Apitalia 11/2018

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UNA MISSIONE COMUNE

Apitalia - Corso Vittorio Emanuele II, 101- 00186 - Roma - ITALY - UE - ISSN: 0391 - 5522 - ANNO XXXXIII • n. 11 • Novembre 2018 •- 691 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) Art. 1 Comma 1 – Roma Aut. C/RM/18/2016





EDITORIALE

LAZISE INSEGNA

L’APICOLTURA È AGRICOLTURA L’APE ITALIANA È BIODIVERSITA’ ASSOCIAZIONISMO COESO ISTITUZIONI ATTENTE NORME SEMPLIFICATE

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azise, primo Comune d’Italia, prima manifestazione nazionale e internazionale di apicoltura nata in Italia, giunta alla 39a edizione. Un’Amministrazione che, indipendentemente dai colori politici, si fa carico di tutti gli eventi, allestendo la fiera, patrocinando i convegni, mettendo a disposizione spazi, servizi, risorse umane e finanziarie. Elevato il livello del Convegno promosso dalla FAI con l’aiuto del Comune e con il prestigioso patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo. Numeroso e partecipe il pubblico che vedeva in prima fila Presidenti e Consiglieri di molte realtà territoriali richiamate dalla FAI a Lazise. Presenti le Istituzioni europee e nazionali, gradito il messaggio di saluto del Sottosegretario Alessandra Pesce, del Mipaaft. Il Presidente della Commissione Agricoltura, Senatore Gianpaolo Vallardi (foto a lato), ha presentato il disegno di legge n. 728 sulle piccole produzioni locali che in Audizione parlamentare abbiamo sottolineato essere atteso da migliaia di apicoltori desiderosi di superare gli ostacoli burocratici, rispettando le garanzie igienico-sanitarie ed esprimendo al meglio il potenziale produttivo. È questa dunque la formula proposta dal Veneto e dalla sua apicoltura organizzata: fare squadra, superare insieme gli ostacoli, crescere nell’interesse collettivo. Al Comune di Lazise, che non organizza le cose per fare cassa con un evento fieristico, va un meritato grazie per l’esemplare testimonianza di cosa significa invece, fare in concreto un’Amministrazione dalla parte delle api. Raffaele Cirone 11/2018 | Apitalia | 5


SOMMARIO

Apitalia N. 691 | 11/2018 gli articoli 5 EDITORIALE Lazise insegna 10 PRIMO PIANO Canapa, la nuova filiera

Raffaele Cirone Giovanni Gioia

28 AGENDA LAVORI. SUD E ISOLE Invernamento: in sintonia con la natura delle api Vincenzo Stampa 48 AMBIENTE “Biomonitors” 52 SCIENZA Matematica nell’alveare 54 CHEF AL MIELE Anthony Genovese: 2 stelle e tanta passione per il miele

Nicola Palmieri Pasquale Angrisani

Luisa Mosello

14 AGENDA LAVORI. NORD-OVEST Reinfestazione sì, reinfestazione no Alberto Guernier 17 AGENDA LAVORI. NORD-EST Imperativo: controllare le scorte e la covata Giacomo Perretta 20 AGENDA LAVORI. CENTRO Autunno, si forma il glomere… finalmente Tecnici Apam 24 AGENDA LAVORI. SUD Pericolo Aethina

Santo Panzera

56 FLORA APISTICA I pollini di emergenza Giancarlo Ricciardelli D’Albore

lo SPECIALE

I GIORNI DEL MIELE

• PICCOLE PRODUZIONI LOCALI, Stefano De Rui • VESPA VELUTINA: EMERGENZA EUROPEA, Laura Bortolotti • SUGGERIMENTI PRIMA DEL TRATTAMENTO INVERNALE, PierAntonio Belletti 6 | Apitalia | 11/2018

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i nostri recapiti Corso Vittorio Emanuele II, 101 - 00186 Roma Corso Vittorio Emanuele II, 101 - 00186 Roma 06. 6852556 06. 6852556

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i nostri riferimenti Api ceraiole che collaborano per la costruzione di un nuovo favo. Un valido esempio di sinergie cui dovrebbe ispirarsi il comparto apistico tutto.

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Giovanni Gioia, Alberto Guernier, Giacomo Perretta, Tecnici Apam, Patrizia Milione (foto pag. 22), Santo Panzera, Jorge Schlemmer (foto pag. 24), Vincenzo Stampa, Bram Cornelissen (foto pag. 27), Stefano De Rui, Laura Bortolotti, Maxime Parisy (foto pag. 37), PatHDTatto (foto pag. 42), Pier Antonio Belletti, Nicola Palmieri, Roberto Fontana (foto pag. 48), Marco Moretti (foto pag. 51), Pasquale Angrisani, Luisa Mosello, Giancarlo Ricciardelli D’Albore, Fabrizio Piacentini, Alessandro Patierno, Lorenzo Della Morte.

marcatura dell’ape regina Secondo un codice standardizzato, le regine sono marcate con un colore (tabella a lato) per permettere all’apicoltore di riconoscerne l’anno di nascita

bianco

giallo

rosso

verde

azzurro

1o6

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3o8

4o9

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(ultimo numero dell’anno di allevamento, esempio “2018”)

i nostri valori Lo stemma circolare dell’ape regina al centro della scritta che recita “Il mio non sol, ma l’altrui ben procuro” accompagna da sempre le pubblicazioni curate dalle firme storiche dell’editoria apistica italiana da cui Apitalia trae origine

Questa è la medaglia d’oro accompagnata dalla menzione speciale della Giuria internazionale che ha riconosciuto Apitalia miglior rivista di apicoltura per i suoi contenuti redazionali, la qualità del corredo fotografico e il valore tecnico-scientifico

La moneta di Efeso, con l’ape come simbolo riconosciuto a livello internazionale già 500 anni prima di Cristo

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FOTO DEL MESE

Abbiamo messo l’Ape Italiana al centro della 22a edizione di EcoMondo - Fiera Internazionale dell’energia, dell’economia verde e dello sviluppo sostenibile. Il pubblico ci ha ripagato con grande attenzione… Anche questa è BioEnergia!

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PRIMO PIANO

LA CANAPA E I SUOI DERIVATI

TENTA TUTTI, MA È DI SCARSO INTERESSE APISTICO di Giovanni Gioia Non offre nettare, produce polline mediocre e non ha bisogno dell’ape come impollinatore. Cannabis sativa L., tuttavia, suscita una grande e crescente attenzione: la filiera agricola offre molteplici opportunità economiche, quella alimentare è ormai di gran moda. È boom di preparati, che richiamano l’azione stupefacente… i furbetti li stanno chiamando “canna-miele”

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ell’ultimo decennio e in particolare a partire dall’introduzione della legge n. 242 del 2 dicembre 2016 recante “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa” l’Italia ha assistito alla progressiva diffusione della canapicoltura nei più svariati settori dell’economia: dalla bioedilizia ai semilavorati, dagli impieghi industriali fino alla cosmesi. Non fa eccezione il settore alimentare per il quale le caratteristiche nutraceutiche dei derivati della canapa, unite alla curiosità che suscitano questi prodotti, fungono da richiamo irresistibile per il consumatore finale. Ciò ha inevitabilmente stimolato l’interesse dei più svariati comparti dell’agroalimentare italiano e tra questi anche quello apistico. Comincia in effetti ad essere presente sul mercato anche il miele che fa dell’iconica foglia a sette punte, messa in bella vista nell’etichetta, un tratto distintivo di sicuro richiamo per l’acquirente. Prima di proseguire è bene fare un’importante precisazione. La Cannabis sativa L., appartenente alla famiglia delle Cannabaceae, si affida all’impollinazione anemofila: è dunque evidente come la pianta di cannabis non debba fare affidamento alla laboriosità delle nostre api per riprodursi, anzi gli individui maschili si sono evoluti nel produrre considerevoli quantità di polline particolarmente sottile e di facile diffusione, di un caratteristico color giallo pallido tendente a sfumature verdi, che vediamo spesso aleggiare sulle piantagioni nelle giornate ventose. Non dovendo garantire un rapporto di mutualismo con insetti pronubi è evidente come la Cannabis sativa L. abbia un potenziale mellifero pressoché nullo. La nostra azienda si occupa da anni di apicoltura e coltivazione di canapa industriale, percorsi nati indipendentemente l’uno dall’altro che ci hanno comunque portato ad osservare frequentemente le interazioni fra le api ed i campi di canapa coltivati a


Foto Giovanni Gioia

poche decine di metri di distanza. I fiori femminili sono essenzialmente ignorati. Altra storia è la raccolta del polline. Non è inusuale osservare le nostre collaboratrici volare di fiore in fiore intorno agli individui maschili di canapa con le cestelle a pieno carico. Le colture comuni nel territorio collinare della Sicilia interna dove ha sede la nostra azienda e la tipologia di flora spontanea presente negli incolti fanno sì che proprio il periodo di fioritura della canapa sia in un periodo di magra per la raccolta di nutrimento da parte delle api: ciò nonostante il loro interesse nei confronti di tali fioriture non sembra prioritario. Le analisi melissopalinologiche da noi commissionate evidenziano sì la presenza di polline di Cannabaceae, ma solo in tracce, persino nel miele raccolto in periodi in cui le api fanno fatica a trovare altre abbondanti fioriture nei dintorni. Ci si chiede dunque quali siano

be “addestrato” le api a produrre miele con resina di cannabis. La notizia non è corredata da dati scientifici e solleva non poche perplessità. Ciascun apicoltore è conscio di doversi limitare ad assecondare i naturali istinti degli alveari, a controllare la loro salute, a gestire proficuamente l’apiario. Cosa ben diversa è “addestrare” o “costringere” le api a indirizzarsi verso una specifica fioritura, tantomeno quando questa non risulti di per sé ben gradita. Unica possibilità sarebbe confinare le api in un habitat particolare, impedendo un libero e variegato approvvigionamento di nutrimenti, a sicuro detrimento della loro salute. Per resina di Cannabis sativa L., generalmente, si intendono le secrezioni dei peli ghiandolari, detti tricomi, VERITÀ O LEGGENDA? presenti sulle infiorescenze femmiNon sarà sfuggita, agli occhi dei nili. È chiaro che l’interesse delle api più attenti, la notizia in rete di verso resine di qualsivoglia natura è un apicoltore francese che avreb- essenzialmente dovuto alla produle caratteristiche del miele recentemente messo in commercio. Si nota come la denominazione scelta sia la più generica possibile “miele di fiori” non potendo evidentemente né garantire percentuali di pollini degne di nota né potendo fare affidamento a schede di caratterizzazione o a letteratura scientifica consolidata per poterlo legalmente definire tale. Si fa leva in effetti sul fatto che il miele sia stato prodotto nelle vicinanze di piantagioni di canapa o, piuttosto, si fa uso di una denominazione che richiami nei termini e nella grafica la canapa e i suoi effetti. Di fatto, ciò ingenera confusione nel consumatore e persino tra gli operatori del settore che nulla sanno circa l’effettiva natura del prodotto così commercializzato.

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PRIMO PIANO zione di propoli, la cui presenza in tracce è quasi sempre riscontrabile nel miele. Il fatto che la “cosiddetta resina” dell’apicoltore francese non sia meglio descritta e quantificata pone ulteriori dubbi sul caso. L’INCERTEZZA NORMATIVA I prodotti presenti sul mercato sono dunque delle semplici miscele di miele con aromatizzanti che, secondo la normativa del settore apistico, nulla hanno a che fare con la produzione primaria; qui si parla, infatti, di veri e propri preparati soggetti a ulteriori trasformazioni alimentari. Tipico esempio è quello dell’aggiunta di estratti di CBD (Cannabidiolo) al miele. Il cannabidiolo è uno dei principali cannabinoidi prodotti dalla canapa, non ha effetti psicotropi, non rientra tra le sostanze giudicate stupefacenti, ma

procura effetti salutari confortati da evidenze mediche. L’utilizzo negli alimenti del CBD o di ogni parte della pianta di canapa, eccezion fatta per semi e derivati, non è ad oggi disciplinato da norme esaustive. C’è da augurarsi, dunque, che cambi qualcosa al più presto. Le problematiche riguardanti l’utilizzo di derivati della canapa all’interno degli alimenti rappresentano, dunque, questioni delicate vista la potenziale presenza di THC (Tetraidrocannabinolo), cannabinoide psicotropo naturalmente contenuto nella pianta. La materia è ampiamente dibattuta dalle organizzazioni di rappresentanza che hanno nel tempo avanzato varie proposte sui limiti massimi di questo componente negli alimenti. È singolare notare come ad oggi non siano ancora previste indi-

cazioni obbligatorie nonostante già dieci anni fa gli studi dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), pubblicati con nota n. 44595 del 15.7.2008, aventi ad oggetto “Alimenti alla cannabis”, proponessero precise indicazioni in materia. Non essendo all’epoca disponibili dati sulla dose giornaliera di THC tollerabile dall’uomo, l’ISS prese spunto dai valori applicati in Germania individuando la media di 1,5 mcg/kg di peso corporeo/die. Si perviene così alla Raccomandazione della Commissione Europea n. 2115/2016, che invita gli Stati membri all’adozione di opportuni sistemi di monitoraggio sulla presenza di THC ed altri cannabinoidi coinvolgendo gli operatori del settore alimentare e gli altri soggetti interessati. Sempre secondo la Raccoman-

SE È STUPEFACENTE NON È ALIMENTO Il “Regolamento (CE) n. 178 del 28 gennaio 2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, stabilisce i princìpi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare”; all’articolo 2 “Definizione di alimento” lettera g) non sono previste negli alimenti “le sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi della convenzione unica delle Nazioni Unite sugli stupefacenti del 1961 e della convenzione delle Nazioni Unite sulle sostanze psicotrope del 1971”. Il settore è ancora in attesa dell’apposito decreto del Ministero della salute previsto dalla L. 242/16 all’articolo 5, (ad oggi con un ritardo di un anno e mezzo). Esso recita: “Con decreto del Ministro della salute, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definiti i livelli massimi di residui di THC ammessi negli alimenti”. In ambito europeo l’EIHA (European Industrial Hemp Association) ha proposto i seguenti limiti (espressi in mg di THC su kg di alimento): Olio di canapa: 10,00; latte di canapa: 0,15; pane, pasta, prodotti da forno: 0,10; dolci, snacks: 0,35; bevande (alcoliche, analcoliche, tè, tisane): 0,01. Dal suo canto, nel 2015, il gruppo CONTAM dell’EFSA (gruppo di esperti scientifici dell’EFSA sui contaminanti nella catena alimentare) ha pubblicato una Scientific Opinion on the risks for human health related to the presence of tetrahydrocannabinol (THC) in milk and other food of animal dove ha stabilito una dose acuta di riferimento (DAR) di 1 mcg di THC/kg di peso corporeo.

