FRANCO PASTORE 1 A.I.T.W. Edizioni
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due Romanzo breve di Franco Pastore
Š gennaio 2015 by Franco Pastore A.I.T.W. Edizioni
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Note critiche
Il fitto, incalzante confidenziale colloquio tra ragione e sentimento si risolve in una chiarissima vittoria delle ragioni del cuore. L’introspezione psicologica si manteca all’incanto, alla estasi, al sogno di sognare, si addensa e svapora in un altalenante rincorrersi di fermenti e fremiti interiori e di impressioni sensoriali. In un linguaggio poetico di avvitante potenza suggestiva, oltre, tanto oltre i supporti e le suggestioni tecniche, che tanto spesso depotenzia e annulla, Franco Pastore ci tracima in un mondo d’incanto, di sogno, di pene, di derelizioni, di stordenti accensioni, di tremori, bagliori, brividi, ardori, sospiri. Ci tracima oltre la terrestrità atra, insipiente, bara, prevaricatrice; ci tracima in un fascinoso viaggio, nei mondi dell’anima in quelle suggestioni ove si possono rinvenire le voci del silenzio, il sentimento del perduto, le sensibilità essenziali, l’anima segreta del mondo …” (1) “…Una sorta di dualismo, tra realtà sentita e quindi trasfigurata e quella concreta, tangibile, ma transitoria e corruttibile, motiva una trasfigurazione ricca di sentimento, che intimizza ed universalizza, come a cogliere i segreti della vita e dell’universo, “… quasi un bisogno d’eternità … attraverso un’intermittenza del cuore, in cui le parole già sembrano qualcosa di estraneo”(2). ___________
1) L. Crescibene, present.ne a Il profumo di Ermione A.I.T.W. Ediz. Sa 2014 2) A. Mirabella, present.ne al volume Aqua Electa, A.I.T.W. Ediz. Sa 2013
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Premessa Son fuochi, che si spengono nel cielo della sera, attimi di sublime nel buio, a primavera. Son scie di luce rapida, bagliori senza fine, che, nella notte bruna, baluginano alla luna. Noi pure siam meteore, che vivono per burla, che nascono, che credono di essere Fanfulla. Invece ci spegniamo, nell‟arco d‟un baleno, senza lasciare un segno, in questa altalena di vivi, che son morti, come una cantilena, dai toni sempre uguali: Ieri … oggi … domani … Solo l‟arte, alfin, rimane! (1) 1) Mετεωρίτες εμείς: noi siam meteore - Da “Ombre di sogno” di F.Pastore
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Capitolo I Cercavo disperatamente di dormire, ma non riuscivo a tenere la testa sul cuscino, forse per il lieve russare di mio figlio o per i movimenti bruschi di mia moglie, che si agitava nel sonno. Un cane abbaiò, guardai l‟ora: erano le due del mattino. Mi alzai dal letto e, come un automa, attraversai stancamente la biblioteca. Il televisore era acceso e mia figlia dormiva abbracciata al cuscino rosa; schiacciai l‟interruttore, ma non la svegliai. Come al solito, le vecchie mattonelle, presso la soglia, si mossero, con un sordo rumore. Presi le sigarette sullo scrittoio, poi mi diressi verso il balcone e l'aprii. L'aria fresca della notte mi fece rabbrividire: sembrava autunno inoltrato, eppure eravamo al venticinque giugno. Aspirai avidamente una boccata di fumo e fissai l‟asfalto della strada sottostante; un tempo, era tutta lastricata di basalto, quando, riscaldata dal sole della mia fanciullezza era percorsa dai pesanti carretti, che portavano intere famiglie di contadini in campagna. Avevo le lacrime agli occhi. Rientrai e cercai di dormire. Un suono di campane accolse il mio risveglio: era dome-nica mattina e le stanze erano sature di sole. Sempre piena di gente era la mia casa, al centro di un piccolo universo creato da mio padre, un uomo dinamico, disponibile ed incredibilmente onesto. Nessuno pagava mai niente per la sua disponibilità, ma a Natale ed a Pasqua avevamo tanta verdura che non sapevamo come smaltirla. 9
Era buona la gente del mio paese, semplice e modesta, ma sana. Quando mio padre era affacciato al balcone, tutti coloro che passavano gli davano cordiali cenni di saluto, per una sorta di rispetto, quasi dovuto. Volevo bene a quell'uomo burbero, ma spesso tenero, che per moglie e figli dimostrava un amore che ti riscaldava il cuore. E pensare che volevano farne un prete e quasi ci riuscivano se non fosse stata forte in lui la voglia di vivere diversamente. Armando, come lo chiamavo affettuosamente a novantatre anni, sarebbe diventato un ottimo prete, se non avesse dovuto osservare il voto di castità. Fu a vent'anni, che disse addio al seminario ed iniziò la lotta per la vita. Più tardi conobbe mia madre e, con lei, gettò le basi per la mia futura nascita. Quelli dovevano essere anni proprio difficili, con il lutto nelle case ed i paesi mortificati dalle macerie e dalla miseria. Si soffriva un disagio profondo, mentre una sorta di impotente rassegnazione spingeva la gente ad una vita assurda, dove il lavoro era ciò che ti permetteva di sopravvivere. In quegli anni, nel mio paesino, la vita era fatta di lunghe giornate nei campi, dove i contadini lavoravano dall'alba al tramonto e l'unico riposo veniva preso a settembre, alla festa della Addolorata. Allo spuntare dell'alba, li vedevi tutti lì, in piazza, con lunghi mutandoni e maglie vecchie, ad attendere dal caporale l'incarico della giornata. Sereni, con la barba in viso e la zappa in spalla, erano pronti a sfidare i raggi del solleone, per poche centinaia di lire ed una porzione 10
‌conobbe mia madre e, con lei, gettò le basi per la mia futura nascita.
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di pane biscottato, ammorbidito con succo di pomodoro. Di domenica, c'era la partita a carte, nell‟ l'unico bar del paese, dalle pareti annerite dal fumo e dagli scaffali semivuoti, dove faceva bella mostra di sé qualche sparuta bottiglia di “caffè sport” o di anisetta. Le campane, dal vecchio campanile della chiesetta medievale di S. Maria delle Grazie
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, diffondevano la loro voce dalle basse case del
vicolo San Giuseppe, al fiume Sarno. Era l‟unico segno di festa, che portava più gente nella piazza e le donne in chiesa. Don Cesare Quadrino, recitava la messa in latino e tutte le vecchiette lo seguivano, scimmiottandolo in una strano latinoide, tra il volgare e forme arcaiche di dialetto campano. Quanti piedi nudi sul basalto‚ che lastricava la strada principale del paese! " „O scullino" aveva una cura particolare nel pulire quei grossi lastroni che, d'estate‚ si infuocavano terribilmente e noi bambini ne sentivamo il calore attraverso la suola dei sandali ed il legno degli zoccoli. Luigi si alzava all'alba e scopava meticolosamente ogni foglia, ogni più piccola cosa, riponendola sul carrettino, che spingeva a braccia. I bambini, quelli si che erano in festa! Si rincorrevano dai cortili alla strada, facendo i giochi più antichi del mondo: la settimana, a nascondino, a strùmmolo ed a tutto ciò che la loro creatività riusciva ad inventare.(2) Di sera, quando a malapena si distingueva il contorno delle 12
case, tornavano i carretti dalle campagne, con le loro ruote cerchiate ed i muli stanchi per il faticoso lavoro dello " 'ngĂŠgno". (3) Dietro ogni carretto vi era un lume a petrolio acceso e, quasi sempre, seguiva un cane che, abbaiando, segnava l'andatura del mulo. Erano serate particolari, con la spossatezza che univa le famiglie intorno alla tavola e l'odore di minestra o di pasta e fagioli, che, per la colazione del mattino, avrebbero cambiato sapore.(4) Le ore trascorrevano lente e venivano annunciate sgraziatamente dal martelletto dell'orologio della piccola piazza, lâ€&#x;unica, dove i cani abbaiavano e si annusavano, prima di rincorrere qualche gatto grigio, per le strade buie del paese. Ci eravamo trasferiti, a quel tempo, nella casa della defunta zia Vincenza e trascorrevamo quelle ore intorno al braciere, attendendo che si indorassero le sottili fette di pancetta, che avremmo mangiato nel pane caldo. Altre volte, quando mamma ne aveva il tempo‚ ci friggeva delle gustosissime zeppole, che consumavamo a cena, ben zuccherate ed insaporite di cannella.
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1) Costruita dai principi Capece Minutolo, duchi di S. Valentino Torio, un piccolo territorio della Taurania acquistato, per sessanta ducati, dai principi Doria di Angri. 2) La settimana consisteva nel saltare con un piede solo tra sette riquadri disegnati a terra. Lo strummolo, invece, era un pezzo di legno conico appuntito, che veniva fatto girare con uno spago. 3) Lo 'ngègno era un pozzo artesiano, dove, attraverso un congegno a nastro di catòse (ter-mine dialettale di origine greca, che significa : che prende acqua dal fondo); esso serviva ad attingere acqua che, versata in una grande vasca di raccolta, serviva ad irrigare i campi. Il mulo e l'asino avevano il compito di far girare il congegno a ruota intorno del pozzo. 4) Le contadine, quando avanzava pasta e fagioli, la conservavano per il mattino successivo. La riscaldavano, insaporendola con peperoncino, e la servivano al mattino a colazione.
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La signorina De Marinis era, quasi sempre, nostra ospite e gradiva moltissimo i dolci di mia madre. Mio fratello Luigi si indispettiva tutte le volte che l'ospite tendeva la mano per gradire le leccornie del giorno e mamma era sempre in ansia, conoscendo l‟arguzia senza freno del mio fratellino. Ed una sera‚ purtroppo venne fuori una di quelle frasi che tenne, per un bel pezzo, la signorina lontana da noi: alla terza zeppola, mio fratello, con rabbia cieca, esplose:« Signurì, tenìte certi cazze 'e zanne 'mmòcche! »(1) Mia madre si fece di cento colori e mio padre, imbarazzato, cercò di riparare rimproverando mio fratello e mandandolo a letto. Io e mia sorella Rosa, non riu scendo a rimanere seri, scappammo in salotto per poter ridere liberamente. Eravamo una famiglia di tipo patriarcale che, in tutte le occasioni più importanti‚ si riuniva nella casa del nonno, un omone completamente calvo, onesto e sincero, come il vino che amava bere con moderazione. Don Ciccio, così lo chiamavano tutti, aveva i grossi baffi a punta che, quando rideva, gli solleticavano le gote. Aveva la mania di esprimersi con i proverbi: Tira più un pelo di donna che cento paia di buoi, ed ancora, la botte si risparmia quando è piena e… così via, intervallano, di tanto in tanto, qualche termine in americano, come ogni bravo ex emigrante. _______________________________
(1) Signorina, avete denti molto attivi! (come a dire:” Non ti fermi mai!”)
