ASCOLTIAMO L’ALVEARE
Apitalia - Corso Vittorio Emanuele II, 101- 00186 - Roma - ITALY - UE - ISSN: 0391 - 5522 - ANNO XXXXIV • n. 1-2 • Gennaio-Febbraio 2019 •- 693 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) Art. 1 Comma 1 – Roma Aut. C/RM/18/2016
Leggere le Api
la Biblioteca dell’Apicoltore
TITOLO LIBRO
AUTORI
N° PAGINE
M.K. Thun
248
Antroposofica
25,00 €
• Apicoltura in sicurezza
Giacomo Perretta
84
Montaonda
10,00 €
• Apicoltura tecnica e pratica
Alessandro Pistoia
348
L’Inormatore Agrario
32,00 €
F. Grosso
156
TIP.LE.CO.
15,50 €
B. Beck
120
Nuova Ipsa
10,50 €
• Cenni introduttivi per la selezione sull’ape Ligustica
INA, FAI
36
FAI
8,00 €
• Guida pratica alla produzione del polline in Italia
A. Metalori
180
Montaonda
25,00 €
• Guida pratica allo studio della melissopalinologia
AA.VV.
109
--
25,00 €
• Guida pratica di apicoltura con agenda dei lavori
G. Bosca
240
Il Castello
19,50 €
L. Bortolotti e G.L. Marcazzan
196
Edagricole
18,00 €
M. Campero
160
FAI Apicoltura srl
19,00 €
• Il mondo delle api
--
221
Fabbri
27,00 €
• Il piacere delle api
P. Fontana
610
WBA Books
24,00 €
• Il polline
Alin Caillas
108
FAI
19,00 €
• Il ronzio delle Api
J. Tautz
302
Springer Verlag
29,00 €
• Il tempo delle api
M. L. Winston
338
Il Saggiatore
23,00 €
• L’allevamento di Api Regine
F. Ruttner
344
FAI
35,00 €
• L’analisi sensoriale dei mieli
M. Gonnet, G. Vache
70
FAI
10,00 €
F. Frilli, R. Barbattini, N. Milani
112
Calderini Edagricole
17,00 €
Abate Warrè
272
Montaonda
18,00 €
R. Menzel, M. Eckoldt
310
Raffaello Cortina
29,00 €
• La meravigliosa vita delle api
G. Accinelli
155
Pendragon
14,00 €
• La produzione del miele in favo
R. A. Morse
112
FAI
12,00 €
• La rivoluzione dell’alveare
M. Grasso
138
Terra Nuova
14,80 €
• La vita sociale delle api - trattazione divulgativa
M. Spinett
192
Taiga
10,00 €
• Le api - biologia, allevamento, prodotti
A. Contessi
570
Edagricole
42,00 €
• Le api
R. Steiner
150
Antroposofica
14,00 €
• Le api
Herrera, Gallo
96
FAI
30,00 €
• Le api e la penna
A. De Spirito
142
Studium
13,00 €
• Le api in poesia
C. Graziola
350
Montaonda
15,00 €
• Le api per l’impollinazione
D. Frediani
82
FAI
10,00 €
• Le api - storia, mito e realtà
C. Preston
248
ORME
16,00 €
A. Contessi, G. Formato
386
Edagricole
38,00 €
H. Storch
78
Européennes Apicoles
15,00 €
E. Carpana e M. Lodesani
410
Springer
49,99 €
• Strategie di sopravvivenza delle colonie di api
H. Wille
56
FAI
10,00 €
• Un cucchiaio di miele
H. Ellis
192
Guido Tommasi
25,00 €
• Apicoltura
• Apipuntura - terapia medica con veleno d’api • Apiterapia
• I prodotti dell’alveare • I mille segreti dell’alveare
• L’ape - forme e funzioni • L’apicoltura per tutti • L’intelligenza delle api
• Malattie delle api e salute degli alveari • Osservando la porticina di volo dell’arnia • Patologie e avversità dell’alveare
EDITORE
PREZZO
• ORDINI E INFO • FAI Apicoltura srl - Corso Vittorio Emanuele II, 101 - 00186 Roma - Tel. 06. 6877175 - commerciale@faiapicoltura.biz
EDITORIALE
LEGGE DI BILANCIO
RISORSE PER L’APICOLTURA: PRIORITÀ D’INTERVENTO PER L’APE ITALIANA
A
fine anno 2018 il Parlamento ha approvato la Legge 30 dicembre 2018 n. 145 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021”. Il provvedimento, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 302 del 31 dicembre 2018 (supplemento ordinario n. 62/L) interviene anche in materia di apicoltura: l’articolo 1, comma 672, prevede “la realizzazione di progetti nel settore apistico finalizzati al sostegno di produzioni e allevamenti di particolare rilievo ambientale, economico, sociale e occupazionale”. Per tali finalità è autorizzata la spesa di 1 milione di euro
Il Ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio con il Presidente FAI Raffaele Cirone, durante una visita all’Apiario Urbano Sperimentale della FAI sulla terrazza di Palazzo della Valle a Roma.
per ciascuno degli anni 2019 e 2020 e all’attuazione di tale disposizione provvederà il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo, con un decreto che dovrà essere emanato entro sessanta giorni dalla data di entrata di in vigore della legge. È utile ricordare che l’iter di tale provvedimento ha preso l’avvio alla fine del mese di novembre 2018, con un emendamento presentato alla Camera dei Deputati a seguito del quale la FAI-Federazione Apicoltori Italiani, attraverso gli Uffici di Confagricoltura, ha seguito e sostenuto ogni passaggio, sensibilizzando i Gruppi parlamentari, i Presidenti delle Commissioni Agricoltura di Camera e Senato e lo stesso Ministro Gian Marco Centinaio. A quest’ultimo, in occasione dei vari momenti di confronto avuti a fine anno, la FAI ha rappresentato il più vivo apprezzamento degli Apicoltori e la raccomandazione che le risorse rese disponibili vadano ad esclusivo favore di progetti di tutela e salvaguardia dell’ape italiana e dei prodotti apistici Made in Italy. Esprimiamo dunque sincera e piena soddisfazione per il raggiungimento di questo importante risultato che siamo consapevoli di aver concorso ad ottenere grazie ad una attenta azione di rappresentanza e di sensibilizzazione dei più autorevoli esponenti della politica nazionale. Quanti oggi rivendicano di essersi fatti promotori di questo provvedimento, autoreferenziandosi quali interlocutori politici e destinatari esclusivi delle misure previste, lasciano trasparire interessi che non aiutano il comparto ad evolvere nella direzione auspicata dal Legislatore. La FAI-Federazione Apicoltori Italiani non mancherà di continuare la propria azione tesa a tutelare l’interesse generale di tutta la categoria apistica ed a salvaguardare prioritariamente gli interessi nazionali. Specie nella delicata fase di elaborazione dei decreti attuativi che ci vedrà ovviamente impegnati nei prossimi mesi. Raffaele Cirone
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SOMMARIO
Apitalia N. 692 | 1-2/2019 gli articoli 5 EDITORIALE Legge di bilancio
Raffaele Cirone
10 AGENDA LAVORI. NORD-OVEST È ora di mettere i melari Alberto Guernier 13 AGENDA LAVORI. NORD Inverno: vietato oziare
34 LEGISLAZIONE Nuova normativa per la privacy
Nicola Santoro
36 PROFESSIONE APICOLTORE L’aspiratore per sciami Massimo Cittadini
Maurizio Ghezzi
17 AGENDA LAVORI. NORD-EST Varroa: è sempre la solita storia Giacomo Perretta
43 BIOMONITORS I numeri e le api 47 ETNOLOGIA La propoli nella preistoria
Nicola Palmieri Angelo Camerini
50 RICERCA Analisi biometriche e molecolari in apicoltura Roberto Reali, Lorenzo Della Morte 20 AGENDA LAVORI. CENTRO Osserviamo l’inverno 24 AGENDA LAVORI. SUD La gestione invernale dell’apiario
Tecnici APAM Santo Panzera
29 AGENDA LAVORI. SUD E ISOLE L’inverno che non c’è Vincenzo Stampa 31 PRATICA La sciamatura programmata Giorgio Della Vedova
6 | Apitalia | 1-2/2019
i nostri recapiti
i nostri riferimenti Un paesaggio agreste “naif” che descrive il passaggio da un ambiente tipicamente invernale - il taglio e la raccolta di rami secchi e culmina con la raccolta di uno sciame su un albero, una scena tipicamente primaverile ben nota agli apicoltori.
hanno collaborato a questo numero
abbonamenti 1 anno (10 numeri carta)
€ 30,00
2 anni (20 numeri carta)
€ 54,00
Italia, una copia/arretrati
€ 5,00
Giuseppe Lega, Alberto Guernier, Maurizio Ghezzi, Giacomo Perretta, Tecnici APAM, Walter Pace (foto pag. 20), Santo Panzera, Vincenzo Stampa, Giorgio Della Vedova, Fabrizio Badoni (foto pag. 31), Nicola Santoro, Massimo Cittadini, Nicola Palmieri,Angelo Camerini, www.valfiorentina.it (foto pag. 48), Roberto Reali, Lorenzo Della Morte, Giancarlo Ricciardelli D’Albore, Fabrizio Piacentini, Alessandro Patierno, Patrizia Milione.
marcatura dell’ape regina Secondo un codice standardizzato, le regine sono marcate con un colore (tabella a lato) per permettere all’apicoltore di riconoscerne l’anno di nascita
azzurro
bianco
giallo
rosso
verde
0o5
1o6
2o7
3o8
4o9
(ultimo numero dell’anno di allevamento, esempio “2019”)
i nostri valori Lo stemma circolare dell’ape regina al centro della scritta che recita “Il mio non sol, ma l’altrui ben procuro” accompagna da sempre le pubblicazioni curate dalle firme storiche dell’editoria apistica italiana da cui Apitalia trae origine
Questa è la medaglia d’oro accompagnata dalla menzione speciale della Giuria internazionale che ha riconosciuto Apitalia miglior rivista di apicoltura per i suoi contenuti redazionali, la qualità del corredo fotografico e il valore tecnico-scientifico
La moneta di Efeso, con l’ape come simbolo riconosciuto a livello internazionale già 500 anni prima di Cristo
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FOTO DEL MESE
Per il Calendario del 2019 ho pensato di ritornare all’arte “naif” illustrando la raccolta di uno sciame. Ma di pittori naif che fossero anche apicoltori non ne ho trovati. Ho quindi cercato un ambiente agreste cui apportare le correzioni necessarie e mi è subito piaciuto il dipinto di un “pittore-naif ” della Croazia. Si chiamava Ivan Generalic, di origini contadine, nato nel 1914 ad Hebline e morto nel 1992 a Koprivnica in Croazia. Nel 1930 venne notato, mentre disegnava, da un pittore affermato che passava per caso dal suo paesello e venne istruito e incoraggiato ad esporre i suoi dipinti. Già l’anno successivo partecipò al padiglione d’arte di Zagabria ottenendo enorme successo. Generalic ha lasciato una grande quantità di dipinti, coloratissimi, quasi tutti di soggetto agreste come sagre paesane, animali, fatiche dei raccolti, paesaggi invernali. Il soggetto da me prescelto, però, rappresenta in origine una campagna quasi invernale, con boscaioli che abbattono alberi secchi, mentre per rappresentare la sciamatura mi servivano alcuni alberi “primaverili” per cui ho dovuto aggiungere le foglie, l’apicoltore, lo sciame e le arnie di paglia. Mi sono poi accorto che il pittore aveva commesso una grossa imprecisione per quanto riguardava il traino del carro, prevedendo una sola mucca per un carro con timone centrale dove le bestie debbono essere almeno due e quindi ho aggiunto anche la seconda mucca. Giuseppe Lega
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AGENDA LAVORI. NORD-OVEST
È ORA DI METTERE I MELARI
PER AFFRONTARE LA SECONDA PARTE DELL’INVERNO, PUÒ ESSERE UTILE IL MELARIO CON FAVI O CANDITO di Alberto Guernier
S
10 | Apitalia | 1-2/2019
la zona scura dei favi che hanno precedentemente ospitato le covate, con adiacenti le scorte, esse riescono con facilità a mantenere la giusta termoregolazione e, non meno importante, la regolazione del umidità interna (fenomeno ancora abbastanza poco considerato dai produttori di materiale apistico).
ATTENZIONE ALL’UMIDITÀ IN ECCESSO NELL’ARNIA
Foto Alberto Guernier
ono passati tanti anni, ma certe frasi, certi consigli, ci colpiscono probabilmente più di altri, e ci frullano poi nella testa tutta la vita. “Io faccio la Befana”, ecco cosa mi disse una anziana signora che teneva degli alveari vicino a casa mia, quando decisi di avvicinarmi all’apicoltura ed acquistai i miei primi due nuclei. Bontà sua, passò subito a spiegarmi cosa intendeva con quella frase, onde evitare “stalli imbarazzanti”. Voleva mettermi in guardia; secondo lei, non occorreva aprire più gli alveari e neppure soppesarli fino appunto all’arrivo della Befana. Quindi, nutriti e trattati per contrastare la varroa, dovevano poi essere lasciati in pace almeno fino agli inizi di Gennaio. Per lei non era immaginabile portare in inverno famiglie che potessero avere altre necessità, prima di quel periodo dove rimanevano rigorosamente in blocco di covata. Il blocco di covata, è un periodo “magico”per le api, in un’ arnia ben coibentata ed asciutta quindi, senza formazione di condensa (dovuta alla differenza termica tra l’interno e l’esterno) e con il giusto esiguo spazio concesso dal-
Su molti vecchi libri di apicoltura, si finiva sempre col trovare la considerazione di come le api non patissero il freddo bensì l’umidità eccessiva; come se fossero due fenomeni senza correlazione. Ad oggi, le arnie e i nuclei non presentano nulla di particolarmente tecnico che vada incontro all’esigenza di ricambio dell’aria (cosa comunque estremamente dibattuta e complessa anche nelle case di civile abitazione); viene usato lo stesso cassettino in polistirolo o la stessa cassa di legno e soprattutto con le stesse superfici grigliate da nord a sud, senza tenere minimamente conto delle differenze ambientali e climatiche.
