Apitalia 3/2020

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Apitalia - Corso Vittorio Emanuele II, 101- 00186 - Roma - ITALY - UE - ISSN: 0391 - 5522 - ANNO XXXXV • n. 3 • Marzo 2020 •- 704 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) Art. 1 Comma 1 – Roma Aut. C/RM/18/2016

| Testata giornalistica fondata nel 1974 | Direttore Raffaele Cirone |

L’ANNO SENZA INVERNO





EDITORIALE

ETICHETTA “GREEN”

MISCELE DI MIELE PIÙ TRASPARENTI CON PAESE D’ORIGINE E PERCENTUALI

ANCHE L’ITALIA SOSTIENE LA PROPOSTA

Foto www.ilfoglio.it

La Ministra Teresa Bellanova

S

i produce meno, si importa di più, non si sa con precisione cosa compriamo e cosa mangiamo. Ecco perché apicoltori e consumatori europei chiedono etichette più chiare per il miele: la Direttiva europea (n. 2001/110/CE) attualmente in vigore, infatti, non dà sufficienti garanzie visto che consente ai confezionatori la possibilità di dire genericamente “miscela di miele originario e non originario dell’Unione europea”. Un’indicazione ambigua che, anzi, nasconde le più disparate origini geografiche e i più smaliziati trucchi commerciali: l’unico modo per sopravvivere in un mercato sempre più dipendente dall’estero. È per questa ragione che il Consiglio dei ministri agricoli europei ha di recente valutato la proposta sottoscritta da 20 Stati membri su 27 - di modificare la “Direttiva miele” rendendo obbligatoria l’indicazione del Paese d’origine e la percentuale dei mieli miscelati. Un atto di trasparenza sostenuto a gran voce da Italia, Slovenia, Portogallo, Croazia, Ungheria, Bulgaria, Spagna, Cipro, Repubblica Ceca, Malta, Svezia, Slovacchia, Germania, Francia, Lussemburgo, Polonia, Grecia, Austria, Danimarca, Estonia. Dobbiamo dire grazie ai governi di questi Paesi che, con la ministra Teresa Bellanova in testa, hanno dato spessore alla richiesta che ora transiterà sul tavolo del Commissario europeo per l’Agricoltura Janusz Wojciechowski e della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Loro per primi dovranno dimostrare se intendono o meno proteggere la biodiversità e l’apicoltura europea: perché ormai è chiaro che il futuro di questo patrimonio naturale passa anche da un’etichetta più trasparente del nostro miele. Raffaele Cirone

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SOMMARIO

Apitalia N. 704 | 3/2020 gli articoli 5 EDITORIALE Etichetta “green”

Raffaele Cirone

8 PRIMO PIANO Miele: è meglio consumarne meno

15 AGENDA LAVORI. NORD-EST Vassoi puliti: è ora di contare le varroe Giacomo Perretta

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Vincenzo Stampa

36 PROFESSIONE APICOLTORE Un apiario destinato a produrre celle reali Pantaleo Martella

12 AGENDA LAVORI. NORD-OVEST Si riparte in salita Alberto Guernier

18 AGENDA LAVORI. SUD Prudenza nel dare spazio

21 AGENDA LAVORI. ISOLE Niente inverno: siamo di nuovo in partita!

Santo Panzera

41 ATTUALITÀ Disastro Australia, apicoltura sfregiata

Matteo Giusti

46 RICERCA Ingegneria genetica contro la varroa

Claudia Garrido

49 BIOLOGIA Se la dieta probiotica sviluppa patogeni parassiti

Gianni Savorelli

54 FLORA APISTICA I pollini di emergenza

Giancarlo Ricciardelli D’Albore

lo speciale

UN PROMEMORIA PER LA RIPRESA PRIMAVERILE Massimiliano Fasoli


i nostri recapiti

i nostri riferimenti: per pagare La biodiversità del Crocus, riccamente rappresentata anche nella flora spontanea italiana, è all’origine del fascino che da questo fiore promana. Dall’Iliade di Omero fin ai giorni nostri esso è sinonimo della preziosa spezia dello zafferano e dal raro polline che attrae l’ape.

(Foto Giancarlo Martire)

hanno collaborato a questo numero

abbonamenti: quanto costano 1 anno (10 numeri carta) € 30,00 2 anni (20 numeri carta) € 54,00 Italia, una copia/arretrati € 5,00 Estero: varia per area geografica, richiedere preventivo

Alberto Guernier, Giacomo Perretta, Max Graziani (foto pag. 15), Fabrizio Piacentini (foto pag. 16, 20), Santo Panzera, Vincenzo Stampa, Salvatore Fronteddu (foto pag. 22), Massimiliano Fasoli, Dorina Vio (foto pag. 24), Luigi Chiatti (foto pag. 28), Damiano Tripodi (foto pag. 33), Stefano De Pascale, Matteo Giusti, Claudia Garrido, Gilles San Martin (foto pag. 47), Gianni Savorelli, Nick Pitsas - CSIRO (foto pag. 52), Giancarlo Ricciardelli D’Albore, Patrizia Milione, Alessandro Patierno.

marcatura dell’ape regina Secondo un codice standardizzato, le regine sono marcate con un colore (tabella a lato) per permettere all’apicoltore di riconoscerne l’anno di nascita

azzurro

bianco

giallo

rosso

verde

0o5

1o6

2o7

3o8

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(ultimo numero dell’anno di allevamento, esempio “2020”)

i nostri VALORI “Il mio non sol, ma l’altrui ben procuro” è il motto che accompagna le firme storiche dell’editoria apistica italiana da cui Apitalia trae origine.

Una Giuria internazionale ci ha premiati come miglior rivista di apicoltura, per i contenuti tecnico-scientifici e la qualità fotografica.

La moneta di Efeso, con l’ape come simbolo riconosciuto a livello internazionale già 500 anni prima di Cristo.

Abbiamo sottoscritto “Il Manifesto di Assisi”, per un’economia a misura d’uomo. Come apicoltori ci riconosciamo nel Tau.

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PRIMO PIANO

MIELE: È MEGLIO CONSUMARNE MENO

“PRODOTTO PRIVO DI VALORE DIETETICO” LO DICE IL RAPPORTO SULLA SANA ALIMENTAZIONE Nostro Servizio

N

el precedente numero di Apitalia avevamo anticipato i contenuti di questo rapporto dal CREA-Centro Ricerca Alimenti e Nutrizione che elabora annualmente le Linee Guida per una Sana Alimentazione. Ora presentiamo, nel loro dettaglio, quei passaggi nei quali gli Autori del rapporto hanno espresso un giudizio critico, talvolta spiccatamente negativo, sul miele e sulla necessità di limitarne i consumi. Le motivazioni vanno dalla prevenzione dell’obesità nei soggetti più giovani, alla riduzione dell’apporto zuccherino nei soggetti anziani. In questo rapporto il miele viene quasi sempre presentato come un prodotto sconsigliabile, dallo scarso o insignificante valore nutrizionale, privo di elementi utili per la nostra dieta, equivalente ad altri zuccheri. Un consumo voluttuario, insomma, una caloria “vuota che non apporta altri nutrienti importanti”. Nel rapporto, inoltre, del miele si dice chiaramente che “non ha un significato dietetico particolare” e che la sua assunzione “è una scelta di gusto e non di salute”. Come se non bastasse, si torna infine a descrivere la possibile presenza di spore di botulino nel miele e quindi la sua pericolosità per i neonati. Il miele, in conclusione, stando a questo rapporto non sarebbe un prodotto salutare e il suo consumo, come per tutti gli altri zuccheri, dovrebbe essere sempre moderato. La fondatezza di tali affermazioni - fortemente critiche - merita a questo punto di essere accertata da un’altra autorevole fonte scientifica. Gli apicoltori italiani, infatti, hanno il diritto di sapere se queste informazioni sono corrette e se, quindi, siano da smentire altrettanti autorevoli studi scientifici sul valore dieto-terapeutico del miele.

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Ciò premesso, l’indicazione di ridurre il quant zuccheri va letta itativo di con criterio e no n deve dare adi interpretazioni to alle talvolta fantasi ose che si leg media e che d gono sui efiniscono lo zu cchero “veleno La molecola del bianco”. saccarosio è id en tic a a te nella frutta e quella presennella verdura, e quindi non cert velenosa, ma la amente raccomandazio ne risponde a gione pratica: una rariducendo lo zu cchero e gli alim praticamente co en ti che ntengono quasi esclusivamente (caramelle, bev zu cc heri ande zucchera te, ghiaccioli, m duciamo le calo ie le ), ririe vuote, ossia quelle calorie ch apportano altri e non nutrienti import anti (fibra, vitam cio ecc.). In una in e, calpopolazione se mpre più seden sempre meno sp ta ria c’è azio per calorie vuote, che risch sommarsi alle g ia no di ià abbondanti ca lorie della giorn essendo vero ch ata. Pur e i risultati degli studi epidemiolo mostrano che l’i gici dincremento di zu ccheri aggiunti le cause del so è una tra vrappeso, men tre la loro riduz mina un calo p ione deteronderale signific ativo, l’effetto è semplicemente legato alla eccessiva erigiògsi introduzione di nti su ce C re iù p g ni li ca fic na lorie. a che non sono ioni internazio gli zuccheri di p sellaingara to dno en Le raccomandaz im er en sé nt ch co ss e a di re fan, ma il semplice me strategia fatto che introd librieeri, ri he cc zu ca scono, anche co di lo o uciamo più di quante ne bru nsum ciamo. a, di ridurre il co sia nei e, nd a ev sunzione caloric b lle a ti e iunti agli alimen ga, di cioè quelli agg razione casalin a p re p di e ch ionati, ono e di prodotti confez che lo conteng ti en lim a di ne zio te presenridurre l’utilizza hero naturalmen cc zu di o rt o p p utta e nei sucridurre anche l’a i, nei succhi di fr p p iro sc li g ne , te nel miele entrati. chi di frutta conc

Il messaggio è chiaro: il miele è come lo zucchero e quindi è meglio ridurne il consumo!

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PRIMO PIANO

Non è vero che il miele sia un prodotto salutare… 10 | Apitalia | 3/2020


one è in questa revisi ti en lim a di i p grup luttuari Oltre ai cinque degli alimenti vo o p p ru g il to ni defi lati e dolci stato inserito e no gli snack sa ra nt rie li ua q i lici), i dessert (Tabella 9.3), tra o zuccheri semp e/ le sa o e/ i ss lata (ricchi di gra iele e la marmel m il , ro he cc zu gio, lo , le be dolci al formag ire altri alimenti) lc o d d a er p ti a us ite gassate, (anche quando zuccherate, bib e nd a ev b le , ta e disidratata vande alcoliche la frutta essicca , ta ut fr di ri tta vate i succhi e i ne iroppata, conser sc o ita nd ca ta frut nde a base con zucchero, la cchero, le beva zu di a nt iu g g evande enerper mezzo dell’a to di frutta, le b us g l a e nd a ev to, le di frutta e le b ne e, come det a tis le e e in rv nde ne scelto getiche, le beva luttuario” è stato o “v o tiv et g g te. L’a i valori nucarni trasforma ur riconoscendo p e, ch tto fa il degli alimenti per sottolineare ortanti di molti p im li na o zi di nsitrizionali e traÈ bene ogna tuttavia co is b , o p p ru ch g e o quest l’anziano dedichi teica, l’elevato appartenentipaasti va sità energetmpo alla preparazione di ltamdpen ri eaco ro lo la le ti, prefe ppnd nico he nc a ntattul’u reoseco derare re semplici, senz eccederhe lvolta rare ta e ch e co ro n a co cc ndimenti ricch zu per contenuto di e il ifaintto grachsse,i o sale (s , le sa cucina, vu di o e/ d ) ale da rie aodteo da brodo e salse)un ità di nutriente (ctitaàlodi ndnt nosca e ausqaua o co p si ic co n no o le d le o quana ri, stato attu spezie e erbe ala . Il consutehe lutic rosa alcuni, allo m a er p i p colorarees ch er ris insap a i gara n . Trpaong ssi da condi im ersi non orire e daenrittoen(o consumo bchurerono nd ui q è lio o p , p margarina, ) ru reue fest riroe gl’olio extrave enti dipq rg in mo di alim . e di ne o o zi liv a. È importante, inoltre, lim sarena alimenta il consumo di zu rio per unaita necessam cc he ri (z ucchero, marellata, miele, ca ramelle, dolci, bevande zucche Inoltre, la corret rate). ta alimentazione deve essere ass anche ad una ociata corretta attività motoria, adegua possibilità fisiche ta alle e allo stato di sa lute.

Miele? Evitare un consumo voluttuario!