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Io e mia sorella Rosa, ‌ scappammo in salotto per ‌ ridere liberamente
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Il Natale era indescrivibile: si accendevano i forni per gli arrosti e le lasagne, mia madre preparava i dolci, zia Maria l'agnello ed il tacchino, zia Mariella, monaca di casa, offriva‚ per l‟occasione‚ il vino fragola. Era una gioia collettiva, che faceva impazzire tutti noi bambini. La tavolata era superba: venti e più persone che mangiavano scherzando, ridendo e divertendosi a fare piccoli dispettucci: l'acqua nel bicchiere di vino del nonno, “le coccole” lanciate a qualcuno di noi bambini, lo spago nella zeppola di zia Mariella e così via. La morte della nonna non cambiò le cose: la famiglia rimase unita ed io continuai a compiere le mie gesta in giardino, con i miei cugini ed i miei fratelli. Eravamo alla fine degli anni cinquanta e si respirava ancora un'aria di antico. I miei zii, tornati da poco dalla prigionia, parlavano talvolta della guerra e mio padre di Mussolini. La radio trasmetteva ancora canzoni degli anni quaranta e quelle voci sottili, quasi bianche, esercitavano un certo fascino sulla mia personalità di fanciullo delle scuole elementari. Non è che prestassi poi tanta attenzione ai discorsi dei grandi, ma piccoli elementi e brevi racconti mi permettevano di ricostruire, a modo mio, tutta una realtà fino ad allora sconosciuta. La credenza del nonno, sui ripiani più alti, custodiva un tesoro che eccitava enormemente la mia fantasia di bambino. Un giorno riuscii a mettervi le mani e mi riempii le tasche del giubbotto: erano proiettili assortiti, da quelli più piccoli di pistola, a quelli di fucile e Dio sa cos'altro. Per mia disav-ventura, e non solo mia, mi bagnai il giubbotto‚ 16
per un canale di acqua piovana alquanto dissestato. Mia zia Mariella, con amorevole sollecitudine, cercò di asciugarmi l'indumento sul Braciere e, nel girarlo‚ in modo che l'umido venisse a contatto con il caldo della brace‚ un numero imprecisato di proiettili finirono nel fuoco. Le urla che seguirono al primo scoppio non fermarono mia zia‚ che‚ con perfetto tempismo‚ lanciò fuori il braciere, che si spense sotto l'abbondante pioggia di quel giorno. Qualche mese più tardi, l'episodio perse tutte le caratteristiche di un dramma e tutti risero dei mutandoni bruciacchiati di mia zia e della sua accorata invocazione:- Vade retro satana!- Mi sentii un eroe punito quando, successivamente, fui costretto a seguire una lunga serie di rosari serali. Fortunatamente per me, le cose cambiarono. Crescendo, mio fratello Luigi divenne tanto discolo‚ che io passai quasi per un santo. Mi sentivo importante con il mio primo vestito nuovo, nel giorno della prima comunione. Sul muretto antistante alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, feci la mia brava fotografia ricordo ed il tutto fu solennizzato da un buon pranzetto di mia madre. A quel tempo non avevo molto appetito, ma la carne la mangiai, sia per il profumo dell'arrosto che era invitante, sia perché la mangiavamo soltanto di domenica. Mi iscrissi alla scuola media Amendola, nella vicina Sarno. Non fu facile quel triennio, con quel suo carattere fortemente disciplinare e tutto quel latino che mi mandava in pezzi il cervello. Fortunatamente, le 17
preoccupazioni affettuose del grasso e sudaticcio professore di lettere, mi fecero raggiungere felicemente il traguardo della terza media. Gli anni del boom economico, i mitici anni sessanta, segnarono la fine della famiglia patriarcale: il vento dellâ€&#x;ottimismo regalò a tutti l'illusione del benessere e mio padre vendette la sua lambretta per comprare una fiat 750. Anche le nostre condizioni economiche andavano migliorando: mio padre prendeva uno stipendio di cinquantamila lire al mese e potevamo fare quasi tutto. Mangiavamo carne ogni domenica ed iniziammo, purtroppo, i lavori di ampliamento della casa‚ che perse il suo bel balconcino a colonne e quell'armonia tipica delle case di fine ottocento. Acquistammo la lavatrice e scomparvero certi odori di liscivia che caratteriz-zavano i cortili del mio paese, dove le donne facevano il bucato ancora con il vecchio sistema della "colata" (1) ed il sapone fatto in casa con grasso e soda. Come odoravano di pulito quei panni stesi al sole: era uno spettacolo vederli ondeggiare come neve d'estate. Mi ricordavano le lenzuola di lino della nonna, tutte ricamate a mano e perfettamente stirate con il ferro a carbone . Donne che odoravano di casa, quelle di allora‚ donne che non portavano i pantaloni, ma meritavano di metterli. Esse soffrivano e gioivano, in silenzio, per le gioie e le sofferenze dei loro uomini e dei loro figli. Mio padre mi iscrisse al ginnasio, dove ritrovai i miei amici di ___________________________
(1) Dall'atto del colare la liscivia bollente sui panni da sbiancare
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infanzia: Mario ed Oreste, ai quali si aggiunsero Agostino, che chiamavamo scherzosamente “Pepetta”, Antonio Mandile, mio compagno nello sport, Gaetano Milone e tanti altri‚ che mi accompagnarono per tutti gli anni del liceo. Con i miei cugini torinesi ci vedevamo ogni anno. Veni-vano d'estate a villeggiare e mio padre organizzava allegre gite nella nostra stupenda costiera. Era una sorta di rituale che si ripeteva di volta in volta: era allora che ci mobilitavamo tutti i parenti, per offrire la migliore delle ospitalità: dormivano da mio zio Vincenzo, pranzavano da noi, cenavano a turno dai Trione e dai De Colibus. Allora, ero fidanzato con Anna, una tenera ragazzina che abitava ai Carresi, era di poco più piccola di me, ma sapeva incantarmi come la più esperta delle sirene. Bionda, alta e sottile come un tenero alberello di pesco, aveva due labbra calde e rosse come due ciliege di fine giugno. Dolce e disponibile, Anna montava sulla mia motocicletta e raggiungevamo in fretta la parte alta di Sarno, dove mi donava tutte quelle dolcezze che la gioia di vivere e l'età ci permettevano di cogliere a piene mani. Fu l'amore per una professoressa di scienze ad allontanarmi da Anna e ciò accadde più tardi, quando mio padre mi fece prendere il Diploma magistrale. La conobbi agli esami di stato e fu un autentico colpo di fulmine. Anche lei si chiamava Anna ed era una magnifica bruna, che mi iniziò alla vita ed all'amore. Era una tipica bellezza 19
napoletana, con i capelli di un nero corvino e un visino tondo, che somigliava tanto a quello di una venere greca. Fu dopo gli esami che iniziammo a vederci con una certa frequenza: io andavo, talvolta, a Napoli con la vesuviana, lei invece, con la sua macchina veniva fino a Pompei. Erano incontri, intensi e pieni di fascino, che si interruppero bruscamente, il giorno in cui fummo scoperti dai suoi parenti, che la vedevano già sposa ad un magistrato, cui era legata da qualche anno. A quei tempi, avevo una cinquecento blu di terza mano, che mi permetteva di uscire fuori dal mio paese e di tenere una larga schiera di amici, con i quali vivevo quegli anni splendidi della mia giovinezza. Eravamo alle soglie degli anni settanta e si viveva ancora discretamente, aggrappandosi ai sogni di un'epoca che prometteva cose spettacolari. Riuscivo a recuperare i soldi della benzina con qualche lezione privata ai ragazzini delle scuole medie e, nei periodi di magra, ricorrendo a mia zia Mariella. Bastavano cinquecento lire per raggiungere la periferia di Salerno, dove mi attendeva Ines, una mia compagna di università. Contro ogni mia volontà, m‟innamorai pazzamente di lei, tanto che la presentai ai miei e ci fidanzammo ufficialmente. Fu in quel tempo che la mia famiglia si trasferì a Salerno, dove mio padre aveva comprato un bell'appartamento alla Via Sorgenti, nei pressi dei parchi Persichetti. Era una zona stupenda, con la montagna di Croce alle spalle ed il mare davanti, in quel lungo tratto che forma il golfo e si va ad infrangere sulla marina di Vietri. Al mattino, i gabbiani Salivano 20
su con la brezza del mare ed al tramonto, le rondini salutavano il sole morente, con voli sempre più rapidi, tra i palazzi del rione. Salerno‚ a quel tempo‚ era una stupenda cittadina di provincia: calda, tranquilla e pulita. La mia partenza per il servizio militare offrì una parentesi di riflessione alla mia storia d‟amore, del resto, anche Ines si allontanò per un incarico di docenza, nell'istituto magistrale di Chioggia. Dopo il corso, mi trasferirono a Roma, alla Cecchignola, dove trascorsi un lungo periodo di noia profonda‚ tranne quando il mio amico Gaetano mi sorprendeva con le sue improvvisate. Andavamo a far visita a Carlo Levi, che, nonostante l‟età, riusciva sempre a sorprenderci con nuove opere o mostre interessantissime alla galleria “Il Trittico”. Dopo qualche tempo, ebbi la gradita sorpresa della presenza di mio fratello nella caserma vicina, dove era stato assegnato per il corso di allievo sottufficiale. Fu per me un grande conforto, anche perché la distanza aveva irrimediabilmente compromesso il mio rapporto con Ines. Avevamo avuto altri momenti belli lì a Chioggia, ma suc-cessivamente accaddero fatti che influirono negativamente sulla nostra intesa. Decisi così di porre fine ad un rapporto, che aveva perso tutto il fascino e l'incanto che lo caratterizzavano. Una fastidiosa bronchite asmatica mal curata, abbreviò il mio ultimo periodo di naia. Ritornai in caserma solo per ritirare un premio letterario che mi fu assegnato per una raccolta di poesie, durante una manifestazione 21
Con Gaetano ‌ Andavamo a far visita a Carlo Levi
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davvero imponente, con tutte le dodici compagnie della mia caserma schierate. Fu un generale con le stellette rosse a consegnarmelo, ma ciò che mi commosse di più fu la presenza di mio padre in tribuna.