Certo, svariate e più o meno scientifiche sono le considerazioni che si possono fare su quanto il microclima all’interno dell’alveare incida sulla salute delle api, ma io personalmente sono portato a riflettere su esempi analoghi, anche se di specie diverse: un box caldo ma con spifferi può far gravemente ammalare un cavallo, se esso non è in condizione di sottrarsi alla corrente d’aria creata. Allo stesso modo, una pianta di limone, portata in casa per passare l’inverno sottraendola ai rigori del gelo, se posta nell’angolo sbagliato di una stessa stanza, senza la giusta luce ed umidità, perderà velocemente le foglie andando incontro alla morte.
Comunque al di là di queste considerazioni, ognuno potrà procedere a qualche esperimento e trovare, magari, la situazione più adatta alla sua zona e all’andamento stagionale. Si potrà, ad esempio, limitare l’areazione dal basso, integrandola con un’apertura di piccole dimensioni posta più in alto, magari a metà altezza o a tre quarti, possibilmente regolabile e adatta alle reali condizioni di necessità (dimensione della famiglia presente). Quello che è certo, è che anche le famiglie migliori, quelle “all’antica”, che sono rimaste fedeli al blocco di covata, incuranti del clima mite, da Gennaio iniziano ad allevare rose di covata e viene a va-
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AGENDA LAVORI. NORD-OVEST riare il loro bisogno di cibo, calore, umidità. Ed allora passa la Befana con il candito per quelle famiglie in carenza di scorte; il fenomeno è sempre più diffuso al Nord Ovest, portato da inverni più miti che iniziano più tardi che hanno portato le api ad uscire in volo per molti giorni, con conseguente incremento di consumo in miele (e purtroppo anche di api). Per quella grossa fetta di apicoltori che tengono le api nei nuclei in inverno, il posizionamento del candito risulta spesso difficoltoso, soprattutto se si considera che il candito fuori dall’alveare risulta estremamente freddo rispetto alle necessità delle api.
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Anche la sostituzione di favi, risulta spesso odiosa e difficoltosa in inverno, in special modo quando le famiglie occupano buona parte dei favi. Allora, se la “vecchietta” è stata previdente, potrà procedere alla posa di un melario in polistirolo da nucleo, previo posizionamento della griglia escludi-regina, collocando all’interno alcuni favi da melario tenuti da parte proprio per queste situazioni (ma anche come favi da utilizzare in occorrenza per la didattica, in attesa delle nuove produzioni). Allo stesso modo, si potrà utilizzare il melario per posare una generosa porzione di candito a contatto dei favi praticando un’apertura
nella busta, senza toglierlo quindi dall’involucro che ne preserva le caratteristiche evitandone l’eccessiva asciugatura. Gli spazi vuoti, se eccessivi, possono essere occupati da materiale di coibentazione. Questa operazione, ci permetterà di affrontare la seconda parte dell’inverno, quella divenuta con sempre più frequenza “fredda”, con la giusta tranquillità. Nonostante siano cambiate notevolmente le condizioni climatiche, taluni consigli, come quello della Befana, sono rimasti preziosi! Buon lavoro Alberto Guernier
AGENDA LAVORI. NORD
INVERNO: VIETATO OZIARE
ANCHE CON IL FREDDO, L’APICOLTORE PREVIDENTE SORVEGLIA L’ANDAMENTO DEGLI ALVEARI di Maurizio Ghezzi
IN QUESTO PERIODO UN ALVEARE PUÒ PERDERE
Foto Maurizio Ghezzi
FINO A 1 KG
S
eduto in faccia al tepore che sprigiona dal fuoco del caminetto della mia casa in quel di Limontasca, ridente località Lariana che domina dall’alto dei suoi 700 mt quel ramo del lago di Como, mentre fuori tutto intorno è solo freddo e neve pensavo: “che noia l’inverno per noi apicoltori”. Ebbene si, è proprio così gennaio è il primo vero mese in cui l’inverno inizia a dettare le sue regole, anche se paradossalmente è il periodo in cui una nuova stagione apistica sta per volgere al suo inizio. Con lo sguardo assorto verso il fuoco mi rendo conto che questo
mio dolce oziare, comunque, non deve essere la scusa che giustifica il mio allontanarsi dagli “amati” alveari. Penso che questo sia il periodo in cui non si debba smettere di sorvegliare l’entrata dei nostri alveari e, qualora ve ne sia bisogno, si debba provvedere anche a liberarla dalla neve. Le giornate iniziano lentamente e progressivamente ad allungarsi, con “non chalance” inizieranno a fare capolino sugli alberi e nei prati anche le prime fioriture di stagione; mentre all’interno dell’alveare le colonie continuano a proteggersi dal freddo consumando le proprie riserve di cibo. È vero, penso sornione, probabilmente l’inverno si rivela essere - per l’attività di noi apicoltori - un periodo tranquillo ma non per questo dobbiamo abbandonare all’oblio la nostra professionalità. Manteniamoci attivi, ricordiamoci di compiere di tanto in tanto delle passeggiate di “sorveglianza” in apiario per controllare che tutto vada secondo previsione. Per il resto non sarà deplorevole rilassarsi un pochino, magari dedicandosi anche alla lettura delle riviste e dei libri di apicoltura che abbiamo ricevuto, come doni preziosi sotto l’albero di Natale. Per chi, quasi in modo maniacale, 1-2/2019 | Apitalia | 13
AGENDA LAV ORI. NORD fosse abituato a pesare ogni mese i propri alveari, non sarà difficile rilevare una riduzione di peso che può variare fra i 500 g ed il kg, e che tale riduzione vada ad aumentare progressivamente già nel primo mese dell’anno per poi incrementare ulteriormente a febbraio. In base a quanto detto, diviene molto importante non dimenticarsi di monitorare le riserve di candito posizionate a dicembre e, qualora le si debbano integrare, è sempre meglio farlo mettendo dei “pani” addizionati con polline o proteine e questo anche se gli alveari hanno un buon peso. In tal modo le api consumeranno il candito come riserva di miele senza andarlo a stivare nell’alveare; risparmieranno, così, le riserve di polline e miele che si riveleranno essere per loro molto preziose nel proseguo della stagione, soprattutto se il prossimo aprile riserverà lunghe giornate di pioggia o di freddo imprevisto. In una eventuale tale situazione, con colonie in pieno sviluppo e crescita, se le api non potranno uscire per bottinare, rischieranno di non avere riserve sufficienti a soddisfare il dispendio energetico richiesto in questa delicata fase. Nelle zone con clima più favorevole, se la stagione procede come deve, la covata molto probabilmente riapparirà già a metà inverno (un po’ più precocemente nelle calde regioni del sud). L’allungarsi delle giornate e dello splendere del sole, con un irraggiamento di luce più “vivace” che raggiunge l’interno 14 | Apitalia | 1-2/2019
dell’alveare, passando attraverso la porticina di volo, stimola le api che inizieranno ad aumentare il consumo di miele e polline e a produrre più gelatina reale per indurre la regina a riprendere la sua covata. In una bella giornata tiepida con un buon sole, se ne avremo la voglia, per valutare la forza della famiglia, potremo appoggiare la mano sul pianale del coprifavo, dopo aver rimosso il tetto, e apprezzando un piacevole tepore potremo essere certi che all’interno si troverà una famiglia forte e vigorosa, pronta a riprendere con efficacia la sua attività agli albori della primavera che verrà. Se il tempo lo permette e se non l’abbiamo ancor fatto, dedichiamoci a pulire lo spazio circostante alla postazione, liberandolo dai rovi e dalle sterpaglie; queste operazioni potrebbero rivelarsi complicate una volta che l’attività della famiglia è ripartita. La vegetazione incolta in prossimità dell’apiario è il nostro principale nemico: non dimentichiamoci che, in piena stagione, la schiena dell’apicoltore soffrirà là dove una
“carriola” non riuscirà a passare. Fra le tante cose da fare, ora è decisamente giunto il momento di dedicarsi alla preparazione delle nuove arnie e dei melari, alla loro pulizia, alla disinfezione ed, eventualmente, alla loro pittura ricordandosi però che non esistono, in commercio, prodotti miracolosi che possano garantire una buona protezione ad un legno di cattiva qualità. Se invece pensassimo di voler acquistare nuove arnie, meglio sarebbe indirizzare le nostre scelte verso quelle costruite con un legno di buona qualità: forse avremo una spesa maggiore ma, sicuramente, dopo tanti anni avremo arnie ancora in buono stato. Non lesiniamo sulla qualità dei materiale, a meno che non serpeggi in noi il sospetto che l’apicoltura possa essere una passione fugace, come quella che nutre un bambino nei confronti del suo nuovo pesce rosso, ossia destinata a risolversi entro breve tempo. Non abbiamo arnie da risistemare? Dedichiamoci allora alla disinfezione di quelle che potrebbero servici con l’avanzare della nuova stagione. Potrebbe, semplicemente, fare al caso nostro l’utilizzo di un saldatore a fiamma con il quale bruceremo, a fuoco vivo e vigoroso, l’interno dell’arnia per eliminare - oltre ai comuni germi - anche eventuali spore della peste che muoiono ad una temperatura di 140 °C (io continuo a “fiammare” finché il legno non inizia ad imbrunire). Maurizio Ghezzi
AGENDA LAVORI. NORD-EST
VARROA: È SEMPRE LA SOLITA STORIA
UNO SPECIALE DI APITALIA DI 30 ANNI FA, DELINEAVA UNO SCENARIO MOLTO SIMILE AI GIORNI NOSTRI di Giacomo Perretta
PROMUOVIAMO LA COLLABORAZIONE CON LA RICERCA
A
nno nuovo vita nuova. In realtà ogni anno è simile al precedente, potrebbe cambiare solo se fossimo noi ad agire e pensare diversamente. Questo incipit fa da filo conduttore all’introduzione di questo articolo. Ho il difetto di essere molto disordinato e di tanto in tanto mia moglie mi obbliga a riordinare la mia goliardica Hobby Room, così chiamo una piccola casetta in legno che da tantissimi anni è il mio regno e il mio rifugio.
E così, durante le Feste, mentre cercavo di mettere ordine, mi è capitato tra le mani un faldone con scritto sul dorso: “documenti di apicoltura importanti”: all’interno una vecchia rivista, uno speciale di Apitalia, a quei tempi quindicinale, datato 1-15 febbraio 1986. Incuriosito, ho iniziato a leggere e mi sono accorto che pur essendo passati oltre trent’anni, il concetto espresso dall’autore di queste “Nuove acquisizioni sulla biologia dell’acaro” (ovviamente della varroa) non sono cambiate. Nessun anno nuovo e perciò nessuna vita nuova. Nell’articolo, l’autore Raffaele Bozzi “Stazione Sperimentale di Apicoltura Serravalle Pistoiese”, facendo riferimento all’arrivo della varroa in Italia, appena cinque anni prima, si rammarica perché “nulla è cambiato e gli apicoltori sono ancora disorientati”… purtroppo aggiungo: ancora oggi lo siamo. Il motivo è forse da ricercarsi nel fatto che l’approccio verso questo acaro non sia cambiato. Ci siamo adagiati sull’impossibilità di vincerlo e le continue ibridazio1-2/2019 | Apitalia | 17
AGENDA LAVORI. NORD-EST ni delle regine certo non aiutano. Bozzi, in queste pagine, accusa con toni neppure troppo velati, i protagonisti attivi e passivi, partendo dagli accademici che utilizzano le tematiche come “pretesti oratori” piuttosto che “come mezzi” da mettere a disposizione degli apicoltori; la sua accusa non risparmia la stampa specializzata il cui silenzio si limita ad una mera funzione di attesa, l’accusa è rivolta quindi alla scarsa attenzione di questi protagonisti verso gli apicoltori e le associazioni. Era come se stessi leggendo un articolo scritto oggigiorno. Non concordo, però, sul fatto che le associazioni e gli apicoltori siano assoggettati a questi protagonisti: oggi sicuramente non è più così. Parimenti non credo che la ricerca sia inerte: molti ricercatori hanno lavorando su input che arrivano dagli apicoltori, come dimostrano le loro molte proposte. È altrettanto vero che la ricerca scientifica in Italia, unica via per lo sviluppo di un’apicoltura moderna, è poco finanziata e purtroppo alcune associazioni non sembrano porre attenzione a questo aspetto; il loro comportamento dimostra, invece, una visione dell’apicoltura limitata alla propria condizione associativa, anche se le richieste di contributi per il miglioramento delle tecniche apistiche e le attività degli apicoltori sono altrettanto legittime e importanti. La “distrazione” di queste associazioni separa le due anime dell’apicoltura, quella tecnico-pratica e quella scientifica; dovrebbero essere le stesse organizzazioni di apicoltori a farsi promotrici della 18 | Apitalia | 1-2/2019
ricerca, stimolando gli apicoltori ad una più partecipata collaborazione con le parti scientifiche. La contrapposizione fra le parti non giova alla causa dell’apicoltura; talvolta si ha l’impressione che tutto il loro vociare sia finalizzato alla semplice richiesta di un piccolo contributo per l’acquisto di questo o quell’altro prodotto da distribuire ai loro soci. Parafrasando il celebre versetto del sommo Dante, mi vien da dire “L’euro che move il sole e l’altre stelle”. Ma voltiamo pagina. PICCOLI INTERVENTI E ATTENZIONI Finite tutte le feste siamo pronti per iniziare il nuovo anno, ma è ancora presto per lavorare in apiario, non abbiate fretta, la fretta è cattiva consigliera. Bisognerà prestare attenzione in questa fase iniziale ad ogni piccolo intervento, il periodo è particolarmente delicato.
