Apitalia 10/2019

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Apitalia - Corso Vittorio Emanuele II, 101- 00186 - Roma - ITALY - UE - ISSN: 0391 - 5522 - ANNO XXXXIIII • n. 10 • Ottobre 2019 •- 700 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) Art. 1 Comma 1 – Roma Aut. C/RM/18/2016

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700 VOLTE CON VOI





EDITORIALE

700 VOLTE CON VOI

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ata nel 1974, come agenzia di stampa, Apitalia è oggi una testata giornalistica che racchiude in sé 45 anni di storia dell’apicoltura italiana. Basti dire che, per ospitarne l’intero contenuto redazionale, sono state necessarie 45.000 pagine e 700 numeri pubblicati. Si spiega così il mosaico di copertina con il quale desideriamo celebrare un traguardo che meritava, secondo noi, almeno una simbolica sottolineatura. Sì, perché non tutti conoscono la nostra storia, storia che ogni tanto va raccontata. Specie in un contesto odierno fatto di nuovi strumenti, che spesso veicolano informazioni in modo compulsivo e superficiale. Va ricordato dunque che Apitalia è stata a lungo la prima e unica rivista di settore. Siamo stati, per così dire, i portavoce di una categoria svantaggiata che, per conquistarsi una sua dignità, aveva bisogno di ritrovarsi in uno spazio aperto alla pratica, alle scienze, alle norme, alla cultura, alla cronaca. Abbiamo dunque maturato, in tutti questi anni, la consapevolezza di aver avuto una grande responsabilità: essere stati una “nave scuola” di comunicazione, un contenitore capace di ospitare le più diverse sfumature di un’apicoltura che, come dice bene la nostra testata, è anche agricoltura e ambiente. L’abbiamo fatto con uno stile sobrio, cercando di illuminare il percorso di chiunque volesse condi-

videre con noi quel patrimonio di esperienze e conoscenze che i padri ci hanno trasmesso; traghettando un passato di grande saggezza in un presente sempre più confuso, e quindi bisognoso di strumenti capaci di indirizzare l’apicoltura verso una dimensione futura, ma sempre e pienamente consapevole. Abbiamo così confezionato nel tempo, in modo artigianale ma accurato, un prodotto editoriale che ha impresso un suo stile inconfondibile a quello che oggi è il nuovo Apitalia. Un marchio conosciuto e apprezzato nel nostro Paese e all’estero, una vetrina del Made in Italy, un biglietto da visita presente sui tavoli che contano, una lente d’ingrandimento sull’attualità. Ecco perché mi sento in dovere di ringraziare ogni nostro lettore, redattori, grafici, collaboratori, segreteria, associazioni apistiche, enti di ricerca, istituzioni e inserzionisti. Con voi tutti ho avuto modo di condurre da giornalista, oltre che come apicoltore, questa appassionante avventura editoriale. È grazie a voi che oggi ho l’onore di firmare il numero 700 di questo ricco e originale contenitore di ApiCultura. Buona lettura dunque a chi, nel motto “il mio non sol, ma l’altrui ben procuro”, trova chiaro e vivo il senso dei nostri valori comuni. Raffaele Cirone

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SOMMARIO

Apitalia N. 700 | 10/2019 gli articoli 5 EDITORIALE 700 volte con voi

Raffaele Cirone

8 LEGISLAZIONE Aethina: l’Italia e l’Europa in allerta

Nostro Servizio

10 PRIMO PIANO Nosema ceranae parassita trascurato

Claudia Garrido

22 AGENDA LAVORI. NORD-EST L’annata amara e la dignità di chi si rialza Giacomo Perretta 26 AGENDA LAVORI. CENTRO Sempre alta l’attenzione nei nostri alveari Stefano De Pascale 30 AGENDA LAVORI. SUD Alveari in rassegna lunga lista di verifiche Santo Panzera 35 AGENDA LAVORI. SUD E ISOLE Inizia un nuovo ciclo per i nostri aveari Vincenzo Stampa 50 ETOLOGIA Il mistero delle api che dondolano

Bjoern Kumlien

54 LE AZIENDE INFORMANO Un progetto Bee Salus per investire sul naturale 16 AGENDA LAVORI. NORD-OVEST Stagione finita, o quasi Alberto Guernier 19 AGENDA LAVORI. NORD Prepararsi all’inverno umidità peggio del freddo

Maurizio Ghezzi

LA NUOVA POLIZZA ASSICURATIVA PER GLI ALVEARI a pag. 56

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lo SPECI ALE

QUANDO IL NETTARE DEGLI DEI ERA NOCIVO E LETALE Giovanna Serenelli


i nostri recapiti

i nostri riferimenti: per pagare Con questo mosaico di copertine desideriamo celebrare un traguardo che merita, secondo noi, almeno una simbolica sottolineatura. È Apitalia numero 700, un contenitore di ApiCultura. Dedicato a chi, nel motto “il mio non sol, ma l’altrui ben procuro”, trova chiaro e vivo il senso dei nostri valori comuni.

hanno collaborato a questo numero

abbonamenti: quanto costano 1 anno (10 numeri carta)

€ 30,00

2 anni (20 numeri carta)

€ 54,00

Italia, una copia/arretrati

€ 5,00

Claudia Garrido, www.natureknows.org (foto pag. 10) Alberto Guernier, Maurizio Ghezzi, Karen Arnold (foto pag. 19), Giacomo Perretta, Susanne Jutzeler (foto pag. 22), Matteo Ballabio (foto pag. 24), Stefano De Pascale, Santo Panzera, Marco Tullio Cicero (foto pag. 30), Vincenzo Stampa, Giovanna Serenelli, Iliona Iliés (foto pag. 39), Bjoern Kumlien, Alessandro Patierno.

marcatura dell’ape regina Secondo un codice standardizzato, le regine sono marcate con un colore (tabella a lato) per permettere all’apicoltore di riconoscerne l’anno di nascita

Lo stemma circolare dell’ape regina al centro della scritta che recita “Il mio non sol, ma l’altrui ben procuro” accompagna da sempre le pubblicazioni curate dalle firme storiche dell’editoria apistica italiana da cui Apitalia trae origine

azzurro

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(ultimo numero dell’anno di allevamento, esempio “2019”)

Questa è la medaglia d’oro accompagnata dalla menzione speciale della Giuria internazionale che ha riconosciuto Apitalia miglior rivista di apicoltura per i suoi contenuti redazionali, la qualità del corredo fotografico e il valore tecnico-scientifico

La moneta di Efeso, con l’ape come simbolo riconosciuto a livello internazionale già 500 anni prima di Cristo

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PRIMO PIANO

AETHINA: L’ITALIA E L’EUROPA IN ALLERTA

IL COLEOTTERO TRASPORTATO IN SICILIA NESSUNO CHIAMA IN GIUDIZIO I RESPONSABILI Nostro Servizio

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a Commissione Europea, in data 10 Settembre 2019, ha adottato la Decisione di Esecuzione (UE) 2019/1399 “che modifica la precedente 2014/909/ UE per quanto riguarda l’elenco di zone soggette a misure di protezione relative al piccolo coleottero dell’alveare in Italia”. Il provvedimento è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea n. 253/3 del 12.09.2019. La Decisione è stata presa in conseguenza dello sconfinamento di Aethina tumida dalla Calabria alla Sicilia (notificata dall’Italia all’Unione Europea il 21 Giugno 2019), stabilisce che l’intera regione Sicilia debba essere classificata “Zona soggetta a misure di protezione”. Vale la pena di ricordare, a tal proposito, quali sono le “Misure di protezione” già in vigore in Calabria e ora nuovamente estese anche alla Sicilia, la cui attuazione deve essere garantita dall’Italia: a) divieto di spedizione di partite di api mellifere, calabroni (NdR: qui forse gli uffici di traduzione hanno fatto confusione con 8 | Apitalia | 10/2019

i bombi destinati al servizio di impollinazione e sarebbe opportuna una rettifica altrimenti i bombi da impollinazione saranno liberi di circolare liberamente, con tutte le conseguenze del caso), sottoprodotti apicoli non trasformati (miele, cera d’api, pappa reale, propoli, polline, non destinati al consumo umano e che non siano stati sottoposti ad alcuna procedura di trasformazione), attrezzature

ABBATTIMENTI SELETTIVI E MELARI CELLOPHANATI

zona di sorveglianza zona di protezione


Foto Alex Wild/alexanderwild.com

apistiche (alveari usati, parti di alveari e utensili utilizzati nelle attività di apicoltura), miele in favo per il consumo umano; b) effettuazione immediata di ispezioni ed indagini epidemiologiche con identificazione e controllo degli spostamenti dei prodotti “da e verso” gli apiari e gli stabilimenti di estrazione del miele situati in una zona nel raggio di 20 Km dagli alveari infestati da Aethina tumida; notifica alla Commissione dei risultati di tali ispezioni. L’Italia, inoltre, dovrà effettuare ulteriori ispezioni e indagini epidemiologiche comprendenti il controllo degli spostamenti di prodotti “da e verso” l’intero territorio della regione Calabria e della regione Sicilia. Contestualmente, il nostro Ministero della Salute, ha emanato il “Decreto 10 settembre 2019” che dispone “Modifica e integrazione al decreto 19 novembre 2014 recante «Misure straordinarie di eradicazione e indennizzo conseguente all’infestazione da Aethina tumida». Il provvedimento è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 10 settembre 2019, n. 220. Una con-

comitanza di interventi urgenti che lascia intendere, da un lato, un coordinamento tra la Commissione Europea e l’Italia; ma anche la proclamazione di uno stato di allerta che agita tutti dinanzi alla conclamata incapacità di contenere l’avanzamento della malattia e all’inefficacia dei provvedimenti finora adottati. Il Decreto ministeriale chiarisce intanto, come richiesto da Bruxelles, che alla zona di protezione dei 20 km di raggio a partire dall’ultimo focolaio di Aethina tumida rilevato in Sicilia, sarà estesa una ulteriore zona di sorveglianza di almeno 5 km di raggio individuata a partire dal margine esterno della zona di protezione. Fanno in tutto 25 km di “fascia protetta” entro i quali entra in vigore il divieto di movimentazione, l’entrata, l’uscita e il transito di ogni alveare. A questo riguardo si aprono due ulteriori e preoccupanti scenari. Il primo riguarda il rischio che la Sicilia Nord Orientale venga divisa da quella Sud Orientale. In sostanza, gli apicoltori delle province di Messina e Catania non potranno più entrare nelle province di Siracusa e Ragusa.

O viceversa. Salvo che non aggirino l’ostacolo allungando il tragitto e schivando eventuali controlli e blocchi stradali (ammesso che li facciano) e spingendosi sul territorio della provincia di Enna. Secondo e preoccupante scenario: in nessuna parte del provvedimento viene specificato il punto preciso del focolaio, mentre sarebbe opportuno conoscere le coordinate geografiche per un corretto calcolo dei raggi di protezione e sorveglianza di 20 e 5 Km (vedi mappa pag. 8). Per contro registriamo una novità che va incontro agli apicoltori che temevano distruzioni dei loro allevamenti: al posto degli abbattimenti totali, verranno operati abbattimenti di tipo selettivo negli apiari infestati, mentre saranno distrutti gli apiari abbandonati e non registrati in BDA. I melari, inoltre, potranno essere inviati in vincolo sanitario verso gli impianti di smielatura presenti sul territorio regionale, a condizione che siano stati sottoposti ad un esame ispettivo da parte del veterinario che autorizza il viaggio se verranno avvolti in cellophane a tenuta. Nostro Servizio 10/2019 | Apitalia | 9


PATOLOGIA

NOSEMA CERANAE PARASSITA TRASCURATO

BUONE PRATICHE APISTICHE E SOSTANZE NATURALI SONO LE UNICHE VIE PER LA PREVENZIONE di Claudia Garrido

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Nell’Europa settentrionale, comunque, questi effetti non sono stati osservati. Pare che la ragione di questa diversità sia da ricondurre alle condizioni climatiche diverse, soprattutto alle temperature più basse che si registravano nel Nord Europa. Se questo dato fosse convalidato, dunque, N. ceranae potrebbe diventare una malattia molto più importante anche in quelle aree che finora non sono state colpite dagli effetti debilitanti

MANCANO FARMACI SPECIFICI

Foto www.natureknows.org

a Nosemiasi è stata considerata, per molto tempo, una tipica patologia apistica primaverile. Famiglie deboli, macchie di feci all’entrata dell’arnia e favi imbrattati all’interno dell’alveare rappresentavano chiari sintomi di infezione da Nosema apis. La situazione cambiò nel 2004, quando dalla Spagna arrivarono notizie di perdite elevate, con sintomi simili e associati alla CCD (Colony Collapse Disorder, ovvero Sindrome da Spopolamento degli Alveari; ndR), con famiglie molto deboli che a malapena coprivano i favi. Soltanto in quell’anno vennero analizzati più di 3.000 campioni, identificando il Nosema ceranae come la vera causa delle perdite in atto. Ulteriori studi misero in evidenza la diffusione di N. ceranae anche in altri Paesi europei, generando inizialmente una controversia sulla reale importanza di questo nuovo patogeno. In Europa meridionale e nei Paesi mediterranei adiacenti, intanto, si associarono le perdite di famiglie anche ad una riduzione della produttività.


del parassita: ciò a causa del riscal- glie deboli che non si sviluppano adeguatamente se comparate con damento globale. famiglie sane. N. ceranae ad oggi è la specie di NoIL PATOGENO ESOTICO sema dominante in tutti Paesi euHA SOSTITUITO ropei. N. apis, finora più noto agli QUELLO AUTOCTONO Infezioni di Nosema - sia apis che apicoltori, risulta invece quasi del ceranae - riducono comunque la tutto sparito. Anche questo camsopravvivenza delle api adulte. Si biamento crea una serie di probletratta infatti di parassiti intestinali mi: gli apicoltori, infatti, associano delle api che disturbano il meta- ancora le infezioni di Nosema con bolismo delle proteine: le api in- le tipiche macchie di feci. N. cerafette non riescono più a digerire nae però non produce tale sintomo il polline come invece accade in e l’infezione all’inizio si manifesta condizioni normali. Le famiglie, in modo più subdolo. di conseguenza, non nutrono le Altro segnale evidente, in presenlarve in maniera adeguata e queste za di questa patologia, è lo svernasoffrono di disturbi nello sviluppo. mento lento delle famiglie. Spesso Un primo sintomo dell’infezio- i favi sono quasi vuoti e le api non ne, quindi, è costituito da fami- coprono a sufficienza la covata. N.

ceranae, infatti, colpisce soprattutto le api bottinatrici e ciò spiega il perché si osservino maggiormente api giovani. Sono questi cambiamenti nella struttura sociale della famiglia che riducono la produttività degli alveari. Gli apicoltori spesso non si rendono conto dell’infezione a causa del percorso “silenzioso” dell’infezione di N. ceranae. Essi, di solito, attribuiscono lo sviluppo lento e la mancata produttività degli alveari ad altri motivi. E siccome mancano sintomi chiari, nella gran parte dei casi gli apicoltori non adottano le buone pratiche che potrebbero aiutare, invece, le famiglie a contrastare e superare questa infezione.