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Foto Giovanni Gioia

dazione n. 2115/2016, inoltre, gli Stati membri, gli operatori del settore alimentare e gli altri soggetti interessati dovrebbero garantire che i risultati delle analisi siano forniti periodicamente all’EFSA (l’Autorità per la Sicurezza alimentare) e al più tardi entro fine ottobre 2018. Ci troviamo dunque proprio a ridosso di un’importante scadenza che provocherà sicuri aggiornamenti in materia. Appare del tutto evidente, dunque, che l’utilizzo della canapa in alimenti di derivazione apistica è tematica da affrontare con la dovuta attenzione e alla luce di queste incertezze normative. Ciò non deve essere però motivo di resa da parte degli attori del comparto apistico che volessero avvicinarsi a questi prodotti. La canapa è molto più del semplice THC e visto il riconoscimento internazionale delle proprietà nutraceutiche dei suoi derivati, il processo di regolamentazione del settore sarà ineludibile. Siamo dunque fiduciosi che, con il continuo impegno delle organizzazioni professionali, la canapa possa diventare un volano anche per il comparto apistico ed agroalimentare nel suo complesso, sia come ulteriore fonte di reddito sia come stimolo per nuove ricerche scientifiche e sperimentazioni sul campo degli impieghi nutrizionali e salutistici di questa coltivazione. Giovanni Gioia CEJA Expert CDG Flax and Hemp Giovani di Confagricoltura ANGA Sicilia 11/2018 | Apitalia | 13


AGENDA LAVORI. NORD-OVEST

REINFESTAZIONE SI, REINFESTAZIONE NO

LA VARROA È SEMPRE IN AGGUATO NONOSTANTE I TRATTAMENTI E LE BUONE PRATICHE di Alberto Guernier

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asciando volutamente stare quello che può essere un discorso squisitamente scientifico, vorrei stavolta focalizzare l’attenzione dei lettori, al pari della mia, sul fenomeno della reinfestazione, questo al fine di ottenere uno “spartiacque” mentale. Dobbiamo assolutamente capire e sapere se il trattamento estivo ha avuto il successo che ci attendevamo, oppure no. Lo spazio temporale per agire, ora, rischia di essere veramente ridotto a poche settimane. “Il mondo che vorrei”, apisticamente parlando, è un mondo senza Varroa; per questo, armato di molta buona volontà, per anni ho seguito appuntamenti mirati alla “lotta alla Varroa” e, secondo la mia esperienza esorto tutti i colleghi apicoltori a eleggere la varroa a “nemico numero uno”. Ci sono quasi sempre due correnti di pensiero: chi vede il problema facilmente debellabile con pochi trattamenti, forse anche solo uno a Dicembre, forse anche solo con pratiche apistiche di lotta meccanica. E c’è chi considera l’acaro 14 | Apitalia | 11/2018

Varroa (e i residui chimici correlati) una sorta di fanghiglia da cui è impossibile sfuggire. Anche negli articoli di Apitalia, firmati da autorevoli apicoltori, si vedono immagini contrastanti dello stesso male: forse dovremo fare un distinguo mirato, tarato sulla nostra situazione, sul nostro areale di lavoro, tenendo sopratutto conto della densità di alveari. Io ormai lo faccio da anni.

NON È SEMPRE COLPA DEL VICINO DI BANCO


Ci sono i buoni piani territoriali, i buoni maestri, i buoni principi attivi, le buone conoscenze e le buone pratiche apistiche, come anche le stagioni favorevoli; come ci sono state e continuano ad esserci gravi mortalità autunno-invernali dovute/legate alla Varroa, Varroa + nosema, Varroa + virus. Perché accade tutto ciò? Perché, spesso, in alcuni alveari, le cose non vanno come dovrebbero? Io sono fautore dell’utilizzo di trattamenti a residuo zero: l’acido ossalico. Grande potere abbattente! Un po’ come accade per il verderame in vigna! Ha un’azione abbattente per contatto: ustiona la Varroa. Il trattamento in assenza di covata, provoca una pulizia totale, la Varroa è vinta, il parco alveari totalmente disinfettato e gli acari presenti in inverno, si riducono a poche unità per famiglia. Purtroppo, però, non è sempre così! Eppure i presupposti c’erano tutti. Esiste la reinfestazione? È sempre colpa del vicino di banco? Per molti, in base alla loro esperienza, la reinfestazione non esiste. Ma è un inganno, non una notizia falsa, un ingenuo inganno. L’acaro Varroa ha come sua grande capaci-

Se invece non possiamo, per svariati motivi, “sorvegliare” l’andamento delle nostre colonie di api, allora possiamo almeno capire, visitando, lo stato di salubrità della famiglia e il reale grado di infestazione. Sintomi evidenti di grave infestazione, sono spesso segnalati dalla presenza in questo periodo (post trattamenti) di acari sulle api adulte, rilevabile sui favi di covata residua. Anche una sola Varroa, attaccata ad un ape, deve metterci in guardia che la situazione potrebbe non essere ottimale. Basta alzare uno-due favi centrali per accorgersene. Se il controllo in una famiglia dà esito positivo, è necessario estrarre alcune api, dalla covata più matura e verificare se abbiano acari attaccati. Occorre estrarre api già in avanzato stato di sviluppo, questo per avere la certezza che se nella cella c’è della Varroa, questa venga estratta con l’ape, cosa invece non scontata negli stadi larvali iniziali. Se in un considerevole numero di celle vi è una palese reinfestazione, non solo è d’obbligo effettuare un nuovo trattamento ma andrà valutata anche la forza della famiglia stessa, in previsione che la covata, una volta sfarfallata, non sia in grado di svolgere tutte le funzioni che, fisiologicamente, dovrebbe. Si può, nei casi più compromessi, orientare la nostra scelta di trattamento, sulla totale distruzione della covata residua contingente al trattamento, e anche, successivamente, attuare una riunione.

tà quella di infestare nuove colonie, altrimenti non sarebbe ubiquitaria. Pur non avendo ali proprie, essa ha conquistato il mondo a tempo di record, battendo per velocità, anche “alieni alati”, come Vespa Velutina e Aethina Tumida. Questo avviene in pochissimo tempo, come dicevo, in uno spazio temporale di poche settimane. Ed in questo caso i trattamenti veloci, rapidi e indolori come l’acido ossalico, non hanno modo di contrastarla. Proprio perché ormai la loro capacità abbattente è terminata e non residua! Se la Varroa non avesse questa grande capacità di trasferirsi da alveare non indenne a indenne, con vere e proprie migrazioni, ci sarebbe la possibilità di avere alveari in totale assenza di Varroa. Allora come comportarsi? Non occorre la sfera di cristallo ma, quando possibile, osservare eventuali comportamenti anomali (sopratutto in stagioni anomale come quelle che stiamo vivendo, in cui l’estate sembra accavallarsi all’autunno): i fenomeni di saccheggio diventeranno più numerosi ed evidenti; il saccheggio è uno dei “vet- Buon lavoro tori” di Varroa.

Alberto Guernier

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AGENDA LAVORI. NORD-EST

IMPERATIVO: CONTROLLARE LE SCORTE E LA VARROA

COSA SERVE AD UNA FAMIGLIA DI API PER SUPERARE L’INVERNO? COMPRENDIAMOLO INSIEME di Giacomo Perretta

LIMITIAMO I DANNI DEL PARASSITA CONFINANDO L’APE REGINA

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on ancora in glomere le api più coraggiose escono e raggiungono quei pochi acini, rovinati, di uva tra i tralci di vite abbandonati dopo la vendemmia, nell’inutile tentativo di trovarvi una qualche misera quantità di succo zuccherino da suggere. La verifica delle scorte si annovera per l’apicoltore tra i compiti principali di questo periodo; controllare se le scorte rimaste siano sufficienti oppure se devono essere

integrate. A ciò si aggiunge anche la necessità di verificare una possibile diminuzione o blocco della covata naturale, al fine di mantenere sempre alta la guardia per la lotta alla varroa. A seguito di questa introduzione possiamo affermare che in questo mese siano inevitabili due controlli: le scorte e la varroa. LE SCORTE Di quante scorte hanno bisogno le api per passare l’inverno? L’alimentazione invernale solida o liquida (candito o sciroppo), e il suo inevitabile quantitativo di scorte, è spesso motivo di controversie tra apicoltori che nascono da convincimenti emozionali, oppure dettate da esperienze dovute a fattori e condizioni ambientali (la quantità di api che compongono la famiglia, le razze). E anche se il mondo della ricerca ha posizioni diverse su un aspetto, tutti concordano e cioè che vi sia un nesso tra l’alimentazione liquida, nel periodo invernale, e il nosema (argomento di cui parlerò). Quante scorte deve avere la fami11/2018 | Apitalia | 17


AGENDA LAVORI. NORD-EST glia di api per superare l’inverno? Quelle che servono. Può embrare una risposta banale, al contrarioquesto concetto è alla base della “nuova apicoltura”, quella basata sull’«osservazione». Anche se in questo periodo la rosa di covata è ridotta, col prolungarsi delle giornate è destinata a crescere fino a diventare interessante alla fine di gennaio. Perché, allora, parlarne ora? Semplicemente perché dalla fine di novembre fino a febbraio meglio non aprire l’alveare se non è proprio necessario, le api sono in glomere e ogni nostra visita può creare grossi problemi. Tutto questo ci deve indurre all’osservazione delle necessità di ogni singolo alveare e alimenta-

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re con le scorte “che servono”. E partendo dal presupposto che i consumi della covata sono alti… melius abundare quam deficere, dare un po’ di zucchero (candito) in più non è “peccato”. Il panetto di candito inoltre è di facile somministrazione. LA VARROA Punto dolente della conduzione! Chi come me ha iniziato quando quest’acaro non infestava gli apiari, soffre di nostalgia nel piacere di ricordare una conduzione rilassata ed ecosostenibile. Ma non è possibile vivere di ricordi ed è necessario intervenire arrecando il minor numero di danni. Generalmente nelle nostre zone

(Veneto, ndR), in questo periodo c’è un blocco di covata naturale, la regina smette di deporre e le varroe sono molto vunerabili; è il momento di intervenire con l’Apibioxal, assicurandosi che non vi sia traccia di covata (se opercolata, anche con poche cellette, la varroa che sopravviverà creerà non pochi problemi in futuro). UNA TECNICA NUOVA O QUASI Quando risulta essere necessario si può adottare il blocco di covata invernale. Questa tecnica consiste nel segregare la regina in un telaino da nido con, ai lati, le griglie escludi-regina. Il telaino da usare deve avere uno spessore di 10 mm


(senza foglio cereo) in modo che la regina possa muoversi senza avere spazio per la deposizione. Ho chiesto ad un amico apicoltore, Claudio Vittadello, che da tre anni mette in pratica questa tecnica, di illustrarla ai lettori di Apitalia. Claudio è un apicoltore della provincia di Venezia, apprezzato per la professionalità, e per l’attenzione alle api e all’ambiente. Ci spiega che il telaino dove viene confinata la regina, pur muovendosi liberamente, non le permette di deporre.