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AGENDA LAVORI. NORD-OVEST

SI RIPARTE IN SALITA

PREVISIONI SEMPRE PIÙ DIFFICILI, MA È PRIORITARIO IL REINTEGRO DELLE PERDITE di Alberto Guernier

È

un difficile compito quello che si chiede oggi a ciascuno di noi nel bisogno di fare una previsione per il futuro. Ma è in fondo quello che, da apicoltori, chiediamo sempre a noi stessi. È la natura delle cose che ci impone questo: immaginare cosa succederà e come dovremo intervenire una volta diradato il primo sbuffo di fumo. Pensare, tentare di spiegare come comportarsi domani e quali pratiche apistiche seguire, dopo tanti anni di esperienza, ci porta ad avere

PREVENIRE SCIAMATURA E VARROASI

Foto Alberto Guernier

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ben chiara almeno una cosa: l’apicoltura è sì in continua evoluzione ma allo stesso modo è sempre alla ricerca di quelle sicurezze che sono proprie del passato. Ed è questa miscela che ci può guidare, in questi anni che, possiamo dirlo senza paura di smentita, si presentano come una novità. Siamo in Piemonte, in una zona dove storicamente le api regine a fine gennaio deponevano piccole rose di covata, allargandole molto lentamente per tutto il mese di febbraio; mentre ad oggi (inizio


febbraio mentre scrivo), aprendo un’arnia a caso possiamo stare certi di trovare 3-4 favi di covata estesa, dalle dimensioni quindi, prettamente primaverili. L’assenza di temperature rigide durante il giorno e di piccoli e rari abbassamenti sotto lo zero termico, solo la notte, ha quindi permesso alle api di estendere la covata. Nel procedere di questo passo, giungeremo presumibilmente ad uno sviluppo precoce delle famiglie con annessi e connessi: eccessi di varroa e di sciamature. Il consumo delle scorte è stato tutto sommato nella media; sono quindi state praticamente inesistenti le perdite o i patimenti dovuti alla scarsità di cibo; va detto anche che

le fioriture tipiche del fine inverno, ci sono state tutte: nocciolo (Salix caprea) fra le tante. Di contro, le perdite per morie invernali sono tornate ad essere quelle delle grandi epidemie: di nosema o di virosi da varroa negli anni peggiori. Perdite che, in moltissimi casi, sono giunte o hanno superato il 50%. Inutile piangere sul latte versato: se avessimo usato quel prodotto, quell’integratore... Ora ci sono due grandi problematiche che vanno affrontate, e che sono più importanti della classica domanda sul “quest’anno si farà l’acacia?”. Prima di tutto dobbiamo riuscire a recuperare, in tempi brevi, il gran

numero di favi e di alveari rimasti inermi sul campo, dopo una battaglia ormai continua ed estenuante. È necessario inoltre riportare ad un ragionevole numero gli alveari che originariamente componevano i nostri apiari. È un superlavoro quello che ci attende. Le strade perseguibili sono più d’una, a seconda delle possibilità economiche, della dimensione aziendale, della disponibilità di mano d’opera. Se ancora non è stato fatto, occorre dividere i favi che non sono stati saccheggiati e che contengono miele, separandoli da quelli ormai vuoti. Siccome è molto probabile che le perdite siano state causate anche e soprattutto dal nosema,

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AGENDA LAVO RI. NORD-OVEST questi favi vanno sottoposti a trattamenti sanificanti, possibilmente con i raggi Gamma. Stessa sorte, se non si decide per l’eliminazione, toccherà ai favi con covata residua morta; in questo caso è sempre meglio sforchettarla. Poniamo particolare attenzione, inoltre, a questi favi e verifichiamo che non si tratti anche di peste americana! I favi vuoti o saccheggiati possono, se sono ancora utilizzabili, essere lavati per immersione in acqua e candeggina; ciò per il tempo necessario affinché la soluzione logori tutto il materiale organico presente. I favi vanno poi risciacquati e dati alle api in tempi brevi, ad evitare che ammuffiscono: questo se si vuole evitare un ulteriore intervento di sterilizzazione. Dalle arnie va rimossa a suon di leva tutta la cera e la propoli, onde riuscire efficacemente a sanificarne le pareti con la fiamma blu, con particolare attenzione agli angoli fra le pareti. Nuovi nuclei, pacchi d’ape, possono rappresentare una rapida soluzione per ritornare in attività; ma è possibile in ogni caso, tornare a fare quello che già si faceva un tempo: la formazione dei nuclei primaverili. Questa scelta ci permetterà di contenere efficacemente la sciamatura, in modo razionale e sistematico, dandoci inoltre molto più tempo per creare vere e proprie famiglie, che si suppone saranno più forti contro i patogeni al prossimo invernamento. È doveroso dire che sono comunque situazioni emergenziali, che purtroppo si sono già viste in pas14 | Apitalia | 3/2020

sato. E siccome siamo ancora qui a fare gli apicoltori, è segno che siamo riusciti a superarle. Mettiamo comunque in programma di agire con risoluta tempestività, in estate, predisponendo un efficace e puntuale trattamento antivarroa. Le tecniche per fare queste operazioni sono tante ed ognuno adotta quella che più va incontro alle proprie esigenze; se abbiamo in azienda un numero sufficiente di cassettini in polistirolo, conviene utilizzare quelli, altrimenti possiamo stringere anche i nuovi nati, all’interno di arnie pulite, facendo però attenzione in questo caso che le porticine di ingresso siano in posizione invernale e che non ci siano all’interno inutili spazi vuoti da scaldare. Per ottenere questo effetto è possibile riempire gli spazi

vuoti con del materiale coibente: vanno molto bene a questo scopo le scatole di cartone reperibili gratuitamente nei supermercati, opportunamente ritagliate, formando dei pannelli della misura giusta che andranno posti subito dopo il diaframma e tolti mano a mano che la famiglia si andrà allargando. Poniamo particolare attenzione e cura nel fare i nuovi nuclei; evitiamo soprattutto di commettere l’errore (dovuto spesso alla fretta di moltiplicare) di partire da un numero di api troppo esiguo: corriamo il rischio che la tarma della cera si mangi tutto, perché capace di svilupparsi molto più velocemente delle api. Buon lavoro! Alberto Guernier


AGENDA LAVORI. NORD-EST

VASSOI PULITI: È ORA DI CONTARE LE VARROE

ATTENZIONE ALLE SCIAMATURE IN FIORITURA di Giacomo Perretta

FAMIGLIE PRONTE

Foto Max Graziani

AD ESPLODERE

A

nche la famiglia che fino a poco tempo fa ci ha fatto preoccupare e impensierire, all’improvviso esplode: gli alveari si riempiono di api in men che non si dica, viene quasi il dubbio che la regina deponga molte più uova di quelle che noi attribuiamo alla sua capacità. Queste famiglie a volte devono essere addirittura alleggerite dalla covata, generalmente mettendo i favi in eccesso in altre famiglie più deboli. È il momento di controllare, con

oculatezza, quale alveare portare in produzione; questo aspetto cambia da zona a zona e, soprattutto, dal tipo di raccolto che desideriamo fare: se puntassimo al tarassaco dovremmo mettere i melari a breve; se invece l’acacia è il nostro fine (nel nostro Nord-Est la stagione inizia fra aprile e maggio) dovremmo mantenere sotto controllo lo sviluppo affinché la famiglia non arrivi al raccolto con una sciamatura. Il nostro territorio (Veneto, ndR), ha caratteristiche molto particolari, con zone climaticamente molto differenti; nel caso del nettare più ricercato, l’acacia, abbiamo fioriture che possono variare e perdurare per oltre un mese, semplicemente spostandoci di poche decine di chilometri. Come abbiamo visto ci sono due indirizzi: quello di chi preferisce preparare lo sviluppo della famiglia per la fioritura primaverile (tarassaco o fruttiferi come i Prunus) echedeve inevitabilmente avere famiglie forti già in quel periodo; altro possibile indirizzo è quello di previlegiare l’acacia, miele più ricercato dal mercato e sicura fonte di reddito, che richiede però una conduzione molto più attenta. 3/2020 | Apitalia | 15


CLIMA INCOSTANTE Concentriamoci per il momento sullo sviluppo dell’alveare nel suo insieme e valutiamo in quanto tempo possiamo arrivare ad un numero sufficiente di bottinatrici per riempire il melario, evitando la sciamatura proprio a ridosso della fioritura. Per esperienza posso dire che nella nostra zona, tre telaini di covata opercolata alla fine di marzo possono essere un buon quantitativo, ovviamente questo deve essere valutato seguendo l’andamento dell’alveare e dell’azione climatica. Controllate costantemente perché è molto difficile valutare con metodi generici le temperature, le fioriture o le piogge, che non hanno ormai un andamento regolare come qualche anno fa. Serve quindi più prudenza e soprattutto più osservazione. PULIZIA, CONTROLLO E ALIMENTAZIONE Già dalle prime giornate più calde - e in marzo nel nostro Nord-Est ce ne sono - dovremo aprire gli alveari e fare scrupolosamente quei controlli che sono previsti da quelle che definiamo “buone pratiche apistiche”. Prima di procedere è opportuno fare una verifica al vassoio: questa operazione consiste nel controllare presenza di residui di cera, api morte o anche varroe, anche se devo onestamente convenire che è praticamente impossibile fare delle valutazioni sulla caduta di acari, a meno che non abbiate costantemente tenuto pulito i vassoi. Apriamo il coprifavo e valutiamo la consistenza della covata, evitando di tenerla troppo al di fuori dell’al16 | Apitalia | 3/2020

veare perché, sebbene le temperature siano sufficientemente alte per una visita, dobbiamo renderci conto che un colpo di vento può o potrebbe mettere in serio pericolo la covata. Verifichiamo, con occhio scrupoloso, che la covata sia uniformemente chiusa, dove sia posizionata e, soprattutto, che non vi siano segni di infezioni varie. Fatte tutte le verifiche del caso prenderemo in esame la possibilità di stringerla qualora ce ne fosse bisogno (nel caso di una famiglia debole) oppure di allargarla, con molta prudenza, qualora la famiglia fosse forte. Se abbiamo dei telaini di miele opercolato non proprio nuovo, il periodo tra febbraio e marzo è il momento giusto di metterlo a lato, dopo il diaframma, affinché le api possano ripulirlo, liberandoci così di un telaino vecchio che dovremo eliminare recuperando la cera, se ne vale la pena. “Stringere”, in caso di famiglie attive anche se non numerose, è una buona pratica, per il semplice motivo del mantenimento termico. Queste famiglie possono essere solo in ritardo e, se sono sane ma la regina ha deposto in modo irregolare o insufficiente, il fatto di

Foto Fabrizio Piacentini

AGENDA LAVORI. NORD-EST

stringerle sicuramente le stimolerà uguagliando le altre famiglie dell’apiario. Tutto ciò in condizioni meteorologiche ottimali. Nel caso in cui le temperature o le piogge avessero avversato le api, è necessario che l’apicoltore intervenga con un’alimentazione suppletiva, che manterrà le api in attività. Con cosa alimentare? Io sono convinto che il cibo migliore per le api resti sempre il miele. Abbiamo già detto che vedere la varroa in vassoi pieni di detriti è sicuramente complicato, specie volessimo trarne delle indicazioni. Allora cosa è necessario fare? Mantenere pulito il vassoio sottostante è già una buona pratica; ungerlo o ingrassarlo costituire una buona base di partenza: grazie a questi semplicissimi accorgimenti, è già possibile verificare il grado di infestazione contando le varroe cadute o morte in modo naturale. Per quanto sia complicato determinare la quantità di varroe cadute al fine di effettuare un pronto intervento, in linea di massima se troviamo ogni giorno sul vassoio 5 o più varroe, è necessario intervenire. Giacomo Perretta



AGENDA LAVORI. SUD

PRUDENTI NEL DARE SPAZIO

VANNO EVITATE LE PERDITE DI COVATA SCATENANO IL PROLIFERARE DI PATOGENI di Santo Panzera

N

el nostro Sud un inizio inverno alquanto mite e senza pioggia, non crea certo le premesse migliori: non per noi apicoltori, che aspettiamo speranzosi la nuova stagione apistica, come indispensabile momento di riscatto per i deludenti e scarsi risultati produttivi di quella appena trascorsa e, a dire il vero, non solo di quella. Staremo a vedere: forse i mesi successivi ci riserveranno delle gradite sorprese che raddrizzeranno la rotta e smentiranno

CELLE MASCHILI INDICE DI SVILUPPO

Foto bijen@wur

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queste premesse poco favorevoli e questi presagi infausti. Nei mesi precedenti avremo provveduto a rimuovere dagli apiari le famiglie morte nel corso della brutta stagione, allo scopo di evitare che eventuali problemi sanitari, circoscritti a singoli alveari, si espandessero a tutto l’apiario con il saccheggio; la parola d’ordine era “restringere senza pietà la camera di covata”, limitando lo spazio abitativo della colonia con i diaframmi, allo scopo di garantire un miglio-


re riscaldamento della covata e, in Calabria, anche una migliore difesa nei confronti dell’Aethina tumida (foto pagina precedente), in virtù di un’efficace difesa da parte delle api. In questo periodo invece le api entrano in fermento e noi apicoltori, facendo leva sulla nostra competenza ed esperienza, dovremo essere in grado di padroneggiare e guidare al meglio la sempre più veloce “macchina alveare”, evitando che vada fuori strada. Dobbiamo ritornare assiduamente ai nostri lavori in apiario ed adempiere, con la dovuta cura ed il necessario scrupolo, il programma di lavoro che ci siamo dati. Approfittando delle giornate soleggiate, senza vento e con temperatura superio-

re ai 15 °C, armati di affumicatore e leva, potremo recarci in apiario in quanto le api, essendo in piena attività, risultano più inclini ad accettare la nostra presenza. La prima cosa da fare è l’osservazione dei predellini di volo da cui, attraverso il più o meno frequente andirivieni di bottinatrici, possiamo operare una distinzione immediata tra famiglie forti e deboli. Un occhio di riguardo deve essere riservato al terreno circostante l’alveare, per notare l’eventuale presenza di api che camminano per terra o sui fili d’erba, tremolanti ed impossibilitate al volo, chiaro indice di infestazione da varroa. Mai abbassare la guardia contro questo parassita subdolo che “cova sotto la cova-

ta”; una sua presenza rilevante, sia a livello di singolo alveare che di intero apiario, potrebbe essere determinata da una notevole presenza di covata al momento degli interventi invernali. Le temperature miti di questo “non inverno” del nostro Sud, rendono poco efficaci gli interventi antivarroa, con conseguente elevata infestazione residua. Un numero elevato di varroe all’uscita dall’inverno, costituisce il presupposto per il tracollo delle famiglie nel periodo estivo; da queste situazioni poco piacevoli, in qualità di apicoltori saggi e coscienziosi, dobbiamo saper trarre gli opportuni insegnamenti per scegliere con cura il momento magico dell’intervento antivarroa.