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PATOLOGIA MISURE PREVENTIVE E TRATTAMENTI Come è stato accennato prima, nei Paesi del Mediterraneo N. ceranae può essere la causa di famiglie deboli, di bassa produttività e di perdite anche consistenti. È quindi molto importante migliorare e sviluppare la conoscenza degli apicoltori su questa malattia. Le conseguenze dell’infezione si notano soprattutto durante la stagione produttiva, ma è possibile aiutare le famiglie adottando misure preventive in autunno. L’apiario, ad esempio, dovrebbe essere sempre collocato in un posto con buone risorse di polline, sia in autunno sia in primavera. Solo così si aiutano le famiglie nel processo di svernamento, sostenendo il ricambio veloce delle api invernali con quelle estive. Non ci sono trattamenti registrati per N. ceranae in Europa. Durante l’epidemia spagnola la fumagillina, un antibiotico, è stata registrata per il periodo di emergenza. Comun-

PERCHÉ NON HA SENSO L’UTILIZZO DI ANTIBIOTICI PER I TRATTAMENTI CONTRO IL NOSEMA CERANAE Gli apicoltori canadesi stanno chiedendo alle Autorità di rimettere in commercio il Fumidil-B, un prodotto a base di fumagillina. Come accennato nell’articolo, questa sostanza era ammessa come trattamento di emergenza in Spagna nel 2004 quando N. ceranae causò importanti perdite in questo Paese. Molti anni fa era disponibile anche sul mercato italiano. Si potrebbe quindi pensare che un trattamento contro questo parassita sia già disponibile e quindi richiedere la registrazione del Fumidil-B anche in Europa. Numerosi e contrari a questa ipotesi, sono i motivi che ci dicono quanto rischiosa sia una strategia sanitaria su base antibiotica. 1. La fumagillina è un antibiotico e quindi un medicinale che agisce principalmente contro batteri, non microsporidi come il Nosema che hanno un metabolismo e una biologia completamente diversa. La sua efficacia è stata provata soprattutto contro N. apis, non su N. ceranae che sappiamo avere una patogenicità più alta. 2. Gli antibiotici danno sempre un alto rischio di sviluppare resistenze. Trattamenti a base di fumagillina anche a scopo preventivo come fatto in alcuni Paesi fuori dall’Europa, aumenterebbero il pericolo di resistenze; perderemmo inoltre un trattamento di emergenza in situazioni come quella della Spagna del 2004. 3. La fumagillina lascia residui nel miele e nella cera. 4. N. ceranae riesce a superare indenne l’azione della fumagillina aumentando la produzione di spore che resistono al trattamento. Ciò è stato dimostrato in prove effettuate negli Stati Uniti. 5. La stessa prova ha mostrato effetti negativi sul metabolismo delle api: vengono alterate le proteine nel loro intestino e ciò causa danni anche a concentrazioni molto più basse di quelle necessarie per un trattamento. 6. La fumagillina è tossica per i mammiferi (e quindi anche per gli umani) ed è apparentemente cancerogena. Questi punti dimostrano che trattamenti con fumagillina causano più danni che vantaggi, sia alle api sia all’apicoltore e al consumatore. Si tratta quindi di trattamenti che vanno assolutamente limitati a situazioni di epidemia come quelle vissute in Spagna. Per il controllo regolare è necessario sviluppare trattamenti alternativi oltre alle misure preventive descritte nell’articolo.

que, trattamenti con questo principio attivo non costituiscono una soluzione a lungo termine. N. ceranae potrebbe facilmente sviluppare resistenze contro questa sostanza e questo aggraverebbe ulteriormente

il quadro di un ecosistema apistico già critico. Alcune prove hanno dimostrato la mancanza di efficacia con trattamenti a base di fumagillina negli Stati Uniti, dove questo antibioti-

Prodotto

Ingredienti

Carico di spore

Sopravivvenza delle famiglie

Prezzo

Protofil

Estratto di tarassaco, timo, achillea, basilico ed altre piante

Riduzione delle spore: 50-60%

Aumento della covata

40,00 Euro/Litro per 20 alveari

Nozevit

Estratto di corteccia di quercia

Riduzione delle spore, non confermato da tutte le prove

Aumento della forza delle famiglie, non confermato da tutte le prove

120,00 Euro/Litro per 250 alveari

Vitafeed Gold

Estratto di barbabietola da zucchero con acido salicilico

Riduzione delle spore, non confermato da tutte le prove

Aumento della forza delle famiglie, non confermato da tutte le prove

55,00 Euro/Litro per 25 alveari

Hive Alive

Miscela di estratti di alghe

Riduzione di spore

Famiglie più forti

150,00 Euro/Litro per 100 alveari

ApiHerb

Estratto di aglio, con aggiunti olii essenziali e vitamine B

Riduzione delle spore, attorno al 50% in Italia, Spagna, Messico

Famiglie più forti, sviluppo più veloce dei nuclei trattati

55,00 Euro/500 grammi per 10 alveari

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co viene usato regolarmente. Oltre alla mancata efficacia, il trattamento causa danni al metabolismo delle api anche in concentrazioni più basse a quelle necessarie per controllare N. ceranae. Si deve considerare infine la sicurezza per l’utente e per il consumatore finale: la fumagillina è tossica per i mammiferi e quindi anche per gli umani pare vi sia una incidenza di natura cancerogena. Svariati sono gli studi per individuare trattamenti alternativi; i dati finora disponibili, tuttavia, non sono ancora sufficienti a sviluppare e registrare un prodotto specifico per la lotta a questa patologia. GLI ESTRATTI VEGETALI FRENANO L’INFEZIONE Esistono diversi prodotti a base di estratti vegetali che sostengono di ridurre i livelli d’infezione di N. ceranae. Si tratta non di trattamenti veri propri, ma di supplementi nutrizionali che hanno un effetto favorevole sulla salute delle api. Questa è una distinzione importante: per un trattamento ci vogliono una serie di prove non solo sull’efficacia contro una malattia, ma anche sulla tollerabilità per l’animale trattato, la stabilità del prodotto, l’innocuità per l’ambiente. Ci vuole anche un’etichetta che descrive esattamente l’uso, la dosi e il tempo del trattamento. Per un mangime con additivi le regole sono molto meno rigide. La qualità del prodotto, quindi, dipende molto dalla serietà del produttore. Per i prodotti sul mercato la do-

cumentazione è molto diversa. I cinque prodotti più diffusi sono descritti nella tabella. Tutti questi prodotti usano estratti vegetali di qualche genere, ma seguono strategie diverse. La disponibilità e qualità dei dati sull’efficacia differisce molto; affinché i nostri lettori possano farsi un’idea, forniamo di seguito un riepilogo delle informazioni disponibili. Nozevit è un prodotto che si basa su di un estratto di corteccia di quercia. Questo formulato sarebbe in grado di ridurre il carico di spore e di aumentare la forza delle famiglie trattate. Le prove disponibili, comunque, hanno studiato l’effetto su N. apis in Croazia e prima dell’arrivo del nuovo parassita. Prove di laboratorio più recenti non hanno mostrato effetti sul patogeno esotico N. ceranae. Il primo prodotto, Protofil, è un Prodotto in Croazia. estratto di varie piante. Una prova effettuata in Grecia ha dimostrato una riduzione delle spore in dipendenza delle modalità di somministrazione e della durata del trattamento. Se aggiunto ad un candito in autunno, il numero di spore presenti diminuiva del 56%. Dato in forma di sciroppo in primavera, invece, l’efficacia era superiore e raggiungeva il 65%. È importante notare che siccome N. ceranae indebolisce le famiglie e causa anche perdite invernali, l’efficacia autunnale è fondamentale per garantire Un estratto concentrato di barbasia lo svernamento sia lo sviluppo bietola di zucchero con acido salisano delle famiglie nella primavera cilico è la base di Vitafeed Gold. Questo prodotto è stato messo a dell’anno successivo. punto con tutte e due le specie di Prodotto in Romania. 10/2019 | Apitalia | 13


PATOLOGIA Nosema ed ha ridotto le spore di N. ceranae per un 68%. In prove di laboratorio effettuate in Grecia le api infette con N. ceranae e trattate con Vitafeed Gold vivevano per un periodo più lungo rispetto a quelle senza il trattamento. Una prova recente in Spagna però non ha potuto confermare questi risultati. Prodotto in Inghilterra.

Estratto di aglio arricchito con olii essenziali e vitamine B è la base di ApiHerb. Questo prodotto è stato provato sia in laboratorio sia in campo ed è quello che offre la maggiore disponibilità di dati. In tutte le prove accessibili si sono dimostrati gli effetti positivi contro N. ceranae. Una prova in Sardegna ed un’altra in Piemonte hanno mostrato una riduzione di spore attorno al 50%. In una prova effettuata in Lombardia, ApiHerb è stato anche più efficace della fumagillina, riducendo il carico di spore per un 70%. I risultati positivi sono stati confermati anche in prove fatte in Spagna e in Messico. Oltre a questo, nuclei alimentati con sciroppo e ApiHerb si sviluppavano in modo più veloce rispetto ai nu14 | Apitalia | 10/2019

BUONE PRATICHE APISTICHE UTILI PER CONTRASTARE LA NOSEMIASI NUTRIZIONE DEGLI ALVEARI COLPITI È di fondamentale importanza la corretta gestione della nutrizione che può essere attuata somministrando dello sciroppo nell’apposito nutritore a tasca. Lo sciroppo è costituito da una soluzione al 62% di zucchero in acqua, ottenuta sciogliendo due chilogrammi di zucchero in un litro di acqua. In alternativa si potrà alimentare con candito commerciale e fermentato di soia. Il fermentato di soia è l’unico alimento che possiede tutti gli amminoacidi essenziali per l’ape. SOSTITUZIONE DEI FAVI Un’altra buona pratica apistica consiste nel sostituire frequentemente i favi del nido. Anche favi non molto vecchi, ma che presentano delle irregolarità sulla superficie, delle insenature che portano via molto tempo quando si ricerca la regina, andranno sostituiti a fine annata. LIVELLAMENTO DEGLI ALVEARI Consiste nel togliere favi di covata nascente dagli alveari più forti, ancora ricoperti dalle api che ili presidiano, per unirli ad alveari più deboli, che hanno bisogno di una maggiore popolazione per superare le morie causate da un attacco di nosema. Il livellamento ha un duplice obiettivo: evitare che gli alveari troppo forti vadano incontro a una sciamatura precoce e aiutare le famiglie in difficoltà. Ma per togliere dei telaini di covata bisogna innanzitutto cercare la regina: una volta trovata e rimessa dentro l’alveare, si potrà togliere un favo. La covata deve essere nascente perché le famiglie deboli non hanno la possibilità di avere molte nutrici e quindi non possiamo dar loro covata giovane da nutrire. In questo caso particolare, si toglierà un solo favo di covata nascente per non indebolire troppo la famiglia e si rinvierà il successivo salasso di una settimana. Il telaino tolto andrà sostituito con un favo vuoto, opportunamente sterilizzato, oppur con un foglio cereo se al momento c’è molta importazione di nettare e polline. Se si preleva un favo di covata, bisogna necessariamente nutrire la famiglia per non farla indebolire troppo, a meno che la stagione non sia particolarmente produttiva. Il favo tolto precedentemente potrà essere concesso a questa famiglia in difficoltà, che presenta i sintomi della nosemiasi: feci sulle testate dei telaini e api morte nel nutritore a tasca. Le api bottinatrici che si trovano sul favo torneranno al loro alveare di origine, in tal caso è bene quindi rinforzare la famiglia con api giovani, che sono quelle più pelose, scuotendole da un telaino proveniente da un’altra cassa. Le api possiamo prelevarle da quest’altra colonia, dove abbiamo ingabbiato la regina perché appena marcata, a cui possiamo togliere un ulteriore telaino di api. Dopo aver scosso il telaino, si può notare come le api più anziane, le bottinatrici, tornino alla cassa di origine. Qualunque spostamento di favi da una cassa all’altra e la nutrizione degli alveari andrà annotata su di un nastro adesivo posizionato sul coprifavo o su un apposito taccuino. STERILIZZAZIONE DEL MATERIALE Nel periodo invernale, in cui le colonie di api sono a riposo, molti favi e attrezzature si trovano in magazzino e per l’apicoltore, che ha più tempo a disposizione, è buona norma sterilizzare il materiale apistico. Una completa sterilizzazione può essere facilmente realizzata mediante l’irraggiamento con raggi gamma presso un centro autorizzato. Tutto il materiale apistico potenzialmente infetto, opportunamente confezionato, dovrà essere portato a un impianto di irraggiamento. La sterilizzazione con raggi gamma potrà essere effettuata su tutto il materiale apistico entrato in contatto con gli agenti infettanti, quali le spore di nosema. La diffusione delle principali malattie causate da batteri, funghi, protozoi e virus, potrà essere così efficacemente contenuta. Questa metodologia di sterilizzazione incide economicamente, ma ha l’indubbio vantaggio di essere la più sbrigativa, offre sicuramente ottimi risultati ed è in grado di trattare contemporaneamente tutto il materiale apistico, compresi i favi, senza danneggiare la cera o il miele che vi sono contenuti. In alternativa ai raggi ionizzanti, i favi possono essere sterilizzati mediante vapori di acido acetico, mentre le arnie e il restante materiale ligneo, potranno essere lavate con acqua bollente e soda, con un successivo passaggio alla fiamma azzurra.


clei di controllo e senza aggiungere MALATTIA IMPORTANTE questo prodotto al mangime. MA ANCORA TRASCURATA Prodotto in Italia. N. ceranae ha causato problemi importanti nei Paesi mediterranei, soprattutto in Spagna nel 2004. Nonostante la sua importanza, questo patogeno è ancora molto trascurato dagli apicoltori. È uno dei fattori che sta mettendo a rischio la salute e la produttività delle famiglie e, quindi, è importante aumentare la consapevolezza su questa malattia. Anche se non ci sono trattamenti veri propri, l’apicoltore può prendere misure che contribuiscano ad aiutare le api. Oltre agli integratori presentati, L’ultimo prodotto, Hive Alive, è un è importante prendere cura della estratto di diverse alghe. Una prova nutrizione delle api, soprattutto di campo effettuata in Grecia ha ri- garantendo abbondanza di polline dotto il carico di spore in famiglie di diverse fonti in autunno e pritrattate per un 57% comparandole mavera. Siccome N. ceranae riducon famiglie non trattate. Si deve ce il metabolismo delle proteine, notare però che questo prodotto è occorre assicurare che le famiglie stato usato continuamente durante ne abbiano adeguata disponibilità un periodo di due anni in questa perché così si migliorano le loro prova. L’’efficacia dopo un singolo difese contro il parassita. trattamento, quindi, se messa a con- È probabile che l’importanza di N. fronto con gli altri prodotti descritti ceranae come patogeno delle api non è sufficientemente chiara. mellifere aumenti a causa del riProdotto in Irlanda. scaldamento globale. Con inverni

più miti e temperature più alte, la malattia potrebbe causare perdite e altri effetti negativi anche in Paesi che finora non stati colpiti. In Italia, comunque, N. ceranae è già ora una importante causa di problemi per il comparto apistico. Come è stato accennato prima, questo parassita è uno dei fattori che contribuiscono a determinare le perdite invernali. Sta quindi nella responsabilità dell’apicoltore ridurre i rischi per le sue api, almeno quelli che sono sotto il suo diretto controllo. Un aspetto importante per N. ceranae è la trasmissione del patogeno sui fiori visitati per le api. Api infette lasciano spore sui fiori che poi sono assunte da altre bottinatrici e altri insetti. Così il parassita si distribuisce anche fra famiglie di altri apiari e causa problemi sanitari anche agli impollinatori selvatici. Quindi, oltre alle misure preventive e alla responsabilità dell’apicoltore, diventa sempre più urgente la messa a punto e la registrazione di trattamenti efficaci e sicuri per le api. Claudia Garrido

CHI È L’AUTRICE DELL’ARTICOLO Claudia Garrido è biologa e fondatrice di BeeSafe, un’azienda di consulenza che si occupa della salute delle api in agricoltura e medicina veterinaria. La sua carriera è stata dedicata alle api fin dal 1993. La dottoressa Garrido ha lavorato su parassiti e malattie delle api in diversi Istituti tedeschi prima di iniziare la sua attività indipendente. Ha pubblicato diversi lavori scientifici sulla varroa di cui è considerata un’esperta riconosciuta sulla scena internazionale. Attualmente lavora soprattutto in Germania ed in Italia, ma ha eseguito prove sull’efficacia dei vari trattamenti anche in diversi altri Paesi europei, in Brasile e in Thailandia.

