Franco Pastore
A.I.T.W. Edizioni Collana Saggi 1
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In una contaminatio in napoletano della V e IX satira Di FRANCO PASTORE
Š 2014
by Franco Pastore Una realizzazione A,I. T..W.
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Quintus Horatius Flaccus Orazio nacque a Venosa, colonia romana fondata in posizione strategica tra Apulia e Lucania, nella attuale Basilicata, l' 8 dicembre del 65 a.C. Figlio di un fattore liberto che si trasferì poi a Roma per fare l'esattore delle aste pubbliche (coactor), compito poco stimato maredditizio. Il poeta era dunque di umili origini, ma di buona condizione economica.Orazio seguì perciò un regolare corso di studi a Roma, sotto l'insegnamento del grammatico Orbilio e poi ad Atene, all' età di circa vent'anni, dove studiò greco e filosofia presso Cratippo di Pergamo. Qui entrò in contatto con la lezione epicurea ma, sebbene se ne sentisse particolarmente attratto, decise di non aderire alla scuola. Sarà all'interno dell'ambiente romano che Orazio aderirà alla corrente, la quale gli permise di trovare un rifugio nell'otium contemplativo. Il poeta espresse la sua gratitudine verso il padre in un tributo nelle Satire. Quando scoppiò la guerra civile Orazio si arruolò, dopo la morte di Cesare, nell'esercito di Bruto, nel quale il poeta incarnò il proprio ideale di libertà in antitesi alla tirannide imperante e combatté come tribuno militare nella battaglia di Filippi (42 a.C.), persa dai sostenitori di Bruto e vinta da Ottaviano. Nel 41 a.C. tornò in Italia grazie a un'amnistia e, appresa la notizia della confisca del podere paterno, si mantenne divenendo segretario di un questore (scriba quaestorius), in questo periodo cominciò a scrivere versi, che iniziarono a dargli una certa fama. Nel 38 a.C. venne presentato a Mecenate da Virgilio e Vario, probabilmente incontrati nel contesto delle scuole epicuree di Sirone, presso Napoli ed Ercolano. Dopo nove mesi Mecenate lo ammise nel suo circolo. Da allora Orazio si dedicò interamente alla letteratura, non si sposò mai e non ebbe figli. Già in questo periodo Orazio risulta debole di occhi, avendo contratto una congiuntivite. Mecenate gli donò nel 33 a.C. un piccolo possedimento in Sabina, le cui rovine sono ancor oggi visitabili nei pressi di Licenza (RM), cosa molto gradita al poeta che, in perfetta osservanza del modus vivendi predicato da Epicuro, non amava la vita cittadina. Con la sua poesia fece spesso azioni di propaganda per l’imperatore Au-
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gusto, anche se, a dire il vero, in questo periodo Ottaviano lasciò una maggiore libertà compositiva ai suoi poeti (tendenza che sarebbe però stata invertita dopo la scomparsa di Mecenate: lo testimonia la vicenda biografica di Ovidio). Esempi di propaganda augustea sono, ad ogni modo, alcune Odi e il Carmen saeculare, composto nel 17 a.C. in occasione della ricorrenza dei Ludi Saeculares. Morì nel novembre dell'8 a.C. all'età di 57 anni e fu sepolto sul colle Esquilino, accanto al suo amico Mecenate, morto solo due mesi prima.