Dopo la metà di Gennaio le api, complice la luce, con l’allungarsi delle giornate cominciano ad agitarsi: la regina inizia, se pur con cautela, la sua funzione di deposizione delle uova e le api si affretteranno ad alimentare le piccole ma voraci larvette. È difficile prevedere il tempo atmosferico, sembra però che l’andamento nel nostro Nord-Est ci porti un inverno caldo, perciò attenzione al vostro lavoro. Se la temperatura, come previsto, sarà superiore alla media, bisognerà prestare particolare attenzione all’alimentazione, le larvette sono molto fameliche, consumano moltissime scorte. Andiamo per ordine: • avete fatto il blocco di covata invernale come ho descritto nel numero 11 di Apitalia? Allora non avrete problemi, la regina bloccata nel suo telaino non ha possibilità di deporre; l’intervento sublimato o gocciolato con
sublimato. Non serve che disquiApiBioxal eseguito dopo l’ingabsisca sulla controversia delle idee biamento della regina e la nascita di tutte le api vi lascia tranquilli. sullo sforchettamento, queste sono facilmente intuibili. Qual• avete eseguito il trattamento a cuno utilizza la tecnica dell’enovembre in conseguenza al strazione del telaino sulla quale blocco di covata naturale? Allora è presente la covata opercolata, le cose cambiano. Adesso ipotizziamo un inverno non troppo in questo modo si evita l’eccessivo lavoro di pulizia alle api in un freddo, la regina ha sempre deperiodo che a causa delle basse posto anche se poco: alla fine di temperature non è sempre progennaio avrà una piccola rosa di pizio. Chi non condivide per vari covata. Da qualche anno è in atto motivi queste tecniche si affida un acceso e controverso dibattito alla tecnica del sublimato ogni sulla tecnica dello “sforchetta5-6 giorni per 4 volte; la magmento”, una pratica che utilizza gioranza degli apicoltori confida la forchetta disopercolatrice per nella buona pulizia effettuata a aprire la covata facendola morinovembre. re, così facendo avremo tutta la varroa vulnerabile all’Apibioxal Penso che si potrebbe arrivare ad
utilizzare le tecniche dei due blocchi di covata: estivo e invernale, con soddisfacenti risultati. Non so come svilupperà la tecnica del blocco di covata invernale, se ci sono stati o ci saranno delle sperimentazioni ufficiali su larga scala, ma sono certo che l’uso di queste due tecniche potrebbero dare risposte interessanti. Posso solo usare il condizionale! Magari potrebbe partire dai lettori di Apitalia il lancio di una proposta di sperimentazione tra gli apicoltori per blocco di covata invernale. Buona annata apistica Giacomo Perretta
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AGENDA LAVORI. CENTRO
OSSERVIAMO L’INVERNO
VISITIAMO GLI ALVEARI IN PREVISIONE DELLA PROSSIMA STAGIONE PRODUTTIVA di Tecnici APAM
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mi di scorte che sono stati registrati fino a tutto il mese di dicembre, a causa dell’ininterrotta attività delle api che, come si dice in gergo, hanno continuato a volare e, quindi, a consumare. In questo periodo, dunque, in occasione di giornate soleggiate e durante le ore centrali (insomma quando la temperatura è decisamente superiore ai 12/14 °C), ci dobbiamo recare in apiario ed osservare le porticine di volo ed i vassoi delle arnie, per effettuare le prime valutazioni, con adeguata approssimazione, sullo stato sani-
IN QUESTO PERIODO EVITIAMO VISITE TROPPO APPROFONDITE
Foto Walter Pace
hiaccio, neve, pioggia quest’anno non mancano. Il “Generale inverno” si è presentato con tutte le carte in regola. Le api, però, stavolta si sono fatte trovare pronte a fronteggiare i rigori invernali. Dunque glomeri composti da api sane (nate e cresciute in un ambiente disinfestato dalle terapie estive), ben nutrite (grazie alle importanti fioriture autunnali che hanno offerto abbondanti disponibilità di polline - edera ed inula in testa), circondati da scorte adeguate (grazie all’allungamento del periodo di bottinatura dovuto alle particolari e favorevoli condizioni meteo di tarda estate e autunno). Tutto ciò non significa essere autorizzati ad abbassare la guardia. Anche quest’anno, infatti, gli elementi di criticità non mancano. La varroa innanzitutto. Il fatto che fino a novembre inoltrato negli alveari si è registrata la presenza di covata molto estesa, che pure ha favorito la nascita di molte api invernali sane, ma ha anche offerto agli acari la possibilità di continuare a riprodursi, inficiando di fatto l’efficacia dei trattamenti estivi effettuati. Ma sono da tenere sotto controllo anche i maggiori consu-
tario delle nostre api. Il fotoperiodo che incomincia a virare verso la primavera (con relativo stimolo della ripresa della ovodeposizione delle regine) e le fioriture dei noccioli che portano i primi pollini (si incominceranno ad osservare api che rientrano con le pallottoline di polline attaccate alle cestelle delle zampe posteriori) possono fornirci elementi di conoscenza sulla presenza e sulla efficienza delle regine. Così come l’analisi dei residui che troviamo nei vassoi ci può indicare la consistenza della famiglia (la parte di vassoio coperta da residui rappresenta la proiezione del glomere, dunque la sua ampiezza ci può dare un’idea della consistenza del glomere e conseguentemente della famiglia); anche la natura dei residui può fornirci indicazioni utili. In tal senso l’osservazione dell’entità della caduta naturale della varroa, piuttosto che resti di api e residui di cera da opercolo, può fornirci indicazioni sulla condizione generale dell’alveare. Se le condizioni meteo lo consentono, in occasione di questi primi controlli di stagione, possiamo anche procedere all’apertura dei coprifavi per valutare più attentamente la consistenza del glomere (ai soli fini conoscitivi), l’entità e la consistenza ed il posizionamento delle scorte. Tali osservazioni, in linea generale, ci sono utili per conoscere meglio i comportamenti e le caratteristiche delle api che alleviamo. Informazioni che possiamo utilizzare per la programmazione dei piani di lavoro. L’unico dato, invece, che ha immediati riflessi pratici, è quello delle scorte. Se ci
Variazione del volume del glomere invernale al variare della temperatura esterna. Più bassa è la temperatura esterna e minore è il suo volume. (Immagine tratta dal volume “Le Api”, Alberto Contessi, Edagricole)
rendiamo conto che essi non sono sufficienti, tenendo ben presente che da questo momento in poi, con lo sviluppo della famiglia e l’aumento della presenza della covata, ci sarà un proporzionale e significativo incremento dei consumi alimentari, dobbiamo intervenire senza essere avari, sia in termini quantitativi che qualitativi. Quindi affrettiamoci a somministrare i pani di candito (non proteico) laddove necessario facendo molta attenzione alla qualità del prodotto che scegliamo di utilizzare. Non sempre, per non dire mai, la scelta migliore corrisponde al prodotto dal prezzo più basso. Problemi legati alla presenza di amido, alle tecniche di lavorazione che prevedono l’utilizzo di temperature troppo elevate con innalzamento oltre i livelli di guardia dei valori HMF (idrossimetilfurfurale), qualità e tipologia degli zuccheri utilizzati, sono tutti elementi che
possono incidere in maniera significativa sul prezzo ma anche sugli effetti sulle api. C’è un detto molto conosciuto tra gli apicoltori che ricorda che le api ci restituiscono sempre tutto ciò che dai loro. Nel bene come nel male. Dai tanto e di qualità. Loro ti restituiscono tanto e di qualità. Diversamente dovrai accontentarti. È bene ricordare ciò che abbiamo detto e ripetuto: nella fase invernale è sbagliato, addirittura dannoso, somministrare alimenti di origine proteica. Per quanto riguarda le attività di apiario, è opportuno ricordare che al di là delle operazioni minime che abbiamo già descritto, in questa fase dobbiamo evitare di effettuare visite approfondite agli alveari con ispezione dei favi. Le condizioni ambientali sono ancora difficili e tali da non consentire alle api di svolgere attività di ripristino delle difese strutturali (ponti di cera o 1-2/2019 | Apitalia | 21
AGENDA LAVORI. CENTRO
tappi di propoli che, ad esempio, costruiti per difendere l’alveare dagli spifferi di aria fredda) che verrebbero inevitabilmente danneggiate dalle ispezioni complete. Anche perché noi non dovremmo mai dimenticare che le pratiche apistiche andrebbero limitate al minimo indispensabile, in quanto spesso sono in contrasto con i delicati equilibri che il superorganismo alveare con tanta fatica, per le difficoltà di adattamento ai profondi cambiamenti di contesto che devono affrontare, costruisce nell’ambito delle proprie attività biologiche. Dunque quando dobbiamo intervenire, lo dobbiamo fare a ragion veduta e con degli obiettivi concreti ben specifici, non per soddisfare semplicemente la nostra curiosità. Impariamo a rispettare le api anche in questo senso. Ad inizio anno, come un po’ in tutti i mesi invernali, viste le limitate operazioni da fare in apiario, possiamo continuare a dedicarci alle 22 | Apitalia | 1-2/2019
vendite del miele. Gli apicoltori che praticano la vendita diretta oggi comprendente sia la vendita presso l’azienda apistica, che quella intinerante e quella online - non hanno registrato alcuna flessione delle movimentazioni e neanche delle quotazioni dei prodotti. Gli apicoltori, invece, che vendono prevalentemente all’ingrosso all’industria del confezionamento hanno visto le quotazioni del miele subire un significativo ridimensionamento rispetto agli ultimi anni oltre che vivere qualche difficoltà relativa proprio alla collocazione del prodotto stesso. Va detto che questa tendenza viene registrata un po’ in tutta Europa, come ad esempio nella vicina Francia, dove addirittura il prezzo all’ingrosso del millefiori è crollato, tornando indietro di diversi anni. Piccoli segnali che però non devono sfuggire all’apicoltore attento, soprattutto in un’ottica futura di medio-lungo periodo. La
strada del prodotto diversificato per qualità appare ancora di più una scelta obbligata per chi vuole costruirsi un domani in apicoltura. L’apicoltura biologica (adeguatamente normata) piuttosto che l’apicoltura sostenibile (argomento da sviluppare e codificare per renderlo utilizzabile), legando in maniera trasparente e tracciabile i relativi prodotti alla professionalità degli apicoltori italiani, alla elevata sicurezza alimentare garantita dalla rigida normativa nazionale, alla straordinaria ed unica biodiversità del potenziale mellifero dei nostri territori, alla capacità del nostro esclusivo patrimonio apistico rappresentato dall’ape italiana - unica razza capace di produrre miele “naturalmente” in sinergia con il territorio e l’ambiente circostante, dovranno essere i temi intorno ai quali sviluppare il confronto all’interno del mondo apistico per inquadrare le politiche di tutela e sviluppo dell’apicoltura 4.0.
ASCOLTARE L’ALVEARE Utili indicazioni su ciò che avviene all’interno di un alveare, senza bisogno di aprirlo, possono essere dedotte dall’osservazione scrupolosa delle porticine di volo degli alveari, ma non solo. Eventuali comportamenti anomali quali saccheggi, violenti o latenti, presenza di deiezioni sulla porticina di volo o sulla parete frontale, prime pallottoline di polline sulle api in rientro nell’alveare, daranno utili indicazioni sia sulla forza della colonia sia sul suo stato sanitario. Anche un ascolto del brusio proveniente dall’alveare, o un’attenta analisi del vassoio di fondo, potranno integrare la diagnosi ed evidenziare lo stato della colonia. Un insieme di osservazioni, con le relative spiegazioni, suddivise in base al periodo dell’anno, sono riassunte in questo interessante volume.
In conclusione, ci avviciniamo velocemente alla nuova stagione produttiva. I presupposti sono migliori di altri anni, visto l’andamento “ordinario” della stagione invernale e le condizioni medie degli alveari all’invernamento. Pianifichiamo le attività, programmiamo le strategie aziendali, ma non dimentichiamoci mai che le nostre api non sono e non saranno mai animali domestici, totalmente dipendenti dalle nostre tecniche, in quanto sono e dovranno rimanere animali selvatici allevati. Buona apicoltura a tutti Tecnici APAM Associazione Produttori Apistici Molisani
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AGENDA LAVORI. SUD
LA GESTIONE INVERNALE DELL’APIARIO
LE API ORAMAI IN LETARGO DOVREBBERO CONSENTIRE ALL’APICOLTORE UN MERITATO RIPOSO. NON È COSÌ di Santo Panzera
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iamo in pieno inverno e, con le nostre famiglie di api ormai in letargo, possiamo dormire sonni tranquilli solo se abbiamo lavorato bene e con la dovuta perizia tecnica, invernandole con sufficienti scorte, ripulendole dalla varroa e riducendo opportunamente la quantità di favi a quelli realmente presidiati dalle api nel nido invernale (l’Aethina tumida è purtroppo sempre in agguato). In particolare, durante il mese di gennaio, che in Calabria è generalmente quello più freddo, i nostri apiari sono privi della straordinaria vitalità che generalmente li circonda; il freddo, la pioggia e l’assenza di movimento di api sui predellini ci inducono a rilassarci ed a ritagliarci qualche periodo di meritato riposo. Risulterà però alquanto difficile “staccare la spina” completamente e distogliere i nostri pensieri dalle tanto amate api; probabilmente ci interrogheremo se le nostre apine, in giornate dal freddo pungente, avranno cibo a sufficienza per riscaldarsi o staranno soffrendo a causa della nostra incuria.