… un premio letterario‚ che mi fu assegnato per una raccolta di poesie …
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CAPITOLO II Fu sempre mio padre a volere la mia partecipazione al concorso magistrale ed io accettai più per i tre giorni di licenza, che per amore dell' insegnamento. Pur senza avere alcuna preparazione pedagogica, avendo frequentato il liceo classico, superai‚con mia grande sorpresa‚ il concorso con il massimo dei voti, tanto che non appena congedato mi assegnarono come sede Serre, in provincia di Salerno‚ nei pressi di Persano. Eravamo nell'aprile dei 71 e non avevo la minima inten-zione di fare il maestro elementare. Dopo qualche giorno, sia per accontentare mio padre che per spirito di avventura, mi decisi a prendere servizio. Fui accolto bene. Entrai, per la prima volta in una classe. Alle undici circa‚ la bidella mi portò il caffè in una vecchia tazzina di porcellana, era buonissimo; uscì dall‟aula dopo di avermi informato che una collega‚ di Salerno‚ avrebbe avuto piacere a viaggiare con me e dividere le spese del viaggio. Le risposi che, al termine delle lezioni, mi sarei recato nella sua classe. Mentre le altre scolaresche erano già in corridoio ed i fanciulli, in fila, mordevano il freno, aprii la porta di quella terza, perfettamente convinto che il mio bussare si fosse perso in quel vortice assordante di voci, che rendeva vivo tutto l'edificio. Era un'allegra brigata, quella che urlava e saltava nei pressi della lavagna, dove era annotato in modo chiaro e lineare l'assegno per i compiti del giorno dopo. La cattedra era vuota ed il registro, ancora aperto, faceva da supporto ad una borsetta di 24
pelle nera con borchie dorate. Ad un tratto la vidi: era al centro di quel coro festante, seduta sopra una sediolina per bambini, con una gonna larga a campana che la copriva fino a metà ginocchio. Le calze nere, a rete, evidenziavano due belle gambe ben tornite. Due splendidi occhi verdi abbellivano un viso già bello, quasi sensuale, caratterizzato da due labbra carnose e ben disegnate. I capelli, di un nero corvino, completavano l'insieme. Sono il collega Pastore, le gridai, cercando di superare quella esplosione di voci. Senza alzarsi, mi porse la mano e con un lieve sorriso gridò: - Ciao! Sono Mara -. Iniziammo così a viaggiare insieme. Ed accadde quello che nessuno di noi due aveva previsto: ci innamorammo. Ci sposammo di pomeriggio, a fine anno scolastico, e partimmo per il viaggio di nozze, senza partecipare al banchetto nuziale. A Pienza, comprammo le bomboniere che avremmo poi distribuito ad amici e parenti. Tutto sembrava procedere nel migliore dei modi, quando fui costretto a rientrare a Salerno per l'improvvisa malattia di mia madre e successivamente di mia sorella. Quest'ultima si riprese piuttosto in fretta, ma per mamma lottammo per cinque anni. Nel contempo, il rapporto con mia moglie divenne sempre più critico e, quando si delinearono situazioni più grandi di me‚ tutto naufragò dolorosamente. Il divorzio sembrò una buona soluzione al problema: riportare le cose allo stato iniziale, poteva essere paragonato all‟operazione che si 25
compie su di un computer quando lo si resetta per eliminare una modifica o un errore improvviso . Fu così che, nell‟estate del 1983 mi ritrovai da solo in quello stesso piccolo paese di provincia dove ero nato‚ con l‟ingrato compito di ridisegnare la mia vita e crescere i due bambini nati dal mio poco felice matrimonio. Furono anni di duro lavoro che, alle soglie degli anni novanta, mi videro ristrutturare la casa paterna e ricostruire una nuova situazione economica e familiare. I miei figli erano ormai grandicelli, quando mi concessi di modificare la mia condizione di ragazzo padre. Il caso mi venne incontro con una lezione privata, richie-stami da una signorina che aveva bisogno di ripetizioni di italiano e filosofia; fu così che studiando ed insegnando mi ritrovai con una nuova compagna. Non avevo affatto l‟intenzione di ripropormi come marito, la prima esperienza era bastata, ma la tenacia della ragazza e lo zampino della sorte, fe-cero si che ai miei due figli se ne aggiunse un terzo di nome Cid, perché a quel tempo subivo il fascino della letteratura spagnola del XII secolo. In questa nuova condizione, cercai di ripristinare quei rapporti affettivi che avevano riempito il mio universo di fanciullo; incominciai così a frequentare zii, cugini, amici d‟infanzia ed ex compagni di scuola, in un contesto fatto di piccoli impegni sociali e di simpatiche cene, incontri per compleanni, onomastici ed altro.
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‌ aveva bisogno di ripetizioni di italiano e filosofia‌
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Fu durante uno di questi pranzi che accadde qualcosa che non avrei mai più dimenticato. La sala da pranzo rintronava di voci generose, che, nel giardino attiguo giungevano come un fastidioso e caotico frastuono. Il forte accento sarnese(1) di Alfredo, il marito di mia cugina indispettiva mio zio, che si chiamava allo stesso modo. Mia moglie Angela sembrava perfettamente a suo agio, in quella miscellanea di dialetti e discorsi ad alta voce. Annamaria‚ mia cugina, lanciava significative occhiate al marito, che aveva intrecciato un pericolosa relazione con il boccale di vino, mentre mia zia gradiva, con soddisfazione, tutto quel ben di dio che avevano preparato in grande abbondanza. Eravamo oramai al dolce, quando mi venne l‟idea di sublimare quella celebrazione con un tocco finale: burlarci della superstizione dei parenti limitrofi con un falso rito satanico. - Perché non prepariamo una “ fattura” per i nostri amati parenti? - Ma che bella idea! – disse subito mia cugina Dora. Mia zia‚ che era una sempliciona‚ incominciò già a ridere ‚ al solo immaginare le reazioni‚ che avrebbero avuto le quattro sorelle Vastola‚ al nostro macabro scherzo. Mio zio non sembrava troppo convinto della cosa‚ anche perché aveva un una sorta di rifiuto per ogni forma di superstizione e non era il solo
1) Sarnese, della città di Sarno, a due km da S. Valentino ed a quattro km da Nocera Inf., nell’agro nocerino-sarnese, in provincia di Salerno.
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ma, per non guastare il movi-mento che si era venuto a creare intorno alla cosa‚ acconsentì. Si misero tutti in movimento. Mia zia prese un pezzo di stoffa‚ Annamaria procurò degli spilli e Dora‚ l‟ultima delle mie cu-gine‚ un nastro nero. Da parte mia feci lavorare la fantasia e venne fuori una sorta di bambola rudimentale‚ alla quale disegnai occhi e bocca. Gli spilli li infilai un po‟ dovunque. Per rendere più verosimile la “ fattura”‚ sull‟orlo della veste disegnai le iniziali del “fatturati” ed iniziai con una bella “M”‚ iniziale di Maria‚ che‚ tra l‟altro‚ era anche il nome di mia zia. Alfredo‚ il marito di Dora‚ si incaricò di lanciare nel giardino dei nostri superstiziosi parenti la “fattura”. Continuammo il pranzo mangiando il dolce e concludem-mo con un buon caffè, ripromettendoci di ripetere quell‟in-contro mangereccio di li a qualche mese. Due sere dopo‚ il marito di mia cugina mi comunicava ri-dendo di aver effettivamente lanciato la bambolina di pezza nel giardino dei parenti‚ ma che non aveva notato nessuna rea-zione. « Avranno capito che era un nostro scherzo », risposi tranquillamente. Passò tutta la settimana e decisi di trascorrere quella domenica in città‚ presso i miei parenti di Salerno e così feci. In serata‚ ci mettemmo in macchina e facemmo ritorno al paese. Dalla piazza premei il telecomando‚ così potei entrare facilmente in garage‚ senza problemi di traffico. Avevo appena spento il motore‚ quando vidi mia cugina Dora che correva verso di me piangendo: 29
-Franco, corri, mia mamma sta male! – -Chiudi tu il garage – dissi ad Angela Corremmo al capezzale di mia zia. - Zia, zia Maria! - la chiamai scotendola: era in pre-coma. Chiamammo la guardia medica e ci confermarono la gravità del malore. Attivammo rapidamente il trasporto al pronto soccorso, dove i medici diagnosticarono emorragia cerebrale. Per tutta la notte, mia zia lottò contro la morte ed al mattino sembrò che ce l‟avesse fatta, tanto che scherzò con mio zio dicendo: - Potevo morire! Non ti avevo nemmeno salutato! - Si baciarono. La giornata era splendida ed il sole alimentava l‟ottimismo. Portai a casa mio zio, con la certezza che tutto era ormai superato. Purtroppo la notte successiva, mia zia si spense. Al mattino, entrò nel portone di casa il suo cadavere. Mio zio era su e sapeva che di li a poco sarebbe arrivata sua moglie, l‟attendeva, come lei aveva atteso lui per tutta la vita. Il suo corpo era in mezzo al giardino, sopra una vecchia sedia di legno. La testa, reclinata all‟indietro‚ mostrava i grandi occhi chiusi e la bocca aperta, mentre le braccia pendevano lungo il corpo che già incominciava ad irrigidirsi. Indossava il medesimo vestito della domenica precedente, quello che l‟aveva vista allegra e di buon appetito. Mio zio‚ dalle scale‚ chiamava: - Marì! - e la voce era tra la preghiera ed il pianto. 30
Potevo morire! Non ti avevo nemmeno salutato!
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Noi stavamo cercando di organizzarci per trasportala su‚ attraverso la rampa di scale‚ piuttosto appesa. Era un donnone mia zia, alta e ben messa ed ora costituiva un grosso problema. -Marì!- implorava mio zio – Femmena mia! –
e
la sua voce si
amplificava nella tromba delle scale‚ assumendo toni dramma-tici. La prendemmo. Io presi il lato posteriore della sedia e Bernardo‚ il marito di mia cugina Annamaria‚ quello anteriore. Ci avviammo, attraversammo il giardino ed arrivammo alle scale. Iniziammo a salire. Il macabro corteo procedeva lenta-mente, mente il cadavere muoveva braccia e testa. La mia spina dorsale fece uno strano rumore, ma non potevo fermarmi: lacrime e dolore mi accompagnarono fino alla sommità. Mio zio, sul ballatoio, sembrava impazzire‚ come in un incubo ad occhi aperti: -Femmena mia! - E‟ morta Maria mia?- mi chiese, non risposi e continuai, mentre il povero vecchio inconsapevolmente stava compiendo una danza macabra. Pensai al peggio. -„A femmena mia!- ripeteva continuamente, finché non adagiammo sul pavimento del ballatoio la sedia con mia zia morta. A questo punto, mio zio si inginocchiò e poggiò la testa in grembo alla moglie, le abbracciò le gambe e pianse senza lacrime, come un bambino impazzito. In quel momento, capì di essere rimasto solo, ci guardò, guardò la moglie e chiuse con il mondo e la vita. 32
Capitolo III Al centro del lungo caseggiato, dove risiedevano i tre fratelli Pastore, vivevano i parenti ai quali avevamo fatto lo scherzo della “fattura”. Erano i figli di zio Aniello, fratello di nonna Rosa e fiero nemico di nonno Francesco. I Vastola erano persone particolari, per nulla integrate nella società degli uomini, con un profondo disgusto per i propri simili, che cercavano a tutti i costi di tenere a distanza. Guai a chi minacciava i loro confini o varcava il muro del loro giardino, dove solo i topi avevano libero accesso ed i commercianti di cachi nelle più brevi giornate d‟ottobre. Il portone di casa era sempre sbarrato, come le spesse porte di un fortino, sorvegliato dall‟alto da Luciano, l‟uomo di casa, il re incontrastato di quel piccolo reame. Ogni giovedì, nel giorno del mercato, perché nessuno s‟accorgesse della loro assenza, scalavano il muro del giardino, raggiungendo la vicina Sarno, tagliando per la campagna, tra la terra di Peppe „o Cirillo e la masseria dei „Ndriòni. A sera, una sola lampadina di quindici watt illuminava malamente le scale e l‟ampio androne, mentre in casa bastava la luce di una candela; del resto anche la cena era frugale: mezzo bocconcino al capofamiglia ed una buona porzione di patate lesse all‟insalata, possibilmente con 33
qualche sparuta goccia di olio, ma il sale, almeno quello, era a sufficienza. «Papà soleva dire che le patate fanno pure da pane …» com-mentava Luciano, senza minimamente scomporsi, continuando con esempi significativi di risparmio e concludendo che, in ultimo, la mamma era solita bollire la bottiglia, per sfruttare l‟olio attaccato alle sue pareti. Solo Lucia aveva sposato un possidente di Battipaglia, ma alla fine era ritornata in famiglia, dove aveva atteso la morte sopra una sedia a rotelle. Anche Nannina era stata sposata, ma, rimasta vedova, era ritornata in famiglia, dove si adoperava per le esigenze di tutti. Era lei che accudiva il fratello, curava il giardino e cucinava per tutti. Maria, invece era l‟artista della casa; dedita al ricamo ed al canto, si esibiva nel coro della chiesetta del paese. Troppo seria per desiderare l‟amore e troppo timida persino per sognarlo, era sfiorita così, attendendo la fine della vita, tra un canto domenicale e un lamento funebre, dietro l‟organo della chiesa dell‟Addolorata. Quando oramai credeva di doversi rassegnare, ecco che va in sposa ad una brava persona, un lavoratore della terra, che tutti chiamavano il “Petrangolo”, per la mania di delimitare la propria terra con angoli di pietra. Dopo qualche anno di felice convivenza, anche Maria rimase vedova e ritornò, sconsolata, nella casa paterna, a lavorare d‟uncinetto ed a cantare in chiesa nelle funzioni domenicali. 34
Fu proprio in chiesa, una domenica, che si accasciò a terra e diede addio alla vita. Aveva finalmente raggiunto il Petrangolo e sembrava quasi sorridesse quando la presero e la portarono a casa per la veglia funebre. Le compagne cantarono e piansero per lei, mentre don Cesare, nell‟omelia, ne lodò la voce da soprano e la serietà nell‟impegno canoro.
