Apitalia 4/2020

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Apitalia - Corso Vittorio Emanuele II, 101- 00186 - Roma - ITALY - UE - ISSN: 0391 - 5522 - ANNO XXXXV • n. 4 • Aprile 2020 •- 705 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) Art. 1 Comma 1 – Roma Aut. C/RM/18/2016

| Testata giornalistica fondata nel 1974 | Direttore Raffaele Cirone |

EMERGENZA COVID-19





EDITORIALE

L’APICOLTURA ESSENZIALE

CORONAVIRUS: NON CI SIAMO MAI FERMATI, NEANCHE NEI 30 GIORNI PIÙ SCONVOLGENTI

DIRITTI E DOVERI NELL’ITALIA DELLE API LEGALI

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essuno mai avrebbe immaginato che in brevissimo tempo ogni esistenza al mondo sarebbe stata completamente stravolta e per sempre. Purtroppo, invece, la realtà è andata oltre ogni immaginazione. Mentre la quasi totalità dei cittadini si apprestava a fare i conti con il significato di epidemia, o con l’importanza vitale dei dispositivi di protezione individuale, ma soprattutto con un virus sconosciuto che scaraventa il Pianeta in una terza guerra mondiale e di come igiene e distanziamento siano le sole armi utili ad evitare malattie e contagi. Un incubo, quello del Covid-19, che terrorizza chiunque e che solo a noi apicoltori è parso, in tutto e per tutto, tragicamente familiare. Noi che avevamo già avuto la nostra pandemia - la varroasi - che ancora distrugge implacabile gli alveari nel mondo, noi che avevamo già pianto i nostri morti quando non avevano indossato le giuste protezioni e l’ape si era ribellata, noi che avevamo già conosciuto virus letali per le nostre api, noi che con l’igiene abbiamo imparato ad evitare contagio da pesti e sempre noi che da anni sappiamo che l’apicoltura intensiva va bilanciata col distanziamento. Eravamo privilegiati, le nostre disgraziate esperienze ci stavano mostrando, nell’infinitamente piccolo, l’anteprima di un immensamente più grande accadimento. Ecco perché abbiamo lavorato dando priorità al principio che tutti potessero dedicarsi ai propri alveari. Ora sappiamo che l’apicoltura, solo se svolta nella legalità, può dirsi essenziale e motivare spostamenti di chi ha il dovere di difendere le api e il diritto di chiamarsi Apicoltore. Questa è la nostra missione, è una lezione di vita, è un motivo d’orgoglio. Raffaele Cirone

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SOMMARIO

Apitalia N. 705 | 4/2020 gli articoli 5 EDITORIALE L’apicoltura essenziale

Raffaele Cirone

25 AGENDA LAVORI. ISOLE Prove di stress

8 PRIMO PIANO L’era Coronavirus

Nostro Servizio

41 EVOLUZIONE Selezione naturale 45 BIOLOGIA Se la dieta probiotica sviluppa patogeni parassiti

Vincenzo Stampa Matteo Giusti

Gianni Savorelli

48 STORIA Divino idromele

Angelo Camerini

53 ARTE Estetica dell’ape

Renzo Barbattini e Giuseppe Bergamini

12 AGENDA LAVORI. NORD-OVEST Massima attenzione Alberto Guernier 15 AGENDA LAVORI. NORD-EST Limitare la sciamatura Giacomo Perretta 18 AGENDA LAVORI. CENTRO Ora dare spazio

Matteo Giusti

22 AGENDA LAVORI. SUD Api più cagionevoli

Santo Panzera

lo speciale

INSETTI UTILI IN DECLINO Maurizio Ghezzi

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RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO PER LA TUTELA DEGLI IMPOLLINATORI


i nostri recapiti

i nostri riferimenti: per pagare

Noi non ci possiamo fermare, le api sono essenziali. Lo stabiliscono le nostre norme di legge: se gli alveari sono denunciati all’Anagrafe Apistica Nazionale, gli apicoltori possono andare ad accudirle, nutrirle, curarle. Ma debbono sempre collaborare con le Forze dell’Ordine, avere tutte le certificazioni necessarie, evitare viaggi inutili, stare a casa il più possibile. Per il bene nostro, per il bene di tutti. (Copertina Alberto Nardi)

hanno collaborato a questo numero Alberto Guernier, Giacomo Perretta, Matteo Giusti, Santo Panzera, Vincenzo Stampa, Maurizio Ghezzi, Gianni Savorelli, Angelo Camerini, Renzo Barbattini, Giuseppe Bergamini, Fabrizio Piacentini, Patrizia Milione, Alessandro Patierno.

abbonamenti: quanto costano 1 anno (10 numeri carta) € 30,00 2 anni (20 numeri carta) € 54,00 Italia, una copia/arretrati € 5,00 Estero: varia per area geografica, richiedere preventivo

Le immagini dello Speciale Impollinatori sono tratte dalla pubblicazione “European Red List of Bees” realizzata dalla Commissione dell’Unione Europea e curata dalla IUCN - Unione Internazionale per la Conservazione della Natura. La loro riproduzione ha esclusiva finalità didattica: Apitalia ringrazia l’Editore, gli Autori, i titolari di copyright delle foto pubblicate per questo uso esclusivo a corredo della Risoluzione del Parlamento Europeo.

marcatura dell’ape regina Secondo un codice standardizzato, le regine sono marcate con un colore (tabella a lato) per permettere all’apicoltore di riconoscerne l’anno di nascita

azzurro

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(ultimo numero dell’anno di allevamento, esempio “2020”)

i nostri VALORI “Il mio non sol, ma l’altrui ben procuro” è il motto che accompagna le firme storiche dell’editoria apistica italiana da cui Apitalia trae origine.

Una Giuria internazionale ci ha premiati come miglior rivista di apicoltura, per i contenuti tecnico-scientifici e la qualità fotografica.

La moneta di Efeso, con l’ape come simbolo riconosciuto a livello internazionale già 500 anni prima di Cristo.

Abbiamo sottoscritto “Il Manifesto di Assisi”, per un’economia a misura d’uomo. Come apicoltori ci riconosciamo nel Tau.

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PRIMO PIANO

L’ERA CORONAVIRUS

APICOLTORI AUTORIZZATI A SPOSTARSI MA LE REGOLE VANNO SEMPRE RISPETTATE Nostro Servizio

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sceva la necessità di effettuare le visite, procedere ai pareggiamenti, organizzare i lavori della ripresa stagionale via via sempre più impellente. Così la FAI ha iniziato a muovere i primi passi in questa direzione, elaborando i consigli necessari ad affrontare i crescenti problemi burocratici su come muoversi, da apicoltori, nel “teatro di guerra”. Va dato atto alla Prefettura di Lodi di aver subito agevolato l’operato di tutti gli agricoltori, addirittura predisponendo una modulistica online per la richiesta delle autorizza-

IN APIARIO SOLO SE ISCRITTI ALLA BDA

Foto Apicoltura Fasoli

ronaca dal mondo dell’apicoltura nell’era del Covid-19. Il primo segnale di cosa potesse esser davvero capace di fare il Coronavirus, in apicoltura, lo abbiamo avuto già nel corso del mese di febbraio 2020. È in quei giorni, infatti, si iniziò a percepire come la situazione dell’intera Lombardia, e della provincia di Lodi per la precisione, stesse esplodendo. Non solo dal punto di vista sanitario e con i tristissimi effetti cui abbiamo tutti assistito impotenti, ma anche dal punto di vista apistico. I conseguenti provvedimenti di blocco degli spostamenti per la popolazione, l’istituzione della prima “zona rossa”, hanno anticipato lo scenario di quello che in seguito, dopo oltre un mese, sarebbe diventato un complicato problema per tutti, un’emergenza, una catastrofe nazionale e internazionale. Le prime richieste di cosa e come era corretto fare, in un tale contesto, ci sono arrivate da quegli apicoltori che hanno apiari all’interno dei territori sottoposti a restrizione, ma che risiedono all’esterno, spesso anche fuori provincia. Erano i primi giorni di vero sole, cre-


Foto Aurelio Negroni

zioni giornaliere a ingresso e uscita in “zona rossa”. Ti potevi collegare al sito, scaricare, compilare e rispedire il modulo attraverso uno specifico indirizzo di posta elettronica e in meno di 24 ore ti giungeva una risposta che, se affermativa, valeva come documento da esibire ai posti di blocco. Nel frattempo, ai primi giorni di marzo 2020, l’emergenza è andata allargandosi anche nella confinante provincia di Piacenza. Sappiamo tutti come sarebbe andata a finire, anche in questo territorio martoriato, ma in quel momento tutti abbiamo accettato a malincuore il primo e il secondo rinvio dell’Apimell, la Fiera Nazionale dell’Apicoltura. Non ci stavamo rendendo ancora conto di quello che sarebbe successo nel frattempo. Il Coronavirus è andato dilagando in Veneto e via via in tutti gli altri territori del Nord, del Centro e del Sud d’Italia, Isole comprese. All’impennata dell’epidemia ha fatto seguito quella serie di Decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri che disponevano divieti di spostamento per quasi

tutti i cittadini, modulistiche per le necessarie autocertificazioni e ragioni che potevano motivare, solo in particolari casi, la reale possibilità di spostamento. In un momento in cui tutta la filiera apistica italiana si stava interrogando sulla possibilità o meno di poter svolgere regolarmente l’attività, tempestivo e chiarificatore è stato ogni intervento che la FAIFederazione Apicoltori Italiani ha prontamente assicurato scegliendo di estendere le proprie circolari informative a tutte le Associazioni e a tutti gli Apicoltori, anche quando non associati. La prima circolare dedicata all’emergenza Coronavirus è stata emanata già il 5 Marzo 2020 (Sospensione di tutte le attività convegnistiche e formative delle Associazioni apistiche), sono poi seguite quelle del 10 Marzo (Procedure di Spostamento degli Apicoltori), del 13 Marzo (Procedure di spostamento degli Apicoltori con Collaboratori), del 22 Marzo (Definizione di Apicoltura essenziale). Un tema, quest’ultimo, che nel giro di poche ore ha raggiunto

decine di migliaia di visualizzazioni e condivisioni (oltre 30 mila) a dimostrazione di quanto fosse sentito il bisogno di un chiarimento su una materia così specifica. Solo il 23 Marzo il Ministero della Salute, attraverso la nota di un funzionario della Direzione Generale dei Servizi Veterinari, che al momento dobbiamo considerare ancora informale, scrive alle Organizzazioni apistiche nazionali chiarendo che gli Apicoltori che operano con partita IVA, come pure gli Apicoltori che operano in autoconsumo, possono recarsi nei loro allevamenti. Trova così indiretta conferma, ammesso che ve ne fosse bisogno, l’indicazione che la FAI aveva già diffuso agli Apicoltori e alle Istituzioni competenti (Ministeri della Salute e dell’Agricoltura, Forze dell’Ordine). Destituite di ogni fondamento, dunque, le informazioni che alcuni presidenti di associazioni territoriali hanno diramato a proposito della emanazione di una Ordinanza ufficiale del Ministero della Salute generando confusione in un momento e in un modo del tutto 4/2020 | Apitalia | 9


PRIMO PIANO approssimativo e inopportuno. Ma cosa dicevano le note informative della FAI e quali aspetti cruciali sono stati chiariti nel momento della dichiarazione di pandemia da Coronavirus e quindi quando le Autorità andavano disponendo misure di contenimento del Covid-19 impedendo spostamenti inutili e bloccando gran parte delle attività produttive? Prima di ogni altra cosa la FAI ha predisposto modelli di certificazione aggiuntiva alle autocertificazioni predisposte dal Ministero dell’Interno. In tali moduli l’Apicoltore aveva la possibilità di dichiarare la propria qualifica di operatore del comparto agricolo, ai I DOCUMENTI NECESSARI

1) Modulo di autocertificazione del Ministero dell’Interno, ultima versione, si trova anche sui siti internet della FAI. 2) Il documento di identità. 3) I moduli aggiuntivi di autocertificazione come “Apicoltore” e come “Collaboratore”. Si trovano sui siti internet della FAI. 4) Il certificato di iscrizione alla BDA dell’Anagrafe Apistica Nazionale dove si evidenzia la postazione dell’apiario da visitare. Lo richiedi alla FAI, alla tua Associazione, a chi detiene la tua delega o alla ASL.

