Apitalia 12/2018

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2018

ECOSISTEMI URBANI

Apitalia - Corso Vittorio Emanuele II, 101- 00186 - Roma - ITALY - UE - ISSN: 0391 - 5522 - ANNO XXXXIII • n. 12 • Dicembre 2018 •- 690 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) Art. 1 Comma 1 – Roma Aut. C/RM/18/2016




Leggere le Api

la Biblioteca dell’Apicoltore

TITOLO LIBRO

AUTORI

N° PAGINE

M.K. Thun

248

Antroposofica

25,00 €

• Apicoltura in sicurezza

Giacomo Perretta

84

Montaonda

10,00 €

• Apicoltura tecnica e pratica

Alessandro Pistoia

348

L’Inormatore Agrario

32,00 €

F. Grosso

156

TIP.LE.CO.

15,50 €

B. Beck

120

Nuova Ipsa

10,50 €

• Cenni introduttivi per la selezione sull’ape Ligustica

INA, FAI

36

FAI

8,00 €

• Guida pratica alla produzione del polline in Italia

A. Metalori

180

Montaonda

25,00 €

• Guida pratica allo studio della melissopalinologia

AA.VV.

109

--

25,00 €

• Guida pratica di apicoltura con agenda dei lavori

G. Bosca

240

Il Castello

19,50 €

L. Bortolotti e G.L. Marcazzan

196

Edagricole

18,00 €

M. Campero

160

FAI Apicoltura srl

19,00 €

• Il mondo delle api

--

221

Fabbri

27,00 €

• Il piacere delle api

P. Fontana

610

WBA Books

24,00 €

• Il polline

Alin Caillas

108

FAI

19,00 €

• Il ronzio delle Api

J. Tautz

302

Springer Verlag

29,00 €

• Il tempo delle api

M. L. Winston

338

Il Saggiatore

23,00 €

• L’allevamento di Api Regine

F. Ruttner

344

FAI

35,00 €

• L’analisi sensoriale dei mieli

M. Gonnet, G. Vache

70

FAI

10,00 €

F. Frilli, R. Barbattini, N. Milani

112

Calderini Edagricole

17,00 €

Abate Warrè

272

Montaonda

18,00 €

R. Menzel, M. Eckoldt

310

Raffaello Cortina

29,00 €

• La meravigliosa vita delle api

G. Accinelli

155

Pendragon

14,00 €

• La produzione del miele in favo

R. A. Morse

112

FAI

12,00 €

• La rivoluzione dell’alveare

M. Grasso

138

Terra Nuova

14,80 €

• La vita sociale delle api - trattazione divulgativa

M. Spinett

192

Taiga

10,00 €

• Le api - biologia, allevamento, prodotti

A. Contessi

570

Edagricole

42,00 €

• Le api

R. Steiner

150

Antroposofica

14,00 €

• Le api

Herrera, Gallo

96

FAI

30,00 €

• Le api e la penna

A. De Spirito

142

Studium

13,00 €

• Le api in poesia

C. Graziola

350

Montaonda

15,00 €

• Le api per l’impollinazione

D. Frediani

82

FAI

10,00 €

• Le api - storia, mito e realtà

C. Preston

248

ORME

16,00 €

A. Contessi, G. Formato

386

Edagricole

38,00 €

H. Storch

78

Européennes Apicoles

15,00 €

E. Carpana e M. Lodesani

410

Springer

49,99 €

• Strategie di sopravvivenza delle colonie di api

H. Wille

56

FAI

10,00 €

• Un cucchiaio di miele

H. Ellis

192

Guido Tommasi

25,00 €

• Apicoltura

• Apipuntura - terapia medica con veleno d’api • Apiterapia

• I prodotti dell’alveare • I mille segreti dell’alveare

• L’ape - forme e funzioni • L’apicoltura per tutti • L’intelligenza delle api

• Malattie delle api e salute degli alveari • Osservando la porticina di volo dell’arnia • Patologie e avversità dell’alveare

EDITORE

PREZZO

• ORDINI E INFO • FAI Apicoltura srl - Corso Vittorio Emanuele II, 101 - 00186 Roma - Tel. 06. 6877175 - commerciale@faiapicoltura.biz


EDITORIALE

L’ULTIMA REGINA

A RISCHIO LA LEGGE REGIONALE CHE SALVAGUARDA L’APE ITALIANA

EMILIA ROMAGNA: L’ASSESSORE CASELLI PRESIDIA LA LINEA DI DIFESA

C’

è tanta Emilia-Romagna nel patrimonio dell’apicoltura italiana. È in questo territorio, infatti, che generazioni di allevatori-selezionatori si sono dedicate a salvaguardare e valorizzare le doti dell’ape Ligustica che, fin dalla primigenia descrizione del naturalista Massimiliano Spinola, nel 1806, fu presto apprezzata e diffusa su tutti i Continenti. È da questa Regione, con quest’ape, che si propagarono i princìpi di una moderna apicoltura d’impresa; insegnamenti che ancora oggi riecheggiano nel mondo. I recenti e ripetuti attacchi alla legge regionale 35/1988 “Tutela e Sviluppo dell’Apicoltura”, tesi a introdurre in Emilia-Romagna ibridi interrazziali di “Buckfast” e suoi derivati, vanno dunque avversati con forza. Si corre altrimenti il rischio di compromettere il lavoro di generazioni di apicoltori e la prospettiva stessa di un comparto che, grazie all’Emilia-Romagna, ha dato e continua a dar lustro al nostro Made in Italy. Sentiamo per questo il dovere di spezzare una lancia in favore di Simona Caselli, Assessore all’Agricoltura della Regione Emilia-Romagna: lei per prima ha dedicato impegno e attenzione a questa delicata faccenda, valorizzando la posizione di responsabilità dell’Associazionismo apistico regionale che di api diverse dalla Ligustica non ne vuol giustamente sapere. Vada dunque a questo Assessore Regionale il nostro plauso e l’incitamento della maggioranza dell’apicoltura italiana. Perché lasciar cadere in Emilia-Romagna la cittadella che difende l’ultima ape regina italiana equivarrebbe all’autodistruzione dell’apicoltura nazionale. Raffaele Cirone

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SOMMARIO

Apitalia N. 692 | 12/2018 gli articoli 5 EDITORIALE L’ultima Regina 9 PRIMO PIANO ApinCittà

Raffaele Cirone Fabrizio Piacentini e Lorenzo della Morte

20 AGENDA LAVORI. CENTRO Attenti alle vendite senza dimenticare le api Gruppo Assistenza Tecnica APAM 24 AGENDA LAVORI. SUD L’importanza dell’osservazione Santo Panzera 27 AGENDA LAVORI. SUD E ISOLE Servono api giovani Vincenzo Stampa 33 RICERCA Il DNA ambientale

Luca Fontanesi

37 VARROA Misurare la sanità dei nostri alveari Giulio Loglio

12 AGENDA LAVORI. NORD-OVEST Rinnovato vigore con i giovani apicoltori Alberto Guernier 14 AGENDA LAVORI. LOMBARDIA Primi freddi, non disturbiamo gli alveari Maurizio Ghezzi 17 AGENDA LAVORI. NORD-EST Glomere: strategia della sopravvivenza Giacomo Perretta

46 SALUTE Quel prezioso laboratorio galenico Maurizio Ghezzi 52 CHEF AL MIELE Michele Fusco: alta cucina con le api Luisa Mosello FLORA APISTICA 54 L’atlante del mieli uniflorali del mondo 56 I pollini di emergenza Giancarlo Ricciardelli D’Albore

in regalo il CALENDARIO 2019

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i nostri recapiti Corso Vittorio Emanuele II, 101 - 00186 Roma 06. 6852556

redazione@apitalia.net

06. 6852287

www.apitalia.net

i nostri riferimenti Nel nostro orizzonte quotidiano c’è sempre l’Altare della Patria, un valore di riferimento costante che ci motiva nell’azione di tutela e salvaguardia dell’Ape Italiana.

FAI Apicoltura S.r.l., n. 001026274710 IBAN IT87V0760103200001026274710

FAI Apicoltura S.r.l., IBAN IT58F0501803200000012361200

hanno collaborato a questo numero info@faiapicoltura.biz

abbonamenti 1 anno (10 numeri carta)

€ 30,00

2 anni (20 numeri carta)

€ 54,00

1 anno carta + digitale

€ 35,00

Italia, una copia/arretrati

€ 5,00

Fabrizio Piacentini, Lorenzo della Morte, Alberto Guernier, Matteo Ballabio (foto pag. 12), Maurizio Ghezzi, Giacomo Perretta, apicosco.com (foto pag. 17), Gruppo Assistenza Tecnica APAM, Marco Valentini (foto pag. 20), Santo Panzera, Luca Modolo (foto pag. 26), Vincenzo Stampa, Luca Fontanesi, Giulio Loglio, Luisa Mosello, Giancarlo Ricciardelli D’Albore, Alessandra Lazzaro (copertina libro pag. 54), Alessandro Patierno, Patrizia Milione.

marcatura dell’ape regina Secondo un codice standardizzato, le regine sono marcate con un colore (tabella a lato) per permettere all’apicoltore di riconoscerne l’anno di nascita

bianco

giallo

rosso

verde

azzurro

1o6

2o7

3o8

4o9

5o0

(ultimo numero dell’anno di allevamento, esempio “2018”)

i nostri valori Lo stemma circolare dell’ape regina al centro della scritta che recita “Il mio non sol, ma l’altrui ben procuro” accompagna da sempre le pubblicazioni curate dalle firme storiche dell’editoria apistica italiana da cui Apitalia trae origine

Questa è la medaglia d’oro accompagnata dalla menzione speciale della Giuria internazionale che ha riconosciuto Apitalia miglior rivista di apicoltura per i suoi contenuti redazionali, la qualità del corredo fotografico e il valore tecnico-scientifico

La moneta di Efeso, con l’ape come simbolo riconosciuto a livello internazionale già 500 anni prima di Cristo

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PRIMO PIANO

APINCITTÀ

ECOSISTEMI URBANI INDAGATI DA UNA RETE DI ALVEARI

di Fabrizio Piacentini e Lorenzo Della Morte

Una famiglia di api recuperata all’interno della Camera dei Deputati e ricollocata nell’apiario urbano sperimentale della Federazione Apicoltori Italiani

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PRIMO PIANO

La

FAI-Federazione Apicoltori Italiani sigla a Dicembre 2017 una Convenzione con l’Arma dei Carabinieri - Comando Unità per la Tutela Forestale, ambientale e Agroalimentare Carabinieri (CUFA), in virtù di una sinergia di intenti dell’Arma e della FAI, diretti alla conservazione dell’ambiente in quanto patrimonio di interesse nazionale. Le linee guida fondanti di questa azione sinergica sono quelle che vedono le due Istituzioni coinvolte nello sviluppo di iniziative condivise per la diffusione della cultura della difesa del patrimonio paesaggistico, ambientale, forestale e apistico; la tutela delle risorse naturali con particolare riferimento alla sottospecie italiana, Apis mellifera ligustica (Spinola,1806), capolavoro di biodiversità; la promozione di iniziative di sensibilizzazione, comunicazione e formazione su tematiche quali i valori costituzionali, il rispetto della legalità, la conoscenza del patrimonio naturale

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e della biodiversità, con particolare riferimento all’utilità sociale e ambientale delle api mellifere. Non sono cose che accadono ogni giorno ed è da queste direttrici che ha preso vita una prima e concreta attività operativa, così come richiesto dal Comando CUFA: il Progetto ApinCittà, che è frutto di una collaborazione tra FAI-Federazione Apicoltori Italiani, Carabinieri Forestali e Comune di Roma. Tale progetto pilota costituisce, per portata innovativa, un modello sperimentale nazionale ed internazionale che si articola in una rete per il biomonitoraggio ambientale urbano mediante alveari di ape italiana. L’azione progettuale, tuttavia, non si limita a controllare parametri di interesse ambientale, ma va ben oltre: creare una rete di apicoltori, istituzioni pubbliche, enti della ricerca, cittadini, associazioni, agricoltori; mappatura del verde urbano di Roma Capitale e di altre città storiche; biomonitoraggio della qualità dell’aria e dell’acqua, recupero e ricollocazione degli sciami;

educazione ambientale, apicoltura sociale, altruismo e legalità; partecipazione attiva e inclusione di tutta la società civile. Partito nel 1980 dalla storica postazione n° 1 di Palazzo della Valle, sede di Confagricoltura, l’Apiario Urbano Sperimentale della FAI, ha dato vita ad una prima propagazione istituzionale in in direzione della postazione n° 2, il Laboratorio delle Api dell’Arma dei Carabinieri. Il resto è accaduto quasi per conseguenza naturale: oggi, a distanza di un anno esatto dall’avvio di questa collaborazione, la rete di ApinCittà si articola in 15 Postazioni di Biomonitoraggio, che supereranno le 20 già a primavera 2019. Il costante aumento delle realtà interessate ad aderire al progetto, infatti, sta favorendo un naturale processo di crescita e sviluppo caratterizzato, in particolare, dall’analisi del profilo botanico di ogni quadrante cittadino: una sorta di Dna ambientale delle Città e quindi delle risorse naturali e del-