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AGENDA LAVORI. NORD-OVEST

STAGIONE FINITA, O QUASI

L’ANNATA PROBLEMATICA CI COSTRINGE A RIDURRE I COSTI DI GESTIONE di Alberto Guernier

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n’estate caratterizzata perlopiù da grandi sbalzi di temperatura, repentini cambiamenti climatici, zone che bene o male hanno “dato”, altre no. Risultati che spesso non hanno tenuto e non sono destinati a tenere più in conto di quelle che sono state e saranno le tecniche apistiche utilizzate e le “forze” messe in campo. In anni come questi, si arriva a percepire abbastanza chiaramente come l’avere grosse quantità di alveari possa paradossalmente essere controproducente. La tendenza degli ultimi anni, ha visto le aziende all’inseguimento delle produzioni con ogni sforzo possibile, con un incremento di “capi allevati” ed ingenti investimenti di ammodernamento delle strutture (laboratori e automatizzazione), questo in conseguenza di un mercato “in tiro” e spesso deficitario di prodotto italiano. Ma viene oggi spontaneo domandarsi, sopratutto per le aziende individuali, famigliari, piccole o medie, che sono comunque poi la maggioranza (visto il susseguirsi di annate con scarse produzioni) con qualche numero alla mano; se questa rincorsa abbia ragione 16 | Apitalia | 10/2019

di esistere, se tenere in azienda un numero al limite del possibile di alveari ed una struttura adeguatamente attrezzata che sia in grado di essere utilizzata dalla lavorazione del melario all’etichettatura del prodotto finito, dia i frutti sperati ed insomma sia per così dire sostenibile e vantaggiosa. Siamo solo ad inizio autunno ed io ho la sana scaramantica e realistica abitudine di non contare gli alveari fino a primavera (anche se una stima mi è doveroso farla a

RIPENSARE IL MODELLO PRODUTTIVO


dicembre per l’aggiornamento in Banca Dati). Quando un alveare non produce, questa condizione non ci esime dal prestargli tutte le cure e le manipolazioni (tempo e danaro) che gli avremmo dedicato qualora avesse fatto due melari di acacia. I trattamenti per il controllo della Varroa, a questi livelli, vanno ormai ad incidere significativamente sul bilancio aziendale, causa farmacoresistenza (impossibilità quindi di un utilizzo sicuro dei classici presidi), nuovi formulati e pratiche apistiche, lo stesso dicasi per il carburante, mano d’opera, nutrizioni sempre più necessarie ed importanti. In laboratorio, la spesa di energia

e mano d’opera, compresa la deumidificazione continua dei locali diventa devastante per la lavorazione di melari incompleti e telai mezzi vuoti; e più sono numerosi più costano inutilmente. Sono tutti oneri riconducibili al numero di alveari posseduti! Stesse considerazioni valgono per le nutrizioni: più l’annata è avara di nettare, più è necessario nutrire, ennesima spesa riconducibile al numero di alveari posseduti; tutte situazioni che vanno ad innalzare le spese di gestione, gravando conseguentemente sui ricavi delle annate future. Ho passato anni a dire che l’unica valida considerazione per l’apicoltore, era quella di pensare: “il

prossimo anno andrà meglio”. Oggi credo che si possa anche considerare, ovviamente con grande disappunto, che il prossimo anno ci saranno meno spese... Come, direte voi? In prima battuta, ed in controtendenza, tenendo un numero di alveari che, in anni “normali”, possano garantire un reddito adeguato senza eccessi, vendendo quindi una parte di nuclei prodotti o, eventualmente, non producendoli proprio. Ponendo ora attenzione nell’ invernamento delle sole famiglie forti, eliminando e/o riunendo tutto quello che non ci convince, questo ci eviterà produzioni non omogenee con rendimenti incostanti.

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AGENDA LAVORI. NORD-OVEST In seconda battuta, servirsi di laboratori che effettuano il conto terzi (ne stanno nascendo un po’ ovunque): questa è una situazione possibile ed affidabile se gestita in modo serio, che ha l’enorme vantaggio di avere costi proporzionati al miele che si è prodotto; in pratica vengono azzerate tutte le spese relative al laboratorio nel caso in cui ci sia una mancata produzione, e non ne incrementa i costi, sopratutto quelli relativi alla mano d’opera qualora vi sia una sovrapproduzione cui fare fronte. Per di più ci si libera di una buona parte di burocrazia che solitamente non tiene conto del miele prodotto... I contatti in questi casi vanno presi per tempo, in periodi in cui “le

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bocce sono ferme” e si può fare tutto con calma, come il visitare la struttura a cui decideremo di appoggiarci in modo da non lasciare nulla al caso, prendendo visione dei contratti e dei reciproci adempimenti. Le mie vogliono essere solo riflessioni. Rimodulare, integrare, e forse rivedere le nostre aziende, per essere sì più efficienti ma nella giusta direzione; d’altro canto non è neppure possibile, a fronte di scarse produzioni (vedi rapporto ISMEA Apitalia 9/2019) perpetrare un insostenibile (per il consumatore finale) aumento smodato del prezzo del miele, situazione che sempre più spesso si sta verificando un po’ ovunque, che ha

l’obiettivo ovvio di valorizzare un prodotto genuino, compensando le scarse produzioni ma che, come spesso rischia di accadere, allontana dalla possibilità concreta di risultare concorrenziali sul mercato. Limitare le spese, diventa dunque un imperativo anche per gli apicoltori di medio-piccola dimesione aziendale. La speranza è che il clima torni quello di un tempo, che le fioriture si facciano trovare nel momento giusto, che si ritrovi certamente quella simbiosi che ci lega tutti a questa Terra. Buon lavoro a tutti Alberto Guernier


AGENDA LAVORI. NORD

PREPARARSI ALL’INVERNO UMIDITÀ PEGGIO DEL FREDDO

È TEMPO DI AZIONI PREVENTIVE, CONTROLLI E RIPARAZIONI. NON TRASCURARE L’INSIDIA DEL VENTO di Maurizio Ghezzi

CLIMA PAZZO PONETE AL RIPARO

Foto Karen Arnold

I VOSTRI ALVEARI

I

n presenza dell’ultimo tepore autunnale prima dell’arrivo di un inverno ormai alle soglie si osserverà una fisiologica riduzione dell’attività delle nostre bottinatrici. Per questo sarà fondamentale controllare se le famiglie hanno abbastanza provviste per poter superare il lungo freddo invernale verso il quale ci stiamo lentamente e progressivamente incamminando. È d’obbligo farci venire questo

dubbio in un momento così particolare della stagione apistica. Se valutiamo che alcuni alveari non abbiano sufficiente provviste o se qualche dubbio ci dovesse sorgere a riguardo di altri, non esitiamo a nutrire con sciroppo quando le giornate sono ancora tiepide oppure utilizziamo del candito se la temperatura è già stabilizzata verso valori più bassi. Sarà possibile osservare ancora qualche bottinatrice che va e che viene dentro e fuori dall’alveare dopo aver raccolto dell’acqua, del polline e del nettare dalle ultime timide fioriture che questo periodo dell’anno ci riserva; come per esempio il nespolo, il corbezzolo e l’edera, e perché no magari anche dell’ottimo succo di frutta, non pastorizzato, bottinato non da confezioni di sciroppo, ma da frutti ormai molto maturi e non raccolti che sono ancora saldamente ancorati alla loro pianta. Si sa l’ape con le sue mandibole non è in grado di perforare la buccia della frutta, ma troverà ben comodo suggere il succo di questi residui di frutta passando attraverso 10/2019 | Apitalia | 19


AGENDA LAVO RI. NORD un’apertura fatta in precedenza da vespe o calabroni. Oltre a controllare le riserve di cibo a disposizione delle colonie, non dimentichiamo che l’umidità rappresenta un grosso pericolo per le nostre compagne di viaggio, molto di più di quanto non lo possa rappresentare il freddo. Per questo motivo assicuriamoci di aver posizionato correttamente il coprifavo ed il tetto e di averli ben fissati, in modo tale che nelle giornate umide e piovose non possano verificarsi infiltrazioni all’interno degli alveari. Accertiamoci di aver rimosso per bene l’erba sotto gli alveari e davanti ai loro ingressi così che l’aria possa circolare liberamente, incliniamo leggermente le arnie verso l’avanti in maniera tale che eventuali residui di umidità vengano drenati dal cassettino del fondo, che avremo sapientemente girato al contrario, cosicché le goccioline d’umidità scorrano su di esso fino a riversarsi verso l’esterno. Alla fine del mese, quando il tipico tepore delle belle giornate ottobrine va via via scemando per lasciar spazio ai primi freddi, è bene utilizzare tutte quelle precauzioni necessarie per cercare di limitare al massimo le dispersioni di calore all’interno dell’alveare in particolar modo è opportuno cercare di ridurre la dispersione di calore sulla parte alta dell’arnia coibentando lo spazio fra coprifavo e tetto con dei pannelli di poliuretano o dei fogli spessi di tessuto non tessuto i quali oltre ad aver la specificità di proteggere dal freddo consentono anche una discreta traspirazione impedendo la 20 | Apitalia | 10/2019

formazione di residui di umidità nella parte alta dell’alveare. È giunto anche il tempo di ridurre l’ingresso della porta del nido utilizzando l’apposita griglia metallica o altri sistemi facilmente reperibili in commercio così da ridurre il flusso di aria fredda diretto verso l’interno e al tempo stesso impedire che qualche infreddolito topolino possa entrare nell’alveare in cerca di un tiepido riparo. Un altro terribile nemico per le nostre stimate compagne di lavoro è il vento, in particolar modo quei venti freddi ed incessanti che arrivano dal nord, nord-est e nord-ovest,

questo è il motivo per cui è sempre cosa opportuna ed intelligente proteggere i nostri alveari da venti nemici semplicemente posizionando delle siepi, meglio se fatte con utilizzo di arbusti con fioriture di interesse apistico come per esempio il nocciolo, il ligustro, l’alloro, i quali oltre a proteggere le colonie al momento della fioritura potranno fornire utili ed abbondante materiale di sostentamento per le famiglie alla loro iniziale ripresa primaverile. Se purtroppo non avevate predisposto questa protezione al tempo opportuno potrete sempre scegliere di “schermare” i vostri


alveari con le apposite protezioni frangivento che si possono reperire facilmente in qualsiasi centro di bricolage. Avete in previsione di voler, nella stagione a venire, ingrandire il vostro apiario? Questo è il periodo propizio per posizionare i supporti che saranno necessari a sostenere le nuove arnie. Meglio prevedere di utilizzare dei supporti ben resistenti in grado di sostenere senza spezzarsi il carico di pesanti melari perché la stagione che viene potrebbe, speriamo, essere quella giusta per un grande raccolto. Ad autunno inoltrato, se la regina avrà già smesso di covare e quindi troveremo nelle nostre colonie assenza di covata, è il momento di

ripetere i trattamenti di contrasto alla varroa utilizzando acido ossalico gocciolato ed inserendo delle nuove strisce di Apivar e/o Apitraz (foto pagina precedente) che rimuoveremo verso la metà di febbraio. Abbiamo in apiario vecchie arnie con legno usurato e prossime alla fine del loro ciclo vitale? Bene, è giusto questo il periodo per ordinarne delle nuove che in primavera andranno a sostituire quelle ormai troppo consumate dal tempo. Qualcuno di voi, oltre ad essere un bravo ed esperto apicoltore, è anche un appassionato di bricolage? In questo caso quale soddisfazione migliore se non quella di costruirsi da soli le proprie arnie? Meglio scegliere un legno duttile

e leggero come l’abete, il castagno è sicuramente migliore perché resiste più a lungo nel tempo ma il peso di un’arnia costruita con legno di castagno potrebbe mettere a dura prova il potenziale di forza dei nostri bicipiti e la resistenza muscolare della nostra colonna vertebrale. Con la fine d’ottobre i lavori d’invernamento per le nostre api dovranno essere completati. Non disturbiamole più, lasciamole tranquille avvolte in una salutare calma la quale permetterà loro di sognare le meravigliose praterie fiorite che le attenderanno al risveglio nella primavera che verrà. Maurizio Ghezzi

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AGENDA LAVORI. NORD-EST

L’ANNATA AMARA E LA DIGNITÀ DI CHI SI RIALZA

BIZZARRO, IMPREVEDIBILE, VIOLENTO… È IL NUOVO LESSICO DEL METEO di Giacomo Perretta

A

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non solo, che purtroppo dovremo abituarci a queste nuove condizioni atmosferiche. (…) Ovviamente anche l’apicoltura ne ha risentito parecchio con perdite anch’esse stimate intorno al 70%”. Passano gli anni ma la situazione è la medesima di oggi. Sembra che ogni anno ci sia un andamento climatico negativo, almeno in riferimento agli interessi dell’uomo. Ma noi siamo apicoltori e dobbiamo parlare di api anche se