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sensi della Legge n. 313/2004 per la Disciplina dell’Apicoltura. Poi sono stati predisposti moduli di certificazione aggiuntiva per qualificare correttamente l’eventuale collaboratore (familiare o esterno) che insieme all’Apicoltore aveva giusto titolo per recarsi in apiario. Altri moduli di certificazione aggiuntiva, inoltre, sono stati messi a punto per le richieste da avanzare ai responsabili delle varie “zone rosse” che nel frattempo venivano istituite in svariati territori; moduli che contenevano le dichiarazioni da rendere alle Autorità competenti, che fossero i Prefetti o i Sindaci a seconda delle normative regionali vigenti. La questione che più di tutte ha messo in agitazione il comparto apistico nazionale, è stata comunque quella ingenerata irresponsabilmente da quanti ancora utilizzano, a sproposito, il termine “apicoltore hobbista”. Al riguardo la FAI ha chiarito una volta per tutte che tale categoria non è contemplata dall’ordinamento giuridico nazionale. Sono invece previste tre figure cosiddette “civilistiche”, come stabilito dalla Legge 313/2004 per la Disciplina dell’Apicoltura: l’apicoltore inteso come colui che detiene e conduce alveari, l’imprenditore apistico inteso come colui che esercita l’attività ai sensi dell’articolo 2135 del Codice civile e l’apicoltore professionista inteso come colui che svolge l’attività in forma esclusiva. Tutti gli Apicoltori, dunque, se rispettosi della normativa vigente; tutti nel diritto e anzi, nel dovere, di impegnarsi per l’accudimento dei propri alveari che equivale al

mantenimento del patrimonio apistico nazionale e alla produttività della filiera agroalimentare italiana. Un ultimo aspetto, tuttavia, andava doverosamente chiarito visto che a molti ancora sfugge: essere apicoltori comporta l’obbligo di denuncia dei propri alveari alla Banca Dati dell’Anagrafe Apistica Nazionale. Questo, come ha puntualmente precisato la FAI, è il vero discrimine tra chi, per legge, può definirsi “Apicoltore” e chi, invece, è solo passibile di una multa fino a 4000,00 euro per non aver osservato l’obbligo di denuncia dei propri alveari e non ha diritto neanche di spostarsi presso i propri allevamenti “in nero”. Il discrimine, pertanto, non è tra chi opera in autoconsumo (quasi fossero figli di un Dio minore) e chi opera con partita IVA, cioè a fini commerciali. Il discrimine è tra chi rispetta la legge e ha il diritto di chiamarsi Apicoltore e chi, invece, opera nella illegalità, e altro non può definirsi se non un furbacchione di cui la filiera apistica nazionale farà sempre volentieri a meno. Ciò non toglie, in conclusione, che chi non l’ha ancora fatto possa finalmente decidere di denunciare i propri alveari e iscriversi all’Anagrafe Apistica Nazionale: non sarà un eroe, come non lo è nessun altro di noi, ma di certo darà un concreto contributo a fare più forte l’Italia delle api che ora più che mai ha chiamato tutti a fare il proprio dovere. Che è quello di mantenere in vita il patrimonio apistico nazionale che è risorsa preziosa per tutti.



AGENDA LAVORI. NORD-OVEST

MASSIMA ATTENZIONE

PER L’ALLEVAMENTO APISTICO È IL MOMENTO PIÙ EMOZIONANTE di Alberto Guernier

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tranelli della natura nei quali noi apicoltori, ma anche le stesse api, possiamo facilmente incappare. Cerchiamo di drizzare tutti, quindi, le nostre antenne. Abbiamo visto come i ritorni di freddo, anche piuttosto importanti, siano ormai una costante. Altro problema rilevato negli ultimi anni è la cronica carenza di scorte zuccherine che si verifica proprio in questo periodo; fortunatamente, la stessa cosa non sembra av-

BARRA A DRITTA SULL’ACACIA

Foto Beethic.com

ioia o dolori che siano, indifferentemente dal sole o dalla pioggia (condizioni queste che non fanno parte delle scelte a disposizione dell’apicoltore), dal caldo umido che empie il bosco di note dolci, alla pioggia che piega le fronde fino a spezzarle. È questo il momento di esprimere in apiario tutta la nostra maestria: prevenzione della sciamatura, quindi, pareggiamenti, valutazioni sanitarie, spostamenti, ed infine posa opportuna dei melari! Comunque vada, adesso è il tempo di mettere in campo tutta la teoria che siamo riusciti ad apprendere, associata ad anni e anni di esperienza, dimostrando in pratica che abbiamo maturato una nostra tecnica di base: solo questa ci permetterà di agire con la dovuta sicurezza e coerenza. Anche se siamo orfani di un Apimell - la Fiera nazionale dell’apicoltura che si sarebbe dovuta svolgere ai primi di marzo (ndR), che segnava il via della stagione, con gli scambi di opinioni, le ultime novità dei convegni, gli acquisti per far fronte alle esigenze di tutta la stagione - vorrei fare alcune considerazioni su quelle che a mio avviso, sono le nuove criticità: i


venire per la presenza di scorte di polline, in quanto esse riescono ad essere sempre abbastanza presenti nei nidi fin dalla fioritura del nocciolo, la prima dell’anno per importanza quantitativa. Il periodo della fioritura dell’acacia, infine: questo, un tempo, era facilmente individuabile e pressoché identico di anno in anno, ora risulta una vera e propria incognita. Unico dato certo, ma comunque da prendere con le molle, è l’andamento generale delle fioriture, soprattutto quelle primaverili, che ormai da molti anni, tende ad essere sempre più anticipato. Ecco perché anche su questo punto dobbiamo per forza di cose esser

capaci di navigare a vista e prendere decisioni al momento. Abbiamo imparato quanto sia importante portare in inverno famiglie con notevoli quantità di scorte, diminuendo, per conseguenza, il bisogno delle nutrizioni invernali. Anche se, nutrire in inverno, con temperature incredibilmente miti, sembra non costituire più un problema, se non il peso in termini economici dovuto al costo del candito e all’impegno che ne deriva per la sua somministrazione. Ribadirei che limitare l’uso della nutrizione sia sinonimo di buona pratica apistica. è buona norma, infatti, evitarla o sospenderla all’approssimarsi della produzione, al fine di evitare che, malau-

guratamente, parte degli zuccheri somministrati, finiscano per contaminare le importazioni di nettare sul melario. Se sul finire della stagione, le nutrizioni possono essere date con una certa approssimazione (come anche durante l’inverno), adesso è invece necessario porre la massima attenzione, operando periodiche valutazioni e, comunque, evitando di nutrire qualora vi sia sufficiente importazione; questo vale già per la fioritura del ciliegio, che precede quella dell’acacia. Parimenti, in primavera le nutrizioni devono essere fatte solo ed esclusivamente per accertato soccorso. Fanno ovviamente eccezione i nuclei di nuova formazione

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(qualora si sia già iniziata la loro costituzione) che non saranno certamente in condizione di produrre miele e formarsi scorte adeguate. Le classiche nutrizioni, definite stimolanti, con l’utilizzo di nutritori appositi che consentono somministrazioni minime per lunghi periodi, possono essere utilizzate, purché risultino tali da non andare a costituire scorte significative; tali nutrizioni dovranno comunque essere interrotte per tempo. Il loro utilizzo, inoltre, va valutato con attenzione: potremo infatti trovarci con famiglie troppo avanti (sviluppate), rispetto alla fioritura, situazione che non sempre costituisce un vantaggio, in quanto questo è anche un incentivo alla sciamatura. A maggior ragione, se già in inverno, le famiglie erano già state sottoposte a nutrizioni zuccherine artificiali, in queste condizioni (inverni con temperature alte che consentono alle api di volare ininterrottamente) risultano anche stimolanti della covata! In apicoltura, bisogna fare i conti con questo paradosso: non basta avere famiglie “grosse” per produrre, è necessario infatti che lo siano in uno specifico momento! Altra cosa da tenere in considerazione sono le api divenute bottinatrici che portano a casa il nettare; avere quindi molte api, di età non ancora adeguata, non ci sarà di aiuto. Da sempre, le tecniche apistiche si sono basate sui tempi; in un periodo di incertezza, si deve mirare ad avere famiglie in crescita per un periodo piuttosto lungo, evitando 14 | Apitalia | 4/2020

gli eccessi (quelli vanno bene per essere postati sui social...). Arrivare “tirati” su una fioritura di acacia, che magari, per il freddo, ritarda di una settimana, potrebbe invece crearci notevoli problemi con le sciamature. Per concludere: occorre seguire l’evoluzione della singola famiglia, cercare di livellarla, riducendone o aumentandone la “forza” sulla base delle nostre percezioni ed esperienze, tanto da risultare sostenibile per l’intero periodo. Allorquando la regina avrà pressoché esaurito lo spazio a sua disposizione, le api ceraiole avranno esaurito il loro lavoro, la covata opercolata avrà raggiunto livelli molto elevati e, sui favi, i cupolini segnaleranno covata, una moltitudine di api avrà riempito ogni spazio disponibile: la soglia sarà stata superata e a poco o nulla serviranno i nostri futuri sforzi. Solo un’attenta valutazione delle scorte, covata, spazio a disposizione e, soprattutto, api bottinatrici,

Foto Apicoltura Mazzotti

AGENDA LAVO RI. NORD-OVEST

ci può dare indicazioni sulle tempistiche da adottare. Qualora vedessimo che i tempi invece si allungano, possiamo scrollare leggermente qualche favo di covata opercolata, facendo cadere le api più vecchie (io consiglio di non togliere più di un favo alla volta) e, se non si prospettano giorni di pioggia, possiamo dare anche due favi nuovi per volta da costruire. La sciamatura può essere anche efficacemente controllata togliendo api; facciamo però attenzione, che il tempo a disposizione sia sufficiente per il loro ripristino all’interno della colonia. Per un miglior controllo sanitario degli allevamenti, si raccomanda di ridurre al minimo il fenomeno della sciamatura con la conseguenza perdita degli sciami, fenomeno questo che viene ancora troppo spesso sottovalutato. Auguro una buona annata apistica a voi tutti! Alberto Guernier


AGENDA LAVORI. NORD-EST

LIMITARE LA SCIAMATURA

SERVONO API REGINE GIOVANI E SELEZIONATE PER TALE CARATTERE di Giacomo Perretta

SCELLATURA INDEBOLIMENTO

apicoltori. L’esperienza che stiamo vivendo, in questo periodo dell’emergenza Coronavirus, ci dice quanto sia importante per noi l’altrui professionalità e per gli altri ogni nostro comportamento. LA SCIAMATURA Questo, che ci piaccia o no, è il mese in cui iniziano le sciamature, e che cosa dire di questo fenomeno di quanto non è già stato scritto? Eppure ogni volta penso a quel nuovo lettore che spesso è un giovane apicoltore con mille

Foto dig0mite

E RINFORZO

I

l lavoro dell’apicoltore è ormai nel pieno delle sue attività, impegnato tra uno sguardo al cielo e uno all’apiario, spera che il tempo sia clemente e gli apiari laboriosi, ovvero produttivi. L’apicoltore è consapevole che le proprie aspirazioni sono indipendenti dal tempo, ma dipendenti dalla propria e altrui professionalità. Sì, avete letto bene: altrui professionalità! È per questo che suggerisco un momento di opportuna riflessione, nel rispetto del vostro lavoro e di quello di altri

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Foto Giampaolo Riva

AGENDA LAVORI. NORD-EST

curiosità e soprattutto voglia di continue conferme; la lettura è una specie di esorcizzazione della paura, leggere porta a riflessioni che nessun’altra forma può aiutare ad avere. I quesiti che mi arrivano riguardano quasi tutti richieste di aiuto e suggerimenti per interpretare articoli letti o riferibili ad essi; questo mi porta a concludere che in Italia non è vero che si legga poco come ci dicono. Mi sento di suggerire dunque, ai giovani apicoltori, una più attenta riflessione sulle letture, a volte sembrano complicate ma poi diventano, dopo un’adeguata riflessione, molto semplici: la lettura porta ad anticipare la vostra esperienza. LA SCELLATURA Ritorniamo alla sciamatura e a come si procede per “evitarla”; uno degli interventi avrebbe già dovuto essere fatto, ovvero quello di pareggiare gli alveari, indebolendo 16 | Apitalia | 4/2020

i più forti e rinforzando quelli più deboli; ma non preoccupatevi se non ci avete già pensato, l’importante è intervenire il prima possibile e più precisamente prima che ci sia in alveare una qualche intenzione sciamatoria. Per i neofiti ricordo che la presenza di cupolini è una intenzione, ma se al centro vi trovate un ovetto o una piccola larvicina è già tardi, tardissimo se trovate celle reali già formate, e a nulla servirà toglierle ogni 5 giorni, se poi da una cella ben nascosta sfarfallerà una regina. A questo punto la sciamatura si può solo utilizzare. Quindi se per qualsiasi motivo non avete effettuato la tecnica del pareggiamento potrete sempre utilizzare la tecnica della scellatura, cioè togliere le celle reali ogni 5-7 giorni: nel fare questo vi consiglio di scrollare le api dal telaino altrimenti è facile saltare qualche “culla” reale e allora il lavoro risulterà del tutto inutile.