Maria, invece era l’artista della casa; dedita al ricamo ed al canto…
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Erano rimasti in tre, ma si continuava a risparmiare ed a vivere nel riserbo. Alle otto di sera, veniva spenta pure la tenue luce delle scale, di modo che, dall‟esterno, era impossibile capire se la casa fosse o meno abitata. Una sola cosa rimaneva sostanzialmente attiva: l‟odio per i nemici di papà, quello che era iniziato con zio Aniello, geloso di don Ciccio Pastore, imprenditore di successo e padrone di una cava di materiali da costruzione. Il problema, invece, era un altro: zio Aniello, avaro com‟era, alzava un palazzo con una sola sacchetta di calce, per cui le sue costruzioni non avevano la forza di resistere al tempo ed all‟usura, ecco perché nessuno si fidava tanto da servirsi della sua opera. Di qui un odio generazionale che durava dai primi anni del novecento, che era addirittura sfociato in un tentativo di omicidio. Una sera di giugno, sul Largo Trinciale, qualcuno cercò di accoltellare di spalle nonno Ciccio, nel mentre che attendeva di parlare con un suo cliente. Un tentativo maldestro nel buio, ma quel pezzo d‟uomo si era liberato facilmente del vile attentatore, che si era rapidamente dileguato nell‟oscurità. Sicuramente, dietro vi era la mano di zio Aniello, invidioso del successo del cognato. Nemmeno la morte dei due pose fine all‟odio; i figli continuarono a nutrire quel sentimento obbrobrioso, come fosse un giuramento in punto di morte, o un fatto testamentario. 36
Comunque, negli anni novanta, anche Nannina rende la sua bella anima a Dio. Tutto avvenne per il morso di un topo, considerato con estrema superficialità, finché non divenne una piaga cancrenosa, che la condusse alla morte. La presero nei pressi del portone di casa, dove era crollata, mentre tornava dalla bottega di Sisina, con tra le mani la busta con un bocconcino e quaranta grammi di olive. Dovettero fasciarle la gamba due volte durante la veglia funebre: decine di vermi le uscirono dal ginocchio, e se ne andarono a spasso per il letto, con gran disgusto dei presenti. - Sono le maledizioni dei nemici di papà!- commentò Amalia, l‟ultima delle sorelle. Fu così che decisero di donare tutto alla Chiesa, affinché nulla potesse andare ai Pastore, con piena soddisfazione di don Gaetano, il grasso successore di don Cesare. Rimasti in due, Luciano ed Amalia si chiusero ancor più nella solitudine, d'altronde, non volevano l‟aiuto di nessun parente ed andarono avanti così finché, una brutta mattina, Luciano non rispose al richiamo di Amalia, che stette a guardarlo per due giorni interi. All‟indomani, due donne dell‟azione cattolica, prepararono la salma per i funerali, coprendo con una camicia nuova il misero corpo di Luciano, letteralmente divorato dai pidocchi. La salma attraversò il paese senza che nessuno l‟accompagnasse, nemmeno Amalia, troppo addolorata e stanca per raggiungere a piedi la 37
chiesa. Oggi, quando la gente passa davanti al vecchio portone dell‟abitazione, affretta il passo, come se avesse paura d‟incontrare un fantasma. Qualcuno ancora guarda su, verso i balconi, ma non vi è più nessuno che può affacciarsi: Amalia è chiusa in un ospizio per anziani e continua a gridare all‟aria, dalla finestra della sua cameretta: « Maledetti, maledetti … maledetti i nemici di papà!».
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Capitolo IV Dopo la morte della moglie, zio Alfredo si lasciò andare, come se la vita per lui si fosse conclusa. Divenne sempre più silenzioso e, quando nemmeno le gambe lo sorressero più, non disse più una parola. Morì in silenzio, spegnendosi nel vicino ospedale di Sarno. Lo portarono a xasa ancora caldo, e fui io a chiudergli gli occhi,tra il pianto delle due figlie e la rabbia del genero, che avrebbe voluto gestire lui le operazioni che precedettero i funerali. Con la morte di zia Alfredo, si concluse l‟iter terreno dei fratelli pastore, una grande risorsa per la famiglie ed il paese, se non vj fosse stato la parentesi fascista e la catastrofe del secondo conflitto mondiale. Zio Cesare, braccio destro del nonno, condivideva con lui le difficoltà di un grossa impresa di costruzioni, con decine di operai, organizzati in sette squadre. Mentre il nonno curava i rapporti con i Montefusco ed il barone Formosa, quest‟ultimo mio compare di battesimo, Zio Cesare operava su siti avellinesi e napoletani. Mio nonno, cercava di lasciare al cognato Aniello Vastola, il paese e le zone limitrofe, non avendo quest‟ultimo la possibilità di accedere ai lavori su larga scala, o troppo impegnativi. Del resto, non aveva nemmeno una buona fama, dal momento che cercava di truffare, risparmiando pure sulla calce. La proprietà del “fosso”, poi, una cava generosa di lapilli e pozzolana, permetteva una certa rapidità di esecuzione dei lavori ed il prestigio di un grosso movimento di carrettieri, che, notte e giorno, facevano 39
28 giugno 1936 Zio Cesare operava su siti avellinesi e napoletani‌
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la spola tra la cava ed i siti delle costruzioni. Fu la guerra a distruggere il futuro di Cesare, che perse gli anni migliori in un campo di prigionia. La sua bella fidanzata, credendolo morto si fece monaca ed anche sua madre, mia nonna, morì di crepacuore. Mio padre si salvò, perché studiava in seminario e, quando ne uscì, i giochi erano già fatti. Rimase l‟unico sostegno dei nonni, vivendo nell‟agro quei tempi assurdi, di sacrifici e privazioni. Avendo studiato, ed essendo un insegnante, il partito gli impose il ruolo di formatore all‟in terno della GIL e, verso la fini dell‟era fascista, arrivò a ricoprire il ruolo di segretario politico. Ma fu per poco tempo, la caduta del fascismo pose fine al suo incarico; né vi furono conseguenze, data l‟onestà caratteriale che lo contraddistingueva. L‟incontro con mamma, fu la cosa più bella che gli potesse capitare. Si amarono per tutta la vita, trasmettendo a me, Rosa e Gino, l‟importanza dell‟amore, quello vero, che nasce all‟ombra delle rinunce e dei sacrifici. Eravamo ricchi di valori e sentimenti; fermamente convinti che solo lo studio e l‟impegno ci avrebbe condotti al successo. Una lunga vita insieme dunque, per tanti lunghi anni, finché la forte fibra di mio padre non cedette, alla rispettabile età di novantacinque anni. Il ricovero in Ospedale fu una conseguenza della sua irrequietezza: 41
“L’incontro con mamma, fu la cosa più bella che gli potesse capitare.”
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si strappò dalla vena la bocchetta di un lavaggio e si dissanguò durante la notte. Furono questi i preliminari della sua dipartita. Se ne stava per i casi suoi, nell‟attesa paziente della sua ora, godendosi qualche infermiera decente e le carezze di noi figli, che speravamo ancora di riportarlo a casa per il novantacinquesimo compleanno. L‟unica cosa che forse lo rammaricava era di non avere con lui la Gerardina, con le sue chiappe dure ed il sorriso di Sisina, una simpatica contadinotta dell‟agro, che sapeva ben soddisfare le sue esuberanze giovanili. Non è che Maria, l‟ostetrica paganese, non sapesse fare all‟amore, ma non aveva estro e pensava esclusivamente al suo piacere. Tanina, invece, una splendida trentenne Di San Valentino, sapeva come accenderlo: misteriosa e graffiante, giocava con i suoi capelli biondi, alitandogli nell‟orecchio, come una gattina in amore. Ma la più spregiudicata era una brunetta senza scrupoli, che corre-va dietro tutti i pantaloni del quartiere. Olga, poi, era la “Maddalena” della situazione, per lei ogni occasione era buona per “festeggiare” alla sua maniera. Giannina era una bambola tascabile, bruna, delicata e piccolina, sospirava come Giulietta da Rimini, davanti al suo Romeo. La sua vocina era tutta un fremito, quando andava a prendere il piacere, nel folto giardino di mio nonno, profumato d‟aranci e biancospini. Ma ecco l‟infermiera che ritorna, per la flebo: -
Eccolo qua, il mio simpaticone! -
-
Cosa posso fare per voi? 43
-
Qualcosa potrebbe … - le dice maliziosamente il mio vecchio e
stende la mano come se dovesse poggiarvi sopra qualcosa. L‟infermiera non raccoglie la provocazione e si adopera a sostituire la flebo vuota. Gli sorrido, mentre che chiude gli occhi e si appisola. Entra il cappellano , con la barba ed il sorriso buono di Padre Pio. Lo fissa, ha già capito che se ne sta andando e si avvicina: -
Preghiamo tutti per il nostro caro fratello Armando! - iniziamo a
pregare, mentre che mi viene da piangere. Abbasso le palpebre e pregando, raccomando la sua anima a Dio. Vorrei dirgli che è stato un buon padre, ma, proprio quando sto per aprir bocca, mi chiede di Gerardina. Erano sette anni che la donna si occupava di lui; fu mia sorella a chiamarla come collaboratrice domestica e lentamente, giorno dopo giorno, si era insinuata nella sua vecchiaia, divenendo dispensabile. Per un suo sorriso, un suo tenero atteggiamento, accettava ogni cosa, dal bagno alla tenera carezza delle sue mani, nella pratica quotidiana delle pulizie intime. Ed è stata questa intimità a cementare un legame così forte. - Questa volta non ce la faccio …!- mi sussurrò ed io lo baciai sul capo. Arrivò mia sorella con mamma che subito lo carezzò baciandolo. - Sei venuta, finalmente!- le disse in un soffio. - Vieni coricati con me!- le ingiunse. - Non posso, siamo in ospedale!- cercò di convincerlo mamma. 44
- Ma sei mia moglie! – obiettò mio padre, senza successo;
allora le
bacio la mano, come per dirle: - Grazie per il bene che mi hai voluto!- e gliela bacio ancora e, questa volta, come per dirle addio. Ecco, l‟orario di visita era finito, mamma gli lancia un‟occhiata dalla porta, un ultimo sguardo, con gli occhi umidi di pianto. Se ne vanno convinti che torneranno ancora; è consuetudine di tutti gli uomini pensare che le situazioni durino all‟infinito. Invece,. Fu quella l‟ultima notte in ospedale di mio padre. Lentamente, compaiono le prime luci dell‟alba, mio padre muove le mani nel vuoto e sorride in delirio. Arriva Gerardina e pur in quelle condizioni il mio vecchio è contento, sicuramente voleva salutare pure lei, prima di intraprendere l‟ultimo viaggio. Gli occhi incominciano a storcersi, prima di chiudersi per sempre. Gino corre nel corridoio alla ricerca di un medico. Quando arriva il medico, il mio vecchio è gia andato. Gerardina adagia delicatamente il suo capo sul cuscino, mentre fuori il sole è già alto. Prendo il suo viso tra le mani e, balbettando, sussurro: - Addio papà!-.