Il Generale Davide De Laurentis, Vice Comandante dei Carabinieri Forestali.

la biodiversità che le api sono in grado di descrivere, preservare e valorizzare. A questa rete di “Api Sentinelle” si aggiunge il supporto scientifico di enti della ricerca e di altri enti (pubblici e privati), quali ad esempio la stessa Confagricoltura, che da sempre ha creduto nell’iniziativa, l’Istituto Superiore di Sanità, l’Università di Roma La Sapienza, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria e altri che via via si stanno aggregando. Ciascuno in grado di assicurare, nel campo di specifica competenza, un apporto qualificato e uno stimolo ulteriore allo sviluppo di questa iniziativa. Ciò che emerge, in conclusione, da questo primo anno di ricerche ed analisi del Progetto ApinCittà, è un dato entusiasmante: la biodiversità nelle città, che dovrebbe essere molto più bassa di un’area

rurale o di un ecosistema naturale, è invece ricchissima e solo in parte conosciuta. Sono oltre 150, ad esempio, le specie botaniche finora censite, alcune di queste non ancora presenti nei repertori della Flora di Roma: come a dire che non sapevamo di avere questa tipologia di verde “orizzontale o verticale” utile alle api e comunque non sappiamo ancora abbastanza sull’Ecosistema della Capitale e delle altre Città storiche in genere. Il che depone a favore di un inusuale, assortito e ricco pascolo di fioriture utili a tutti gli insetti impollinatori e alle api mellifere in particolare. In materia di analisi dei metalli pesanti, inoltre, occorre dire che il miele rientra tra le previsioni del Regolamento UE 2015/1005 che fissa un tenore massimo di piombo nel miele pari a 0,10 mg/kg. I dati finora rilevati dal Progetto ApinCittà, ci dicono che siamo ben al

di sotto dei valori suggeriti con una media di 0,022 mg/kg. È confermato, per concludere, che le sentinelle di Ape italiana vigilano e tutelano la diversità botanica e, al tempo stesso, consentono di monitorare i comparti ambientali della Città Eterna, come di altri ecosistemi urbani che si stanno aggregando, via via, alla Rete che ApinCittà ha attivato. La partecipazione attiva della cittadinanza, l’incontro tra apicoltori e società, Istituzioni ed Enti di Ricerca servirà a veicolare un esempio - quello che le api ci offrono ogni giorno - di coesione, di operosità, di condivisione verso un obiettivo comune. Un’operazione, ancora una volta, chiaramente “Benemerita”, come nello stile dell’Arma e, con orgoglio e con impegno, sostenuta dalla FAI. Fabrizio Piacentini e Lorenzo Della Morte

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AGENDA LAVORI. NORD-OVEST

RINNOVATO VIGORE CON I GIOVANI APICOLTORI

IN TANTI SI AVVICINANO ALL’APICOLTURA TRAMUTANDO LE AVVERSITÀ IN OPPORTUNITÀ di Alberto Guernier

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a volte anche datati, con i conseguenti divieti a circolare, spesso percepiti come un eccesso, da chi alla fine questi mezzi li utilizza per pochi spostamenti estivi. Non è lontana per molti la tentazione di mollare tutto. Ogni momento sembra buono per aumentare il carico di fastidi: fatturazione elettronica, adempimenti in banca dati e chi più ne ha ne metta. Eppure che non sia questo un se-

IL PUNTO DI VISTA DI UN APICOLTORE NEOFITA PUÒ FAR RIFLETTERE ANCHE L’ESPERTO

Foto Matteo Ballabio

ol passare delle stagioni, non si accumulano solo i mal di schiena, ma anche l’insofferenza per una burocrazia che ci appare sempre più fastidiosa, al punto da risultare invalidante per un’azienda e per un settore già profondamente provato da innumerevoli sfide. Tutto questo torna ciclicamente a farsi sentire, sopratutto da chi come il sottoscritto - è in una fase della propria vita, in cui si è più portati a sopportare i malanni e le fatiche fisiche, piuttosto che le nuove continue imposizioni, che consentitemi di dire, non hanno il “sapore” che dovrebbero avere. Ed è proprio nei momenti di minor intensità lavorativa, come lo sono per noi i mesi invernali, che la “digitalizzazione del mondo” giunta sulle nostre spalle all’improvviso, che fa parte del progresso e che dovrebbe essere d’aiuto sopratutto alle imprese, spesso va avanti a singhiozzo rischiando di avvilirci. I nostri automezzi, autocarri a cui il destino ha riservato un “surmenage agreste” fatto di impantanamenti e capriole varie, perlopiù diesel,


gnale che ci fa capire che il tempo sta passando, che abbiamo bisogno di aiuto, di occhi più giovani, che vedano il mondo con le sue nuove asperità, come una opportunità. Approfittiamo dunque, nel corso della stagione fredda dei corsi di apicoltura delle Associazioni territoriali, dove si concentrano le presenze di chi vuole intraprendere l’attività, giovani interessati a seguire le orme di apicoltori esperti. Provare ad attivare delle collabo-

razioni, con uno scambio equo di competenze, proprio nei mesi più tranquilli, dove sia possibile capire le reali intenzioni dell’altro, nonché la nostra disponibilità a mettersi in gioco, senza lo stress della piena stagione, quando la fretta e l’esigenza del “tutto subito” non ci permetterebbero di affrontare un dialogo costruttivo con l’altro. Nelle belle giornate di fine anno, potremo passare qualche ora in apiario in compagnia di un gio-

vane “candidato collaboratore”, illustrando quelle che sono le nostre idee apistiche, stando sempre pronti a considerare anche il punto di vista altrui che, anche se ci apparirà acerbo, può far riflettere anche il professionista più esperto, al punto che potremmo rimanere stupiti di quanto una mente giovane sia in grado di farci considerare le cose sotto aspetti nuovi. Se saremo capaci di trovare la persona giusta, a primavera ripartiremo con rinnovato vigore, proprio perché, lavorare a fianco di ragazzi entusiasti è contagioso, provare per credere! Un proficuo inverno a tutti, foriero di rinnovato vigore! Alberto Guernier

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AGENDA LAVORI. NORD

PRIMI FREDDI, NON DISTURBIAMO GLI ALVEARI

CON GLI INOPPORTUNI INTERVENTI LE API TENDONO A CONSUMARE PIÙ SCORTE di Maurizio Ghezzi

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reddo, pioggia, ancora pioggia e forse neve, l’inizio dell’inverno potrà mai essere più indulgente per le nostre apette con il “gilet” arancione e nero? L’inizio dell’inverno è ormai giunto, forse saprà regalare ancora qualche bella giornata, anche a secondo della regione e della latitudine, durante la quale le api riscaldate da un tiepido sole riusciranno ad uscire dall’alveare per qualche breve volo, prima che il lungo inverno sopraggiunga definitivamente. Le api, all’interno del loro nido, si racchiudono in glomere attorno alla regina, un glomere che diventerà tanto più serrato quanto più la temperatura esterna diminuirà così da riuscire ad arginare le correnti d’aria fredda e mantenere una temperatura costante. È questo, per l’apicoltore, il periodo di compiere passeggiate di ispezione in apiario per controllare lo stato delle proprie arnie. Le colonie in questo periodo impiegano la maggior parte del loro tempo a regolare la temperatura all’interno dell’alveare, non c’è più 14 | Apitalia | 12/2018

covata e la popolazione rimane pressoché stabile; l’attività della famiglia è molto rallentata e in assenza di covata le api riescono a sopravvivere anche con una temperatura minima di 13 °C. Mentre in primavera e in estate le colonie sono molto attive, in inverno, all’interno del nido, il riposo e la “pace” la fanno da padrone, questo però non vuol dire che l’apicoltore debba abbandonare gli alveari lasciandoli senza sorveglianza, è sempre buona cosa dare un occhio di tanto in tanto per

USIAMO IL TEMPO LIBERO PER PULIZIA E MANUTENZIONE DEGLI ATTREZZI


controllare le coperture, lo stato delle arnie e tutto ciò che è necessario senza però disturbare le api. In questo periodo della stagione, la morte di api è un fenomeno naturale, in tre mesi ne perderemo circa 3000. Per una corretta igiene sarebbe utile rimuovere i cadaveri rimasti davanti alla porticina di volo utilizzando una spazzola ed un piccolo uncino. Durante l’inverno, viste le poche incombenze in apiario, potremmo anche utilizzare il nostro tempo per dedicarci alla pulizia del materiale di lavoro, se non lo abbiamo ancora fatto potremo revisionare i telaini di riserva e, se è il caso, raschiarli, pulirli, riparali ed eventualmente sostituire il foglio cereo. Armare e completare con nuovo foglio cereo qualche quadro da utilizzare nella nuova stagione, potrebbe rivelarsi una cosa molto utile che ci eviterà di eseguire questo lavoro con affanno al momento opportuno, quando avremo bisogno con urgenza di nuovi telai.

Si può poi approfittare del periodo di inattività e di non volo delle nostre api per sistemare il terreno intorno alle arnie, pulire il sottobosco circostante alla postazione e pianificare la posizione in cui potremo, nella prossima primavera, mettere a dimora nuove piante aromatiche o mellifere. È vero che per avere una produzione è necessario avere importanti distese di piante nettarifere, ma alle nostre “compagne” certo farà piacere avere in prossimità dell’alveare piante di timo, rosmarino, borragine, salvia e altro ancora; lo scopo non è di incrementare la produzione

quanto piuttosto di diversificare le risorse nettarifere e polliniche a loro disposizione. Le api tendono a consumare più scorte della norma in situazioni di disturbo: sarà importante limitare le nostre attività in prossimità dell’alveare, al fine di far loro sopportare la durata e il rigore dell’inverno. Le riserve di cibo condizionano infatti lo stato della colonia, il suo vigore e la sua ripresa primaverile. Un aumento di consumo di cibo potrebbe causare, inoltre, congestioni intestinali con unaconseguente ripercussione sullo stato igienico della famiglia.

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AGENDA LAVORI. NORD Ricordiamoci che nella stagione fredda è assolutamente sconsigliata la somministrazione di sciroppo; in caso di necessità si potranno integrare le scorte utilizzando del candito. Per non disturbare il “riposo” delle mie api e per non turbare la loro omeostasi termica, io sono solito somministrare del candito utilizzando un contenitore in PET per alimenti (Foto pag. 15), che poi posiziono dentro al coprifavo; lascio una piccola apertura sul diaframma metallico in modo che le api possano risalire dal nido all’interno del contenitore per potersi nutrire. Per coibentare, posiziono un cuscino morbido, in “tessuto non tessuto”, dello spessore di 1 cm, che infine ricopro con del polistirolo. In tal modo il calore prodotto all’interno dell’alveare non andrà disperso e manterrà morbido il panetto di candito. Con questa metodica posso controllare facilmente, e senza alcun disturbo per la famiglia, la scorta residua di candito e, qualora verificassi che la scorta si è esaurita, con due semplici mosse posso riposizionare nuove provviste. Il problema della dispersione di calore, vale un piccolo approfondimento. Nell’arnia, come nelle nostre abitazioni, l’aria calda tende a salire, quindi la dispersione di calore si verifica verso il “soffitto”. Per questo motivo è bene coibentare il “sotto tetto” con della paglia, dei giornali, del polistirolo sostanze in grado di abbattere la perdita di calore. Accertiamoci anche che le coperture siano ben salde, per evitare che in giornate ventose le arnie si 16 | Apitalia | 12/2018

possano scoperchiare. Non preoccupiamoci più di tanto di eventuali abbondanti nevicate, la neve consente comunque il passaggio dell’aria. Dovremo piuttosto verificare che non si formi del ghiaccio sulla porticina di volo perché, contrariamente alla neve, non consente lo scambio d’aria impedendo così alle api di poter respirare. Altro fattore da non sottovalutare è la possibile presenza di umidità all’interno dell’alveare: le api riescono a reagire egregiamente al freddo ma mal sopportano l’umidità e la lunga esposizione a venti freddo umidi. In conclusione, se tutto sarà andato nel verso giusto, a fine gennaio / primi di febbraio la regina riprenderà a deporre e noi potremo così osservare la ripresa dell’attività delle bottinatrici cariche di polli-

ne che, insieme al miele, rappresentano gli elementi fondamentali per la nutrizione delle larve. La api sono preziose sentinelle che monitorano la qualità e lo stato di salute dell’ambiente e l’apicoltore è il loro custode; questo ruolo gli impone di rimanere vigile e sorvegliante anche quando sembra che intorno a lui tutto “taccia”. Solo mantenendo sempre un atteggiamento accorto, sarà in grado di preservare la preziosa attività di eco-sorveglianza svolta dalle proprie api e di garantire continuità a un patrimonio apistico che aiuta a mantenere inalterata l’importante biodiversità dell’ambiente che lo circonda. Buon invernamento a tutti Maurizio Ghezzi