Quanto tempo si deve tenere confinata la regina? La mia esperienza insegna di tenerla confinata per oltre 2 mesi, e prima che tu mi faccia un’altra domanda ti dico che a parte il primo Come si introduce anno non ho mai avuto problemi il telaino nell’alveare? Una volta inserita la regina nello di mortalità delle regine o di ac“speciale telaino chiuso da escludi cettazione al suo rilascio. regina” questo viene posto al centro delle api, che spesso in questo Come ti comporti per i trattamenti? periodo si raccolgono in gruppo in Una volta confinata la regina, atuna specie di preparazione al glo- tesa la nascita di tutta la covata è mere; qualora fosse presente un possibile procedere con Apibioxal, po’ di covata posizionare il telaino io lo utilizzo sublimato. vicina ad essa, oppure al centro di È possibile fare il trattamento essa se sono presenti due telaini anche con l’acido ossalico gocciolato, per coloro che preferiscocon un po’ di covata ciascuno.

no questa tecnica; l’unico accorgimento da prendere è quello di scegliere una giornata che permetta alle api di uscire ad asciugarsi, con temperature superiori ai 12 °C. Gli utilizzatori dell’acido gocciolato hanno un vantaggio: non colpiranno la regina con gocce di acido essendo essa protetta nel suo telaino. Ringrazio Claudio per aver condiviso con noi le sue conoscenze che, probabilmente, metterà anche in futuro a disposizione dei lettori di Apitalia. Giacomo Perretta

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AGENDA LAVORI. CENTRO

AUTUNNO, SI FORMA IL GLOMERE… FINALMENTE

DEUMIDIFICAZIONE DEL MIELE, TRATTAMENTI CON L’OSSALICO E OBBLIGHI DI LEGGE dei Tecnici Apam

Il

2018 potremo ricordarlo come l’anno del miele autunnale. Oltre alle tradizionali fioriture di edera (Hedera elix) e inula (Inula viscosa)(foto sotto), infatti, in alcune zone, quest’anno le api sono riuscite a raccogliere sulla fioritura del corbezzolo (Arbutus unedo), cosa molto difficile perché normalmente non ci sono le condizioni adatte dal punto di vista ambientale e della forza delle famiglie di api. Per non parlare del polline che è stato raccolto fino alla fine di ottobre anche in zone dove, normalmente, l’autunno coincide esclusivamente con la raccolta dei funghi. Le particolari condizioni climatiche, infatti, caratterizzate da una favorevole combinazione di umidità e temperature miti, hanno arricchito i pascoli di fioriture prolungate e generose e, nel contempo, le famiglie di api si sono mantenute consistenti e produttive ben oltre i cicli ordinari. D’altra parte qualche avvisaglia c’era stata già in estate, quando le api hanno raccolto discretamente e gli apicoltori hanno lavorato più serenamente anche per la sostanziale mancanza dei

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tradizionali incendi boschivi che, quest’estate, hanno latitato, proprio perché il terreno non è mai stato “arido”. Anzi, l’intensità delle fioriture è stata tale che ha penalizzato alcuni monoflora tipici dell’appennino come il castagno, la cui qualità è stata condizionata da una presenza diffusa e significativa di pollini di altra origine che, aggiungendosi a quelli tradizionali dei rovi (Rubus), hanno ridotto le

CONTROLLARE L’UMIDITÀ EVITANDO DANNOSE FERMENTAZIONI


caratteristiche organolettiche tipiche di questo miele. Altra problematica che si è riscontrata quest’anno, soprattutto per quanto riguarda le fioriture tardive, è stata l’umidità del miele. Il clima caldo/umido e la contemporanea abbondanza di raccolto hanno decisamente ostacolato la normale attività di asciugatura del nettare da parte delle api, con il risultato che molte, moltissime partite di mieli estivi contengono una percentuale di acqua decisamente superiore alla soglia di sicurezza del 17%. Ricordiamo, a tal proposito, che il limite normativo del parametro “umidità” è non deve essere superiore al 20%. Il problema, dunque, che si potrebbe prospettare è la

contrazione dei tempi di conservazione in condizioni ordinarie del prodotto tal quale (se pastorizzato o se conservato a temperature inferiori ai 5 °C non ci sono problemi). Lieviti e batteri, normalmente bloccati dalla presenza limitata di acqua - oltre che da alcune sostanze inibenti e dalla elevata pressione osmotica - potrebbero attivarsi e provocare fastidiosi problemi come la fermentazione. Un miele fermentato non può essere commercializzato; un miele che ha iniziato un processo di fermentazione può essere utilizzato come prodotto industriale o come ingrediente in altri prodotti alimentari destinati ad essere successivamente lavorati. Ovviamente il vero pericolo per

l’apicoltore è che al momento della cessione, il miele sia umido ma non fermentato e che il processo di alterazione si attivi in un secondo momento, entro, però, il termine di preferibile consumo indicato in etichetta. Cosa fare? Non abbiamo molte opzioni disponibili, per la verità. Sicuramente dobbiamo dotarci di un buon rifrattometro (sfrutta il principio della rifrazione dei fluidi, che varia in base alla loro concentrazione), regolarmente tarato (almeno una volta l’anno, utilizzando anche della semplice acqua distillata, in mancanza dell’apposito liquido). Qualora ci dovessimo rendere conto che il miele da estrarre e/o estratto ha un livello di umidità di rischio e non abbiamo una sala di

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deumidificazione per i melari (il miele contenuto nei favi ha una superficie evaporante estesa e la deumidificazione è più semplice) e non abbiamo nemmeno un costoso deumidificatore, possiamo chiedere a qualche collega meglio attrezzato di deumidificare il nostro miele (pagando il corrispettivo richiesto) oppure possiamo procedere ad una delicata miscelazione del prodotto a rischio con un miele più sicuro per far rientrare il contenuto in acqua del prodotto miscelato entro livelli di sicurezza. Si ha il sentore, comunque, che il problema dell’umidità del miele e, quindi, della sua conservabilità, non sarà più occasionale, ma potrebbe ripetersi sempre più spesso, per motivazioni tecnico-ambientali che magari verranno approfondite in spazi appositi. Messo in sicurezza il miele prodotto, ci dobbiamo preoccupare delle 22 | Apitalia | 11/2018

nostre api. Siamo a novembre, il freddo invernale è presumibilmente alle porte, nelle zone più fredde è in atto il blocco della covata, nella fascia costiera le regine hanno fortemente rallentato la deposizione. Approfittando di giornate soleggiate, durante le ore centrali, con il glomere aperto, dobbiamo procedere con la somministrazione della terapia invernale. Acido ossalico, cioè ApiBioxal, in una delle due somministrazioni tipiche: gocciolato o sublimato. Per la verità, alcune prove avviate questa estate hanno evidenziato che la nebulizzazione dall’alto sui favi, con elettropompe allestite con appositi temporizzatori che assicurano il corretto dosaggio, ha delle perfomances molto simili a due metodi più diffusi, con una differenza sostanziale, il tempo impiegato per completare i trattamenti, decisamente contenuto. Per questo motivo è opportuno conti-

Foto Patrizia Milione

AGENDA LAVORI. CENTRO

nuare l’approfondimento dei test per valutare l’efficacia concreta della nebulizzazione dall’alto sui favi e la presenza di eventuali effetti collaterali. Un’altra alternativa che ha già dimostrato una efficacia soddisfaciente è l’ingabbiamento invernale della regina. Tale metodica, però, presuppone un livello di professionalità medio-alta e una quantità di tempo significativa per completare le operazioni di campo. In ogni caso l’intervento invernale, oltre che previsto dalle buone prassi di allevamento è diventato un obbligo sanitario - unitamente alla terapia estiva - soggetto a verifiche di conformità da parte delle autorità di vigilanza (Servizi Veterinari delle AA.SS.LL. in primis), come indicato dalle Linee guida per il controllo dell’infestazione da Varroa destructor - 2018 elaborate dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie e fatte proprie dal Ministero della Sa-


lute con la circolare inviata a tutti gli Assessorati Regionali Sanità - Servizi Veterinari lo scorso aprile 2018. Vale la pena di ricordare che effettuare l’intervento terapeutico per il controllo della Varroa è condizione necessaria ma non sufficiente per la sicurezza sanitaria dei propri alveari. Innanzitutto per i fenomeni di reinfestazione che sono sempre in agguato, soprattutto in quelle zone dove l’azione dell’associazionismo apistico - e quindi di coordinamento territoriale e temporale delle terapie per la Varroa - è poco presente, ma anche e soprattutto perché l’efficacia dell’acido ossalico,

sino ad oggi sempre soddisfaciente, sembrerebbe perdere terreno, con situazioni di criticità che di tanto in tanto emergono. Se è vero come è certamente vero, infatti, che non si può parlare di resistenza chimica nel senso letterale della parola, non è da escludere che nel tempo gli acari sviluppino resistenze comportamentali all’azione dell’acido ossalico, magari accelerate da un abuso di questo principio attivo che oramai viene somministrato alle api, nelle varie e più variegate modalità, continuamente, quasi dodici mesi all’anno. Concludiamo le note del mese

ricordando che le operazioni di campo debbono rappresentare il cuore delle nostre attività, ma non dobbiamo mai dimenticarci che operiamo come apicoltori in un quadro di regole che vanno rispettate e che contemplano anche adempimenti amministrativi. Tra questi la registrazione nei manuali di corretta prassi di produzione delle terapie somministrate agli alveari. Buona apicoltura a tutti Tecnici Apam Associazione Produttori Apistici Molisani

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AGENDA LAVORI. SUD

PERICOLO AETHINA

LE BUONE PRATICHE APISTICHE CHE AIUTANO A COMBATTERLA di Santo Panzera

N

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In novembre il ciclo vitale della colonia di api è in fase calante, la covata va lentamente riducendosi ed anche la popolazione di riflesso diminuisce, preparandosi alla tanto sospirata quiete invernale; tutto ciò non ci deve destare preoccupazione in quanto rientra fisiologicamente nel meraviglioso e affascinante ciclo naturale delle api; ciò di cui invece dobbiamo preoccuparci è che le famiglie abbiano abbondanti scorte di miele, indispensabili per superare le intemperie invernali, senza andare incontro a stress da deficit alimentare. In genere, nella nostra Calabria, in presenza di fioriture autunnali come l’inula, non serve integrare le scorte con nutrizioni supple-

IL COLEOTTERO RIFUGGE LA LUCE ECCO COME CATTURARLO

Foto Jorge Schlemmer

ormalmente novembre, in Calabria, non rappresenta un mese particolarmente impegnativo, tant’è vero che anche gli apicoltori più “stacanovisti” riescono a ritagliarsi e concedersi dei giorni di sosta dai lavori in apiario ed in magazzino; nelle lunghe e fredde serate autunnali non dobbiamo trascurare di aggiornarci sulle immancabili novità del nostro settore e di arricchire le nostre conoscenze e competenze, allo scopo di affrontare con professionalità e piena coscienziosità l’indispensabile e improrogabile revisione della programmazione delle produzioni e della gestione aziendale apistica, imposte dai cambiamenti climatici in atto e dalle emergenze sanitarie sia storiche che incombenti, come ad esempio Aethina tumida. In questo periodo è necessario ripensare in modo critico e obiettivo a quanto avvenuto nel corso dell’annata apistica che ci lasciamo alle spalle, cercando di individuare in cosa si è sbagliato (qualcosa in proposito riusciremo sicuramente a trovarla), facendo tesoro della genuina condivisione di esperienze, in cui un importante ruolo è svolto dal prezioso strumento cartaceo rappresentato da Apitalia e dagli incontri apistici più o meno conviviali.


mentari le quali invece potrebbero fungere da stimolo e provocare incremento artificiale della deposizione che sarebbe deleterio ai fini del trattamento antivarroa invernale. Inoltre, ai nostri climi caldi e soleggiati e in presenza di importazione di polline, tale operazione determinerebbe un incremento dei consumi di scorte e quindi un effetto opposto a quello ricercato. Infatti le api più che per il freddo e la fame muoiono per il Nosema che potrebbe svilupparsi dalle muffe che si formano facilmente nel polline, rendendolo così nocivo per le api e pericoloso per la nutrizione delle larve, qualora i relativi favi siano lasciati a ridosso delle pareti dell’arnia in preda alla maggiore umidità legata alla condensa. Alla fine del lavoro di invernamento, le famiglie si troveranno al centro dell’arnia tra due diaframmi, (su un massimo di 8 favi le famiglie più forti e 5 favi per quelle più deboli ed i nuclei); all’esterno o ai margini dei diaframmi, a differenza di quanto avveniva prima dell’arrivo in Calabria dell’Aethina tumida, non possiamo più concederci il lusso di lasciare qualche te-

laino con favo vecchio, deformato rafforzamento delle colonie deo non completamente alzato conboli ed il mantenimento di regitenente miele o polline affinché sia ne efficienti; ripulito dalle api e successivamen- • stringere lo spazio disponibile te eliminato, ma siamo costretti a nell’arnia in funzione della reale stringere il più possibile le famiglie popolazione di api, con la consesui telaini realmente occupati ed guente permanenza solo dei teefficacemente presidiati. laini ben presidiati allo scopo di Una cosa mi preme ribadire, stiaagevolare l’unica strategia difenmo tutti in guardia, non è più temsiva che le nostre api, a differenza po di segreti, stregonerie fasulle e di quelle africane (Apis mellifera furberie speculative; non facciamocapensis e scutellata) molto più ci abbindolare dai soliti maghi o “allenate” alla convivenza con il provetti stregoni che ci raccontano coleottero in virtù della lunga sottovoce, in forma di segreto da coevoluzione, che sono in grado non svelare, di avere per l’Aethina di limitare i possibili movimenti tumida la miracolosa soluzione in degli adulti di Aethina tumida e tasca, la trappoletta magica e ridi eliminare - attraverso un’effisolutiva rappresentata dalla solita cace azione di pulizia dell’arnia scorciatoia di qualche miscuglio - le uova che il parassita depone chimico fai da te da inserire nelle nelle crepe del legno o in celle di arnie: facciamo ben attenzione, il covata e polline, impedendo così rischio che si corre è quello di inla loro schiusa e l’insorgenza di quinare il miele ed indurre l’insorpericolosi focolai; genza di resistenza nel parassita. • adottare l’importante biotecnica Al contrario, le buone pratiche da diagnostica e di contenimento adottare nella gestione delle farappresentata dalla parete momiglie di api al fine di prevenire bile: una sorta di diaframma rii danni causati dall’Aethina tumida gido sospeso come i telaini che, comprendono: sfruttando il fatto che l’Aethina • mantenere sempre famiglie ben tumida rifugge la luce, una volta popolate, sane e forti attraverso il “attivata” dall’apertura dell’arnia e

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AGENDA LAVORI. SUD

Foto Bram Cornelissen

dall’estrazione dei telaini partendo dal lato opposto ad essa, induce eventuali adulti del coleottero a rifugiarsi nello spazio buio e tranquillo tra la parete mobile stessa e la facciata interna della parete dell’arnia, facilitando in tal modo enormemente il loro eventuale rintraccio ed eliminazione meccanica; • tenere pulito l’apiario rimuovendo tempestivamente da esso tutte le arnie con famiglie morte, eventuali detriti di cera derivanti da interventi di raschiatura o favi rotti; • porre accurata attenzione all’eventuale presenza di Aethina tumida all’atto della rimozione dagli alveari dei melari e dei favi da nido per portarli nella sala di smielatura o in magazzino. È bene sottolineare come le azioni di prevenzione dall’infestazione di Aethina tumida non si limitino