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Capitolo V Avevo imparato la lezione. La vita è breve e va goduta con pienezza. Fu così che cercai di passare la maggior pare del mio tempo libero con la mia famiglia e soprattutto con mamma, godendo delle sue piccole soddisfazioni. Fu una scelta ottima la la mia e, forse, furono quelle le ultime briciole di contentezza, che mi furono concesse. Se dovessi dare ora una definizione della vita, penso che mi troverei in grosse difficoltà e mi perderei tra congetture filosofiche, che non renderebbero con pienezza tutto il turbinio di sentimenti e di sensazioni, che turbano il mio animo, devastandolo. Certamente, il mio amico Flavio troverebbe una qualche saggia corrispondenza nel Libro dei libri, dove la parola del buon Dio, nutrendo la nostra fede, incanala gli avvenimenti in una necessità superiore, che muove i fili del tempo, per il trionfo finale del bene. Comunque, in questo momento non so più dove conduce la strada della vita e se è veramente tale, visto che la fine macina uomini e sentimenti, vanifica eventi, culture e radici, creando e distruggendo sogni, in un mondo dove tutto è sabbia che si disperde nel vortice eterno del non essere. Allora, perché scrivere? A cosa serve, se alla fine della nostra strada vi è il nulla? Non riesco a dare una risposta in questo momento, ma non è detto che non ne trovi una, prima che finisca l‟ultimo rigo. Arrivammo in ospedale che piovigginava, ma parcheggiai con calma proprio sotto l‟albero del pepe, in direzione dell‟ingresso princi46
pale. Un infermiere fumava e parlava animatamente con un metronotte, mentre camminavo con mamma, sostenendola per il braccio sinistro. Pochi metri e fummo riparati dalla pensilina circolare, che proteggeva la porta sulle scale e l‟ampio ingresso. Un forte odore di caffè veniva dal piccolo bar, tra l‟albero della vita e la reception. Trovammo disponibile l‟ascensore e salimmo al secondo piano, dove gli infermieri avevano dato il via al riassetto delle stanze, con il cambio delle lenzuola. Il pavimento del corridoio risplendeva e noi ci dirigevamo lentamente verso la postazione della caposala. Suor Teresa, che, negli anni novanta, aveva frequentato uno dei miei corsi di psicologia di gruppo, uscì dalla medicheria e ci venne incontro, con un magnifico sorriso. Prese mamma sotto braccio e la condusse in camera per la preparazione pre-operatoria. Il risveglio post-intervento fu tremendo: mamma gridò il suo dolore e la pena dipinse di grigio le vecchie pareti della stanza, rimessa a nuovo. Non si prevedeva quello strazio, così come non si sarebbe mai pensato ad un cancro. Fu il chirurgo a dirci che a mamma restavano due mesi di vita. Sono già due mesi che stiamo combattendo e sembra che il male sia più veloce della mia penna. Domani, 12 ottobre, è il mio ultimo compleanno con lei. Dove sei Tu Dio di Abramo!
Non sono ancora pronto a perderla,
povera donna! Solo ora mi accorgo che tiene i fili della mia stessa vita. Il dolore è immenso come l‟infinito: sembra quasi che il cuore si stia frantumando ad ogni suo gemito, ad ogni suo sospiro. 47
Un sommesso sussurro di preghiera, risuonava, tra le pareti della stanza angusta, come se la voce facesse fatica ad uscire, mentre la luce del giorno si spegneva, oltre le tendine della finestra. Aveva già parlato tutta la notte, in un continuo delirio tra realtà e sogno, tra passato e presente, mentre le immagini si susseguivano a volte nitide, spesso nebulose e sfuggenti. Sembrava che il cervello le schizzasse fuori dal cranio, mentre un‟ansia di pace prendeva il sopravvento sulla speranza e la lotta per la vita. Perché tutta quella sofferenza? Il fine mi sfuggiva. Forse che una vita sana e modesta, vissuta in punta dei piedi, senza chiedere nulla al di là del semplice e del raggiungibile, non bastava? Domande senza risposte, che si perdono nei vuoti concetti di destino, di volontà divina e chissà cos‟altro. Il quattro novembre, mamma aveva superato i due mesi dall‟intervento e speravamo fortemente che avrebbe trascorso con noi il Natale, anche se le sue condizioni erano rapidamente crollate: quasi non mangiava più e non era più autosufficiente. Eppure, appena dieci giorni prima aveva ricevuto una targa per le sue raccolte di poesia ed aveva registrato le canzoni degli anni trenta, cantandole con un filino di voce. Il 14 novembre, la fine. Alle otto del mattino, il trillo del telefono mi strappò al torpore mattutino. Una stana agitazione mi aveva preso per tutta la notte, sicché non mi attendevo nulla di buono. - Franco, vieni, mamma sta male … - disse mia sorella. Temei il peggio. 48
- Come stanno le cose !- le chiesi rapidamente, mentre il cuore batteva all‟impazzata. - Ha rimesso, per tutta la notte ed è esausta … Venti minuti dopo vidi quello che restava di mia madre: un mucchietto di ossa ed un viso disfatto- Ciao mamma!- dissi commosso, mentre cercava di sorridermi senza riuscirvi. - Sto male!- mi sussurrò sbiascicando, mentre mi chinavo a baciarla. Il freddo sudore della morte le bagnava la fronte. Si stava preparando per l‟estremo viaggio ed ancora rispondeva ai miei baci, come a farmi coraggio. Quando entrò il medico di base e cercò di rincuorarla con frasi di circostanza, non gli diede troppa importanza. Chiamai l‟equipe della terapia del dolore e mamma fu contenta di essere curata fino alla fine. Giunsero altri parenti, per essere vicini a mia sorella affranta. Eravamo in troppi in quella, che era diventata un luogo di passione. Alle sedici, il mio amico Flavio venne a portar conforto e mamma sorrise: - Don Flaviano, buongiorno!- gli sussurrò, aprendo appena gli occhi. - Cara signora, vi ho portato l‟Unzione degli ammalati, siete contenta?disse il sacerdote, salutandola con il consueto affetto. - Si, si!...- disse mamma ed incominciò a pregare, con grande serenità. Tutti partecipammo al sacramento, facendoci il segno della Croce. Alle diciassette, il mio amico andò via, promettendomi che sarebbe ritornato in serata. Mamma lo salutò come chi si accinge a partire per un 49
Ciao mamma!- dissi commosso, mentre cercava di sorridermi senza riuscirvi‌�
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lungo viaggio. - Non ti vedo – sussurrò ad un tratto, ed il cuore incominciò a batterle all‟impazzata. Le misi gli occhiali. Mi chiese di essere alzata e cercai di sostenerla, sollevandola dai cuscini. Gli occhi le divennero vitrei e pensai che fosse finita, ma si riprese nuovamente, mentre il cuore aumentò la frequenza dei battiti, come se volesse uscire dal petto. Una scena terribile, che si ripetè altre tre volte, finchè, alle diciotto circa, non si adagiò stremata. - Coraggio mamma! – le gridai piangendo, mentre iniziò a distendesi, senza più fame di aria. Pensai ad un momento culminante che dovesse ancora venire ed invece, lentamente, il cuore rallentò la sua corsa e mamma abbandonò la lotta per la vita. Non la chiamai, per paura di risvegliarla al dolore ed iniziai a carezzarla con dolcezza, mentre i miei singhiozzi divennero una ninna nanna che l‟accompagnò fino all‟ultimo battito. Allora, calai il viso su quel ventre che m‟aveva dato la vita e piansi come un bambino disperato. Guardai Rosa e Gino, erano smarriti come me, distrutti dal medesimo immenso dolore. All‟indomani, dopo i funerali, accompagnammo mamma al camposanto e la lasciammo lì, nel suo sudario. Fu quella stessa notte che scrissi: - T‟ho lasciata sola nel sudario. Stanotte, al buio, non aver paura! Io ne avrò domani, quando correrò da te e tu non ci sarai, quando vorrò sentire la tua voce 51
e la mia disperazione si perderĂ nel pianto. Ritorneranno vuote le mie braccia al petto squassato dal dolore, alla ricerca di un poco di calore, nella fredda stagione della mia vita. -
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Capitolo VI Ripresi il lavoro con la forza della disperazione, avevo bisogno di distrarmi, tanto più che dovevo portare agli esami di stato i miei alunni di quinta e l‟italiano, si sa, era determinante sia per i risultati, che per il voto d‟esame. Avevo appena superato il casello di Nocera inferiore e mi accingevo ad attraversare la breve galleria, che si apriva, come una grande finestra, sulla pianura circumvesuviana, con i grossi centri di Scafati e Pompei. A quell‟ora del mattino, l‟aria era pungente, ma non tanto da impedire ai raggi del sole di ottobre, di ricreare la magica atmosfera dell‟estate, lì su quel nastro d‟asfalto, tra i lunghi filari di noci e la campagna, che odorava di vendemmia. Dovevo essere a scuola alle otto e dieci, ma cercavo sempre di anticiparmi, non per aprire con i bidelli i cancelli dell‟Istituto, ma per il caffé della signora Rosa, la cui fragranza si sentiva fin dalla presidenza. Sarebbe stata un giornata lavorativa leggera, con due ora d‟italiano in quinta ed un‟ora di storia in seconda. Mi preparai ad imboccare l‟uscita per Angri; il Ragioneria si trovava ad appena quattrocento metri dal casello ed ero in orario. Girai a sinistra, come tutte le mattine, e mi ritrovai sul lungo rettilineo che portava alla traversa di via Cuparella e, per un breve attimo, rimasi abbagliato dal sole, che illuminava fortemente quel lungo corridoio, tra vetusti palazzi e porticati secolari, che si aprivano ai giardini abbandonati ed alla montagna. Solo un attimo e fu come se avessi girato a ritroso le pagine di un libro già letto. Stavo guidando la mia vecchia cinquecento blu e mi trovavo sul lungo rettilineo, che dal bivio di San Valentino mi porta53