INDEBOLIRE E RINFORZARE Un altro metodo o tecnica è l’indebolimento della famiglia per poi rinforzarla al momento del bisogno; anche questa è una procedura molto semplice, ma necessita di materiale. Quando vi sarete accorti della presenza di celle reali, non dovrete far altro che prendere la regina con un paio di telaini di covata e spostarla formando un nucleo; nell’alveare di origine dovrete togliere tutte le celle reali, poi dopo circa 5/6 giorni eliminare le altre eventuali celle reali che nel frattempo saranno state costruite. Fatto questo, quindi, il giorno dopo riunirete la vecchia regina con gli altri telaini, aiutati dalla tecnica del foglio di giornale. EVITARE LA SCIAMATURA È difficile evitare la sciamatura se non si è esperti, assicuro che anche per gli apicoltori più smaliziati non è cosa facile. La regola


principale è di arrivare al raccolto con api sufficienti, non sovrabbondanti, perché inevitabilmente si determinerebbe sciamatura. Si dovrebbe iniziare a marzo pareggiando, cioè spostando favi di covata da un alveare ad un altro, calcolando di arrivare alla fioritura, ad esempio dell’acacia di fine aprile, con gli alveari giunti allo stesso potenziale e sufficientemente popolati per garantire un abbondante raccolto. Faccio un semplice calcolo per aiutarvi a capire. Un telaino con entrambi i lati di covata opercolata produrrà almeno 3 telaini di api; se calcoliamo che sono necessari circa 10 giorni per la nascita dell’ape (dal momento dell’opercolatura) e una quindicina per diventare bottinatrice, dovremo preparare l’alveare almeno 30-40 giorni prima del raccolto. Durante il raccolto la sciamatura è molto rara. Vi suggerisco di osservare la famiglia davanti la porticina d’in-

gresso, quando avrà deciso di sciamare la vedrete indolente e poco attiva, questo segnale vi dovrà preoccupare; generalmente in tale condizione la sciamatura avviene entro un paio di giorni, ovviamente il meteo è una componente importante per far decidere ad una famiglia di separarsi in quel preciso momento. La parte comune a tutte le tecniche per “evitare la sciamatura”, anche se io preferisco più correttamente chiamarla “tecniche per la limitazione della sciamatura”, resta quella di avere sempre regine giovani che provengano da famiglie non inclini alla sciamatura e cioè selezionate per questo particolare carattere. Buon lavoro. Giacomo Perretta

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AGENDA LAVORI. CENTRO

ORA DARE SPAZIO

SE SCAMBIATE API TRA FAMIGLIE CONTROLLATE LO STATO DI SALUTE di Matteo Giusti

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uesto è un periodo cruciale (tempo permettendo) per il ciclo biologico degli alveari nelle zone del centro Italia e di conseguenza anche per i lavori dell’apicoltore. Il numero delle api e della covata all’interno di un alveare è in pieno sviluppo e ha una crescita esponenziale: è in questo periodo che inizia la stagione della sciamatura e le prime produzioni di miele e di polline. Ma se il tempo gira al brutto, purtroppo, è anche un periodo in

cui non va sottovaluta l’importanza della nutrizione di soccorso. È insomma un mese pieno di impegni. Vediamo allora cosa c’è da fare in apiario. Il controllo della sciamatura è la prima cosa cui badare. Bisogna evitare che gli alveari sciamino è fondamentale per ottenere buone produzioni di miele, in particolare di miele di acacia, che andrà a fiorire tra la fine del mese di aprile sulla costa, alla fine di maggio in montagna. La sciamatura infatti è un

INIZIARE LA RACCOLTA DEL POLLINE

Foto Matteo Giusti

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fenomeno naturale assolutamente positivo, è la forma di riproduzione del superorganismo alveare, ma comporta un dimezzamento della popolazione dell’alveare stesso, che quindi sarà meno produttivo in quanto avrà a disposizione meno operaie bottinatrici. Se non si riesce a recuperare lo sciame che è uscito dall’arnia, inoltre, si deve aggiungere la perdita pure di metà delle api. Per ritardare il periodo di sciamatura è importante dare spazio alle api, inarniando in arnie gli sciami artificiali che sono nei portasciami, o bilanciando le famiglie, togliendo telai di covata e di api alle famiglie più forti per fare nuove famiglie, darle a quelle meno forti per rin-

forzarle. In questo ultimo caso è importante essere sicuri della salute dell’alveare più debole a cui si danno, perché se fosse malato (di qualsiasi malattia, anche di covata calcificata) andremmo a contagiare anche le api sane provenienti dalla famiglia forte, che potevano altrimenti esser usate per fare sciami o rafforzare un’altra famiglia. In ogni caso, quasi sicuramente il periodo della sciamatura arriverà. E inizia dal momento in cui le api iniziano ad allevare le celle reali. A questo punto il metodo più efficacie per evitare la sciamatura è l’eliminazione delle celle reali prima che nasca la nuova regina, quella che alcuni con un termine bruttissimo chiamano “scellatura”.

Questo metodo, per quanto un po’ laborioso, se fatto bene ha una efficacia praticamente del 100%. È infatti la nuova regina che quando sfarfalla dà il segnale (il cosiddetto canto della regina) alla vecchia di partire con lo sciame. Ma se la nuova non nasce, la vecchia non esce e quindi non si ha la sciamatura. Per fare un intervento efficacie è necessario rimuovere tutte le celle reali presenti nell’alveare almeno una volta ogni 10 giorni. Tutte: se ne resta anche solo una l’alveare sciamerà. Ogni 10 giorni perché il tempo di sviluppo di una regina da uovo ad adulto è di 16 giorni, ma le api possono allevare una regina partendo anche da una larvetta di operaia di 3 giorni. Tre giorni

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di larva più i 3 giorni che è durato l’uovo fanno 6 giorni, in questo caso quindi, se le api allevano una regina a partire da una larva di operaia di 3 giorni, dopo 10 giorni nascerà la uova regina e ci sarà la sciamatura. E succede. Per essere sicuri di rimuovere tutte le celle reali è necessario controllare tutti i telaini con attenzione e senza api sopra e rimuoverle o spaccarle con la leva. Tutte, che siano opercolate o meno, grandi o piccole. È importante controllare ogni lato del telaino e anche i bordi. Per rimuovere le api basta scuotere delicatamente ma con decisione il telaio sopra l’arnia facendo ricadere le api dentro. È consigliabile non scuotere il telaio fuori dall’arnia perché se ci fosse la regina, resterebbe fuori. Come dicevamo questa operazione va fatta ogni 10 giorni, ma secondo alcuni è consigliabile farla una volta alla settimana per due motivi: è più facile come organizzazione e si ha un margine di tempo di 3 giorni 20 | Apitalia | 4/2020

nel caso in cui un giorno, per qualche motivo, non si possa andare. Lavorando una volta a settimana si può infatti scegliere un giorno da dedicare a questa operazione, un giorno in cui siamo più liberi e siamo sicuri di poterlo fare. Poi eventualmente si può andare anche il giorno dopo o fino a 3 giorni dopo. Lavorando invece ogni 10 giorni succede che il giorno dedicato capiti di sabato o di domenica, che finisca in un giorno in cui ci sono impegni familiari o di lavoro, e andare il giorno dopo sarebbe già troppo tardi. Il lavoro di rimozione delle celle reali per essere efficacie al 100% deve andare avanti fino a che le api non smetteranno di costruire le celle reali, il che vuol dire a volte continuare fino agli inizi di giugno. La posa dei melari e l’attività di raccolta su fioriture importanti come l’acacia riducono il rischio di sciamatura, ma non lo azzerano. Quindi se si vuol essere sicuri si deve continuare il lavoro anche con

Foto Chikako Nobuhara

AGENDA LAVORI. CENTRO

i melari, settimana dopo settimana, pioggia o sole, fino alla settimana in cui la maggior parte degli alveari avrà smesso di costruire celle reali. Per quanto riguarda le produzioni aprile può essere già un mese interessante sia per il miele che per il polline. Per il miele, soprattutto in alcune zone più miti, possono esserci già interessanti fioriture per ottimi millefiori o anche di fioriture adatte alla produzione di monoflora come ad esempio l’erica (foto sopra), a meno che la sua fioritura non sia stata troppo anticipata a marzo. Il melario in ogni caso ha senso metterlo agli alveari che abbiano uno sviluppo adeguato, cioè che abbiano almeno il 70-80% dei favi contenti covata. Anche per il polline aprile è un mese importante perché c’è la fioritura di una delle principali essenze da polline, sia per qualità che per quantità: il salice. Anche in questo caso però è importante mettere le trappole per la raccolta alle famiglie forti,


meglio se riunite in apiari di forza omogenea. Alcuni suggeriscono di mettere le trappole a tutti gli alveari per evitare effetti deriva. È vero anche però che le famiglie più deboli è bene lasciarle lavorare per il loro sviluppo e comunque non darebbero grandi produzioni di polline, quindi non avrebbe neanche senso economico sottrarglielo. Ma ad aprile non va sottovaluta nemmeno l’alimentazione di soccorso delle api. Soprattutto in questi anni di primavere fredde e piovose la nutrizione di soccorso può avere un ruolo fondamentale e a volte anche vitale. Le famiglie in pieno sviluppo, con alcuni telai di covata opercolata, hanno un fabbisogno energetico elevatissimo. Te-

nere a temperatura costante molti decimetri quadrati di covata è infatti enormemente più dispendioso che mantenere la temperatura costante nel cuore del nucleo. Questo vuol dire che scorte che in inverno possono essere sufficienti per lunghi periodi, in condizioni di molta covata possono essere consumate in pochi giorni. Basta quindi una perturbazione più lunga o un ritorno di freddo a mettere a rischio anche la sopravvivenza degli alveari. In caso di periodi lunghi di condizioni meteo avverse è necessario controllare spesso, almeno una volta a settimana, la disponibilità di scorte e in caso provvedere a integrale. Per condizioni avverse si intende tutte le condizioni non

adatte al volo, quindi o pioggia, o vento forte, o temperature diurne più basse di 12 °C. Per gli alimenti da dare, in questo periodo e per queste esigenze, i più indicati sono gli sciroppi ad alta densità di zucchero (cioè che “mimano” la consistenza del miele e non del nettare), che da un lato non stimolano l’attività di ovideposizione della regina, che aumenterebbe le richieste energetiche in breve tempo, ma non rischiano di creare contaminazione di amidi nel miele che da lì a poco si spera comunque di andare a produrre. Buon lavoro. Matteo Giusti

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AGENDA LAVORI. SUD

API PIÙ CAGIONEVOLI

L’IGIENE È LA PRIMA MEDICINA POI CONOSCENZA E ADATTAMENTO di Santo Panzera

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inducono in molte specie botaniche un anticipo marcato delle fasi fenologiche (germogliamento, fioritura, maturazione), determinando condizioni di alimentazione alquanto squilibrate, le nostre api risultano molto più sensibili a qualunque problema possa interferire con la loro sopravvivenza: malattie, intossicazioni da pesticidi, per prime. Passando ai lavori in apiario, questo è un periodo di intenso lavoro, nel quale è necessario mettere in campo un buon ed efficiente gioco di squadra tra api ed apicoltore,