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esclusivamente a questi interventi di buona pratica apistica, ma implichino anche l’adozione di specifiche precauzioni ed accorgimenti supplementari nei locali di smielatura ed immagazzinamento del materiale apistico, che andiamo a elencare: • accertarsi con scrupolo che i favi da melario riposti in magazzino non abbiano contenuto covata, poiché le esuvie ed i residui di polline sono altamente attrattive per l’Aethina tumida, in quanto fonti proteiche necessarie per la sua riproduzione (importanza dell’uso dell’escludiregina); • mantenere il più possibile puliti i locali di smielatura e di conservazione dei melari e del materiale apistico in generale, avendo cura di conservare in contenitori a prova di Aethina tumida, cera di opercoli e residui della lavorazione della cera;

• mantenere, attraverso l’uso del deumidificatore, l’umidità relativa dei locali inferiore al 50%, evitando così che negli stessi avvenga una riproduzione di massa di tali coleotteri che, oltre a causare danni irreparabili alle attrezzature apistiche, possono anche contaminare il miele, conducendolo a fermentazione e rendendolo inservibile sia per l’uomo che per le api. Non bisogna altresì dimenticare che la diffusione dell’Aethina tumida su lunghe distanze è mediata, più che dalle caratteristiche biologiche, dall’attività dell’apicoltore attraverso la pratica del nomadismo, eseguito spesso in forma incontrollata e al di fuori delle regole. È utile anche precisare, ai fini di una diagnosi differenziale tra Aethina tumida e tarma della cera (Galleria mellonella), che le larve del coleottero sono ben distingui-


Foto Bram Cornelissen

bili da quelle della tarma in quanto presentano lungo il dorso due file di piccole spine filiformi, all’estremità posteriore due aculei e, in corrispondenza dell’estremità anteriore, tre paia di prozampe; inoltre, mentre le tarme della cera si nutrono di esuvie e di polline ma non di miele, quelle di Aethina inseriscono nella loro dieta oltre alla covata ed al polline anche il miele. In questo periodo è possibile cercare nuove postazioni in sostituzione delle vecchie che, alle nostre

analisi, sono risultate insoddisfacenti, per motivi come mancate produzioni, difficoltà logistiche od operative, cattivo invernamento o, nella migliore delle ipotesi, è nostra intenzione aumentare la dimensione dell’allevamento o ancora tentare di produrre miele di particolari varietà botaniche. Le eventuali postazioni invernali devono essere scelte accuratamente, data la loro influenza determinante sullo sviluppo e sulla crescita delle famiglie del nostro apiario. Sono assoluta-

mente da evitare quelle che rimangono ombreggiate per buona parte del giorno o, ancora, quelle che nel periodo inverno-inizio primavera non assicurano adeguate disponibilità pollinifere. Gli spostamenti possono essere effettuati in giornate con temperature superiori ai 10° C, allo scopo di evitare la morte per freddo delle api che cadono durante gli scossoni delle operazioni di trasporto; inoltre risulta utile effettuare gli spostamenti durante il giorno e non di notte, allo scopo di evitare il rischio connesso alle basse temperature notturne. Non dimentichiamo che, in un periodo in cui aumentano le difficoltà per mantenere in vita e sviluppare le famiglie e per produrre al meglio, il carburante più prezioso del motore dell’apicoltore, oltre all’immancabile ottimismo, deve essere la professionalità, indispensabile per fronteggiare al meglio le emergenze che si affacciano minacciose all’orizzonte del nostro mondo apistico. Santo Panzera

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AGENDA LAVORI. ISOLE

INVERNAMENTO: IN SINTONIA CON LA NATURA DELLE API

IL COMPITO DELL’APICOLTORE È DI CONCEDERE ALLE API SOLO I FAVI CHE RIESCONO A COPRIRE di Vincenzo Stampa

Il

perfezionamento evolutivo, agendo costantemente per milioni di anni, ci ha consegnato le specie viventi di cui noi godiamo la presenza sul pianeta. Da sempre, come umanità, ci siamo ingegnati ad accelerare il processo evolutivo privilegiando e allevando quei soggetti che più rispondono alle nostre esigenze, economiche, estetiche. Non dobbiamo dimenticare che le qualità soggettive da noi privilegiate non le abbiamo inventate, sono già presenti in natura e ci provengono da un complesso iter di auto per-

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IL BENESSERE DELLE API PRIMA DI TUTTO

Foto 3

Foto Vincenzo Stampa

Foto 1

fezionamento delle specie viventi. L’avere riconosciuto e studiato la presenza e la funzione di queste qualità ci dà una possibilità in più di successo nella nostra attività di allevatori/collaboratori delle api. L’argomento stagionale da trattare riguarda l’invernamento, una tecnica che, nelle zone meridionali, si attua con un certo ritardo temporale rispetto alle zone centro settentrionali, a causa delle diverse condizioni pedo-climatiche. Gli alveari, nel loro comportamento spontaneo, nel periodo autunnale dedicano una maggiore


Foto 4 attenzione alla covata e allevano soggetti, destinati ad affrontare l’inverno, che per costituzione sono più robusti. In particolare si sa che le api operaie autunnali hanno maggiori riserve di grasso. Di cosa si deve preoccupare l’apicoltore? In vista dell’inverno occorre accertarsi di tre cose importanti: • del rapporto popolazione/spazio concesso; • delle riserve di alimento; • della qualità della popolazione. Durante il periodo estivo, a causa della scarsa importazione, la deposizione rallenta, in conseguenza la popolazione diminuisce (le morti sono superiori alle nascite); questo fenomeno è più evidente nelle api sicule.

Foto 7

Foto 5 In prima battuta il compito dell’apicoltore è di concedere alle api soltanto i favi che riescono a coprire, separandoli con un diaframma mobile dal resto del nido. Il nido va ricomposto con i favi di covata centrali e almeno due favi pieni di scorte, polline e miele, uno per lato. Quanto deve essere grande questo nido invernale? Certamente non inferiore a cinque favi e in ogni caso a non più di sei. Vediamo come supplire alle carenze. Considerando che un ciclo di covata femminile ha la durata di 21 giorni, in caso di carenza di popolazione, a partire dalla seconda metà di ottobre nelle zone a clima più rigido, area centrale, e in novembre nella zone più temperate,

Foto 7A

Foto 6 aree costiere, occorre intervenire con un’alimentazione che stimola la deposizione cioè, con candito. (Foto 1). Si tenga presente che per l’inverno occorrono api più grassottelle e quindi il solo alimento zuccherino non è sufficiente occorre una cera quantità di proteina possibilmente proveniente da polline per cui, se non c’è importazione di polline, occorre fornire un candito proteico. Le fonti autunnali di polline sono: tra le piante bulbose la Drimia Marittima (cipuddazzu) (Foto 2), tra le erbacee, la Diplotaxis erucoides (sinacciola) (Foto 3), la Brassica fruticulosa (qualeddu) (Foto 4), tra le arbustive l’Inula viscosa (vrucali) (Foto 5), l’Asparagus acutifolius (sparaciu) (Foto 6), tra le arboree la Ceratonia siliqua (carrubbu) (Foto 7 - 7A) e tante altre, che l’apicoltore sa individuare nelle aree che frequenta. Un esempio, l’ape che bottina su inula (Foto 8). PERICOLO! L’alimentazione con candito, mentre ci procura api grasse per l’inverno, ha l’effetto secondario di ridurre le scorte di miele e polline, infatti il candito da solo non è sufficiente a sostenere le necessità alimentari della covata, è quindi indispensabile un controllo approfondito, dopo 11/2018 | Apitalia | 29


AGENDA LAVORI. SUD

Foto 8 circa venti giorni dall’inizio della somministrazione del candito. Attenzione: ciò che è stato scritto finora riguarda l’emergenza. Nella conduzione regolare l’azione da compiere è molto più semplice e si chiama “pareggiamento” e “restringimento”. C’è un’osservazione statistica interessante e riguarda un ipotetico apiario sul quale non sono stati fatti interventi umani; l’osservazione dice che in un siffatto apiario gli alveari che lo compongono, considerando l’assetto complessivo, si distribuiscono, nell’accezione corrente, in: un terzo fortissimi, un terzo discreti, un terzo deboli. Ora anche considerando un’attenta conduzione, poiché c’è una variabile genetica anche tra regine sorelle, esiste sempre la necessità dell’intervento correttivo “pareggiamen-

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Foto 9 to” che consiste nel trasferire, secondo necessità, favi senza api, di covata nascente e/o di scorte, da alveari sovrabbondanti ad alveari deficienti. L’indice di paragone da tenere in mente è “la composizione ideale di uno sciame capace di superare l’inverno” e cioè uno sciame composto da due favi di scorte laterali e tre favi di covata con corona di miele in posizione centrale; si isola lo spazio vuoto rimanente con un diaframma mobile, al di la del quale si posizionano i favi esuberanti, magari con qualche poco di scorte, penseranno le api a ripulirli. Tornando all’emergenza, dopo la somministrazione del candito, cosa ci dobbiamo aspettare? La cosa più probabile è trovare gli sciami che hanno allevato tanta covata poveri di scorte in questo caso

si dovrà fornire un alimento liquido, tanto quanto basta a ricostituire le scorte, dato in un’unica soluzione mediante tasche di grande capacità (Foto 9). COSA SCEGLIERE? Il prodotto più semplice, pensato appositamente per le api, è una miscela di glucosio e fruttosio, non occorrono ulteriori aggiunte di dubbia efficacia. In fine un’opinione personale, sono profondamente convinto che gli apicoltori, pur tenendo presente i principi esposti, non sapranno resistere all’elaborazione di una via tutta personale. Da buoni servitori però non dobbiamo perdere di vista l’obiettivo che è “il benessere delle api”. Vincenzo Stampa


SPECIALE LAZISE I GIORNI DEL MIELE

LA MISSIONE IN COMUNE

A DIFESA DELL’APE ITALIANA, CAPOLAVORO DI BIODIVERSITÀ Stefano Dal Colle

Da sinistra - Pier Antonio Belletti, Laura Bortolotti, Matteo Lasagna, Marco Zullo, Gianpaolo Vallardi, Elena Buio, Stefano Dal Colle, Raffaele Cirone, Susanna Manfrin, Franco Mason, Stefano De Rui e Giancarlo Scottà.

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SPECIALE LAZISE I GIORNI DEL MIELE

È

stato un grande evento l’appuntamento dei “Giorni del Miele” di Lazise sul Garda, che in questa edizione 2018 ha visto la partecipazione massiccia dell’Apicoltura Veneta: si è vista e si è sentita la presenza dell’Associazionismo che si è espresso a sostegno di un’azione comune; sul territorio, nella regione, a livello nazionale. Basta leggere le pagine seguenti per comprendere quanto siano stati utili e coinvolgenti gli interventi su temi di attualità presentati da altrettanto importanti Relatori: Laura Bortolotti, Pierantonio Belletti e Stefano De Rui. Ci hanno detto cose utili e capaci di cambiare le sorti di un intero comparto produttivo. Questo motiva le ragioni dell’attenta presenza di cui ci hanno onorato tutti gli ospiti invitati, autorevoli esponenti delle Istituzioni. Ciascuno di loro ha seguito per intero i lavori, portando alla nostra attenzione contributi che non possiamo che descrivere come stimolanti, preziosi e costruttivi. Doveroso un breve elenco di tutte queste presenze istituzionali: il Senatore Gianpaolo Vallardi, Presidente della Commissione Agricoltura del Senato, gli Europarlamentari Giancarlo Scottà e Marco Zullo, il Vice Presidente Nazionale di Confagricoltura Matteo Lasagna, il Colonnello Franco Mason, Comandante Reparto Biodiversità dei Carabinieri

Forestali di Verona e il Tenente Colonnello Susanna Manfrin, Comandante Gruppo Carabinieri Forestali di Verona. Non è mancato, in apertura dei lavori, il messaggio di saluto del Sottosegretario con Delega all’Apicoltura, Alessandra Pesce del MIPAAFT e dell’Onorevole Elisabetta Gardini, Capo Gruppo di Forza Italia al Parlamento Europeo, assente solo per un imprevisto impegno istituzionale che però ci ha rinnovato completa disponibilità e vicinanza all’apicoltura tutta. È stato presentato il DDL n. 728 - di iniziativa dei Senatori Vallardi e altri - che nasce dall’esperienza già collaudata in Veneto e descritta a Lazise dal dott. Stefano De Rui. Esso va in direzione di un’aspettativa diffusa - ha sottolineato il Presidente della FAI Raffaele Cirone nel corso dei lavori - espressa da migliaia di apicoltori desiderosi di superare gli ostacoli burocratici, rispettando le garanzie igienico-sanitarie e facendo esprimere per intero il potenziale produttivo della nostra categoria. Possiamo dirlo con piena cognizione di causa: questa è l’Italia che ci piace di più e che rappresenta per l’intera categoria apistica il nostro più grande motivo di soddisfazione. A tutti un grazie sincero per averci sostenuto nel realizzare questo importante risultato. Stefano Dal Colle

Il Vice Presidente nazionale di Confagricoltura, Matteo Lasagna, ha sottolineato l’importanza di una stretta collaborazione tra Apicoltori e Agricoltori.

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Gli Eurodeputati Elisabetta Gardini (a sinistra), Giancarlo Scottà (al centro), Marco Zullo (a destra), hanno confermato la loro vicinanza al mondo apistico e assicurato l’impegno a sostenere le azioni promosse dalla FAI-Federazione Apicoltori Italiani a tutela del comparto.