VIA I TELAINI INUTILI STRINGERE LE PORTICINE

Foto Susanne Jutzeler

nche quest’anno il tempo non è stato solo bizzarro, è stato drammaticamente imprevedibile e violento, mesi di siccità si sono alternati a mesi di pioggia ininterrotta. Tutti i media hanno fatto a gara a chi dava a questi eventi le motivazioni più catastrofiche - il pessimismo fa più “audience” - però io penso che le motivazioni fin qui proposte siano ancora molto ottimistiche, infatti leggo che spesso la realtà è peggiore di qualsiasi altra ipotesi fantasiosa. Nel rileggere un mio articolo scritto 5 anni or sono cerchiamo di capire se lo possiamo sovrapporre all’andamento climatico di quest’anno. Dicevo così: “Nei miei ricordi, Ottobre, era un mese molto particolare, i suoi colori vivaci che sfumavano dal giallo al rosso si appoggiavano ad uno scenario fatto di fitte e grigie nebbie (…) da diversi anni però le nebbie sono svanite e si propone sempre più spesso un ottobre caldo con temperature alte che a volte si protraggono fino alle soglie dell’inverno, ho la sensazione e


con l’amaro in bocca. L’apicoltura riodo in cui le bottinatrici possono come l’agricoltura cade ma digni- trovare rari fiorellini ma con scarsitosamente si rialza. tà di nettare e la covata va drasticamente diminuendo. La diminuzione della covata non IL RACCOLTO In molte zone, quest’anno, non ci deve far abbassare la guardia, è c’è stato nulla da raccogliere e ad necessario porre particolare ataccompagnare questo risultato ci tenzione al controllo delle scorte sono state anche alcune violente e soprattutto nella preparazione manifestazioni atmosferiche che dell’alveare all’invernamento. hanno distrutto migliaia di alveari. Alcune indicazioni utili: Le Istituzioni e la solidarietà degli • togliere tutti i telaini inutili, cioè quelli che sono in eccedenza in apicoltori non sono state a guardarapporto al numero di api. Ho re, l’impegno di tutti ha prodotto già più volte sottolineato la difbuoni risultati, soprattutto nella ferenza tra telaino di api e numecoesione sociale sia degli apicoltori ro di api: non sempre il numero che degli agricoltori. di telaini corrisponde allo stesso Per la prima volta, a memoria d’uonumero di api. mo, molti sono stati gli apicoltori che hanno dovuto alimentare gli • Se alcuni telaini hanno depositi di miele, si possono mettere a alveari nel mese di maggio, come lato, oltre il diaframma: le api pure le sciamature anomale che saranno premurose e lo portehanno messo in seria difficoltà gli ranno verso il nido, oppure sarà apicoltori. quello che verrà consumato per prima. OPERAZIONI DA FARE È necessario osservare il compor- • Stringere le porticine; le api non hanno necessità di grandi apertamento delle api, questo è il pe-

DA “TELAINO DI API” A “NUMERO DI API” Un giorno gli apicoltori non si esprimeranno più con il termine “telaino di api” come fosse l’unità di misura, ma facendo riferimento alla reale quantità delle api. In sostanza, ad esempio, non diremo più «ho cinque telaini di api» quanto piuttosto «ho trentamila api». Difficile da pensare? Sono già in commercio sistemi che riconoscono larve di un paio di giorni che, automaticamente, sono inserite in un cupolino senza l’intervento dell’uomo. Le potenzialità della tecnologia sono talmente grandi che sfuggono al pensiero dei più. Un amico apicoltore è solito dirmi che sul suo smartphone giungono i report delle produzioni di alveari distanti centinaia di chilometri, operazioni che, solo alcuni anni addietro, erano impensabili. Come, del resto, è già accaduto in agricoltura dove le terminologie sono mutate in funzione dei processi di innovazione e degli strumenti di precisione. L’elettronica e la telematica cambieranno il modo di definire anche le misure del mondo apistico.

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ture, queste potevano essere utili quando le arnie non avevano il fondo di rete quindi con scarso riciclo di aria naturale, ma solo quello effettuato dalla doro capacità di movimentarla. Lasciare una fessura grande è inutile per le api ma utilissima per tutti quei piccoli animaletti che si propongono quali ospiti indesiderati. • Verificare l’efficienza delle arnie; è l’ultimo periodo in cui è possibile sostituirle, ripararle o ripulirle. Le api in inverno saranno soggette ad un naturale abbassamento delle difese immunitarie, quinè possibile, caratterizzato da una gliore entrata nel periodo più critidi le cariche batteriche presenti minore carica batterica. co dell’anno, ovvero l’autunno. nell’alveare avranno il sopravvento: diventa fondamentale fornire Questi suggerimenti potranno Giacomo Perretta alle api un habitat, per quanto ci dare un valido contributo alla mi-

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Foto Matteo Ballabio

AGENDA LAVORI. NORD-EST



AGENDA LAVORI. CENTRO

SEMPRE ALTA L’ATTENZIONE NEI NOSTRI ALVEARI

È GIUNTO IL MOMENTO DI PROGRAMMARE IL BLOCCO INVERNALE DELLA COVATA di Stefano De Pascale

T

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freddo per tutte le specie animali e vegetali è una sorta di momento di purificazione. L’assenza di covata che possiamo definire la parte “l’organo” del superorganismo più delicato è soggetto all’attacco di virus funghi e batteri permette alla famiglia forte e sana un ulteriore “igienizzazione” del nido e delle api. Mentre nelle famiglie che presentano problemi di virosi e di covata poco sana l’arrivo del freddo accentuerà queste problematiche compromettendo la so-

VIGILARE SULLA PRESENZA DI AETHINA E VELUTINA NEL CENTRO ITALIA

Foto Stefano De Pascale

ra gli apicoltori, una volta, correva il detto che nel mese di Ottobre meno si toccavano le api meglio era. Ahimè son detti che fanno parte dell’apicoltura di un tempo dove in un ambiente più salubre e ricco di fonti nettarifere e con colonie d’api più sane dal punto di vista sanitario gli interventi da parte dell’apicoltore potevano essere limitati. Ad oggi, per cosi dire, dobbiamo accompagnare le api all’inverno seguendole passo passo. In molte zone del centro Italia nel mese di ottobre continuano le fioriture dell’Inula viscosa e dell’Edera helix, se il clima sarà mite si seguiranno altre fioriture anche nei mesi di novembre e dicembre come il corbezzolo, il nespolo ed il rosmarino. Se pur non si tratta di flussi nettariferi importanti le api continuano l’attività di allevamento della covata. Invece con bruschi cali delle temperature le api potrebbero fermare le loro attività di foraggiamento e bloccare la deposizione di uova da parte della regina. Ma perché è cosi importante individuare il momento in cui le colonie non allevano più covata? Il


pravvivenza della colonia d’api. Per l’apicoltore il blocco di covata risulta un ulteriore momento molto importante della stagione in quanto utile per una radicale pulizia dalla Varroa prima dell’inverno. Tappa fondamentale per la salute delle nostre api. Data l’assenza di covata l’acaro non avrà la possibilità di riprodursi nel suo quartier generale, e sopratutto di evitare l’effetto acaricida delle molecole utilizzate contro di essa nascondendosi sotto l’opercolo. È precoce parlarne ora? Con andamenti stagionali sempre più incerti non ci sarebbe da meravigliarsi. Pensate che l’estrema importanza di abbattere il tasso d’infestazione

di Varroa destructor delle famiglie d’api sta portando sempre di più al diffondersi della tecnica biomeccanica del blocco della regina anche durante l’inverno. Il blocco può essere effettuato in gabbie che prendono il posto di un telaio centrale del nido, la “Gabbia Menna” ad esempio (foto sopra). L’ingabbiamento della regina viene prolungato per periodi variabili, anche 40-60giorni, senza riscontrare effetti negativi sulla vitalità delle api regine. Questa tecnica viene utilizzata in particolar modo in quelle zone dove il periodo di blocco naturale della deposizione è

troppo breve e non è sufficiente per effettuare i trattamenti acaricidi. La gestione del nido andrà lasciata alle api, saranno loro a predisporre le scorte per l’inverno e la covata nel migliore dei modi. Un eccessivo interventismo da parte degli apicoltori che pensando di fare cose buona, predispongono i telaini del nido nella maniera che loro ritengono ottimale inserendo uno o più diaframmi e collocando la famiglia al

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AGENDA LAVORI. CENTRO

centro dell’arnia spesso altera il raffinato sistema di riscaldamento del superorganismo, mettendo la colonia in difficoltà, che dovrà effettuare uno sforzo superiore per termoregolare. L’apicoltore si dovrà limitare ad inserire telaini di miele al posto di telaini vuoti se la colonia non ha scorte sufficienza ed inserire un diaframma (foto pagina 26) se necessario, stringendo la colonia su un lato dell’arnia. I telaini di miele anche se non coperti d’api vanno lasciati a disposizione della colonia per l’inverno. Il miele oltre ad essere la scorta di energia per le nostre api ha anche un forte potere di trattenere il calore che le api generano diventando una sorta di muro caldo, uno o piu favi di miele sempre caldi a disposizione del glomere. È importante stringere le entrate per evitare l’accesso di topi e piccoli animali in cerca anche essi di un rifugio caldo per l’inverno. Un altro fattore che dobbiamo tenere in considerazione per avere uno svernamento ottimale delle 28 | Apitalia | 10/2019

nostre colonie è la collocazione degli apiari in zone poche umide e bene assolate. Quindi apiari esposti a sud e preferibilmente non nei fondi valle ed in zone eccessivamente ombreggiate da alberi. Se diversamente si sverna in zone umide si può valutare di lasciare le arnie senza il fondo anti varroa o con il fondo inserito solo in parte in modo che l’umidità in eccesso all’ interno dell’arnia abbia una via d’uscita. Sempre per questo motivo le arnie si possono inclinare leggermente in avanti in modo che la condensa che si crea defluisca verso l’esterno. Se la problematica Nosema e Varroa l’abbiamo già trattata negli scorsi articoli dobbiamo porre attenzione su altri due problemi che affliggono il nostro settore, ovvero la presenza di Vespa velutina e di Aethina tumida sul territorio nazionale. Proprio in questo periodo sia la vespa predatrice di api che il coleottero parassita ghiotto delle componenti

proteiche dei nostri alveari, polline e larve raggiungono la massima pressione sugli alveari. Il monitoraggio devo riguardare tutti e non solo chi opera al confine delle zone rosse. Questo perché i due insetti hanno già ampiamente dimostrato come attraverso il trasporto passivo, ovvero quello ad opera delle attività umane, siano in grado di percorrere centinaia di km colonizzando nuovi territori. Un tempestivo rilevamento della presenza dei due insetti alloctoni può limitarne l’espansione o addirittura l’eradicazione in territori non ancora colpiti. Quindi è bene investire quindici minuti del proprio tempo per studiare la documentazione che le varie associazioni ed enti di ricerca presenti sul territorio nazionale hanno messo a disposizione degli apicoltori per imparare a riconoscere questi due parassiti esotici ma soprattutto essere dei buoni osservatori. Stefano De Pascale


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AGENDA LAVORI. SUD

ALVEARI IN RASSEGNA LUNGA LISTA DI VERIFICHE

LA GESTIONE DEI MELARI VA FATTA CON CURA FONDAMENTALE PREVENIRE L’ATTACCO DEI PARASSITI di Santo Panzera

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presidiati dalle api, anche in funzione di prevenzione e contrasto ad Aethina tumida. Altro importante lavoro da svolgere, in questo periodo dell’anno, è quello relativo alla cura e gestione dei melari, da considerare oltre che una preziosa componente biologica, anche come un importante strumento produttivo al quale dobbiamo riservare la massima attenzione per una buona conservazione nei lunghi mesi invernali. I melari andrebbero conservati asciutti per evitare che nei favi vi siano anco-

DIFFICOLTÀ CRESCENTI: LE DISTRAZIONI SONO FATALI

Foto Marco Tullio Cicero

li apicoltori previdenti e puntuali nelle loro operazioni in apiario, devono avere le api ben pulite dalla varroa ed in condizione di risollevarsi dai continui e ripetuti danni indotti dall’acaro. In questo periodo si impone un’accurata visita degli alveari i cui obiettivi sono diversi: • approfondire le conseguenze legate all’infestazione da varroa; • valutare la presenza di eventuali altre patologie della covata, come ad esempio infezioni batteriche, segnalate da celle non nate e disordine della covata residua; • capire quale sia stata la capacità di ripresa delle regine più vecchie o di quelle dell’anno con covate più irregolari, avendo l’accortezza di mantenere un’opportuna riserva di nuove regine nei nuclei di fecondazione, allo scopo di tamponare i casi sempre più frequenti di orfanità o regine non più performanti; • procedere alla riorganizzazione del nido con l’eliminazione dei favi più vecchi, ormai privi di covata ed il restringimento del nido stesso sui favi effettivamente ben


ra tracce di miele che potrebbero fermentare e lasciare residui sgraditi alle api. Si sconsiglia vivamente, in quanto altamente errata, la procedura di lasciare i melari allo scoperto, in prossimità dell’apiario, lasciando fare tutto alle api con il saccheggio, in quanto, finite le tracce di miele nei melari, le api, anche provenienti da apiari vicini, potrebbero rivolgere la loro attenzione e continuare l’attività di saccheggio sulle famiglie più deboli, diffondendo inoltre possibili patologie. La corretta asciugatura dei melari si effettua ponendoli sopra i nidi, anche non direttamente a contatto con i favi, ma separati dal coprifavo in cui il disco a quattro posizioni sia con il foro aperto; è possibile sovrapporre anche 2 o 3 melari per

alveare, chiusi in alto da un altro coprifavo. Le api accederanno ai “corpi estranei”, rappresentati dai melari, attraverso il foro aperto del coprifavo ed avranno cura di prelevare le tracce di miele per portarle nel nido, fungendo da prezioso aiuto alimentare per l’invernamento. Il prelievo dei melari deve poi avvenire, trascorsi due o tre giorni, preferibilmente di sera, quando le api saranno scese tutte nel nido, per essere poi portati in magazzino. Prima di impilarli definitivamente è necessario operare la selezione dei favi più scuri o mal costruiti, che andranno fusi per il recupero della cera e sostituiti con telaini muniti di foglio cereo, allo scopo di assicurare il graduale rinnovo della componente biologica del melario;

un occhio di riguardo anche ai favi che contengono esuvie larvali o residui di polline in quanto altamente appettiti oltre che dalle tarme della cera anche dall’Aethina tumida. Si procede quindi al trattamento contro la tarma della cera, accatastando i melari in pile da disinfestare con i classici dischetti di zolfo per uso enologico, da posizionare in alto, in quanto l’anidride solforosa prodotta dalla loro combustione, essendo più pesante dell’aria, tende a scendere verso il basso; una volta terminato il trattamento con lo zolfo, i melari vengono accatastati gli uni sugli altri in alte pile, ben chiuse in alto ed in basso, per essere conservati in magazzino fino alla primavera successiva. Nel bel mezzo dell’autunno, nel no-