SOLO REGINE SEMPRE RICCHE DI FEROMONI

Foto Matthew Greger

el periodo in cui tutti siamo chiamati ad attenerci responsabilmente alle urgenti prescrizioni igieniche, volte al contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, balzano alla mente i precetti di uno dei padri dell’apicoltura moderna in Italia, Don Giacomo Angeleri: “la pulizia, che è la prima medicina per l’uomo, lo è pure per le api”. Nelle nostre operazioni in apiario non si può transigere da buone pratiche apistiche e di igiene. Infatti, ricordando che la cera, essendo di natura lipidica, trattiene per lungo tempo le sostanze immesse nell’alveare, è ben chiaro che la covata allevata in un ambiente contaminato, risulta più sensibile agli effetti dei pesticidi, rendendola più debole e soggetta ad attacchi patogeni. Ci troviamo in tempi difficili, in cui non c’è proprio da stare allegri; come apicoltori ci sentiamo sempre in mezzo al guado, tra cambiamenti climatici che si traducono in prolungati periodi di siccità, con minore disponibilità di alimenti per le api, e l’incidenza sempre funesta di patologie vecchie (varroa) e nuove (Aethina tumida). In condizioni meteo climatiche sfavorevoli che


volto ad assicurare ai nostri alveari uno sviluppo proporzionato al clima ed alle fioriture del territorio in cui operiamo, tale da assicurare un buon raccolto di miele. Gli imperativi di questo periodo, da mettere in atto nelle nostre visite settimanali in apiario, sono: • garantire spazio alla regina per la deposizione, evitando l’intasamento dell’alveare, attraverso la sottrazione di favi di covata opercolata, per rinforzare eventuali famiglie deboli oppure per predisporre sciami artificiali; • controllare la sciamatura. Il controllo della sciamatura è, in questo periodo, la sfida più impegnativa che dobbiamo affrontare, in quanto il suo verificarsi potrà

minare pesantemente i raccolti di miele, vanificando tutti i nostri sforzi compiuti in precedenza. È necessario accompagnare lo sviluppo delle famiglie di api con un occhio sempre più attento ai “segni premonitori” della sciamatura: • intenso andirivieni di api sul predellino di volo, con notevole importazione di polline che induce espansione della covata; • “imbiancatura della cera”, indice di abbondante flusso nettarifero, presenza di api ceraiole, innalzamento di temperatura indispensabile per la lavorazione della cera; • costruzione di nuove celle maschili, che si aggiungono a quelle già riempite di covata per cui,

in prossimità della sciamatura, si avranno numerosi fuchi già sfarfallati; • elevato livello di popolosità della famiglia, indicato da grappoletti di api pendenti sul fondo dei telaini; • comparsa, nelle zone laterali e basse dei favi, dei primi cupolini che evolveranno in celle reali. Riguardo al contenimento della sciamatura, non esiste una formula magica ma ogni apicoltore ha elaborato criteri e strategie diverse, sulla base dell’esperienza maturata negli anni con il suo tipo particolare di api, nell’ambiente particolare dove opera e sulla base del tempo a propria disposizione. Proprio per non agire “alla cieca”, ma operare

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con la piena consapevolezza del “perché”, del “cosa” e del “come”, riguardo gli interventi da mettere in atto, è necessario porsi alcune domande e formulare le relative giuste risposte. Quand’è la prima grande fioritura da sfruttare, in corrispondenza della quale si vuole avere il maggior numero possibile di api? È proprio questo il punto di riferimento sul quale modulare la crescita delle famiglie, evitando però che sciamino, allo scopo di raccogliere la maggior quantità di miele. Quanto è forte l’attitudine delle proprie api a sciamare? Ci sono api selezionate, infatti, poco inclini alla sciamatura; alzano celle reali però, non appena il flusso nettarifero diventa costante le distruggono, passando dalla febbre sciamatoria alla febbre del raccolto. Qual è l’età delle regine e quindi la ricchezza feromonale da esse emessa? Se la regina è nel pieno delle proprie forze e riesce a lasciare tracce feromonali che raggiungono anche la periferia dei favi, risulterà inibita la costruzione di cupolini destinati ad evolvere in celle reali; al contrario, se la regina è vecchia e a corto di feromoni, a livello del fondo dei favi congestionati da grappoli pendenti di api, si avrà la comparsa di cupolini. Ecco perché per contrastare la sciamatura, è necessario mantenere viva nelle api la piena consapevolezza della presenza della regina, attraverso un’efficace circolazione del feromone reale; tutto ciò si ottiene attraverso il salasso di favi di covata opercolata ed api e l’inserimento di fogli cerei o in alternativa di favi 24 | Apitalia | 4/2020

vuoti. L’entità del salasso e l’inserimento dei fogli cerei devono essere graduati sull’ambiente, sul clima e sulla forza della famiglia. La collocazione dei fogli cerei, in zone dalla primavera incerta e dai forti ritorni di freddo, deve avvenire esternamente alla covata; invece, in zone con inizio primavera caratterizzato da un crescendo costante di raccolto e da un rapido sviluppo delle famiglie, deve avvenire tra i telaini di covata opercolata, allo scopo di distribuire la elevata quantità di api su una superficie più ampia, dare sfogo alle api ceraiole, che alzeranno rapidamente le nuove celle, evitando così che la regina smetta di ovideporre. Decongestionare la famiglia in maniera tale da non rischiare di non avere abbastanza api per il primo raccolto, permette la distribuzione del feromone reale al maggior numero di api. Sperimentalmente si è evidenziato come in un alveare non congestionato il 90% delle operaie riceve la sua dose di feromone in 24 ore, mentre in un alveare congestionato sono solo il 45%. Quante api nasceranno nell’inter-

Foto Passi e Crinali

AGENDA LAVORI. SUD

vallo temporale tra le nostre operazioni in apiario e l’inizio della prima grande fioritura, in funzione del tipo e della quantità di covata che si lascia nell’alveare? Basta considerare che da un favo completo di covata nasceranno api sufficienti a popolare 3-4 favi in un tempo variabile: se la covata è costituita da uova saranno necessari circa 40 giorni (21 per sfarfallare più 1520 dedicati ai lavori di casa); se la covata è in fase di opercolatura ci vorranno 30 giorni circa. È quanto mai necessario avere piena consapevolezza che nel mutato e sempre più dinamico scenario in cui siamo chiamati ad operare, dobbiamo ripianificare il nostro modo di essere apicoltori, modificare le nostre strategie di lavoro, abbandonando la routine ed il puro meccanicismo dei nostri interventi in apiario, improntandoli invece ad una consapevolezza e coscienziosità nuove, saldamente ancorate a raffinate conoscenze non limitate esclusivamente alla biologia delle nostre api. Santo Panzera


AGENDA LAVORI. ISOLE

PROVE DI STRESS

SALIX CAPREA OLTRE LA SICCITÀ UN’INSPERATA RISERVA DI POLLINE di Vincenzo Stampa

È L’AMBIENTE CHE MODELLA

Foto Vincenzo Stampa

LA SPECIE

I

n campo scientifico un metodo per testare l’efficienza di un sistema consiste nel provarlo in condizioni al limite, cioè di stress. Ebbene, quest’anno in apicoltura di stress non ne manca: adesso si incominciano a vedere gli effetti delle alte temperature invernali e della prolungata siccità, da queste parti, Sicilia occidentale non piove dalla metà di dicembre.

Foto 1

La misura delle cose, oltre l’evidente mancanza di fioriture (Foto 1) ce la danno come al solito le api in rapporto alle piante. C’è una pianta, il Salice caprea, molto pollinfera e che di per sé non ha da queste parti una particolare importanza apistica visto che più che altro viene coltivata in piccoli raggruppamenti a scopo ornamentale. Questa pianta per solito fiorisce in febbraio, un periodo dell’anno in cui non mancano certamente i pascoli, e le api avendo di meglio la frequentano sporadicamente. La mancanza di pioggia ne ha ritardato la fioritura, una piccola fortuna per le api, che approfittano in modo approfondito del polline abbondante delle sue infiorescenze le quali assumono un aspetto del tutto pelato (Foto 2). Nel periodo precedente questo stato di crisi idrica le api hanno bottinato poco su mandorli, acetosella, borragine, però quanto basta a stimolare la deposizione: gli alveari sono dunque molto popolati e in certe zone richiedono il melario. Però, come sappiamo, le bottinatrici non escono se le esploratrici non le informano della presenza di un potenziale raccolto, d’altro canto le co4/2020 | Apitalia | 25


AGENDA LAVORI. ISOLE

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Foto 2

Foto it.wikipedia.org

vate deposte da ventuno giorni cominciano a nascere, la conseguenza ovvia è che cresce l’affollamento nell’alveare, uno dei tanti stimoli per una possibile sciamatura. Mentre i fruttiferi ritardano a fiorire, si aspetta la fioritura degli agrumi, in alcune zone anticipata; qualcuno ci fa affidamento ma, in base all’andamento degli ultimi anni, non credo che avremo delle soddisfazioni da questa fioritura. Nei recenti anni passati, in conseguenza degli inverni caldi, le fioriture primaverili dei fruttiferi, agrumi compresi, non hanno dato abbastanza nettare per un raccolto da melario e se tanto mi dà tanto non c’è nulla da sperare. Dopo avere eseguito i pareggiamenti, portato al massimo dell’estensione il nido, dato il melario, l’unico strumento che ci rimane, nel malaugurato caso di assenza di raccolto, per scongiurare una sciamatura spontanea è il prelievo di api e covata nascente per fare uno sciame artificiale. Con la filosofia del “piuttosto che niente è meglio piuttosto” non si fa certo tanta strada, possiamo sperare nella saggezza più che millenaria delle api ma non certo di quelle frutto di esasperata selezione per il raccolto; le api sicule si sapranno regolare al meglio, infatti la deposizione delle regine sicule è strettamente connessa con l’entità del raccolto per cui è minore il rischio di sciamatura e di esaurimento delle scorte. Noi umani, viziati dalla tecnologia, ci siamo dimenticati che è l’ambiente che modella la specie e non il contrario. Vincenzo Stampa


SPECIALE IMPOLLINATORI

INSETTI UTILI IN DECLINO BASTA CHIACCHIERE, ORA È TEMPO DI GESTI CONCRETI

Foto Marco Moretti

di Maurizio Ghezzi

Piccoli, solitari, selvatici, sociali o quasi domestici: sono gli insetti impollinatori e svolgono un servizio ecosistemico essenziale, in particolare per il mantenimento della biodiversità vegetale e per la produttività della filiera agroalimentare. I nostri ambienti - naturali, rurali, urbani però sono diventati invivibili anche per loro: mancano le fioriture utili, i pesticidi creano morìe e spopolamenti, il cambiamento climatico aggrava la situazione. Per invertire tale tendenza servono azioni concrete, l’impegno dei Governi e di ognuno di Noi. Ecco i consigli pratici di un Apicoltore, insieme alle linee guida del Parlamento Europeo che, in una recente risoluzione, indica la direzione giusta a tutti gli Stati membri. (continua a pag. 28)

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SPECIALE IMPOLLINATORI

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a più parti del Pianeta e a più riprese, si continuano a diffondere allarmanti notizie sul pericolo di estinzione sia delle api domestiche che selvatiche, sia degli altri insetti pronubi. Di fronte a tali allarmanti notizie l’obiettivo comune per tutti noi dovrebbe essere quello di valutare con esattezza l’esistenza e l’effettiva reale presenza di un fenomeno di declino di popolazioni degli impollinatori, identificarne le cause ed eventualmente trovare le soluzioni per contrastare questo preoccupante fenomeno. Purtroppo, ancora una volta, molti studi individuano le cause di questa preoccupante decimazione ad attività umane quali l’intensificazione dell’agricoltura, l’espansione di zone dedicate a monocultura, la devastazione dell’habitat dovuta ad un ampliamento incontrollato dell’urbanizzazione, l’utilizzo smodato di pesticidi e diserbanti e, infine, il ruolo non più trascurabile che ormai giocano gli eventi legati al cambiamento climatico. Il bilancio, secondo una ricerca della biologa belga Virginie Hess, è ancora più pesante se parliamo di bombi: l’80% delle specie di bombi sono andate perdute o comunque sono a rischio di essere perse definitivamente. Questi dati molto importanti, a mio avviso, non devono esser diffusi per infondere paura, piuttosto dovrebbero invece servire come stimolo utile per provare a migliorare le comuni politiche di conservazione ambientale al fine di cercare di proteggere l’importante biodiversità dei nostri territori. È in tal senso, infatti, che le persone impegnate in politica dovrebbero essere i primi soggetti deputati a muoversi in questa direzione per cercare di dare avvio ad un importante cambiamento di rotta su larga scala, magari dando indicazioni sul da farsi. Questi appaiono i punti più urgenti sui quali costruire un cambiamento: • incrementare un nuovo modello di agricoltura sostenibile che sia più rispettosa nei confronti dell’ambiente, che lasci ampie aree dedicate a fioriture ricche di polline e di nettare; • ridurre al minimo e rendere più efficiente l’utilizzo e la diffusione di sostanze chimiche immesse nell’ambiente; • contrastare con energia la cementificazione selvaggia nelle zone urbane e periurbane;