I relatori di questo convegno (da sinistra, Stefano De Rui; Laura Bortolotti, Pier Antonio Belletti), impegnati a descrivere tematiche di grande attualità, hanno tenuto sempre alta l’attenzione del pubblico e delle autorità presenti.

L’Assessore Elena Buio del Comune di Lazise, animatrice di questa manifestazione.

Il Colonnello Franco Mason, Comandante del Gruppo Biodiversità dei Carabinieri Forestali.

Il pubblico presente al 39° Convegno Internazionale di Apicoltura per l’Agricoltura.

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SPECIALE LAZISE I GIORNI DEL MIELE

PICCOLE PRODUZIONI LOCALI

PIÙ APICOLTURA, MENO BUROCRAZIA di Stefano De Rui

La

Legge 24 dicembre 2004, n. 313 “riconosce l’apicoltura come attività di interesse nazionale utile per la conservazione dell’ambiente naturale, dell’ecosistema e dell’agricoltura in generale ed è finalizzata a garantire l’impollinazione naturale e la biodiversità di specie apistiche”. In Veneto la Legge regionale 28 luglio 2006, n. 14 (BUR n. 68/2006), nata al fine di “…agevolare la lavorazione del miele agli apicoltori che svolgono tale attività…”, con la limitazione a 40 alveari della produzione massima per un apicoltore di tipo hobbistico/amatoriale e la “...rispondenza ai requisiti igienico sanitari previsti per l’abitabilità dei locali destinati a civile abita-

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SOSTENERE LA REDDITIVITÀ DELLE AZIENDE LEGATE AL TERRITORIO


zione...” e ponendo paletti burocratici formativi e autorizzativi, risulta oggi in contrasto con la normativa comunitaria e con gli obiettivi di sviluppo delle nostre microproduzioni. La comunità europea, non pone limiti quantitativi alle produzioni primarie come il miele, ed impone al produttore solo la notifica dell’attività, il rispetto delle buone pratiche igienicosanitarie, l’adeguatezza delle strutture e delle tecniche produttive e la collaborazione con gli organi deputati al controllo ufficiale. ll superamento della normativa regionale può essere raggiunto tramite provvedimento abrogativo o indirettamente, per semplice constatazione della sua natura contrastante con le indicazioni comunitarie. IL PROGETTO PPL Il progetto “PPL” nasce nel 2008 per dare dignità alle nostre produzioni di nicchia, dare fiducia

ai nostri operatori, sostenere la redditività delle aziende, offrire ai consumatori prodotti unici, fortemente legati al territorio e di elevato livello di sicurezza alimentare. Tradizione, tipicità, valorizzazione del territorio, opportunità per il consumatore, opportunità per le aziende agricole, sono i concetti fondanti del progetto delle Piccole Produzioni Locali (PPL). Con questo progetto la Regione del Veneto ha definito un percorso strutturale ed igienico sanitario per la trasformazione, ai fini della vendita, di prodotti agricoli e dell’allevamento compresi i prodotti dell’apicoltura. Lo spirito del progetto è stato e continua ad essere: • l’integrazione del reddito aziendale • prodotto italiano derivante esclusivamente dell’azienda agricola Tutto questo garantendo un altissimo livello di sicurezza igienico-sanitaria ottenuto da un legame sinergico tra produttore e ULSS.

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SPECIALE LAZISE I GIORNI DEL MIELE In Veneto abbiamo oggi n. 750 aziende di cui oltre n. 200 sono collocate in provincia di Treviso. Il paniere dei prodotti PPL di anno in anno è stato incrementato con nuovi prodotti per andare incontro alle richieste del consumatore e del produttore. La Regione del Veneto ha seguito attentamente in questi 10 anni, attentamente l’evoluzione del progetto emettendo ben n. 6 delibere di giunta. Il Paniere PPL è costituito da diverse tipologie di prodotti come le confetture, le marmellate, il miele, la propoli, il polline, l’idromele e tutti prodotti dolciari a base di miele, le erbe alimurgiche (erbe aromatiche che si usano in cucina/ uso alimentare) e molti atri prodotti di origine animale e vegetale. Il progetto è nato grazie ad una forte intesa tra politica regionale, organizzazioni dei produttori, FAI e Aziende Ulss. L’elevato livello di sicurezza alimentare è raggiunto da un lavoro di squadra in cui: L’Autorità competente regionale definisce il piano di monitoraggio microbiologico e chimico delle produzioni di nicchia sulla base della valutazione dei rischi fatta dall’Istituto zooprofilattico delle Venezie. Le Aziende ULSS accompagnano i produttori in tutte le fasi dalla registrazione dell’attività fino alla produzione e la trasformazione. La FAI e le associazioni, effettuano la formazione dei propri associati. La Regione Veneto ha realizzato un portale web (https://www.pplveneto.it) che rappresenta una vetrina per tutti i piccoli operatori ed i loro prodotti fornendo al produttore in tempo reale l’esito analitico dei propri prodotti. Semplificazione ed accompagnamento hanno caratterizzato il progetto: • Semplificazione strutturale e burocratica; • accompagnamento e impegno del personale Ulss e dell’Istituto Zooprofilattico delle Venezie nel dare consigli, individuare assieme le soluzioni in grado di mettere in sicurezza i prodotti. 36 | Apitalia | 11/2018

PPL come modello di semplificazione Progetto per le microimprese alimentari Visti i risultati positivi consolidati in 10 anni di esperienza con le PPL, questo modello, basato sulla semplificazione e sull’accompagnamento, è stato trasferito alle microimprese alimentari del territorio (agriturismi, panifici, macellerie, gelaterie, bar, trattorie, ecc...) In pratica, sparisce il manuale dell’HACCP che viene sostituito con le buone prassi igieniche, evitando agli operatori tutti, infinite ed inutili registrazioni giornaliere la cui omissione comportava sanzioni anche pesanti. Con una formazione a tutto tondo rivolta a tutti gli operatori economici ed attraverso una forte sinergia con le associazioni di categoria sono state avviate, in pochi mesi, già le prime 600 microimprese semplificate. La semplificazione e l’impegno degli operatori vanno premiati! Le aziende che affrontano il percorso di semplificazione - PPL vengono valorizzate con: a) LOGO regionale che esprime un più elevato livello di sicurezza dei prodotti messi a disposizione del consumatore; b) proposta di legge nazionale di valorizzazione delle piccole produzioni locali Il senatore Gianpaolo Vallardi, Presidente commissione agricoltura del Senato della Repubblica, valutato positivamente il percorso fatto dal Veneto, si è fatto promotore della Proposta di Legge Nazionale per la valorizzazione delle Piccole Produzioni dando struttura e forza al lavoro svolti da noi tutti. Stefano De Rui Coordinatore Area di Sicurezza Alimentare Azienda ULSS2 “Marca Trevigiana” Medico veterinario e Referente regionale Progetto PPL

Il marchio regionale delle PPL


VESPA VELUTINA: EMERGENZA EUROPEA

LO STATO DELL’ARTE SULLA DIFFUSIONE E IL CONTROLLO DEL PERICOLOSO PREDATORE di Laura Bortolotti

ALLO STUDIO NUOVI METODI PER COMBATTERE LA VELUTINA

Foto Maxime Parisy

NEL NORD ITALIA

A

quindici anni dal primo ritrovamento in Francia, Vespa velutina ha già colonizzato diversi paesi europei tra cui Francia, Spagna, Portogallo e Italia; avvistamenti di nidi e adulti sono stati inoltre effettuati in Germania, Belgio, Svizzera e Paesi Bassi, mentre la specie si sta diffondendo rapidamente anche in Gran Bretagna. La ricerca applicata ai sistemi di controllo, la ricerca di base e la sorveglianza del territorio sono gli strumenti che diverse istituzioni italiane stanno mettendo in campo per arginare l’avanzata di questo pericoloso predatore. DIFFUSIONE IN EUROPA Vespa velutina è giunta in Europa nel 2004, nella regione francese dell’Aquitania, da dove si è diffusa nel giro di pochi anni in quasi tutte le regioni francesi. Ha poi colonizzato il nord della Spagna nel 2010, estendendosi in Catalogna e nei Paesi Baschi e da qui verso ovest fino alla Galizia; nel 2012 è scesa in Portogallo, di cui ha ormai occupato tutto il territorio fino alla regione di Lisbona; nel 2015 si è stabilita nel nord dell’Isola di Maiorca ed è stata segnalata anche in provincia di Valencia. In Germania Vespa velutina è stata avvistata per la prima volta nel 2014 nel sud est del paese, al confine con la Francia; negli anni successivi gli avvistamenti sono stati saltuari finché nel novembre 2017 un grosso nido è stato trovato nel centro di Karlsruhe. Nello stesso periodo un 11/2018 | Apitalia | 37


SPECIALE LAZISE I GIORNI DEL MIELE

Figura 1 - Diffusione di Vespa velutina in Europa a ottobre 2018. In rosso le zone dove la specie è stabilmente presente, in giallo quelle in cui le segnalazioni sono più recenti o si riferiscono a soli esemplari adulti. Il puntino nero rappresenta il primo ritrovamento nella regione francese dell’Aquitania.

nido è stato scoperto e distrutto anche in Belgio, nelle Fiandre occidentali, a pochi chilometri dal confine con la Francia, anche se la prima notizia di un nido in Belgio risaliva già al 2016 in Vallonia. Di settembre 2017 sono invece le due segnalazioni di adulti rispettivamente in Svizzera, nel Canton Giura, a pochi chilometri dal confine con la Francia, e nei Paesi Bassi, sull’isola più a nord della Zelanda. Vespa velutina non ha risparmiato la Gran Bretagna: nell’estate del 2016 è stata avvistata nelle isole del canale della Manica, Jersey e Alder38 | Apitalia | 11/2018

ney, e nello stesso anno è sbarcata in Inghilterra, dove oggi conta già 12 segnalazioni e 6 nidi distrutti. Il primo avvistamento di adulti sul suolo britannico risale a settembre 2016 nel Gloucestershire, mentre il primo nido è stato trovato a settembre 2017 nel sud dell’Inghilterra, sulla costa del Devon. Nel 2018 diverse segnalazioni di nidi e adulti hanno interessato la costa sudorientale di Cornovaglia e Hampshire e la regione del Surrey, a sud di Londra; alcuni adulti sono stati trovati anche in due zone più a nord del paese, rispettivamente nell’area di Manche-


ster e nello Yorkshire. A marzo 2017 aveva fatto scalpore, per l’elevata latitudine, un ritrovamento nell’area centrale della Scozia, che si è poi rivelato essere a un singolo adulto, trovato in un magazzino di transito merci e subito ucciso. DIFFUSIONE IN ITALIA In Italia Vespa velutina è stata segnalata per la prima volta nel 2012 a Loano, in provincia di Savona, ma la sua maggiore diffusione è partita nel 2013 dal confine francese, da cui si è estesa prima alla provincia di Imperia, poi all’intero Ponente ligure. Dal 2013 a oggi, segnalazioni sporadiche di adulti e nidi sono arrivate dal sud del Piemonte, senza apparentemente dare luogo a una popolazione stabile (Figura 2). Nel novembre 2016 aveva destato preoccupazione la presenza di adulti di Vespa velutina presso un apiario a Bergantino, in provincia di Rovigo, e poi il rinvenimento del nido nella

stessa località a gennaio 2017; la primavera successiva la cattura di un adulto in una bottiglia trappola in provincia di Mantova aveva fatto temere la presenza di un focolaio già molto esteso. Fortunatamente nei due anni successivi non è stato più avvistato alcun esemplare, nonostante la presenza di reti di monitoraggio nelle tre regioni limitrofe al ritrovamento, Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Nell’estate 2017 adulti di Vespa velutina sono stati catturati in Toscana, in provincia di Lucca, e nel Levante ligure, in provincia di La Spezia. Nel 2018 non sono pervenute altre segnalazioni dalla Toscana, mentre dal mese di agosto 2018 si sono moltiplicate quelle dalla provincia di La Spezia, che rappresenta oggi in Italia la situazione più preoccupante, per la possibile diffusione verso altre regioni. Per questo motivo gli sforzi di contenimento degli ultimi mesi si sono concentrati soprattutto in questa zona