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Una contaminatio in napoletano dell’Iter Brundisium
(satira 5,1)
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Premessa
Nella primavera del 37 a.C., l’imperatore Ottaviano inviò a Brindisi, in Puglia, una delegazione diplomatica capeggiata da Mecenate, suo influente consigliere, alleato ed amico, per incontrarsi con i rappresentanti di Antonio. Tra essi, Fonteio Capitone, che viaggiò con lo stesso Mecenate. Lo scopo della missione – perseguito specialmente da Ottavia, sorella di Ottaviano e moglie di Antonio – era quello di cercare di appianare i dissidi e le tensioni fra i due cognati rivali, poichè l’accordo tra loro stipulato nel 40 era stato compromesso da incidenti, accaduti nei due anni successivi. Mecenate probabilmente per rendere più gradevole il suo viaggio, volle essere accompagnato da Orazio, insieme con Virgilio, Plozio Tucca e Vario Rufo, poeti e letterati a lui e fra loro legati da un rapporto di profonda amicizia. Il poeta lucano, allora 28enne, influenzato da una satira di Lucilio a carattere odeporico (cioè dedicata alla descrizione di un viaggio), ci ha lasciato una sua satira (la V del Primo Libro dei suoi ‘Sermones’), una sorta di coinvolgente taccuino di appunti (noto come ‘iter brundisinum’) su quanto avvenne lungo le 360 miglia (circa 580 km) del percorso svoltosi lungo la via Appia, strada che collegava appunto Roma e Brindisi, a quel tempo il più importante porto per la Grecia e l’Oriente. Dopo Benevento, attraverso Venosa, la via Appia raggiungeva il mare di Tarentum (Taranto) e da qui terminava a Brundisium (Brindisi) dopo aver toccato altri centri intermedi, come ad esempio la stazione di Orria. I nostri viaggiatori tuttavia scelsero di non seguire questo tragitto e deviarono lungo un altro tracciato risalente all’età repubblicana, quello sul quale molti anni dopo, fra il 108 ed il 110 d.C., Traiano fece costruire la via Appia Traiana. Si trattava di una variante della via Appia e collegava Beneventum (Benevento) a Brundisium (Brindisi), attraverso Aecae (Troia), Herdonia (Ordona), Canusium (Canosa di Puglia), Rubi (Ruvo di Puglia), Butontum (Bitonto); da qui proseguiva lungo la costa toccando Barium (Bari) ed Egnatia (centro presso 9
Fasano). Nelle campagne pugliesi e in qualche città (Bari) o borgo (Polignano) è possibile trovarne ancora alcuni tratti la stricati e le relative colonne miliari. Nel racconto la motivazione diplomatica della spedizione passa del tutto in secondo piano: anzi, Orazio mostra di non curarsene affatto. La cronaca del lungo e faticoso viaggio gli offre semplicemente occasione per descrivere in modo fresco e spigliato località, ambienti, personaggi più o meno buffi e scenette comiche: un pretesto che gli permette di ironizzare in modo pungente sulle manie e i pretenziosi intenti di una povera umanità. Il tutto condito da quella spontanea salacità tipica degli antichi popoli italici, tra i quali il genere satirico affonda le proprie radici. Il poeta mette inoltre in evidenza le condizioni precarie nelle quali affronta il viaggio e conclude esprimendo con forza la convinzione che gli dei conducono un’esistenza tranquilla estranea alla nostra realtà, non intervenendo nella vita dell’uomo. L’oratio recta, infine, dà realismo e vivacità al componimento. L’autore
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Satira, I, 5" – Iter Brundisium Egressum magna me accepit Aricia Roma hospitio modico; rhetor comes Heliodorus Graecorum longe doctissimus; inde Forum Appi differtum nautis cauponibus atque malignis. hoc iter ignavi divisimus altius ac nos praecinctis unum: minus est gravis Appia tardis. hic ego propter aquam quod erat deterrima ventri indico bellum cenantis haud animo aequo exspectans comites. iam nox inducere terris umbras et caelo diffundere signa parabat: tum pueri nautis pueris convicia nautae ingerere: 'huc adpelle'; 'trecentos inseris'; 'ohe iam satis est.' dum aes exigitur dum mula ligatur