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• arricchire le nostre città con ampie superfici destinate ad aree verdi; • rivedere i modelli produttivi e tutte le attività che contribuiscono ad aumentare l’immissione in atmosfera di gas serra, osteggiandone il proliferare ingiustificato. Per conquistarci un futuro migliore, purtroppo, non è sufficiente delegare tutto ai nostri politici, spesso insensibili a queste tematiche o peggio ancora distratti da interessi personali. Vana sarebbe la speranza che solo grazie a loro si possa dare avvio ad un sano e radicale cambiamento. Per questo ritengo sia ormai giunto il tempo in cui, se vogliamo arrivare ad una grande e importante svolta ambientalista, ciascuno di noi debba impegnarsi in prima persona, adottando scelte concrete nella propria quotidianità e una serie di comportamenti “eco friendley” che inducano governanti e decisori ad atti altrettanto concreti e di esplicita valenza ambientale. Sta innanzitutto a noi, comunque, dare il primo seppur piccolo contributo per contrastare la progressiva e preoccupante sparizione degli insetti impollinatori. La prima cosa che potremmo fare è quella di riuscire a far sì che chiunque possa comprendere la minaccia che pesa attualmente sulle spalle dei nostri amici pronubi, perché la maggior parte delle persone non è a conoscenza del pericolo in cui, l’agricoltura e l’industrializzazione moderna, hanno relegato queste nostre simpatiche “operaie del polline”. Chiunque deve essere consapevole della grave minaccia che correrebbero l’agricoltura e l’autosufficienza alimentare in un futuro privo di api e di insetti impollinatori. E’ noto infatti che senza di loro preziosa attività almeno 130 specie di vegetali e frutti sarebbero minacciati di scomparsa per non parlare poi delle decine di migliaia di piante selvatiche che rischierebbero l’estinzione. Sappiamo, inoltre, che non va trascurato nemmeno il forte impatto economico che l’attività di impollinazione di questi insetti determina sul comparto agro alimentare mondiale garantendogli un fatturato di circa 150 miliardi di dollari all’anno. Un altro gesto utile alla sopravvivenza di questi insetti è quello di mantenere i nostri balconi, i terrazzi o i nostri giardini sempre ricchi di fiori, privilegiando piante e arbusti perenni e ad alto potenziale net-


tarifero e pollinifero, possibilmente appartenenti alla flora locale; non mescoliamo necessariamente molte varietà floreali perché le api sono fedeli al proprio territorio e sanno dove ritrovare ogni anno e in ogni stagione le stesse fioriture. Nei nostri giardini eseguiamo il taglio del manto erboso il più tardi possibile senza tagliare l’erba troppo bassa per lasciare modo a piccoli fiorellini di poter prosperare. Cerchiamo di lasciare delle zone più “selvagge” con erba e fioriture incolte in cui possano svilupparsi piante selvatiche, come per esempio quelle del tarassaco o del trifoglio, in grado di garantire un buon pascolo agli insetti e alle nostre api ad inizio primavera quando ce n’è per loro più bisogno. Questi spazi selvaggi, nel nostro giardino, presto diverranno importanti aree di biodiversità molto apprezzate dai preziosi ricercatori di polline e nettare. Tentiamo di trovare la soluzione più semplice per far coabitare flora e fauna nei nostri giardini ed otterremo un risultato sorprendente sia sulla bellezza degli stessi sia sulla biodiversità dei territori che ci appartengono. Lasciamo sempre a disposizione una fonte d’acqua che servirà ai nostri insetti per dissetarsi, per rinfrescare il nido nelle calde giornate estive o per sciogliere il miele cristallizzato con il quale poi nutrire se stessi e le proprie larve. Anche le api domestiche hanno bisogno del nostro aiuto per cui non esitiamo a consumare più miele, possibilmente acquistandolo da apicoltori locali in modo tale da sostenerli ed al tempo stesso essere garantiti nell’acquisto di un prodotto di eccellente qualità. Un altro semplice, ma fondamentale gesto per aiu-

tare i nostri amici impollinatori è quello di fornir loro dei luoghi di riparo all’interno dei quali possano trovar protezione in modo particolare durante i mesi freddi invernali. Partecipiamo alla “sponsorizzazione” di alveari da adottare: una pratica che si sta diffondendo anche in Italia dopo aver fatto il suo esordio nei paesi francofoni. Questo è un gesto che oltre a incrementare il numero degli alveari presenti sul territorio, permette di ottenere in cambio una buona quantità di miele che potremo consumare direttamente o regalare agli amici rendendoli partecipi di questa simpatica iniziativa che contribuisce a mantenere numerosa la popolazione d’api. Le notizie allarmanti di questi tempi, dunque, non debbono spaventarci ma neanche dobbiamo sottovalutarle; ciò che conta è non rassegnarci, ricordare che i primi veri artefici di un reale cambiamento che ci permetta di credere in un futuro più sostenibile siamo solo ed esclusivamente noi. Per cui prendiamo coscienza anche noi apicoltori di questa responsabilità, iniziamo a cambiare la nostra quotidianità mettendo in pratica gesti e atteggiamenti eco-solidali che ci consentano di garantirci un futuro più sostenibile. Mi piace infatti pensare, come ricordò il fondatore dello scoutismo Baden-Powell ispirandosi ad un proverbio Masai, che “questo mondo non l’abbiamo ereditato dai nostri genitori, ma lo abbiamo avuto in prestito dai nostri figli ed è per tale motivo che abbiamo il dovere di riconsegnarlo a loro in condizioni migliori rispetto a quelle in cui lo abbiamo trovato!”.

Maurizio Ghezzi

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SPECIALE IMPOLLINATORI Ecco la risoluzione del Parlamento Europeo per la tutela degli impollinatori. Preziose linee guida per ogni Governo europeo.

Hoplitis cristatula

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Š D. Genoud

Tutti gli insetti impollinatori apportano alla produzione agricola dell’Unione Europea un valore di 150 miliardi di euro.


SPECIALE IMPOLLINATORI Per ridurre il declino degli impollinatori bisognerà ridurre l’impiego della chimica nell’ambiente e in agricoltura.

Bombus hyperboreus

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Š G. HolmstrÜm

Occorre diffondere fiori autoctoni, ricchi di nettare e polline, anche nelle aree urbane, per garantire cibo agli insetti utili.

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SPECIALE IMPOLLINATORI Serve piena consapevolezza dei Governi sull’utilità degli impollinatori domestici e selvatici: la biodiversità è patrimonio collettivo.

Epeolus cruciger

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Š C. Deschepper

Il servizio di impollinazione è fondamentale per gli habitat agricoli e le politiche degli Stati membri debbono preservarlo.

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SPECIALE IMPOLLINATORI La Politica Agricola Comune deve premiare gli interventi che rispettano e favoriscono la sopravvivenza degli impollinatori.

Anthophora plumipes

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Š B. Hanssens

Vanno ridotte le pratiche agricole intensive e incrementati i pascoli foraggeri favorevoli allo sviluppo degli impollinatori.

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SPECIALE IMPOLLINATORI Bisogna valorizzare le aree verdi, anche nei terreni in vaso, con varietĂ vegetali locali, limitando quelle esotiche e invasive.

Thyreus ramosus

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Š D. Genoud

La ricerca scientifica deve occuparsi anche delle malattie degli impollinatori e gli apicoltori vanno formati ad un’apicoltura meno intrusiva.

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EVOLUZIONE

SELEZIONE NATURALE

FINO A CHE PUNTO LA SALUTE DI API ALLEVATE DIPENDE DALL’UOMO di Matteo Giusti

LE SOTTOSPECIE UN PATRIMONIO

Foto Franco Patrizia

UNIVERSALE

I

n questi tempi difficili per le api, tempi di alte mortalità, di cambiamenti climatici, di malattie e parassiti che vecchi e nuovi dilagano per il mondo, il tema del miglioramento genetico per cercare di ottenere alveari sani, resistenti e produttivi sta diventando un tema centrale. E infatti il dibattito sul miglioramento genetico delle api è in pieno fermento anche nel nostro Paese, con confronti e ovviamente scontri tra sostenitori delle opposte visioni. Ma nell’ottica del miglioramento e dell’adattamento c’è da chiedersi quale sia il ruolo della selezione

naturale su un animale come l’ape mellifica che non ha proprio tutte le caratteristiche di un animale domesticato e che anzi, come alcuni studiosi sostengono (in maniera correttissima dal punto di vista terminologico), l’ape si deve considerare un animale selvatico? A questo proposito può essere molto interessante, se non altro come spunto di riflessione, riprendere in mano un articolo pubblicato nel 2016 sulla rivista americana Evolutionary Applications, da due autorevoli ricercatori europei: Peter Neumann dell’Università di Berna in Svizzera e Tjeerd Blacquière dell’Università di Wageningen nei Paesi Bassi. In questo articolo i due ricercatori hanno cercato di fare il punto su come la selezione naturale agisce sulle api, su quali vantaggi può portare e su come l’attività dell’uomo-apicoltore influisce e interferisce con questa; indicativo e accattivante il titolo che i ricercatori hanno dato al loro lavoro: “The Darwin cure for apiculture? Natural selection and managed honey bee health”, cioè “La cura di Darwin per l’apicoltura? Selezione naturale e salute delle api allevate” (Newmann & Blacquière, 2016). Prima di tutto però è bene chia4/2020 | Apitalia | 41


rire che cosa si intende per selezione naturale. Essa è il processo su cui si basano le teorie evolutive moderne, prima tra tutte quella darwiniana: il principio per cui in un determinato ambiente si affermano alcuni individui e non altri, e si affermano perché hanno una maggiore probabilità di riprodursi, cioè in termini biologici hanno una fitness (l’insieme dei caratteri genotipici e fenotipici che rendono un organismo adatto alla sopravvivenza e alla riproduzione in un determinato ambiente, ndR) migliore. Quindi, avendo una maggiore probabilità di riprodursi, tali organismi avranno anche una maggiore probabilità di trasmettere i loro i geni che dovrebbero essere più adatti a quell’ambiente, creando una sorta di circolo virtuoso che porta appunto alla loro affermazione e, dall’altro lato, alla riduzione o alla scomparsa degli individui meno adatti. E, è bene precisarlo, gli individui che si affermano non sono i più forti, o i “migliori”, o i più complessi, sono semplicemente i più adatti a quell’ambiente e magari potrebbero essere svantaggiati in un ambiente diverso. Un caso classico di selezione naturale è la colorazione della pelle nei gruppi umani in base alla loro distribuzione geografica. La colorazione scura della pelle è data da un alto contenuto di melanina, mentre la colorazione chiara è data da una minore quantità di questo pigmento. La melanina è in grado di proteggere le cellule della pelle dai raggi ultravioletti, per questo nelle zone tropicali ed equatoria42 | Apitalia | 4/2020

