Apitalia 5-6/2020

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Apitalia - Corso Vittorio Emanuele II, 101- 00186 - Roma - ITALY - UE - ISSN: 0391 - 5522 - ANNO XXXXV • n. 5 -6• Maggio-Giugno 2020 •- 706 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) Art. 1 Comma 1 – Roma Aut. C/RM/18/2016

| Testata giornalistica fondata nel 1974 | Direttore Raffaele Cirone |

ONORE ALL’APE ITALIANA !


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EDITORIALE

ONORE ALL’APE ITALIANA!

TERZA GIORNATA MONDIALE CELEBRARE CON ATTI CONCRETI

PRESERVIAMO LA NOSTRA REGINA DELLA BIODIVERSITÀ

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a Giornata Mondiale delle Api, giunta alla terza edizione, per avere una sua utilità deve offrire spunti per interventi concreti. Ecco perché vanno sottolineate le iniziative delle Associazioni che localmente hanno preso posizione contro le pratiche agricole scorrette, o a difesa di risorse mellifere a rischio di potatura proprio in piena fioritura e per la diffusione di pascoli utili alle api. A livello nazionale ricordare i momenti più rappresentativi può dare il senso del nostro agire. Abbiamo recuperato sciami presso la Scuola Allievi Carabinieri, il Circolo Ufficiali della Marina Militare e lo storico Palazzo DoriaPamphilj a Roma, città dove da sempre operiamo nelle sedi istituzionali. Una postazione di alveari è stata installata, alle porte della Capitale, nella splendida cornice dell’area archeologica di Villa Adriana, che è Patrimonio Unesco. Abbiamo partecipato in videoconferenza ad un incontro promosso dagli Eurodeputati On. Pietro Fiocchi e dal suo collega On. Andrey Slabakov, confrontandoci sulle politiche di tutela dell’ape italiana che è patrimonio di biodiversità. Il Ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, ha infine voluto visitare una postazione del Progetto ApinCittà testimoniando, a noi e all’Arma dei Carabinieri che ospita i nostri alveari, l’attenzione delle Istituzioni alla salvaguardia delle api. La nostra Giornata mondiale dell’Ape, insomma, l’abbiamo vissuta così: dando segni concreti di un impegno che condividiamo orgogliosi con ciascuno di voi e che ci guida verso nuovi modi di esprimere il nostro lavoro. Raffaele Cirone 5-6/2020 | Apitalia | 5


SOMMARIO

Apitalia N. 706 | 5-6/2020 gli articoli 5 EDITORIALE Onore all’Ape italiana!

Raffaele Cirone

24 AGENDA LAVORI. CENTRO Ora è tempo di tutto

Matteo Giusti

28 AGENDA LAVORI. SUD L’incognita ambientale

Santo Panzera

43 AMBIENTE Acacia da mille risorse

Matteo Giusti

8 COMUNICATO DELL’EDITORE Farmaco veterinario 10 SOCIETÀ L’incontro con Papa Francesco a cinque anni dalla Laudato si’ Stefano Dal Colle

14 AGENDA LAVORI. NORD-OVEST L’esperienza insegna Alberto Guernier 17 AGENDA LAVORI. NORD La posa dei melari

Maurizio Ghezzi

20 AGENDA LAVORI. NORD-EST Nonostante l’emergenza Giacomo Perretta

49 BIOLOGIA L’esercito dei batteri amici 51 AMBIENTE Apicoltura a rischio 54 FLORA APISTICA I pollini di emergenza

Gianni Savorelli Vincenzo Stampa Giancarlo Ricciardelli D’Albore

lo speciale

LA SARDEGNA RICORDA DUE PROTAGONISTI DELLA SUA APICOLTURA ROMOLO PROTA E SERAFINO SPIGGIA a cura di Ignazio Floris 6 | Apitalia | 5-6/2020


i nostri recapiti

i nostri riferimenti: per pagare

Questa doppia protezione, maschera e mascherina, sintetizza il volto dell’apicoltura che verrà. Nulla sarà più come prima, dopo l’emergenza sanitaria da Coronavirus. Anche noi dovremo adottare nuove modalità di comportamento: all’aperto in apiario, se presenti colleghi e collaboratori; negli ambienti di lavorazione dei prodotti dell’alveare e nei punti vendita; nelle sedi delle Associazioni e nei momenti di socialità.

hanno collaborato a questo numero

abbonamenti: quanto costano 1 anno (10 numeri carta) € 30,00 2 anni (20 numeri carta) € 54,00 Italia, una copia/arretrati € 5,00 Estero: varia per area geografica, richiedere preventivo

Stefano Dal Colle, Alberto Guernier, Carlo Amodeo (foto pag. 14), Maurizio Ghezzi, Zachtleven (foto pag. 17), Andrea Morandi (foto pag. 18), Giacomo Perretta, Matteo Giusti, Max Graziani (foto pag. 24), Santo Panzera, Apic. Laterza (foto pag. 28), Apic. Veneroni (foto pag. 30), Ignazio Floris, Gianni Savorelli, Grzegorz Korczyc (foto pag. 47), Vincenzo Stampa, Giancarlo Ricciardelli, D’Albore, Fabrizio Piacentini, Patrizia Milione, Alessandro Patierno.

marcatura dell’ape regina Secondo un codice standardizzato, le regine sono marcate con un colore (tabella a lato) per permettere all’apicoltore di riconoscerne l’anno di nascita

azzurro

bianco

giallo

rosso

verde

0o5

1o6

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(ultimo numero dell’anno di allevamento, esempio “2020”)

i nostri VALORI “Il mio non sol, ma l’altrui ben procuro” è il motto che accompagna le firme storiche dell’editoria apistica italiana da cui Apitalia trae origine.