tota abit hora. mali culices ranaeque palustres avertunt somnos; absentem cantat amicam multa prolutus vappa nauta atque viator certatim; tandem fessus dormire viator incipit ac missae pastum retinacula mulae nauta piger saxo religat stertitque supinus. iamque dies aderat nil cum procedere lintrem sentimus donec cerebrosus prosilit unus ac mulae nautaeque caput lumbosque saligno fuste dolat: quarta vix demum exponimur hora. ora manusque tua lavimus Feronia lympha. milia tum pransi tria repimus atque subimus inpositum saxis late candentibus Anxur. Huc venturus erat Maecenas optimus atque Cocceius missi magnis de rebus uterque legati aversos soliti conponere amicos. hic oculis ego nigra meis collyria lippus inlinere. interea Maecenas advenit atque Cocceius Capitoque simul Fonteius ad unguem factus homo Antoni non ut magis alter amicus. Fundos Aufidio Lusco praetore libenter linquimus insani ridentes praemia scribae praetextam et latum clavum prunaeque vatillum. in Mamurrarum lassi deinde urbe manemus Murena praebente domum Capitone culinam. postera lux oritur multo gratissima; namque Plotius et Varius Sinuessae Vergiliusque occurrunt animae qualis neque candidiores terra tulit neque quis me sit devinctior alter. o qui conplexus et gaudia quanta fuerunt. nil ego contulerim iucundo sanus amico. proxima Campano ponti quae villula tectum praebuit et parochi quae debent ligna salemque. hinc muli Capuae clitellas tempore ponunt. lusum it Maecenas dormitum ego Vergiliusque; namque pila lippis inimicum et ludere crudis. hinc nos Coccei recipit plenissima villa quae super est Caudi cauponas. nunc mihi paucis Sarmenti scurrae pugnam Messique Cicirri Musa velim memores et quo patre natus uterque contulerit litis. Messi clarum genus Osci; Sarmenti domina exstat: ab his maioribus orti ad pugnam venere.
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Prior Sarmentus 'equi te esse feri similem dico.' ridemus et ipse Messius 'accipio' caput et movet. 'o tua cornu ni foret exsecto frons' inquit 'quid faceres cum sic mutilus minitaris?' at illi foeda cicatrix saetosam laevi frontem turpaverat oris. Campanum in morbum in faciem permulta iocatus pastorem saltaret uti Cyclopa rogabat: nil illi larva aut tragicis opus esse cothurnis. multa Cicirrus ad haec: donasset iamne catenam ex voto Laribus quaerebat; scriba quod esset nilo deterius dominae ius esse; rogabat denique cur umquam fugisset cui satis una farris libra foret gracili sic tamque pusillo. prorsus iucunde cenam producimus illam. tendimus hinc recta Beneventum ubi sedulus hospes paene macros arsit dum turdos versat in igni. nam vaga per veterem dilapso flamma culinam Volcano summum properabat lambere tectum. convivas avidos cenam servosque timentis tum rapere atque omnis restinguere velle videres. incipit ex illo montis Apulia notos ostentare mihi quos torret Atabulus et quos nunquam erepsemus nisi nos vicina Trivici villa recepisset lacrimoso non sine fumo udos cum foliis ramos urente camino. Hic ego mendacem stultissimus usque puellam ad mediam noctem exspecto; somnus tamen aufert intentum veneri; tum inmundo somnia visu nocturnam vestem maculant ventremque supinum. quattuor hinc rapimur viginti et milia raedis mansuri oppidulo quod versu dicere non est signis perfacile est: venit vilissima rerum hic aqua sed panis longe pulcherrimus ultra callidus ut soleat umeris portare viator. nam Canusi lapidosus aquae non ditior urna: qui locus a forti Diomede est conditus olim. flentibus hinc Varius discedit maestus amicis. inde Rubos fessi pervenimus utpote longum carpentes iter et factum corruptius imbri. postera tempestas melior via peior ad usque Bari moenia piscosi; dein Gnatia Lymphis iratis exstructa dedit risusque iocosque dum flamma sine tura liquescere limine sacro persuadere cupit. credat Iudaeus Apella non ego; namque deos didici securum agere aevom nec siquid miri faciat natura deos id tristis ex alto caeli demittere tecto. Brundisium longae finis chartaeque viaeque est.