Foto Alfredo Marson

EVOLUZIONE

li, dove l’intensità della radiazione solare è elevata, avere molta melanina, e quindi una pelle scura, è vantaggioso. Gli individui con pelle chiara in queste zone hanno infatti più probabilità di andare incontro a malattie della pelle come ad esempio i melanomi, riducendo la loro aspettativa di vita e quindi anche la loro possibilità di riprodursi. Per questo nel tempo gli individui con la pelle scura si sono affermati in questi ambienti. Ma la melanina, “filtrando” la radiazione solare, riduce anche capacità dell’organismo di produrre vitamina D. Questo in ambienti come il nord Europa, dove la radiazione solare è minore e anche non costante durante l’anno, fa sì che avere la pelle scura sia un carattere non vantaggioso, che può portare a effetti negativi per la salute come il rachitismo, per cui nel corso dei secoli si sono affermati i gruppi con la pelle più chiara che risultavano più adatti. Oggi (per fortuna nostra) la sele-

zione naturale ha molto poco effetto sull’uomo, soprattutto nei paesi sviluppati, grazie al progresso della scienza e della tecnologia. Lo stesso si può dire anche per molti animali domestici, soprattutto quelli che vengono allevati in casa o in un ambiente protetto come può essere una stalla. Ma per le api mellifiche quanto è importante ancora oggi la selezione naturale? È questa la domanda centrale che sta alla base dell’articolo dei due ricercatori e della riflessione che qui vi proponiamo. Come ricordano gli Autori, la selezione naturale è fondamentale per l’adattamento a un determinato ambiente e per la “resistenza” alle malattie e ai parassiti; per le api la selezione naturale potrebbe avere un ruolo ancora molto importante rispetto ad altre specie. Le api infatti vivono all’aperto, immerse nell’ambiente in cui si trova l’alveare, e a differenza che in altri animali allevati la selezione artificiale non ha ancora avuto molto modo


di esercitare un effetto importante. È vero infatti che l’uomo interagisce con le api da millenni, ma la gestione della riproduzione delle regine e la produzione degli sciami artificiali, ciò su cui si basa la selezione artificiale in apicoltura, è una realtà che esiste solo da pochi decenni. Il prodotto più evidente della selezione naturale nell’Apis mellifera è misurabile grazie alle sottospecie presenti nel mondo. La sottospecie è infatti il frutto dell’adattamento a quel dato ambiente. Eppure, l’uomo, con la sua attività di apicoltore, interferisce con la selezione naturale in molti modi. Il primo è ovviamente quello della selezione artificiale: scegliere gli al-

veari con le migliori caratteristiche produttive è un aspetto della selezione artificiale, ma non significa necessariamente selezionare i più adatti a un dato ambiente come farebbe la selezione naturale. Il fatto di selezionare famiglie con bassa tendenza alla sciamatura, addirittura, rappresenta proprio una azione totalmente opposta alla selezione naturale. La sciamatura infatti è il meccanismo riproduttivo del superorganismo alveare e ridurla vuol dire ridurre la sua fitness, cioè la sua capacità riproduttiva, l’esatto contrario di quello che avverrebbe in natura. Un altro aspetto importante, su cui come apicoltori interferiamo con i processi della selezione naturale, è

l’allevamento delle api regine. Noi non sappiamo se all’interno dell’alveare le api abbiano un criterio per scegliere le uova o le larve destinate a essere allevate come regine, ma sicuramente quando facciamo un traslarvo noi di criterio non ne abbiamo nessuno. Lo stesso vale per la scelta dei fuchi nel caso della fecondazione artificiale. Noi possiamo solo distinguere un fuco sessualmente maturo ma, per essere sicuri che sia dell’alveare che vogliamo, sarà un fuco che non ha mai volato, che non è stato mai in una zona di aggregazione da cui i fuchi partono per cercare di raggiungere in volo la regina, quindi scegliamo un individuo che teoricamente in natura

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potrebbe anche non essere in grado di accoppiarsi. Anche nelle stazioni di fecondazione con accoppiamento naturale, selezionando solo alcune linee maschili da portare nelle zone isolate, si tende a limitare la poliandria, cioè la possibilità della regina di accoppiarsi con più maschi, mettendo a disposizione maschi geneticamente simili (addirittura geneticamente uguali se figli della stessa regina). Altre tecniche apistiche interferiscono con la selezione naturale, come il posizionare gli alveari dove vogliamo noi, realizzare apiari, cioè zone con una densità elevata di alveari su una piccola superficie, cosa che non accadrebbe in natura e che invece contribuisce fortemente alla diffusione delle malattie. Ma anche la somministrazione di alimenti, o la rimozione della propoli, il controllo della sciamatura, il nomadismo, sono tutte cose che possono interferire con i meccanismi della selezione naturale. Tutto questo sulla salute delle api ha un impatto molto grande. Forme di apicoltura meno intensive, come ad esempio alcuni tipi di apicoltura condotti in Africa, pos44 | Apitalia | 4/2020

Foto Schorle - Wikipedia

EVOLUZIONE

sono portare ad avere famiglie con caratteri e capacità produttive più basse, ma migliori attitudini dal punto di vista sanitario. E a proposito di aspetti sanitari, l’altra grande interferenza che andiamo a esercitare come apicoltori sono i trattamenti antiparassitari. Se dal punto di vista apistico essi sono necessari per garantire la sopravvivenza degli alveari, dal punto di vista selettivo impediscono l’adattamento della specie ai nuovi patogeni o parassiti, facendo sopravvivere anche quegli alveari che in condizioni naturali tenderebbero a soccombere. Qui c’è da sottolineare un fatto: le api lasciate senza trattamenti non vanno incontro a morte certa e l’attività dell’apicoltore non è ormai necessaria alla sopravvivenza di questa specie, come si sente dire a volte. Prova ne è l’esperimento condotto alcuni anni fa in Svezia, il cosiddetto “esperimento James Bond - Vivi e lascia morire”. Nella prova, un gruppo di alveari sono stati portati su un’isola e lasciati senza trattamenti antivarroa: nel primo anno sono morte circa l’80% delle colonie, ma le restanti sono sopravvissute; male,

ma sono sopravvissute. E sopravvivono tuttora. Ma quindi a che conclusioni sono arrivati gli autori di questo articolo, grazie al quale abbiamo voluto richiamare l’attenzione degli apicoltori italiani sul tema della selezione naturale delle api? Ovviamente non a quello di abbandonare le api a se stesse (cosa che non comporterebbe l’estinzione delle api, ma forse degli apicoltori sì), ma di prendere in considerazione anche aspetti che la selezione naturale può metterci a disposizione, ad esempio riproponendo esperimenti alla James Bond in altri ambienti per valutare il tasso di sopravvivenza delle popolazioni; o studiare le differenze tra api regine allevate naturalmente rispetto a quelle allevate mediante il traslarvo. Cercare di comprendere, quindi, in che direzione sta andando la selezione naturale e cercare per quanto possibile di assecondarla invece di contrastarla, secondo gli Autori è una delle strade su cui avviare la realizzazione di una forma sostenibile di apicoltura. Matteo Giusti


BIOLOGIA

SE LA DIETA PROBIOTICA SVILUPPA PATOGENI E PARASSITI

LA FLORA INTESTINALE DELL’APE È UN MONDO RETTO DA DELICATI EQUILIBRI BIOLOGICI (III PARTE) a cura di Gianni Savorelli

NOSEMA AGEVOLATO DA ALIMENTI

Foto David Clode

VECCHI O SINTETICI

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Titolo originale del lavoro DIET RELATED GUT BACTERIAL DYSBIOSIS CORRELATES WITH IMPAIRED DEVELOPMENT, INCREASED MORTALITY AND NOSEMA DISEASE IN THE HONEY BEE Maes Rodrigues, Oliver Mott Anderson (continua dal n. 4/2020)

N

ell’ileo, (parte finale dell’intestino tenue), in situazioni normali per api di 7-8 giorni, vi è una dominazione da parte di S. alvi, mentre il consumo di diete vecchie porta alla dominazione da parte del putativo patogeno F. perrara. In tutte le api studiate l’abbondanza relativa di F. perarra nell’ileo è fortemente e inversamente correlata all’abbondanza di S. alvi (se sta bene uno, sta male l’altro, ndR). La “residenza” di F. perrara risulta stabilmente associata al piloro (una parte dell’ileo nel quale fa manifestare effetti di melanizzazione a seguito della risposta immunitaria mostrando una presenza non esattamente incruenta - Engel et al. 2015) e si è trovato F. perrara con una certa frequenza nelle ghiandole ipofaringee di api

che consumano diete invecchiate. Interessante è invece la consistente presenza di P. apium in ghiandole ipofaringee, apparato boccale e ileo di api che consumano diete stagionate. P. apium non è un batterio appartenente alla categoria dei fondamentali. Non appartiene al “core” batterico di un’ape adulta (Martinson et al., 2011; Moran et al., 2012; Sabree et al., 2012) e la sua forte presenza fa ipotizzare che si comporti da opportunista in soggetti compromessi (però questo batterio ha mostrato interessanti capacità di contenimento del nosema - Corby, Harris 2016 - e il suo aumento di presenza può certo essere visto di buon occhio. È sicuro che non si hanno le idee chiare su cosa renda un batterio patogenico, commensale o simbionte e non si può non ipotizzare che l’aumen4/2020 | Apitalia | 45


BIOLOGIA

RETTO

PILORO

ILEO

MEDIO INTESTINO

BORSA MELARIA

Sezione dell’intestino di un’ape adulta.

to di presenza di talune specie non provochi situazioni negative o addirittura patologiche che cominciano ad essere verificate con commensali che in particolari situazioni divengono patogeni, mentre è noto che i simbionti possono non di rado diminuire processi di infiammazione riducendo l’espressione di interleuchine, ndR). Come detto più sopra, Engel et al. (2014), mostra come la melanizzazione del piloro sia dovuta alla risposta immunitaria conseguente alla presenza di F. perrara. Quanto osservato suggerisce che gli effetti di F. perrara si possano estendere per tutto l’ileo. I risultati indicano che un aumento di presenza nell’ileo di F. perrara è direttamente associato ad un significativo aumento di mortalità delle api e diminuzione del peso del torace delle stesse. Si propone pertanto che F. perrara sia da considerare onnipresente e patogeno opportunista la cui diffusione è influenzata dallo stato di conservazione del nutrimento (che determina la presenza dei batteri che lo tengono a bada, ndR). Benché dominate da F. perrara, le disbiosi osservate nell’ileo delle api in studio sono anche tipicizzate da aumenti di presenza di P. apium 46 | Apitalia | 4/2020

e G. apicola (che forse potrebbero compensare e contenerlo, ndR). Su queste basi, la presenza (prevalenza) nell’ileo di F. perrara e P. apium possono essere considerate potenziali marcatori di disbiosi allo stomaco (ovvero situazione diverse dalla norma delle quali non è ancora stabilito il livello di negatività, ndR). Purtroppo, un aumento di presenza delle spore di Nosema è risultato significativamente correlato (proporzionale) all’aumento di presenza nell’ileo di F. perrara (forse perchè l’infezione prodotta da questo batterio sottrae risorse immunitarie per il controllo del nosema che a quel punto trova difese inferiori. Nosema fa dunque squadra con lieviti e F. perrara col batterio che funziona bene e spesso da apripista per l’infezione del microsporidio, Nosema, ndR). Se ne deve concludere che il consoli-

damento dell’infezione da Nosema è incoraggiato dalla espansione di presenza di F. perrara (e a corollario che alimenti vecchi, sintetici e naturali, favoriscono lo sviluppo del Nosema, ndR). Anche S. alvi sembra produrre effetti negativi se trova troppo campo a disposizione. Presenta questo concetto il lavoro: che ha esplorato come la precoce colonizzazione dello stomaco da parte di S. alvi, e di un comune parassita, Lotmaria passim, incida sulla composizione del microbioma e sulla espressione genica dell’ape ospite. Si è verificato che la somministrazione di S. alvi ad api appena nate e prive di microbi porta ad una misurabile perturbazione della situazione di normalità e aumenta la suscettibilità al parassita Lotmaria passim. Si può presumere come il microbio-

Titolo originale del lavoro EARLY GUT COLONIZERS SHAPE PARASITE SUSCEPTIBILITY AND MICROBIOTA COMPOSITION IN HONEY BEE WORKERS Ryan S. Schwarz*,**, Nancy A. Moran***, Jay D. Evansa* *Bee Research Laboratory, Beltsville Agricultural Research Center, US Department of Agriculture, Beltsville **Department of Biology, Fort Lewis College, Durango ***Department of Integrative Biology, University of Texas at Austin, Austin

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ta acquisito naturalmente dall’ape nell’alveare risulti in una comunità che più efficientemente limita Lotmaria passim (ma in quale modo lo faccia ancora non si sa, ndR). Queste scoperte cominciano a collegare la suscettibilità delle api ai patogeni (parassiti) a disbiosi (alterazioni rispetto alla situazione normale) nel nucleo microbiota. Analisi metagenomiche di alveari collassati per CCD (Sindrome da Spopolamento degli Alveari, ndR), hanno mostrato un forte aumento di Gammaproteobacteria (G. apicola e F. perrara), Betaproteobacteria (S. alvi) e Firmicutes (Lactobacillus spp.) con parallela diminuzione relativa di Alphaproteobacteria e Actinomycetes (Bifidobacteria spp.) in comparazione agli alveari sani (insomma il conto torna, ndR). Lo stress è un altro fattore, in aggiunta alle disbiosi, che incide sulla suscettibilità ai patogeni. Api allevate in condizioni di scarsa disponibilità di proteine, ristrettezza di contatti sociali e mancanza di esposizione al microbiota dell’alveare risultano molto più suscettibili alla infezione da L. passim (questo protozoo è parecchio presente nel-

lo stomaco dell’ape e parimenti parecchio ignorato, ndR). Andando a misurare la sintesi di vitellogenina (lipoproteina di stoccaggio che l’ape usa per immagazzinare aminoacidi da trasformare in pappa reale, semplificando molto, ndR) si è osservato che il precoce inoculo con S. alvi porta ad una ridotta presenza di questa proteina di stoccaggio e siccome le api divengono bottinatrici quando non ne hanno più a disposizione, si ha che l’inoculo con S. alvi e L. passim porta ad un precoce abbandono del nido e riduzione della aspettativa di vita. La somministrazione di S. alvi e la sua susseguente dimensione di popolazione sono risultati positivamente correlati con l’espressione di Cyp306A1 (un enzima di detossificazione appartenente al citocromo P450 a mostrare che non si tratta esattamente di un simbionte, ndR) in condizioni di stress. Ciò suggerisce un ruolo importante per S. alvi nello sviluppo dell’ape quando la stessa vive in condizioni di scarsa disponibilità alimentare o si ritrova con un microbiota depauperato. Si è potuto concludere che la

composizione del microbioma condiziona la risposta di detossificazione dell’ospite (e questo dovrebbe costituire una delle basi dell’adattamento fra i microbi che provano a divenire simbionti o commensali e l’ospite, ndR) determinando che in api “normali” e in api stressate trattate con S. alvi e L. passim si mostra una differente espressione del citocromo di detossificazione CYP450 (la principale fabbrica di strumenti atti a smontare le sostanze tossiche in pezzi non pericolosi che l’ape possiede, ndR). Dunque, oltre che gli alimenti, anche batteri appartenenti alla microflora tipica, patogeni e parassiti modificano la composizione della flora intestinale dando luogo ad un quadro estremamente dinamico e infinitamente complesso che dà luogo a complesse conseguenze. Per quanto possa sembrare strano anche la varroa lo fa. Gianni Savorelli La seconda parte è stata pubblicata nel n. 3/2020