AGENDA LAVORI. NORD-EST

GLOMERE: STRATEGIA DELLA SOPRAVVIVENZA

QUANDO LA TEMPERATURA ESTERNA SI ABBASSA, LE COLONIE DI API ATTUANO UNA TECNICA SOFISTICATA di Giacomo Perretta

GLI ALVEARI TERMOREGOLATI

Foto apicosco.com

FRA 29 E 34 °C

F

ine anno, le api sono in glomere ed è meglio che rimangano tranquille. Il miele fa da padrone nel periodo natalizio, potremmo quasi dire che il miele sia sinonimo di feste. Le bancarelle che si incontrano nei numerosissimi mercatini natalizi sono piene di vasetti che, con tutte le sfumature dell’ambra, allietano la visione e le passeggiate di tutti. Il dolce nettare è anche alla base di molte ricette di dolci natalizi, farne

l’elenco significherebbe riempire le pagine di questa rivista, e per questo mi asterrò. LAVORI IN APIARIO Nonostante il periodo di risposo è pur vero che una visita in apiario è necessaria. In alcune occasioni la visita dev’essere effettuata con ergenza. Vediamo quando: • nel caso fosse caduta molta neve è necessario verificare che le porticine siano libere; • le foglie possono creare problemi non solo di ostruzione; • in caso di vento è necessario verificare che non abbia rovesciato o scoperchiato gli alveari; • la presenza di animali selvatici ghiotti di api o miele potrebbero aver arrecato danni; • quando i cavalletti non poggiano su basi solide e compatte. Questi sono solo alcuni dei possibili motivi per recarsi in apiario. Ora vediamo “come” intervenire: • nel caso sia caduta molta neve è necessario verificare che le porticine siano libere; qualora, infatti, non si provvedesse alla sua rimozione, la neve potrebbe ghiaccia12/2018 | Apitalia | 17


AGENDA LAVORI. NORD-EST re impedendo la possibilità alle api di uscire (un tempo, quando non c’era la rete antivarroa, c’era il timore - infondato - che le api potessero morire per mancanza di aria). • Pulire dalle foglie il predellino: il substrato potrebbe marcire e svilupparr, inevitabilmente, una serie di patogeni (funghi e batteri) che potrebbero causare problemi alla famiglia. • Qualche anno fa accadde che su un mio apiario si abbatté una piccola tromba d’aria che causò il rovesciamento di alcuni apiari. Da allora, fisso i miei alveari al cavalletto con una corda. • Animali selvatici “pericolosi” per i nostri alveari ce ne sono, dal piccolo roditore al grande orso. Per il più comune topolino di campagna è sufficiente restringere opportunamente le porticine. Per il resto ogni apicoltore conosce i pericoli della sua postazione e deve trovare il mezzo per contrastare la fauna selvatica. • La base dove poggiano i nostri alveari. Quello che sembra il più semplice dei problemi è in realtà molto subdolo e pericoloso. A volte diamo per scontato che la tavoletta di legno messa sotto il cavalletto possa essere sufficiente, ma in seguito a grandi piogge, vento o neve, il terreno dove poggia il cavalletto può franare e, per questo, è necessario un controllo periodico, in particolare nelle postazioni scoscese. E i controlli da effettuare all’interno dell’alveare? Sostengo, spesso, che in questo periodo sia meglio non aprire le arnie, le api in glo18 | Apitalia | 12/2018

mere hanno un equilibrio termico e fisico molto delicati. Del glomere conosciamo la forma e la funzione principale; scopriamo insieme i meccanismi, anche complessi, che lo regolano. IL GLOMERE Il glomere è la formazione in cui le api si racchiudono per passare l’inverno o i periodi più freddi (capita che in primavera si apra e poi si richiuda abbandonando anche la covata che nel frattempo la regina ha deposto). Il perché le api scelgano una posizione, all’interno dell’arnia, dove formare il glomere è sconosciuto; possiamo solo dire che sia rivolto verso sud. E come il corpo umano reagisce al freddo tremando (il motivo è che il movimento dei muscoli produce calore), anche nelle api il movimento continuo prodotto all’interno del glomere permette la sopravvivenza della colonia in condizioni di temperature rigide. E poiché le api al centro della massa saranno surriscaldate, mentre quelle esterne relativamente più fredde, il ricambio nelle posizioni sarà ciclico per tutto il periodo rigido permettendo un recupero di energia delle api. Le temperature raggiunte all’interno variano secondo l’ambiente in cui l’alveare si trova e possono oscillare fra i 29 °C in assenza di

covata, e i 34 °C con la covata ma mai arrivare sotto i 25 °C. Torneremo sicuramente sull’argomento, seguendo le indicazioni di un grande apicoltore piemontese Alfonso Crivelli che intorno al 1980 mi dimostrò, portandomi nel suo apiario di Trobaso Verbania, che le api che si sviluppavano prima in primavera erano quelle che passavano meglio l’inverno, cioè quelle che erano capaci di fare un “bel” glomere. In quegli anni stava sperimentando l’arnia trasparente e mi fece vedere come alcune regine erano capaci di attrarre le api in un glomere compatto, altre invece, forse perché fornite di feromoni meno forti, lasciavano il glomere molto largo cioè su più telaini. In quegli anni si lasciavano tutti i telaini all’interno dell’alveare; oggi la tecnica del restringimento del nido tra due diaframmi ha sopperito, oggi, alla debolezza della regina. Secondo la mia esperienza, una buona regina influenza anche quello che noi credevamo fosse prerogativa dell’ape, cioè la “compattezza del glomere”. Chissà se qualche illuminato allevatore di regine potrà inserire, un giorno, tra le caratteristiche della regina anche “la capacità di compattare il glomere”. Buon Natale e Buon Anno Giacomo Perretta



AGENDA LAVORI. CENTRO

ATTENTI ALLE VENDITE SENZA DIMENTICARE LE API

ARRIVA IL FREDDO, AUMENTANO I CONSUMI DI MIELE, MAGGIOR CURA AGLI ALVEARI di Gruppo Assistenza Tecnica APAM

F

inalmente arriva il freddo e meno male. Il protrarsi di temperature decisamente superiori alle medie per tutto il periodo autunnale ha contribuito, infatti, ad una preoccupante stagnazione dei consumi e, quindi del mercato del miele. Ora, con l’abbassarsi delle temperature ed i primi imbiancamenti delle cime degli Appennini, possiamo sperare in una ripartenza delle vendite visto che il consumo del miele,

in Italia, è ancora molto limitato e concentrato per lo più nei mesi freddi. Per noi apicoltori il miele è il frutto finale della nostra attività, quindi ha un ruolo importantissimo sotto il profilo commerciale; stesso livello di importanza il miele lo ha per le api ma con un ruolo diverso, quello di risorsa di energia indispensabile per lo svolgimento delle attività vitali, anche nel periodo invernale.

NEL PERIODO INVERNALE EVITARE INTEGRATORI PROTEICI

Foto Marco Valentini

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API-BIOXAL CAMBIA FORMULATO L’acaricida Api-Bioxal di Alveis (marchio di Chemicals Laif Spa) si evolve: il Ministero della Salute ha infatti autorizzato l’immissione in commercio di una nuova formulazione liquida, già pronta all’uso, contenente acido ossalico e glicerolo. Si tratta di una soluzione altamente innovativa che per la prima volta vede l’impiego del glicerolo che va a sostituire completamente lo zucchero assicurando una migliore azione di supporto nell’azione dell’acido ossalico come principio attivo. L’innovazione di Api-Bioxal pronta all’uso rappresenta un vantaggio non trascurabile con la completa eliminazione dei tempi e dei problemi tecnici conseguenti la tradizione preparazione della soluzione zuccherina. Il glicerolo, inoltre, migliore l’efficacia del trattamento grazie ad un aumento del tempo di contatto del principio attivo con le api all’interno dell’alveare. Encomiabile, inoltre, lo sforzo del produttore, che nell’eliminare l’impiego dello zucchero, presente nella vecchia formulazione, cancella completamente ogni rischio derivante da elevati e indesiderati valori di HMF nel miele. Il nuovo prodotto, infine, è utilizzabile entro tre mesi dalla prima apertura della confezione. Il Ministero della Salute ha autorizzato due confezioni di questo nuovo formulato di Api-Bioxal: una in flaconi da 500 ml e l’altra in taniche di Ecopack da 5 litri. Per facilitare la somministrazione del gocciolato tra i favi, Alveis offre un dosatore che può contenere fino a 600 ml di liquido, per il dosaggio esatto della dose necessaria al trattamento di ogni alveare.

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AGENDA LAVORI. CENTRO

Ricordiamo, infatti, che la caratteristica struttura invernale in cui si rifugia il nostro superorganismo alveare, il glomere, non è come potrebbe apparire ad uno sguardo superficiale, una struttura statica. Le api per garantire il mantenimento di condizioni di temperatura ed umidità idonee per le loro funzioni vitali fanno un continuo andirivieni, lento ma costante, con api calde che dal centro migrano verso l’esterno del glomere e con altrettante api, fredde, che si dirigono dall’esterno verso il centro. Oltre a tale attività di natura chiaramente sociale, le api durante i rigori invernali svolgono anche attività di natura individuale; attraverso un forte fremito dei muscoli delle ali, infatti, producono un calore che rimane confinato entro il torace. La produzione ed il mantenimento del calore necessitano di molte 22 | Apitalia | 12/2018

energie, ecco perché è importante assicurare alle api una presenza consistente di scorte disponibili. Ricordiamo che le ridotte esigenze proteiche di cui necessitano le api invernali devono essere soddisfatte dal loro corpo grasso che hanno costituito nelle fasi di preinvernamento. È buona regola condivisa, dunque, evitare nel periodo invernale l’integrazione alimentare di natura proteica così come la somministrazione di sciroppi. Il candito è l’alimento più idoneo per sostenere l’alimentazione delle api nei mesi invernali. Purché il candito sia di qualità, con un HMF contenuto e con una origine degli zuccheri ben definita, cosa che a volte viene un po’ sottovalutata. Prodotti a prezzi troppo bassi, infatti, possono invogliare all’uso in apiario di prodotti non adatti che potrebbero, anziché favorire

il benessere delle api, provocare danni anche alla salute alle nostre famiglie. Molti si chiedono quanto alimento bisogna assicurare agli alveari per superare indenni l’inverno. Domanda alla quale non esiste una risposta certa ed univoca. Le variabili che incidono sui consumi invernali sono troppe e fuori controllo, tanto che si può affermare, senza correre il rischio di essere smentiti, che il fabbisogno glucidico invernale delle famiglie può variare dai 15 agli oltre 30 kg. Garantire una presenza costante di un pane di candito ci può mettere al riparo da spiacevoli sorprese primaverili. A questo punto non possiamo esimerci dal ricordare che le scorte proprie (favi di miele) o somministrate (candito) devono essere posizionate alla portata delle api chiuse in glomere.