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Altra operazione da fare, prima della visita vera e propria dell’alveare, consiste nell’estrarre ed ispezionare i vassoi del fondo antivarroa, svuotandoli dell’acqua piovana eventualmente depositatesi ed asportando i residui presenti, facendo attenzione, nelle aree infestate dall’Aethina tumida, all’eventuale presenza di larvicine di questo temibile coleottero in quanto, quando esse sono ancora di pochi millimetri, possono essere eliminate dalle api. Solo dopo questi “preliminari”, possiamo procedere con la visita interna dell’alveare, i cui scopi saranno quelli di verificare lo stato di salute e di crescita di ogni famiglia, controllando in particolare: • entità delle scorte alimentari data oltre che dai telaini più laterali anche dalle corone di miele dei favi di covata; in condizioni di scarsità bisognerà inserire qualche telaino con scorte conservato in magazzino dalla stagione precedente, operando la sua parziale disopercolazione, allo scopo di favorire l’immediato utilizzo da parte delle api oppure, in alternativa, prelevare favi di miele dalle famiglie che hanno consumato meno; • presenza e tipo di polline e nettare freschi; • estensione, compattezza e disposizione nei favi della covata, per determinare lo stato di efficienza della regina; in caso di regina scadente, per il momento bisogna accontentarsi, aspettando una buona presenza di fuchi per sostituirla. Non dimentichiamoci che la nostra Apis mellifera Li20 | Apitalia | 3/2020

gustica rappresenta un prezioso germoplasma da valorizzare, senza cedere alle sirene suadenti che decantano le “magnifiche sorti e progressive” legate a ibridi commerciali, in realtà vero e proprio materiale genetico scadente e deleterio; • popolosità della famiglia, con la necessità di una buona coerenza tra api adulte e covata deposta, ai fini della stabilità termica indispensabile per una buona qualità e quantità della nuova covata; essa è indice anche della percentuale di ricambio della popolazione di api, che è già avvenuta ed in stato avanzato a causa di questo caldo inizio inverno; I pezzi di cera, eventualmente tagliati per eliminare costruzioni anomale all’interno del nido, non devono assolutamente essere lasciati, spesso appallottolati, sopra il coprifavo, in quanto potrebbero essere attenzionate dall’Aethina tumida che, in completa assenza di api, avrebbe campo libero a fare focolaio; inoltre tali pezzi non devono essere gettati al suolo, nei pressi dell’alveare stesso, in quanto finirebbero per scatenare saccheggio.

Foto Fabrizio Piacentini

AGENDA LAVORI. SUD

Nelle famiglie più forti sarà iniziato da qualche tempo (in alcune zone del Sud già a fine gennaio-inizio febbraio) l’allevamento della covata maschile; tale evento segnala il loro istinto riproduttivo che, in assenza del nostro tempestivo e ripetuto intervento, le porterà con sicurezza a sciamare. Infatti, la comparsa della covata maschile è un importante indicatore dei tempi di sviluppo della famiglia, sui quali dobbiamo modulare la tempistica delle nostre operazioni di controllo, con particolare riguardo alla concessione dello spazio necessario attraverso l’inserimento ripetuto e ben cadenzato di telaini con foglio cereo, tra l’ultimo favo di covata ed il primo di scorte. È bene infine avere piena consapevolezza che la nostra attività ed il nostro saper fare apicoltura non sono ristretti al solo produrre miele ed altri prodotti dell’alveare ma, data l’importanza “strategica” e l’insostituibilità delle nostre api, si estendono a fronti di impegno dall’alta valenza oltre che economica anche sociale, etica e culturale. Santo Panzera


AGENDA LAVORI. ISOLE

NIENTE INVERNO, SIAMO DI NUOVO IN PARTITA!

C’È PREVISIONE DI FORTI SCIAMATURE, PAREGGIAMENTO DI SCORTE, API E PARTITURA di Vincenzo Stampa

CONTROLLARE GLI ALVEARI CON CADENZA

Foto Vincenzo Stampa

SETTIMANALE

V

olendo possiamo dire “l’inverno è finito”, ma quale inverno? Sono stati pochissimi i giorni in cui le api non hanno potuto volare, la temperatura media di dicembre 2019 è stata di 14,2 °C; la massima di 16,9 °C con 13 giorni di pioggia. In gennaio 2020 la temperatura media è stata, dalle nostre parti, di 11,1 °C e la massima di 15,3 °C, con nessuna pioggia. Una si-

tuazione anomala e non facile da gestire, covata sempre presente, consumi elevati in particolare in gennaio per carenza di pioggia e di raccolto sulle erbacee e quindi, alimentazione di soccorso. Per tutto il mese di febbraio la previsione è di una temperatura di 2-4 gradi più alta della media ed una piovosità inferiore alla media. Con la fioritura del mandorlo (foto a lato), nella prima settimana di febbraio entriamo in “partita” e l’apporto di polline e nettare comporta un ulteriore stimolo allo sviluppo di covata. Con queste premesse la previsione a medio termine ci porta a temere una forte tendenza alla sciamatura in special modo se nel mese di marzo ci sarà il proverbiale ritorno di basse temperature, visto che “il freddo di marzo penetra i corni dei buoi”. Considerando che il primo obiettivo produttivo cade all’inizio di aprile, con le fioriture coincidenti della sulla e degli agrumi, ancora una volta la tecnica apistica ci può venire in soccorso. Verificato lo stato delle famiglie, un pareggiamento di popolazione 3/2020 | Apitalia | 21


mediante trasferimento di covata opercolata frena gli alveari più esuberanti e quindi la tendenza alla sciamatura; questa è una operazione fattibile fino all’inizio del mese di marzo, senza pregiudicare la capacità produttiva degli alveari salassati, ed è importante arrivare all’obiettivo produttivo con un apiario equilibrato. Durante una forte importazione per solito gli alveari abbandonano l’idea della sciamatura e si dedicano al raccolto, a meno che il processo di sciamatura non sia già in atto. Purtroppo l’esperienza degli anni precedenti ci dice che un inverno con temperature alte pregiudica la produttività delle piante arboree a fioritura precoce. Come dicono gli agronomi, le piante hanno bisogno di una “quota di freddo” e questo obiettivamente non c’è stato. Cosa fare? A priori nulla, si può dire, di definitivo con un clima così capriccioso; però abbiamo tanti strumenti di tecnica apistica per accelerare o ritardare lo sviluppo degli alveari e perfino per governare la sciamatura: dalla nutrizione al pareggiamento di scorte e api, fino al rimedio estremo della partitura; in ogni caso il rimedio migliore rimane sempre la sorveglianza costante a cadenza settimanale. Qualcuno si chiede perché a cadenza settimanale? Le regole non

Foto Salvatore Fronteddu

AGENDA LAVORI. ISOLE

le stabilisce l’apicoltore ma la natura; nel caso specifico della sciamatura, se consideriamo il ciclo di sviluppo della regina (vedi Tabella nella pagina) che è di 16 giorni, un controllo settimanale ci permette di intercettare sicuramente il fenomeno abbastanza in tempo per governarlo. Come dire, un lapalissiano “alveare che sciama produce meno di uno che non sciama”. Come curiosità lessicale possiamo dire che “lapalissiano” deriva da un fraintendimento linguistico (vedi box) e anche un fraintendimento tra l’apicoltore e i suoi alveari può portare a situazioni paradossali. Ecco perché imparare il linguaggio degli alveari non è un banale esercizio di stile, ma una necessità imprescindibile per un corretto e proficuo rapporto uomo-ape. Vincenzo Stampa

LAPALISSIANO L’aggettivo “lapalissiano” deriva dal nome di Jacques de La Palice ed indica una palese tautologia, qualcosa cioè che è talmente evidente, stanti le sue premesse logiche, da risultare ovvio e scontato, se non addirittura ridicolo per la sua ovvietà. Alla morte di La Palice infatti, i suoi uomini proposero questo epitaffio: Ci-gît Monsieur de La Palice. Si il n’était pas mort, il ferait encore envie (“Qui giace il signore de La Palice. Se non fosse morto, farebbe ancora invidia”). Tuttavia, con il tempo la effe di ferait (“farebbe”) fu letta esse (a quel tempo le due grafie erano simili, vedi S lunga), diventando quindi serait (“sarebbe”), e la parola envie (“invidia”) divenne en vie (“in vita”); con il risultato che il testo recitò che egli “se non fosse morto, sarebbe ancora in vita” (si il n’était pas mort, il serait encore en vie): da qui il significato di ovvietà attribuito all’aggettivo.

CICLO DI SVILUPPO DELL’APE REGINA Cella aperta Uovo 1

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Cella opercolata Larva

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Deposizione

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Pupa 7

Traslarvo

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Trasferimento cella nei nuclei

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Nascita


SPECIALE PRIMAVERA

CHI BEN INIZIA È A METÀ DELL’OPERA CONDUZIONE APISTICA OCULATA PER NON MANCARE IL PRIMO MIELE di Massimiliano Fasoli

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onostante l’instabilità

Foto Massimiliano Fasoli

climatica e l’assenza di un vero inverno, eccoci nuovamente all’avvio della stagione apistica. È questo il tempo in cui bisogna mettere le api in condizione di svilupparsi in famiglie numerose e capaci di bottinare la maggior quantità possibile di nettare. Alveari bilanciati e sani, eliminazione dei vecchi favi, ricambio delle regine. Ecco un promemoria su come ci si prepara al primo, importante, raccolto di miele (prosegue a pag. 24)

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I

n questi giorni, con le operazioni tecniche che andremo a sviluppare nelle nostre famiglie, ci si gioca buona parte della stagione produttiva, anche se non tutto dipenderà da noi, ma dalle condizioni climatiche che influiscono sulle produzioni. Ricordo con piacere quello che mio padre Giuseppe (Apicoltore di grande levatura professionale e mio primo maestro) mi ha sempre detto: “Non lamentarti se va male per colpa del tempo o per cause esterne, ma non cercare scuse se non hai raccolto per colpa di una sbagliata gestione degli alveari”. È dunque importante individuare, innanzi tutto, quali sono i nostri obiettivi, prima di iniziare i lavori in apiario. Ecco su cosa dobbiamo concentrarci: • far sviluppare al meglio più famiglie possibile; • controllare la sciamatura; • ottenere il massimo del raccolto disponibile nella zona in cui abbiamo insediato l’allevamento apistico o nella zona dove abbiamo programmato di effettuare il nomadismo. Essendo la nostra bella Italia così diversa dal punto di vista botanico e climatico, è logico che alcune delle procedure indicate avranno bisogno di “aggiustamenti” da parte di quegli apicoltori che operano in zone climatiche diverse dalla mia (il Lodigiano). Il concetto da sviluppare, tuttavia, resta identico dappertutto: ottenere il