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AGENDA LAVORI. SUD stro Sud, dovremmo preoccuparci di ricercare o ricreare una situazione che favorisca un repentino incremento della covata sana in quanto le api, già provate da quasi un mese di trattamento antivarroa, finiranno per invecchiare rapidamente e, se non riusciranno a produrre un rapido ricambio di popolazione sana, la famiglia si ridurrà al lumicino, senza possibilità di recupero. Qualora l’importazione di nettare, legata in questo periodo soprattutto alla fioritura di inula viscosa ed edera, non sia adeguata, dovremo nutrire le nostre famiglie in modo lento e continuativo per simulare un flusso nettarifero esterno. Non bisogna però cadere nella tentazione di credere che il “carburante” delle api siano esclusivamente gli zuccheri, in quanto l’alimentazione sintetica di soli glucidi, molto dissimile dalla loro dieta naturale, consente loro di sbarcare il lunario solo nel breve periodo. Infatti, la principale leva di azione per favorire la ripresa post trattamenti della famiglia, in caso di siccità e carenze di importazione, è la nutrizione proteica, per la quale esistono diverse ricette a base di farine vegetali, lieviti o prodotti di origine animale come caseina e tuorlo d’uovo; ma, il prodotto più adatto per la nutrizione proteica delle api rimane il polline fresco (conservato in freezer), somministrato tal quale o come pane d’api, dopo aver subìto una fermentazione lattica in condizioni di anaerobiosi. Bisogna essere sempre più consapevoli che le usuali tempistiche di lotta alla varroa risultano inadatte e vanno rimodulate a causa dell’articolato gioco di alleanze che l’acaro 32 | Apitalia | 10/2019

ha stretto con virus e nosema, senza giungere a fine stagione a buttare giù la varroa, quando essa ha avuto per lungo tempo la possibilità di creare le premesse per il collasso degli alveari instaurando infezioni virali inapparenti e di nosema, con la compromissione del bottinamento, della creazione di scorte nei favi, delle competenze immunitarie, dei fattori di resistenza delle api e, più in generale, delle capacità di invernamento della colonia. È necessario rivolgere la nostra attenzione alla qualità della vita dell’alveare, non alla quantità, considerando i sistemi immunitari individuali e sociali dell’alveare ed i loro fondamentali precursori rappresentati dalle proteine e dai grassi nei corpi delle api stesse. Nell’alveare in situazione normale le riserve di proteine e grassi stoccate nei corpi delle nutrici fungono da “ammortizzatore sociale” sulle varie caste, purché sia presente un buon pascolo ed un basso livello di varroa, la quale non consente ricchezza di grassi neppure in presenza di ricco pascolo. Le ristrettezze di grassi nelle api oltre che da scarsi raccolti e nutrizioni inadatte, possono essere legate a problemi di digestione del polline prodotte dalle infezioni virali o da Nosema. È stato dimostrato da tempo che, dove le risorse di pascolo sono

scarse, vi è più varroa a causa della perdita di efficacia e compromissione di due fattori di resistenza dell’alveare: 1. minore attrattività o vera e propria repulsività della covata per la varroa legata alla presenza di acido ottanoico nella pappa reale, per cui la produzione di quest’ultima in minore quantità facilita la parassitizzazione delle celle di covata da parte dell’acaro; 2. produzione da parte dell’ape parassitata da varroa di veleno che risulta tossico per l’acaro, in quanto sembra inibire la colinesterasi allo stesso modo del coumaphos (principio attivo acaricida, ndR); tale produzione di veleno è direttamente dipendente dalle riserve di proteine e grassi dell’ape, derivanti a loro volta dal bottinamento di polline dell’alveare non solo nel presente ma anche nel passato. Alla luce di queste considerazioni e delle sfide vecchie e nuove con le quali siamo chiamati a misurarci, risulta indispensabile guardare alle nostre api con occhi nuovi, non più abituati, distratti o per certi versi miopi, ma con occhi stupefatti e meravigliati per le sempre nuove scoperte e le tante incognite che il microcosmo alveare può ancora riservarci. Santo Panzera




AGENDA LAVORI. ISOLE

INIZIA UN NUOVO CICLO PER I NOSTRI ALVEARI

MINOR COVATA E VARROA PIÙ VIRULENTA LA PARTITA SI GIOCA SUL FRONTE DELLA CONOSCENZA di Vincenzo Stampa

L’INCREDIBILE CAPACITÀ DI ADATTAMENTO

Foto Vincenzo Stampa

DELL’APE SICULA

Foto 1

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on il mese di agosto si chiude, secondo tradizione, l’annata apistica. Purtroppo anche questo mito gran parte degli apicoltori lo possono archiviare, la varroa non va in ferie anzi è proprio nel periodo in cui le covate si restringono che manifesta tutta la sua virulenza. La panoramica delle modalità di intervento è amplissima, forse magari eccessiva, ma non c’è da meravigliarsi, è legge di mercato; dove

c’è una richiesta c’è anche un’adeguata risposta commerciale. La richiesta di prodotti antivarroa è enorme, basta considerare i dati ufficiali degli alveari registrati in Italia ben 1.287.418 (dati ministeriali); a quanti milioni di euro ammonta il costo che gli apicoltori sopportano per l’acquisto dei prodotti antivarroa e quanta manodopera viene impegnata? Sicuramente non sono cifre trascurabili mentre i risultati sono spesso deludenti. Ma non per tutti è così. In questo mare tempestoso c’è un’isola felice che s’identifica con il gruppo di apicoltori, sempre più vasto, che ha delegato la lotta alla varroa alle api stesse. Ci siamo felicemente goduti il mese di agosto, con la tranquillità di chi sa di avere fatto la scelta giusta, la conferma sta nei risultati: di varroa le api non muoiono e non se ne parla più, questa comunicazione a parte. Magia? Finiamola di scherzare, qui si tratta di conoscenza vera dell’etologia delle api e dei meccanismi che re10/2019 | Apitalia | 35


AGENDA LAVORI. ISOLE golano la vita degli alveari, a cui consegue una gestione attenta e puntuale dell’allevamento ed anche all’uso appropriato dello strumento adatto. Sul nostro territorio, ad esempio, è risultata vincente l’adozione dello SpazioMussi. Dando più spazio all’ape e meno alla varroa, con la semplice biotecnica di allargamento dei favi, riusciamo a salvare buona parte del nostro patrimonio apistico. Tutte cose che richiedono, oltre all’umiltà di ammettere la propria ignoranza, un grosso impegno personale di base per sapere, capire e assecondare gli alveari nel loro ciclo stagionale. Ed è proprio sul fronte della conoscenza che si gioca la partita, viene da chiedersi: come mai tutti questi soloni dell’apicoltura, pur avendo a disposizione una tale armamentario di lotta continuano a perdere nel confronto con la varroa? Datevi una risposta se vi basta il coraggio. Seppellito il passato, pensiamo al futuro e poiché siamo in Sicilia parliamo di ape sicula. Questa nostra ape sicula, allo scopo di resistere ai lunghi periodi di carestia tipici dell’estate siciliana, che sono molto più lunghi e duri nella Sicilia occidentale e meridionale, ha adottato la semplice strategia di ridurre la covata per risparmiare le scorte, in attesa di tempi migliori; ne consegue che viene a mancare il ricambio delle api che giungono a fine vita e la diminuzione del numero di api nell’alveare può risultare drastica. Naturalmente la regola è sempre la stessa “la stagione apistica inizia in autunno” ma, quan36 | Apitalia | 10/2019

Foto 2 do inizia l’autunno? Anche se l’autunno astronomico è ancora lontano (nel momento in cui l’articolo è stato redatto, ndR), qualche pioggerellina di poco conto, caduta a macchia di leopardo in aree incolte, è stata sufficiente a dare un segnale di risveglio a specie botaniche dormienti che hanno scelto il blocco vegetativo come metodo per resistere al lungo periodo siccitoso. Esse però hanno notevoli riserve di energia accumulate in radici rizomatose o in bulbi è questo il caso dell’asparago (Asparagus acutifolius) (Foto 1, pag. 29) e del cipollaccio (Drimia maritima) (Foto 2) che vegetano in areali attualmente completamente brulli (Foto 3) e stanno fornendo agli alveari quel tanto di polline e di nettare, quanto basta a indurli a riprendere lo sviluppo della covata. A questo punto occorre un chiarimento. Tutte le funzioni vitali, dell’organismo alveare, sono in rapporto di connessione con l’ambiente esterno e questa relazione non è diretta bensì mediata da meccanismi biologici interni che si attivano o disattivano in un certo lasso di tempo. La sopravvivenza degli alveari dipende dalle piante le quali, a loro volta, sono in balia

degli eventi metereologici, nel susseguirsi delle stagioni. Se ne deduce che la vita degli alveari si fonda su un numero di eventi che hanno insito un alto grado d’incertezza. La natura non può permettersi errori per cui, prima di reagire ad uno stimolo esterno, ritiene indispensabile ricevere delle conferme ripetute. Valga per tutti l’esempio del meccanismo comunicativo della fonte di cibo. L’ape esploratrice si preoccupa di comunicare alle sue compagne la posizione della fonte del cibo e, con la danza, ne convince alcune le quali, al ritorno dal raccolto, ripetono moltiplicandola l’indicazione per cui un maggior numero di api se ne convincono e così via, fino a quando tutte le bottinatrici si orientano sulla stessa fonte. Questo è soltanto il prudente avvio di un meccanismo ben più complesso e importante che si innesca all’interno dell’alveare. L’apporto costante e ripetuto di cibo fornisce, alle api che svolgono le diverse funzioni vitali per l’alveare, l’energia necessaria per cui si attivano e potenziano le loro attività. In particolare, le nutrici sono indotte a produrre più pappa reale che sarà disponibile per la regina,


Ambiente spontaneo mediterraneo; in mezzo alle ormai disseccate piante annuali, sono presenti le seguenti specie botaniche: in primo piano l’Asparagus acutifolia in fase di fioritura, in secondo piano il pennacchio fiorito della Drimia maritima e l’Euphorbia dendroiddes ancora nella fase di pausa vegetativa, sullo sfonfo la palma nana, ancora l’euphorbia ed il carrubo.

Foto 3 la quale inizia ad incrementare la sua deposizione con conseguente crescita dell’alveare, non solo in termini di popolazione ma soprattutto nella capacità di assicurarsi un futuro che è in sintesi l’obiettivo vero dell’alveare. Affinché tutto questo meccanismo vada a regime è richiesto un certo tempo, di attivazione delle diverse fasi, durante il quale è necessaria la continua conferma dell’esistenza delle giuste condizioni cioè nell’esempio, una continuità nella raccolta di cibo. Nel momento in cui viene meno il raccolto, si innesca il meccanismo inverso per cui l’alveare rallenta

gradualmente le sue attività fino, al limite, ad un arresto totale. È questo meccanismo di “stop and go” che mette l’alveare al riparo da gravi errori di valutazione. Ma cosa c’è alla base di tutto questo? C’è una cosa che a certuni non piace ed è l’integrità genetica della sottospecie allevata che, a sua volta, si articola e si declina in diverse linee genetiche le quali hanno mantenuto e rafforzato nel tempo la capacità di rapportarsi al loro ambiente abituale, come si è detto. L’inquinamento genetico, causato da gente scriteriata che ancora insegue il falso mito dell’ape migliore e che

non capisce che è l’apicoltore che deve diventare migliore, è un male ancora maggiore di qualsiasi vecchio o nuovo parassita o predatore. L’inquinamento genetico mina dall’interno la stabilità dell’alveare in quanto crea soggetti alieni che non sanno interpretare correttamente i segnali che provengono da un ambiente a loro non congeniale e che, come ciechi in un bosco sconosciuto, non possono fare altro che continuamene cozzare contro ostacoli imprevedibili così come stanno facendo i loro sprovveduti proprietari. Vincenzo Stampa

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SPECIALE DOLCE VELENO

QUANDO IL NETTARE DEGLI DEI ERA NOCIVO E LETALE

DOPO 2500 ANNI, UNA STORIA CHE FA ANCORA PAURA

Foto Ilona Ilyés

di Giovanna Serenelli

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SPECIALE DOLCE VELENO

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Foto it.wikipedia.org

iamo nel 401 a.C. a Cunassa, località posta sulle rive dell’Eufrate vicina all’odierna Bagdad, anticamente ad una settantina di km da Babilonia. 
Qui si combatte l’omonima battaglia. È lo scontro decisivo che pone fine all’ambizioso progetto di Ciro il Giovane (404-358 a.C.) di spodestare il fratello Artaserse II dal trono di Persia. Ciro viene ucciso in combattimento. I mercenari greci che avevano fedelmente servito Ciro, 10.400 opliti e 2.500 peltasti, comandati da Chirisofo lo Spartano e dai suoi luogotenenti, tra cui Senofonte si ritirano verso la madrepatria (Fig. 2). L’armata dei 10.000, così li chiamarono gli storici, non aveva praticamente subìto perdite, ad eccezione dei generali catturati in un’imboscata e prontamente sostituiti ed il ritorno verso casa non fu una fuga precipitosa, ma un ordinato e guerreggiato ripiegamento verso la Grecia. A poco meno di 40 km da Trapezunte (Trebisonda), dopo una battaglia con i Colchi1, come scrive Erodoto (Fig. 1) (Anabasi: VI,VIII, 1920-21): “…I Greci, superata la vetta, si accamparono in molti villaggi che avevano viveri in abbon-

Fig. 1 40 | Apitalia | 10/2019

ERODOTO, ARISTOTELE, PLINIO IL VECCHIO DA ORIENTE A OCCIDENTE UN DOLCE VELENO danza… Nella zona c’erano parecchi sciami d’api e i soldati che ne mangiavano il miele perdevano tutti la ragione, vomitavano, soffrivano di diarrea, non riuscivano a reggersi in piedi. Chi lo aveva solo assaggiato, somigliava a un ubriaco fradicio; chi invece se ne era rimpinzato, sembrava pazzo o addirittura in punto di morte. 
Così molti giacevano a terra, quasi che l’esercito avesse subìto una sconfitta: grande era lo scoramento. Ma il giorno successivo non era morto nessuno e, più o meno alla stessa ora, ripresero i sensi. Il terzo o il quarto giorno erano già in piedi, come se si fosse trattato di un’intossicazione”. Era, in effetti, un’intossicazione in piena regola determinata da quel miele tossico che ancora oggi, seppure infrequentemente, continua a far vittime.
 Del miele tossico riferisce anche Aristotele (384-322 a.C.) nel De mirabilibus auscultationibus a lui attribuito. Si tratta del miele selvatico di Trapezus (Τραπεζουσ), l’antica Trebisonda, nel Ponto, che dotato di un forte aroma è in grado di far impazzire le persone sane, ma cura immediatamente chi soffra di epilessia. 
Ben noto era questo tipo di miele anche a Plinio il Vecchio (23/24 79 d.C.) che nella sua “Storia Naturale” nel 44° capitolo del XXI libro ne parla piuttosto diffusamente riportando la possibilità di avvelenamenti di animali o di esseri umani e fornendo anche i rimedi utili a combattere l’intossicazione. Pompeo, come Senofonte, ne sperimentò le proprietà durante la guerra, da lui comunque vinta, contro Mitridate re del Ponto (67 a.C.). Le


