683
Drammi storici: GAITA, moglie del Guiscardo, 2007 - IT\ICCU\MO1\0035550 I TEMPLARI - 2008 Cod. SBN IT\ICCU\MO1\0035688 ARECHI II - 2008 - Cod. SBN IT\ICCU\MIL\0844100 IL NAZARENO - 2009 - cod. SBN [IT\ICCU\MO1\0035682 LA BATTAGLIA DELLA CARNALE - 2010 cod. SBN [IT\ICCU\- MO1\0035682] GUAIMARIO IV - Salerno 2010 - cod. SBN IT\ICCU\NAP\0582008
ROBERT D’HAUTEVILLE LA GUICHARD, Sa. 2011 - cod. SBN IT\ICCU\MO1\0035551 PIU’ FORTE DELLA MORTE- A.I.T.W. Ediz. Sa. 2 011 - Cod. SBN IT\ICCU\NAP\0563051 IPPOLITO PASTINA - A.I.T.W. Edizioni, 2012 - Cod SBN IT\ICCU\MIL\0844104 ISABELLA SANSEVERINO - A.I.T.W. Edizioni Farse UNA FAMIGLIA IN ANALISI - 2006 - C.SBN: IT\ICCU\MO1\01003205 UN CASO DI NECESSITÀ - A.I.T.W. Edizioni, Salerno2008 Cod. SBN IT\ICCU\NAP\0590700 PEPPE TRACCHIA - 2008. Cod. SBN IT\ICCU\MO1\0035841 CONCETTA QUAGLIARULO - 2009 (una contaminatio sullo sbarco di Salerno). Cod. SBN IT\ICCU\MO1\0035758 VÁSE ARRUBBÁTE - A.I.T.W. Sa 2010 - Cod. SBN IT\ICCU\MO1\003204 BERNARDAS GLORIOSAS - Salerno 2011 – Cod ISBN IT\ICCU\MOD\1628171
COLLOQUIO con un segretario di onorevole - Salerno 2010. Cod. SBN ITCCU\MO1\0036202 58
PINOCCHIO IN TRIBUNALE; La civetta, la cicala e la formica; Una gara della stupidità; La capretta Genoveffa : quattro drammatizzazioni per le scuole elementari - Paes, 1987 (Cava de’Tirreni, Palumbo & Esposito) Monograf. - Testo a stampa – SBN IT\ICCU\CFI\0105947
Opere multimediali - Fiabe - Documentari didattici e teatro per ragazzi:
FABELLAE- antologia di drammatizzazione per la scuola primaria‚ Paes,1988. Cod. SBN IT\ICCU\CFI\0154255 LA MARGHERITA SCIOCCA - S.W. anno 2004 IL PAPERO INGRATO - S.W. anno 2006 ORFEO GATTO MARAMEO - S.W. anno 2006 CALIMERO E LE SETTE NANE, UNA STORIA ALL’INCONTRARIO - A.I.T.W. Edizioni - Salerno genn. 2014 - ISBN: 9788891133052
VERSO LA RELIGIONE EGIZIA – Documentario didattico LA RELIGIONE GRECA - Documentario didattico ROMA PAGANA – Documentario didattico IL MIRACOLO DI BETLEMME – Documentario didattico ABRAMO - Documentario IL CANTICO DEI CANTICI – Documentario didattico
Alcuni premi ed Onorificenze Roma - Medaglia d’oro per la poesia - S.Barbara 1971 ( Scuola Genio Pionieri) Roma- Accademia Int.le Tommaso Campanella - medaglia d’oro e nomina a Membro Honoris Causa 1975. Salerno - Salone dei Marmi del Palazzo Città - Trofeo “ Verso il 2000 ”,consegnato a Domenico Rea e Franco Pastore dal Ministero Turismo e Spettacolo e dall’Assessorato alla P. Istruzione del Comune di Salerno (La Voce del Sud, del 12. 7.1980 - La Nuova Frontiera,30.6.1980e del 15/12/1980 - Candido, 18 sett. 80). 59
Roma - Acc. Gentium Pro Pace - nomina ad “ Academicum ex classe legitima”, 1980. Accademia delle Scienze di Roma - nomina ad Accademico d’onore,1982. Melbourne - Accadem. Lett. Italo - Australiana (A.L.I.AS.) Primo premio internazionale per la narrativa, 2008. Melbourne - Accadem. Lett. Italo-Australiana (A.L.I.AS.) - Primo premio internazionale per la narrativa 2011. Viterbo - Targa della città di Viterbo alla carriera - Accademia Francesco Petrarca, maggio 2012. Germany - Accreditation Correspondance Jornalistique - G.N.S. Presse Association, dicembre 2011. San Valentino T. - Award dell’Agro, per la letteratura. (Cronache del Salernitano, del 27 agosto 2013) Diffusione pubblicazioni: - In Italia, nelle biblioteche universitarie e nazionali di Padova, Trieste, Pavia, Pescara, Biella, Torino, Alghero, Milano, Firenze, Bologna, Urbino, Modena, Genova, Roma, Napoli, Salerno, Bari, Palermo, Sassarri, Parma, Cagliari, Catania, Lerici, Roccadaspide e Campobasso. - All’estero: Presso l’Istituto Italiano Cultura di Parigi, Bruxelles, Barcellona e Kraków.
Pubblicazioni in Ebook (pdf, epub e mobi, PC, Mac Os, Linux, iPhone, iPad, Android, HTC, Blackbarry, eReaders), su store italiani ed internazionali: NUNZIATINA, romanzo breve, sul caporalato nel sud dell’Italia d’inizio secolo, 2013. – cod ISBN 9788868143053. IL PROFUMO D’ERMIONE, liriche, anno 2013; cod ISBN 9788891129031. AQUA ELECTA, liriche dedicate a Quaglietta di Calabritto ed all’alta valle del Sele. Anno 2013 – cod ISBN 9788891130945. CALIMERO E LE SETTE NANE, una storia all’incontrario, anno 2014. cod ISBN 9788891133052. 60
SALERNO DAL Concord, liriche dedicate a Salerno - Cod. SBN IT\ICCU\PAL\0262623.
OLTRE LE STELLE, liriche dedicate al paese dell’amore, San Valentino Torio. Anno 20014 – cod. SBN. 978889113420. IL SORRISO DEGLI ANGELI, liriche, Salerno 2004. UN UNICO GRANDE SOGNO, poesia monografica, Catanzaro 2006. IL GUSTO DELLA VITA,racconti, Catanzaro 2006. CRONACA CONFADINA del 2006 - cod. SBN. 9788868144067
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Finito di stampare a Salerno il 20 marzo 2014
Cod ISBN 9788868143053 63
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