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SPECIALE LAZISE I GIORNI DEL MIELE (Figura 2, a destra), grazie all’intervento delle tre Associazioni apistiche locali, Alpa Miele, Apiliguria e Toscanamiele, e dei due gruppi di ricerca LIFE Stopvespa e Stopvelutina. Dalle segnalazioni prevenute e dalla distanza tra le stesse, i presunti focolai, incluso quello del 2017 (cerchio azzurro nella figura), sarebbero almeno otto, corrispondenti ad ameno otto nidi. In due di questi (cerchi verdi in figura) è stato possibile trovare e distruggere il nido grazie al sistema di tracciamento radar messo a punto nel progetto LIFE Stopvespa; nei rimanenti focolai, dove l’utilizzo del radar era reso difficile dalla natura del territorio, è stato tentato un intervento mediante il Metodo Z, in sperimentazione dal gruppo Stopvelutina. Entrambe queste tecniche saranno descritte nei paragrafi seguenti. TECNICHE PER LA RICERCA DEI NIDI Oggi esistono due diversi sistemi per la ricerca dei nidi di Vespa velutina. Il primo è quello mediante il radar armonico, messo a punto dal gruppo di ricerca dell’Università di Torino e del Politecnico di Torino nell’ambito del progetto LIFE Stopvespa (Milanesio et al., 2016, 2017). La tecnica consiste nel dotare le vespe di un piccolo transponder (comunemente detto “tag”) che, una volta fissato sul torace dell’insetto, permette di seguirne il volo in tempo reale. Il tag usato non ha bisogno di batteria e questo permette di ridurne notevolmente il peso e il volume. L’ultimo modello di radar messo a punto dal gruppo di ricerca ha un raggio d’azione di 470 m dal punto di rilascio della vespa. Negli ultimi mesi, grazie a questa tecnica sono stati trovati diversi nidi nel Ponente ligure, due in provincia di La Spezia e uno in Piemonte, in provincia di Cuneo. Il limite di questo sistema è rappresentato dalla ridotta distanza di rilevamento; studi recenti hanno infatti dimostrato che Vespa velutina può percorrere anche diversi kilometri dal nido agli apiari (Poidatz et al., 2017). Inoltre il segnale del radar viene ostacolato da case, alberi e rilievi montuosi, pertanto il suo utilizzo risulta difficile in ambienti boscosi o urbani. Infine, la 40 | Apitalia | 11/2018

mobilità dell’apparecchiatura è fortemente limitata dall’elevata dimensione, cosa che allunga molto i tempi di ritrovamento dei singoli nidi, per ognuno dei quali possono essere necessari anche diversi giorni. La seconda tecnica è la radio-telemetria, un sistema di tracciamento messo a punto da un gruppo di ricerca inglese e già utilizzato per trovare di alcuni nidi nelle isole del canale della Manica e in Inghilterra (Kennedy et al., 2018). Questo sistema utilizza un tag attivo, cioè provvisto di batteria, che viene applicato sotto l’addome della vespa. Il tag trasmette attivamente il segnale a un ricevitore che si connette a un computer. Il sistema è in grado di seguire la vespa fino a distanze di oltre 1 km e mantiene il tracciamento anche in presenza di ostacoli. L’apparecchiatura usata è molto più leggera rispetto al radar e può essere trasportata facilmente, permettendo tempi di ritrovamento dei singoli nidi che vanno da poche ore a una giornata al massimo. Lo svantaggio della radio-telemetria è però costituito dal peso del tag, che varia da 0,22 a 0,28 grammi a seconda del modello, e necessita che le vespe si abituino al trasporto di questo peso prima di essere rilasciate; a questo scopo le vespe, una volta dotate di tag, vengono fatte volare all’interno di una gabbia per alcune ore. Inoltre solo le vespe di dimensioni maggiori, come le future regine che escono nel periodo autunnale, sono in grado di portare un tale peso, mentre le più piccole operaie che escono a primavera non riuscirebbero probabilmente a volare con il tag. IL METODO Z Il limite generale dei metodi sopra descritti è che alcuni nidi, una volta trovati, risultano impossibili da neutralizzare, perché situati ad altezze tropo elevate o in zone troppo impervie per essere raggiunte dagli operatori. Per questo motivo da alcuni anni si stanno studiando sistemi alternativi, in grado di portare alla neutralizzazione dei nidi in maniera indiretta. Il metodo Z è un sistema di neutralizzazione dei nidi, messo a punto dall’apicoltore ligure Fabrizio


Figura 2 - A sinistra l’attuale diffusione di Vespa velutina in Italia; l’area rossa è quella in cui la specie è stabilmente presente, mentre le icone delle vespe rappresentano i ritrovamenti di adulti nei diversi anni (2014 rosso, 2015 verde, 2016 giallo, 2017 azzurro, 2018 viola). Nel dettaglio a destra i focolai del 2017 e 2018 nella provincia di La Spezia; i punti rossi nei cerchi verdi rappresentano i nidi trovati e distrutti a ottobre 2018. Altre spiegazioni nel testo.

Zagni e brevettato dall’ente di sviluppo tecnologico Mohos-Zagni GbR. Il metodo utilizza le operaie di Vespa velutina, catturate con un dispositivo automatico o manuale, per veicolare al nido una molecola letale. La sostanza attiva è opportunamente dosata per permettere alla vespa “vettore” di non morire durante il tragitto, ma di portare la sostanza dal dispositivo al nido e permetterne la distribuzione al suo interno, uccidendo gli adulti e la regina. Il dispositivo è selettivo verso le altre vespe, le api e tutti gli altri insetti e può, nella versione automatizzata, lavorare senza la presenza umana. Questo sistema è allo studio da alcuni anni nell’ambito del gruppo Stopvelutina e dai primi risultati ha mostrato un’elevata efficacia sia nella neutralizzazione dei nidi, sia nella riduzione della predazione presso gli alveari. L’efficacia risulta inoltre duratura nel tempo, se confrontata con altri metodi di lotta “fai da te”, come l’uccisione manuale, il trappolaggio degli adulti o l’uso di esche

avvelenate, quest’ultimo vietato per legge. Tutti questi sistemi, oltre a essere pericolosi per l’operatore e per l’ambiente (o proibiti, come nel caso delle esche), mostrano un’efficacia limitata nel tempo, portando una riduzione momentanea nel numero di calabroni davanti agli alveari, che torna però a salire qualche giorno dopo l’applicazione. SORVEGLIANZA DEL TERRITORIO Tutti i metodi di controllo sopra descritti (tecniche di ricerca dei nidi e Metodo Z) sono particolarmente utili nei nuovi focolai che vengono trovati a distanze elevate dalla zona di presenza stabile. In questi casi, infatti, l’eliminazione del nido (o dei nidi, se ve ne sono più di uno) può portare all’eradicazione locale della specie. Per ottenere questo risultato è però necessario che il focolaio sia individuato e segnalato in tempi più rapidi possibile, prima cioè che il numero dei nidi diventi troppo alto per poter intervenire in maniera efficace. 11/2018 | Apitalia | 41


Oggi in Italia esistono diversi modi per segnalare un sospetto caso di Vespa velutina. I due gruppi di ricerca italiani (LIFE Stopvespa e Stopvelutina) hanno sul proprio sito un modulo on-line con il quale si può inviare una segnalazione e allegare una foto. I tecnici rispondono in tempi brevi, dando indicazioni su come agire, sia nel caso in cui si tratti effettivamente di Vespa velutina, sia nell’eventualità di errate segnalazioni, fornendo dettagli su come identificare correttamente la specie (Danielli e Bortolotti, 2018). Gli apicoltori possono segnalare e mandare campioni anche alle proprie Associazioni apistiche di riferimento e, in alcune regioni come Veneto ed Emilia Romagna, anche ai servizi veterinari della AUSL. Inoltre per le regioni del centro-nord esistono altre istituzioni di riferimento: per il Veneto l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, per Lombardia ed Emilia Romagna il CREA, per la Toscana il Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze e il Dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Pisa. Tutte queste istituzioni si tengono in costante contatto tra loro, per costituire una rete di rilevamento precoce dei focolai che metta in campo, volta per volta, le opportune misure di contenimento e/o eradicazione. LA RICERCA ITALIANA Accanto allo studio di possibili mezzi di controllo, sono di particolare interesse le scoperte 42 | Apitalia | 11/2018

Foto PatHDTattoo

SPECIALE LAZISE I GIORNI DEL MIELE

di due gruppi di ricerca italiani sulla biologia di Vespa velutina. La prima ricerca, pubblicata dal “gruppo vespe” dell’Università di Firenze, riguarda le abitudini alimentari e le interazioni competitive tra Vespa velutina e Vespa crabro (Cini et al., 2018). Dallo studio emerge che entrambe le specie hanno una spiccata preferenza alimentare verso le api, ma che Vespa velutina, essendo più attratta anche da altre fonti proteiche (carne o pesce), ha maggiore facilità di approvvigionamento della colonia rispetto al nostro calabrone. Per contro, in test di laboratorio Vespa velutina ha mostrato, rispetto a Vespa crabro, una minore immuncompetenza, cosa che la potrebbe rendere più vulnerabile alle infezioni batteriche. La seconda ricerca, svolta al Dipartimento di Scienze veterinarie di Pisa, riguarda il ritrovamento, nelle due specie di calabrone, del virus delle ali deformi che colpisce Apis mellifera; si ipotizza che i calabroni possano acquisire il virus in seguito all’alimentazione con api infette (Forzan et al., 2017; Mazzei et al., 2018). Questa scoperta potrebbe aprire nuove prospettive nel controllo biologico delle popolazioni di Vespa velutina o nell’istaurarsi di un equilibrio naturale tra questa specie e l’ambiente circostante. LA NORMATIVA EUROPEA E NAZIONALE A luglio 2016 la Commissione Europea ha in-


cluso Vespa velutina nella lista delle specie esotiche invasive per le quali si applicano le norme del Regolamento (UE) 1143/2014, recepito in Italia con Decreto Legislativo n. 230 del 15 dicembre 2017, in vigore dal mese di febbraio 2018. Questo decreto definisce i controlli ufficiali necessari a prevenire l’introduzione deliberata di specie esotiche invasive di rilevanza unionale, sancendo l’istituzione di un sistema nazionale di sorveglianza per le specie invasive e definendo le misure di gestione volte all’eradicazione, al controllo o al contenimento delle loro popolazioni. Inoltre designa le autorità nazionali competenti all’attuazione del regolamento stesso, che in Italia sono il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, quale ente responsabile, e l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), quale organismo tecnico scientifico di supporto. Oggi in Italia esistono già diverse istituzioni che

si occupano o si sono occupate di Vespa velutina a diversi livelli, chi per l’istituzione di piani di sorveglianza o di monitoraggio, chi per la definizione o l’attuazione di sistemi di controllo, chi per la ricerca di base. Queste istituzioni fanno capo a tre Ministeri - Agricoltura, Salute e Ambiente - e ad alcune Università. Infatti le problematiche poste da Vespa velutina coinvolgono più settori: quello agricolo, per il danno alle api e all’impollinazione; quello ambientale, per le possibili ripercussioni sulla biodiversità; quello della salute pubblica, per i rischi derivanti dalle punture dell’insetto. L’auspicio è che tutte queste istituzioni possano collaborare tra loro, valorizzando le esperienze passate, per farle confluire nella ricerca di soluzioni efficaci. Laura Bortolotti CREA - Centro di ricerca Agricoltura e Ambiente

BIBLIOGRAFIA CITATA Cini A., Cappa F., Petrocelli I., Pepiciello I., Bortolotti.L., Cervo R., 2018. Competition between the native and the introduced hornets Vespa crabro and Vespa velutina: a comparison of potentially relevant life-history traits. Eco-logical Entomology, 43: 351-362, doi: 10.1111/een.12507 • Danielli S., Bortolotti L., 2018. Stopvelutina: sosteniamo il sistema delle segnalazioni. Apitalia 4: 31-41 •Forzan M., Sagona S., Mazzei M., Felicioli A., 2017. Detection of deformed wing virus in Vespa crabro. Bulletin of Insectology, 70: 261-265 •Mazzei M., Forzan M., Cilia G., Sagona S., Bortolotti L., Felicioli A., 2018. First detection of replicative deformed wing virus (DWV) in the yellow-legged hornet (Vespa velutina, Lepelieter). Bulletin of Insectology, in stampa •Kennedy P. J., Ford S. M., Poidatz J., Thiéry D., Osborne J. L., 2018. Searching for nests of the invasive Asian hornet (Vespa velutina) using radio-telemetry. Communications Biology, 1: 88, doi: 10.1038/s42003-018-0092-9 •Milanesio D., Saccani M., Maggiora R., Laurino D., Porporato M., 2016. Design of an harmonic radar for the tracking of the Asian yellow-legged hornet. Ecol Evol., 6(7): 2170-8, doi: 10.1002/ ece3.2011 •Milanesio D., Saccani M., Maggiora R., Laurino D., Por-porato M. 2017. Recent upgrades of the harmonic radar for the tracking of the Asian yellow-legged hornet. Ecol. Evol., 7: 4599-4606 •Poidatz J., Mon-ceau K., Bonnard O., Thiery D., 2017. Homing ability and workers activity of Vespa velutina by RFID. Conference paper of COLOSS Task Force Vespa velutina, Mallorca, Spain.

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SPECIALE I GIORNI DEL MIELE

SUGGERIMENTI PRIMA DEL TRATTAMENTO INVERNALE

I COSTI DELLA PERDITA DI UNA FAMIGLIA A CAUSA DEGLI INTERVENTI NON IDONEI di Pier Antonio Belletti

Figura 1 - Indicazioni per una corretta produzione di uno sciroppo.

Figura 2 - Introduzione di pacchi di candito, l’appetibilità è buona se non rimangono residui zuccherini granulosi nel pacco e se lo stesso candito non si trova in parte sul fondo dell’arnia sotto forma di cristalli.

ALIMENTAZIONE DI SOCCORSO IN PRE INVERNAMENTO L’invernamento è una delle operazioni più delicate e da questo dipenderà la buona ripresa primaverile. Le parole d’ordine sono restringere e compattare il futuro glomere. In una giornata di sole, si apre l’alveare, se il primo favo dopo il diaframma è ricoperto da meno di ¾ sesti di api esso va sgrullato e posizionato oltre il diaframma se contiene miele oppure portato il laboratorio il luogo fressco e asciutto(se vuoto motivo in più per toglierlo). Iniziamo quindi a considerare la forza famiglia in sesti di api per ogni favo all’interno dell’alveare. Il restringimento della famiglia facilità l’utilizzo da parte delle api anche di alcuni mieli come quello di edera che per sua caratteristica tende a cristalizzare, quasi cementificare nei favi. I favi laterali contenenti questo miele spesso vengono abbandonati, cioè se non popolati dalle api, le api stesse non sono in grado di riscaldare questo miele e utilizzarlo. Nel caso in cui al mese di ottobre ci si accorga che le scorte non sono sufficienti si può intervenire con una alimentazione liquida al centro - sud oppure inserendo dei pani di candito al nord dove è importante non stimolare oltre modo la deposizione della regina. È importante ricordare che nel caso di sciroppo fatto in casa lo zucchero va inserito nel registrazioni previste dal 852/2004 come se fosse un normale sciroppo o candito per i quali è prevista questa annotazione. 11/2018 | Apitalia | 45


SPECIALE I GIORNI DEL MIELE • Ripresa dell’alveare più rapida (più covata, più api giovani). • Meno problemi di malattie della covata e di problemi diarroici (alveari più attivi nella pulizia, migliore gestione termica, migliore gestione delle scorte, maggiore importazione). Svantaggi: maggiore consumo di alimento e inizia prima la deposizione della covata.