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Foto Dorina Vio

SPECIALE PRIMAVERA

massimo raccolto dalle fioriture che coincidono con lo sviluppo primaverile e/o la sciamatura. Nel mio caso la fioritura di riferimento è l’acacia, in postazioni sia locali sia nomadi. ALCUNE REGOLE FONDAMENTALI I metodi di conduzione da me suggeriti avranno maggior successo se si osserveranno le seguenti condizioni: • nei nostri alveari sono presenti api regine con non più di 2 anni di età (meglio se di 1 anno). Ovviamente, le regine devono essere esclusivamente di razza Ligustica autoctona italiana e non di importazione e con origine genetica sospetta. Fanno eccezione quelle zone dove sono presenti razze o ecotipi locali. Ad esempio la Carnica, nel Nord-Est o la Sicula in Sicilia. È assolutamente da evitare l’impiego dell’ape cosiddetta Buckfast (che razza non è, visto che si tratta di un ibrido dannosissimo per l’ape italiana e per le popolazioni autoctone, specie nelle zone di confine). E che dà risultati illusori; • i favi del nido debbono essere rigorosamente giovani, quindi sostituiti al minimo accenno di invecchiamento; • lo stato sanitario degli alveari deve essere costantemente monitorato; • è bandito l’utilizzo degli antibiotici, non solo


perché fuorilegge, ma perché le mie pratiche prevedono lo scambio di materiale biologico, favi di covata e api tra famiglie, e se le pesti le “nascondo” con antibiotico, non faccio altro che diffonderle tra tutte le famiglie e con danni irreparabili; • vanno sempre annotate, su apposite schede, tutte le operazioni che eseguiamo sulle famiglie per seguire il grado di risposta alle nostre operazioni; • dobbiamo calcolare, in base all’esperienza degli anni precedenti e alla costante osservazione, quando la fioritura che ci interessa (esempio l’acacia) inizierà a dare nettare. VISITE PRIMAVERILI AL VIA Le prime visite sono mirate alla valutazione della forza delle famiglie, per poter programmare le visite successive. Gli alveari vanno visitati, per effettuare operazioni concrete, cioè estrarre favi di

covata e via discorrendo, solo quando è iniziata una discreta importazione soprattutto di nettare, così da scongiurare o limitare il rischio del temibile saccheggio. Al fine di far sviluppare più velocemente le famiglie, soprattutto le più deboli, è consigliabile restringerle il più possibile, tramite il diaframma ormai diventato strumento indispensabile nei nostri alveari. Questa è un’ottima occasione per inserire, al di là del diaframma che non deve essere ermetico, i favi vecchi che poi successivamente scarteremo. Successivamente inizieremo ad allargare di nuovo le famiglie, ma solo quando “lo chiederanno” le stesse api, e in modo graduale, aggiungendo favi vuoti, meglio se già lavorati, o/e favi di covata nelle modalità che vedremo più avanti. Per chi dovesse operare in zone dove non sono presenti fioriture primaverili stimolanti, o dove, per cause climatiche, si sono determinate improvvise carenze alimentari, l’apicoltore potrà far ricorso a nutrizioni stimo-

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SPECIALE PRIMAVERA lanti, zuccherine e proteiche, ma solo in questi casi, e non per prassi di conduzione apistica. BILANCIAMENTO DELLA FORZA DELLE FAMIGLIE Col prosieguo della stagione, diventeranno necessarie le operazioni di bilanciamento che prevedono lo scambio di favi di covata, sempre ricoperti da api, tra famiglie forti e deboli. Il concetto di “forte” è relativo alla distanza di tempo che divide dalla fioritura di nostro interesse: ricordo che è inutile avere famiglie forti un mese prima del raccolto principale, ma è indispensabile avere le famiglie al massimo della forza al momento giusto: quello del più intenso picco nettarifero. Il diagramma della forza della famiglia deve essere sempre in costante crescita, senza appiattirsi troppo tempo prima del raccolto, l’esperienza di tre generazioni di apicoltori mi dice che: le famiglie forti un mese prima del raccolto, sempre che non sciamino (cosa assai improbabile), faranno lo stesso quantitativo di miele, o forse anche meno, di quelle famiglie che arrivano belle e di slancio al raccolto dell’acacia; quindi dobbiamo iniziare a togliere favi di covata anche da famiglie che ne hanno anche solo 5/6 e non aspettare quando sono al massimo e, cioè, in presenza di 8/9 favi di covata. In-

COME TOGLIERE LE COVATE DA FAMIGLIE FORTI Per prima cosa si cerca l’ape regina per evitare di perderla, poi si prelevano uno o più favi di covata opercolata, quasi sfarfallante, con tutte le api che accompagnano il favo, e per avere favi completi di covata e di età omogenea, sono fondamentali api regine giovani e di qualità superiore; regine scadenti, infatti, deporranno a rate con il risultato di trovare favi di covate di tutte le età, poco utili per queste operazioni. Così facendo, ottengo più vantaggi: 1° si toglie un notevole numero di api già nate e nascenti da lì a poco, evitando di incrementare le famiglie già belle, che inevitabilmente andrebbero verso la sciamatura; 2° avere a disposizione tante api pronte a dare

Foto Massimiliano Fasoli

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debolire le famiglie per tempo, ritarda o annulla nelle api lo stimolo di allevare celle reali, che nella quasi totalità dei casi è un “punto di non ritorno” verso la sciamatura naturale. Io non uso la tecnica di contrastare la sciamatura semplicemente togliendo celle reali, ma con tecniche appropriate cerco di evitare che le api inizino a costruirle. E quindi bisogna far tesoro di quanto imparato nei corsi di apicoltura di base sul perché e in che periodo gli alveari sciamano.


una mano alle famiglie deboli e non dover accudire covate fresche; 3° nelle famiglie forti, essendoci tanta covata fresca, più quelle che la regina deporrà per compensare le perdite dovute al nostro salasso, le api saranno impegnate a nutrire ed accudire tutte queste covate riducendo così il rischio della sciamatura e quindi l’avvio dell’allevamento delle celle reali. Ricordo inoltre che oggi la scienza ha dimostrato ciò che mio padre Giuseppe, come altri apicoltori, 60 anni fa aveva osservato: in una famiglia con tanta covata fresche la tendenza alla sciamatura è quasi azzerata. La spiegazione scientifica è che le covate fresche secernono dei ferormoni che inibiscono la sciamatura. Al posto delle covate tolte, nelle famiglie forti vanno messi dei favi vuoti, molto meglio se già costruiti, almeno quando le temperature sono relativamente basse e il tempo instabile. I fogli cerei è meglio aggiungerli quando l’importazione aumenta e le condizioni ambientali lo consentono, visto che per i migliori risultati vanno posizionati tra due favi di covata e non messi tra l’ultimo favo di covata e il miele; se le temperature crollano, infatti, il foglio dividerebbe la famiglia. Durante queste fasi di bilanciamento, sarà utile iniziare a mettere il melario così da evitare che le api riempiano di nettare i favi da nido prima che la regina deponga le uova; intanto tenere sempre un occhio alle previsioni del tempo, perché il melario potrebbe far raffreddare il nido.

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SPECIALE PRIMAVERA COME UTILIZZARE LE COVATE TOLTE Le covate ben ricoperte da api vanno date alle famiglie deboli che hanno bisogno di svilupparsi. L’aiuto deve essere graduale: uno due favi di covata, al massimo, per ciascun intervento che, comunque, deve essere proporzionale alla forza della famiglia. Per ottenere il miglior risultato, sarebbe meglio dare alle famiglie deboli covate provenienti da apiari diversi: questo, per evitare derive nell’alveare di partenza. Se non abbiamo tale possibilità, potremmo ricorrere al trucchetto di lasciare i favi di covata in un’arnia vuota in locale fresco e buio per 2/3 giorni: prima di metterli a disposizione delle famiglie di destinazione. Altro trucchetto per far rimanere api sui favi di covata che daremo nello stesso apiario è quello di scuotere nell’arnia dove provvisoriamente mettiamo questi favi di api, altri favi di api. Le api vecchie ritorneranno a casa loro, le api giovani e non ancora orientate si appoggeranno sui nostri favi. Durante queste operazioni di immissione di covate, bisogna prestare molta attenzione alla regina che potrebbe essere uccisa dalle nuove api arrivate, e che quindi va protetta ingabbiandola con alcune api accompagnatrici e chiusa con del candito o cospargendola completamente con del miele, prima di introdurre il favo di covata con le api.

Foto Luigi Chiatti

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UTILIZZO DELLE COVATE ECCEDENTI Le operazioni di bilanciamento si protrarranno fino a ridosso della fioritura principale (una settimana prima) e saranno ripetute ogni 10 giorni, così andremo più avanti nella stagione con fioriture più abbondanti e condizioni climatiche più favorevoli; i maschi, nel frattempo, saranno presenti in gran numero e ben fecondi, tutto nell’intento di iniziare a costituire dei nuclei con le covate che dovremo comunque continuare a togliere dalle famiglie forti per controllare la sciamatura. I nuclei li possiamo formare in più modi, in base alla nostra dimestichezza con le api, in quanto il problema fondamentale è quello di allevare regine nuove da dare alle famiglie nuove. (prosegue a pag. 33)






Foto Damiano Tripodi

Partiamo dal metodo più semplice, che consiste nell’introdurre in un’aria vuota i favi di covata con api provenienti dalle famiglie forti; questo alveare dovrà essere portato in un’altra postazione (o chiuso, al buio, per tre giorni, se siamo costretti a metterlo nello stesso apiario) e aspettare che la natura faccia il suo corso; però attenzione a lasciare una sola cella reale se intendiamo non moltiplicare questa famiglia orfana. Se invece intendiamo costituire più nuclei di fecondazione, metteremo una cella reale per nucleo al momento della sua nascita, importante è non fare allevare celle reali a nuclei orfani e piccoli, ma nuclei orfani con almeno 7/8 covate. Questo è un metodo empirico che non dà grandi garanzie di qualità della regina che sarebbe meglio, invece, allevare con metodi specifici che prevedano, tra l’altro, il traslarvo e la selezione delle madri. Si può ovviare, parzialmente, a questo problema avendo l’accortezza di introdurre, assieme alle covate, un favo di covata fresca prelevato da una famiglia che abbiamo individuato come rappresentativa del nostro ideale di “razza di api” da propagare. Occorrerà, in tal caso, far sì che rimangano solo le celle reali del favo di razza. Se le regine nate non saranno di qualità eccellente, come spesso succede alle regine allevate all’inizio della stagione, si potrà sempre sostituirle nel corso dell’estate, quando ci saranno tutte le condizioni ideali per allevare regine migliori. L’importante è aver “goduto” tutti i favi che abbiamo in eccedenza. I favi di covate tolte dalle famiglie forti, inve-

ce di metterli in arnie vuote da 10, è possibile, anzi consigliabile, metterli sopra alle famiglie attive dove avremo posizionato l’escludiregina e un’arnia senza fondo o doppio melario, al fine di realizzare una super-famiglia, una orfana e l’altra sotto con regina, così da ottenere i migliori risultati in termini di allevamento regine senza ricorrere all’arnia da tre famiglie. Chi non intende impegnarsi con le tecniche tradizionali di allevamento di api regine, deve comunque proseguire il “salasso” delle covate, magari ricorrendo all’acquisto di regine di qualità, presso allevatori italiani di ape ligustica di provata fama arrivando, in ogni caso, a costituire i nuclei con le covate tolte dalle famiglie più forti e introducendo la regina acquistata. Anche se l’ideale per un’azienda apistica è di essere autosufficiente evitando acquisto di regine o nuclei. QUANDO IL RACCOLTO È ORMAI ALLE PORTE Le famiglie intanto avranno raggiunto il massimo della loro forza e l’acacia (o altre fioriture tipiche del vostro territorio, in base alla diversa posizione geografica o fascia climatica) sarà arrivata a pochi giorni dalla piena fioritura. Se non l’abbiamo ancora fatto, occorrerà posizionare i melari con l’escludiregina. I melari vanno messi prima del completo sviluppo del nido. Oramai, non ci sono più le condizioni per effettuare sostanziali correttivi di forza; potremo ef3/2020 | Apitalia | 33


SPECIALE PRIMAVERA fettuare solo limitati spostamenti di covata, nel caso in cui alcune famiglie non abbiano raggiunto la forza desiderata, per ottenere il massimo del raccolto possibile. A questo punto si può anche eseguire l’operazione di scambiare di posto gli alveari più popolosi con quelli che lo sono meno. Tali operazioni vanno eseguite verso mezzogiorno, in quanto la maggior parte delle bottinatrici sono all’esterno. Nel caso alcune famiglie, prima del raccolto, non abbiano raggiunto una buona forza e non abbiamo covata da aggiungere, sarà utile “sacrificare” alcune famiglie deboli (ma necessariamente sane!) togliendo quasi tutti i favi di covata che metteremo nelle famiglie deboli. Questo in modo da ridurre sì il numero totale delle famiglie che andranno in produzione, ma che però sono in grado di raccogliere più nettare, invece di avere tante famiglie deboli e, per questo, improduttive. Se a questo punto della stagione troviamo negli alveari alcune celle reali, si può tentare di “calmare” le famiglie togliendo le celle reali presenti. Questa è da considerarsi solo una soluzione d’emergenza e non la regola. Se percepiamo che, anche togliendo le celle reali, la famiglia ha intenzione di sciamare e quindi abbiamo fallito nel tentativo di contenerle, e se anche togliamo le celle sciamano comunque rimanendo magari orfane, piuttosto che arrampicarci sugli al-

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beri per recuperare gli sciami è meglio procedere così: si cerca la regina da queste famiglie, si asportano tutti i favi di covata con i quali si possono rinforzare altre famiglie o costituire dei nuclei con le celle reali presenti su questi favi. Al posto delle covate prelevate, inseriremo i fogli cerei e così, in pratica, avremo preso uno sciame senza fare acrobazie. Questo è il metodo che io chiamo “Ciabotti”, in ossequio ad un nostro collega apicoltore marchigiano, di piccola dimensione aziendale ma dalle grandi idee, a dimostrazione che possiamo sempre imparare qualcosa da tutti, indipendentemente dal numero degli alveari posseduti. UN ULTIMO PENSIERO AI MELARI Se il tempo si sarà mantenuto stabile e, soprattutto, se avremo operato in modo efficace, non dovremo far altro che aspettare che si riempiano i nostri tre melari: è la quantità minima che un bravo apicoltore deve aspettarsi in occasione del primo raccolto; quantità che già mio padre preventivava negli anni ‘70 mentre io, da giovane apicoltore, lo aiutavo ad attuare le pratiche primaverili necessarie a raggiungere questo risultato. Nonostante, negli ultimi anni, ciò appaia come un traguardo sempre più difficile da raggiungere. Massimiliano Fasoli



PROFESSIONE APICOLTORE

UN APIARIO DESTINATO A PRODURRE CELLE REALI

SERVONO FAMIGLIE FORTI PER SOSTENERE LA “RIMONTA” di Stefano De Pascale

L’

allevamento delle api regine è forse una delle branche dell’apicoltura più complessa e delicata, difatti questa produzione comporta una particolare specializzazione dell’operatore apistico. Questo tipo di allevamento risulta complesso perché è basato sulla stimolazione delle colonie nel produrre api regine, al di fuori delle condizioni naturali in cui questo avverrebbe, mediante particolari tecniche. Risulta delicato perché la relazione tra l’ape regina e la famiglia, di cui essa è a capo, è così stretta e peculiare da condizionare la produttività dell’alveare e determinare quindi il successo o il fallimento di una stagione produttiva. La selezione e l’allevamento delle api regine, pertanto, è diventato uno dei fattori cardine dell’apicoltura moderna, non solo ai fini di aumentare le medie produttive aziendali, ma per perseguire diversi obiettivi. Vi proponiamo quindi una serie di articoli per introdurvi nel mondo della riproduzione, valutazione e selezione delle api regine. In questo primo articolo tratteremo, in particolare, quelle che sono le tecniche per allevare celle reali. 36 | Apitalia | 3/2020

Per capire come possiamo indurre una colonia a farlo è bene comprendere prima quali sono le condizioni in natura per cui le api allevano celle reali. La più eclatante è la fase della sciamatura, decine di celle reali vengono allevate, soprattutto al margine inferiore dei favi e sui margini superiori della covata. La prima vergine che nascerà avrà il compito di individuare le altre celle reali presenti e distruggerle.