Dunque i favi di miele devono avvolgere il glomere senza soluzione di continuità (come può accadere quando si frappongono favi vuoti) oppure quando integriamo con i pani di candito dobbiamo sistemarli proprio sopra il glomere. Dopo aver messo in sicurezza le api sotto il punto di vista nutrizionale, dobbiamo procedere, se non lo abbiamo già fatto in precedenza, con la terapia invernale per il controllo dell’acaro Varroa. In questo periodo della stagione apistica non abbiamo molte alternative, se non ricorrere all’utilizzo dell’acido ossalico, ovviamente, nelle sue formulazioni commer-

ciali, regolarmente registrate per l’utilizzo in apicoltura. Il gocciolamento, ripetuto una sola volta se non abbiamo covata negli alveari - circostanza abbastanza frequente nelle aree a clima maggiormente rigido - oppure, in alternativa, la sublimazione, che può essere anche ripetuta e risulta utile in quei casi in cui non riscontriamo il blocco della covata, tipica situazione delle zone più temperate. Un controllo della caduta degli acari, esaminando i vassoi (preventivamente cosparsi di olio di vasellina) ci può dare delle indicazioni utili sull’efficacia delle

terapie che abbiamo eseguito nei mesi estivi e sugli eventuali fenomeni di reinfestazione che anche quest’anno, con una diffusione a macchia di leopardo, hanno interessato molte zone. Questo elemento ci può tornare utile per le prossime valutazioni che saremo chiamati a fare sulla scelta delle terapie estive. Buona apicoltura a tutti Gruppo di Assistenza Tecnica dell’APAM Associazione Produttori Apistici Molisani

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AGENDA LAVORI. SUD

L’IMPORTANZA DELL’OSSERVAZIONE

LA CORRETTA INTERPRETAZIONE DEI SEGNALI INDICA LO STATO DI SALUTE DELL’ALVEARE di Santo Panzera

S

i sta per chiudere un anno che ha messo duramente alla prova api ed apicoltori, con una primavera avara di miele e con raccolti successivi di vera e propria sopravvivenza. Ma la forza e la bellezza di essere apicoltori è la proiezione al futuro: sguardo e mente rivolti ai lavori che ci attendono, nella fiduciosa speranza che siano ripagati da abbondanti raccolti. Negli utlimi tempi, ai climi temperati che caratterizzano la nostra Calabria, gli interventi in apiario sono stati finalizzati a mettere le famiglie nelle migliori condizioni per trascorrere l’inverno, attraverso il loro restringimento, togliendo i favi non occupati dalle api, allo scopo di agevolare il lavoro di termoregolazione ed il confinamento e contenimento di Aethina tumida, impedendole di deporre liberamente e dare vita a nuovi focolai. I presupposti per passare con tranquillità l’inverno sono rappresentati da api in numero sufficiente a coprire almeno 5 o 6 telaini, scorte di almeno due chilogrammi di miele e polline a corona della covata ed almeno un favo laterale con

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miele e polline, il tutto stretto tra due diaframmi lontano dalle pareti dell’arnia: tutto ciò ha lo scopo di garantire le migliori condizioni di vita dell’alveare e una agevole accessibilità del miele al glomere che, in forma di sfera allungata, individua una massa d’api che diventa un tutt’uno e si muove contemporaneamente. Con i primi freddi, nelle aree montane e collinari della Calabria e più tardi in quelle costiere a clima più temperato, può verificarsi un temporaneo blocco della deposizione della regina; bisogna assolutamente approfittare di questo “magic-moment” e, durante le giornate in cui la temperatura è mite (> a 10 °C), effettuare il trattamento contro la varroa che, in assenza di covata, risulta tutta in fase foretica e quindi esposta all’azione dell’acido ossalico, principio attivo dell’ApiBioxal. È bene sottolineare che l’acido ossalico ha un’azione acaricida non prolungata nel tempo ma rapida ed immediata, con picchi di caduta degli acari tra il 2° e il 4° giorno dopo il trattamento,

RESIDUI CHIARI SUL FONDO INDICANO CONSUMO DI SCORTE


pertanto, a garanzia di una buona efficacia, il suo uso deve avvenire in assenza di covata o quando essa mostra un’estensione il più possibile ridotta. L’acido ossalico agisce acidificando l’ambiente alveare, sfruttando la diversa resistenza all’ambiente acido che differenzia l’ape dalla varroa, e precisamente l’acidità si esplica sui tessuti più teneri che articolano le placche di chitina degli insetti. Per limitare i danni alle api, dando loro modo di asciugarsi, è preferibile eseguire la somministrazione nella tarda mattinata di giornate ben soleggiate, distribuendo 5 millilitri di soluzione di Api-Bioxal per favo coperto di api. La soluzione deve essere gocciolata negli spazi interfavo, direttamente sulle api, previa eliminazione dei ponti di cera; si opera lentamente e con la dovuta cautela e, ai fini di una migliore e più omogenea distribuzione della soluzione acida. È bene eseguire due passaggi, in modo che le api bagnate al primo passaggio possano ridiscendere verso il centro dei favi ed essere così sostituite da altre che, a loro volta, verranno bagnate con il secondo passaggio. Per monitorare la caduta dell’acaro occorre, prima di introdurre il vassoio del fondo antivarroa, spalmare

o spennellare su di esso un sottile strato di olio di vasellina, allo scopo di evitare che le varroe, cadute ma ancora vive, possano risalire sulle api, oppure che le varroe morte siano asportate dalle formiche, falsando l’efficacia del trattamento acaricida. È importante conteggiare il numero degli acari caduti non solo nella settimana dopo il trattamento, ma valutare anche la caduta naturale nelle settimane successive, al fine sia di avere una stima reale dell’efficacia, sia di verificare eventuali casi di reinfestazione, ai nostri climi miti possibili anche in pieno inverno. È inutile sottolineare l’importanza che siano trattati tutti gli alveari che insistono su una stesso territorio, in quanto un buon coordinamento territoriale tra apicoltori è la precondizione affinché il trattamento acaricida abbia efficacia duratura, evitando che lo stesso sia vanificato dalle reinfestazioni. Durante la stagione fredda, importanti indicazioni sulle condizioni delle colonie si ottengono dalle osservazioni esterne dell’alveare che, pur non essendo mai esaustive, ci possono fornire una valutazione complessiva dell’attività della famiglia, soppesata sulla base della sua reale forza, ricavata a sua volta dalla consultazione delle schede-

alveari sulle quali sono riportati i risultati delle precedenti visite. Molte informazioni possono essere desunte dal volo delle bottinatrici: in una colonia forte esso interessa tutto il fronte dell’arnia e, con temperature di poco superiori ai 10 °C, anche le poche api che escono si distribuiscono omogeneamente sull’intero predellino; in una colonia fortemente contratta per possibili stati patologici, esso avviene da un unico lato, indicando chiaramente che la famiglia occupa solo una porzione del volume interno dell’arnia. Altri chiari sintomi esterni della contrazione della forza della colonia, dovuta a morie di api adulte, sono la tendenza a chiudere le aperture della porticina con propoli al fine di limitare gli scambi di aria con l’esterno, come anche la propolizzazione della rete antivarroa. Anche l’osservazione dei vassoi dei fondi antivarroa è in grado di fornire preziose indicazioni sulla forza ed il benessere della colonia, senza aprire l’alveare, ma “interpretando” le striscie di residui che si depositano in corrispondenza dello spazio tra un telaino e l’altro: • residui di colore chiaro, derivano dalla disopercolazione delle cellette contenenti miele ed indicano il consumo di scorte; 12/2018 | Apitalia | 25


AGENDA LAVORI. SUD

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Foto Luca Modolo

• residui di colore più scuro, derivano dalla rosura degli opercoli di cellette contenenti covata ed indicano lo sfarfallamento di covata; • residui densi disposti in strisce nelle parti laterali del vassoio, indicano un esaurimento delle scorte, in quanto viene consumato il miele allocato ai lati esterni; • residui densi distribuiti in poche strisce presenti prevalentemente nella zona centrale del vassoio, in corrispondenza dello spazio occupato superiormente dal glomere, indicano che la famiglia è in ottime condizioni; • frammenti grossolani di cera rosicchiata sono indice di saccheggio delle scorte di cibo. La presenza nel vassoio di pallottoline di polline è indice di importazione di scorte e quindi presenza di covata; granellini di polline indurito, di colore biancastro indicano fenomeni di micosi nei favi di scorta; feci filiformi di colore bruno giallastro sono indice di diarrea causata da provviste invernali non idonee (come miele che è andato incontro a processi fermentativi o miele di melata che determina l’accumulo di scorie nell’ampolla rettale dell’ape), qualora le condizioni metereologiche invernali sono tali da non consentire regolari voli di purificazione. Un occhio molto attento e vigile e non certamente “di riguardo” deve essere rivolto, nella nostra Calabria, all’eventuale presenza sul vassoio del fondo antivarroa di larvicine appena schiuse di Aethina tumida che le api, se invernate in maniera corretta, sono in grado di espellere dai favi, garantendo così l’integrità dei favi stessi e il benessere della

colonia, evitando la formazione di pericolosissimi focolai. In inverno l’alveare, per gestire e superare le difficoltà dei periodi freddi legate all’impossibilità di bottinamento a causa delle basse temperature e dell’assenza di fioriture, si dedica all’allevamento di “api invernali”. Infatti, non appena l’importazione di polline diminuisce, una certa quantità di api ad età di nutrice, però in esubero rispetto alla manodopera richiesta per allevare una sempre più ridotta quantità di covata, incomincia ad “oziare” e ad accumulare all’interno del loro corpo notevoli scorte proteiche in forma di vitellogenina, assumendo così le caratteristiche di api invernali, con la particolarità di vivere svariati mesi. La giovane ape destinata a una lunga vita, per poter accumulare vitellogenina nell’emolinfa, non deve avere contatti con i feromoni della covata che la indurrebbero a trasformare tale proteina

in pappa reale, fino all’esaurimento della stessa al termine del periodo deputato al compito di nutrice. È bene altresì sottolineare come l’esaurimento della vitellogenina sia la precondizione essenziale affinché l’ape diventi poi bottinatrice; poiché a fine inverno - inizio primavera giungono le api invernali caratterizzate da un più alto stoccaggio di vitellogenina nella loro emolinfa, assume notevole importanza una buona e varia disponibilità proteica sotto forma di polline in autunno. Nella trepida e fiduciosa attesa che la natura e le api comincino a risvegliarsi e non tardino ad arrivare i mesi di lavoro avvincente, come Apicoltori, dobbiamo essere sempre più coscienziosi della necessità di operare in maniera diligente, non solo nel rispetto delle nostre amate api ma anche dell’ambiente nella sua interezza. Santo Panzera


AGENDA LAVORI. ISOLE

SERVONO API GIOVANI

BLOCCO DI COVATA SPONTANEO IN SICILIA NONOSTANTE LE PIOGGE ABBONDANTI di Vincenzo Stampa

SCELTE OBBLIGATE IN BASE ALL’ORIENTAMENTO

Foto Vincenzo Stampa

AZIENDALE

C

ontrariamente allo storico, già da novembre, in questo areale (Sicilia, fascia costiera meridionale) gli alveari sono spontaneamente in blocco di covata. Le piogge autunnali ci sono state e si sono registrate queste medie termiche: • ottobre T min 16,7 °C, T max 23,7 °C; • novembre T min 13 °C, T max 20,3 °C, di conseguenza alcune piante si comportano come ad inizio di primavera, (nelle foto di queste pagine

la vite e l’ulivo in fase vegetativa), mentre le piante erbacee stagionali, sebbene fiorite, sono improduttive, per cui le api non raccolgono e da qui il blocco di covata. I “comportamenti” incoerenti delle piante sono di difficile interpretazione. Le api invece sono sempre coerenti! Certamente l’inverno arriverà, magari slittato in avanti come si è verificato nell’ultimo decennio, questo in prospettiva pone dei problemi anche in funzione del progetto aziendale dell’apicoltore. In ogni caso la mancanza/carenza di deposizione autunnale comporta un invecchiamento della popolazione per cui in prospettiva, stando così le cose, ci dobbiamo aspettare uno spopolamento primaverile; infatti, sotto l’impulso dei primi raccolti, le bottinatrici più anziane avranno una vita molto breve. Diventa quindi fondamentale, prima dell’inverno, assicurare la presenza di api giovani. Però senza importazione/scorte di polline la covata non si sviluppa, si può sopperire a questa carenza con la fornitura di candito proteico, sempre che gli alveari abbiano scorte di miele sufficienti a sostenere il successivo sviluppo della covata. Ormai non sono più rimandabili 12/2018 | Apitalia | 27


AGENDA LAVORI. ISOLE tutte quelle operazioni che vanno sotto il nome di “invernamento” quali: restringimento del nido, pareggiamento o fornitura delle scorte, pareggiamento delle covate o stimolazione della deposizione. Molto dipende dall’obiettivo da raggiungere, determinante per il progetto di conduzione dell’apicoltore. L’apicoltore che punta principalmente sulla produzione di miele ha l’obiettivo immediato di assicurare agli alveari il superamento dell’inverno, mentre per l’incremento della popolazione, necessaria al raccolto, incomincerà a stimolare la deposizione, come di regola, 45/50 giorni prima della data presunta della fioritura da sfruttare.

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Diversa è la conduzione dell’apicoltore che punta alla fornitura di api per le colture protette, per questo obiettivo già è in tempo a intervenire: pareggiamento e nutrizione sono le azioni di routine insieme ad una stretta sorveglianza dell’andamento degli alveari. L’inverno è il periodo tipico dei lavori di magazzino: manutenzione

arnie e portasciami, trasformazione della cera in fogli, montaggio di telaini. Insomma è vero che nel lavoro dell’apicoltore non c’è soluzione di continuità, però un poco di relax almeno per le feste comandate non ce lo facciamo mancare. Auguri! Vincenzo Stampa






RICERCA

IL DNA AMBIENTALE

TRACCE INATTESE DALL’ANALISI DEL MIELE PER LO STUDIO DI COLTURE E INFESTANTI di Luca Fontanesi

GLI INSETTI CHE HANNO PRODOTTO MELATA LASCIANO UN’IMPRONTA

Ape su fiore di melo.