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La nostra operosità in questo periodo si sposta dal campo aperto dell’apiario al chiuso del laboratorio e del magazzino, dove c’è sempre una gran quantità di lavoro da fare e ci attendono operazioni che, in molti casi, risultano noiose o sgradite; però solo il lavoro, svolto con cura ed amore in questi mesi freddi, ci permetterà di gestire i materiali e le attrezzature opportunamente preparate, quando poi, a questa relativa quiete, subentre-
ATTENZIONE AL PICCOLO COLEOTTERO
Un alveare con trappole per Aethina tumida.
ranno i ritmi frenetici della stagione attiva. Infatti in apicoltura devono essere intrapresi con largo anticipo rispetto alle scadenze primaverili operazioni come: pulizia dei melari dalla cera e dalla propoli; eliminazione dei favi vecchi; fusione della cera mediante la sceratrice a vapore; montaggio dei telaini da nido e da melario; pulizia e sterilizzazione col calore degli escludiregina; risistemazione di vecchie arnie. Nelle lunghe serate invernali, trascorse al caldo del fuoco del camino, anche alla luce delle nuove patologie alle quali bisogna far fronte, come l’aethinosi, si è indotti a riflettere sul nostro atteggiamento verso le api, sul prestare ascolto e prendere in considerazione, quasi con empatia, ciò che accade “oltre il fumo del nostro affumicatore”, le implicazioni pratiche e giornaliere che comporta il nostro allevare e prenderci cura delle api, sulla necessità di avere una nuova sensibilità verso le loro reazioni alle pratiche apistiche sempre più invasive che operiamo. Tutte queste riflessioni tendono ad indurci a migliorare quello
che facciamo e come lo facciamo, agendo sulle nostre api con amore e rispetto, privilegiando le buone pratiche apistiche e rifuggendo la tentazione di imboccare facili scorciatoie che condurranno inesorabilmente ad un vicolo cieco. Ad inizio anno, anche se le basse temperature non ci consentono di mettere il naso negli alveari, in una bella giornata di sole è bene fare un salto in apiario allo scopo di verificare l’efficienza delle protezioni dal freddo, in particolare il buon posizionamento delle porticine davanti gli ingressi ed inoltre valutare, senza aprire le arnie, la sanità complessiva del nostro apiario, attraverso l’attenta osservazione dell’entità del movimento delle bottinatrici in corrispondenza di ogni famiglia che, confrontato con il giudizio attribuito alla stessa in fase di invernamento, ci consentirà di definire con precisione eventuali anomalie (alveari molto deboli, saccheggiati o morti). Bisogna altresì valutare se
le scorte di miele siano sufficienti per permettere alle famiglie il superamento dell’inverno o debbano essere integrate; a tale scopo è necessario soppesare gli alveari, sollevandone la parte posteriore, e, per identificare gli alveari “leggeri”, risulta utile reggere un’arnia vuota, allo scopo di avere un oggettivo metro di giudizio; quanto sopra al fine di impedire di trovarsi con colonie morte per fame o in grande difficoltà ad inizio primavera, quando i consumi aumentano notevolmente all’aumentare dell’estensione della covata e risultano sempre possibili periodi prolungati di maltempo. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, i consumi invernali sono minori nelle zone con inverni freddi ed assenza di covata, come le aree interne della Calabria, dove le famiglie saranno per lungo tempo in glomere e magari sotto la neve, mentre invece risultano elevati nelle aree rivierasche, con inverni miti, dove le api pos1-2/2019 | Apitalia | 25
AGENDA LAVORI. SUD sono compiere voli di raccolta su crucifere, calendula ed acetosella, proseguendo con l’allevamento di covata. Qualora i nostri alveari abbiano scorte insufficienti, bisogna intervenire con la somministrazione di candito oppure l’introduzione di favi di miele. I favi di miele, di improbabile disponibilità dato il pessimo andamento produttivo dell’anno appena trascorso, se completamente pieni di miele, vanno utilizzati come un diaframma, in quanto il miele svolge anche la funzione di coibente termico in virtù dell’inerzia che lo caratterizza; quelli contenenti miele solo nella parte superiore, la corona, andranno inseriti al centro del glomere. Nella som-
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ministrazione del candito, prima di sistemare il panetto al di sopra del coprifavo, è necessario accertarsi che il glomere sia localizzato in corrispondenza del foro del coprifavo stesso, che le api cioè siano a contatto e possano raggiungere facilmente la fonte di cibo ed inoltre il calore e l’umidità, che si sviluppano con la respirazione delle api stesse, ammorbidiscono il candito a loro immediato contatto, rendendolo più facilmente assimilabile. I vantaggi legati all’uso del candito sono rappresentati oltre che dalla grande praticità, dal fatto che esso non provoca saccheggi, viene consumato dalle api im modo commisurato ai loro bisogni e non si corre il
rischio di trasmettere malattie. Nel glomere le api presentano una vitalità nascosta e silenziosa; esse si muovono, si scaldano, raggiungono le scorte alimentari; il tutto attraverso l’attivazione di meccanismi particolari che consentono loro di superare i rigori invernali. Infatti, a differenza di Apis florea ed Apis dorsata delle zone calde dell’Asia che si sviluppano su un favo unico, l’Apis mellifera dà vita ad un nido con favi multipli, molto più adatto alla regolazione termica, tanto da consentirle la sopravvivenza a latitudini più settentrionali. Il glomere, di forma generalmente ovoidale, risulta costituito da due parti: • un “mantello” esterno formato
da api serrate l’una all’altra con variazioni della temperatura da 7 a 13 °C, che individua uno strato isolante grazie all’aria imprigionata tra i peli dei toraci delle api accostate, limita la dispersione del calore e, si dilata o si espande quando la temperatura sale, mentre si restringe, aumentando così il suo potere isolante, quando il freddo diventa più intenso; • un “cuore” più interno, con temperatura più elevata, fluttuante dai 15 ai 33 °C ed inoltre inversamente proporzionale alla temperatura esterna , nel senso che col calar della notte o con l’ingresso di aria fredda dalla porticina , la temperatura esterna del glomere si abbassa mentre quella del cuore si innalza. Nel glomere le api hanno la testa in direzione della fonte di calore, cioè verso il centro, la loro temperatura non deve scendere mai sotto il livello minimo di 7 °C che induce il loro distacco, la caduta sul fondo ed il rallentamento del loro metabolismo fino al collasso. Le api sono in grado di produrre calore attraverso le rapide e ripetute contrazioni dei muscoli di volo
del torace, la cui temperatura può raggiungere i 43 °C; in particolare le api “termosifone” si trovano al centro del glomere, da qui innalzano la temperatura ad un livello tale che nessuna ape localizzata nel bordo esterno del glomere stesso scenda sotto i fatidici 7 °C e cada in collasso. Inoltre i glomeri grandi, costituiti da un buon numero di api, all’interno dell’arnia, cambiano forma e si spostano più facilmente e ciò agevola l’accesso delle api alle riserve alimentari, al contrario i glomeri formati da famiglie piccole non producono abbastanza calore da consentire il movimento del bordo del glomere necessario per raggiungere le scorte. Nella termoregolazione del glomere un ruolo chiave è giocato dai favi, infatti le api trasformano il favo munito di celle vuote in un vero e proprio pannello isolante in quanto, tappando con il proprio corpo lo spazio delle celle vuote, vi imprigionano aria; tutto ciò spiega la necessità di celle vuote nei favi di miele inseriti centralmente al glomere. Inoltre la nostra cara ape non scalda mai più di quanto necessario ed economizza al massimo
il calore prodotto, essendo in gioco la preservazione di se stessa e della propria longevità. È bene infine sottolineare la necessità di avere piena consapevolezza che l’ape è fraglile, tanto da fungere da affidabile termometro della salubrità del territorio; tale fragilità si è andata via via accentuando per una serie di fattori stressogeni come le nostre tecniche spesso “innaturali” di allevamento, la trasformazione del contesto agricolo ad indirizzo intensivo e monoculturale, la contaminazione del cibo con vecchie e nuove molecole, i cambiamenti climatici in atto, la comparsa di nuovi ed aggressivi parassiti come ad esempio Aethina tumida; in questo quadro a dir poco desolante, in cui la “misura” o per meglio dire l’arnia è colma, ogni goccia, ogni ulteriore evento stressogeno, indotto anche inconsapevolmente, potrebbe essere quello che fa “traboccare il vaso” o meglio l’arnia; urge quindi essere sempre più allevatori sapienti e coscienziosi, capaci di prevenire la caduta nell’arnia di quella fatidica goccia. Santo Panzera 1-2/2019 | Apitalia | 27
AGENDA LAVORI. ISOLE
L’INVERNO CHE NON C’È
L’ANDAMENTO CLIMATICO IMPEDISCE LA SOSTA VEGETATIVA E LA SUCCESSIVA FIORITURA È ASCIUTTA di Vincenzo Stampa
SORVEGLIAMO LO SVILUPPO
Foto Vincenzo Stampa
DELLE FAMIGLIE
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a circa un mese il giorno si allunga come dice un adagio Siciliano “da Santa Lucia a Natale, quanto un passo di cane; da Natale all’Anno Nuovo, quanto un passo d’uomo”. Per molte piante, in special modo per i fruttiferi, è l’inizio di un processo metabolico che porterà alla fioritura, in fatti sono le ore di luce che stimolano l’attivazione dell’ormone florigeno. Ma questo non basta per avere una fioritura produttiva per le api, come dicono gli agronomi, in modo sem-
plificato per i non addetti ai lavori, tutte le piante hanno bisogno di una “quota di freddo” come propedeutico alla ripresa vegetativa. Di anno in anno sempre di più diminuisce la coincidenza tra le stagioni astronomiche e quelle metereologiche, il “generale inverno”, che ha aiutato la Russia a vincere le guerre, ritarda progressivamente ad arrivare e questo ha delle conseguenze negative sulla fisiologia delle piante, ne abbiamo avuto un esempio lo scorso anno quando a causa di un inverno mite i mandorli e gli agrumi si sono presentati con fioriture splendide ma per niente visitate dalle api. Il fenomeno si nota di più osservando il comportamento di piante, non endemiche, che vegetano bene in pieno campo a queste latitudini, arrivando anche a fiorire, come ad esempio alcune cactacee, ma mai fruttificando come invece si è verificato quest’anno (Foto 1). Intanto, le piogge abbondanti e la temperatura mite agevolano le fioriture di stagione: acetosella, Brassica fruticulosa, borragine, da cui le api traggono principalmente polliFoto 1 - Cereus repandus.
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AGENDA LAVORI. ISOLE Foto 2 - Polline bianco di borragine, polline giallo di brassica, polline ruggine di acetosella.
ne che stimola lo sviluppo della covata e fa consumare scorte di miele. (Foto 2). L’acetosella ha un comportamento particolare, la corolla del fiore rimane chiusa fintanto che non viene stimolata da una insolazione diretta, un comportamento indipendente dalla temperatura (Foto a lato). Le fioriture produttive sono ancora molto lontane ma possiamo sfruttare il momento, sostenendo l’attività degli alveari con l’apporto di candito, per fare crescere la popolazione con lo scopo, ad esempio, di produrre sciami per il servizio d’impollinazione. Diversamente, se l’obiettivo è la produzione di miele, ci limitiamo a sorvegliare lo sviluppo delle famiglie in attesa di mettere in atto un intervento stimolante successivamente. Vincenzo Stampa
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PRATICA
LA SCIAMATURA PROGRAMMATA
UNA TECNICA CHE PERMETTE DI CONTROLLARE IL FENOMENO NATURALE IN ANNATE DIFFICILI di Giorgio Della Vedova
COME RINNOVARE IL PATRIMONIO APISTICO
Foto Fabrizio Badoni
DELL’APIARIO
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a sciamatura è un fenomeno naturale che porta alla suddivisione dell’alveare in una o più parti. Solitamente, in assenza di controlli da parte dell’apicoltore, circa metà o più delle api dell’alveare sciama con la regina vecchia. Nella famiglia di partenza, al momento della sciamatura, sono presenti numerose celle reali da cui possono emergere diverse regine vergini. In certe condizioni di forte “febbre sciamatoria” ci possono es-
sere ulteriori sciamature con regine vergini. Per controllare questo fenomeno, l’apicoltore deve adottare le tradizionali tecniche, quali la distruzione periodica delle celle reali, il taglio delle ali della regina, il salasso artificiale e altri metodi di contenimento. Tuttavia, in annate particolarmente “sciamatorie”, a causa di condizioni meteorologiche avverse e del susseguirsi rapido e anticipato delle fioriture, tali sistemi risultano del tutto inefficaci ad impedire la sciamatura che negli ultimi anni avviene proprio in occasione delle grandi fioriture, con pesanti ripercussioni sulle produzioni di miele. Uno dei metodi che permette di controllare la sciamatura è quello che potremmo chiamare “sciamatura artificiale programmata” elaborato da alcuni apicoltori friulani. In prossimità di una grande fioritura primaverile (ad es. acacia), soprattutto in certe annate, si registra il picco massimo di febbre sciamatoria. In questa fase, come ogni volta che si determina un forte flusso nettarifero primaverile, le famiglie raggiungono elevati livelli di popolazione. 1-2/2019 | Apitalia | 31
PRATICA Per ridurre le visite e limitare la sciamatura, poco prima della fioritura, la regina viene confinata in un’altra arnia (arnietta di 6 favi in polistirolo) con uno o due favi di covata, molte api giovani e miele. Il nucleo così costituito viene diaframmato e se necessario alimentato. L’arnietta di polistirolo, contenente il piccolo nucleo, viene posta a terra dinanzi all’alveare da cui sono state prelevate le api destinate alla formazione del nuovo nucleo. All’interno dell’alveare si distruggono tutte le celle reali eventualmente presenti. La famiglia così orfanizzata viene diaframmata su 8-9 favi. Dopo circa una settimana dal confinamento si effettua un’altra visita nell’alveare e si lascia una sola cella reale, segnando il favo in cui è collocata. L’escludiregina diventa superfluo fino allo sfarfallamento della nuova regina. Le api non vengono più visitate per l’intera durata della raccolta di miele: se nella visita che si effettua alla fine della fioritura l’alveare segnala una condizione di orfanità si inserisce la vecchia regina posta nell’arnietta di fronte, altrimenti si aspetta la fecondazione della nuova regina. Una volta iniziata la deposizione, si eliminano le regine fucaiole e di scarsa qualità, reinserendo le vecchie regine poste nei nuclei. I vantaggi di questa tecnica sono evidenti: a) sciamatura ridotta a zero durante la fioritura; b) sostituzione in buona parte degli d) produzione uniforme nella poun alveare in cui è presente la alveari della regina vecchia con stazione. regina; una nuova; Ci sono però anche degli svantaggi: b) diverse regine non si fecondano c) conservazione della regina vecchia a) il nido rimane “imballato” di soprattutto nelle postazioni per un eventuale suo riutilizzo; miele per più tempo, rispetto ad grandi; 32 | Apitalia | 1-2/2019
c) gli alveari subiscono una riduzione del numero di api per la produzione successiva; d) il metodo necessita di molto materiale apistico. Questo sistema può essere applicato su tutti gli alveari di un apiario o soltanto in quelli che sono in febbre sciamatoria. La modalità d’intervento fin qui descritta, inizialmente pensata per un drastico contenimento della
sciamatura, è stata modificata e utilizzata di recente alla levata dei melari per costituire un metodo altrettanto valido per il blocco naturale della covata e la costituzione di piccoli nuclei. Infatti, l’apicoltore una volta levati i melari toglie da tutte le famiglie forti la regina con tre favi di api (due di miele e api e uno costituito prevalentemente da covata non ricettiva per la varroa e api), che
disporrà in una cassettina di polistirolo. Il nucleo viene arricchito di api giovani e, collocato a terra dinanzi al suo alveare di origine rimasto orfano, trattato immediatamente con Api-Bioxal. L’alveare orfano provvederà naturalmente all’allevamento di celle reali. Il tempo necessario per lo sfarfallamento e la fecondazione della regina consentirà all’alveare di raggiungere l’assenza di covata e quindi l’apicoltore avrà la possibilità di effettuare un efficace trattamento varroacida con Api-Bioxal. Se l’alveare rimane orfano o la regina fecondata non è di buona qualità, si reinserisce la regina vecchia conservata nel nucleo. I nuclei rimasti potranno essere spostati, eventualmente riuniti e utilizzati nell’anno successivo come rimonta. Dopo un mese si consiglia di effettuare, perlomeno a campione, dei trattamenti acaricidi tradizionali per verificare il livello di infestazione ed evitare che problemi di reinfestazione causino mortalità impreviste. In questi ultimi anni la limitata efficacia dei Piani di Lotta ha portato la tecnica apistica ad assumere un ruolo di primo piano nella difesa del patrimonio apistico. Molti apicoltori hanno utilizzato sistemi “innovativi” di gestione dell’alveare finalizzati al controllo delle patologie e in particolare della varroa. Anche la sciamatura artificiale programmata è da ritenersi, a ragione, una delle tecniche apistiche ad elevato valore aggiunto per una corretta gestione e salvaguardia del patrimonio apistico. Giorgio Della Vedova 1-2/2019 | Apitalia | 33
LEGISLAZIONE
NUOVA NORMATIVA PER LA PRIVACY
CHI RACCOGLIE E GESTISCE DATI SENSIBILI DEVE CONSERVARLI CON LA MASSIMA CURA di Nicola Santoro
È
ormai pienamente in vigore il decreto legislativo sulla Privacy che ha introdotto disposizioni per l’adeguamento della relativa normativa nazionale a quella dettata dal Regolamento Europeo n. 679/2016; e che conferma l’obbligo, per chiunque possiede dati personali di altri, di trattarli “in maniera pertinente e non eccedente le finalità di gestione e amministrazione precisate al momento della raccolta degli stessi”. La relativa GDPR - General Data Protection Regolation - è una prescrizione che non si presta, purtroppo, a univoca interpretazione, con riferimento soprattutto al controllo dell’uso delle informazioni, spesso assai delicate. Non è immaginabile il numero di coloro che maneggiano milioni di dati che attengono non solo a fatti personali noti, ma anche ad altri particolarmente sensibili, riservati - relativi a salute, orientamento sessuale, opinioni politiche, religiose. Notizie e informazioni - che riguardano pressoché tutti - spesso “vendute” o comunque cedute e sfruttate, con danno per gli interessati. È impossibile fare l’elenco dei de34 | Apitalia | 1-2/2019
tentori di tali dati; un elenco che comprende medici di famiglia, notai, laboratori di analisi, ospedali, negozi, assicuratori, commercianti, alberghi ; né vanno dimenticati datori di lavoro, commercialisti, uffici - di tutti i settori - con i quali si hanno rapporti. Chi li acquisisce o gestisce deve operare con prudenza, limitandosi a raccogliere e conservare, con la massima cura, soltanto quelli oggettivi, quali: cognome, nome, documento d’identità, luogo e data di nascita, nazionalità, numero del passaporto, indirizzo postale, stato civile, numero di figli.