Foto 1

ROTAZIONE DI REGINE E PRODUTTIVITÀ


Le api allevano celle reali in caso di improvvisa orfanità causata da fattori esterni, le cosiddette “celle di emergenza”. Queste vengono allevate dalla covata già presente sul favo, spesso in gruppi, sono caratteristiche le strane curve che assumono per svilupparsi in posizione verticale rispetto al favo. In ultimo, sono allevate celle reali quando le api ritengono che la loro regina non sia più efficiente nei suoi compiti (secrezione di feromoni reali e capacità di ovodeposizione) e debba quindi essere sostituita. Poche sono le celle allevate, ma particolarmente curate; viene creato un piccolo ancoraggio che sporge dal favo su cui si svilupperà una cella reale in verticale

di notevole dimensioni. In lingua inglese questa tipologia di cella reale viene definita dagli apicoltori “supersedure” dagli apicoltori ed è considerata di particolare pregio la vergine che da essa nascerà (Foto 1). Un processo avviato dalle api stesse per avere una regina di qualità superiore. Preso atto delle condizioni in cui le api allevano celle reali, basterà riprodurle all’interno della colonia per ottenerne una quantità adeguata? Potremmo dire di sì, ma questo non è sufficiente: l’apicoltore certamente cerca di creare le condizioni in cui le api tendono ad allevare celle reali, quindi l’orfanità, il sovrappopolamento e la mancanza di

feromoni reali. Oltre a ciò l’apicoltore entra nel processo decisionale dell’alveare inserendo al suo interno celle reali artificiali contenenti una larva di un giorno d’età. Jurgen Tautz nel suo libro “Il ronzio delle api” spiega, in maniera eccellente, come avviene il processo decisionale all’interno del superorganismo alveare - consiglio questo libro a tutti (in distribuzione presso FAI Apicoltura srl, 06. 6852556) - e ha cambiato il mio modo di interagire con le colonie d’api. È doverosa un’ulteriore premessa, per poi entrare nel vivo della tecnica di produzione delle celle reali. Una colonia in natura, per avere una nuova regina feconda, impiega circa 25-30 giorni. Il dato è mol-

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PROFESSIONE APICOLTORE to variabile e dipende dal periodo dell’anno in cui la nuova regina viene allevata, dal luogo, dalle condizioni climatiche e dalla specie d’ape. Il tempo per allevare la vergine non subisce grandi variazioni e al 16° giorno dalla deposizione dell’uovo nascerà. La variabile sarà il tempo che la futura regina impiegherà a compiere il volo nunziale con successo. La tecnica di allevamento delle api regine, utilizzata da gran parte degli apicoltori e di cui vi parlerò, prevede la divisione della fase di produzione della cella reale, da quella di fecondazione della vergine in due colonie diverse. Concentriamo la produzione di molte celle reali su poche famiglie. Mentre deputiamo

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a dei nuclei di fecondazione, ovvero famiglie orfane solitamente di piccole dimensioni, il compito di far nascere e portare a fecondazione una vergine. Andiamo a vedere come si opera. Innanzitutto bisognerà preparare le celle reali. Esistono in commercio cupolini di plastica o di cera; questi andranno fissati a delle stecche, anche in questo caso si potrà ricorrere a blocchi di fissaggio in

Foto 2

plastica o a cera calda, disponendo circa 12-15 cupolini per stecca. All’interno del cupolino andrà innestata una larva al primo giorno di vita e, se si utilizza un coglilarva in metallo, sul fondo bisognerà provvedere a creare un soffice letto di pappa reale per la larva. Qualora si usi il cosiddetto picking cinese, questo sarà in grado di prelevare simultaneamente la larva e la pappa reale su cui è adagiata, che verrà


Foto 4 depositata direttamente sul fondo del cupolino (Foto 2). Una volta pronta, la stecca può essere conservata sotto un panno umido, anche per diverse ore, fino al momento dell’inserimento nella famiglia. Come vi dicevo sono molteplici le metodologie di gestione delle famiglie per l’ allevamento delle celle reali. La più diffusa fino a poche decine di anni fa, ma ancora utilizzata per la sua efficacia, è quella degli Starter e dei Finisher.

Foto 3

Gli Starter, ovvero iniziatori (Foto 3), sono famiglie orfane composte di soli telaini di scorte, polline e miele, ed api giovani, deputate all’accettazione delle celle reali artificiali. Questi possono essere composti con 2 o 3 telai di scorte di miele e polline e 6-7 telaini d’api giovani scrollati all’interno del nucleo. La quantità di api e telaini di scorta possono aumentare, alzando così il numero di celle in grado di accettare ogni 24 ore. Si può andare dalle 30 alle 90 celle per ciclo.

I cicli di accettazione che uno “starter” può compiere sono limitati ma con un alto tasso di successo. Abitualmente dopo 5-6 giorni la sua efficienza diminuisce notevolmente. Dopo 24 ore all’interno dello “starter” le celle reali verranno prelevate e al suo interno verrà messo un nuovo ciclo di celle in accettazione. Uno “starter”, seppur in grado accettare molte celle reali, non sarà in grado di portare a termine l’allevamento: dopo qualche giorno rimarrebbero solo poche celle reali e la maggior parte di esse verrebbero abbandonate dalle api. I Finisher ovvero finitori, sono famiglie in cui è stata isolata la regina tramite una griglia escludiregina in una parte dell’alveare. Dall’altra parte verrà inserita la stecca per portare a termine l’allevamento delle celle reali: ne esistono sia di tipo verticale che orizzontale. Per il metodo verticale si utilizza un’arnia da 6 telai a cui vengono sovrapposti 2 melari contenenti altri 5 telaini da nido ed il telaio portastecche; tra i due corpi verrà interposta la griglia escludiregina. Per il metodo orizzontale potrà essere utilizzata un’arnia da 12 telai, o speciali arnie da 15 telai in cui 3/2020 | Apitalia | 39


PROFESSIONE APICOLTORE l’escludiregina sarà posizionato in verticale (Foto 4). Molte aziende hanno abbandonato l’utilizzo degli “starter” orfani: si è visto che i finitori in realtà, sono in grado di accettare le celle reali artificiali e di allevare la larva destinata a diventare regina con ottimi risultati, questo anche grazie alla selezione di api per la produzione di pappa reale: le potremmo definire api con un elevato istinto materno, cioè hanno attitudine ad allevare celle reali. GESTIONE DI FAMIGLIE PER L’ALLEVAMENTO DELLE CELLE REALI Come già detto, la prima condizione necessaria è che le famiglie siano forti e ben popolate. Ogni 12-14 giorni bisognerà effettuare un’operazione, detta di rimonta, che consiste nel portare nella parte destinata all’allevamento delle celle reali 2 o 3 telaini provenienti dal lato dove è presente la regina: uno di covata nascente ed uno di covata non opercolata, che andranno messi sui due lati del telaino porta stecche. Questo ci assicurerà la presenza di api giovani vicino alle nostre celle reali. Il terzo telaino dovrà contenere scorte di polline. Dalla parte dove è presente la regina bisognerà assicurarsi che questa abbia sempre spazio a sufficienza per deporre uova e che le api coprano bene tutti i telai. Che gli alveari siano gestiti in maniera orizzontale o verticale, la rimonta concettualmente non varia.

Fig. 5

CICLO VITALE DELL’APE FUCO

OPERAIA

UOVO

LARVA opercolata

opercolata

opercolata

PUPA

le celle reali verranno nutrite con gelatina reale fino al momento dell’opercolatura ovvero il 9° giorno dalla deposizione dell’uovo (Fig. 5). Questo periodo sarà fondamentale per garantire la qualità biologica della regina. Solo larve ben nutrite daranno origine ad una buona regina. Quindi quali accortezze utilizzare? I finitori devono essere famiglie sempre ben nutrite e popolate, è inutile pensare di utilizzare le famiglie che non sono ben sviluppate. Sovente apicoltori inesperti pensano di destinare le famiglie in ritardo nello sviluppo, quindi non in grado di produrre miele, per produrre celle reali. Non c’è niente di più sbagliato: bisogna scegliere le migliori famiglie dei nostri apiari per allevare celle reali e garantir LA GESTIONE loro, in caso di bisogno, anche una DELLE CELLE REALI nutrizione supplementare a base di Una volta superata la fase dell’ac- miele e non di sciroppo zuccherino. cettazione, le larve all’interno del- Una volta opercolate le celle reali 40 | Apitalia | 3/2020

REGINA

giorni

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dovranno essere mantenute calde fino alla nascita, circa 33-35 °C. Abbiamo a disposizione due opzioni: possiamo prelevare le celle reali, una volta opercolate, e metterle all’ interno di un incubatrice con temperatura ed umidità controllata (circa il 70% d’umidità). Questa operazione sarà possibile il 10° ed 11° giorno dalla deposizione dell’uovo. Mentre il giorno 12-13 le celle non andranno toccate, pena la morte della pupa che è chiusa all’interno del bozzolo ed attaccata al fondo della cella tramite il filo sericeo. La seconda opzione è lasciare le celle all’interno della colonia fino al 15°-16° giorno ed inserirle direttamente nel nucleo di fecondazione, prima che queste nascano. Come si gestiscono tali nuclei sarà l’argomento che tratteremo nel prossimo articolo. Stefano De Pascale


ATTUALITÀ

DISASTRO AUSTRALIA, APICOLTURA SFREGIATA

MIGLIAIA DI ALVEARI FALCIATI DAI ROGHI INGENTI DANNI ANCHE ALLA FLORA APISTICA di Matteo Giusti

GRAVISSIMA CATASTROFE

Foto passionevegano.it

AMBIENTALE

N

on hanno certo risparmiato le api gli incendi che da mesi, ma soprattutto nelle passate settimane, hanno devastato e in parte continuano a devastare l’Australia. E se per certi versi è considerato naturale lo svilupparsi di incendi nella stagione estiva (infatti in Australia ora è estate) quelli che vengono chiamati “bushfires” letteralmente incendi dei cespugli, della boscaglia - quest’anno le proporzioni che hanno raggiunto fanno parlare di catastrofe. E la mano dell’uomo non è estranea.