Il

miele è il principale prodotto dell’attività delle api e la prima fonte di reddito degli apicoltori. Oltre agli zuccheri che rappresentano i componenti principali del miele, in questo dolce alimento si trovano tanti altri composti che contribuiscono a determinarne le caratteristiche fisicochimiche. I nostri sensi tuttavia non permettono di catturare tutta la variabilità e l’eterogeneità che questi componenti attribuiscono al miele e che permettono di ottenere informazioni sulla qualità, l’origine e l’autenticità di questo prodotto. Ad esempio, l’analisi melissopalinologica permette di identificare l’origine botanica del miele grazie alla classificazione e alla conta al

microscopio dei pollini che derivano principalmente dall’attività bottinatrice delle api. L’origine botanica del miele può essere determinata anche grazie a metodologie innovative che analizzano il DNA vegetale che si può isolare dal polline presente nel miele (Utzeri et al., 2018a). Il DNA è costituito da quattro “mattoncini” che sono i nucleotidi (adenina, citosina, guanina e timina, indicati rispettivamente con le lettere A, C, G e T) posti in uno specifico ordine che costituisce la sequenza (cioè il modo in cui questi nucleotidi sono attaccati l’uno con l’altro) che è appunto unico per i diversi organismi e i diversi geni. Il DNA è quindi specifico per ciascuna specie vegetale e l’informazione che è contenuta nel DNA può essere ricavata utilizzando le nuove tecnologie di sequenziamento massivo del DNA (le così dette tecnologie di Next Generation Sequencing) di una porzione del DNA cloroplastico (il DNA presente negli organelli che contengono anche la clorofilla e presenti solo nelle piante). La grande mole di informazioni che può essere ottenuta viene poi interpretata grazie ad analisi bioinformatiche delle sequenze di DNA. Il DNA del polline però non è 12/2018 | Apitalia | 33


RICERCA

Figura 1 - Schema dei passaggi analitici per l’analisi del DNA con le tecnologie di Next Generation Sequencing per l’identificazione di tracce di insetti produttori di melata nel miele.

molto utile nel caso dei mieli di melata in quanto questi mieli ne contengono poco. Ed ecco che in questo caso il miele ci riserva delle sorprese inaspettate. Un recente studio pubblicato dall’Università di Bologna sulla rivista del gruppo Nature, Scientific Reports, ha messo in evidenza che nel miele è possibile ritrovare tracce di DNA degli insetti che hanno prodotto la melata che è stata utilizzata dalle api per poi produrre quel miele (Utzeri et al., 2018b). Queste tracce fanno parte del così detto DNA ambientale (in inglese: environmental DNA oppure eDNA) che può essere recuperato dal miele utilizzando specifiche tecniche di analisi del DNA. La procedura è in parte simile alla procedura che permette di analizzare il DNA vegetale dal 34 | Apitalia | 12/2018

miele ma in questo caso si recupera l’informazione di una parte del DNA mitocondriale degli insetti (Figura 1). Tutto il DNA presente nel miele viene isolato ed utilizzato per amplificare con la tecnica polymerase chain reaction (PCR) una piccola parte del DNA mitocondriale (cioè il gene COI) degli insetti con l’accorgimento di avere l’amplificazione preminente del DNA degli afidi e di metcalfa, cioè dei principali insetti produttori di melata. Il DNA amplificato viene successivamente sequenziato con le tecniche di Next Generation Sequencing ottenendo centinaia di migliaia di corte sequenze di DNA la cui analisi bioinformatica che confronta le sequenze con una banca dati costruita ad hoc permette di trovare la firma

degli insetti produttori di melata. Ecco qui di seguito alcuni esempi dell’efficacia di questo studio. Nel miele di melata di abete bianco, il DNA di afidi più presente è risultato quello dell’afide Cinara pectinatae, che appunto svolge il suo ciclo prevalentemente sull’abete bianco e produce melata su questa gimnosperma. Quindi, l’autenticazione di questo miele di melata deriva non dal polline di abete che è presente nel miele in bassissime quantità ma dal DNA di un insetto specifico dell’abete bianco da cui deriva la melata. Però il dato più interessante ottenuto da questo studio è risultato dal fatto che non solo i mieli di melata contengono il DNA di afidi ma tutti i mieli contengono questa informazione. Il DNA di insetti produttori di melata si


Figura 2 - Distribuzione delle principali tracce di insetti produttori di melata in due mieli. In blu è rappresentata la frazione attribuibile a metcalfa. In arancione, è riportata la frazione attribuibile ad altri insetti la cui presenza relativa è raffigurata nel grafico a barre.

ritrova sempre in tutti i mieli e questo significa che la melata viene sempre utilizzata dalle api anche se vi sono in zona importanti fioriture nettarifere. Le tracce più frequentemente identificate nella maggior parte dei mieli derivano tuttavia da Metcalfa pruinosa. Altre tracce sono più specifiche degli insetti che svolgono il proprio ciclo vitale sulla specie botanica che determina l’origine principale

del miele. Ad esempio, nel miele di fiori di melo, i dati di sequenza del DNA hanno messo in evidenza che l’afide che ha lasciato le tracce più importanti era Rhopalosiphum insertum, detto anche afide verde migrante del melo, che svolge buona parte del suo ciclo vitale sul melo (Figura 2). Le informazioni che si possono ricavare dal miele grazie al DNA ambientale che deriva dagli insetti

BIBLIOGRAFIA Utzeri V.J., Ribani A., Schiavo G., Bertolini F., Bovo S., Fontanesi L. (2018) Application of next generation semiconductor based sequencing to detect the botanical composition of monofloral, polyfloral and honeydew honey. Food Control 86, 342-349. https://doi.org/10.1016%2Fj. foodcont.2017.11.033 • Utzeri V.J., Schiavo G., Ribani A., Tinarelli S., Bertolini F., Bovo S., Fontanesi L.(2018b) Entomological signatures in honey: an environmental DNA metabarcoding approach can disclose information on plant-sucking insects in agricultural and forest landscapes. Scientific Reports 8, 9996. https://www.nature.com/articles/s41598-018-27933-w

produttori di melata apre notevoli prospettive e conferma il fatto che le api sono un importante strumento di monitoraggio ambientale. Grazie alle nuove tecnologie di analisi del DNA, le api e i loro prodotti possono fornire informazioni utili per avere un quadro inaspettato dell’entomofauna infestante negli ambienti agrari e forestali. Luca Fontanesi Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari, Università di Bologna Titolo originale del lavoro “Nel miele tracce inattese per lo studio degli insetti infestanti le colture agrarie grazie all’analisi del DNA ambientale”

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VARROA

MISURARE LA SANITÀ DEI NOSTRI ALVEARI

ANCHE L’APICOLTORE POCO ESPERTO PUÒ VERIFICARE IL LIVELLO DI INFESTAZIONE di Giulio Loglio

ZUCCHERO A VELO: COME SEMPLIFICARE IL CONTEGGIO DELLE VARROE

V

arroa destructor è un acaro originario dell’estremo oriente che, dall’Apis cerana, suo ospite originario, si è adattato a vivere sull’Apis mellifera. Svolge la fase “foretica” sulle api adulte: di solito si posiziona fra gli sterniti addominali perforando con i cheliceri il tegumento per succhiare l’emolinfa. Per la fase “riproduttiva” penetra nelle cellette contenenti la covata delle operaie e dei fuchi prossime all’opercolatura: lì la femmina di varroa depone le uova dalle quali nascerà la sua progenie.

Foto 1 - Nelle famiglie molto parassitate è possibile rinvenire fra i detriti dei cassetti, posti sul fondo degli alveari, centinaia di varroe.

Sia la varroa madre che le sue figlie svolgono un’azione “spogliatrice” nutrendosi dell’emolinfa delle larve e delle pupe. Sia nella fase foretica che in quella riproduttiva la varroa provoca con i cheliceri dei traumi ai tegumenti delle larve, delle pupe e delle api adulte infettando le ferite e trasmettendo virus e batteri. L’azione pungente e succhiante sulla covata e la contestuale trasmissione di virus causa la nascita di api debilitate, sottopeso, con un corpo grasso ridotto, con evidenti malformazioni (ali deformi) che hanno un’aspettativa di vita limitata. Il “fattore riproduttivo” della varroa è circa di 1,35 nella covata di operaia e di 2,5 nella covata maschile. Questo significa che in un alveare, dove è costantemente presente covata, il numero delle varroe tende a raddoppiare ogni mese se non vengono adottate tecniche apistiche o trattamenti acaricidi. In primavera alcune centinaia di varroe, sopravvissute a trattamenti acaricidi autunnali poco efficaci o a reinfestazione (dovuta al saccheggio di alveari molto parassitati, alla 12/2018 | Apitalia | 37


VARROA deriva, all’introduzione negli alveari di favi con covata opercolata parassitata) possono dare origine a migliaia di individui al termine della stagione estiva. L’apicoltore, nel periodo estivo, spesso è tratto in inganno dalla moltitudine di api che popolano i suoi alveari: una situazione che lo induce a posticipare i trattamenti acaricidi nella convinzione che le famiglie siano poco parassitate. Una scelta poco avveduta che conduce al collasso gli alveari nel periodo autunno/invernale: una situazione che in particolare colpisce le famiglie che alcuni mesi prima erano le più belle e le più popolate. Le api vecchie muoiono e vengono sostituite da api sfarfallate da una covata opercolata notevolmente parassitata: api giovani debilitate che non sono in grado di svolgere i lavori di casa. Api che avendo un’aspettativa di vita più breve condurranno l’alveare ad un progressivo spopolamento che non permetterà alla colonia di superare i rigori dell’inverno. Per ora la sopravvivenza degli alveari, in attesa che vengano selezionate api tolleranti alla varroa, è legata all’adozione di particolari tecniche apistiche ed alla somministrazione

Foto 2 - Dopo aver disopercolato una porzione di favo è possibile estrarre delicatamente con una pinzetta larve e pupe per calcolare la % di celle parassitate dalle varroe.

di prodotti acaricidi. Ma non sempre le tecniche apistiche ed i trattamenti acaricidi, anche se eseguiti correttamente, garantiscono risultati certi. Esistono situazioni che, a seconda del prodotto impiegato, possono ridurne l’efficacia quali: • la comparsa di farmaco resistenza; • la reinfestazione; • errori nella preparazione, nella conservazione e nella somministrazione del farmaco acaricida; • le condizioni climatiche non idonee (ad esempio la temperatura è fondamentale per i farmaci evaporanti mentre l’umidità ambientale lo è per l’acido ossalico); Per evitare nel periodo autunno/ invernale di assistere allo spopolamento ed al collasso delle colonie di api è importante monitorare, durante l’anno, il livello di infestazione di varroa e verificare la validità delle tecniche apistiche adottate e l’efficacia

dei prodotti acaricidi utilizzati. Esistono alcune metodiche impiegate dai ricercatori per stimare il livello di infestazione della varroa e tutte si basano sul conteggio del numero delle varroe: • che si raccolgono sul fondo degli alveari per caduta naturale (Foto 1); • raccolte da un campione di api dopo che queste sono state uccise e lavate con benzina o alcool. • che si rilevano in celle opercolate dopo aver estratto pupe e larve (Foto 2). • che si staccano da un campione di api impolverate con zucchero a velo. La varroa non può essere eradicata e l’apicoltore può solo controllare il livello di infestazione in modo da assicurare agli alveari una regolare stagione produttiva e la loro sopravvivenza nel periodo invernale. È per questo che gli apicoltori devono disporre di metodiche in gra-

Foto 3A (sinistra) - distribuzione manuale della farina di frumento. Foto 3B (centro) - Pulizia delle stecche portafavo. Foto 3A (sinistra) - Verifica del numero di varroe cadute nel cassetto assieme alla farina di frumento.