Q. Horatius Flaccus
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ITER BRUNDISIUM
Dopo lasciata Roma m’accolse Arriccia, cu’ n’ ospitalità, piuttosto spiccia, m’era compagno il retore Eliodoro, dei greci o cchiù sapiente, e fummo al Foro, chine ‘e marinai e osti ‘mbrugliùni, ca te vennévene a paglia pe’ maccarùne. Da sfaticàti, chistu tratto ‘e via, lo dividemmo cu’molta pecundrìa, ma i più veloci ‘o facevene a volo, ‘o percurrevene ‘nda ‘na botta sola. Siccome l'acqua qui faceve schifo, dichiaro guerra a’ panza e non mi fido. S’appreparava a notte, era già sera, quando gli schiavi, da figli di latrina 14
fécere ‘e barcaioli ‘na mappina: « Accosta cca!»; «ne vuò fa saglì treciènte?»; « N’è chìno già abbastanza ‘o bastimiénte?». Mentre s’attàcca ‘a mula e s’esige il bronzo, tra ’a museca de’ rane è ’e zanzare, aspettèmme quasi ‘n’ora, cùmme é gonzi. Po’ ‘nu mbriàche, cu ‘n’amico fesse, cantànne a squarciagola cumme é pazze, rumpèttere a tutti,cu ‘e piattine, ‘e tazze. ‘O marenare, attaccate e briglie, accuminciàie a russà profondamente, ‘a mula sciancata, senza move ciglia, girava e pascolava allèramente. Era già juòrno, e ‘o barcone n’avanzava, quànne ‘nu tizio,cu ‘na capa pazza, risolvette ogni cosa cu ‘na mazza:
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Aizànne a voce e vuttànne vrucculàte, verso l’ora quarta, venèmme sbarcate; Po’, doppe mangiàto, ripigliàmm’ò viagge e pe’ tre miglia cuntinuàie ‘o disàgge. Metteve ‘e gocce ‘nda ll’uòcchie abbuffàte, quanne arrivaie Cocceo, cu Mecenate. Ambasciatori di pace, tra cognati in tenzone, con Cocceo Fonteio venne pure Capitone1, uomo importante e di grande sostanza, era amico d’Antonio e fonte di speranza. Nella città di Formia, strafochiàmo, e a casa Murena, spossati, pernottiamo. 0 juòrne appriésse, fu ‘na vera ressa: Plozio, Vario e Virgilio venèrene a Sinuessa2. O quanti abbracci e strette tra fratelli, era ‘n’onore avere amici cumm’a chìlle. La villetta, vicina al ponte campano, ci diede un tetto, fuoco e vino nostrano. ‘A ccà partiti, un po’ con aria mesta, arrivèmm’ a Capua, nell’ ora prevista. ________________
1) Fontèio Capitóne, Gaio (lat. C. Fonteius Capito). - Partigiano di M. Antonio, il triunviro, ebbe da questo varî incarichi di fiducia nell'inverno del 36 fu incaricato di accompagnare Cleopatra dall'Egitto in Siria. Fu console suffetto nel 33. 2) Sinuessa venne fondata Nel 296 a.C., situata a difesa dell'accesso costiero dalla Campania Felix al Latium adjectum. In un primo momento fu difficile trovare coloni disposti a vivere nella nuova città, viste le continue incursioni sannitiche. Dopo la sconfitta definitiva dei Sanniti, un altro nemico rese difficoltosa la vita di Sinuessa: nel 217 a.C. la cavalleria Numida di Annibale, assediò senza successo la colonia e saccheggiò tutto l'agro circostante provocando enormi danni. L'importanza della città nel II sec. a.C., è provata dall'ampliamento delle mura e dalla ristrutturazione del foro nel 174 a.C. ad opera del censore Q. Fulvio Flacco. Questa importanza scaturiva dalla ricchezza della colonia, dovuta alla produzione vinicola e alle acque termali; i nomi Falerno e Acque Sinuessane, iniziarono a circolare a Roma e in tutto la repubblica.