Da una parte ci sono gli effetti dei cambiamenti climatici che con ondate di calore e una siccità prolungata hanno favorito le fiamme e dall’altra 183 persone arrestate con l’accusa di aver appiccato il fuoco e l’autocritica dello stesso presidente federale Scott Morrison, contestato sia per le sue posizioni negazioniste sulle cause antropiche dei cambiamenti climatici che per la gestione dell’emergenza, che ha riconosciuto che avrebbe potuto fare di più e meglio. A dare una dimensione del disastro ci sono le prime stime dei danni che parlano di oltre 18 milioni di ettari distrutti dal fuoco, 25 persone morte, migliaia di edifici danneggiati o rasi al suolo e più di un miliardo di animali morti. Com’era prevedibile, tra le vittime del fuoco ci sono ovviamente anche le api, come testimoniato in svariati reportage che mostrano apiari divorati dalle fiamme, alveari carbonizzati tra la vegetazione bruciata o di spiazzi di cenere dove restano solo i pezzi di ferramenta delle arnie. 3/2020 | Apitalia | 41


ATTUALITÀ

È ancora difficile fare una stima di quanti alveari si siano persi nei roghi, come riporta l’Australian Honeybee Industry Council, la principale organizzazione di apicoltori e di promozione dell’apicoltura del Paese. Molte zone sono ancora inaccessibili, molte strade chiuse con l’ordine per la Polizia di fermare chiunque non rispetti i blocchi stradali e l’appello lanciato agli apicoltori dalla stessa organizzazione di categoria di non esporsi a pericoli per andare a controllare gli apiari. Comunque, lì dove è stato possibile andare, gli apicoltori sono stati tra le prime persone ad addentrarsi nelle zone bruciate. E tra questi apicoltori temerari, i media locali hanno riportato anche le testimonianze di alcuni che, andati per controllare i propri alveari, sono rimasti traumatizzati e non tanto da quello che hanno visto, ma da quello che 42 | Apitalia | 3/2020

hanno udito: le urla degli animali feriti e terrorizzati nella foresta, che hanno descritto come qualcosa di assolutamente orribile. Tra le zone più colpite ci sono lo stato del Queensland e lo stato del Nuovo Galles del Sud, dove alcuni membri dell’associazione apistica locale, la New Southern Wales Apiarist Association, hanno stimato perdite anche del 70% dei loro alveari e del 90% delle fonti nettarifere, con prospettive che vanno da almeno 3 anni, nelle ipotesi più ottimistiche, ad anche 20 anni per ricostituire un pascolo idoneo per le api. E la perdita delle risorse nettarifere mette a rischio così anche gli alveari che si sono salvati dal fuoco, tanto che sono partiti appelli per cercare aree dove portare le api e, soprattutto nei due Stati più colpiti, la richiesta di rendere più facile l’accesso alle aree protette e ai parchi naturali per

gli alveari allevati, dal momento che proprio nel Queensland e nel Nuovo Galles del Sud sono in vigore norme più restrittive che in altri Stati australiani per le attività di apicoltura svolte nei parchi. Nel Nuovo Galles del Sud sono già state messe a disposizione degli apicoltori 60 tonnelate di sciroppo, ma sono partiti anche appelli ai cittadini di coltivare piante nettarifere nei giardini e di mettere abbeveratoi per le api per aumentare le fonti di cibo e di acqua, drasticamente ridotte sia dal fuoco che dalla siccità. È a rischio, ovviamente, la produzione di miele e in particolare quello di manuka, una delle principali fonti di reddito degli apicoltori del Queensland e nel Nuovo Galles del Sud che ora si trovano davanti al rischio di uno stop di alcuni anni di produzione nell’attesa della ripresa della vegetazione. Un altro grave rischio per l’economia


delle aziende apistiche è l’attività di impollinazione dei mandorli, per la quale i coltivatori pagano più di 100 dollari ad alveare (circa 61,00 Euro, ndR). Fondamentale sarà garantire l’alimentazione e la forza delle famiglie per avere alveari forti a luglio, quando inizierà la fioritura dei mandorli per poter garantire un buon servizio e ricavare un adeguato reddito. E tra i territori devastati dagli incendi c’è anche l’Isola dei Canguri, nel sud est del Paese davanti ad Adelaide, uno dei paradisi naturalistici dell’Australia e uno dei santuari mondiali della biodiversità delle api da miele. Qui nel 1884 furono portati alveari di api italiane, importate in Australia dal-

la Liguria, per conservarle in purezza e l’anno seguente, nel 1885, l’isola fu dichiarata dal governo “santuario dell’ape ligure”, isolandola completamente dal resto del Paese e vietando l’introduzione di altri tipi di api da miele per mantenerne la purezza genetica, con una lungimiranza forse unica nel mondo. Oggi gli incendi hanno devastato anche questa isola e c’è il rischio che gran parte del materiale genetico finora conservato sia andato distrutto. Il fuoco, che ha percorso gran parte della zona occidentale dell’isola, dalle prime stime potrebbe aver distrutto circa un quarto degli alveari presenti. Come riporta l’Australian Broadcasting Corpo-

ration, uno dei principali organi di informazione australiani in un articolo del 6 gennaio scorso, circa 1000 dei 4000 alveari presenti sull’isola potrebbero essere stati persi nel fuoco. A dichiararlo alla testata giornalistica è stato Danny LeFeuvre, referente dell’Apiary Alliance del Sud Australia. Una realtà quella dell’isola che LeFeuvre ha definito una “utopia apistica” dove le api, oltre alla loro purezza genetica, si nutrono solo di piante native dell’isola e non sono state ancora raggiunte da molte malattie. E Peter Davis, uno dei più grandi e più anziani apicoltori dell’isola che ha già perduto 400 dei suoi 1000 alveari, avverte che con la perdita anche

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della flora apistica il rischio di una declino del numero di alveari è concreto. Ma tiene duro e lancia un messaggio di incoraggiamento dicendo che lì sull’Isola dei Canguri c’è uno spirito di comunità che non può essere bruciato. Ma la speranza e i messaggi non bastano e per questo stanno partendo anche delle campagne di raccolta fondi sia specifici per

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Foto commons.wikimedia.org

ATTUALITÀ

l’Isola dei Canguri, lanciata dal Kangouroo Island Council, l’ente amministrativo dell’Isola, e la raccolta Save the Kangaroo Island Ligurian Bee sulla piattaforma www.gofoundme.com. Ma non mancano iniziative rivolte anche a tutti gli apicoltori australiani colpiti dagli incendi e dalla siccità, come nel caso della campagna Hive Aid promossa dall’organiz-

zazione di solidarietà agricola Rural Aid assieme alla Australian Honeybee Industry Council. Una solidarietà che ovviamente può travalicare i confini nazionali australiani e avvicinare tutte le persone sensibili e anche gli apicoltori italiani ai colleghi dell’altra parte del mondo. Matteo Giusti



RICERCA

INGEGNERIA GENETICA CONTRO LA VARROA

RICERCA PRONTA A DARE RISPOSTE DEFINITVE ENTUSIASTI GLI AMERICANI, SCETTICI I TEDESCHI di Claudia Garrido

R

icercatori della prestigiosa Università statunitense del Texas, nella città di Austin, hanno scoperto che particolari ceppi di batteri modificati geneticamente riescono a combattere la varroa e il virus delle ali deformi (DWV). La notizia, se da un lato ha suscitato grande scalpore dall’altro è stata comunque accompagnata da un certo scetticismo: permangono, infatti, forti dubbi circa la possibilità che da questa scoperta si possa finalmente sviluppare una cura miracolosa contro i principali problemi dell’apicoltura. Il ricercatore Sean Leonard, ed i suoi colleghi, esperti di Biologia Cellulare e Molecolare, ed i suoi colleghi hanno di fatto modificato un batterio in modo che producesse molecole in grado di veicolare un particolare tipo di informazione genetica (dsRNA, l’acido ribonucleico a doppio filamento, che costituisce il materiale genetico di alcuni virus, ndR) che interferisse con geni 46 | Apitalia | 3/2020

specifici della varroa e del virus delle ali deformi. Per ottenere tale risultato, i ricercatori hanno usato metodi di ingegneria genetica: una tecnologia di solito non molto gradita in Europa, al punto che nel nostro linguaggio quotidiano si parla di “manipolazione” genetica, tema spesso legato a fattori o valori etici e con una perce-

100%

Mortalità acari 10 giorni

BATTERI TOSSICI PER I VIRUS

Sopravvivenza api 10 giorni

80% 60% 40% 20% 0%

Trattamento Controllo acari

Trattamento Controllo virus

Efficacia del metodo antivarroa sperimentato dai ricercatori dell’Università del Texas – Austin, USA. Rispetto alle api di controllo, le api trattate con il ceppo di batteri che colpiscono il virus delle ali deformi avevano il 36,5% in più di probabilità di sopravvivere fino al giorno 10. Gli acari varroa, che si nutrivano di un altro gruppo di api trattate con il ceppo di batteri bersaglio dell’acaro, avevano una mortalità superiore al 70% entro il giorno 10 rispetto agli acari che si nutrono di api di controllo.


Foto Gilles San Martin

zione prevalentemente negativa da parte dell’opinione pubblica. Si è visto quindi che questi batteri vivono naturalmente nell’intestino delle api dove sono giunti, dopo la modificazione, grazie ad api isolate e sottoposte ad una speciale dieta di laboratorio. I ricercatori hanno poi osservato che tali api resistevano più a lungo all’infezione da virus delle ali deformi (DWV). Tant’è che le varroe adulte, aggiunte alle gabbie di laboratorio, morivano prima delle varroe presenti su api che non erano state sottoposte allo speciale regime dietetico e che, quindi, non avevano mangiato i batteri modificati. La ricerca statunitense ha inoltre messo in evidenza che il sistema immunologico delle api veniva attivato più velocemente e risultava maggiormente stimolato. Si tratta, per ora, di una reazione piuttosto generica e non specifica contro varroa o virus da essa veicolati; le molecole di dsRNA si distribuivano comunque in tutto il corpo delle api e rimanevano attive nel corso dei 15 giorni di durata della prova di laboratorio. Leonard e i suoi colleghi dell’Università del Texas sono quindi

giunti a teorizzare che i batteri si possano distribuire anche in tutta la colonia e grazie alle attività sociali delle api. Allo stato attuale è in ogni caso difficile dire fino a che punto questa ipotesi teorica sia realistica: ci sono per ora soltanto dati di laboratorio, ma non sappiamo se le osservazioni sono riproducibili nella pratica apistica quotidiana e all’interno di intere famiglie di api. In effetti, la critica mossa da altri ricercatori parte proprio da questi aspetti che, evidentemente, richiedono ulteriori e complesse verifiche. Il professor Randolf Menzel, neurobiologo d e l l ’ U n i ve r s i tà di Berlino, in Germania, afferma ad esempio che “siccome si tratta di una prova di laboratorio effettuata su poche api, non possiamo dire se il metodo sarà efficace contro la varroa e il virus delle ali deformi”. Il ricercatore tedesco, inoltre, critica anche la dubbia convenienza economica di un tale metodo che, per essere applicato in pratica e su larga scala, dovrà pur basarsi su costi ra-

gionevoli per gli apicoltori; e non è neanche detto che il metodo sia sufficientemente specifico contro l’acaro delle api e i virus che esso propaga negli alveari. Quest’ultimo aspetto, in effetti, appare come il più importante: gli stessi Autori americani della ricerca, infatti, segnalano l’insorgenza di alcuni effetti collaterali su fisiologia e comportamento delle api. Ecco perché il professor Menzel solleva dubbi anche sugli effetti ecologici di questo nuovo metodo: “Non sappiamo se tali batteri vivono anche in altri insetti, oppure se riescono a sopravvivere persino fuori dall’intestino delle api”. Una preoccupazione più che comprensibile e condivisa anche dal professor Robert Paxton, del Centro di Ricerca integrata sulla Biodiversità di Halle, sempre in Germania. I batteri stessi, secondo lui, non costituiscono il vero problema quanto, piuttosto, il metodo di modificazione genetica impiegato dai ricercatori americani. Per tale protocollo, infatti, si applicano le stesse regole che usano i batteri per scambiarsi l’informazione genetica e anche fra diverse specie. Ecco perché si richiedono scrupolose 3/2020 | Apitalia | 47


RICERCA prove preliminari, su intere famiglie di api, prima di poter chiarire se i geni prodotti per i batteri modificati possono o meno “scappare” nell’ambiente e propagarsi verso direzioni impreviste. Robert Paxton, pur consapevole delle questioni pratiche ancora irrisolte dai ricercatori americani, è però piuttosto ottimista: “Entro i prossimi anni - dichiara - sconfiggeremo i due principali problemi con i quali si scontra attualmente l’apicoltura”. Nel frattempo, sarebbe importante verificare se le molecole di dsRNA si trasmettono anche alla cova-

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ta. Siccome la varroa si riproduce all’interno delle celle di covata e trasferisce alle api, sviluppandosi, il virus delle ali deformi, acquisire quest’informazione appare oggi essenziale. Un nuovo medicinale che agisca soltanto sulle varroe delle api adulte dovrebbe infatti restare attivo molto più dei 15 giorni finora sperimentati con le prove di laboratorio. Prima di parlare di una nuova cura miracolosa, dunque, ci sono ancora molte domande bisognose di chiare risposte. Per sviluppare un nuovo ed efficace medicinale contro la varroa, infatti, ci vogliono grandi quantità di prove di laboratorio e in campo. Ancora non sappiamo nulla sulle dosi, su come veicolare i batteri alle famiglie, sull’efficacia

contro varroa e sulla tollerabilità per le api. C’è un punto, infine, che potrebbe spegnere tutte le speranze prima ancora di cominciare a sviluppare una qualunque terapia: il metodo dell’interferenza sul dsRNA, con geni della varroa, è già stato provato nel 2012 quando i ricercatori dell’Università tedesca di Hohenheim tentarono di sviluppare uno specifico trattamento basato su un tampone di sali di litio che uccideva le varroe. È stata l’ultima mancata promessa di una cura miracolosa, che ci siamo sentiti proporre noi addetti all’apicoltura. E sappiamo tutti come, questa storia, sia tristemente finita. Claudia Garrido