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do di stimare nel corso dell’anno il numero di varroe presenti sulle api pur sapendo che tutte le tecniche permettono solo una “stima approssimativa” perché il dato reale è soggetto a numerose variabili. Già alla fine degli anni ‘80 i ricercatori italiani Loglio e Pinessi avevano impiegato la farina di frumento, come sostanza polverulenta, per effettuare la lotta ecologica contro la varroa e per valutare i livelli di infestazione da varroa. La farina veniva distribuita con le mani sopra le stecche porta favi e fatta cadere fra i favi utilizzando una spazzola in modo da imbrattare le api (Foto 3-4-5). Nel volgere di una decina di minuti era possibile riscontrare fra la fari-

na, caduta sul fondo degli alveari, dall’8 al 20% delle varroe presenti in fase foretica sulle api. Alla fine degli anni ‘90 i due ricercatori hanno deciso di impiegare lo zucchero a velo al posto della farina di frumento: entrambe le sostanze polverulenti avevano dimostrato la stessa efficacia ma il trattamento con farina di frumento costringeva le api a ripulire i favi e a portare all’esterno dell’alveare il materiale raccolto. Lo zucchero a velo distribuito fra i favi non ha alcuna azione sulle varroe localizzate fra gli sterniti. Causa invece il distacco e la caduta delle varroe localizzate sul dorso delle api in seguito ai movimenti di pulizia (grooming e allo-grooming) indotti sulle api

dalla sostanza polverulenta. L’impiego di un soffiatore migliora l’azione abbattente dello zucchero a velo soprattutto perché aumenta l’agitazione fra le api favorendo il distacco delle varroe e la loro caduta sul fondo dell’alveare. Infatti, come dimostrato anni dopo da altri ricercatori, lo scuotimento delle api impolverate provoca il distacco delle varroe che è direttamente proporzionale al tempo e all’intensità dello scuotimento. Anche l’aumento dello spazio fra i favi incrementa la % di caduta delle varroe imbrattate di zucchero a velo. È in base a questo concetto che deve essere inquadrato quanto proposto dall’apicoltore Mussi: più spazio c’è fra i favi e meno possibilità hanno le

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VARROA

Foto 4A - Dal nido di covata si preleva un favo esterno e lo si scuote per far cadere le api su un foglio di platica liscio. Poi si ripiega e si solleva il foglio di plastica in modo da far scivolare le api in un flacone da 120 ml = circa 50 gr di api = 500 api).

varroe di trovare un appiglio. Non si conoscono i meccanismi d’azione delle sostanze polverulenti ma si ipotizza che agiscano impedendo alle varroe di rimanere aggrappate alle api stimolando il grooming. Inoltre lo zucchero a velo, per la sua granulometria, non risulta essere dannoso per le api in quanto le particelle non penetrano nelle trachee e lo sviluppo delle colonie non subisce alterazioni [16]. Alcuni ricercatori, dopo aver verificato che lo zucchero a velo, spolverato in abbondanza su un campione di api è in grado di causare il distacco di oltre il 90% delle varroe [14 e 17] hanno messo a punto una metodica detta “metodo tedesco o dello zucchero a velo (ZAV)” che

permette di stimare in modo approssimativo la % di varroe presenti in una colonia di api: questa metodica consiste nel contare le varroe che si staccano da un campione noto di api dopo che queste sono state imbrattare con zucchero a velo. Il “metodo tedesco” si è particolarmente diffuso fra gli apicoltori perché, rispetto alle altre tecniche, comporta minor impegno e per-

dita di tempo. Il metodo è stato descritto in modo esauriente, con una serie di fotografie (Foto 6-7-89-10-11), da Paolo Fontana nella sua presentazione “Il controllo della Varroa in arnie top bar”. Dopo aver contato le varroe è possibile calcolare il livello di infestazione. La tabella relativa al metodo tedesco permette di stimare, in funzione del periodo stagionale, il livello di rischio di un alveare in base al

METODO TEDESCO: CONTROLLO SU 500 API

LUGLIO

AGOSTO

SETTEMBRE

Famiglia che non corre rischi

<5

< 10

< 15

Famiglia a rischio moderato che necessita di trattamento

5 - 25

5 - 25

5 - 25

Famiglia a rischio elevato che necessita di un trattamento immediato

> 25

> 25

> 25

Foto 4C - Si aggiungono 35 gr di zucchero a velo attraverso la rete e si rimescolano api e zucchero per 3 minuti.

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Foto 4B - Si versano le api in un barattolo da 750 ml con fondo in rete che viene chiuso con un coperchio

Foto 4D - Si scuote energeticamente il barattolo contenente api e zucchero sopra un colino sottile per 1 minuto.


Foto 4E - Si rimettono subito le api nella colonia.

Foto 4F - Si versa lo zucchero a velo del colino in una bacinella contenente acqua. Lo zucchero si scioglie mentre le varroe galleggiano sulla superficie dell’acqua.

numero di varroe che si staccano glio di plastica, un flacone da 120 da circa 500 api. ml, un barattolo da 750 ml con tappo in rete, un colino sottile e SCOPI DELLA RICERCA una vaschetta di acqua). Anche se fra i vari metodi utiliz- L’autore di questo lavoro, pur conzabili per stimare il livello di in- dividendo e riconoscendo alla mefestazione da varroa quello tede- todica tedesca una sua validità, ha sco sembra essere il più semplice, ideato il “Barattolino Loglio”, uno in campo risulta laborioso e poco strumento di lavoro che, evitando pratico perché richiede l’impiego l’impiego di numerosa attrezzadi numerosa attrezzature (un fo- ture, agevola e facilita l’esecuzio-

ne in apiario dei campionamenti. Un attrezzo versatile, pratico ed economico in grado di garantire a veterinari, ricercatori, tecnici apistici ed apicoltori di effettuare con estrema facilità il campionamento di un numero noto di api da utilizzare in apiario o da inviare in laboratorio, per: • stimare il livello di infestazione da varroa;

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VARROA

Foto 5A - Materiale necessario per assemblare il barattolino Loglio.

• individuare gli alveari infetti da peste americana ed europea; • ricercare virus, batteri, miceti e protozoi. Uno strumento che impiegato correttamente da personale competente può contribuire a riqualificare l’apicoltura dal punto di vista sanitario. L’utilizzo del “Barattolino Loglio” prevede l’impiego dello zucchero a velo ma si differenzia dal metodo tedesco perché prevede: • l’impiego di un solo contenitore e di un foglio di carta bianca; • un campione di sole 300 api; • il campionamento di api nutrici che, come si sa, presidiano so-

prattutto i favi centrali dell’alvea- • un sottotappo del diametro di 61 mm con il fondo in rete: le mare dove è presente la covata fresca (si deve evitare di catturare assieglie della rete devono essere di me alle api anche la regina). dimensioni tali da impedire il passaggio delle api; • un sottotappo del diametro di MATERIALI E MODALITÀ 61 mm; DI ASSEMBLAGGIO DEL BARATTOLINO • una pinzatrice; Il “Barattolino Loglio” può essere • Un tubo rigido del diametro di auto-costruito utilizzando mate60 mm, lungo circa 12 cm. riale facilmente reperibile in commercio. MODALITÀ DI IMPIEGO Per la sua costruzione servono Dal 2016 il “barattolino Loglio” viene impiegato regolarmente per (Foto 12): • un foglio rettangolare di PET lo svolgimento del progetto natrasparente, delle dimensioni di zionale di Buone Pratiche Apisti21 x 16 cm e dello spessore di che finanziato dal Ministero della Salute ed organizzato dall’IZSLT. 250-300 micron;

Foto 5C - Fissare con la pinzatrice le parti sovrapposte del foglio di PET che debordano dalle estremità dal tubo rigido. Dopo aver sfilato il tubo rigido si devono applicare altri due punti ai lembi sovrapposti del foglio di PET in modo da consolidare la formazione cilindrica.

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Foto 5B - Avvolgere il lato più lungo del foglio di PET attorno al tubo rigido in modo da far sovrapporre i due lembi.

Foto 5D - Chiudere una estremità del cilindro con un sottotappo e l’altra estremità con il sottotappo dotato di rete. Il barattolino Loglio è pronto all’uso.


Foto 6A - Per raccogliere le api è sufficiente togliere il tappo in rete e strisciare il barattolino dall’alto verso il basso sulle api aggrappate al favo. Le api cadono nel barattolino.

Il suo utilizzo è illustrato dalla sequenza fotografica. VANTAGGI Il barattolino Loglio ha un’imboccatura flessibile che non schiaccia e danneggia le api. • l’imboccatura cilindrica, premuta delicatamente, assumere una forma ellissoidale che permette di catturare molte più api ad ogni passaggio • l’operatore può verificare di aver campionato circa 300 api adottando 2 differenti modalità: - valutando il volume occupato dagli insetti. 300 api occupano un volume di circa 100 ml. che corrisponde a un’altezza di 3,5 cm di una massa di api raccolte

Foto 6B - Attraverso la rete del sottotappo si devono far cadere sulle api 25 gr di zucchero a velo.

sul fondo del barattolino che ha un diametro di 6 cm. Per far cadere e raccogliere sul fondo del barattolino tutte le api che, dopo il campionamento tendono ad arrampicarsi sulle pareti, è sufficiente battere delicatamente il barattolino dall’alto verso il basso su un piano rigido. Per facilitare il calcolo del volume è sufficiente tracciare sulla parete del barattolino una linea a circa 4,5 cm dal fondo del barattolino (perché il sottotappo ha un’altezza di 1 cm). - pesando le api con una bilancia di precisione: 30 gr di api corrispondono a circa 300 api perché in media un’ape ligustica pesa circa 100 mg.

Foto 6C - Al barattolo si deve far ruotare più volte (per circa 1 minuto) lungo il suo asse verticale in modo da imbrattare tutte le api.

SCOPI E FINALITÀ Il barattolino Loglio è uno strumento pratico, versatile e dai costi contenuti. Utilizzato direttamente in apiario permette di ottenere dati immediati per: • valutare il livello di infestazione da varroa; • stabilire il momento più opportuno per adottare tecniche apistiche o per effettuare trattamenti acaricidi prima di giungere ad un livello di infestazione di “non ritorno”; • verificare se itrattamenti acaricidi sono stati efficaci; • scoprire se la varroa ha iniziato a diventare resistente nei confronti di qualche acaricida; • accertare, se dopo aver eseguito correttamente gli interventi acaricidi, c’è stata della reinfestazione. La seguente tabella permette di stimare, in funzione del periodo stagionale, il livello di rischio di un alveare in base al numero di varroe che si staccano da circa 300 api. Ma sono soprattutto i veterinari, i ricercatori e i tecnici apistici che dall’uso del barattolino Loglio possono ottenere ottimi risultati dal punto di vista pratico e scientifico: dopo aver valutato il livello di infestazione di varroa queste figure professionali hanno la possi12/2018 | Apitalia | 43


VARROA

Foto 6D - Dopo aver appoggiato il barattolino su un piano per un paio di minuti lo si afferra e lo si scuote energicamente come un salino per far uscire e distribuire lo zucchero a velo su un foglio di carta bianca pulito. Le api restano confinate nel barattolino e nonostante lo scuotimento non subiscono traumi. Le varroe appaiono come punti scuri fra lo zucchero a velo.

bilità di far svolgere sul materiale campionato una serie di analisi di laboratorio indispensabili per poter giungere a diagnosi corrette. Spiace constatare come spesso alcuni operatori del settore rifiutino di utilizzare i laboratori di analisi preferendo emettere diagnosi utilizzando esclusivamente i propri sensi: comportamenti che spesso

fanno prendere sonore “cantonate”. potrebbero avere le malattie in Lo zucchero a velo distribuito su incubazione. Si ricorda che per un foglio bianco pulito, per perpoter ottenere dati confrontabimettere il conteggio delle varroe, li a livello nazionale (numero di può essere raccolto in un contenispore/gr zucchero a velo) è fontore idoneo ed essere inviato ad un damentale che tutti gli operatolaboratorio per individuare attrari utilizzino la stessa quantità di verso gli esami colturali o la PCR: zucchero a velo (25 g) per impol• gli alveari infetti dalle pesti ameverare le 300 api. ricane Erik 1 ed Erik 2 o che • gli alveari infetti da peste europea. CONTROLLO SU 300 API Assieme allo zucchero a velo tutte LUGLIO AGOSTO SETTEMBRE CON IL BARATTOLINO LOGLIO o una parte delle api contenute nel Famiglia che non corre rischi <5 <5 <5 barattolino Loglio possono esseFamiglia a rischio moderato 5 - 10 5 - 12 5 - 15 re inviate al laboratorio di analisi, che necessita di trattamento vive, refrigerate o congelate per Famiglia a rischio elevato che > 10 > 12 > 15 valutare la presenza e la diffusione necessita di un trattamento immediato di malattie batteriche, virali, micoFoto 6E - Se non servono per altre ricerche le api vanno immesse nel loro alveare. tiche e protozoarie. È importante ricordare che in caso di sospetto di malattie infettive, in particolare di peste americana, il barattolino Loglio deve essere sostituito per evitare la diffusione in alveari sani. L’impiego del barattolo monouso dovrebbe diventare una consuetudine soprattutto per veterinari e ricercatori soprattutto in occasione dell’esecuzione dei piani di bonifica per scongiurare false positività e cross contamination. 44 | Apitalia | 12/2018


L’impiego corretto del “barattolino Loglio” potrebbe contribuire al miglioramento dell’apicoltura nazionale dal punto di vista sanitario. Molti veterinari stanno frequentando corsi di specializzazione e perfezionamento in apicoltura che li porteranno ad operare sempre più frequentemente in apiario. Ci si augura che queste figure professionali imparino ad utilizzare i nuovi strumenti di lavoro e che nei casi dubbi facciano ricorso ai laboratori di analisi evitando di emettere diagnosi basandosi esclusivamente dei propri sensi (vista, tatto e odorato).

varroe di un alveare non è mai precisa ma può essere solo indicativa. Il vantaggio derivante dall’impiego del barattolino Loglio è quello di offrire anche all’apicoltore poco esperto la possibilità di poter stimare, in pochi minuti, il livello di infestazione dei suoi alveari permettendogli di scegliere il trattamento più opportuno o di adottare tecniche apistiche. Rispetto al metodo tedesco, che prevede di campionare le api che presidiano i favi laterali, quello proposto con l’impiego del barattolino Loglio prevede il campionamento dai favi centrali. Già alla fine degli anni ‘80 i ricercatori Loglio e CONCLUSIONI Pinessi avevano verificato che non Qualsiasi tecnica adottata per sti- tutte le api presenti in un alveare mare il livello di infestazione da sono parassitate allo stesso modo.