IL PROVVEDIMENTO RIGUARDA ANCHE L’ASSOCIAZIONISMO APISTICO
Se necessario, si possono acquisire e conservare anche quelli relativi a titolo di studio, codice fiscale, partita IVA, indirizzo di posta elettronica, numero del telefono cellulare. Maggiore prudenza deve essere riservata alle informazioni relative a salute e a quelle utili per la identificazione, quali - ad esempio - le impronte digitali; mentre è sicuramente opportuno astenersi dal chiedere notizie relative a origini razziali, opinioni politiche, credenze religiose, orientamento sessuale; salvo specifici, chiari obblighi di legge. Prudenza particolare impone la raccolta di dati che potrebbero indurre in tentazione per la loro utilizzazione: basti pensare alla entità dei risparmi, alle capacità e possibilità di spesa, alle abitudini alimentari, alle condizioni di salute. Non sarà facile - soprattutto per gli enti pubblici, condizionati da direttive e regolamenti spesso rigidi - organizzarsi adeguatamente per non incorrere in irregolarità. Tutti abbiamo ricevuto e continueremo a ricevere comunicazioni e “messaggini”, mediante i quali sia-
mo sollecitati a “metterci in regola” e a dichiarare di aver preso nota della nuova normativa e la sottoscriviamo, accettando il sistema della loro acquisizione, conservazione e utilizzazione e confermando i rapporti in atto. La firma degli interessati, non prevista dalla GDPR, ma suggerita dal D. Lgs. 196/2003, costituisce una precauzione, dovuta anche alla giurisprudenza, che dà per scontato che la firma sia il modo più affidabile per la certezza del consenso. È sempre più necessaria una nuova, adeguata organizzazione sia della Pubblica Amministrazione, a tutti i livelli, sia delle Organizzazioni, di tutti i settori, le quali si potranno dotare di DPO - Data Protection Officer - per il delicato, non facile trattamento delle informazioni
raccolte, ai fini del pieno rispetto della relativa normativa. Giova ricordare che il richiamato decreto legislativo consente la promozione, ad iniziativa del Garante, di modalità semplificate per le imprese piccole e medie; e va evidenziato che è un diritto delle persone fisiche sia di porre limiti per il tempo di utilizzazione e conservazione dei dati, sia di essere informati di eventuali violazioni che li riguardano, in dipendenza di illecito accesso ad archivi, cartacei o elettronici. Prescrizioni condivisibili, che comportano l’esigenza, per chi raccoglie e gestisce i dati, di conservarli mediante soluzioni che consentono la loro conoscenza soltanto a chi è esplicitamente autorizzato. Nicola Santoro
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PROFESSIONE APICOLTORE
L’ASPIRATORE PER SCIAMI
COME ESEGUIRE LE OPERAZIONI DI RECUPERO CON LA MASSIMA PRUDENZA E SICUREZZA di Massimo Cittadini
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a sciamatura è un fenomeno affascinante. Chi ha avuto modo di assistere all’uscita di uno sciame avrà notato come tutto si svolge nell’alternarsi di due fasi caratteristiche del comportamento delle api: quella centripeta, yang, di contrazione, quando le api si stringono l’una all’altra per formare il glomere; e l’altra quella centrifuga, yin, di espansione, quando volando formano una spettacolare nuvola ronzante di 10 - 20 mila api. Dopo 10 minuti le api iniziano a poggiarsi su un punto preciso, e dopo poco sono di nuovo in glomere strette l’una all’altra. In questa fase le api sono innocue, come addormentate e il recupero è semplice e la difficoltà dipende solo dal punto dove è poggiato lo sciame. Nei casi più complicati come, per esempio, con le api in glomere all’interno di un cespuglio, o su un ramo alto, o all’interno di un cassonetto di serranda, per portare a buon fine l’operazione di recupero, servirà più tempo. L’aspiratore per le api risulta allora uno strumento di grande aiuto, che consente il recupero veloce e sicuro delle api. La sua utilità ed efficacia dipende in ogni caso dal modo in cui si usa, dall’esperienza dell’apicoltore e dalla conoscenza del
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comportamento delle api, e inoltre dalle caratteristiche del modello di aspirasciami utilizzato.
È ANCHE POSSIBILE
OSSERVAZIONI SULLE CARATTERISTICHE DEGLI ASPIRATORI PER API Sulle riviste di apicoltura e su internet sono descritti diversi model-
SCIAMI IN GLOMERE
RECUPERARE
li di aspirasciami. Tutti funzionano sul principio del vuoto pneumatico creato da un motore aspiratore all’interno di un portasciami, dove attraverso un tubo vengono direttamente raccolte le api. Una prima distinzione è data dalla posizione diversa del punto di aspirazione, dove è collegato il motore, cioè la parete del portasciami, verso cui è diretta la corrente d’aria e le api. I vari progetti si distinguono poi per la presenza di particolari costruttivi importanti; i principali sono: la presenza di una camera di pre aspirazione; la potenza del motore e la possibilità di regolazione della forza aspirante; le caratteristiche del tubo utilizzato per aspirare le api; la presenza di dispositivi che frenano la traiettoria delle api. Questi elementi insieme, contribuiscono alla formazione delle correnti d’aria e dei vortici, e determinano la misura dello stress cui vengono sottoposte le api.
PUNTO DI ASPIRAZIONE Nella maggior parte dei modelli il foro di entrata delle api è posto sulla parete frontale in basso, a volte sulla stessa porticina d’ingresso. Molti modelli hanno il punto di aspirazione sulla parete opposta al foro di entrata. In questi casi la direzione dell’aria in entrata e in uscita è la stessa, e le api vengono pericolosamente proiettate sulla rete che separa il portasciami dal motore. In alcuni modelli per diminuire l’impatto la parete di fondo è inclinata, e le api finiscono su spugne o reti. Può essere presente una camera di pre aspirazione come elemento aggiunto dietro la parete di fondo. In altri modelli vediamo che le api sono aspirate dall’alto attraverso la camera di pre aspirazione costituita da una rete, dove le api non passano, e da una cornice che distanzia il coperchio. Il punto di aspirazione sta tra la rete e il coperchio, nello spazio creato dalla cornice. Questo
accorgimento, insieme alla direzione dell’ aria in entrata diversa da quella in uscita, diminuisce la forza d’urto al termine della traiettoria percorsa dalle api. Con l’aspirazione dall’alto, durante le operazioni di recupero, le api avranno più difficoltà a trovare un punto dove riunirsi in glomere. Nel terzo gruppo il punto di aspirazione sta sotto il portasciami. La rete del fondo costituisce il primo elemento della camera di pre aspirazione; sotto una cornice distanzia la parete di chiusura. Le due parti unite devono essere ermetiche; ogni ingresso d’aria diminuisce la forza di aspirazione in entrata. Subito all’esterno della camera di pre aspirazione può essere collegato direttamente un motore aspiratore o un aspirapolvere. Con il motore acceso l’aria passa attraverso il tubo di aspirazione, entra nel portasciami, supera il fondo con la rete che impedisce il passaggio delle api, passa
IL RECUPERO ALL’INPS Sede della Direzione Generale INPS in zona EUR, a Roma. Arriva una telefonata che ci segnala che da qualche giorno si trovano api morte nei corridoi all’ultimo piano dell’edificio, mettendo in allarme tutti gli impiegati. Dopo un breve sopralluogo ci accorgiamo che uno sciame si è insediato in un’intercapedine del muro perimetrale, a un’altezza tale che è impossibile recuperarlo passando dall’esterno. Fortunatamente rompendo una parte del controsoffitto del corridoio, tramite l’aspiratore descritto nell’ articolo, riusciamo a recuperare le api e togliere i favi naturali costruiti dalla colonia. Encomio solenne della Direzione Generale dell’INPS alla Federazione Apicoltori Italiani per il pronto intervento.