BIOLOGIA

SE LA DIETA PROBIOTICA SVILUPPA PATOGENI E PARASSITI

LA FLORA INTESTINALE DELL’APE È UN MONDO RETTO DA DELICATI EQUILIBRI BIOLOGICI (II PARTE) di Gianni Savorelli

SIATE CAUTI NELL’INTRODURRE ALIMENTI INTEGRATI

Titolo originale del lavoro

Q

uello che di istinto verrebbe da pensare è che perciò “l’aggiunta” di batteri alla dieta dell’ape potrebbe ridurre la prevalenza di Nosema e di lieviti, ma… Anche i ricercatori polacchi ci hanno pensato e a loro volta hanno realizzato uno studio scientifico: Un gran numero di supplementi dietetici è raccomandato per risolvere i problemi delle api; fra questi prodotti vi sono probiotici commerciali basati soprattutto su lattobacilli. 3

Med. Weter. 2016, 72 (7), 430-434 IMPACT OF VERTEBRATE PROBIOTICS ON HONEYBEE YEAST MICROBIOTA AND ON THE COURSE OF NOSEMOSIS Aneta A. Ptaszyńska, Wiesław Mułenko, Joanna Wilk Department of Botany and Mycology, Institute of Biology and Biochemistry, Faculty of Biology and Biotechnology, Maria Curie-Skłodowska University, Akademicka 19, 20-033 Lublin, Poland Grzegorz Borsuk Department of Biological Basis of Animal Production, Faculty of Biology and Animal Breeding, University of Life Sciences in Lublin, Akademicka 13, 20-950 Lublin, Poland

Il microbiota simbionte previene la crescita di specie patogene per l’ape, competendo con esse per i nutrienti ed i siti di ancoraggio all’epitelio intestinale. I micro organismi associati alle api derivano dal consumo di polline o dal contatto con api più anziane (es. trofallassi). Batteri del genere Lactobacillus (LAB) sono fra i più importanti simbionti intestinali (Lactobacillus kunkeei, L. plantarum, L. pentosus, L. fermentum, L. floricola, L. acidophilus e L. johnsonii). I Lactobacillus, producono acidi grassi a catena corta, che assorbiti attraverso il retto costituiscono nutrizione aggiuntiva. Sia Lactobacillus che Bifidobacterium svolgono un ruolo molto importante nella produzione di miele e pane d’api. La presenza di lieviti è relativa. Anche in questo studio l’infezione da Nosema ha prodotto un aumento della presenza di lieviti da 3850 (± 400.33) CFU a 19500 (± 1644.40) per ape. In questo tipo di contesto prodotto dall’infezione da Nosema, la somministrazione 3/2020 | Apitalia | 49


BIOLOGIA di un probiotico commerciale ha portatato alla diminuzione di presenza di lieviti sia nelle api infette da Nosema che in quelle sane di controllo. Probabilmente i batteri lattici somministrati hanno vinto la competizione, per nutrimento e siti di riproduzione, con i lieviti. Tuttavia la parallela presenza di Nosema è risultata aumentare a seguito della somministrazione del probiotico e da ciò risulta chiaro che l’effetto delle due differenti formulazioni probiotiche testate è nel suo complesso parecchio svantaggioso. La crescita incontrollata dei batteri lattici, propinati a forza, potrebbe aver portato ad aumento di acidità nello stomaco delle api favorevole ad un più veloce sviluppo del Nosema, la cui presenza risulta più che raddoppiata nelle api alle quali è stato somministrato un probiotico commerciale. L’infezione da Nosema - per quanto noto - non risulta essere controllata dalla espressione dell’enzima immunitario lisozima, né correlato alla sua attività, la quale è risultata generalmente bassa nelle api sane di controllo nutrite a solo sciroppo di saccarosio. Per contro, la somministrazione del probiotico ha portato ad un innalzamento della attività di lisozima, col massimo nelle api infette da Nosema. Da questo sembra si possa dire che almeno una parte dei batteri probiotici somministrati sia considerato dal sistema immunitario dell’ape come ostile e per logica conseguenza attac50 | Apitalia | 3/2020

cato dal sistema immunitario. L’insieme costituito dal “probiotico” e dal Nosema sembra aver prodotto gravi degenerazioni nell’intestino e danni locali alla barriera protettiva possono aver facilitato la penetrazione di batteri nell’emocele per ciò rendendosi necessaria una risposta immunitaria al massimo delle possibilità. Le bottinatrici, che sono le api più aggredite dal Nosema, hanno un ridotto numero di emociti e una ridotta capacità di nodulazione in risposta alle infezioni batteriche (è da ricordare che le api sono fabbriche biochimiche specializzate nella trasformazione del cibo che ingoiano e questo fa sì che anche il loro sistema immunitario utilizzi diverse possibilità di lotta ai patogeni a seconda della funzione lavorativa svolta. In pratica, le difese immunitarie di una nutrice sono non poco differenti da quelle di una bottinatrice, ndR). Il mantenimento di competenza immunitaria nelle singole api ha un costo energetico significativo e questo “capitale” viene a mancare per altri scopi o lavori. Se ne conclude che i comuni probiotici commerciali esaminati nel presente studio non migliorano il benessere delle api, ma al contrario la loro somministrazione porta a malfunzionamento dell’intestino creando così condizioni favorevoli allo sviluppo di patogeni intestinali, come il Nosema. Alcuni microrganismi contenuti in questi probiotici sono decisamente trattati dal corpo dell’ape come invasori che provocano il consumo, per contrastarli, di ener-


gie e “materie prime” utili ai meccanismi immunitari di difesa nei confronti dei patogeni veri e propri. Questa addizionale domanda energetica richiesta dai probiotici testati (che si può sommare a quanto già richiesto dando luogo all’aggravamento di una situazione già precaria, ndR) porta l’ape a malnutrizione e a più alto tasso di mortalità tra le bottinatrici. Per questi motivi qualsiasi dieta che comprenda organismi vivi l’impatto dei quali non sia ben studiato sulla fisiologia e biologia è da considerare con grande diffidenza e nel futuro i probiotici per uso apistico dovranno essere studiati in maniera molto più specifica e approfondita di quanto non sia stato fatto finora. Un altro recentissimo lavoro presenta con decisione correlazioni fra sviluppo di Nosema e alterazioni di quella che può essere considerata la normale composizione del microbiota (quanti/qualità

Titolo originale del lavoro

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DIET RELATED GUT BACTERIAL DYSBIOSIS CORRELATES WITH IMPAIRED DEVELOPMENT, INCREASED MORTALITY AND NOSEMA DISEASE IN THE HONEY BEE Maes Rodrigues, Oliver Mott Anderson

delle specie batteriche presenti) in relazione alla freschezza della dieta. Per disbiosi si intende una marcata variazione di quella che è la presenza tipica della flora batterica. Valutarla è difficile sia negli insetti che in altri animali dato che una certa variabilità è continuamente modellata dal cibo ingerito (Wong et al. 2013; Chandler et al., 2011), ed è correlata con lo stato di sviluppo (Li et al., 2016) e l’ambiente (Buck et al., 2016). Nelle api adulte è presente una flora piuttosto tipica definibile come “fondamentale” o “core” (Koch et al., 2013; Kwong and Moran 2015).

Questa comunità “core” consiste di 5 specie onnipresenti e poche altre minoritarie (Cox-Foster et al., 2007; Martinson et al., 2011; Martinson et al., 2012; Moran et al., 2012; Sabree et al., 2012; Engel et al., 2012; Anderson et al., 2013; Corby-Harris et al., 2014; Engel et al., 2014; Powell et al., 2014; Moran 2015; Kwong and Moran 2015; Anderson et al., 2015). Deve essere sottolineato che se anche le specie sono relativamente poche, è molto alto il livello di diversificazione all’interno di ciascuna specie. In altre parole, si trovano diverse decine di ceppi famiglie - di batteri appartenenti alla stessa specie per un totale di quasi mille famiglie. È facile capire come l’introduzione massiccia di batteri di una o poche specie possa creare squilibri. Il canale alimentare dell’ape è composto da 4 tratti funzionali (Snodgrass, 1910), in ciascuno dei quali trova casa (nel vero senso del termine, ndR) differenti tipi

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Foto Nick Pitsas - CSIRO

BIOLOGIA

e quantità di batteri del genere “core” (Martinson et al., 2012, Anderson et al. 2013). Lactobacillus Firm5 sono presenti nel tratto digestivo e sono dominanti nel retto insieme a Lactobacillus Firm4 e Bifidobacterium (Martinson et al., 2012; Anderson et al. 2013). Due batteri molto differenti, gram negativi, formano un denso biofilm (colonia o comunità) nell’ileo, un Betaproteobacteria; Snodgrassella alvi, e un Gammaproteobacteria; Gilliamella apicola (Martinson et al., 2012; Engel et al., 2014; Kwong and Moran 2012). Questi due batteri possiedono funzioni complementari e possono produrre funzioni di protezione dello stomaco (Kwong and 52 | Apitalia | 3/2020

Moran 2012, Koch and Schmid Hempel 2011, Koch et al., 2012). Può essere utile ricordare che per quanto la larva ingoi batteri con l’alimento (sia pappa che miele sono comunque entrambi potenti microbicidi, ndR) questi sono comunque espulsi con le feci nel periodo che precede la pupazione e l’ape che nasce come adulta è praticamente sterile. In breve tempo, dopo la nascita, il tratto digestivo dall’apparato boccale al retto risulta pienamente e in maniera tipica colonizzato. Dato che le api sono delle fabbriche di trasformazione di alimenti ha significato studiare la caratteristica colonizzazione dell’apparato boccale. Si è verificato così che le comunità batteriche delle ghian-

dole ipofaringee differiscono a seconda che la dieta sia fresca o “stagionata” con diminuzione di presenza di S. alvi e aumento di presenza di F. perrara, P. apium e Bifidobacterium. Allo stesso modo varia la colonizzazione dell’apparato boccale con S. alvi meno presente e aumento di P. apium quando le api consumano polline vecchio. Similarmente per succedanei pollinici freschi e succedanei pollinici non freschi. Anche in questo caso S. alvi tende a divenire meno presente al contrario di P. apium che aumenta di numero (più generalmente polline o succedanei pollinici freschi risultano funzionali al metabolismo di S. alvi che non riesce ad essere egualmente efficace quando la dieta, pollinica


o sintetica, invecchia, riducendo la sua presenza di numero e lasciando campo a P. apium. Cosa questo comporti sulla fisiologia dell’ape nutrice ancora non è noto, ndR). Anche nell’ileo le comunità batteriche differiscono a seconda dello stato di freschezza della dieta con S. alvi che risulta meno presente lasciando il posto a F. perrara, P. apium, G. apicola. La colonizzazione del retto è normalmente dominata da Lactobacillus Firm5 e anche in questo caso il tipo di dieta va a determinare differenti presenze quantitative. Risulta differente per i batteri del retto che l’ape mangi polline vecchio o succedaneo pollinico vecchio con Lactobacillus Firm5 che diminui-

sce di presenza a favore di Bifidobacterium (anche in questo caso si può pensare che le diete sintetiche testate nello studio in questione non siano pienamente funzionali al mantenimento della flora batterica tipica e che perciò l’ape somigli in un certo modo ad un’auto che funziona a tre cilindri, ndR). La studio delle differenze prodotte dalla stagionatura del polline (vecchio anziché fresco) vedono S. alvi diminuire di presenza con invecchiamento del polline con Lactobacillus Firm4 che diventano più presenti. Anche l’invecchiamento del succedaneo pollinico produce diminuzione di presenza di S. alvi e aumento di Bifidobacterium. Nel

retto non sembrerebbero esserci particolari invasioni da patogeni - che si fermano ben prima - e le variazioni di composizione della flora batterica sembrerebbero essere correlabili a differenze nella capacità di assorbimento di nutrienti - proteine e grassi soprattutto - con conseguenze sulla produzione di pappa e da lì allevamento e salute di covata oltre che eventualmente sulla competenza immunitaria della nutrice. Gianni Savorelli La prima parte è stata pubblicata nel n. 1-2/2020

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FLORA APISTICA. Scheda n. 15

I POLLINI DI EMERGENZA

FIORI UTILI PER LE API E PER GLI ALTRI APOIDEI NELL’ITALIA CENTRALE di Giancarlo Ricciardelli D’Albore

POLLINI DI FINE INVERNO - Muscari atlanticum Boiss & Reuter (Liliaceae) (Pentolini)

DESCRIZIONE GENERICA

TEMPO DI FIORITURA

POLLINE

Perenne erbacea, alta fino a 20 cm, distribuita in Europa. Fiorisce a fine inverno. Le api raccolgono nettare e polline in abbondanza. Trattasi dunque di polline di emergenza al risveglio della colonia. Le pallottoline di polline sono colore violetto. I fiori sono visitati anche da specie del genere Anthophora.

VALORE APISTICO

Da 1 a 4: 3.

VALORE PER ALTRI PRONUBI

Da 1 a 4: 2.

ALTRI USI

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Bulbi astringenti ed emollienti. Macinati, utili come cataplasmi.


POLLINI DI FINE INVERNO - Oxalis pes-caprae L. (Oxaldaceae) (Ossalide gialla)

DESCRIZIONE GENERICA

TEMPO DI FIORITURA

POLLINE

Perenne erbacea alta fino a 30 cm, distribuita vicino al mare. Fiorisce alla fine dell’inverno. Le api bottinano buone quantità di polline e per lungo tempo. Le pallottoline di polline sono gialle biancastre.