va a Sarno. Incredibile, stavo andando a scuola, ma al mio vecchio Liceo “Tito Lucrezio Caro”. Parcheggiai la macchina al rettifilo ed andai al bar di Pallino a prendere il caffè. Mi avviai verso l‟istituto e fui subito raggiunto da Mario, il mio amico d‟infanzia, che iniziò a parlarmi di Mariella e che dopo l‟università l‟avrebbe sposata e tante altre cose, mentre sapevo benissimo che avrebbe lasciato l‟università ed avrebbe sposato Sandra, la figlia del macellaio. Dalla finesta della seconda A, Anna mi salutava agitando le braccia; le risposi con un cenno goffo: non mi ci ritrovavo più ad essere un diciannovenne di terza liceo. Passammo davanti al busto di Lucrezio ed attraversammo i pesanti cancelli di ferro battuto, dove ancora era visibile il fascio del ventennio, e ricordai che anche quelli avrebbero sostituito con un cancelletto ridicolo, in un‟assurda lotta ai simboli di una certa storia. Salvatore il bidello, col suo accento sarnese, ci esortò ad affrettare l‟entrata, altrimenti avrebbe chiuso il portone e ci avviammo per le scale che, dalla guardiola, portavano al primo piano del liceo. Passammo davanti alla presidenza ed eccoli lì i due corridoi ad elle: avanti a me era il corso B, con il bravo professor Crescitelli e l‟ottimo professore Fezza, che sarebbe morto quell‟anno in un brutto incidente automobilistico. La segreteria, che guardava il corso A, era aperta ed il segretario Mandile, papà di un mio compagno di classe, era già alla sua scrivania. Al centro del lungo corridoio era la mia classe, ma non entrai subito. Anna, la mia deliziosa fidanzatina, quella che parlava con le parole delle canzoni, mi chiamava da dietro il corridoio che dai bagni portava alle terrazze. La raggiunsi. Mi buttò le braccia al collo e teneramente mi baciò. Quando si staccò da me, aveva uno sguardo trasognato, forse avevo dimostrato troppa esperienza nel rispondere alla sua affettuosità. Mi mise in mano 54
un bigliettino e stava per scappare via, quando alle nostre spalle tuonò una voce ben nota: - Vada in classe, signorina!Era il preside, il Prof. Guido Casalino, che era stato il nostro professore di filosofia, in prima liceo. - Tu, giovanotto, seguimi in presidenza!Non ebbi il coraggio di sbiascicar parola, avrei voluto dirgli che di li a qualche anno avrei insegnato al Galizia di Nocera Inferiore, la sua ultima sede e che ci saremmo salutati con le lacrime agli occhi, ma non potei far altro che annuire e mi accinsi a seguirlo, come una vittima sacrificale, o un capro euripideo, conscio del suo destino. - Sei poco serio e poco furbo, certe cose si fanno fuori della scuola, dove non vi è un preside che ti può sorprendere!- Non facevamo nulla di male, signor preside, un piccolo bacio e null‟altro!- sbiascicai malamente per discolparmi, ma quello infuriò: - E ti pare niente? Il buon nome della scuola e l‟educazione, dove le metti? Che volevi fare di più? Ci mancherebbe altro!- Scusatemi!- risposi con un filino di voce . - Ora chiameremo tuo padre, che ben conosco, e vedremo che dirà di questa espulsione!- Mi espellete?- chiesi scioccamente, Certamente, tre giorni non te li leva nessuno. Ora va in classe, ti manderò a chiamare non appena viene tuo padre!Il cuore mi balzò in gola: mio padre, papà che avevo perso il trenta novembre del 2005, lo avrei rivisto dunque, e di quarant‟ anni più gio-
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vane! Mi avviai lungo il corridoio e di lì a qualche istante entrai in classe. Mi misi a sedere al secondo banco della fila di centro, mentre la professoressa di greco stava traducendo e spiegando il primo libro dell‟Iliade “ … ήἃὰά`ής …”(1), quello dell‟ira di Achille per le angherie di Agamennone e del suo colloquio con la madre Teti, in riva al mare. Le mie compagne, con il bravo grembiule nero ed il colletto bianco, pigliavano appunti: era come se stessi vedendo un film del quale conoscevo già ogni fotogramma. Annamaria mi sorrise, mi venne da piangere: sarebbe morta di cancro a trentacinque anni. Gigino, ricciuto e piccolino, avrebbe fatto l‟avvocato e sarebbe diventato completamente calvo, mentre Gaetano, sarebbe diventato preside della Scuola media Baccelli, avrebbe sposato la mia Anna e sarebbe poi morto a cinquant‟anni sotto la frana di Sarno. Pepetta, col quale avevo avuto un incontro di boxe alla stazione ferroviaria, sarebbe diventato un primario. Come erano belli i miei compagni e come la vita li avrebbe trasformati! Nel mentre avevo di questi pensieri, entrò il vicepreside e mi invitò a seguirlo. Mi alzai sotto lo sguardo di tutti, qualcuno sorrideva e qualche altro commentava l‟accaduto col compagno di banco. La professoressa fece tacere tutti con uno sguardo, che non prometteva niente di buono e mi accompagnò alla porta con un sorriso sornione, come a dire: - Te la sei proprio andata a cercare!Non vedevo l‟ora di entrare in presidenza, mio padre era lì, l‟avrei visto. Ero emozionato come uno scolaretto e commosso come quando avevo 1) Narrami o diva del Pelìde Achille …
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baciato la sua fronte gelida, prima che lo deponessero nella bara. - Avanti!- tuonò il preside. Entrai. Mio padre era seduto a destra della scrivania, con lo sguardo severo ed il suo vestito grigio, quello che usava per andare a scuola. In fondo, aveva solo quel vestito e lo avrebbe conservato per un altro anno, affinché potessi io fare bella figura, con un abito nuovo, quando a luglio avrei sostenuto gli esami di licenza liceale. Mi avvicinai. - Ciao papà!- mentre le lacrime rigarono il mio volto- Pensarono che fossi dispiaciuto per ciò che era successo, ed ebbero compassione, come ebbi modo di capire dai loro sguardi. Mi ero appena accomodato, quando uno schiaffo arrossò la mia guancia sinistra. Sorrisi a mio padre, come se mi avesse dato un bacio. Stavo per abbracciarlo, quando il preside ci congedò. Scendemmo insieme per le scale e cercai il suo braccio. Prima di salire sulla sua opel grigio-nera, disse laconicamente: - Ci vediamo a casa!Lo fissai intensamente e rimasi lì a guardarlo finché non scomparve. Salii sulla mia vecchia cinquecento e volai verso casa. Avrei rivisto mia madre quarantenne, i miei fratelli giovanissimi e la vecchia zia Mariella, nella nostra grande casa di paese, tra la strada di basalto e l‟aranceto di zio Aniello. Senza rendermene corto, andavo a cento all‟ora con quel bidone di macchina e, dopo il ponte sul fiume Sarno, imboccai il rettilineo per San Valentino Torio. Ancora una volta, il sole mi abbagliò al punto che dovetti rallentare. Quando riuscii a distinguere perfettamente le cose, mi ritrovai in Via Cuparella a pochi metri dal cancello della scuola.
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- Stamani avete fatto ritardo!- mi riprese bonariamente il preside Germino, sorridendo. Come a dire che si meravigliava di una cosa che non era mai successa. - Ho avuto problemi con la macchina! - risposi prontamente e con gli occhi ancora pieni di lacrime, era stato solo un sogno, o era quello il sogno del momento? Siamo delle meteore, pensai tra me, mentre che entravo in quinta tra i miei ragazzi. - Prego, accomodatevi! – dissi loro a bassa voce ed essi mi guardarono come se mi vedessero per la prima volta. Iniziai la lezione e dimenticai ogni cosa.
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L‟Autore Franco Pastore nasce a San Valentino Torio, frequenta il ginnasio ed il Liceo nella vicina Sarno, il paese dei nonni materni, e completa gli studi presso l’Ateneo salernitano. La sua sensibilità lo porta, fin da giovanissimo, a scrivere racconti, poesie ed articoli che vengono pubblicati su giornali locali. Dopo il servizio militare, si trasferisce con la famiglia a Salerno, in via Camillo Sorgente, 21, dove, nel 1972, inizia la sua colla-borazione con lo scrittore Arnaldo Di Matteo, scrivendo racconti ed articoli sul periodico “Verso il 2000”. L’anno successivo, entra a far parte dell’equipe del Varo, una galleria d’arte di Vito Giocoli e sostenuta dal giornalista napoletano Saverio Natale, che lo veicolano verso la critica d’arte. Intanto diviene un punto di riferimento nella famiglia di “Verso il 2000”, collaborando con il Prof. Zazo dell’Ateneo napoletano, il preside Marino Serini, il pittore Luigi Grieco, Achille Cardasco ed altre personalità della cultura campana, come Franco Angrisano, il fraterno amico Gaetano Rispoli, amico di Carlo Levi, che aveva personalmente conosciuto a Roma, nel dicembre del 1971, e Domenico Rea.
Alla metà degli anni settanta sarà Rea, presso la Camera di Commercio di Salerno a presentare alla stampa il libro di estetica morale Il Vangelo di Matteo (Roma – n. 136 del 12/6/1980), che il Pastore scriveva, nel 1979 (Il Giorno – 23 marzo 1980), con Liana Annarumma. Intanto, Franco Angrisano lo presentava ad Eduardo De Filippo, nel periodo in cui l’attore recitava nella sua compagnia. Fu allora che in Franco Pastore si rafforzò l’amore per il teatro. Frattanto, conosceva Lucia Apicella di Cava (Mamma Lucia), per la quale pubblicava su Verso il 2000 una serie di racconti, raccolti poi nel libro “ Mamma Lucia ed altre novelle”(L’Eco della stampa – gennaio 1980 /Il Faro del 13/2/1980), con le illustrazioni del Grieco. Seguiva, sempre sull’eroina cavese,“Mutter der Toten”, un radiodramma, pubblicato dalla Palladio, che Angrisano drammatizzò nel salone dei marmi del Comune di Salerno (la Voce del Sud – 12/7/1980 – Roma 11 giugno 1980 52 n.135), il giorno in cui Mamma Lucia fu Premiata con medaglia d’oro del Presidente della Repubblica nel luglio del 1980 (Il Secolo d'Italia - Anno XXIX - dell'11/07/1980). Dopo il suo primo romanzo “L’ira del Sud” (verso il 2000 – anno XXIII – n.82 del 1983, con nota autografa di Nilde Iotti) scrisse per Franco Angrisano “La moglie dell’oste”, ispirata alla XII novella de Il Novellino, di Masuccio Salernitano; seguì “Terra amara”, sul problema del caporalato nel sud.