Fig. 2 truppe Romane vennero massacrate quando furono intossicate dal quel miele che, subdolamente, Mitridate aveva lasciato a loro disposizione (Strabone, Geografia , XXII.3.1). Fu Krateuas di Pergamo2, suo medico personale a consigliargli questo genere di stratagemma. Non era in effetti sfuggita agli antichi la possibilità di utilizzare il miele tossico come arma da guerra né di ciò si sono dimenticati i militari moderni. Queste sono le prime notizie storiche certe che chiamano in causa il miele per il suo contenuto in Grayanotossine, ma per quei tempi in cui non sono presenti documenti scritti o in cui gli scritti hanno spesso interpretazioni incerte, non

è improbabile che simili incidenti, non necessariamente di massa, si siano già verificati. Ad esempio sembra che l’antico popolo dei DongYi3 usasse prepararsi del tè con foglie che presumibilmente appartenevano a piante di Rododendri (R. yedoensis?) C’è anche il motivato sospetto che le Melisse, citate da Omero nell’Inno ad Hermes, sarebbero state in grado di entrare in estasi solo dopo essersi nutrite di un miele divino, il Melichloron, quello che Plinio chiama “meli mnaenomenon” e che gli era ben noto per le sue proprietà tossiche. Lo stesso oracolo di Delfi4, o meglio le sacerdotesse che ivi profetizzavano avrebbero potuto avere, come ausilio nella loro

Note

1 Abitanti della Colchide, oggi Georgia, sulle rive del Mar Nero. 2 Krateuas o Crateuas di Pergamo, medico greco alla corte di Mitridate Eupatore fu autore del Rhizotomikon trattato di erboristeria, illustrato a colori secondo Plinio, ed oggi perduto. Sul suo libro si fondò il “De Materia Medica” di Dioscoride. Anche di quest’ultimo abbiamo perduto l’originale. La copia manoscritta ancora disponibile è del 512 d.C. ed è nota come Codice di Dioscoride di Juliana Anicia o Codex Vindobonensis o Codex Costantinopulitanus o più semplicemente di Codice di Vienna. 3 Secondo la storiografia tradizionale Coreana i Dongyi, o almeno i loro antenati, erano già presenti sul territorio coreano dal 7193 a.C. e vi restarono sino al 2333 a.C. La storiografia cinese riconosce l’esistenza di questo popolo ed il loro regno dal 2707 al 2598 a.C. quando Chi-you (mitico re dongyi; mitologia Miao) fu sconfitto dall’Imperatore Giallo. 4 L’oracolo è di oscure origini secondo Parke; di origini preistoriche, secondo Eumenide. In effetti l’archeologia, dando ragione ad Eumenide, dimostra la sua esistenza già dal periodo neolitico e la sua particolare importanza nel periodo Miceneo (1600- 1100 a.C.).

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Fig. 3 arte, le foglie di rododendri o il miele che le api producevano dal nettare di questi vegetali. Questo almeno secondo i lavori di Adrienne Mayor. Stando a quanto riferito da fonti romane le antiche profetesse bruciavano o masticavano foglie di alloro. L’alloro in greco antico era indicato con la parola daphne, ma era frequente la confusione con altre piante tossiche, per cui daphne poteva riferirsi, non solo all’alloro, così come noi lo conosciamo, ma anche ad altri vegetali: rododendri, azalee, oleandri. Se poi accettiamo il punto di vista dei geologi, allora i rododendri non hanno nulla a che fare con la divinazione ed il merito dell’Oracolo spetta solamente all’etilene che filtra dal sottosuolo di Delfi. È una cosa sostanzialmente già intuita dagli antichi autori, ma questa è un’altra storia. Infine in tempi assai più recenti,

nel 946 d.C., il miele tossico fu assai utile alla principessa Olga di Kiev (879-969). Nel 945 il principe Igor, marito di Olga (Fig. 3), aveva attaccato i Derevliani onde ottenere da loro un tributo ancor più gravoso di quello che aveva loro imposto5. Guidati al principe Mal, i Derevliani6 riuscirono ad uccidere Igor che consideravano come “un lupo in mezzo alle pecore” che avrebbe portato via “l’intero gregge” un animale alla volta. Forti della loro vittoria giunsero sino alle porte di Kiev con l’intenzione di costringere Olga a sposare il principe Mal e di prendere possesso del regno. Olga con qualche stratagemma riuscì ad illudere i Derevliani sulle sue reali intenzioni che erano quelle di vendicare l’uccisione del marito. Visto che Igor non sarebbe potuto tornare in vita, prima di accettare le loro proposte, così disse, avrebbe però voluto onorare il corpo del defunto con un’adeguata cerimonia funebre che si sarebbe tenuta nel luogo dell’uccisione, nella Dereva. Perciò Olga con un seguito di poche persone si recò presso la tomba del marito, nei pressi di Iskorosten capitale del regno derevliano. La cerimonia prevedeva abbondanti libagioni a base di idromele7. Neanche a dirlo il miele usato fu quello tossico. Resi impotenti dalle abbondanti libagioni, i Derevliani furono massacrati nella loro città. Si parla di una cifra di 5.000 morti. Le città (in realtà prevalentemente villaggi) furono messi a ferro e fuoco ed Olga poté ottenere la sua “dolce” vendetta. LA BOTANICA IL GENERE RHODODENDRON La tossicità del miele è imputabile al suo contenuto in grayanotossina, una sostanza che le api concentrano nel miele prodotto dal nettare di varie specie di piante appartenenti alla famiglia delle Ericaceae, ordine delle Ericales. Quello delle

Note

5 Siamo agli esordi del potente stato Kievano, le cui fondamenta vengono poste, secondo la leggenda da Rjiurik, principe di Novgorod, di cui Igor

era il figlio. La moglie Olga, aristocratica variaga oggi è più nota come Santa Olga (per cattolici ed ortodossi). Convertitasi al Cristianesimo nel 957, dopo la morte di Igor fu reggente per il figlio Svjatoslav I sotto il quale il regno ebbe una spettacolare espansione. 6 I Derevliani erano una tribù slava stanziata nella parte est dell’odierna Ucraina, vivevano di solito nelle foreste (da qui il loro nome). 7 Una bevanda fermentata preparata con acqua, miele, malto e fermenti.

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possono essere non tossici o viceversa, con possibilità, negli ibridi, di incremento o di riduzione della tossicità rispetto alle cultivar pure. Gli animali assumono il tossico per ingestione diretta di parti della pianta, gli esseri umani, generalmente, per ingestione di prodotti derivati dal vegetale in particolare di miele. Il principio tossico è attivo sia nella pianta verde che nella pianta essiccata e la sua eventuale presenza negli ibridi è, come già detto, difficilmente prevedibile. La principale sostanza tossica prodotta da Rododendri e Azalee è un diterpenoide noto oggi come grayanotossina già conosciuto con il nome di andromedotossina, acetilandromedolo o rodotossina; spesso le piante producono anche il glicoside arbutina. Il Rhododrendrum ponticum, subsp. Ponticum (Fig. 4), che seppure raramente può raggiungere gli 8 metri di altezza, è nativo del sud-est dell’Europa e del sud-ovest dell’Asia. Si trova oggi nell’area compresa fra Bulgaria, Georgia, Russia meridionale (area di Krasnodar), Turchia e Libano e almeno 20.000 anni fa, prima della glaciazione, aveva un areale dalle dimensioni

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Ericales (Dumort) è un ordine piuttosto ampio, a vasta diffusione, potendo essere presente sia nelle zone tropicali che in quelle artiche o comunque caratterizzate da temperature molto basse. Nella maggior parte delle piante di questo ordine è presente il fenomeno della micorrizza. Alcune Ericales sono in grado di catturare ed accumulare alluminio. Le Ericaceae sono una famiglia che comprende circa 100 generi e 3300 specie. Tra i generi (Cronquist), molto noto è il genere Rhododendron. Quest’ultimo, spesso indicato con il nome cumulativo di Rhododendron ed Azalea, comprende oltre 500 specie di piante a portamento arbustivo di altezza compresa fra i 40 ed i 90 cm. La chioma, sempreverde o decidua, è a portamento aperto, con foglie ruvide di forma ovale o lanceolata, di colore verde scuro brillante sulla pagina superiore e verde più chiaro o color rugginoso sulla pagina inferiore. I fiori possono essere semplici o doppi, di colori vivaci riuniti in grandi mazzi alle estremità dei rami. I botanici suddividono il genere in ulteriori 8 sottogeneri (Azaeastrum, Candidastrum, Hymenanthes, Mumeazalea, Pentathera, Rhododendron, Therorhodion e Tsutsusi). Per ogni sottogenere, ma non entriamo nei dettagli, visto che l’argomento è di stretta competenza della botanica sistematica, è possibile ulteriormente distinguere sezioni, sottosezioni, specie, sottospecie e varietà. Unica precisazione che aggiungiamo è che molti vegetali conosciuti come Ledum, debbono, grazie alle classificazioni basate sul DNA, essere inseriti nel genere Rhododendron. Perciò ogni volta che si parli di Ledum, si deve intendere Rhododendron. Se la distribuzione del Rhododendron è particolarmente ampia, la maggior concentrazione di specie si ritrova peraltro nel sud-est asiatico (montagne sino-himalaiane dal Nepal sino allo Yunnan ed al Sichuan), sulle montagne dell’Indocina, in Giappone, e nell’isola di Taiwan. Molte specie sono presenti in Borneo, in America e in Europa. Le piante del genere Rhododendron sono caratterizzate, dalla capacità di produrre sostanze tossiche per gli animali e per l’uomo. Si tratta di una tossicità variabile; ibridi di piante tossiche

Fig. 4 10/2019 | Apitalia | 43


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SPECIALE DOLCE VELENO

Fig. 5

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Fig. 6

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molto maggiori. L’altra sottospecie (subsp. baeticum) è oggi diffusa in Spagna e Portogallo ed è per l’appunto un residuo dell’antica flora del Terziario, quando l’Europa godeva di un clima sub-tropicale. Piccole popolazioni native di Rhododendron si trovano anche in Libano. Fu probabilmente la sottospecie ponticum a causare l’avvelenamento delle truppe di Senofonte. Non si può peraltro escludere che si sia trattato di miele di Rhododendron luteum (altezza massima 4 m), noto in precedenza anche con il nome di Azalea pontica, pure presente nelle aree settentrionali dell’Asia Minore. Oggi nelle isole Britanniche ed in Belgio, dove è stato importato e si è ormai naturalizzato, il R. ponticum, pianta invasiva, dotata, grazie alle sue tossine, di eccellenti difese contro funghi e batteri, altamente competitiva con la flora autoctona, mette a rischio la biodiversità locale. Giganteschi sono i Rhododendron delle montagne himalayane. Il Rhododendron arboreum (Fig. 5)

raggiunge i 25 m di altezza, il Falconeri raggiunge i 12 metri, il Sinogrande 11 metri; il R. Campanulatum, il R. Nuttallii con i suoi fiori lunghi sino a 12 cm, ed il Fortunei in grado di resistere a temperature vicino ai -30 °C sono un po’ più piccoli (10 metri); il R. Decorum raggiunge i 9 metri; il Bureavii è un albero di soli 7 metri di altezza; a 5 metri si arrestano il R. Thomsonii, il R. Cinnabarinum, il R. Souliei; il R. Neriflorum dai fiori scarlatti è un ‘alberello’ di soli 3 metri; il Dauricum (Fig. 9) che può fiorire in inverno o primavera con foglie a volte decidue, a volte sempreverdi è solo un grande arbusto di 2,5 metri; veri e propri arbusti sono solo il R. Campylogynum (50 cm) ed il R. Dahlousiae (Figg. 10-11) che produce fiori che hanno stessa forma, colore e profumo dei gigli. In Giappone sono prevalenti il R. Metternichii ed il R. indicum.
Il R. mucronulatum (Fig. 6), a foglie decidue, è nativo di Cina, Corea e Giappone, il R. yedoensis var. phoukhanense (subgenere Tsutsusi), a foglie decidue o semidecidue in climi freddi, è originario sia della Corea che del Giappone; il suo nome fa difatti riferimento sia a Edo, in Giappone, che al monte coreano Phoukan. È noto comunemente anche con i nomi di Azalea Coreana e di Azalea Yogodawa. L’area di diffusione è quella a sud della penisola coreana e comprende anche l’isola coreana di


Cheju e le isole giapponesi Shimono e Kamino, queste ultime indicate cumulativamente come isole Tsushima. I primi esemplari di R. yedoensis furono raccolti dal missionario Padre Urban Faurie dalla montagna Poukan; nel 1905 rami e semi furono inviati all’Arnold Arboretum di Harvard, fondato nel 1872 da James Arnold, un mercante di balene; cosa assai inusuale per i tempi, l’Arboretum era aperto al pubblico. La specie fu descritta da Lévéille nel 1908. Solo nel 1913 alcune piante raggiunsero l’Inghilterra. In Russia, nei territori del lago Baikal, di Khabarovsk, Irkutsk, Oblast, Burazia e lungo l’Amur si trova il Rhododendron dauricum conosciuto anche con il nome di R. aureum o R. chrysantum. È un arbusto che raggiunge l’altezza massima di 1 metro, dai fiori gialli; ricco di oli essenziali è considerato tossico, ma viene utilizzato come farmaco dalla medicina tradizionale popolare sia in Russia che in Tibet. La Nuova Guinea ha circa 167 specie di Rho-

dodendron, il Borneo ne ospita circa 46 (Vireya Rhododendron), circa un sesto di tutte le piante note del gruppo Vireya. Attualmente il gruppo Vireya è in piena riclassificazione. Nell’America del Nord si conoscono almeno 26 specie native: R. alabamense, albiflorum, arborescens, atlanticum, austrinum, calendulaceuum, clamtschatucum, canadense, canescens, catawbiense, cumberlandense, eastmanii, flammeum, groenlandicum, lapponicum, macrophyllum, maximum, minus, neoglandulosum, occidentale, periclymenoides, prinophyllum, prunifolium, subarticum, vaseyi e viscosum. Nel continente australiano i Rododendri furono introdotti nel 1880 e si ritiene che solamente il R. lochiae, piuttosto raro, presente solo nel Queensland, sia nativo. Qualche confusione è ancora oggi presente con il R. viriosum più comune, che potrebbe in realtà essere una nuova specie. Il primo è un piccolo arbusto, dell’altezza massima di 90 cm, descritto per la prima volta nel 1887 da