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Dopo ‘o riposo raggiungemme, allora, la villa di Cocceo, di buonora, a nostro agio, fummo ben serviti, rifocillati e molto divertiti dalla guerra tra il buffone Sarmento e Cicirro Messio, un vero portento: tra ‘na vevuta e na grassa risata, a tirèmme troppo a lungo la serata. Salutammo, Cicirro e Sarmento e fummo, ‘o juone doppo, a Benevento. Fu qua, che un oste coglione, mentre arrustève quaglie sul camino, appicciàie ‘a cucina e ‘o bastone. E fiamme s’aizère all’intrasàtte, sagliènne arditamente fino al tetto, e ment’e servi stutàvene c’a rena e arrischiànne, me facevene pena, tutti ll’àte s’acchiappàvene ‘a cena. a Trevico1 arrivémme all’indomani e lì certe speranze furono vane. 17
‘Na ‘nfàme me dicette:«Te la do!» e l’aspettàie fin’oltre mezzanotte, ma era oramai quasi mattino, quanne , da sule, me stenniètte ‘ndò lettine. Mente durmeve, me venètte nzuònne, facendo giochi erotici la mappina, e ‘nzuònne veniètte cumm’a ‘nu cretino. L’esperienza fu triste, ma jémme apprièsse, sotto una pioggia fissa e scassambrèlle, quando arrivammo a Rufo ero depresso. ‘O juòrne dopo, il tempo fu migliore, ma la via fino a Bari fu la peggiore. Poi venne Egnazia1, nei pressi di Fasano, dove l’incenso, a detta di quei dessi, e del giudeo Apella, il credulone, senza appiccià se cunsumave ‘o stésse. Ereme arrivate alla fine del viaggio, ‘o luogo e la stagione ci davano coraggio, avanti a noi era il gran traguardo: Brindisium era sotto il nostro sguardo. ___________
1) Trevico è il paese più alto e più antico dell’irpinia ed è chiamato per questo "balcone dell'Irpinia". Entrò in auge in epoca longobarda. Secondo alcuni, si chiama così perché anticamente le strade per raggiungerlo erano tre, percui deriverebbe da “tres vicos” 2) Egnazia (o Gnazia) è un'antica città in Puglia,della quale oggi rimangono solo rovine. Fu centro dei Messapi posto ai confini tra la Peucezia (a nord) e la Messapia (a sud), lungo la cosiddetta soglia messapica; in lingua messapica era chiamata Gnathia, mentre dai Romani fu chiamata Egnatia o Gnatia e dai Greci ά o ά. Citata da Plinio, Strabone
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CONCLUSIO A POSTERIORI
La spedizione, tuttavia, non servì a scongiurare la nuova guerra civile, che, scoppiata più tardi, si concluse sei anni dopo, nel mare di Azio. Antonio si suicidò e, pochi giorni più tardi, Cleopatra ne seguì l'esempio La battaglia segnò il tramonto definitivo della repubblica romana, già in crisi da tempo, poiché portò, nel 27 a.C., al conferimento del titolo di Augusto ad Ottaviano ed alla fine dell'ultimo grande regno, l'Egitto, che divenne una provincia romana.
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( Sat.1,9)
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P r e me s s a Lo scenario di questa satira è una delle passeggiate più famose di Roma: la via Sacra, che parte dall'arco di Costantino ed entra nel Foro, verso l'arco di Tito. Sia in salita che in discesa, essa regala spettacoli irrinunciabili, che fanno di Roma la più bella del mondo. Ottimamente caratterizzata è la figura del seccatore, che cerca, sine pudore, di ottenere la possibilità di essere presentato al potente Mecenate. Simpatica anche la caratterizzazione dell’amico sornione, Fusco, che si rende conto dell’impaccio in cui si trova Orazio ma, divertito, evita di aiutarlo. Nelle Satire, quasi sempre Orazio contrappone un mo dello positivo, rappresentato dalla vita condotta dalla cerchia di amici di Mecenate, e un modello negativo, costituito dai vizi di una società corrotta. La critica di Orazio non arriva mai però a esiti di indignazione aggressiva, ed è invece temperata dalla bonaria ironia, come in questo caso. Vera protagonista delle Satire, è l’amicizia, come valore e sentimento contrapposto, ad esempio, al cinismo arrivista del seccatore. Egli insinua rivalità e invidie invece assenti dal circolo di Mecenate, a cui si accede esclusivamente per i propri meriti e nel quale i rapporti personali sono improntati sulla lealtà. Infine, appare netta la predilectio per la paratassi, che è preferita all’allipotassi. Né mancano espressioni proprie del parlato: Quid agis, dulcissime rerum? Cupio omnia quae vis. L’oratio recta, poi, dà realismo e vivacità al componimento.