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PROFESSIONE APICOLTORE
nella camera di pre aspirazione agganciata sotto, e da questa esce aspirata dal motore o dall’ aspirapolvere. Anche in questo caso le direzioni dell’aria in entrata e in uscita sono diverse, in più le api salendo formano in poco tempo il glomere appese al coperchio, al riparo da correnti e vortici. Vediamo le caratteristiche degli altri componenti dell’ aspirasciami. La camera di pre-aspirazione crea un volume d’aria aggiunto tra il portasciami e il motore; limita la formazione dei vortici e la velocità della corrente d’ aria. POTENZA DEL MOTORE La potenza del motore deve essere adeguata a creare una forza aspirante all’ingresso del tubo di aspirazione che permetta un recupero abbastanza veloce ma sicuro per le api. In un aspirasciami dove le varie parti sono collegate 38 | Apitalia | 1-2/2019
senza grosse infiltrazioni d’aria, la potenza dovrebbe essere tra 400 e 600 W. La maggior parte dei modelli usano degli aspirapolvere completi; alcuni solo il motore elettrico; altri ancora usano motori a scoppio. TUBO DI ASPIRAZIONE Il tubo di aspirazione è il punto dove l’aria raggiunge la massima velocità, e questa sarà tanto maggiore quanto minore sarà il diametro del tubo. Per aspirare le api un diametro adeguato potrebbe essere tra i 50 e i 60 mm. La forza di aspirazione va regolata in base alla sezione del puntale utilizzato. In alcuni modelli sulle pareti del portasciami sono presenti altre aperture regolabili che servono per ridurre la forza di aspirazione, e formare correnti d’aria frenanti. Qualche parola sull’aspirasciami costruito dall’apicoltore S. Berti-
ni, che ha caratteristiche diverse dai modelli più utilizzati. Prende spunto da quello realizzato da M. G. Tantillo e R. Monaco, e di cui si parla su Apitalia (n° 5/2001). Le api attraverso il tubo di aspirazione finiscono in un sacco di rete di nylon che è all’interno di un bidoncino a cui è collegato un aspirapolvere. Le api nelle situazioni di stress preferiscono formare il glomere in alto, per questo motivo i telaini all’interno dell’aspiratore per le api, durante le operazioni di recupero non danno nessun vantaggio. Finito il recupero il portasciami deve essere facilmente sganciato dalle altre componenti per consentire un agevole e sicuro trasporto; deve essere presente un ampia rete per la ventilazione. Altri elementi da considerare sono: la prontezza nell’ utilizzo, la compattezza dei vari elementi, il peso, le dimensioni. In molti modelli le
varie componenti sono assemblate sul posto, e non sono trasportabili a spalla; quindi lavorando su una scala, sarà necessario provvedere a un appoggio sicuro e a prolunghe del tubo di aspirazione. La praticità d’uso e la prontezza di utilizzo dell’aspiratore per api è determinata anche dall’ accuratezza della costruzione anche nei dettagli che consentono di rendere veloce e sicura l’operazione di recupero, con meno stress anche per l’ apicoltore. L’aspiratore per api ha caratteristiche originali che lo rendono uno strumento indispensabile per il recupero veloce di sciami in ambienti urbani, o con un piccolo gruppo elettrogeno anche in campagna. È compatto, maneggevole, traspor-
tabile a spalla su scale e tetti, non uccide e non stressa le api. La sua utilità ed efficacia dipende dal modo in cui si usa, dall’ esperienza dell’apicoltore e dalla conoscenza del comportamento delle api. Con l’aspiratore per api è possibile recuperare uno sciame in glomere, anche in posizioni scomode, in pochi minuti, senza che le api se ne accorgano. Per i nidi già costruiti consente di diminuire la popolazione delle api, facilitando così il recupero dei favi. Questo modello ha anche la possibilità di utilizzo come soffiatore. Può essere utile per liberare i favi dalle api durante il recupero dei nidi già costruiti, o per far riformare il glomere in posizione più co-
moda e più compatta. Un apicoltore lo ha utilizzato per togliere le api dai telaini dei melari. È il risultato delle osservazioni e dei suggerimenti di coloro che già usano gli aspiratori per le api. Le caratteristiche dell’aspiratore, a confronto con altri modelli, e a tal fine sono molto utili e gradite le osservazioni di coloro che già usano aspiratori per le api. UTILIZZO • Collegare la prolunga elettrica. Per evitare che la presa si sganci passarla prima all’interno dello spago (2 giri), poi collegarla alla spina posta dietro la base-motore. • Collegare il tubo flessibile per l’aspirazione collegare il puntale
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PROFESSIONE APICOLTORE in dotazione o un altro adatto; se necessario collegare prima del puntale le prolunghe (tubi rigidi o flessibili adatti). • Aprire la porticina scorrevole d’ingresso. • Gli altri due ingressi d’aria hanno due funzioni: regolare la potenza di aspirazione, e formare correnti d’aria frenanti. Quella posta sulla parete opposta alla porticina ha prevalentemente un’azione frenante, quella posta accanto alla porticina diminuisce la velocità d’ingresso delle api nel portasciami, e inoltre sposta le api lateralmente evitando intasamenti che ostruiscono il passaggio. • Con le due griglie completamente chiuse la velocità dell’aria aumenta. In questo caso è possibile trovare nel portasciami api morte, oppure che hanno perso il pungiglione, o che hanno rigurgitato il contenuto della sacca melaria. All’inizio del recupero possiamo tenere quella laterale chiusa e quella opposta aperta 1 cm; per sciami grandi, verso la fine del recupero, è conveniente chiudere di più quella opposta e aprire di più quella laterale. Se applichiamo al tubo di aspirazione ta tempi lunghi per il recupero. cina, spegnere il motore, togliere in dotazione un puntale o una • Possiamo tenere le api dentro il tubo, togliere la cinta e sganprolunga che hanno un diamel’aspiratore spento per un peciare il portasciami dalla basetro inferiore, dobbiamo dimiriodo breve, senza pericolo. Per motore, trasportandolo così senuire ulteriormente la potenza soste prolungate possiamo apriparatamente. di aspirazione aprendo ancora re completamente le griglie, o • Il portasciami ha sul fondo una le griglie-ingresso aria. eventualmente sganciare il porrete che consente alle api di reÈ possibile tutta una serie di retasciami e sollevarlo dalla basespirare e di regolare la temperagolazioni intermedie per trovare motore. tura; durante il trasporto; non l’equilibrio che evita lo stress da • Finite le operazini di recupero, poggiare direttamente sul piano urti. Una velocità bassa comporbattere sultubo, chiudere la portiportabagagli il portasciami, ma 40 | Apitalia | 1-2/2019
api erano poche, oppure una MANUTENZIONE tenerlo leggermente sollevato parte si era staccata dal glomere, • Controllare regolarmente il filtro per consentire la circolazione dell’aria; lasciare aperte anche le potremmo trovare api immobiposto davanti al motore. Per puli sul fondo, o anche in piccoli griglie d’ingresso dell’aria. Non lirlo estrarlo tirando lo spago gruppi sulle pareti. Travasare il lasciare il portasciami al sole. verde; spolverarlo e se necessario glomere più grande, e scuotere il • Giunti in apiario, posizionare il lavarlo. Riposizionarlo tenenresto delle api sul coprifavo con portasciami nella postazione do sempre fuori una parte dello definitiva e aprire la porticina. il foro di accesso al nido aperto. spago per facilitare la successiva Lasciare le api esposte al sole, Già dopo un quarto d’ora/venti estrazione. eventualmente mettere qualche • Controllare le griglie di enminuti le api sono in gran parte goccia di miele vicino ai mucin glomere sotto il coperchio; il trata dell’aria nel portasciami, e chietti di api. mattino seguente il glomere sarà di uscita nella base motore. più compatto, e in genere trovia- • Qualsiasi ostruzione o bloccaggio • Per accedere al motore e al lato dell’ingresso dell’aria aspirata, mo tra le api un favetto o l’inizio interno della griglia di uscita o quello dell’aria spinta fuori in di costruzioni. aria, aprire lo sportellino sotto la uscita, causa sovrariscaldamento • Per il travaso bisogna spostare base-motore; anche il supporto del motore. Non lasciare il moun po’ il porta-sciami con le api del motore è fissato con delle viti. tore acceso per troppo tempo con • Quando necessario lavare il tubo e mettere al suo posto un’arnia; la porticina scorrevole d’ingresso si applica un po’ di fumo, si soldi aspirazione all’interno e all’echiusa. leva delicatamente il coperchio sterno con acqua e sapone neutro, mantenendolo orizzontale, por- • Per utilizzare l’aspirasciami come e risciacquare. soffiatore è necessario facilita- • Controllare regolarmente l’intetarlo sopra l’arnia posta accanto, re l’ingresso dell’aria verso la scendere con il coperchio vertigrità del cavo elettrico di alimenbase-motore. Dovremo quindi cale nell’arnia e con un colpo le tazione. sganciare e togliere il portascia- • Se le chiusure a scatto sono api cadono sul fondo dell’arnia. mi dalla base-motore e fissare A questo punto potremo inserire troppo lente, togliere le viti; nei i telaini. il tubo alla bocchetta di uscita fori inserire uno stuzzicadenti dell’aria. • Se la notte è stata fredda e le appena bagnato di colla. Pog-
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PROFESSIONE APICOLTORE giare le chiusure nella giusta posizione, segnare con un punteruolo i nuovi fori per le viti, e avvitare. • Carteggiare leggermente con carta abrasiva 150 o 180 la parte esterna della base motore e il portasciami; lavare con una spugna umida con acqua. Una volta asciutto ricarteggiare leggermente con carta abrasiva 180 o 220, e passare dell’olio (di lino crudo, o anche quello cotto) diluito con trementina al 50% (anche l’ acquaragia va bene). Il giorno seguente, con una spugna di gommapiuma strofinare con della cera d’api per mobili, facendo attenzione a non lasciarne una quantità eccessiva. Il giorno
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dopo, strofinare con un panno di lana. Per le pareti interne non è necessario carteggiare (per le api sono migliori le superfici leggermente ruvide); se necessario lavare con una spugna umida; dopo una leggera raschiatura, passare con un poco di olio senza diluente e verniciare con propoli sciolta in alcol al 94%. Per recuperare sciami a 8-10 m da terra utilizzare due tubi di prolunga rigidi (pvc arancioni da 3-4 m) collegati al tubo di aspirazione in dotazione. Oltre è difficile controllare e dirigere il tubo. Per effetto della forza di gravità la velocità nel tubo aumenta; è necessario quindi diminuire la potenza di aspirazione. L’aspirasciami è predisposto per es-
sere utilizzato trasportandolo a spalla. Si può utilizzare anche un tubo flessibile (fino a 10 m di lunghezza, 60 mm di diametro) collegandolo al tubo di aspirazione in dotazione (con raccordi o anche con nastro adesivo); usare solo la lunghezza di tubo necessaria, lasciando il percorso nel tubo il più lineare possibile evitando curve e saliscendi. Eseguire tutte le operazioni di recupero con la massima prudenza, utilizzando sistemi di sicurezza per prevenire incidenti e portare a buon fine, e nel modo migliore, il recupero delle api. Se necessario, chiedere consiglio e aiuto ad apicoltori con esperienza. Massimo Cittadini
BIOMONITORS
I NUMERI E LE API
UNA FAMIGLIA DI API RACCOGLIE IN 1 ANNO 800 KG DI NETTARE, 20 KG DI POLLINE E ALCUNI LITRI DI ACQUA di Nicola Palmieri
IL MONDO DELLE API? DIAMO I NUMERI!
I
n questo articolo spiegheremo approfonditamente le motivazioni per le quali l’ape mellifera è considerata un ottimo biomonitore, sia come indicatore biologico che come bioaccumulatore. Nello specifico, ci occuperemo di due aspetti che determinano le indubbie qualità di questo insetto nel suo impiego come biomonitore. Una di esse è un regalo di madre natura, una dote innata presente anche in altri insetti, mentre la seconda forse è il frutto del loro carattere e del loro modo esclusivo di essere api. Il primo risiede nelle
caratteristiche fisiche e morfologiche dell’ape mellifera, mentre il secondo si manifesta nell’etologia o nel comportamento di questo insetto. Il miglior modo per spiegarlo è attraverso i numeri, un aspetto ricorrente nella vita delle api sia nei singoli individui che che nella comunità, espressione di una complessità davvero particolare al punto di essere considerata un “Super Organismo”. I numeri quindi ci permettono di comprendere meglio il grande potenziale che le api hanno come biomonitori della salute ambientale. Le api infatti nello
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BIOMONITORS
svolgimento delle loro attività volte alla sopravvivenza sono sempre accompagnate dai numeri. E allora cominciamo a dare i numeri! Una famiglia di api raccoglie in un anno 800 kg di nettare (circa 400 kg di miele), 20-30 kg di polline (Tautz, 2009) e può raccogliere in un solo giorno alcuni litri di acqua (Celli & Porrini 1991). Inoltre una colonia consuma e produce 5 litri all’anno di gelatina reale e produce in un anno 1-2 kg di cera. Questi ultimi numeri a prima vista potrebbero sembrare normali, scontati, affatto esaltanti, ma non è così. Le operaie per costruire l’alveare o una parte di esso devono attivare le ghiandole ceripare (tra il 12°-18° giorno) seguendo una dieta ricca in miele. Vorrei ricordare che esiste un rapporto tra cera e miele, secondo il
quale di fatto ogni kg di cera prodotto costa alle api circa 6/7 kg di miele. Per fabbricare 8.000 cellette, l’equivalente di due facce di un favo circa, hanno bisogno di 120 g di cera ovvero di produrre 150.000 scagliette. Non tutti sanno che la cera è prodotta dalle ghiandole presenti nella parte addominale del corpo delle api. Per costruire un alveare sono necessarie 1.500.000 scagliette(1), l’equivalente di 8 kg di miele e altri 7 kg per la mano d’opera. La raccolta di circa 15 kg di nettare equivale per le api bottinatrici ad effettuare circa mezzo milione di voli. Questa spiegazione ci aiuta a conoscere la matrice cera e lo stretto legame presente tra questa e l’ambiente circostante. Quindi, la cera è una sostanza che è condizionata indirettamente dalla com-
Note
Basta moltiplicare 150.000 per 10 favi. 800.000 g di nettare : 0,030 g contenuto medio sacca melearia = 26.666.667.
(1) (2)
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posizione del suolo presente sotto le radici degli alberi e direttamente dalle sostanze presenti all’interno e all’esterno dell’alveare. Poiché l’efficienza di un biomonitore dipende dal tipo e dalla frequenza delle interazioni connesse con l’ecosistema circostante, focalizzare le attività svolte da una singola operaia ci aiuterà a calcolare, con una semplice moltiplicazione, la mole di lavoro eseguito dalle api nel loro complesso. Una operaia in un volo di bottinamento può riportare nell’alveare al massimo 40 mg di nettare oppure 15 mg di polline. Quindi considerato 30 mg il valore medio di nettare raccolto in un singolo volo da un’ape bottinatrice, sono necessarie 27 milioni di escursioni(2) per produrre 400 kg di miele
(valore medio stimato in un anno). Ora trasformiamo i voli in km. La distanza media di ogni singolo volo di bottinamento è di 1,5 km (Crane, 1984), da cui si evince facilmente che 40,5 milioni sono i km percorsi in volo in una sola stagione da un alveare, ed è pari alla minima distanza tra la Terra e Venere (38,2 milioni di km). Per raccogliere 20-30 kg di polline, al contrario, saranno necessari “solo” due milioni di voli di bottinamento pari ad altri 3 milioni di km percorsi in aria. Se volessimo valutare a livello nazionale il potenziale espresso dalle api italiane semplicemente possedendo 1,2 milioni di alveari, otterremo un numero da capogiro ovvero 52,2 miliardi di km percorsi dalle api mellifere solo per raccogliere il nettare e il polline in un anno. Di fronte a questi numeri neanche la sonda Cassini poteva reggere tale confronto dopo 20 anni passati ad esplorare il sistema solare tra Venere e Saturno con 7,9 miliardi di km alle spalle. Le api italiane percorrono ogni anno 350 volte la distanza che intercorre tra il Sole e la Terra ovvero è pos-
sibile asserire che le api percorrono l’equivalente di ben 135.584 volte la distanza che esiste tra la Terra e la Luna, sempre in un solo anno. Sarebbero 371 le volte che le api italiane vanno sulla luna ogni giorno, sfruttando al meglio questa risorsa potremmo istituire una metro-navetta per portare piccole dosi di miele sulla Luna ogni 4 minuti. Questi numeri a valenza interplanetaria se dovessero essere tradotti in valuta corrente avrebbero un valore inestimabile, dovremo sommare come in una manovra finanziaria i profitti in apicoltura, in agricoltura, nella tutela e conservazione dell’ambientale, nella tutela e conservazione e nella produzione della diversità vegetale. Un po’ per alleggerire l’invadenza dei numeri e un po’ per correttezza è necessario affrontare il tema dei limiti o i difetti che l’ape mostra come biomonitore. Premetto che se vi aspettate un lungo elenco resterete delusi. L’ape non vola quando piove e non vola quando c’è vento forte, mentre le matrici ambientali che raccoglie attivamente continuano ad essere esposte alle contaminazioni. Questo giustifica, talvolta, le mancate correlazioni presenti tra
le concentrazioni rilevate sulle api e quelle evidenziate sulle diverse matrici ambientali investigate. Un’altro neo è il freddo, forse il problema principale, poiché le api non volano sotto i 10 gradi e durante la notte. Perché il problema è importante? Per il fatto che (semplificando) durante l’inverno l’aria è più densa e i contaminanti sono più concentrati. Quindi nelle aree più fredde non è possibile utilizzare questo sofisticato “strumento”. Tuttavia questi difetti sono ben circoscritti e ampiamente conosciuti, il ché ci permette di utilizzare questo biomonitore in modo opportuno. Inoltre va detto che per quanto possa essere scarsamente consolatorio, il surriscaldamento globale ci viene incontro. Ritornando alla singola ape ci dovremmo rendere conto, come sottolineato in precedenza, che i numeri sono molto superiori a quelli menzionati poc’anzi; infatti scavando più a fondo si scopre che ogni volo di bottinamento non è una semplice linea retta nella quale l’ape raggiunge il fiore, fa rifornimento, riempie la sacca melearia e torna a casa. Si scopre, infatti, che ogni volo di bottinamento si com-
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BIOMONITORS
pone mediamente di 300 micro prelievi (Tautz, 2009). Ma perché? Nel caso della raccolta del nettare un fiore di ciliegio fornisce 20 mg di sostanza zuccherina al giorno, mentre il melo 2 mg, l’Hedysarum coronarium 0,68 mg, il Trifolium pratense 0,28 mg, a parte rare eccezioni come Musa paradisiaca 187 mg (Ricciardelli & Intoppa, 1979). Nell’atto del prelievo l’ape potrà contare solo su una piccola quantità di nettare disponibile in quel momento, circa un ventesimo o un decimo del totale giornaliero. Nel caso del Trifoglio violetto saranno disponibili circa 0,0186 mg di nettare quindi l’ape dovrà visitare 2.150 fiori, nel caso della Sulla (0,045 mg) invece per riempire la sacca melearia dovrà bottinare 888 fiori, mentre nel caso del ciliegio dovrà visitare solo 30 fiori. Distraiamoci solo per un’attimo e immaginiamo quanti fiorellini devono “spremere” le api per regalarci un solo kg di miele di Trifoglio(3) 55,55 milioni di fiorellini, un nu-
mero incredibile che continua a sorprendermi! Parliamo dei numeri per l’ultima volta, possiamo affermare che le api mediamente realizzano 7 voli al giorno e 300 micro prelievi nell’arco di un singolo volo. Essendo reclutate in un alveare normalmente 10.000 bottinatrici è possibile stimare che in un solo giorno per un singolo alveare le api possano compiere 21 milioni di micro prelievi. E in un’anno? In un anno possono svolgere anche 5 miliardi di micro prelievi a famiglia. In tutta Italia le api compiono 6 milioni di miliardi di micro prelievi nell’arco di un anno. Fino ad ora, quindi, abbiamo affrontato il tema etologico per dimostrare la straordinaria efficienza dell’ape, adesso ci spostiamo agli aspetti morfologici. L’ape è dotata di una fitta peluria che faciliterà la cattura di questi inquinanti, inoltre il suo corpo a livello del torace e dell’addome è dotato per la respirazione di un sistema chiamato trachea, che
Note
1.000g : 0,04g = 25.000 x 2.222 = 55.550.000.