Spolverando con farina di frumento o zucchero a velo i favi coperti dalle api avevano evidenziato che la caduta di varroe era più elevata dai favi centrali dove erano presenti molte api nutrici mentre la caduta era più contenuta dalle api aggrappate ai favi con covata opercolata, dalle api che stavano costruendo fogli cerei o che presidiavano i favi contenenti miele. Si auspica che il barattolino Loglio trovi larga diffusione e che in futuro, prodotto in serie da una ditta che stampa materie plastiche, possa essere realizzato da sole due parti: un bicchiere cilindrico chiudibile con un tappo con fondo in rete. Giulio Loglio

12/2018 | Apitalia | 45


SALUTE

QUEL PREZIOSO LABORATORIO GALENICO

I PRODOTTI DELLE API HANNO EFFETTI NUTRITIVI E FISIOLOGICI SULLA SFERA UMANA di Maurizio Ghezzi

D

ieci anni fa o poco più, quando decisi “irresponsabilmente” di avventurarmi in questo splendido mondo dell’apicoltura, da bravo impreparato ed ingenuo neofita, non immaginavo nemmeno per sogno che curare delle api sarebbe significato anche produrre grandi quantità di miele. Il mio unico scopo e la mia unica vera passione in quel momento erano cercare di imparare ad allevare questi meravigliosi imenotteri per poter provare ad introdurmi nella loro vita e carpire i segreti di quella loro così perfetta e precisa organizzazione sociale capace di suscitare invidia perfino ai modelli più organizzati e più evoluti di partecipata democrazia. Iniziai, come quasi tutti i debuttanti, con due belle famiglie piazzate in giardino a poca distanza dai muri perimetrali della mia abitazione affinché potessi seguire al meglio la loro frenetica, ma affascinante attività. Passavo ore seduto ai bordi dell’alveare osservando stupito ed incuriosito il loro incessante andirivieni attraverso la por46 | Apitalia | 12/2018

ticina di volo e con il passare del tempo cresceva in me un senso di profondo rispetto e di riguardevole ammirazione nei confronti delle mie “amichette volanti”; stava per nascere inesorabilmente un’intrigante empatia. Da allievo diligente, che mette in pratica con determinazione gli insegnamenti ricevuti al corso di apicoltura, ai primi giorni di giugno con il crescere delle famiglie e con l’aumentare delle fioriture iniziai a

NELL’ALVEARE SI CONCENTRANO SOSTANZE BIOLOGICAMENTE ATTIVE


posizionare i primi melari sull’alveare, come mi era stato spiegato con meticolosa precisione, e man mano che un melario era quasi pieno subito provvedevo ad aggiungerne uno nuovo. Tutto preso da questa entusiasmante pratica di tecnica apistica, solo alla fine del periodo di raccolto, quando mi ritrovai con quattro melari pieni su ciascuna arnia, mi resi conto di aver prodotto una esagerata quantità di miele. Fui un po’ preso dallo “sconforto” il mio scopo iniziale non era produrre miele, ma allevare api! Cominciarono così a passarmi anche cattivi pensieri per la testa del tipo: che ne farò ora di tutto questo miele? Pensai così di chiamare Elio, il mio maestro di allora ed oggi carissimo e stimato amico, per chiedere consiglio, ma quando gli raccontai degli otto melari riempiti in quaranta giorni non volle crederci e venne di persona a capire ciò che avevo “combinato”. Solo vedendo il suo stupore, la sua felicità ed il suo entusiasmo di fronte a quei melari traboccanti di ottimo miele mi resi conto che io e le mie api avevamo fatto qualche cosa di

veramente grande. Mi guardò fisso negli occhi felice, ma ancora incredulo ed esclamò: “questa è la fortuna del principiante”! Aveva ragione in effetti un’altra stagione come quella non mi è mai più capitata, ma da allora imparai ad apprezzare il valore del miele quale preziosa ricompensa di cui ci omaggiano, con il loro encomiabile lavoro, le nostre api. Con gli anni però la mia “consapevolezza” di apicoltore, maturata sul campo, mi portò oltre alle api ed al miele aiutandomi a comprendere la bontà e l’importanza di tutti i prodotti “confezionati” all’interno dell’alveare così che oggi, con l’occhio clinico da medico quale sono, senza alcuna esitazione mi piace considerare l’alveare stesso come un eccellente e prezioso “laboratorio galenico” nel quale vengono prodotte gustose e meravigliose sostanze “biologicamente attive” con la caratteristica di essere oltre che fantastici alimenti anche componenti farmacologicamente interessanti. In questo periodo storico in cui la cultura del biologico la fa da pa-

drona nelle nostre scelte alimentari anche la medicina ha dovuto cercare di tenere il passo adeguandosi a questa cultura; così che, sempre più spesso, a noi medici vengono presentati dagli informatori farmaceutici “integratori alimentari” da prescrivere in sostituzione di veri e propri farmaci ed ai quali sono attribuiti effetti terapeutici miracolistici. Signori, ma quali migliori integratori alimentari possono esistere in commercio rispetto a quelli che con certosina dedizione confezionano le api nel loro prezioso laboratorio galenico? Dall’alveare escono integratori alimentari con indicazione a 360° per il mantenimento del benessere e di una perfetta omeostasi del nostro corpo. Vogliamo partire considerando il valore del miele? Le sue preziose proprietà nutrizionali sono ben conosciute fin dall’antichità, è un ottimo dolcificante che, nonostante sia ricchissimo in zuccheri, non induce ad un aumento di formazione della carie grazie al suo esiguo contenuto in saccarosio. In esso, oltre all’alta percentuale di zuccheri, sono anche contenuti acidi organi12/2018 | Apitalia | 47


SALUTE ci, minerali, peptidi, amminoacidi, enzimi, sostanze che già solo dopo 15 minuti dall’aver assaporato questo meraviglioso “nettare” sono circolanti, attraverso il flusso ematico, all’interno del nostro organismo, rendendo così il miele un prezioso “integratore” anche per chi svolge attività sportive. È nota a tutti inoltre la sua efficace azione terapeutica nei confronti delle infezioni virali delle prime vie respiratorie, molti sono gli sciroppi in commercio per la cura di queste patologie che contengono in associazione al farmaco anche del miele. Da anni in Francia ed in altri paesi Europei è un elemento utilizzato per uso topico per la cura ed il trattamento delle piaghe e delle ustioni, il suo alto contenuto in zuccheri ed in bioflavonoidi svolgono un’importante azione antisettica, mentre le proteine e le sostanze grasse che in esso si ritrovano, grazie alla loro specifica osmolarità, contribuiscono a mantenere asciutta la ferita facilitandone ed accelerandone la guarigione. Dal “laboratorio farmaceutico” delle api viene prodotta anche la propoli una resina che loro raccolgono dalle gemme di alcuni alberi e che poi rielaborano e completano impastandola con le sostanze prodotte dalla secrezione delle loro ghiandole mandibolari. In essa la ricerca è riuscita a dimostrare un contenuto di più di 300 sostanze chimiche differenti fra loro e di 50 diversi tipi di flavonoidi che la rendono un composto “farmacologicamente” attivo di riguardevole interesse. Il suo nome deriva dal 48 | Apitalia | 12/2018

greco “proprolis” difensore della città dall’azione dei nemici invasori, questo testimonia come fin dall’antichità era conosciuta quale sostanza in grado di difendere il nostro organismo dagli attacchi degli agenti patogeni provenienti dall’ambiente esterno. Ancor prima dei greci la propoli era utilizzata dagli antichi Egizi che la usavano per la conservazione, proprio grazie alla sua alta capacita antibatterica, delle loro mummie. È una sostanza chimica che svolge un’attività terapeutica che potremmo definire a “largo spettro” è infatti risultata avere proprietà

antibiotiche, antimicotiche, antivirali (ottima nel trattamento delle infezioni erpetiche), antinfiammatorie e antisettiche. È in grado di ridurre la pressione endo oculare contrastando il galucoma, stimola il sistema immunitario ed i processi di fagocitosi; questa sua specifica attività ha fatto sì che recentissimi studi stiano testando le sue capacità di azione anche come sostanza antitumorale. La sua formulazione in supposte è oggi già validamente impiegata per il trattamento e la cura dell’ipertrofia prostatica e delle prostatiti. Cosa dire poi della gelatina reale?


Forse il prodotto dell’alveare più enfatizzato grazie alle sue molte e comprovate virtù, è sicuramente un ottimo composto energetico in grado di coadiuvare l’organismo a superare periodi di stress, di stanchezza e di fatica sia fisica che mentale. È utile come stimolatore del sistema nervoso centrale, rafforza il sistema ematico ed immunitario determinando un aumento di eritrociti (globuli rossi) e linfociti (globuli bianchi deputati alla difesa dell’organismo). Migliora il trofismo cutaneo rendendo la pelle più idratata e più elastica mettendola in condizione di contrastare con più efficacia l’azione negativa derivante dalle radiazioni ionizzanti che la colpiscono durante l’esposizione ai raggi solari. La sua assunzione induce ad un aumento dell’appetito per ciò è anche utile per stimolare la crescita nei bambini. Ha un’azione vasodilatatrice e ciò le permette di aiutare a mantenere a “regime” la pressione ematica, inoltre la sua

attività disintossicante le conferisce altresì capacità epatoprotettrici. Aiuta il corretto sviluppo della flora batterica intestinale riuscendo a garantire un giusto benessere gastrointestinale e come quasi tutti i prodotti dell’alveare possiede una discreta attività antibatterica, antimicotica ed antivirale. Dal laboratorio “alveare” oltre ai prodotti già elencati viene “sfornato” anche il polline, una preziosa riserva proteica che già subito dopo la raccolta e durante il volo di ritorno verso l’alveare, subisce i primi trattamenti di elaborazione da parte dell’ape che lo impasta e lo amalgama a componenti unici presenti nel secreto della propria saliva che consentono di impreziosirne ulteriormente il suo valore nutrizionale. Possiede una grande ricchezza in sostanze nutritive quali aminoacidi, carboidrati, vitamine ed enzimi il che lo rende un eccellente prodotto energizzante in grado di rafforzare il sistema immunitario, abbas-

sare i livelli del colesterolo ridurre lo stress, arginare gli innalzamenti dei valori pressori, ridurre gli stati infiammatori a livello delle articolazioni, contrastare insonnia, disfunzioni ormonali, affaticamento ed invecchiamento cellulare. Di recente, si è ritagliato un suo importante spazio fra i diversi prodotti dell’alveare, anche il “pane d’ape”: un impasto di miele e polline saggiamente miscelato dalle api e successivamente sottoposto a processi fermentativi da parte di lieviti e lattobatteri che lo trasformano in un alimento molto nutriente ricco in vitamine del gruppo B, aminoacidi essenziali ed acidi grassi. Ad esso sono conferite attività che lo renderebbero in grado di coadiuvare i trattamenti per l’anemia, di contrastare l’astenia e di avere un’azione stimolante a livello del sistema nervoso centrale. Quando si parla d’alveare non si può non pensare alla cera, anch’essa preziosa sostanza secreta da apposite ghiandole presenti nelle api

40 gusti di caramelle al miele. 40 buonissimi motivi per contattarci.