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STORIA

DIVINO IDROMELE

LA PRIMA BEVANDA INEBRIANTE CON SACRA VALENZA RITUALE di Angelo Camerini

D

ell’idromele, la bevanda alcolica prodotta con la fermentazione di miele ed acqua, avevo già scritto per Apitalia nel lontano maggio 1996. Ma nel frattempo nuove ricerche e due libri (quello di Laura Pepe e quello di Felice Vinci) usciti di recente hanno confermato e rafforzato l’ipotesi che l’idromele sia stato, nell’antichità la prima bevanda alcolica dell’uomo, precedendo la birra e il vino. La precedenza dell’idromele è testimoniata da dati etnografici, linguistici, archeologici e storici. Questa bevanda infatti nasce nel Corno d’Africa, culla dell’umanità, tra i cacciatori - raccoglitori di miele prima dell’ inizio dell’agricoltura e dell’allevamento. Tra gli apicoltori Dorobo del Kenya, e in tutto il Corno d’Africa, il miele usato per la preparazione dell’idromele è la principale ricchezza ed è necessario perché ci possa essere la festa del matrimonio. Io stesso, negli anni ‘70, capitai nella periferia di Addis Abeba in una casa del miele dove gli anziani consumavano questa bevanda seduti per terra su stuoie,

in tante piccole stanze separate da incannucciate. I consumatori parlavano a voce bassa, il brusio passava da una stanza all’altra e i toni erano quelli del rito religioso e non dell’osteria. L’articolo citato in apertura si intitolava “Quando ancora il vino non c’era e ci si ubriacava con l’idromele”. Era un titolo in parte fuorviante perché tra i Greci, nel Simposio (da syn-pinein, “bere insieme”, dopo il banchetto, ascoltando il suono del flauto e discorrendo), l’ubriachezza non era prevista anzi era stigmatizzata. Pure il Simposio nasce tra il VII e il VI secolo a.C., ed era un rito religioso e sociale, quasi sconosciuto ad Omero, cantore di un’epoca più antica, tra il X e l’VIII secolo a.C.. Già Karol Kerényi,

La Kylix era la più comune coppa per bevande nell’antica Grecia, circa 500 a.C., British Museum

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L’EBBREZZA CHE DIVENTÒ PROFANA


storico delle religioni ed esperto di mitologia greca, nel suo Dioniso, aveva individuato chiaramente l’antichità del miele e dell’ idromele: “L’umanità si nutre di miele sin dalla più antica età della pietra”. E ancora: “Ciò che gli uomini ottennero dalla vite fu dapprima un dono delle api. Zeus sorprese ed evirò suo padre Crono approfittando del fatto che questi era ubriaco del miele delle api selvatiche” (Orphicorum Fragmenta 154 Kern). Nei poemi omerici la presenza del miele è fitta. Nell’Iliade compare 12 volte e nell’Odissea 11. Ulisse quando scende nell’Ade sa della madre, morta di dolore per la sua assenza, pronunciando queste parole: “Il rimpianto di te, il tormento per te, splendido Odisseo, / l’amore per te m’ha strappato la vita dolcezza di miele”. (Omero, Odissea, XI, vv. 203-3) Nei libri di Omero si beve e si versa alcol (rigorosamente prima di idromele e poi di vino) per fare sacrifici agli dei, per sugellare un patto, per

accogliere un ospite o per salutare un amico, ma non per abbandonarsi all’ebbrezza. Il miele compare spesso associato al latte e al cacio, vedremo dopo perché “...cacio per essi intrise, con miele dorato e farina, con vin di fiamma” nel Canto X. “Quivi le pecchie fanno lor bugni e preparano il miele”, nel Canto XIII “...e la diva Afrodite di cacio e dolce miele nutriate, di vino soave”, nel canto XX. Sui poemi omerici ecco cosa ha scritto nel 2018 Laura Pepe per Laterza nel suo Gli eroi bevono vino - Il mondo antico in un bicchiere “A Ulisse che deve raggiungere l’Ade e interrogare Tiresia sulle proprie possibilità di far ritorno in patria, Circe raccomanda di spargere dapprima miele e latte, poi dolce vino, infine acqua” (Canto XI, ndR). E ancora: “Quanto al miele, esso rappresentava in origine l’inebriante per eccellenza, come dimostra il fatto che “essere ubriaco/ubriacarsi” in greco è methyo/methyskomai, termini che vanno ricollegati a

una radice indoeuropea che indicava proprio il miele. La bevanda ottenuta dal miele unito all’acqua bollita e lasciato fermentare sotto il sole per diversi giorni, era l’idromele (chiamato dai latini anche acqua mulsa) che, a detta di Plinio il vecchio, “invecchiando acquistava il sapore del vino”. Per capire come mai nel mondo omerico è così presente l’idromele, ci viene in aiuto Felice Vinci con il suo saggio storico intitolato “Omero nel Baltico - Le origini nordiche dell’Odissea e dell’Iliade”. Nel suo poderoso volume, oltre settecento pagine, presentato quest’anno al Museo delle Civiltà Luigi Pigorini di Roma l’autore, che nasce come ingegnere ed è estraneo alla cerchia degli archeologi professionisti, sostiene una tesi ardita ed affascinante, oltre che assai ben documentata. Il reale scenario dell’Iliade e dell’Odissea sarebbe identificabile non tanto nel mar Mediterraneo, visto che queste opere danno adito a innumerevoli incongruenze (un

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STORIA

Odino assumendo sembianze di aquila, rubò ai giganti il sacro idromele che gli donò infinita conoscenza e l’arte della poesia. L’idromele era la bevanda preferita dagli dei, oltre ad essere l’alcolico che i guerrieri giunti nel Valhalla bevevano dalle mammelle della capra Heidrunn dopo un’intera giornata trascorsa a combattere.

clima sistematicamente freddo e perturbato da neve e nebbia, eroi biondi intabarrati in pesanti mantelli di lana, isole e popoli dai nomi introvabili...) quanto nell’Europa settentrionale. Le saghe che hanno dato origine ai due poemi provengono quindi dal Baltico e dalla Scandinavia, dove nel II millennio a.C. fioriva una splendida età del bronzo. Nel XVI secolo a.C., in seguito al tracollo dell’optimum climatico e all’inizio di una piccola glaciazione, gli Achei, i fondatori della civiltà micenea, scesero nel Mediterraneo (probabilmente seguendo i fiumi russi che sfociano nel mar Nero) e vi si stabilirono 50 | Apitalia | 4/2020

portando con sé i loro miti e i loro nomi, i gioielli fatti di ambra del Baltico e le navi con cui avevano solcato quei difficili mari. Se questi numerosissimi indizi dovessero essere confermati sarebbe allora meglio spiegabile perché, anche nella cultura greca l’idromele sia una bevanda che precede il vino. La vite non era certamente coltivabile alle latitudini della Scandinavia, e solo dal miele si poteva produrre una bevanda alcolica. Il mjodr o met, infatti, la bevanda preferita del dio scandinavo Odino e di Eroi e Re, aveva grande diffusione fino alle zone della Germania e della Russia, i cui boschi erano popolati di api.

A confermare la comune relazione di Achei/Greci e Norreni/ Scandinavi con l’idromele, il fatto che questa bevanda sacra provenisse dalle mammelle della capra Heidhrun. Questa, nell’ipocoristico (diminutivo e vezzeggiativo) chiamata Heidi, Cielo chiaro, è arrampicata su un frassino o su una quercia chiamato Yggdrasill, un albero cosmico. Dall’alto dei rami mangia le foglie e lascia cadere la bevanda degli Dei. Dell’ape Melissa e della capra Amaltea che nella mitologia greca lasciano cadere latte e miele dalla volta della grotta di Creta nella bocca del piccolo Zeus ho scritto su Apitalia in varie occasioni. Da “Api mitologiche nella Creta antica e moderna” (Apitalia, 10-11/98) a “Un salto indietro nel tempo, quando il miele cadeva dal cielo (Apitalia, 2/94) Come pure, sempre in questa rivista, si è parlato degli Ebrei che andavano in cerca della terra del latte e del miele. E quindi qui si riconferma la relazione rituale tra bevanda sacra e la divinità. Questa ritualità sacra passerà al Simposio greco e al Convivio romano fino alla religione cristiana, dove il vino, tramutato nel sangue di Cristo, viene consumato in comune durante la messa. Molte sono le differenze tra il Simposio greco (foto grande pag. 51) e il Convivio romano (foto piccola pag. 51). Nel primo le donne, con eccezione delle etere (una sorta di “escort” dell’epoca) sono totalmente assenti. Nel Convivio dei latini, invece, le donne a cui in origine e per tutta la Repubblica era vietato il vino fino alla pena di morte, du-


rante l’impero cominciano a stendersi sui triclini e, raggiunta l’ubriachezza, ad amoreggiare coi presenti. Tra i Greci poi, al Simposio erano ammessi gli adolescenti che a partire dai quattordici anni venivano corteggiati da un più anziano erastés che li “educava” alle gioie dell’ amore omosessuale e alle virtù civili e militari. Sempre accompagnati da grandi libagioni di vino misto ad acqua e a miele. La stessa ritualità del Simposio greco, dove il simposiarca eletto dai presenti decideva la quantità di vino e acqua da mischiare e distribuire agli ospiti, passerà, svuotata

dell’aspetto sacro, a un gioco chiamato “la passatella”, un tempo così diffuso nei paesi dell’Abruzzo e nel Lazio tanto da finire per essere vietato dal nostro codice penale. In questo crudele passatempo, infatti, un Sopra e un Sotto decidevano chi far ubriacare e chi lasciare all’a-

sciutto, tanto che spesso nei fumi dell’alcol, spuntavano i coltelli e il gioco finiva male. A conclusione di questa carrellata sulle bevande alcoliche sacre va solo ribadito che queste, più che un semplice ristoro per il corpo, sono state un mezzo per elevare gli spiriti al banchetto di nettare ed ambrosia degli Dei. Angelo Camerini Uno speciale ringraziamento per la consulenza informatica va al Professor Stefano Lariccia dell’Università La Sapienza di Roma

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ARTE

ESTETICA DELL’APE

ESPRESSIONI CREATIVE ISPIRATE DAL NATURALE di Renzo Barbattini e Giuseppe Bergamini

LA FORZA E LA FORMA DEL SIMBOLO

Fig. 1 - Michel Favre, Il palazzo della regina (Le palais de la reine) (1996), (collezione privata).

MICHEL FAVRE

Michel Favre è nato a Losanna (Svizzera) nel 1947. Con la famiglia, a cinque anni, si è trasferito a Martigny. Qui abita e lavora ancora oggi; egli si dedica alla scultura utilizzando marmo, bronzo e anche materiali particolari quali vetro e componenti elettroniche. Dettagliate notizie si possono trovare

Fig. 2 - Michel Favre, Torre a torre (Tour a tour) (2000), (collezione privata).

visitando www.michelfavre.ch. L’opera di Michel Favre è caratterizzata da figure umane che vivono una vita quotidiana alienante e spesso distruttiva, caratterizzata dalla sofferenza del vivere. Favre descrive un uomo moderno che, schiacciato dall’incombere della tecnologia e dalle macchine, ha perso se stesso e ricerca, invano, sicurezze nella memoria.