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Negli anni novanta, viene trasferito al Liceo di Piaggine. Fu in quegli anni che scrisse “ All’ombra del Cervati” una raccolta di liriche e “Fabellae”, un testo di drammatizzazione per la scuola elementare. Sono gli anni in cui si accosta all’informatica, è docente di sociologia e psicologia di gruppo nell’Ospedale Tortora di Pagani. Inizia un dialogo stretto con il teatro, grazie alla disponibilità dell’auditorium del Centro Sociale paganese ed all’incontro con la compagnia teatrale “02”, diretta da Enzo Fabbricatore. Nascono così le commedie: “Un giorno come un altro”, “Un maledetto amore ”, “Una strana Famiglia” ( Le Figaro / Edu-cation, samedi 4 juin 2005). Tra il 1995 ed il 2000, è direttore di Corsi di alfabetizza-zione informatica per il M.I. e tiene, al Centro sociale di Pagani, Corsi di Pedagogia speciale (metodi: Decroly e Froebel). Alla fine degli anni novanta, si abilita per l'inse-gnamento delle lettere negli istituti superiori e, nel 2000, il commediografo passa dalla pedagogia (didattica e metodologia), all’insegnamento di italiano e storia nell’Istituto “G. Fortunato” di Angri. Nello stesso anno, ritorna nella sua Salerno, in via Posidonia. Oramai ha perso tutti gli amici di un tempo. Intensifica il suo interesse per il teatro, entra in rapporto con alcune compagnie salernitane e conosce Gaetano Stella e Matteo Salsano della compagnia di Luca De Filippo. Con questi ultimi, ripropone “La moglie dell’oste” che viene rappresentata nel 2006, al teatro dei Barbuti, nel Centro storico. Il successo dell’opera lo spinge a scrivere altre tre commedie, ispirate al Novellino del Masuccio: Le brache di San Griffone , “Un vescovo una monaca ed una badessa” e “Lo papa a Roma”. Oramai l’insegnamento non lo interessa più e dà le dimissioni, nel settembre del 2005, chiudendo innanzi tempo il suo impegno con la scuola, per dedicarsi completamente al Teatro. Come European journalist (GNS Press Association), fonda, con il patrocinio del Comune e della Provincia di Salerno, la rivista virtuale di lettere ed arti “ Antropos in the world” e inizia il ciclo de’ “I Signori della guerra”, ovvero “La Saga dei Longobardi”, un insieme di cinque drammi storici, sulla Salerno longobarda e normanna, che completa il 29 gennaio del 2011. Dopo la pubblicazione delle raccolte di racconti “Il gusto della vita” (ed. Palladio) e di “Ciomma” (edito dalla Ed. Antitesi di Roma), va in scena, a Pagani, il primo dei drammi storici “L’Adelchi”, replicato il 25 febbraio
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2011al Diana di Nocera Inf., con il patrocinio della Provincia di Salerno (Dentro Salerno, 25 febbr. 2011). Fin dagli inizi del suo percorso artistico, Pastore, pur avendo acquisito una formazione classica (Euripide, i lirici greci, Aristofane e la commedia antica, Omero, Esopo e Fedro), si trova ad essere rivolto verso il presente del nostro tempo. La sua narrativa si può ritenere, in alcune sfumature, neorealista, con testimonianze forti, sulle difficoltà di una Italia degli anni della ricostruzione. Così, nel teatro, nel mentre delinea il dramma di antiche dominazioni, passa alla commedia di denuncia ed alla farsa. Hanno scritto di lui: Il Giorno – La Nuova Frontiera – L’Eco della Stampa – Verso il 2000 – La Voce del Sud – La Gazzetta di Salerno – La Gazzetta di Frosinone – Candido Nuovo – Il Secolo – Il Faro – L’Amico del popolo – La Città – Cronache di Potenza– Dentro Salerno – La gazzetta di Teramo – Le Figaro - La Lampada – Dossier Sud - Il Roma – La gazzetta di Pescara - Areapago Cirals – La Gazzetta di Matera – La Tribuna dell’Irpinia – Settimanale Unico – Corriere del Mezzogiorno – Cancello ed Arnone News – Cronache del Mezzogiorno – L’Osservatore dell’Agro – Dentro Salerno – Agire Il Mattino – Unico ed altre testate. Hanno parlato di lui: L.Fiorentino (Ateneo di Siena)- Nicola Napolitano – Nilde Iotti – Saverio Natale – A. Di Matteo – Gualdoni (del Giorno, Mi) – Lucia Salvatore – N. Ammaturo – Domenico Rea – Lucia Salvatore – Laura Vichi (Roma) - A. Mirabella – R. Nicodemo – Giuffrida Farina – L. Crescibene – A. Palumbo ed altri.
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Altre Opere Poesia
VOGLIA D’AMARE - Sa. 1974 - Cod. SBN - IT\ICCU\BIA\0018357 OMBRE DI CAPELVENERE; 1989 Codice SBN UBO1787585 - Bibl. ca Univ. Cagliari SORRISI D’AMORE, liriche, 1994 Cod. SBN IT\ICCU\ CFI\0059-162 ALL’OMBRA DEL CERVATI - Na 1995 Cod. IT\ICCU\MIL\0837501 LE TUE LABBRA, liriche d’amore - A.I.T.W. 2010 - Cod SBN IT\ICCU\PAL\0256056
IL PROFUMO D’ERMIONE, poesia A.I.T.W. edizioni, Salerno, marzo 2013 -SBN IT\ICCU\NAP\0568671 SALERNO DAL CONCORD - 1a Ed. 2003 - 2a Ed.., Salerno sett. 2013 A.I.T.W - Cod. SBN IT\ICCU\PAL\0262623 IL PROFUMO DEGLI ANGELI – Ebook free, Salerno 2004 ACQUA ELECTA - A.I.T.W edizioni, Sa 2013 – Cod. IT\ICCU\ MIL\0854762
OLTRE LE STELLE, dedicato a S. Valentino T. - A.I.T.W. edizioni, Sa 2014 – cod. IT\ICCU\MOD\1628173 OMBRE DI SOGNO, riflessioni in versi – A.I.T.W. Edizioni – Sa 2014 cod. IT\ICCU\MO1\0037932 SALERNO DAL CONCORD, e.book free 4, Salerno 2004. Con codice GGKEY:WZP8J2DWL3U E
RICORDI DEL TEMPO, A.I.T.W. edizioni – Salerno 2015
Videoliriche Oltre centottanta, presenti su yutube, Google e sul Web; tra esse: Ombre di sogno, La lupa, Frastagli di notte, Come le foglie, Come un sogno che muore, Ad Alfonso Gatto, a Freddy Mercury, a papa Francesco, Le tue labbra, L‟amante, Sorrisi d‟amore, Aspettando l‟alba, Resurrectio, Morbidezze, Commiato, Oltre le stelle, E ancora domani, La nostra favola, Guardandoti, L‟odore del mare, Indietro, Senza sosta, Fantasmi, Il sembiante, Fuga d‟inverno, Le tue mani, Vaghezze, La Capinera, Ho raccolto, Cosa tu sei, La mimosa, Lilium, Come in prece, Come perdermi, La via del mare, Donna, Lucania, Hipatia, Mater coeli, Ananes, La giostra, Dove sei, Quale alito di vento, Al tempo della ginestra, Donnez moi ma vie, Se questi occhi, Impulso, Marcinelle, Solo vento, Nedda, L‟isola che non c‟è, La tua musica, Emozione, Odori di bosco, Sulle tue labbra, On my way, Quando il sole declina, Respiro con le stelle, Vento d‟autunno, Appro-do, Nuvole,Marianna de Leyva, Francesca da Rimini, Giuliet-ta dei Capuleti, Comparando, Anche se piove, Sul far del mattino, Il sorriso degli angeli, Ritorno in famiglia, Solitudine, La favola della vita, Laura, Il tuo fiato, Con la mi vida, Conbien je vous aime, Simbiosi, Mirando, Se amessi
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fiato, Non so cantare, Come un gabbiano, Sussurri, Ritual, Dolce contesa, Germogli, Come il sole al tramonto, Mentre imbruna la sera, Panta rei, Come un raggio di sole, Solo tu, Andando a fichi, notte, Senza fiato, All‟alba, La colpa più grande ed altre, Noi siam meteore, Non è più tempo di favole, Una eco lontana e Come un raggio di luna. Poesia monografica AMORE E MITO, favole della lett. lat. in versi - Ediz. Penne Pazze e- book 2006 - II ed. luglio del 2013. Cod. IT\ICCU\MO1\0035687 Il NAZARENO, lauda sulla morte di Cristo, A.I.T.W. ed. - Sa, 2009 Cod, SBN IT\ICCU\NAP\0563067 LE STELLE DELLA STORIA, Sidera Historiae, donne che hanno fatto storia, Salerno 2006, rist.pa 2013 cod. IT\ICCU\MO1\0035683 UN UNICO GRANDE SOGNO, poesia d’amore in odi dedicate ai personaggi femminili celebri, da Isotta a Giulietta, alla Lupa, a Nedda e alla Peppa del Gramigna - Ediz. Poetilandia ebook 2006 cd. Sbn IT\ICCU\MO1\0035686 EL CID CAMPEADOR, un’ode al cid di Spagna - A.I.T.W. Edizioni, Salerno 2014 Prosa L’IRA DEL SUD (romanzo) edizioni Palladio - 1982. Codice SBN CFI0020645 - Bibl. Univ. Cagliari LA SIGNORA DELLA MORTE (radiodramma)- Palladio Editrice Salerno 1978 Codice SBN IT\ICCU\SBL\0625441 SETTE STORIE PER PIERINO, racconti per ragazzi -Ediz. Verso il 2000, Sa 1978 - Cod. SBN SBL\0628217 - Bibl.che: Ca, Tr, Na, MAMMA LUCIA ed altre novelle, Sa 1979 Codice SBN PAL0159227 – Bibl. Univ. Cagliari SAN MARZANO nella pianura campana (storiografia), Ed. Palladio, Sa 1983. Cod. SBN IT\ICCU\CFI\0032994 IL GUSTO DELLA VITA,- racconti, Ediz. Poetilandia ebook 2005 – Ed. Palladio, Sa 2006 . Codice SBN IT\ICCU\PUV\1362615 IL GUSTO DELLA VITA, racconti, II Ediz. IT\ICCU\NAP\0640292 CIOMMA, racconti dell’agro sarnese - Ed. Antitesi, Roma 2008 – Cod ISBN IT\ICCU\PUV\1363319 I TEMPLARI, dramma storico - A.I.T.W. ediz. - Sa 2010, cod. IT\ ICCU\- MO1\0035682 I Templari , fumetto, Centro Stampa ed. Pagani 2008 NUNZIATINA, romanzo breve, estratto e rielaborato da L’ira del sud del 1989 – A.I.T.W. Edizioni, Salerno 2014 - ISBN 9788868
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143053 RADICI – A.I.T.W. Ed. – Pubblicazione in e - book Google play, gennaio 2015