L’autore
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Satira, I, 9" Ibam forte via sacra, sicut meus est mos, nescio quid meditans nugarum, totus in illis: accurrit quidam notus mihi nomine tantum arreptaque manu 'quid agis, dulcissime rerum?' 'suaviter, ut nunc est,' inquam 'et cupio omnia quae vis.' cum adsectaretur, 'numquid vis?' occupo. at ille 'noris nos' inquit; 'docti sumus.' hic ego 'pluris hoc' inquam 'mihi eris.' misere discedere quaerens ire modo ocius, interdum consistere, in aurem dicere nescio quid puero, cum sudor ad imos manaret talos. 'o te, Bolane, cerebri felicem' aiebam tacitus, cum quidlibet ille garriret, vicos, urbem laudaret. ut illi nil respondebam, 'misere cupis' inquit 'abire: iamdudum video; sed nil agis: usque tenebo; persequar hinc quo nunc iter est tibi.' 'nil opus est te circumagi: quendam volo visere non tibi notum; trans Tiberim longe cubat is prope Caesaris hortos.' 'nil habeo quod agam et non sum piger: usque sequar te.' demitto auriculas, ut iniquae mentis asellus, cum gravius dorso subiit onus. incipit ille: 'si bene me novi, non Viscum pluris amicum, non Varium facies; nam quis me scribere pluris aut citius possit versus? quis membra movere mollius? invideat quod et Hermogenes, ego canto.' interpellandi locus hic erat 'est tibi mater, cognati, quis te salvo est opus?' 'haud mihi quisquam. omnis conposui.' 'felices. nunc ego resto. confice; namque instat fatum mihi triste, Sabella quod puero cecinit divina mota anus urna: "hunc neque dira venena nec hosticus auferet ensis nec laterum dolor aut tussis nec tarda podagra: garrulus hunc quando consumet cumque: loquaces, si sapiat, vitet, simul atque adoleverit aetas."' ventum erat ad Vestae, quarta iam parte diei praeterita, et casu tum respondere vadato debebat, quod ni fecisset, perdere litem. 'si me amas,' inquit 'paulum hic ades.' 'inteream, si aut valeo stare aut novi civilia iura; et propero quo scis.' 'dubius sum, quid faciam', inquit, 'tene relinquam an rem.' 'me, sodes.' 'non faciam' ille, et praecedere coepit; ego, ut conten-dere durum cum victore, sequor. 'Maecenas quomodo tecum?' hinc repetit. 'paucorum hominum et mentis bene sanae.' nemo dexterius fortuna est usus. Haberes magnum adiutorem, posset qui ferre secundas, hunc hominem velles si tradere: dispeream, ni summosses omnis.' 'non isto vivimus illic, quo tu rere, modo; domus hac nec purior ulla est nec magis his aliena malis; nil mi officit, inquam, ditior hic aut est quia doctior; est locus uni cuique suus.' 'magnum narras, vix credibile.' 'atqui sic habet.' 'accendis quare cupiam magis illi proximus esse.'