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SPECIALE DOLCE VELENO LA CURIOSITÀ: MIELE E GRAYANOTOSSINA Lo stupendo e molto interessante articolo archeologico-storico ed in parte apistico sulla Cappadocia, apparso di recente su Apitalia , mi stimola ad aggiungere una altrettanta importante notizia di ordine prettamente apistico-tossicologico. È noto che fin dall’antichità non poche persone si siano più o meno seriamente intossicate, ingerendo l’ormai famoso miele di Rhododendron ponticum; più semplicemente, per i non addetti a conoscenze di Botanica Sistematica, di quei cespugli di Rododendri, ricchi di splendidi fiori, di piante da noi utilizzate come ornamentali. Una scheda descrittiva di questo miele è stata inserita nel mio recente “Atlas of world unifloral honeys” edito dalla FAI. È noto anche che ai giorni nostri non pochi bambini, sempre curiosi di una novità, si siano avvelenati, giocando a chi fosse più in grado di mangiare quei fiori, contenente il famigerato nettare. Ancora, durante la II Guerra mondiale, per molti soldati tedeschi, affamati e ormai reduci da una guerra catastrofica e perduta, tornanti dal fronte Sudest-europeo, sicuramente in condizioni di salute non eccellenti, l’ingestione di molto miele della Cappadocia si dimostrò addirittura letale. Gli è che il miele di Rododendro pontico contiene non poca quantità di graianotossina o andromedotossina, una molecola velenosa, la cui azione nefasta si traduce in un repentino e vistoso calo della pressione arteriosa; la sostanza è presente anche nel nostro miele di Rododendro alpino, ma in quantità minima e assolutamente innocua. Questa venefica sostanza è presente, in diverse quantità, anche nelle Azalee e in una pianta degli USA, anche essa ornamentale: la amarissima Kalmia. L’Unione Europea già da tempo ha emesso una Direttiva, per la quale è fatto divieto di importare dalla Cappadocia in Europa questo miele. Il quale miele, in conclusione, non si riconosce e si distingue facilmente dal nostro miele di Rododendro, se non per la Melissopalinologia, che ancora una volta ci viene in soccorso: il polline dei due Rododendri è identico; però quello del velenoso è grande oltre 60 µ, mentre quello del nostro ottimo e innocuo delle Alpi è di non oltre 40 µ. Una piccola, piccolissima, ma determinante differenza! In ogni caso, per chi va da turista nella splendida Cappadocia, suggerisco di astenersi dal mangiare miele! Non si sa mai! Giancarlo Ricciardelli D’Albore

Ferdinand von Muller, botanico e geografo che lo chiamò così in onore della moglie del governatore dello stato australiano di Victoria, lady Lock, con il tubo della corolla dei fiori curvo, mentre il secondo, con il tubo della corolla diritto, cresce su terreni rocciosi penetrando con le sue radici nelle fessure delle rocce e può anche essere epifita. Entrambi gli arbusti producono splendidi fiori rossi a trombetta. Nel continente africano e nell’America del Sud non esistono Rododendri indigeni.
 Sul suolo italiano i Rododendri sono prevalentemente presenti nel Nord e, con minor frequenza, sugli Appenini bolognesi. Non mancano le leggende sulla loro nascita. La leggenda dei Rododendri, scritta in lingua ladina, narra di una Regina delle nevi che aveva un figlio grande e bello. Durante una partita di caccia il Principe delle nevi giunse in una valle fiorita in cui era 46 | Apitalia | 10/2019

sempre primavera. Qui incontrò una Principessa di cui, ricambiato, si innamorò perdutamente. La Regina delle nevi chiese quindi alla madre della Principessa di acconsentire al matrimonio dei loro figli. Poiché la Principessa non avrebbe mai potuto vivere in un luogo in cui non erano sempre presenti fiori, la proposta fu rifiutata. La Principessa dei Fiori pianse, il Principe si ammalò gravemente e senza rimedio. Alla Regina delle Nevi non restò che andare vagando da una fattucchiera all’altra in cerca di una cura per il figlio. La cura non fu trovata, ma per il lungo camminare, le suole delle scarpette della Regina si erano talmente consumate che persino i suoi piedi, ormai messi a nudo e feriti, sanguinavano. Dalle gocce di sangue della Regina e dalle lacrime della Principessa nacquero miracolosamente delle palline bianche, le stesse che si ritrovano in


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primavera sui Rododendri. Il lieto fine è d’obbligo: il castello dei ghiacci ebbe finalmente i suoi primi fiori che erano appunto i Rododendri e i due innamorati poterono sposarsi. In Italia è presente sia il Rhododendron ferrugineum L. (Fig. 7), noto anche con il nome di Rosa delle Alpi o Rododendro rosso (30-100 cm di altezza) che il Rhododendron irsutum di dimensioni più modeste del precedente (altezza media 80 cm) presente prevalentemente nelle Alpi Orientali ma anche sui monti Tatra e sui Balcani. Nella medicina popolare le foglie e le galle del Rhododendron hirsutum, arbusto assai longevo, dato che può vivere anche 60 anni, ma anche del ferrugineum sono utilizzate come diaforetiche, diuretiche, depurative, antireumatiche, sudorifere e sono anche utili nelle malattie croniche della pelle. Framiellio, ratèi, resselin in Val d’Aosta; cespuglio delle rose, rose dei giganti, marauin, maruin, giup, ginestu, magina in Lombardia; grignon, flor di mont,

Fig. 7 rose di mont in Friuli-Venezia Giulia; ambrossaj, brossaj, brussaj, brussé in Piemonte; movlina in Trentino Alto Adige; leandro in Veneto, questi sono alcuni dei nomi comuni e/o dialettali con

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SPECIALE DOLCE VELENO

Fig. 8 cui i Rododendri vengono indicati. Il Rhodotamnus chamaecistus (L.) Rchb. noto anche col nome di Rododendro cistino (Fig. 8) o rododendro nano, piccolo arbusto a portamento strisciante, è pure endemico sul nostro suolo. Le dimensioni sono molto ridotte e variano dai 10 ai 30 cm. In un rapporto sull’utilità dei Rododendri, con specifico riferimento al R. ponticum, risulta la possibilità di utilizzazione per la pacciamatura dei terreni, a protezione dei suoli dall’erosione o per la riduzione, in agricoltura, della crescita delle erbacce o per il mantenimento dell’umidità del terreno. Il compostaggio di residui vegetali contenenti grayanotossine, secondo gli standard richiesti dalle linee guida esposte nel BSI PAS100 (British Standards Istitution Pubicly Avalaible Specification) ed accreditate dal WRAP (Worldwide Responsible Accredited Production) azzera il contenuto tossico nell’arco di nove settimane. L’azzeramento riguarda non solo la GTX I e la GTX III, ma anche intermedi e derivati del metabolismo delle GTX quali la Grayanotossina-III-2H2O, la diidro grayanotossina II, l’epossigrayanotossina II o l’idrossi gra48 | Apitalia | 10/2019

yanotossina II, la 10-epi-grayanotossin III, e le 9α e β idrossi grayanotossine. Il carbone prodotto dal legno di Rododendro per il suo alto potere calorifico, potrebbe essere usato senza particolari problemi, dal momento che nei fumi, anche quelli di legno verde, sono presenti tracce poco significative di grayanotossina. I rododendri potrebbero anche essere sfruttati per la produzione di biocarburanti e, ovviamente per l’estrazione di vari fitochimici. Interessante è l’attività insetticida dei rododendri, ben nota nelle tradizioni popolari. Giovanna Serenelli Università degli Studi di Perugia Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Facoltà di Medicina e Chirurgia Tratto dal lavoro originale “Erodoto, il miele tossico e le grayanotossine” liberamente adattato per i lettori di Apitalia. La versione originale è pubblicata su www.researchgate.net/publication/233729484_ Erodoto_il_miele_tossico_e_le_grayanotossine_I_parte



ETOLOGIA

IL MISTERO DELLE API CHE DONDOLANO

SEGNALAZIONI SEMPRE PIÙ FREQUENTI E TANTE IPOTESI AL VAGLIO DELLA SCIENZA di Bjoern Kumlien*

L’

attività di dondolio anteroposteriore delle api (detto anche “washboarding”) sulle zampe medie e posteriori con movimento “raschiante” o “raspante” delle zampe anteriori e delle mandibole che viene eseguito in gruppo, è un fenomeno enigmatico, che finora non si è riusciti a decifrare. Il movimento oscillante antero-posteriore sulle zampe medie e posteriori si svolge con la parte anteriore

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del corpo (testa e torace) inclinata verso il basso, mentre la parte posteriore (l’addome) è in posizione orizzontale o alzata. Durante il movimento all’indietro la testa dell’ape dondolante viene progressivamente flessa verso il basso e l’addome fino a quasi poggiare la fronte sulla superfice del suolo, contemporaneamente le mandibole si aprono e chiudono ripetutamente a mo’ di pinza lungo la superfice senza uno scopo evidente.

DISTURBO CEREBRALE O SCONOSCIUTA FUNZIONE


Durante questo movimento si osservano tra le api dondolanti altri due fenomeni singolari: uno è la flessione delle antenne verso il basso fino a toccare il suolo, l’altro è l’attività “raschiante” delle zampe anteriori, che al termine di questo movimento a ritroso si fa spesso più veloce, come se si stesse spingendo materiale scavato per spostarlo posteriormente. È una attività che non sembra avere alcun riscontro pratico. Alcuni lo interpretano come una attività di “pulizia” che però non trova una verifica nella realtà giacché la superfice su cui questa attività si svolge o è già tersa di per sé, oppure non risulta modificata da questa attività di “raschiamento”.

Altre teorie ipotizzano che in questo modo le api dondolanti procedano allo spargimento di un feromone secreto dalle ghiandole mandibolari. Alcuni Autori ancora postulano una attività di ripiego nei periodi di ozio. Le ipotesi finora avanzate su questo fenomeno non hanno limiti. Da quanto ho assimilato osservando e documentando con video e foto le attività delle api e per quanto abbia potuto apprendere da libri ed articoli su questo imenottero, questi preziosi e prodigiosi insetti non si permettono attività inutili o di scarsa praticità, anzi hanno una incredibile capacità di lavorare con grande efficacia ottimizzando il risultato con il minimo dispendio d’energia.

Nulla è inefficiente, nulla è superfluo nel loro lavoro quotidiano. Come spiegare allora questa attività di gruppo, questo dondolio del corpo con movimenti di “raschiamento”, la cui utilità non si riesce ad individuare? In diverse occasioni osservando il microcosmo entomologico ho notato il comportamento di api solitarie e vespe scavatrici, che dell’imenottero Apis mellifera sono stretti parenti. Questi insetti nel corso della loro attività, scavando la terra anche con l’ausilio delle mandibole per costruire il proprio nido, eseguono dei movimenti molto simili se non identici a quelli delle api mellifere quando dondolano e raschiano su una superficie.

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ETOLOGIA Le affinità degli imenotteri con la terra (bombi, formiche, molte api solitarie e vespe scavatrici) sono molteplici e varie. Evidentemente la terra è un elemento sostanziale nella vita ed evoluzione di molti se non della maggioranza degli imenotteri. Mi viene dunque spontaneo pensare che il movimento basculante delle api abbia qualche rapporto con l’attività scavatrice degli imenotteri in questo “elemento”, la terra, tanto importante per questa specie. Non dovremmo meravigliarci se l’ape mellifera ancestrale avesse nidificato nella terra per milioni di anni prima di cambiare le proprie abitudini nel corso di un processo evolutivo, abituandosi via via a nidificare in anfratti e cavità lontane dal suolo come fanno ora. Anche gli antenati della nostra specie vivevano sugli alberi per poi cambiare abitudine nel corso dell’evoluzione e vivere sulla superficie terrestre. La genetica molecolare degli imenotteri, infatti, ha dimostrato che l’ape mellifera discende da una ancestrale vespa “terricola” come riferito dalla dott.ssa Manuela Sann et al., Università di Friburgo, Istituto

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di Biologia I, Germania, 2018. Per chiarire il fenomeno indecifrabile del dondolio raspante dell’ape mellifera, un’ipotesi potrebbe essere quella di un “residuo ancestrale” di questa attività scavante, che serviva a nidificare nella terra, come fanno attualmente molti altri imenotteri. Così come esistono molti residui o relitti anatomici, che hanno perso la loro funzione con l’evoluzione, come la plica semilunare dell’occhio, il tubercolo di Darwin dell’orecchio o i residui degli arti in alcune speci di serpenti, similmente vi potranno essere dei residui ancestrali di attività che hanno perso la loro funzione originale come i movimenti di dondolio e raschiamento con spinta retrograda delle api mellifere. Non so da quanto tempo questo fenomeno sia insorto o sia stato descritto. Se questo comportamento fosse apparso solo negli ultimi tempi, da quando cioè sono appar-

si gli insetticidi in agricoltura, una teoria speculativa sull’attività di dondolio raspante potrebbe essere quella di uno stimolo e riattivazione, da parte di alcune neurotossine, di uno schema ancestrale latente ed inattivo ma memorizzato nel cervello delle api mellifere e trasmesso geneticamente da tempi immemorabili. Molti insetticidi come i neonicotinoidi tristemente famosi per il danno che causano alle api mellifere sono insetticidi, che bloccando l’acetilcolinesterasi, provocano una iperstimolazione dei neuroni ed in particolare di quelli preposti al controllo della muscolatura. Uno dei sintomi neurologici sulle api mellifere è un movimento frenetico delle zampe come riferito dalla Dott.ssa Daniela Laurino dell’Universita di Torino nel 2011. In tale contesto, come supporto a questa ipotesi, penso ad alcune


sindromi neurologiche della sfera umana, come ad esempio la “Restless Legs Syndrome” (la “Sindrome delle gambe senza riposo”, I sintomi sono spesso descritti come un formicolio o un brivido avvertito alle gambe che creano una forte necessità di muoverle; ndR) o la “Attention Deficit Hyperactivity Disorder” (il disturbo da deficit di attenzione/iperattività, ADHD, è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da problematiche nel mantenere l’attenzione; ndR) ambedue con manifestazione di sintomi di ipercinesia che si presume abbiano l’origine in un disturbo della biochimica cerebrale, più precisamente in una interferenza e squilibrio dei neurotrasmettitori

che regolano l’attività muscolare. Un meccanismo analogo causato da neonicotinoidi ed altri insetticidi, potrebbe quindi essere alla base dell’insorgere di questi movimenti ripetitivi dell’Apis mellifera, la cui intensità e persistenza stupisce. Osservando i miei alveari ho potuto constatare questa attività incessante ed estenuante per molte settimane, di giorno e di notte. È quindi possibile, che questo incomprensibile movimento iperattivo possa essere l’espressione di un sintomo più che di una funzione. Anche se vi sono molti quesiti irrisolti su questo condotta spero che questa ipotesi, come tante altre già avanzate, possa contribuire a portare avanti ulteriori sforzi per

arrivare a chiarire l’origine, significato e funzione di questo comportamento delle api mellifere, la cui intelligenza, capacità e condotta sociale altamente evoluta ha affascinato l’uomo dalle sue origini. Bjoern Kumlien L’Autore ha esercitato la professione medica come Pediatra e Neonatologo. Oggi apicoltore per passione e studioso di etologia ha elaborato una sua ipotesi qui descritta nel dettaglio ULTERIORI INFO Washoboarding, il mistero delle api che dondolano https://youto.be/rekhlPzzCZw

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Le aziende informano

Un progetto Bee Salus per investire sul naturale A colloquio con Armando Monsorno coinvolgere aziende in una rete anticrisi NASCERE CON UN PROGETTO “AL NATURALE”. QUANTO E COME INCIDE UN AMBIENTE ANCORA INTEGRO?