(3)
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permette all’aria di penetrare nel corpo attraverso una fitta ramificazione di sottili tubicini. Raccogliendo nettare, melata, polline, propoli e acqua accumulerà nel proprio corpo anche le particelle di contaminanti che si depositano inevitabilmente su queste matrici ambientali. L’ape volando intercetta involontariamente gli inquinanti presenti nel comparto aria, ma questo continuo bombardamento è amplificato dalla sua struttura e morfologia corporea. E qui ci dobbiamo fermare c’è molto ancora da dire, l’argomento è complesso e citando il grande Etologo Giorgio Celli: “le api ci mostrano attraverso i risultati delle analisi chimiche una semplificazione di realtà complesse”. Io, umilmente, aggiungo che tali risultati evidenziano le contaminazioni che passano dai comparti ambientali ad un organismo vivente, irripetibile, come l’ape mellifera. Nicola Palmieri
ETNOLOGIA
LA PROPOLI NELLA PREISTORIA
IL RAPPORTO FRA L’UOMO E IL MONDO DELLE API SI PERDE NELLA NOTTE DEI TEMPI di Angelo Camerini
L’
apicoltura, è risaputo, è nata in Africa, là dove è nato l’uomo. Le pitture ruLA PROPOLI pestri di Eland Cave e di Anchor Shelter in Sudafrica, lo testimoniano dal punto di vista paleonERA USATA tologico. Homo Sapiens predava, come fanno i primati, i nidi delle PER LE CURE api in cerca dei prodotti dell’alveare. E non avendo la loro pelliccia si proteggeva con l’aiuto del fuoco DENTARIE e del fumo. Ma anche l’etnologia racconta come i Dorobo del Kenya, ritenuti la più antica popolazione della Rift Valley, la culla dell’umanità, avessero nella raccolta del miele la loro principale occupazione. Uscendo dall’Africa, l’uomo portò con se le sue conoscenze sulle api adattandole alle specie trovate: anche in Asia predò la specie Apis cerana e Apis Dorsata con l’uso delle scale e spesso del fumo testimoniate da tante pitture rupestri. In Europa, per quanPittura rupestre mesolitica da Ganeshgati, Bophal (Into riguarda l’uomo dia), raffigurante la raccolta di miele di Apis Dorsata (Eva Crane, The History of Beekeeping). di Neanderthal, è
GIÀ 14.040 ANNI FA
stata documentata nei graffiti e nei disegni di tante grotte, in Spagna e a Gibilterra, la presenza di scale e di resti di cera nelle primitive lampade in pietra necessarie per l’illuminazione delle grotte dove praticava i suoi riti. Nulla è ancora stato trovato sulla propoli. Eppure Neanderthal, che certo non era il rozzo cavernicolo considerato tale fino a pochi anni fa, aveva conoscenze e tecniche artistiche, religiose e mediche notevoli. Per esempio nella cura dei denti, un organo decisivo per la sopravvivenza di un cacciatoreraccoglitore. I primi interventi di odontoiatria nel genere Homo risalgono ad un milione e mezzo di anni fa. Recentemente, nel 2017, la microbiologa Laura Weyrich ha analizzato i denti, una struttura che si conserva facilmente, appartenuti ai Neanderthal belgi e spagnoli. “Oltre ai batteri responsabili di un ascesso dentale, Weyrich ha trovato anche tracce del legno di pioppo. Non essendo commestibile, l’ipotesi più probabile è che già all’epoca fosse noto l’effetto analgesico dell’acido acetilsalicilico, il principio attivo dell’aspirina di cui il pioppo è ricco”. 1-2/2019 | Apitalia | 47
La prima testimonianza materiale accertata ad oggi dell’uso di cure dentarie e della propoli tra i cacciatori raccoglitori è in Europa e risale, invece, “solo” a 14.040 anni fa con la datazione al Carbonio 14. Nella sepoltura della Val Rosna, infatti, è stato trovato lo scheletro di un cacciatore di 26 anni, alto un metro e sessantotto, con un ricco corredo funerario con pietre disegnate con ocra rossa. Oltre a scoprire, con un microscopio a scansione elettronica, che un dente cariato era stato curato con un primitivo trapano a pietra, gli archeologi hanno trovato, nel palmo della mano, una blocco di cera, resina e propoli della grandezza di una palla da tennis. Dunque la propoli era una sostanza tanto preziosa da essere portata nel viaggio per l’oltretomba insieme alle armi e alle pietre coperte di fiori. Anche nella sepoltura dell’uomo di Mondeval de Sora, sulle Dolomiti, un cacciatore di 40 anni vissuto nel 7300 a.C., è stata trovata della propoli. Si tratta di due blocchi semisferici, uno di propoli ed uno di resina di pino e di abete impastata con propoli che serviva per fissare ai manici le lame di selce lavorata ritrovate insieme al corpo. Il corpo e gli utensili sono ora conservati nel Museo civico di Selva di Cadore. In Egitto, dove l’apicoltura stanziale e nomade è attestata da papiri, rilievi ed iscrizioni di carattere commerciale, amministrativo e giuridico sin dal 2400 a.C., la propoli era usata sia in medicina sia, come tutti sanno, per imbalsamare i corpi dei Faraoni. 48 | Apitalia | 1-2/2019
Foto www.valfiorentina.it
ETNOLOGIA
Scheletro e corredo funebre dell’uomo di Mondeval nel Museo civico di Selva di Cadore.
Ma è tra i Greci, che per primi useranno la parola pro-polis, a difesa della città, che le conoscenze sulla propoli si faranno più approfondite. Aristotele, che nella Generazione degli animali ha scritto tante pagine sul sesso delle api, intrigato dalla presenza di tre ghenos (regina, operaie e fuchi) nell’Historia animalium distingueva tre tipi di propoli. “Presso l’imboccatura dell’arnia il primo tratto dell’ingresso è ricoperto dal mitio: questo è piuttosto scuro, come se fosse il residuo che scartano dalla cera, di odore acre, ed è un farmaco per punture e suppurazioni. La copertura seguente è il pissocero, meno efficace e meno
utilizzabile come farmaco rispetto al mitio”. Infine Aristotele citava la propolis. Quattrocento anni dopo, Plinio il Vecchio nato a Como nel 29 dopo Cristo, e morto nell’eruzione di Pompei nel 79, riproponeva simili distinzione sulla propoli. Premesso che i soldati romani avevano tutti nel proprio sacco della propoli, e che questa, insieme all’usanza di bagnarsi nelle acquee sulfure di Saturnia è uno dei motivi di forza e di resistenza alle malattie dei loro eserciti, sentiamo cosa diceva Plinio nel libro undicesimo della sua “Storia Naturale”. “Gli specialisti chiamano commosi il primo rivestimento, pissocero
il secondo e propoli il terzo che, posto tra questi strati e la cera, è di grande utilità in medicina”. La commosi forma il primo strato ed è di sapore amaro. Vi si sovrappone il pissocero, vischioso, sorta di pece o di una cera più liquida. La propoli proviene dalla gomma più dolce delle vigne e dei pioppi ed è già di consistenza più spessa per l’aggiunta di fiori; tuttavia non si tratta ancora di cera, ma della base dei favi; con essa si impedisce l’accesso al freddo e agli altri pericoli; anch’essa ha un odore forte, al punto che in genere sostituisce il galbano”. Il galbano o ferula gommosa è una pianta perenne della famiglia delle Apiacee che ha, come la propoli, funzioni espettoranti, usata come cura per le malattie respiratorie e digestive. E come la propoli era usata dagli antichi Egizi per imbalsamare le mummie. Continua Plinio, “inoltre viene messo da parte l’eritace, che alcuni chiamano sandracca, altri cerinto.