Fig. 3 - Michel Favre, Sciocco con la pertica (Sot à la perche) (2001), (collezione privata).

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ARTE Tra le sue numerose realizzazioni (sculture di bronzo) ricordiamo Il palazzo della regina (Fig. 1) in cui un gruppo di persone è al cospetto di un “enorme” telaino. Sono da segnalare anche Torre a torre (Fig. 2), La boccia e Sciocco con la pertica (Fig. 3). In tutte queste sculture l’artista ha utilizzato un sapone di marca “l’abeille” (L’ape). GIORGIA FOCA

Giorgia Foca, nata a Mirandola (Modena) il 5 settembre 1977, non è una pittrice “professionista”: lavora infatti come ricercatrice in Chimica Analitica presso la facoltà di Agraria dell’Università di Modena e Reggio Emilia. La sua abilità grafica e l’amore per l’illustrazione, tuttavia, le hanno permesso di realizzare, nel 2009, l’acquarello (Fig. 4) per la copertina del romanzo di Devis Bellucci “L’inverno dell’alveare” (A&B Editrice - 2010). Le pagine del libro raccontano le vicende di una piccola ape, nata a primavera, che scopre di non poter superare l’inverno. “Nessuna di noi sa che cosa sia l’inverno”, spiega, “perché nessuna l’ha mai superato”. Da qui l’apertura verso gli altri, verso i “diversi”: i pesci, gli alberi, gli uccelli migratori, i papaveri di un campo di grano. Ognuno racconta alla piccola la sua personale esperienza con l’inverno, aiutandola a scoprire la vera saggezza, quella basata sulla testimonianza che nasce dall’incontro. In questo senso, emblematico è l’incontro con la cavalletta, che mette in guardia l’ape nei confronti dell’inverno “den54 | Apitalia | 4/2020

leggerezza dell’acquerello e l’essenzialità dei colori, prendono la giusta attenzione del lettore senza prevaricare sul romanzo. È il giusto equilibrio che vuole la simbiosi tra la parola scritta e l’immagine che la rappresenta. NADIA MERICA FORMENTINI

Quest’artista è nata a Seregno nel 1965, vive e opera a Lissone (Milano) (www.nadiaformentini.altervista.org). La sua ricerca nasce dalla passione per il segno e il simbolo; dal segno su carta al segno nei vari materiali (creta, cartapesta, ferro, pietre, conchiglie, pasta, filo e per1 Fig. 4 - Giorgia Foca, copertina del formance, land art ) fino al gesto romanzo di Devis Bellucci L’inverno dei vecchi mestieri e dei nostri gedell’alveare (A&B Editrice. 2010). sti quotidiani. Di Nadia Merica Formentini ci tro”, dell’inverno del cuore, ben più hanno colpito alcune sue opere in temibile di quello del mondo, che cera d’api: Chiodini (Fig. 5), Una ha sempre una sua primavera. Do- pagina (panetto di cera grezza lasando poesia e suggestione, Bellucci scrive una favola che è metafora dei nostri tempi. Nell’illustrazione di Giorgia Foca, compagna dell’autore nella vita, l’ape è ritratta sulla sua altalena durante l’attesa per diventare esploratrice; i suoi occhi devono prepararsi e il suo sguardo deve imparare la linfa del desiderio per poter volare lontano, al di là dei prati di casa. Accanto a lei, il paracadute abbandonato, perché “un paracadute e Fig. 5 - Nadia Merica Formentini, un sogno non stanno di casa nel- Chiodini (2005), (collezione privata). Note lo stesso cuore”. Giorgia Foca, pur non appartenendo alla categoria 1 Termine utilizzato per indicare le opere d’arte degli artisti professionisti, realizza realizzate attraverso interventi sul paesaggio naturale. Tale termine fu coniato nel 1969 da questa copertina con consumata Gerry Schum, realizzatore di un videotape maestria. L’immagine è fresca nel che raccoglieva dal vivo gli interventi degli tratto, semplice ma non banale. La artisti.


Fig. 6 - Tomáš Gabzdil, Instostenibile leggerezza dell’essere (Unbearable Lightness) (2010), (collezione privata).

vorato) e Il mare in una scatola di cera. Queste sono solo alcune delle opere esposte nel 2005 nel Parco di Monza presso la Cascina Frutteto, sede della Scuola Agraria. Nel settembre 2009 ha esposto le sue opere a Portovenere (La Spezia) nell’ambito della mostra “Domandare?”; tra queste, sono “apisticamente” interessanti le conchiglie di Gasteropodi raccolte tra gli scogli dall’artista stessa. Nadia Merica Formentini ne ha fatto, con la cera grezza, Piccoli lumini che poi ha acceso tenendoli sospesi in fila come il fuoco di San Venerio2. Note

2 San Venerio: patrono dei fanalisti (i conduttori dei fari)... accendeva fuochi, sulla vetta del Tino, per dare un punto di riferimento certo ai naviganti spauriti e dispersi nell’Alto Tirreno.

TOMÁŠ GABZDIL

Tomáš Gabzdil (www.tomaslibertiny.com), artista nato in Slovacchia nel 1979 ma con studio-laboratorio a Rotterdam (Olanda), da alcuni anni s’impegna al fine di esplorare le strategie del design in arte e scienza. Nel suo studio produce opere per collezionisti privati, per gallerie e per aziende industriali. Le sue opere sono state acquisite dal Museum of Modern Art di New York, dal Museum Boijmans van Beuningen di Rotterdam e dal Cincinnati Art Museum (uno dei più antichi musei degli Stati Uniti). Quest’artista nel 2010 ha provveduto a un’installazione molto suggestiva ed emozionante che esula da certa arte intesa come provocazione autoreferenziale.

L’opera Instostenibile leggerezza dell’essere (Unbearable Lightness) è costituita da una scultura in plastica trasparente, chiusa sotto vetro, che rappresenta l’immagine di Cristo in croce (Fig. 6). Sulla scultura sono disposte 60.000 api che hanno ricreato una “pelle” in cera costituita da numerose cellette nelle quali hanno deposto il loro miele. La struttura è stata poi colorata dall’artista con colore rosso-arancio a indicare la passione di Cristo; a fine esposizione il miele è rimosso dalla struttura assieme alle api. L’insostenibile leggerezza dell’essere è il risultato della combinazione fra la tecnologia e la natura: le api, infatti, partecipano nella costruzione di una figura che rappresenta un mito. Le api si dedicano a operazioni che compiono quotidianamente e lo fanno al meglio. Si può

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ARTE affermare che le api sono state progettate dalla natura per fare questo lavoro ripetitivo. LUCA GIOVAGNOLI

Luca Giovagnoli è nato a Rimini nel 1963, dove vive e lavora. Il lavoro dell’artista riminese segna una flagrante anomalia nell’arte contemporanea; Giovagnoli, infatti, è un pittore dalla singolare poetica che esprime con genuina felicità e una personalissima sintesi di segni, la sua sensibilità e le sue emozioni. Della sua ricca produzione ricordiamo Composizione (Fig. 7) e Città d’api. In queste due opere si vede bene come per lui la pittura costituisce un narrare di tipo prevalentemente lirico staccato dalle necessità di una trama, un viaggio nei territori dell’immaginazione, completamente libero, basato molto sul colore, e in cui emergono tracce di memorie, graffiti, arabeschi, in una sorta di personalissima scrittura.

Fig. 7 - Luca Giovagnoli, Composizione (2001), (collezione privata).

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Fig. 8 - Robert Goff, Faerie stuzzica l’ape con un fiore (ortogonale) (Faerie teases bee with a flower (Orthogonal)) (2009), (collezione dell’artista).

larmente innovativa, tecnica multimediale, con la quale le figure e lo stesso paesaggio naturale appaiono Questo artista statunitense, con in tutta la loro realtà volumetrica e esperienze lavorative (sia come tridimensionalità. grafico sia come scrittore) in numerosi settori (quali arte con- JEAN-PATRICIA (PAT) GORDON temporanea, fantasy, informatica, filosofia, biologia) si dedica alla Pat Gordon è nata ad Arbroath in cosiddetta “arte digitale” produ- Scozia (GB) nel 1937; nel 1959 cendo opere, grazie alle potenzia- ha vinto il premio Chalmers Jarvis lità grafiche del personal compu- come uno dei più promettenti gioter (www.dreamsplice.com). Ne vani pittori scozzesi. Dal 1970 al sono esempio Faerie stuzzica l’ape 1980 ha lavorato negli Stati Uniti, con un fiore (Faerie teases bee with Gran Bretagna e Somalia. Ha para flower) del 2009, Faerie stuzzica tecipato a concorsi di pittura esteml’ape con un fiore (ortogonale) (Fae- poranea vincendo numerosi premi. rie teases bee with a flower (Ortho- Successivamente ha vissuto e lavorato a Crespina in provincia di Pisa; gonal) (Fig. 8) sempre del 2009. Queste due immagini sono molto è deceduta il 29 dicembre 2013. simili come impostazione: la fata Sia nella Fig. 9, dal titolo ApicoltuFerie che prende in giro l’ape con un fiore, ma è la loro angolazione che è diversa. Nella prima, infatti, si rileva una certa visione prospettica mentre nella seconda non c’è alcuna prospettiva. Queste opere rappresentano una realtà “altra”, avulsa dalla comune esperienza dell’uomo: indicativo a questo proposito sono le dimensioni dell’ape in primo piano, volutamente esagerate rispetto a quelle tipiche degli insetti e le fattezze del personaggio che è accanto ad essa. Tutto ciò è presentato dall’artista attra- Fig. 9 - Pat Gordon, Apicoltura moderna verso una tecnica artistica partico- (1994) (collezione privata, Pisa). ROBERT C.A. GOFF


copertina del testo Api e impollinazione del 2000) si nota uno stile molto personale caratterizzato dall’abilità nell’armonizzare i colori sfumati e dalla giusta pennellata delle singole linee. Tutto ciò ricorda i maestri del Rinascimento italiano. Renzo Barbattini Dipartimento di Scienze AgroAlimentari, Ambientali e Animali - Università di Udine

Fig. 10 - Pat Gordon, Apicoltura moderna (1994) (collezione privata, Pisa).

ra moderna (disegno di copertina na del 1994) sia nella Fig. 10, dal del testo Temi di apicoltura moder- titolo Api nel Polline (disegno di

Giuseppe Bergamini Museo Diocesano e Gallerie del Tiepolo - Udine FINE 6A PARTE la 5a è stata pubblicata sul n. 12/2019

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INSERZIONISTI

Gianni Savorelli

VITA ITALIA Prodotti per la cura delle api vitaitalia@vitaitalia.191.it

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ZOOTRADE Prodotti per la cura delle api info@beevital.it

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APICOLTURA TETTAMANTI Nuclei e api regine ligustiche tettamantiapicoltura@virgilio.it

pag. 13

ONETTI ERBORISTERIA APISTICA Prodotti per l’apicoltura store@apistore.it

pag. 17

AL NATURALE Laboratorio erboristico info@alnaturale.com

pag. 19

ENOLAPI Alimenti proteici per api info@enolapi.it

pag. 21

CMA DI PITARRESI MICHELE Prodotti per l’apicoltura commerciale@pitarresiitalia-cma.it

pag. 23

ASS. ROMAGNOLA APICOLTORI Api regine di razza ligustica info@arapicoltori.com

pag. 29

ISIFOOD Contenitori, vasetti, accessori isifood@isifood.com

pag. 40

BEE SALUS Prodotti per l’apiterapia info@beesalus.com

pag. 40

DOMENICI Prodotti di apicoltura di erboristeria info@domenici.it

pag. 43

CIVAN Prodotti per l’apicoltura info@civan.com.tr

pag. 47

OTTOLINA Caramelle di qualità apicolturaottolina@gmail.com

pag. 49

GIANNI SAVORELLI Prodotti per la cura delle api giannisavorelli0@gmail.com

pag. 52

MELYOS Allevamento api regine melyosapicoltura@gmail.com

pag. 55

CHEMICALS LAIF Prodotti per la cura e nutrizione delle api info@chemicalslaif.it

pag. 59

LEGA Prodotti per l’apicoltura info@legaitaly.com

pag. 60

Registro Stampa Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 15447 del 01.04.1974

ISSN: 0391-5522 - Iscrizione R.O.C.: 26230 Editore FAI Apicoltura S.r.l.

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