Saggistica Il VANGELO DI MATTEO ( estetica morale, con prefazione di Domenico Rea) De Luca ed.- Amalfi 1979 cod. SBN IT\ICCU|PUV\1368781 IL CORAGGIO DELLA VERITÀ, libro inchiesta sulla tragedia di Ustica - A.I.T.W. Ed., giugno 2012 Cod. SBN IT\ICCU\NAP\0544907 HERACLES IN MAGNA GRECIA,iconografia ragionata. Cod. SBN IT\IC CU\MO1\0035548 ME NE JEVE PE’ CASO, contaminatio in napoletano della 1,9 satira di P.Orazio Flacco - A.I.T.W. Ed. - Sa 2013 IT\ICCU\ NAP\0595558 ‘O VIAGGIO PE’ BRINNESE contaminatio in napol. 1,6 della satira di Orazio Flacco - A.I.T.W. Ediz. - Sa 2013 Cod. IT\ICCU\RML\0361796 LA SIGNORA DELLA MORTE ( Mutter der toten ) radiodramma Ed. Palladio, Sa. 1980; ( La Nuova Frontiera del 30/7/81) Biblioteca Fond. Siotto Alghero - Codice SBN SBL065441 FAEDRUS, le favole latine di Faedrus in versi napoletani - A.I.T.W. Ediz., giugno 2011- Cod SBN IT\ICCU\NAP\0568756 AISOPOS, le favole greche di Esopo in versi napoletani - A.I.T.W. Edizioni, sett. 2011 cod. SBN IT\ICCU\NAP\0568683 LE PROBLEMATICHE DELL’ ADOLESCENZA verso la formazione del sé- A.I.T.W. Ed. - Sa 2013. Cod. SBN IT\ICCU\MO1-\0035831 LE PROBLEMATICHE DELL’ ADOLESCENZA i comportamenti a ririschio – A.I.T.W. Ed. - Sa 2013. Cod. SBN IT\ICCU\MOD\- 1622636 FILOSOFIA ARISTOTELICA, schiavitù ed oikonomìa - A.I.T.W. Ed. - Sa 2014, II stampa. Cod. ISBN IT\ICCU\MOD\1628166 IL CANCELLERI Tommaso Guardati - A.I.T.W. Ed. - Sa 2014. LUCIA APICELLA, la madre di tutti i caduti – A.I.T.W. –Sa 2014. LE PROBLEMATICHE DELLA VECCHIAIA E LA MUSICOTERAPIA- pubblicato su google play il 25 genn.2015, con codice n. GGKEY:K6C9CH8SW3Q E CATULLO A NAPOLI, i carmi tradotti in napoletano – A.I.T.W. ediz.ni Salerno, febbraio 2015 - IT\ICCU\MO1\0038568 LA MORTE DI CESARE A.I.T.W. ediz.ni - Salerno, febbraio 2015
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Drammi TERRA AMARA - 1979. Cod SBN IT\ICCU\MO1\0035757 LUISA CAMMARANO - 2004 - Cod. SBN IT\ICCU\MO1\0036201 UN MALEDETTO AMORE - 2001 -Cod.SBN IT\ICCU\MIL\0851139 UN GIORNO COME UN ALTRO - 1998 - Cod SBN [IT\ICCU\-MIL\0839578 Commedie LA MOGLIE DELL’OSTE - 1974. Cod SBN IT\ICCU\MO1\0035688 LO PAPA A ROMA - 2003 – Codice SBN IT\ICCU\NAP\0582008 UNA STRANA FAMIGLIA - 2005. Codice SBN IT\ICCU\NAP\0590201 IL MENACHER - 2005 O VESCOVO, A MONACA E L’ABBADESSA -2004 - cod. SBN IT\ICCU\MO1\0035684 LE BRACHE DI SAN GRIFFONE - 2005- codiceIT\ICCU\NAP\0584683 MASUCCIO IN TEATRO - A.I.T.W. Edizioni - Salerno 2014 - codice IT\ICCU\NAP\0646027 Drammi storici: GAITA, la moglie del Guiscardo,Sa 2007 - IT\ICCU\MO1\0035550 I TEMPLARI - Salerno 2008 Codice SBN IT\ICCU\MO1\0035688 ARECHI II – Salerno 2008 - Codice SBN IT\ICCU\MIL\0844100 IL NAZARENO - Salerno 2009 - cod. SBN [IT\ICCU\MO1\0035682 LA BATTAGLIA DELLA CARNALE - 2010 cod. SBN [IT\ICCU\MO1\0035682] GUAIMARIO IV - Salerno 2010 - codice SBN IT\ICCU\NAP\0582008 ROBERT D’HAUTEVILLE LA GUICHARD, Sa. 2011 - cod. SBN IT\CCU\MO1\0035551 PIU’ FORTE DELLA MORTE- A.I.T.W. Ediz. Sa. 2011 - Cod. SBN IT\ICCU\NAP\0563051 IPPOLITO PASTINA - A.I.T.W. Edizioni, 2012 – Cod SBN IT\ICCU\MIL\0844104 ISABELLA SANSEVERINO - A.I.T.W. Edizioni – Salerno 2014 – cod. IT\ICCU\NAP\0633689 LA SAGA DEI LONGOBARDI - A.I.T.W. Edizioni – Sa. 2014 – Codice IT\ICCU\MO1\0037976] Farse . UNA FAMIGLIA IN ANALISI - 2006 - SBN: IT\ICCU\MO1\01003205
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UN CASO DI NECESSITÀ - A.I.T.W. Edizioni, Salerno2008 - Codice SBN IT\ICCU\NAP\0590700 PEPPE TRACCHIA - Salerno2008. Cod. SBN IT\ICCU\MO1\0035841 CONCETTA QUAGLIARULO - 2009 ( una contaminatio sullo sbarco di Salerno). Cod. SBN IT\ICCU\MO1\0035758 VÁSE ARRUBBÁTE - A.I.T.W. Sa 2010 - Cod. SBN IT\ICCU\MO1\003204 BERNARDAS GLORIOSAS - Salerno 2011 – ISBN IT\ICCU\MOD\1628171 COLLOQUIO con un segretario di onorevole - Salerno 2010. Cod. SBN ITCCU\MO1\0036202 IL BREVETTO, in tre scene, del gennaio 2005, cod. GGKEY-:731W GTQNLLC E, pubblicato su google play, il 24 gennaio del 2015.
Fiabe on line – Fiabe in pubblicazioni e teatro per ragazzi: FABELLAE- antologia di drammatizzazione per la scuola primaria‚ Paes, 1988. Cod. SBN IT\ICCU\CFI\0154255 LA MARGHERITA SCIOCCA - S.W. anno 2004 – filmato IL PAPERO INGRATO - S.W. anno 2006 – filmato ORFEO GATTO MARAMEO - S.W. anno 2006 – filmato IL VERME ED IL CALABRONE – S.W. anno 206 – filmato IL PAPPAGALLO FILOSOFO - Sul Web anno 2006 /7 – filmato LA LEPRE E LA TARTARUGA - Sul Web anno 2006 /7 – filmato IL BRUCO ED IL CALABRONE - Sul Web anno 2006 /7– filmato IL PAPPAGALLO FILOSOFO - Sul Web anno 2006 /7 – filmato LA GALLINA SCIOCCA - Sul Web anno 2006 /7 – filmato CANIS PARTURIENS – filmato 2005/6 – Riduz. in napoletano CAMELUS QUI PETEBAT CORNUA – filmato 2005/6 – in napoletano PISCATOR QUI AQUAM PERCUTEBAT – filmato2005/6 – in napoletano VOLPES ET CORVUS – filmato 2005/6 – Riduz. in napoletano VULPES LEO ET SIMIO – filmato 2005/6 – Riduz. in napoletano RANAE AD SOLEM – filmato 2005/6 – Riduz. in napoletano RANAE PETUNT REGEM – filmato 2005/6 – Riduz. in napoletano FRATER ET SOROR – filmato 2005/6– Riduz. in napoletano CALIMERO E LE SETTE NANE,UNA STORIA ALL’INCONTRARIO A.I.T.W. Edizioni - Salerno genn. 2014 - ISBN: 9788891133052
IL PRINCIPE FIORITO, UNA STORIA ALL’INCONTRARIO - A.I.T.W .
Edizioni - Salerno, nov. 2014 PINOCCHIO IN TRIBUNALE ; La civetta, la cicala e la formica ; Una
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gara della stupidità; La capretta Genoveffa : quattro drammatizzazioni per le scuole elementari - Paes, 1987 ( Cava de’Tirreni, Palumbo & Esposito) Monografia - Testo a stampa - SBN IT\ICCU\CFI\0105947 I RACCONTI DI MAMMA DORA – A.I.T.W. Ed. – Sa 2015-02-03 SBN IT\ICCU\MO1\0038517
Opere multimediali - Documentari didattici VERSO LA RELIGIONE EGIZIA – Documentario didattico LA RELIGIONE GRECA - Documentario didattico ROMA PAGANA – Documentario didattico IL MIRACOLO DI BETLEMME – Documentario didattico ABRAMO - Documentario IL CANTICO DEI CANTICI – Documentario IL SS. CORPO DI CRISTO – Documentario LA CRIPTA DEL SS. Corpo di Cristo - Documentario Pubblicazioni in Ebook (pdf, epub e mobi, PC, Mac Os, Linux, iPho-ne, iPad, Android, HTC, Blackbarry, eReaders), su store italiani ed internazionali:
NUNZIATINA, romanzo breve, sul caporalato nel sud dell’Italia d’inizio secolo, 2013. – cod ISBN 9788868143053. IL PROFUMO D’ERMIONE, liriche, anno 2013; cod ISBN 9788891-129031. AQUA ELECTA, liriche dedicate a Quaglietta di Calabritto ed all’alta valle del Sele. Anno 2013 – cod ISBN 9788891130945. CALIMERO E LE SETTE NANE, una storia all’incontrario, anno 2014. cod ISBN 9788891133052. IL VERME ED IL CALABRONE – S.W. anno 2006 – filmato IL PAPPAGALLO FILOSOFO - Sul Web anno 2006 /7 – filmato LA LEPRE E LA TARTARUGA - Sul Web anno 2006 /7 – filmato IL BRUCO ED IL CALABRONE - Sul Web anno 2006 /7– filmato IL PAPPAGALLO FILOSOFO - Sul Web anno 2006 /7 – filmato LA GALLINA SCIOCCA - Sul Web anno 2006 /7 – filmato SALERNO DAL Concord, liriche dedicate a Salerno - Cod. SBN IT\ICCU\PAL\0262623. OLTRE LE STELLE, liriche dedicate al paese dell’amore, San Valentino Torio. Anno 20014 – cod. SBN. 978889113420. IL SORRISO DEGLI ANGELI, liriche, Salerno 2004. UN UNICO GRANDE SOGNO, poesia monografica, Catanzaro 2006. IL GUSTO DELLA VITA,racconti, Catanzaro 2006. CRONACA CONTADINA Sa. 2006 - cod. SBN 9788868144067 LE TUE LABBRA – google libri
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IL BELLO ADDORMENTATO – google libri Ἡρακλῆς IN MAGNA GRAECIA – google libri MASUCCIO IN TEATRO – google libri LA SAGA DEI LONGOBARDI – google libri LE PROBLEMATICHE DELLA a dolescenza – google libri LE PROBLEMATICHE DELLA VECCHIAIA e la musicoterapia Google Play
Alcuni premi ed Onorificenze
Roma - Medaglia d’oro per la poesia - S.Barbara 1971 ( Scuola Genio Pionieri) Roma- Accademia Int.le Tommaso Campanella - medaglia d’oro e nomina a Membro Honoris Causa 1975. Salerno - Salone dei Marmi del Palazzo Città - Trofeo “ Verso il 2000 ”, consegnato a Domenico Rea e Franco Pastore dal Ministero Turismo e Spettacolo e dall’Assessorato alla P. Istruzione del Comune di Salerno (La Voce del Sud, del 12. 7.1980 - La Nuova Frontiera, 30.6. 1980 e del 15/12/1980 - Candido, 18 sett. 80). Roma - Acc. Gentium Pro Pace - nomina ad “ Academicum ex classe legitima”, 1980. Accademia delle Scienze di Roma - nomina ad Accad.co d’onore, 1982. Melbourne - Accadem. Lett. Italo - Australiana (A.L.I.AS.) - Primo premio internazionale per la narrativa, 2008. Melbourne – Accademia Lett. Italo-Australiana (A.L.I.AS.) - Primo premio internazionale per la narrativa 2011. Viterbo - Targa della città di Viterbo alla carriera - Accademia Francesco Petrarca, maggio 2012. Germany - Accreditation Correspondance Jornalistique - G.N.S. Presse Association, dicembre 2011. San Valentino T. - Award dell’Agro, per la letteratura. (Cronache del Salernitano, del 27 agosto 2013) Premio Silarus 2014, II posto per la narrativa, luglio 2014.
Diffusione pubblicazioni: - In Italia, nelle biblioteche universitarie e nazionali di Padova, Trieste, Pavia, Pescara, Biella, Torino, Alghero, Milano, Firenze, Bologna, Urbino, Modena, Cesena, Cassino, Quartu Sant’Elena, Genova, Roma, Lucca, Napoli, Salerno, Bari, Palermo, Sassarri,
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Parma, Cagliari, Catania, Lerici, Roccadaspide e Campobasso. A Salerno: nella biblioteca dell’Archivio storico del Comune. - All’estero: Presso l’Ist. It.Cultura di Barcellona . - Internet: su google play e google libri.
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INDICE
Note critiche ……………………………………………..pag,5 Premessa …………………………………………………..pag,7 Capitolo I …………………………………………………..pag,9 Capitolo II ………………………………………………….pag.24 Capitolo III …………………………………………………pag.33 Capitolo IV …………………………………………………pag.39 Capitolo V …………………………………………………pag.46 Capitolo VI …………………………………………………pag.53 L‟autore …………………………………………………….pag.59 Pubblicazioni ……………………………………………….pag.63
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Scritto nel 2003 Pubblicato con altri racconti nel 2006 Ripubblicato nel 2015
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