Lo sciroppo è importante che abbia un basso contenuto in acqua, 65-70% per consentire alle api di immagazzinarlo con una certa facilità nei favi che ospiteranno il glomere. Nel periodo invernale non vanno somministrati alimenti proteici soprattutto in climi rigidi dove persiste un blocco di covata; l’alimentazione proteica è importante allo svernamento dopo il primo e secondo ciclo di deposizione e a fine estate per la formazione del corpo grasso. Ricordiamo che il corpo grasso - tessuto di riserva presente a livello addominale - determina la longevità dell’ape e lo sviluppo delle ghiandole ipofaringee deputate alla produzione di pappa reale. Uno stress durante i mesi che precedono la stasi invernale riduce la vitalità delle api, già alle volte compromessa dalla varroa e da virosi. La sistemazione autunnale del nido quindi ha dei punti di forza imprescindibili:

IL TRATTAMENTO INVERNALE CONTRO LA VARROA Contestualmente non è possibile aspettare il blocco di covata per verificare il grado di infestazione della famiglia; pertanto da anni si consiglia un trattamento con prodotti autorizzati a base di ossalico a fine settembre fino a tutto ottobre al fine di verificare la caduta di acari. Nel caso in cui si voglia utilizzare prodotti di sintesi, l’utilizzo di Apivar o Apitraz trovano fondatezza proprio nel fatto che entrambi esplicano un ottima azione acaricida quando la famiglia di api inizia a ridurre la covata (settembre - ottobre). L’inserimento di due strisce a metà settembre è in grado di preservare le api da fenomeni di reinfestazione e le stesse vanno tenute all’interno dell’alveare per almeno 6 settimane. IL COSTO DELLA PERDITA DI UNA FAMIGLIA DI API Negli ultimi 5 anni ogni anni ogni azienda apistica si è trovata a ripristinare mediamente 1525% del proprio patrimonio apistico. Nell’estimo legale e nelle stime in generale nella determinazione dei danni si segue una procedura che evidenzia sia il danno materiale che i danni relativi ai mancati redditi futuri. Definizione Danno = evento in grado di determinare una diminuzione del valore di un bene e nei suoi redditi immediati e/o futuri. Quindi possiamo distinguere: • danno materiale (Dm), costituito da danni immediati e dalle spese occorrenti per il ripristino e la manutenzio-

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danno materiale

numero

(solo costi espliciti)

importo

importo

unitario

totale

famiglia di api (si considera come nucleo in consegna a fine marzo) range da 100 a 120 euro

1

eliminazione n. 3 favi con presenza di covata virosata (valore del favo da nido di tre anni con 1,5 kg miele, considerato miele per alimento api). In questo caso il costo del recupero cera equivale a zero.

3

€ 7,00

€ 21,00

costo alimentazione, n.2 interventi con candito per un totale di 2,5 kg per intervento

5

€ 1,70

€ 8,50

€ 110,00 € 100,00

trattamenti antivarroa (eseguito trattamento con ApiBioxal in una situazione già compromessa)

€ 12,60

totale danno materiale

€ 142,10

importo

importo

unitario

totale

12

€ 5,00

€ 60,00

produzione miele acacia

12

€ 9,00

€ 108,00

costo alimentazione, n.2 interventi con candito per un totale di 2,5 kg per intervento

10

€ 7,00

€ 70,00

trattamenti antivarroa*

5

€ 12,00

€ 60,00

danno finanziario

numero

produzione media millefiori primaverile/estivo

totale danno finanziario

€ 298,00

ne del bene sinistrato • danno finanziario (Df ), costituito dai redditi non realizzabili in conseguenza al sinistro. Il danno totale può essere calcolato nel seguente modo: DT = Dm + Df dove: Dt = danno totale Dm = danno materiale (valore della famiglia api) Df = mancati redditi In apicoltura deve valere lo stesso principio per cui la perdita di una famiglia di api per varroa unita ad una scorretta gestione va incontro ad un danno complessivo che deve includere le mancate produzioni. Nell’analisi sotto riportata sono stati presi come riferimento i prezzi correnti dell’annata apistica 2017. Non sono stati considerati gli effetti della perdita di api sulla biodiversità ambientale e agricola; a riguardo sembra verosimile quanto riportato da uno studio tedesco dove si afferma che l’impatto sulla mancata impollinazione determinerebbe un perdita di valore di circa 1.500 euro per ogni famiglia morta. Il danno così determinato deve rappresentare un punto fermo nel far capire agli apicoltori che la perdita di una famiglia non ha un costo irrilevante e la stessa non può essere sostituita con il primo sciame; nel conteggio non è stata considerato la tipologia di genetica e quindi l’effettivo valore della regina. Aggiornamento e professionalità deve distinguere oggi la figura dell’apicoltore sempre piu apicoltore. Pier Antonio Belletti Apicoltore professionale e tecnico apistico In collaborazione con

totale danno

€ 440,10

Maurizio Bognolo Tecnico del Consorzio Apicoltori di Gorizia 11/2018 | Apitalia | 47


AMBIENTE

“BIOMONITORS”

LE API SONO ECCELLENTI BIOINDICATORI E OTTIMI BIOACCUMULATORI DI MOLTI ELEMENTI

di Nicola Palmieri

L’

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sono in grado di fornirci indicazioni relative a singoli comparti ambientali, oppure a segmenti di essi, o in altri casi possono mostrare criticità collegate ad ecosistemi più ampli costituiti da biotopi e relative biocenosi. I tricotteri ad esempio vengono utilizzati per conoscere il livello di salubrità delle acque dolci, in particolare quelle correnti, per cui cambiamenti nella loro presenza-assenza, abbondanza, morfologia, fisiologia o comportamento, indicano condizioni fisico-chimiche alterate rispetto al loro intervallo di tolleranza. Stori-

CI MOSTRANO UN RIASSUNTO DELLE CONTAMINAZIONI PRESENTI NELL’AMBIENTE

Foto Roberto Fontana

argomento che vorrei introdurre riguarda i biomonitors, o biomonitori: un termine generico che raggruppa gli organismi viventi in grado di evidenziare, a vari livelli e in diversi modi, mutamenti, perturbazioni e stress ambientali. Tutte le entità biologiche, nel corso delle loro attività vitali, hanno continui scambi con l’ambiente che li circonda. Una maggiore frequenza, quali e quantitativa, di questi scambi si tradurrà in un più profondo legame con l’ecosistema. I biomonitori sono uno strumento in grado di segnalarci problematiche ambientali, come nel caso di un ecosistema sofferente e malato, e al pari di un “termometro” ci indicano lo stato di alterazione del paziente (ambiente). Il livello di risposta (e quindi di efficienza) di un biomonitore è direttamente proporzionale al grado di intimità raggiunto con l’ambiente che lo circonda. Come sappiamo l’ecosistema di fatto è costituito da diversi comparti ambientali come l’aria, l’acqua, il suolo e gli organismi viventi, tutti estremamente importanti per la nostra sopravvivenza. I biomonitori in relazione alla loro particolare biologia ed etologia,


camente i primi studi sull’impiego dei biomonitori risalgono a metà dell’ottocento (A. Grindon, 1859 e W. Nylander, 1866) e si riferiscono ai licheni capaci di accumulare per anni e decenni contaminanti presenti nell’aria anche a basse concentrazioni permettendo quasi due secoli fa, quando le tecnologie di chimica analitica strumentale erano poco sofisticate, di rilevare queste sostanze. Tornando al mondo degli insetti, vorrei ricordare il celeberrimo caso della Biston betularia (farfalla fitofaga) (foto pag. 47) ed il fenomeno del melanismo industriale verificatosi in Inghilterra alla fine dell’ottocento. Questo lepidottero geometride mostrava nella

popolazione due forme cromatiche diverse: una con ali bianche a puntini neri e l’altra nera a puntini bianchi, assai rara, e battezzata per l’occasione “carbonaria”. Con il crescente sviluppo delle industrie carbosiderurgiche, che scaricavano nei boschi limitrofi ingenti quantità di scorie, si manifestò un aumento degli individui con ali nere, perché meglio resistevano alla pressione predatoria (uccelli insettivori), essendo dotati di ali omocrome (mimetismo) alla corteccia annerita degli alberi inquinati. In tal modo, resta facile intuire che la maggior prevalenza nella popolazione degli individui ad ali bianche era indice di benessere ambientale (Bishop e Cook, 1975).

L’argomento del biomonitoraggio, è molto vasto e spazia dagli effetti dell’inquinamento al suo accumulo sugli organismi viventi; dall’estinzione parziale o totale di un organismo al rilevamento passivo dell’inquinamento attraverso una costellazione di contaminanti (metalli, alogenuri, veleni, insetticidi, antibiotici, idrocarburi, radionuclidi), sino al rilevamento attivo di sostanze presenti nell’aria o nell’ambiente come stupefacenti o sostanze associate ad esplosivi. Tutto questo ci obbliga a suddividere la classe dei biomonitori in bioindicatori e bioaccumulatori. I primi con la loro presenza/assenza o con la loro riduzione demografica ci mostrano gli effetti di un

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Foto Wikimedia Commons

AMBIENTE

fenomeno di degrado ambientale indotto da attività antropiche di varia natura. Tra questi bioindicatori, possiamo inserire anche i macroinvertebrati come gli insetti (coleotteri, tricotteri, ditteri, efemerotteri, plecotteri, imenotteri) i crostacei, i molluschi, gli anellidi, e tanti altri ancora come l’Hydra, le spugne, i briozoi. Il caso delle Biston betularia, citata in precedenza, invece risulta essere una particolare forma di bioindicazione che non porta all’estinzione della stessa farfalla per elevate concentrazioni nell’aria dei prodotti della combustione del carbone, ma semplicemente alla contrazione di una forma cromatica rispetto all’altra per pressione predatoria. I bioaccumulatori al contrario non dovrebbero essere sensibili, condizionabili o danneggiati dalle sostanze immesse nell’ambiente dalle attività antropiche a maggior impatto ambientale, quali fonderie, inceneritori, cementifici, raffinerie, attività estrattive, industrie petrolchimiche, centrali termoelettriche, attività agricole e attività connesse alla combustione di derivati del petrolio (traffico veicolare, riscaldamento), ma 50 | Apitalia | 11/2018

accumulano nel/sul loro corpo questi contaminanti. In generale i bioaccumulatori funzionano come dei serbatoio che immagazzinano continuamente le scorie o i contaminanti presenti nell’ambiente nel suo complesso o nei singoli comparti ambientali. I licheni rientrano principalmente in questo sottoinsieme dei bioaccumulatori. Anche se in particolari circostanze viene calcolato l’indice di biodiversità lichenica che decresce rapidamente in presenza di sostanze gassose fitotossiche e torna normale in pochi anni, se tali sostanze non vengono più immesse nell’ambiente. Ritornando alle differenze tra bioindicazione e bioaccumulo la prima, avvalendosi di una mera osservazione delle “condizioni” di una popolazione di organismi, non necessità di strumentazioni costose o investimenti importanti; la seconda, al contrario, si avvale della chimica analitica strumentale per la realizzazione delle analisi, e richiede impegni economici molto più onerosi. La scelta sarà determinata dalle informazioni che si vogliono ricavare, la sostanza o le sostanze che si vogliono indagare o scovare nell’am-

biente o nei suoi comparti. Le api come sempre ci stupiscono essendo per alcune sostanze degli eccellenti bioindicatori e nella maggior parte dei contaminanti degli eccellenti bioaccumulatori. Ma andiamo con ordine, le principali caratteristiche che rendono un organismo idoneo ad essere un biomonitore ideale sono: l’essere facilmente identificabile; avere un’elevata sensibilità alle variazioni ambientali; l’essere facilmente campionabile dal punto di vista quantitativo ed essere ben conosciuto dal punto di vista ecologico. Inoltre deve avere: una distribuzione geografica ampia e continua; una bassa variabilità genetica; una bassa adattabilità. Un’altra qualità “facoltativa” ma pur sempre importante è quella di essere accumulatori spontanei di agenti inquinanti nei loro prodotti. Anche in questo caso l’ape mellifera mette in mostra le sue qualità migliori con circa tre prodotti/matrice utilizzabili per monitorare, nel migliore dei modi, un palcoscenico di potenziali inquinanti, ma anche per mostrarci indici di ricchezza biologica che altre matrici in natura non sono capaci di evidenziare. Il punto


Foto Marco Moretti

fondamentale resta sempre il tipo di sostanza che si vuole rilevare, studiare e analizzare. La cera per esempio è una ottima matrice dove si accumulano sostanze liposolubili come ad esempio la famosa diossina ma permette anche di accumulare e conservare per decenni fitofarmaci; il miele al contrario è un’ottima matrice (integrale1) per il rilevamento di numerose sostanze e per il rilevamento della biodiversità, mentre il polline è una matrice che permette una lettura “parziale”2 delle

sostanze immesse nell’ambiente anche in quantità limitate ed per aree ristrette. Le api rientrano nelle categoria dei biomonitors non solo per le caratteristiche sopra riportate ma per numerose motivazioni che anticiperemo solo in parte e che approfondiremo nel prossimo numero. Le api sono strettamente legate all’ambiente che le ospita, infatti sono parte integrante dell’ecosistema al punto da essere uno dei motori che ha permesso un’accelerazione nella diversità botanica

delle Angiosperme. Probabilmente come accade spesso nella storia naturale, le api e le piante a fiore si sono incontrate “casualmente”, stabilendo da subito un rapporto speciale molto intimo di reciproco aiuto, quasi una una vera e propria simbiosi. Per questo motivo l’Apis mellifera avendo rapporti con tutti i comparti ambientali, aria, acqua, suolo e organismi viventi è considerata, a tutti gli effetti un biomonitore della qualità ambientale nel suo complesso. È interessante notare inoltre che l’ape descrive fenomeni in gran parte non esprimibili in termini matematici infatti riesce a rappresentare in modo sintetico realtà complesse (G. Celli e G. Porrini, 1991), tenendo conto di interazioni sinergiche che i metodi analitici da soli non sono “capaci” di leggere. Di fatto le api ci mostrano un riassunto delle contaminazioni presenti nell’ambiente e tutte le interazioni che portano questi inquinanti dai diversi comparti ambientali ad una “matrice vivente” quale l’Apis mellifera. Molte cose interessanti e talvolta inaspettate sono emerse dai risultati ottenuti dalla nostra equipe in oltre 20 anni di monitoraggio ambientale, merito della infaticabile operosità e dedizione dell’ape mellifera. Nicola Palmieri

NOTE 1 Il miele è costituito da un elevato numero di microprelievi di nettare e rappresenta “un’integrale” di punti provenienti da fioriture sperse in un’area. Rappresenta di fatto la media dei prelievi raccolti in un’area. 2 Il polline è una matrice molto più esposta del nettare e la sua analisi mostra l’inquinamento presente in un punto.