VALORE APISTICO

Da 1 a 4: 2.

VALORE PER ALTRI PRONUBI

Da 1 a 4: 1.

ALTRI USI

BIBLIOGRAFIA

Poche foglie in insalata, poiché contiene molto ossalato di potassio, causa di calcoli renali. Per curare le affezioni della pelle; meno attiva di O. acetosella. Tosco U., 1989. Piante aromatiche e medicinali. Ed. Paoline, 295.

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Ape Sicura: e stai tranquillo Polizza di Assicurazione sulla Responsabilità Civile (R.C.) Alveari COME ASSICURARE I PROPRI ALVEARI Gli Apicoltori abbonati alla Rivista APITALIA che desiderano assicurare i propri alveari contro i rischi derivanti dalla responsabilità civile per eventuali danni procurati a terzi, debbono compilare l’apposito modulo di adesione alla Polizza collettiva “Ape Sicura” e trasmetterlo alla Segreteria della Rivista APITALIA. Gli Apicoltori abbonati alla Rivista APITALIA possono attivare una Polizza per ciascun apiario posseduto. È garantita la copertura assicurativa per un intero anno (12 mesi). Il Certificato di Polizza sarà prodotto (in formato cartaceo e/o elettronico) e trasmesso - solo a seguito dell’invio delle attestazioni di pagamento e del Modulo di Adesione - alla Segreteria della Rivista APITALIA. La volontà di recesso dalla Polizza collettiva non dovrà essere preventivamente comunicata vista l’automatica scadenza annuale della copertura assicurativa. CONDIZIONI GENERALI DI POLIZZA 1) Rischi assicurati. La Compagnia “Gruppo UNIPOL-SAI. Divisione Fondiaria” assicura a ciascun abbonato alla Rivista APITALIA - purché Apicoltore e come tale iscritto all’Anagrafe Apistica Nazionale - il pagamento delle somme che, quale proprietario-esercente l’apicoltura, sia tenuto a corrispondere, in quanto civilmente responsabile ai sensi di legge, a titolo di risarcimento per danni involontariamente cagionati a terzi, sia per lesioni a persone che per danni materiali a cose o animali, in conseguenza ad un fatto accidentale, compresi i rischi derivanti dalle operazioni di carico e scarico degli apiari e dal trasferimento da una zona all’altra degli apiari stessi, escluso il rischio della circolazione su strada di uso pubblico o su aree a questa equiparate dai mezzi impiegati (in conformità alle norme della legge 24/12/69 n. 990 e del DPR 24/11/ 70 n. 973 è infatti obbligatoria l’assicurazione per rischi di responsabilità civile auto). Sono compresi nel novero dei terzi, limitatamente a lesioni personali, gli aiutanti occasionali dell’assicurato, sempreché vi sia responsabilità dell’assicurato stesso. La polizza collettiva “Ape Sicura” copre inoltre i rischi inerenti alla partecipazione degli Assicurati a Fiere, Mostre e Mercati, compreso il rischio derivante dall’allestimento e dallo smontaggio di stand, ma con l’esclusione dei danni agli espositori ed alle cose esposte. 2) Massimali e Franchigia. L’Assicurazione vale fino alla concorrenza massima complessiva, per capitale, interessi e spese di: Euro 1.000.000,00 (un milione/00 di Euro) per ogni sinistro e relativi danneggiamenti arrecati a persona, animali e cose. Per ciascun sinistro è prevista una franchigia pari a Euro 250,00. 3) Partecipazione all’Assicurazione. Possono essere incluse nella Polizza collettiva “Ape Sicura” le persone e gli enti che siano Abbonati alla Rivista APITALIA - purché Apicoltori o Proprietari di alveari e come tali iscritti all’Anagrafe Apistica Nazionale. Per beneficiare dell’Assicurazione gli Apicoltori debbono: A) versare sul conto corrente postale n. 46157004 intestato a: FAI - Federazione Apicoltori Italiani - Roma, o con qualsiasi altro mezzo ritenuto idoneo, il premio assicurativo di 15,00 Euro (per ciascun apiario da assicurare).

La Compagnia assicuratrice si riserva di modificare l’entità del premio in base all’andamento tecnico sul rapporto sinistri/annualità; B) comunicare alla Segreteria della Rivista APITALIA con apposito modulo di adesione l’ubicazione esatta dell’apiario o degli apiari da assicurare. 4) Decorrenza. La validità della garanzia decorre dalla data di versamento del premio assicurativo, che dovrà essere contestuale alla data di sottoscrizione all’abbonamento annuale alla Rivista APITALIA, ha la durata di un anno a partire dalle ore 24 del giorno del versamento. 5) Norme e sinistri. In caso di sinistro l’assicurato deve darne denuncia scritta alla Segreteria della Rivista APITALIA - Corso Vittorio Emanuele II, 101 - 00186 Roma (tel.: 06.6877175 - 06.6852276; fax: 06.6852287; email: segreteria@federapi. biz) entro cinque giorni dal fatto o al momento in cui ne viene a conoscenza. Per i sinistri implicanti gravi lesioni corporali, l’assicurato oltre a darne notizia alla Segreteria della Rivista APITALIA, ne darà comunicazione alla Compagnia “Gruppo UNIPOL-SAI. Divisione Fondiaria” (indirizzo PEC: unipolsaiassicurazioni@pec.unipol.it), indicando anche il codice della polizza n. 159877505. Non adempiendo all’obbligo della denuncia l’assicurato perde il diritto al risarcimento. Parimenti decade da tale diritto qualora pregiudichi i legittimi interessi della Compagnia nella difesa o contro le azioni o pretese per il risarcimento dei danni che ad essa esclusivamente spetta di condurre in qualsiasi sede o modo, in nome e con la collaborazione dell’assicurato. 6) Accettazione condizioni generali e particolari. Il versamento del premio di assicurazione significa piena accettazione di tutte la condizioni generali e particolari della Polizza n. 159877505, di cui gli interessati possono, su richiesta, prendere visione, dovendosi intendere il rapporto assicurativo, indipendentemente dall’opera intermediaria della contraente, direttamente intercedente fra la Compagnia assicuratrice e i singoli assicurati e regolato unicamente dalle condizioni stabilite nella Polizza citata.

Mod. 01/2020 Questo modulo annulla e sostituisce tutti i precedenti

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Ape Sicura

Modulo di Adesione per gli Apicoltori abbonati alla Rivista

1

IL SOTTOSCRITTO.......................................................................................................................................................................................................... INDIRIZZO...................................................................................................................................................................................................................... CAP................................... LOCALITÀ.......................................................................................................................... PROVINCIA........................... TELEFONO......................................................................... EMAIL................................................................................................................................ CODICE FISCALE.............................................................. PARTITA IVA...................................................................................................................... nella sua qualità di abbonato della rivista APITALIA: a) chiede di essere incluso nella Polizza collettiva “Ape Sicura” di assicurazione per la responsabilità civile contratta a beneficio degli Apicoltori che aderiscono all’iniziativa; b) dichiara, sotto la propria responsabilità, di essere iscritto all’Anagrafe Apistica Nazionale con Codice di Allevamento n. ..........................; c) indica, qui di seguito, l’ubicazione dell’apiario che intende assicurare:

2

1. Apiario composto da n° ................. alveari Comune, Provincia........................................................................................................................................................................................................... Indirizzo, Frazione........................................................................................................................................................................................................... Località, Fondo................................................................................................................................................................................................................. Coordinate satellitari.......................................................................................................................................................................................................

NOTA BENE Utilizzare n. 1 modulo per ogni apiario da assicurare

Proseguire su altri fogli fotocopiati per eventuali altri apiari da assicurare.

Che rimette

a mezzo CCP n. 46157004 - FAI - Federazione Apicoltori Italiani - Roma

a mezzo bonifico bancario, MPS Banca - IBAN IT65T0103003283000061424927

unitamente alla presente

Data.............................................. Firma (leggibile) dell’Assicurato............................................................................................................................ Data.............................................. Firma per accettazione da parte della Compagnia............................................................................................

3

Acconsento all’utilizzo dei miei dati personali ai sensi della normativa sulla Tutela della Privacy (Art. 10 Legge n. 196/2003 e del Reg. UE 2017/679) ai fini del trattamento da parte della Rivista Apitalia e della FAI-Federazione Apicoltori Italiani per l’invio di materiale amministrativo, informativo e/o promozionale. I miei dati non potranno comunque essere ceduti a terzi e mi riservo il pieno diritto di conoscere, aggiornare, modificare o cancellare le informazioni a me riferite. Data................................................ Firma (leggibile) dell’Assicurato.......................................................................................................... Mod. 01/2020 - Questo modulo annulla e sostituisce tutti i precedenti

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INSERZIONISTI

CHEMICALS LAIF Prodotti per la cura e nutrizione delle api info@chemicalslaif.it PIACENZA EXPO - APIMELL Manifestazione apistica www.apimell.it

Gianni Savorelli

pag. 2 pag. 3

ONETTI ERBORISTERIA APISTICA Prodotti per l’apicoltura store@apistore.it

pag. 11

BEE HOUSE Prodotti per l’apicoltura info@beehouse.it

pag. 13

CIVAN Prodotti per l’apicoltura info@civan.com.tr

pag. 17

AL NATURALE Laboratorio erboristico info@alnaturale.com

pag. 19

BEESALUS Prodotti per l’apiterapi3 info@beesalus.com

pag. 25

ASS. ROMAGNOLA APICOLTORI Api regine di razza ligustica info@arapicoltori.com

pag. 27

ZOOTRADE Prodotti per la cura delle api info@beevital.it

pag. 29

GIANNI SAVORELLI Prodotti per la cura delle api giannisavorelli0@gmail.com

pag. 32

PACKIN Soluzioni per l’etichettatura info@packin.it

pag. 34

ENOLAPI Alimenti proteici per api info@enolapi.it

pag. 37

CMA DI PITARRESI MICHELE Prodotti per l’apicoltura commerciale@pitarresiitalia-cma.it

pag. 38

APICOLTURA TETTAMANTI Nuclei e api regine ligustiche tettamantiapicoltura@virgilio.it

pag. 43

LAPED Candito per api info@lapeditalia.com

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OTTOLINA Caramelle di qualità apicolturaottolina@gmail.com

pag. 51

DOMENICI Prodotti di apicoltura di erboristeria info@domenici.it

pag. 53

VITA ITALIA Prodotti per la cura delle api vitaitalia@vitaitalia.191.it

pag. 59

LEGA Prodotti per l’apicoltura info@legaitaly.com

pag. 60

Registro Stampa Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 15447 del 01.04.1974 ISSN: 0391-5522 - Iscrizione R.O.C.: 26230 Editore FAI Apicoltura S.r.l. Corso Vittorio Emanuele II, 101 - 00186 Roma - Italia - UE Telefono +39. 06. 6852556 - Fax +39. 06. 6852287 Email info@faiapicoltura.biz Direttore Responsabile Raffaele Cirone redazione@apitalia.net Redazione e Segreteria Corso Vittorio Emanuele II, 101 00186 Roma - Italia - UE Telefono +39. 06. 6852280 - Fax +39. 06. 6852287 Email redazione@apitalia.net Grafica e Impaginazione Alberto Nardi redazione@apitalia.net Comunicazione e Social Media redazione@apitalia.net Esperto Apistico Fabrizio Piacentini redazione@apitalia.net Promozioni e Pubblicità Patrizia Milione redazione@apitalia.net Stampa Tipografica EuroInterstampa Via Eleonora Carlo Ruffini 1 - 00145 Roma

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www.legaitaly.com Art. 5000SG2Y Smielatore “FLAMINGO” con gabbia radiale per 28 favi da melario Dadant, oppure 12 favi Langstroth, motore ‘Gamma2’ DATI TECNICI Art. 5000SG2Y Smielatore “FLAMINGO” Costruzione Diametro Altezza del tino Altezza totale Potenza motore Alimentazione Assorbimento massimo Velocità variabile Capacità della gabbia

acciaio inox AISI 304 Ø 700 mm 600 mm 1100 mm 100W 220 V-24 V 120W da 0 a 480 RPM (inversione di marcia) 28 favi da melario Dadant 12 favi Langstroth

Questo smielatore, modello FLAMINGO, come tutti i nostri smielatori ha il fondo con una forma particolare, progettata per ottenere lo svuotamento totale del miele e saldati col sistema TIG. È molto importante la gabbia MULTIFUNZIONALE in acciaio inox tagliato al laser, che può contenere sia 28 favi da melario Dadant che 12 favi Langstroth. Nella stessa gabbia si possono smielare anche 4 favi da nido Dadant con l’aggiunta di 4 pannelli supplementari (non compresi nel prezzo). La nuova motorizzazione “GAMMA2” ha una potenza di 100W e una rampa di accelerazione più veloce. Il nuovo dispositivo blocca coperchio di sicurezza consente di aprire il coperchio nell’attimo in cui la gabbia si ferma, senza alcuna attesa. Tre robuste gambe diritte smontabili danno stabilità allo smielatore. Rubinetto Ø 40 mm in plastica alimentare.

srl Costruzioni Apistiche Via Maestri del Lavoro, 23 48018 Faenza ITALY - Tel: +39 0546 26834 info@legaitaly.com


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