Il diario di Maria Pia, Fausto Paravidino

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TUTTO QUELLO CHE RIMANE

IL DIARIO DI MARIA PIA, Teatro Sala Uno Fausto Paravidino, classe 1976, prima di essere tra i giovani capofila della drammaturgia italiana è soprattutto il figlio di una madre che “... sta poco bene ...”, che lentamente si spenge in una manciata di settimane nel reparto oncologico dell’ospedale civile di Ovada. Una donna che non vorrebbe morire, ma che non potendo fare altrimenti cerca di farlo meglio che può, recita il comunicato stampa presentando con disarmante semplicità una storia che è quella di molti. Materiale per un dramma ce ne sarebbe a sufficienza nei diari che la donna detta al figlio durante la consapevole agonia, ma siamo lontani da un contesto struggente o straziante. Non è la tragedia che tocca lo spettatore, affettuosa elaborazione di chi ha partecipato ad un percorso conclusosi con la perdita umana. Quello che rimane, e che fa piangere, e ridere, è la storia di un accompagnamento verso la morte con la consapevolezza che la vita continua anche quando sta per finire, e che anche di questa fase si può fermare nel tempo un ricordo naturale e rassicurante. A questo sembra alludere, in chiave comica, il siparietto iniziale tratto da Tutto è bene quel che finisce bene, poche comiche battute in dialetto genovese che definiscono la chiave di lettura di un circoscritto episodio, nel quale la vita si mostra nelle sue contraddizioni e complessità. Come spesso accade, il primo a guardare in faccia la realtà è proprio chi ne avverte il peso dentro, Maria Pia - nome anagrafico della madre portata in scena dall’intensa Monica Samassa - è un medico al quale non si può negare quello che lei stessa, dopotutto, non nasconde: “… Io mi sa che tra un po’ non ci sono più...”. Paravidino ha ancora il naso rosso da clown mentre con questo epilogo inizia il racconto della infermità di sua madre, ma non c’è pietismo né crollo mentre si toglie i costumi della commedia per vestire quelli della vita, che altro non è che un grande spettacolo tragicomico. Con questa consapevolezza si assiste al declinare della malattia e all’evolversi della vita familiare attorno a questa, confrontando il dolore con la vitalità di una donna intelligente che dal nulla che sente dentro fa emergere gli appigli per chi, dopo di lei, resterà. Fausto Paravidino, sulla scena se stesso insieme alla importante compagna Iris Fusetti, trasforma la stanza dell’ospedale in una scena nella scena, popolandola di vita in tutte le sue forme: basta un accessorio allusivo per portare nuovi personaggi (i medici, Marta, sorella di Fausto, lo zio Cesarino) che concorrono a creare i tanti siparietti che - come le tessere di un mosaico - compongono quei giorni d’agonia. Il ricordo affidato alla carta conferisce spessore a quei momenti. Il diario di Maria Pia è la nuova percezione del passato e del presente che la donna detta al figlio, il mare di ovatta con il quale la spossatezza della malattia livella ogni reazione si dirada per fare emergere momenti - via via sempre meno lucidi - che rassicurano come i sogni. Contro la malattia non si lotta più, ma la si accetta. La consapevolezza di essere niente annulla gli sforzi di una vita affannata, la cultura, l’intelligenza, il tanto citato manierismo e la letteratura sono orpelli che spariscono sotto al rullo compressore di quella lucida passività, che si racconta senza essere negativa; è proprio da questo reale annullarsi di bisogni che viene filtrato quello che realmente è stato importante. Consegnare ai figli e alle persone vicine la propria essenza, mentre questa abbandona la forma, è bellissimo. Superata la paura, il non-esserci comincia a apparire come un naufragare dolce di leopardiana memoria. La penna stilografica piumata, che il fregio rosso della locandina di scena imprime sullo sfondo bianco, è l’improvviso tradimento della vita percepito come un colpo alle spalle. Paravidino ha abituato al vigore del suo linguaggio fresco in realtà oppresse e in disfacimento, il suo ultimo lavoro - La malattia della famiglia M., messo in scena anche per La Com?die Française - è la parabola di una famiglia e di una realtà che dal malessere vengono trascinati giù fino alla persa rassegnazione; ne Il diario di Maria Pia, invece, tutto è più veloce, il dolore è circoscritto e tagliente, e chi lo ha vissuto lo porta in scena insieme alle proprie emozioni. Il testo e la regia di Paravidino affrontano la morte oltre la tensione del drammatico e la superficialità di chi non la vuole accettare, i 100 minuti di spettacolo si percepiscono tutti nel valore affettivo e rielaborativo di un dolore che, sulla scena come specchio della realtà, fa sentire tutti della stessa specie. Francesca Martellini

Fausto Paradivino.

VESPERTILLA - Anno IX n° 1 gennaio-febbraio 2012

Teatro


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