Sarà il cibo delle api durante i lavori; si trova spesso riposto nella cavità dei favi; anch’esso ha sapore amaro. È prodotto dalla rugiada primaverile e dall’umore gommoso degli alberi”. Individuare cosa sia l’eritace non è facile; il cerinto è il nome di una pianta frequentata dalle api; la sandracca è una resina estratta da un albero delle Cipressacee. Descritta come “nutrimento delle api” potrebbe essere il polline, ma la cosa più probabile è che sia un tipo di resina, e quindi un quarto tipo di propoli. Nel “De mirabilibus auscultationibus”, attribuito in età antica ad Aristotele ma di incerta paternità, si legge: “Alcuni dicono che a Melo e Cnido ci sia un miele chiamato antino, odoroso quanto alla fragranza ma poco durevole; in esso è presente l’eritace”.E poco dopo, a confermare l’esattezza delle conoscenze in apicoltura al tempo di Aristotele “alcuni dicono che le api siano stordite dagli unguenti odorosi,
che non ne tollerino l’odore e che pungano soprattutto quelli cosparsi da unguenti odorosi”, cosa questa ben conosciuta da ogni apicoltore. In conclusione possiamo dire che tra le tante conoscenze dell’antichità, affascinata dal mondo delle api, ci siano accanto a informazioni fantasiose e inesatte, tante altre corrette e che andrebbero indagate meglio. Ogni apicoltore sa distinguere tra la propoli scura ricavata dai sottotetti e quella gommosa, mista a cera, che ricopre le pareti degli alveari, che meglio dello stucco può riparare le fessure delle nostre arnie di legno. Il confronto tra la scienza e le conoscenze accumulate dagli antichi potrebbe chiarire tante cose sulle quattro forme di propoli individuate nell’antichità, e non può che essere positivo per la vita degli uomini e delle api . Angelo Camerini Etnologo e apicoltore
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RICERCA
ANALISI BIOMETRICHE E MOLECOLARI IN APICOLTURA
LAVORO PRESENTATO AL SEMINARIO DI ALTA FORMAZIONE “APISCAMPUS-CRT4” di Roberto Reali, Lorenzo Della Morte
Il
coadattamento è quel lungo processo adattivo che permette ad una sottospecie o razza geografica di creare un equilibrio sinergico con l’ecosistema in cui si sviluppa. Questa lenta trasformazione ha permesso all’Europa di vedere svilupparsi sui suoi territori l’Apis mellifera, ligustica (Spinola 1806) nel particolare caso italiano. Con l’apicoltura razionalizzata l’uomo inizia un’interazione che in un certo modo altera l’equilibrio naturale creatosi nei millenni, fino a sconvolgerlo totalmente con l’avvento della globalizzazione. Agenti patogeni e organismi alloctoni distanti geograficamente dal nostro territorio, vengono rintracciati all’interno dei nostri confini, cogliendo le nostre api del tutto impreparate a difendersi e a sviluppare nuove tecniche di difesa in tempi così ristretti. Diviene dunque urgenza internazionale arginare queste morie, tutelando e difendendo l’Apis mellifera ligustica. A tal fine devono unirsi e continuare ad agire all’unisono sia il mondo scientifico che gli apicol50 | Apitalia | 1-2/2019
tori, il tutto all’interno di una legislazione sempre più attenta a temi quali l’apicoltura e l’ambiente. Per quanto riguarda il contributo del mondo scientifico, diviene ora essenziale rimettere in discussione le metodologie di tipizzazione utilizzate in Italia, confrontandole con il panorama internazionale in modo da poterne valutare punti di forza ed eventuali prospettive di miglioramento. Le analisi morfometriche
APIS MELLIFERA E LE SUE 28 SOTTOSPECIE
tradizionali, punto di partenza fondamentale per quelli che sono stati i tentativi sempre più accurati di classificazione di specie e sottospecie, vengono messe però in discussione a partire dagli anni ‘90 in seguito alla diffusione delle tecniche molecolari di ricerca. L’analisi morfometrica geometrica, anche denominata “morphometrics revolution” dai dottori Rohlf e Marcus (1993), rimette in discussione i criteri di tipizzazione proposti dal biologo tedesco Frederick Ruttner nel suo “Biogeography and taxonomy of honeybees” (1978), approfondendo con studi mirati le criticità di una tecnica quale la morfometria classica, non in grado di cogliere le relazioni geometriche esistenti tra
i punti biometrici di riferimento, selezionati ad hoc per l’esame sul campione. A questa prima alternativa agli standard tradizionali, si aggiungono in modo preponderante le indagini molecolari. Quest’ultime in particolare spostano l’ambito di studio dai caratteri biometrici del campione a quelli molecolari: mtDNA (mitochondrial DNA), DNA o RNA ed anche studi sui differenti allozimi. La PCR, la Real-Time PCR, l’elettroforesi allozimica e la tecnica LAMP sono gli esempi più significativi delle tecnologie e processi necessari per questo tipo di indagine. Successivamente alla descrizione dei nuovi filoni di studi vengono analizzate eventuali prospettive su cui la ri-
cerca italiana può indirizzarsi in modo da affiancare l’enorme sforzo compiuto fino ad ora. È necessario a tal fine un confronto costruttivo che permetta all’Italia, patria naturale dell’ape ligustica, di essere lei in primis la promotrice di nuove proposte e sistemi di tipizzazione delle api presenti sul suo territorio, prendendo spunto dal sistema francese CNRS-MNHN ApiClass che vede unita morfometria geometrica e analisi molecolari in un software che è pensato per permettere l’accesso direttamente agli apicoltori interessati. Un’ulteriore possibilità è data dallo sviluppo di nuovi strumenti che permettano l’utilizzo della tecnologia LAMP, applicabile direttamente in campo, per cui
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RICERCA oggi non sono disponibili i marker necessari al suo utilizzo nel campo entomologico. L’urgenza di un intervento coordinato e sinergico al fine di tutelare appieno l’Apis mellifera ligustica (Spinola 1806), patrimonio nazionale, rende necessaria un’apertura alle nuove metodologie di ricerca che puntino a sviluppare sempre più accurate tecnologie nel tentativo di essere tra i centri di ricerca più coinvolti a livello europeo. 1. BIODIVERSITÀ ED ECOSISTEMA IN PERICOLO L’adattamento di ogni razza o popolazione autoctona al proprio ambiente in modo integrato e sinergico, è un processo lungo e molto delicato. All’interno di una stessa razza è possibile inoltre che la separazione geografica limiti o impedisca la libera riproduzione tra le popolazioni, dando inizio così a un processo di differenziazione genetica che diviene via via più accentuato sino alla formazione delle razze geografiche o sottospecie, dotate di una fisionomia abbastanza definita e che è geneticamente diverso da altri gruppi
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confinanti, geograficamente delimitati. La lunga evoluzione che porta alla creazione di un equilibrio interno a tali sottogruppi è detto coadattamento. Con l’apicoltura razionalizzata l’uomo inizia un’interazione che in un certo modo altera l’equilibrio naturale creatosi nei millenni, fino a sconvolgerlo totalmente con l’avvento della globalizzazione. Agenti patogeni e organismi alloctoni distanti geograficamente dal nostro territorio, vengono rintracciati all’interno dei nostri confini, cogliendo le nostre api del tutto impreparate a difendersi e a sviluppare nuove tecniche di difesa in tempi così ristretti: l’introduzione volontaria di razze apistiche straniere, l’acquisto di mieli stranieri a basso costo da vendere poi a prezzo pieno come “made in Italy”, ed infine all’attualissimo problema dell’arrivo di insetti alieni infestanti quali Aethina Tumida e Vespa Velutina ne sono solo alcuni esempi delle criticità più preoccupanti oggi. Diviene dunque urgenza internazionale arginare queste morie, tutelando e difendendo l’Apis mellifera ligustica.
2. LA TUTELA DELL’APE ITALIANA: L’APIS MELLIFERA LIGUSTICA Per la tutela di quello che costituisce quindi il patrimonio apistico nazionale, ossia l’Apis mellifera ligustica (Spinola 1806) non sono sufficienti gli sforzi dei diversi attori del panorama nazionale, presi singolarmente, ma è necessaria uno sforzo sinergico sempre maggiore affinché dall’unione dei Centri di ricerca con gli apicoltori italiani ed europei e una legislazione ad hoc, si possa intraprendere un percorso di tipo win-win-win, i cui beneficiari siano appunto apicoltori, api e ambiente. La continua ricerca e lo sviluppo di tecnologie sempre più precise che permettano l’analisi del corredo genetico dell’ape presente sul territorio europeo e soprattutto italiano è ormai divenuta un’urgenza per il settore apistico. È in questa realtà dei fatti che prendono vita i primi studi innovativi già dai primi anni ‘90, i quali distaccandosi dalle classiche analisi morfometriche spostano le ricerche dal campo del reale a quello biomolecolare: questo tipo di studi permettono una discrezione tra sottospecie ben oltre
Metodologie e caratteri da osservare per discernere ogni razza di ape. Attualmente i caratteri più usati sono 36: 15 dimensioni, 5 colori, 13 nervature alari, 3 caratteristiche della peluria (da “Biogeography and taxonomy of honeybees).
la portata delle precedenti analisi. Per quanto riguarda il contributo del mondo scientifico, diviene ora essenziale rimettere in discussione le metodologie di tipizzazione utilizzate in Italia, confrontandole con il panorama internazionale in modo da poterne valutare punti di forza ed eventuali prospettive di miglioramento. 3. LE ANALISI BIOMETRICHE 3.1 Le analisi morfometriche standard Comparare le caratteristiche anatomiche è stato l’obiettivo primario della biologia per secoli. Classificazioni tassonomiche e studio della diversità biologica degli organismi si fondavano entrambe sulla descrizione morfologica delle strutture in esame. Con il passaggio della biologia da studio descrittivo a scienza quantitativa, definita da Bookstein (statistico e matematico della University of Michigan) “Quantification Revolution”, gli studi morfologici sono via via affianca-
ti dal metodo statistico, fino ad un’unione completa degli studi di morfologia quantitativa all’analisi statistica, per lo studio dei fattori alla base della differenziazione all’interno e tra gruppi. Nasce così la moderna morfometria, che studia per l’appunto la variazione delle strutture degli organismi, e la relazione tra variazione e fattori esterni. Essa è quindi l’applicazione di analisi di statistica multivariata applicata a variabili quantitative qualilunghezza, altezza e distanze. Fondamentali in questo campo gli studi datati 1928 del ricercatore
russo Alpatov prima, e quelli incomparabili del 1978 di Frederick Ruttner, biologo tedesco: nel suo manuale “Biogeography and taxonomy of honeybees”, descrive infatti le metodologie e i caratteri da osservare per discernere ogni razza di ape. Individua così quelli che sono ad oggi i 36 caratteri chiave per questa analisi: in particolare 15 dimensioni, 5 colori, 13 nervature alari e 3 caratteristiche della peluria. L’analisi morfometrica, fondata sulla valutazione di parametri fisici dell’insetto, è una tecnica tutt’oggi molto praticata in quanto permette anche ad un osservatore attento ed istruito di poter già distinguere la razza di appartenenza del campione in esame. Nell’Apis mellifera ad esempio è possibile distinguere tramite questo tipo di analisi tra 27
Alcune delle 28 sottospecie di Apis mellifera distinte sotto il profilo morfologicocomportamentale.
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RICERCA (ad oggi) diverse sottospecie, ricorrendo a variabili comportamentali e a misurazioni morfometriche: tra quest’ultime in particolare lo studio delle ali (ala anteriore destra) e dei tergiti dell’addome (colore del 2° e 3° tergite), che sono effettuate su api relativamente giovani, ossia le api nutrici che sono reperibili sui favi di covata. 3.2 Limiti dell’analisi morfometrica classica La portata della morfometria tradizionale è stata tale da poter permettere una distizione attendibile e confermata dalle analisi molecolari delle differenti specie di api, nei vari filoni evolutivi dell’Apis mellifera, in particolare: • African-branch A; • Western and Northern
European-branch M; o Assenza di relazione • South-Eastern tra i punti omologhi European- branch C; I punti di omologia, che indiLe analisi morfometriche tradividuano determinati caratteri zionali, punto di partenza fondadel campione, possono essere mentale per quelli che sono stati non calcolabili tramite distanze i tentativi sempre più accurati di lineari ed inoltre non ne viene classificazione di specie e sottotenuta in considerazione la corspecie, vengono messe però in dirispondenza geometrica. Questo scussione a partire dagli anni ‘90 fa sì che gli stessi valori biomein seguito alla diffusione delle tectrici siano ottenibili da organiniche molecolari di ricerca e della smi aventi strutture morfologimorfometria geometrica: due difche differenti. ferenti vettori di ricerca, uno volto al perfezionamento della tecnica o Convenzionalità caratteri biometrica, l’altro al suo superapresi in esamei mento vero e proprio. All’inizio La necessità di imporre metodi degli anni ‘90 ha luogo infatti una di “size-correction” nelle analisi trasformazione nel modo di quanmorfometriche classiche ha portificare e di analizzare i dati nelle tato allo studio di differenti meanalisi morfometriche, muovendo todi per ovviare a tale problema, delle critiche per ciò che concerne: generando una varietà di pareri contrastanti e con essi differenti risultati in base alla metodologia scelta dai ricercatori. o Risultati non certi tra i punti omologhi
I risultati che ne derivano non sono quindi totalmente certi, legati alla scelta del ricercatore sui caratteri da prendere in esame e dai metodi statistici da esso utilizzati. Inoltre l’impossibilità di generare una rappresentazione grafica delle forme da distanze lineari risulta evidente nel momento in cui non è tenuta in considerazione la relazione geometrica tra le variabili. Roberto Reali, Lorenzo Della Morte Variazione allometrica del cranio del roditore tropicale Proechimys nella sua speciazione dalla sottospecie P. guairae a quelle sempre più diversificate. Nel confronto Proechimys poliopus e Proechimys trinitatis.
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FINE 1A PARTE
FLORA APISTICA. Scheda n. 9
I POLLINI DI EMERGENZA
FIORI UTILI PER LE API E PER GLI ALTRI APOIDEI NELL’ITALIA CENTRALE di Giancarlo Ricciardelli D’Albore
POLLINI DI FINE INVERNO - Diplotaxis erucoides DC. (Cruciferae) (Rapastella bianca)
DESCRIZIONE GENERICA
Perenne erbacea, infestante soprattutto di vigneti e oliveti. Originaria del Mediterraneo. Fiorisce tutto l’anno.
TEMPO DI FIORITURA
La troviamo in pieno fiore dalla fine dell’inverno a maggio e poi ricresce verso la fine dell’estate e fiorisce fino all’autunno inoltrato.
POLLINE
È probabilmente il più importante polline, perché il suo fiore è praticamente sempre disponibile in tutti i periodi critici. Raramente se ne producono anche mieli uniflorali. Nelle stazioni in cui vegeta rappresenta, insieme ai Salici, il polline più importante; alla fine dell’inverno, nell’estate siccitosa e nella ripresa autunnale prima dell’invernamento. Spesso il raccolto raggiunge il 100% per alcune settimane. Può considerarsi anche un polline di alto valore biologico, superando il 25% di contenuto proteico. È visitato, oltre che dalle api, anche da quasi tutte le famiglie di Apoidei, meno soltanto Anthophoridae e Xylocopa spp. È presente dalle stazioni costiere fino alla zona submontana (1000 m s.l.m.). È assente solo nelle stazioni montane dell’Italia centrale. Le pallottoline di polline sono color giallo verdastro.
VALORE APISTICO
Da 1 a 4: 4.
VALORE PER ALTRI PRONUBI
Da 1 a 4: 4.
ALTRI USI BIBLIOGRAFIA
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Ha prorietà diuretiche, espettoranti e astringenti. Tosco U., 1989. Piante aromatiche e medicinali. Ed. Paoline, 231.
POLLINI DI FINE INVERNO - Eranths hiemalis (L.) Salisb. (Ranunculaceae) (Piede di gallo)
DESCRIZIONE GENERICA
TEMPO DI FIORITURA POLLINE
Perenne erbacea alta fino a 10 cm, distribuita nei coltivi e nei pascoli dell’Europa meridionale. Fiorisce a febbraio. È praticamente una delle prime piante in fioritura che si notano alla fine dell’inverno. Le api raccolgono discrete quantità di polline da questa specie probabilmente non nettarifera. Sono stati notati anche piccoli apoidei sui fiori. Le pallottoline di polline sono color giallo chiaro.
IMPORTANZA PER LE API
Da 1 a 4: 4.
IMPORTANZA ALTRI PRONUBI
Da 1 a 4: 4.
ALTRI USI
La pianta è velenosa in tutte le sue parti. Tradizionalmente usata (senza alcuna cautela!) come dilatatrice delle coronarie.
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Registro Stampa Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 15447 del 01.04.1974 ISSN: 0391-5522 - Iscrizione R.O.C.: 26230 Editore FAI Apicoltura S.r.l. Corso Vittorio Emanuele II, 101 - 00186 Roma - Italia - UE Telefono +39. 06. 6852556 - Fax +39. 06. 6852287 Email info@faiapicoltura.biz Direttore Responsabile Raffaele Cirone direzione@apitalia.net Redazione e Segreteria Corso Vittorio Emanuele II, 101 00186 Roma - Italia - UE Telefono +39. 06. 6852280 - Fax +39. 06. 6852287 Email redazione@apitalia.net - segreteria@apitalia.net Grafica e Impaginazione Alberto Nardi alberto.nardi@apitalia.net Comunicazione e Social Media socialmedia@apitalia.net Esperto Apistico Fabrizio Piacentini fabrizio.piacentini@apitalia.net Promozioni e Pubblicità Patrizia Milione commerciale@apitalia.net Stampa Tipografica EuroInterstampa Via della Magliana 295 - 00146 Roma
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