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Velis tantummodo: quae tua virtus, expugnabis: et est qui vinci possit eoque difficilis aditus primos habet.' 'haud mihi dero: muneribus servos corrumpam; non, hodie si exclusus fuero, desistam; tempora quaeram, occurram in triviis, deducam. nil sine magno vita labore dedit mortalibus.' haec dum agit, ecce Fuscus Aristius occurrit, mihi carus et illum qui pulchre nosset. Consistimus. 'unde venis et quo tendis?' rogat et respondet. vellere coepi et pressare manu lentissima bracchia, nutans, distorquens oculos, ut me eriperet. male salsus ridens dissimulare; meum iecur urere bilis. 'certe nescio quid secreto velle loqui te aiebas mecum.' 'memini bene, sed meliore tempore dicam; hodie tricensima sabbata: vin tu curtis Iudaeis oppedere?' 'nulla mihi' inquam 'relligio est.' 'at mi: sum paulo infirmior, unus multorum. ignosces; alias loquar.' Huncine solem tam nigrum surrexe mihi! fugit inprobus ac me sub cultro linquit. casu venit obvius illi adversarius et 'quo tu, turpissime?' magna inclamat voce, et 'licet antestari?' ego vero oppono auriculam. rapit in ius; clamor utrimque, undique concursus. sic me servavit Apollo. Q. Horatius Flaccus
___________ Bibliografia: - Quinto Orazio Flacco, Satire, traduzione di Mario Labate,BUR,Milano, 2006. ISBN 8817123021 - Treccani, Quinto Orazio Flacco, vita ed opere
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Camminave pa’ via, piuttosto assorto, penzànne i càssi miei e altre stronzàte, quanne m’abborda ‘nu tizio scumbinàto e cerca ‘e me bloccà,’stu scustumato: - Cumme stai carissimo?26
Accumminciàje‘o mappìno e mi tallona subito, c’a faccia da latrìno. -Che casso vuoi? - gli sparo, tagliànne, ambrèsse ambrèsse; frattanto, affretto ‘o passo, trattandolo da fesso; cercàve ’e nu’ pensà, a bella posta, ora parlanne ’o servo, ora con la sosta. Ère incazzàte e suràve fino fino a giù, per Giove padre, nu’ ne putéve cchiù! Si fosse state quel pazzo di Bolano, ce l’avesse già scassato ‘o sacrestàno! Intanto, dissertava stù strunzòne, chiacchiarianne de’ vìe e da’ città, ment’io cercave sul‘e n’ascì pazze, e jéve annanz’e adderète cumm’o cazze. Me steve zitte, senza dicere ‘na parola, e me chiedeve:- Stu strùnze ma che vole?- E’ inutile ca scappe, me dicette , ie nu’ te mollo, te tenge astritte, astrìtte!Mannàggia Apollo, ma chi m’avéve ditte! -Dimme addu vaie,ca ce jàmme assieme! ‘o tièmpe o tengo te voglio accumpagnà!- Ma tu si pazze,e diciétte, nun te cunviéne: A ‘nu malate vache a visità! e sta lunàne, oltr’è terre ‘e Cesarìne…-Ce jàmme tutti e duie dal poverino!27
Allora mi rassegno e avàsce ‘e recchie cumme a ‘nu ciuccio troppe carrecàte e chille intanto regnéve ancor’a secchia sparànne frenesìe e àti strunzàte: ca era un usignolo canterino, scrivéve versi, e ròbba fin’è mùnno, della cultura un vero principino, ciavésse date cavece a zeffùnno. 28
- ‘A tiene ‘na mamma, ca t’aspetta o nu parente stritte, affezionato, ch’hanno premura della tua salute?l’addumandàie ch’’e palle azzeppulàte. -Nu tenghe cchiù a nisciuno, sacripante!, l’agge atterrati tutti,‘o campusànte!Pover’a me, ora ero fottuto! Me l’aveve ditt’ à zinghere,‘na vota: “Tu muore po’ velene ‘e ‘nu curnùte! Stai luntane da tutt’e tipe pazze, ma supprattutto, accorte ‘e cacacàzze!Arrivàti che fumm’o tempio ‘e Vesta traséveme, proprio allora, ndà sest’ora e nù spiraglio si presentò ancora: - Viéne, dicette, me vuò patrocinà ndo’ Tribunale ?‘Na causa tenghe a fa’!- O diritte civile nunn’o sacce, e me dispiace’e nu’ te putè aiutà … -Allora rinuncio a causa, te pozze mai lassà?Mi sorrideva, mostrando tutti i denti, alzai le mani e m’abbandonai agli eventi. E’ già da tiémpe ca te vuleve addumandà: - In che rapporti stai cu’ Mecenate? E’ n’omme ca se pòte arravuglià? Si m’o presiénte, cerco do aggarbulià!29