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SCIENZA

MATEMATICA NELL’ALVEARE

PERCHÉ LE API BLOCCANO I FAVI SOLO A UN’ESTREMITÀ Pasquale Angrisani

L’

esperienza ci dimostra che quando un elemento bidimensionale appoggiato ad un estremo e caricato da una forza di compressione all’altro estremo oltre un determinato limite manifesta la tendenza a flettersi. Questo si verifica quando l’asse della sollecitazione non ha l’asse esattamente coincidente con l’asse baricentrico dell’elemento, ma si troverà ad una certa distanza da esso, creando così un momento flettente. Il modello matematico impiegato per descrivere questo fenomeno utilizza l’eccentricità del carico assiale che introduce un momento flettente che non fa parte delle forze primarie che agiscono sull’elemento. Si prenda per esempio una riga da disegno e la si tenga in verticale, appoggiata con una estremità su un tavolo (in modo tale che non scivoli) e sull’altra estremità s’imprime uno sforzo di compressione assiale. La riga, soggetta a compressione lungo il suo asse, resiste fino a un certo carico, in gergo detto carico limite, oltre il quale inizia a incurvarsi lateralmente per instabilità laterale. Se non si smette immediatamente di imprimere una forza verso il basso, la riga si romperà. Se volete continuare perché 52 | Apitalia | 11/2018

non avete ancora esaurito la vostra pazienza, provate a farlo con righe di lunghezze diverse, e vedrete che più le righe sono lunghe e più sarà facile romperle. APPLICHIAMO IL MODELLO MATEMATICO AI FAVI DELL’ALVEARE La cera secreta dalle api ha caratteristiche meccaniche scadenti ma quando viene modellata per costruire il favo è in grado di resistere, grazie alla sua struttura alveolata e allo strato protettivo di propoli che avvolge le cellette, il peso delle provviste, della covata e delle azio-

PIÙ IL FAVO È LUNGO TANTO PIÙ PICCOLO SARÀ IL CARICO NECESSARIO PER DEFORMARLO


ni trasmesse dagli agenti esterni. Per comprendere come la struttura alveolata del favo riesca a sopportare tutto il peso complessivo del favo, dobbiamo analizzare come questo si ripartisce sulle singole cellette (cfr. disegno). Il peso complessivo del favo è l’insieme dei pesi di ogni singola celletta piena di miele, che si ricava moltiplicando il volume della celletta per il peso specifico del miele. Il peso di una celletta è applicato nel suo baricentro ed è diretto verso il basso, dove incontra un nodo in comune con tre pareti di due celle adiacenti. Il peso si scompone in due componenti, lungo le pareti della celletta, che essendo simmetriche sono uguali. Le reazioni “r/2” che nascono nel nodo per l’equilibrio sono uguali e contrarie alle componenti del peso. Tali reazioni agendo lungo le pareti incontrano un altro nodo e vanno a sommarsi all’altra reazione che proviene dal nodo della cella vicina, le loro somme “R” sono dirette verso l’alto lungo le pareti verticali delle cellette. Esse sono uguali e contrarie alla semisomma del peso di due cellette di miele adiacenti. Più ci avviciniamo sul punto di attacco del portafavo e più aumenta la trazione nel favo e la sua resistenza è inversamente proporzionale alla sua lunghezza e ai vincoli all’estremità. Facciamo un esempio: quando diciamo che il favo pesa 5 kg, stiamo solo dicendo che 5 kg è la somma di tutte queste forze. Nel momento in cui le api non riescono a mantenere la temperatura interna del nido al disotto della temperatura di plasticità della cera,

si verifica lo stiramento delle cellette nella parte superiore dei favi. Questo fenomeno è accentuato nei favi che sono stati rapidamente costruiti e riempiti di miele prima che questi siano usati per la covata. I favi che hanno contenuto la covata si stirano di meno perché hanno le pareti rinforzate dai bozzoli della covata. Se le api bloccassero il favo alle due estremità (sul longherone superiore e sulla traversa inferiore del telaino) durante lo stiramento delle cellette, il favo non potendo scorrere nel suo piano longitudinale, resiste fino a un determinato carico limite, successivamente la sua componente non assiale comincia impercettibilmente a piegarlo. La situazione diventa instabile e il favo si deforma, anche nel senso trasversale, formando delle protuberanze nella parte inferiore del favo, con rischio di uccidere le api o la regina durante l’estrazione dall’alveare. In altri termini, più il favo è lungo, tanto più piccolo sarà il carico necessario per deformarlo. Ecco perché questo fenomeno si verifica solo nel nido e non nel melario, anche se il favo è bloccato alle due estremità. Se un’estremità del favo è libera, si verifica solo una deformazione nel senso longitudinale del favo (stira-

mento delle cellette) e non si genera quel momento flettente addizionale che farebbe deformare il favo in senso trasversale. Le api comparse sulla terra 25 milioni di anni fa, e prima che l’homo sapiens studiasse questo fenomeno, erano già a conoscenza di questo fatto. Ecco spiegato perché le api iniziano a costruire i favi partendo dall’alto, bloccandoli solo sotto la soffitta nei ricoveri naturali o sotto il longherone superiore dei telaini nelle arnie razionali. I favi che costruiscono le api non toccano mai il pavimento del ricovero naturale o le asticelle inferiore dei telaini nelle arnie razionali, anche quando si aumenta lo spazio tra l’asticella inferiore dei telaini e il fondo dell’alveare in modo tale da ottenere una migliore ventilazione. In molte riunioni, ho sempre sconsigliato agli apicoltori di montare il foglio cereo appoggiato alla traversa inferiore del telaino per contrastare la varroa. Anche se nella parte bassa del favo, saranno costruite celle da fuchi, il danno che la varroa compie è nettamente inferiore al danno che noi provochiamo negli alveari, quando si favorisce la costruzione di favi deformati. Pasquale Angrisani 11/2018 | Apitalia | 53


CHEF AL MIELE

ANTHONY GENOVESE: 2 STELLE E TANTA PASSIONE PER IL MIELE

“SONO RIMASTO FOLGORATO DALLA POLIVALENZA DI QUESTO STRAORDINARIO PRODOTTO” di Luisa Mosello

E

leganza, emozioni e colori. Le creazioni dello chef stellato Anthony Genovese si racchiudono in queste tre parole. Che si possono gustare nel suo ristorante romano Il Pagliaccio (2 stelle Michelin). È qui che lo chef stellato, nato in Francia da genitori calabresi e tornato alle sue origini in Italia dopo aver attraversato l’Inghilterra, passando per il Giappone, la Malesia e la Thailandia, propone il suo menu votato alla qualità tout court. Dove non poteva mancare il miele. Ha dedicato un piatto speciale alle api. Ce lo racconti Si chiama “Il pescato e le api” ed è un piatto profondamente italiano, che parla di me. L’idea è nata quando ho conosciuto un produttore di miele, sono rimasto folgorato dalla polivalenza di questo straordinario prodotto. Esprime tutte le potenzialità del miele in ogni sua espressione. C’è il polline in polvere, la cera d’api usata per fermentare l’albicocca. 54 | Apitalia | 11/2018

L’idromiele per sfumare le nocciole e la portulaca, parti integranti del piatto accanto ai finferli. Per realizzarlo utilizzo il miglior pescato giornaliero. Il pesce viene preparato in padella con una laccatura di miele di spiaggia. Sono da sempre affascinato dal mondo delle api, dalla loro oro

“IL MIO PREFERITO È IL MIELE DI ABETE” MONTANARO PER ECCELLENZA


estrema organizzazione e dalla produzione di questo fantastico nettare.

Che legame ha con il miele, dolce e prezioso tesoro del gusto? È un rapporto molto “sensibile, lo uso spesso al posto dello zucchero, per marinature e laccature. Sto lavorando per inserire nel mio prossimo menù la frollatura del piccione utilizzando i derivati del miele. Il mio preferito è quello di abete, montanaro per eccellenza, ricco di note di malto e caramello di orzo tostato ma

non disdegno i piccoli produttori di altre tipologie. Non uso al momento nello specifico il miele di zagara (tipico della sua terra d’origine, ndR) ma non recludo possibilità future. Cucina francese e cucina italiana: come le “mescola”? Amo definirmi un cuoco di cucina italiana anche se amo moltissimo la Francia dove sono nato. Sono stato chiamato a rappresentare l’Italia a Bordeaux. Cosa porterò? Una mia interpretazione del Mont Blanc lavorato con interiora di faraona.

BORDEAUX S.O GOOD Lo chef si riferisce al Bordeaux S.O Good (www.bordeauxsogood.fr) il Festival della Gastronomia e dell’Art de Vivre giunto alla V edizione che quest’anno andrà in scena nella splendida città francese dal 16 al 18 novembre. Il nostro Paese sarà l’ospite d’onore attraverso tre ambasciatori doc: oltre ad Antony Genovese, Stefano Baiocco e Antonio Guida (tutti tre con 2 stelle Michelin).

Luisa Mosello 11/2018 | Apitalia | 55


FLORA APISTICA. Scheda n. 7

I POLLINI DI EMERGENZA

FIORI UTILI PER LE API E PER GLI ALTRI APOIDEI NELL’ITALIA CENTRALE di Giancarlo Ricciardelli D’Albore

POLLINI DI FINE INVERNO - Cupressus sempervirens L. (Cupressaceae) (Cipresso comune)

DESCRIZIONE GENERICA TEMPO DI FIORITURA

POLLINE

VALORE APISTICO VALORE PER ALTRI PRONUBI

ALTRI USI

BIBLIOGRAFIA

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Arborea sempreverde, alta fino a 25 m, originaria del Mediterraneo orientale. Fiorisce in febbraio. Quando l’inverno non è ancora finito,ma compaiono anche giornate tiepide e soleggiate, nell’Italia centrale le prime coraggiose api, che cominciano a fiutare il terreno circostante, non hanno di meglio che il polline del Cipresso. Sparso ovunque a livello ornamentale (viali, strade, giardini, parchi; anche nei cimiteri!) forniscono, oltre che polline, che causa le prime riniti vasomotorie e l’asma agli uomini allergopatici e sensibili a questa specie, molto polline per le api. Le bottinatrici possono raccogliere, per breve tempo, anche notevoli quantità di questo polline, che in alcuni luoghi diventa essenziale per i tempi critici. Da 1 a 4: 3. Da 1 a 4: sconosciuto. Dalle foglie e dai frutti (galbuli) si ottiene l’olio di cipresso, ricco di terpeni, pinene, cimolo ed altre sostanze, che viene usato in farmacia ed in cosmetica. L’olio è importante soprattutto per combattere raucedini, faringo-laringiti, tracheiti, tosse stizzosa. Risulta anche avere proprietà antidiarroiche. Il legno non viene attaccato dai tarli e pertanto, essendo molto duro e resistente, è molto usato in mobileria. Nei tempi antichi era molto utilizzato per costruire barche. Tosco U., 1989. Piante aromatiche e medicinali. Ed. Paoline: 223-224.


POLLINI DI FINE INVERNO - Crocus napolitanus Mord & Loisel. (Iridaceae) (Falso zafferano)

DESCRIZIONE GENERICA TEMPO DI FIORITURA POLLINE

Erbacea perenne bulbifera, alta fino a 10 cm, distribuita nei pascoli montani. Fiorisce a febbraio, quando la neve va sciogliendosi. II fiori sono visitati dalle api e dai bombi per polline, raccolto in discrete quantità. Il colore delle pallottoline di polline è arancione scuro.

IMPORTANZA PER LE API

Da 1 a 4: 3.

IMPORTANZA ALTRI PRONUBI

Da 1 a 4: 2.

ALTRI USI

BIBLIOGRAFIA

Poco o punto studiato, ha stimmi adatti per sofisticare lo Zafferano (Crocus sativus). Dovrebbe avere proprietà più blande simili a quelle dello zafferano (stomachiche e carminative). Il genere Crocus in dosi alte, può essere letale. Pomini L., 1990. Erboristeria italiana. Ed. Vitalità, 1001.

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