Il Laboratorio Erboristico Al Naturale: vent’anni nel mondo degli integratori alimentari e dei prodotti salutistici. Poi la voglia di andare oltre, ma sempre sulla strada della qualità: controllando direttamente la fase produttiva, l’approvvigionamento di materie prime, la selezione dei fornitori. Oggi siamo diventati un punto di riferimento importante per il settore apistico e a livello nazionale. Forti di una posizione geografica nel cuore della Val di Fiemme, in Trentino - ci siamo ritrovati senza particolari sforzi a lavorare in sintonia con la Natura: in un ambiente ancora integro e ricco di energie positive che ci permettono di evolvere e crescere continuamente. Non solo lavoro dunque, un po’ anche una scelta di vita.

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IN TUTTI QUESTI ANNI AVETE INTERPRETATO LE ESIGENZE DEGLI APICOLTORI. ORA CHE SERVIZI OFFRITE AI VOSTRI CLIENTI?

Siamo specializzati in questo appassionante settore e anch’io conduco 300 alveari. Questo mi aiuta ad interpretare le esigenze dei nostri amici apicoltori, anticipando i loro bisogni e quelli della loro clientela. Anche in questo mondo meraviglioso il mercato è in continuo movimento e oggigiorno, rispetto al passato, bisogna saper offrire cose nuove e di qualità per potersi distinguere nell’universo delle offerte commerciali che la vita quotidiana prospetta. Il nostro obiettivo è quello di coinvolgere i clienti in un processo di “vera collaborazione”, consapevoli che il successo dell’uno significa automaticamente anche il successo dell’altro. Lavoriamo sul “fare rete aziendale”.


L’ALTA QUALITÀ DEI PRODOTTI DELL’ALVEARE PUÒ INCIDERE SUL NOSTRO STAR BENE?

Certamente sì. Ogni giorno vediamo confermati importanti risultati; parlando con le persone che vengono a visitarci, seguendo i commenti sulle nostre pagine “social” o le recensioni che spontaneamente arrivano sui nostri siti internet. In estate organizziamo visite guidate al Maso delle Erbe con più di 1500 ospiti che poi ci danno fiducia e apprezzano la qualità dei nostri integratori alimentari e delle linee cosmetiche a base di miele, propoli, pappa reale e polline. Ciò comporta investire molte energie in Ricerca & Sviluppo, in materie prime di qualità e di esclusiva provenienza nazionale; con una attenzione particolare all’organizzazione aziendale, alla formazione del personale e a tutto ciò che concorre a creare un ambiente di lavoro sereno e positivo, prima ancora che produttivo. DI COSA HANNO BISOGNO GLI APICOLTORI PER INSERIRSI CON SUCCESSO NEL MERCATO?

L’esperienza mi dice che sono poche le cose essenziali per avere successo, ma quelle poche non possono assolutamente mancare. La prima è l’ottimismo: esser capaci di vedere il bicchiere mezzo pieno, aver passione per il lavoro che si fa, adattarsi al mercato mai rinunciando all’inventiva, dimostrare competenza e professionalità, mettersi in discussione e migliorarsi giorno dopo giorno. Bisogna curare l’immagine aziendale, stare attenti ai particolari, selezionare articoli di qualità, fidelizzare la clientela con una vasta gamma di prodotti e servizi, valorizzare il lavoro senza cadere nel vortice di “sconti” e

“offerte”; aprirsi, infine, alle innovazioni ed al progresso. È così che alla fine i successi arrivano! IL PROGETTO BEE SALUS PUÒ ESSERE UN’OPPORTUNITÀ IN UN MOMENTO DI CRISI?

Bee Salus Vip è un progetto che offre l’opportunità di fare rete fra aziende che operano con la stessa filosofia e tra soggetti che desiderano completare la propria offerta commerciale marciando sullo stesso binario: attività formative, prodotti specifici e assistenza nel campo della comunicazione. Ma anche corsi di formazione on-line su Apiterapia, Apiaromaterapia, Apididattica e tanti altri indirizzi operativi; compresi i supporti didattici e l’assistenza di personale qualificato in queste particolari discipline. IN UNA SOCIETÀ ATTENTA A BENESSERE E SALUTE CI SONO ANCORA SPAZI DI VALORIZZAZIONE DEI PRODOTTI DELL’ALVEARE?

L’apiterapia è una pratica dalle potenzialità veramente enormi, secondo me ancora tutte da sviluppare in Italia. Questo ne fa uno strumento sulla cui validità siamo in tanti a credere, pur consapevoli sia ancora necessario disporre di persone qualificate e norme specifiche per avvicinare al mondo dell’apicoltura tutti coloro che sono interessati a sperimentare soluzioni salutistiche e naturali offerte dalle nostre amiche api. Senza dimenticare mai il Made in Italy, perché solo così possiamo aiutare il comparto apistico nazionale. Per avere maggiori informazioni sul progetto Bee Salus 0462. 814753 | info@beesalus.com | beesalus.com

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Ape Sicura: e stai tranquillo Polizza di Assicurazione sulla Responsabilità Civile (R.C.) Alveari COME ASSICURARE I PROPRI ALVEARI Gli Apicoltori abbonati alla Rivista APITALIA che desiderano assicurare i propri alveari contro i rischi derivanti dalla responsabilità civile per eventuali danni procurati a terzi, debbono compilare l’apposito modulo di adesione alla Polizza collettiva “Ape Sicura” e trasmetterlo alla Segreteria della Rivista APITALIA. Gli Apicoltori abbonati alla Rivista APITALIA possono attivare una Polizza per ciascun apiario posseduto. È garantita la copertura assicurativa per un intero anno (12 mesi). Il Certificato di Polizza sarà prodotto (in formato cartaceo e/o elettronico) e trasmesso - solo a seguito dell’invio delle attestazioni di pagamento e del Modulo di Adesione - alla Segreteria della Rivista APITALIA. La volontà di recesso dalla Polizza collettiva non dovrà essere preventivamente comunicata vista l’automatica scadenza annuale della copertura assicurativa. CONDIZIONI GENERALI DI POLIZZA 1) Rischi assicurati. La Compagnia “Gruppo UNIPOL-SAI. Divisione Fondiaria” assicura a ciascun abbonato alla Rivista APITALIA - purché Apicoltore e come tale iscritto all’Anagrafe Apistica Nazionale - il pagamento delle somme che, quale proprietario-esercente l’apicoltura, sia tenuto a corrispondere, in quanto civilmente responsabile ai sensi di legge, a titolo di risarcimento per danni involontariamente cagionati a terzi, sia per lesioni a persone che per danni materiali a cose o animali, in conseguenza ad un fatto accidentale, compresi i rischi derivanti dalle operazioni di carico e scarico degli apiari e dal trasferimento da una zona all’altra degli apiari stessi, escluso il rischio della circolazione su strada di uso pubblico o su aree a questa equiparate dai mezzi impiegati (in conformità alle norme della legge 24/12/69 n. 990 e del DPR 24/11/ 70 n. 973 è infatti obbligatoria l’assicurazione per rischi di responsabilità civile auto). Sono compresi nel novero dei terzi, limitatamente a lesioni personali, gli aiutanti occasionali dell’assicurato, sempreché vi sia responsabilità dell’assicurato stesso. La polizza collettiva “Ape Sicura” copre inoltre i rischi inerenti alla partecipazione degli Assicurati a Fiere, Mostre e Mercati, compreso il rischio derivante dall’allestimento e dallo smontaggio di stand, ma con l’esclusione dei danni agli espositori ed alle cose esposte. 2) Massimali e Franchigia. L’Assicurazione vale fino alla concorrenza massima complessiva, per capitale, interessi e spese di: Euro 1.000.000,00 (un milione/00 di Euro) per ogni sinistro e relativi danneggiamenti arrecati a persona, animali e cose. Per ciascun sinistro è prevista una franchigia pari a Euro 250,00. 3) Partecipazione all’Assicurazione. Possono essere incluse nella Polizza collettiva “Ape Sicura” le persone e gli enti che siano Abbonati alla Rivista APITALIA - purché Apicoltori o Proprietari di alveari e come tali iscritti all’Anagrafe Apistica Nazionale. Per beneficiare dell’Assicurazione gli Apicoltori debbono: A) versare sul conto corrente postale n. 46157004 intestato a: FAI - Federazione Apicoltori Italiani - Roma, o con qualsiasi altro mezzo ritenuto idoneo, il premio assicurativo di 15,00 Euro (per ciascun apiario da assicurare).

La Compagnia assicuratrice si riserva di modificare l’entità del premio in base all’andamento tecnico sul rapporto sinistri/annualità; B) comunicare alla Segreteria della Rivista APITALIA con apposito modulo di adesione l’ubicazione esatta dell’apiario o degli apiari da assicurare. 4) Decorrenza. La validità della garanzia decorre dalla data di versamento del premio assicurativo, che dovrà essere contestuale alla data di sottoscrizione all’abbonamento annuale alla Rivista APITALIA, ha la durata di un anno a partire dalle ore 24 del giorno del versamento. 5) Norme e sinistri. In caso di sinistro l’assicurato deve darne denuncia scritta alla Segreteria della Rivista APITALIA - Corso Vittorio Emanuele II, 101 - 00186 Roma (tel.: 06.6877175 - 06.6852276; fax: 06.6852287; email: segreteria@federapi. biz) entro cinque giorni dal fatto o al momento in cui ne viene a conoscenza. Per i sinistri implicanti gravi lesioni corporali, l’assicurato oltre a darne notizia alla Segreteria della Rivista APITALIA, ne darà comunicazione alla Compagnia “Gruppo UNIPOL-SAI. Divisione Fondiaria” (indirizzo PEC: unipolsaiassicurazioni@pec.unipol.it), indicando anche il codice della polizza n. 159877505. Non adempiendo all’obbligo della denuncia l’assicurato perde il diritto al risarcimento. Parimenti decade da tale diritto qualora pregiudichi i legittimi interessi della Compagnia nella difesa o contro le azioni o pretese per il risarcimento dei danni che ad essa esclusivamente spetta di condurre in qualsiasi sede o modo, in nome e con la collaborazione dell’assicurato. 6) Accettazione condizioni generali e particolari. Il versamento del premio di assicurazione significa piena accettazione di tutte la condizioni generali e particolari della Polizza n. 159877505, di cui gli interessati possono, su richiesta, prendere visione, dovendosi intendere il rapporto assicurativo, indipendentemente dall’opera intermediaria della contraente, direttamente intercedente fra la Compagnia assicuratrice e i singoli assicurati e regolato unicamente dalle condizioni stabilite nella Polizza citata.

Mod. 01/2019 Questo modulo annulla e sostituisce tutti i precedenti

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Ape Sicura

Modulo di Adesione per gli Apicoltori abbonati alla Rivista

1

IL SOTTOSCRITTO.......................................................................................................................................................................................................... INDIRIZZO...................................................................................................................................................................................................................... CAP................................... LOCALITÀ.......................................................................................................................... PROVINCIA........................... TELEFONO......................................................................... EMAIL................................................................................................................................ CODICE FISCALE.............................................................. PARTITA IVA...................................................................................................................... nella sua qualità di abbonato della rivista APITALIA: a) chiede di essere incluso nella Polizza collettiva “Ape Sicura” di assicurazione per la responsabilità civile contratta a beneficio degli Apicoltori che aderiscono all’iniziativa; b) dichiara, sotto la propria responsabilità, di essere iscritto all’Anagrafe Apistica Nazionale con Codice di Allevamento n. ..........................; c) indica, qui di seguito, l’ubicazione dell’apiario che intende assicurare:

2

1. Apiario composto da n° ................. alveari Comune, Provincia........................................................................................................................................................................................................... Indirizzo, Frazione........................................................................................................................................................................................................... Località, Fondo................................................................................................................................................................................................................. Coordinate satellitari.......................................................................................................................................................................................................

NOTA BENE Utilizzare n. 1 modulo per ogni apiario da assicurare

Proseguire su altri fogli fotocopiati eventuali altri apiari da assicurare.

Che rimette

a mezzo CCP n. 46157004 - FAI - Federazione Apicoltori Italiani - Roma

a mezzo bonifico bancario, MPS Banca - IBAN IT65T0103003283000061424927

unitamente alla presente

Data.............................................. Firma (leggibile) dell’Assicurato............................................................................................................................ Data.............................................. Firma per accettazione da parte della Compagnia............................................................................................

3

Acconsento all’utilizzo dei miei dati personali ai sensi della normativa sulla Tutela della Privacy (Art. 10 Legge n. 196/2003 e del Reg. UE 2017/679) ai fini del trattamento da parte della Rivista Apitalia e della FAI-Federazione Apicoltori Italiani per l’invio di materiale amministrativo, informativo e/o promozionale. I miei dati non potranno comunque essere ceduti a terzi e mi riservo il pieno diritto di conoscere, aggiornare, modificare o cancellare le informazioni a me riferite. Data................................................ Firma (leggibile) dell’Assicurato..........................................................................................................

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INSERZIONISTI I GIORNI DEL MIELE Manifestazione apistica www.comune.lazise.vr.it

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ISI FOOD Imballaggi alimentari isifood@isifood.com

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APIC. MARCON Prodotti per l’apicoltura e api regine info@apicolturamarcon.it

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BEE HOUSE Prodotti per l’apicoltura info@beehouse.it

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DOMENICI Prodotti di apicoltura di erboristeria info@domenici.it

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OTTOLINA Caramelle di qualità apicolturaottolina@gmail.com

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COMARO Prodotti per l’apicoltura info@comaro.it

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BEEVITAL prodotti per la cura delle api info@beevital.it

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BEESALUS Prodotti per l’apiterapia info@beesalus.com

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AL NATURALE Laboratorio erboristico info@alnaturale.com

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Registro Stampa Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 15447 del 01.04.1974 ISSN: 0391-5522 - Iscrizione R.O.C.: 26230 Editore FAI Apicoltura S.r.l. Corso Vittorio Emanuele II, 101 - 00186 Roma - Italia - UE Telefono +39. 06. 6852556 - Fax +39. 06. 6852287 Email info@faiapicoltura.biz Direttore Responsabile Raffaele Cirone redazione@apitalia.net Redazione e Segreteria Corso Vittorio Emanuele II, 101 00186 Roma - Italia - UE Telefono +39. 06. 6852280 - Fax +39. 06. 6852287 Email redazione@apitalia.net Grafica e Impaginazione Alberto Nardi redazione@apitalia.net Comunicazione e Social Media redazione@apitalia.net Esperto Apistico Fabrizio Piacentini redazione@apitalia.net Promozioni e Pubblicità Patrizia Milione redazione@apitalia.net Stampa Tipografica EuroInterstampa Via Eleonora Carlo Ruffini 1 - 00145 Roma

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