- Ma tu si pazze? Mecenate è immune! E nu’ facìmme simili bassezze! Tu solo sei fedele al nume delle lordure e delle schifezze!-Fantastico, incredibile! Or brucio ancor di più! Presèntamelle subbito ca nu’ ncia fàcce cchiù! Corromperò i servi, con mezzi e bustarelle, faremo i casi nostri e ll’àti cose belle!-
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Aristio , all’improvviso, mi spunta da lontano, ammìcco,’o facce ségne, o blocco con la mano, - Salveme a chìstu pazze, fammèlle pe’Vulcano!Ma chella faccia ‘e casso fa finta e nu’ capì me lascia ‘mmiéze ‘e guai ed io rimango llì. Fu Apollo a supportarmi, mentr’ero disperato, e risolvette ‘o fatto cu chìllu disgraziato. ‘Na voce forte esplose: - Infame, dove scappi? Andiamo in Tribunale, che t’àggia fa a fanàle!In men che non si dica, allùcchi a non finire, currètte tanta ggente, si misero ad inveire; così, in un momento, mi liberai del pazzo, del vile scocciatore, del grande rompitazze.
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Conclusio a posteriori Chiacchiere e tabbacchère mai hanno avuto pregio ed oggi, più che mai, vi è un gran dileggio di buone costumanze, rispetto e di valori, in questo nostro secolo, non hanno più colori. D’ uomini illustri ve n’è una gran penuria, ma di coglioni autentici ne girano a centuria, al buonsenso recando offesa e forte ingiuria. Buonsenso? È, oggi, una parola oscena, imprigionata, la meschina, in un cantuccio dalla politichese ostile e ciùccia, che mette tasse alla gente povera e parla, parla e confusione annovera. Intanto, si ciarla a dismisura in ogni dove, ma i fiati emessi, infin, son vil cazzate di chi, purtroppo, sine pallis è nato.
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Note biobibliogafiche: Franco Pastore, commediografo, è direttore responsabile della rivista letteraria ANTROPOS IN THE WORLD. Egli vive e lavora a Salerno. Tra le sue opere figurano: Aisopos, le favole in napoletano; Faedrus, le favole in napoletano; Amore e Mito, le più belle storie della mitologia (poesia monografica); Historae Sidera, sulle donne più famose della storia (poesia monografica); Un unico grande sogno, sulle eroine della letteratura (poesia monografica); Ercules in Magna Graecia (iconografia storica); Le problematiche dell’ adolescenza, verso la formazione. La morte di Cesare, radiocronaca in napoletano; Antonio Machado in napoletano; Fabellae per il secondo ciclo delle elementari; Le fiabe di nonna Dora; Sette storie per Pierino, per la media inferiore; San Marzano nella Pianura campana, storiografia; Amore e mito,storie della mitologia greco-latina; Pinocchio in Tribunale drammatizzazione; Il Vangelo di Matteo, estetica morale; L’Angelo di Bouchenwald; Ginevra di Artù; Escalation, sulla principessa De Leyva.
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INDICE
Q. Orazio Flacco ......................................... Premessa ..................................................... Iter brundisium ............................................. Contaminatio ...............................................
pag.5 pag.9 pag.11 pag.14
Premessa ..................................................... Ibam forte via sacra ..................................... Contaminatio ............................................... Note biobibliografiche ..................................
pag.22 pag.23 pag.26 pag.33
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Terza ristampa 21 dicembre 2013
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