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SALUTE che possiede peculiari capacità “curative”: favorisce la secrezione salivare e di succhi gastrici, contrasta e previene la formazione del tartaro; essendo ricca in vitamina A, che le conferisce una forte azione antiossidante, è utilizzata per arginare e trattare le ulcere gengivali; può essere miscelata ad altri prodotti, tipo olio d’oliva, per comporre ottimi unguenti dermotrofici utilizzabili con discreti risultati nelle affezioni cutanee come eczemi e/o malattia psoriasica. Infine ultimo, ma non per questo meno importante, ricordiamo il veleno d’api, forse fra tutti i prodotti dell’alveare quello che possiede una più spiccata attività farmacologica. Diverse sono le sue proprietà.

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È in grado di produrre vasodilatazione, stimola la frequenza cardiaca, possiede un’azione neurotossica, è in grado di inibire la proliferazione cellulare per questo motivo si sta studiando un suo possibile impiego nella terapia antitumorale, stimola l’ipofisi ed il sistema surrenalico inducendolo ad aumentare la produzione di steroidi endogeni, migliora il metabolismo del sistema nervoso sia centrale che periferico, produce effetto di anestetico locale, contrasta le malattie reumatiche, migliora il metabolismo osseo ed ha capacità antiaritmiche. Ebbene signori, dall’alveare escono una serie di prodotti eccezionali ricchi di sostanze preziose

aventi un ottimo effetto nutritivo e fisiologico, prodotti capaci di stimolare e favorire le più importanti funzioni del nostro organismo. Ora però, senza esagerare troppo, non enfatizziamoli oltre il dovuto, non mistifichiamoli, non corriamo il rischio di trasformare l’Italia in una repubblica fondata sulla propoli o sulla pappa reale; però nutriamoci di questi splendidi prodotti perché un loro uso regolare e corretto integra ed armonizza la nostra dieta regalandoci un prezioso stato fisico e mentale capace di garantire quel giusto grado di benessere necessario ad una corretta ed equilibrata omeostasi corporea. Maurizio Ghezzi



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IL MIELE È FONDAMENTALE, QUASI COME L’OLIO di Luisa Mosello

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a passione per i fumetti insieme alla voglia di rompere gli schemi con la fantasia Michele Fusco, chef rivoluzionario e ludico, la mette tutta nei suoi piatti. All’interno del ristorante “Giuda Ballerino!” nel Roof Restaurant dell’Hotel Bernini Bristol di Roma dove racconta la sua cucina giocosa e insieme rigorosa. Proprio come sono le api nella loro immagine di creatività mixata al senso di organizzazione. L’alveare e un grande ristorante: si possono paragonare? Perché no? Le api in fondo posso paragonarle ad una brigata di cucina, sono molto precise, laboriose, sistematiche, molto produttive. Ordine e precisione sono caratteristiche che le accomunano. Obiettivo di entrambi: fare un prodotto di alta qualità. Che rapporto c’è fra lo chef Michele Fusco e il miele? Il miele fa parte della mia vita quotidiana, a casa, in famiglia, lo mettiamo anche nel cappuccino. Ci piace molto. Ovviamente, 52 | Apitalia | 12/2018

questa passione si ritrova nella mia cucina: è presente nei piatti salati, negli agrodolci e nei cibi piccanti. Lo accosto sia alla carne che al pesce. Per me il miele è fondamentale quasi quanto l’olio. Uno tra i miei accostamenti preferiti è quello con lo zenzero che può cambiare completamente il sapore di una portata rendendola molto particolare. Trovo sia un

“MI PIACE MOLTO IL MIELE DI CASTAGNO DA ABBINARE AI PECORINI”


buon prodotto per la marinatura, ad esempio di un pesce come la ricciola: può cambiare davvero l’aspettativa e la prospettiva del palato. Il preferito? Ne ho provati moltissimi, ognuno con una sua qualità. Mi piace molto quello di castagno per i pecorini ed i formaggi in generale, quello di arancio che è molto profumato ed agrumato e pulisce i piatti grassi come il fegato. Racconti i suoi piatti dedicati a questo prezioso nettare della natura Alla ricciola marinata all’idromele con la misticanza selvatica con succo di melograno abbino il miele di eucalipto che è molto caratteristico ed allo stesso tempo leggero, ha un profumo molto forte ma che non copre il sapore delicato del pesce e del melograno. Invece nel Petto d’anatra con

aceto di lampone, miele, zucca grigliata e cicorietta uso un miele d’acacia perché ho bisogno di tanta dolcezza per equilibrare il piatto togliendo il grasso dell’anatra e l’amaro della cicoria. Un’idea per le feste?

Dolcezza di scampo natalizio al miele d’arancio. Ingredienti: scampo sia crudo marinato che fritto, zenzero e miele di acacia. E poi animelle glassate nel fondo di agnello e miele, misticanza e melograno.

PETTO D’ANATRA AL MIELE •4 petti d’anatra •200 gr di zucca mantovana •200 gr cicorietta selvatica •30 gr miele di acacia •30 gr di aceto •burro, sale, pepe, aglio in camicia, alloro, rosmarino e timo Cuocere il petto d’anatra in un padella con poco olio, lentamente, dalla parte della pelle per renderlo croccante e fargli perdere tutto l’eccesso di grasso. Completare con una noce di burro, sale, pepe, alloro, rosmarino, timo e aglio. Sfumare con il miele di acacia e un po’ di aceto di lampone. Grigliare dei quadrati di zucca, scottare la cicoria e saltarla in padella con aglio e peperoncino. Per la salsa verde fare un fondo di aglio, alloro e peperoncino, scottare la cicorietta, aggiungere il brodo vegetale e il miele millefiori e frullare il tutto. Guarnire il piatto con perle di miele di acacia.

Luisa Mosello 12/2018 | Apitalia | 53


FLORA APISTICA

L’ATLANTE DEI MIELI UNIFLORALI DEL MONDO

NOVITÀ EDITORIALE DI PROSSIMA USCITA L’AUTORE ANTICIPA IL PROGETTO DELL’OPERA di Giancarlo Ricciardelli D’Albore

Il

titolo, giustamente, è in lingua inglese “Atlas of world unifloral honeys”, perché si tratta di un’opera che va a completare una casella mancante nella ricca bibliografia specialistica internazionale: un atlante dei mieli uniflorali del mondo. Il volume, di prossima pubblicazione, era stato programmato non meno di 40 anni addietro. Gli specialisti del settore, a cui ho dedicato doverosamente il mio lavoro, per la verità avevano progettato anche un testo sul solo polline, con la descrizione e foto di almeno 1000 pollini provenienti da ogni parte del mondo; si pensava, allora, ad un testo sui mieli uniflorali, inizialmente intitolato “Piante mellifere europee”; poi interrotto. Al primo collaborai con 100 descrizioni, ma non si andò oltre; il secondo ebbe l’avvio con alcuni articoli a firma di J. Louveaux e di A. Maurizio, Autori prestigiosi. Il motivo principale di questi insuccessi fu dovuto principalmente al fatto che gli specialisti erano troppo impegnati, compreso me, in numerose 54 | Apitalia | 12/2018

altre ricerche e non ebbero il tempo da dedicare a lavori più corposi. Il primo progetto perciò non ebbe seguito; solo negli anni ’90 scrissi un trattato sulla melissopalinologia del Mediterraneo, che fu premiato al Congresso Internazionale di Apimondia a Vancouver, con una medaglia d’argento. Andato in pensione nel 2006, col tempo libero che ho avuto, ho ripreso il vecchio progetto e mi sono cimentato sul presente lavoro, che ho portato a termine ormai un anno fa. Il lavoro è stato concepito in inglese, lingua ormai alla portata pressoché di tutti ma anche la lingua nella quale gli addetti ai lavori, studiosi del miele e melissopalinologi in particolare, troveranno più congeniale la consultazione. Il trattato, provvisto di una introduzione breve ed essenziale, volta a spiegare come sono organizzate le schede dei mieli uniflorali,

COSA LE API PRODUCONO SUL PIANETA


termina con un invito ai giovani ricercatori (e oggi sono in tanti e non come allora che erano validissimi, ma pochi) a continuare e completare il mio lavoro, originale ma certamente non esaustivo. È così, tuttavia, che sono riuscito a descrivere ben 310 mieli uniflorali (di nettare e di melata) da me conosciuti durante un’intera e lunga carriera universitaria. I mieli provengono dall’Italia, dall’Europa e da tutti gli altri Continenti che ho visitato nel corso di una vita e di un’attenzione sempre concentrata su questo particolare oggetto del mio interesse scientifico, professionale e personale. Le schede dei mieli di nettare sono organizzate secondo un criterio logico e si presentano in ordine alfabetico: le famiglie botaniche ed entro ciascuna di esse, sempre in ordine alfabetico, le specie da cui deriva il miele uniflorale. Vengono descritti il nome scienti-

fico della specie e, quando esiste, il nome volgare in inglese; altrimenti indichiamo il nome nella lingua del Paese in cui il miele viene prodotto. Seguono cenni di botanica, il periodo di fioritura e la distribuzione della specie sul Pianeta, ma anche l’importanza apistica, descritta come quantità di nettare per fiore e/o potenziale mellifero (Kg di miele/ha), la morfologia del polline della specie, l’analisi sensoriale del miele uniflorale e i riferimenti bibliografici pertinenti. Ogni scheda contiene delle foto (a colori quella del vasetto di miele; in bianco e nero quella del polline ingrandita a “1000 X”, arricchito di un ritaglio dei pollini del sedimento del miele ingrandita a “400 X”). Le foto sono prevalentemente dell’Autore, salvo alcuni casi quando di altri specialisti e i medesimi vengono citati nella scheda. Le schede dei mieli di melata, in parte diverse, citano anche il fito-

mizo responsabile della produzione di melata. Non tutte le schede sono complete al 100%; alcune voci attendono di essere completate. Il lavoro rappresenta un primo tentativo di allargare la conoscenza dei mieli uniflorali di tutto il mondo. Certamente il numero dei mieli uniflorali che si possono produrre è maggiore di quelli descritti. Pertanto, oltre alla novità dell’argomento così esteso, il mio lavoro rappresenta il punto di partenza per i ricercatori, che potranno arricchire il trattato di ulteriori informazioni e possibilmente, col tempo, completarlo. Chiude il trattato, che raggiungerà circa 300 pagine, una corposa bibliografia. Il volume può essere prenotato fin d’ora, senza impegno, alla FAI - Federazione Apicoltori Italiani. Giancarlo Ricciardelli D’Albore 12/2018 | Apitalia | 55


FLORA APISTICA. Scheda n. 7

I POLLINI DI EMERGENZA

FIORI UTILI PER LE API E PER GLI ALTRI APOIDEI NELL’ITALIA CENTRALE di Giancarlo Ricciardelli D’Albore

POLLINI DI FINE INVERNO - Cytisus scoparius (L.) Link. (Ginestra dei carbonai)

DESCRIZIONE GENERICA TEMPO DI FIORITURA POLLINE VALORE APISTICO VALORE PER ALTRI PRONUBI

ALTRI USI

BIBLIOGRAFIA

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Arbusto cerspuglioso alto fino a 1,50 m, distribuito nel sottobosco o ai margini del medesimo. Fiorisce alla fine dell’inverno. Le api raccolgono buone quantità di questo polline precoce e per un lungo periodo. Le pallottoline di polline sono colore mattone. Da 1 a 4: 3. Da 1 a 4: 2. Presenti anche i bombi. La pianta contiene sparteina e lupanina. I boccioli dei fiori sono commestibili, con cautela, sottaceto. La pianta è irritante per la bocca e lo stomaco. I fiori sono diuretici, lassativi, vasocostrittori ed elevano la pressione arteriosa. Anche i rametti sono diuretici e regolarizzano il ritmo cardiaco, dilatando le coronarie. Scoenfelder I. & P., 2012. Guida alle piante medicinali. Ed. Ricca, 188. Tosco U., 1989. Piante aromatiche e medicinali. Ed. Paoline. 227-228.


POLLINI DI FINE INVERNO - Daphne laureola L. (Thymelaeaceae) (Erba laurina)

DESCRIZIONE GENERICA TEMPO DI FIORITURA POLLINE

Perenne arbustiva alta fino a 1m, distribuita nel sottobosco montano. Fiorisce a marzo. È visitata dalle bottinatrici, che raccolgono soprattutto polline di emergenza. Anche dalle regine dei bombi. Le pallottoline di polline sono giallo chiaro-verdastro.

IMPORTANZA PER LE API

Da 1 a 4: 2.

IMPORTANZA ALTRI PRONUBI

Da 1 a 4: 1.

ALTRI USI

BIBLIOGRAFIA

Specie altamente velenosa usata tradizionalmente come sudorifera, purgativa e provocante il vomito. Da adoperare con molta cautela, essendo pianta pericolosa. Pomini L., 1990. Erboristeria italiana. Ed. Vitalità, 652.

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