Una Giuria internazionale ci ha premiati come miglior rivista di apicoltura, per i contenuti tecnico-scientifici e la qualità fotografica.

La moneta di Efeso, con l’ape come simbolo riconosciuto a livello internazionale già 500 anni prima di Cristo.

Abbiamo sottoscritto “Il Manifesto di Assisi”, per un’economia a misura d’uomo. Come apicoltori ci riconosciamo nel Tau.

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COMUNICATO DELL’EDITORE

FARMACO VETERINARIO

PER IL MINSALUTE I TRATTAMENTI ANTIVARROA IN CONTEMPORANEA SONO “VIETATI E PERICOLOSI”

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u segnalazione dei Servizi Veterinari della ULSS 9 Scaligera di Verona, il Ministero della Salute ha diffidato (vedasi Allegato 1) la Rivista Apitalia per un articolo nel quale veniva menzionato, a titolo di cronaca, un metodo di trattamento antivarroa che fa contemporaneo ricorso a due Farmaci Veterinari autorizzati e in libera vendita in Italia (vedasi Allegato 2). A seguito di tale diffida, accompagnata da richiesta di rettifica, abbiamo provveduto a dare risposta per il tramite del Direttore Responsabile della nostra Testata giornalistica; obbligati, con ciò, a dare corso ad un dispositivo di legge dal quale non possiamo e non vogliamo sottrarci. Ad utilità dei Lettori di Apitalia pubblichiamo la lettera di risposta (vedasi Allegato 3) trasmessa al competente Ufficio del Ministero della Salute e al Servizio Veterinario che ha sollevato il 8 | Apitalia | 5-6/2020

caso: contestualmente invitiamo tutti i nostri Lettori a trarre debite conclusioni circa le modalità improprie con le quali gli Apicoltori, talvolta con il supporto delle Associazioni territoriali o su

Allegato 1

I PIANI SANITARI TERRITORIALI VANNO RIVISTI


Allegato 2

indicazione di esperti a vario titolo, vengono indotti ad effettuare trattamenti non consentiti dalle vigenti normative sul farmaco veterinario. Cogliamo inoltre l’occasione per sottolineare, laddove ancora ve ne fosse bisogno, che la nostra Testata si è da sempre distinta per aver promosso solo comportamenti improntati al rispetto della legalitĂ , comprese le buone pratiche apistiche e sanitarie riferite a prodotti farmaceutici autorizzati o a metodi biotecnici e biologici di controllo delle patologie apistiche: in tal senso è logico dunque aspettarsi un comportamento coerente da parte di tutti i nostri Lettori.

Allegato 3

L’Editore di Apitalia 5-6/2020 | Apitalia | 9


SOCIETÀ

MILLE APICOLTORI DA TUTTA ITALIA

L’INCONTRO CON A CINQUE ANNI D

IN UDIENZA CON IL SANTO PADRE di Stefano Dal Colle

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inque anni fa veniva diffusa l’Enciclica «Laudato Si’» e cinque anni sono trascorsi dalla grande manifestazione di affetto da parte degli Apicoltori verso Papa Francesco. La nostra Organizzazione Nazionale di riferimento, la FAI-Federazione Apicoltori Italiani, aveva chiesto e ottenuto il privilegio di una Udienza a oltre sessant’anni dalla precedente svoltasi nel 1958: allora fu Pio XII ad accogliere e ascoltare gli Apicoltori nella residenza estiva di Castel Gandolfo, alle porte di Roma. Migliaia gli Apicoltori dunque, il 24 giugno 2015, hanno partecipato all’Udienza del mercoledì in piazza San Pietro riuscendo così a ringraziare personalmente Papa Francesco per la nuova Enciclica, questo straordinario appello ad un “cambiamento di rotta” affinché l’uomo si impegni concretamente alla “cura della casa comune”. Con la loro numerosa presenza gli 10 | Apitalia | 5-6/2020

IN DIFESA DELL’APE ITALIANA Il 24 giugno del 2015, giornata in cui si festeggia San Giovanni Battista, si riunirono in Piazza San Pietro, a Roma, oltre mille apicoltori provenienti da tutta Italia e da vari altri luoghi del mondo, compresa l’Argentina. Fu una mobilitazione generale, sincera e appassionata, quella degli Apicoltori a favore di un Papa proclamato appena due anni prima, proveniente dalla “fine del mondo” come Egli stesso ebbe a dire presentandosi a chi lo sentì nominare per la prima volta. Ricordare quel giorno, insieme allo sforzo organizzativo che ci richiese l’importante evento, far fronte alla necessità di coordinare così tante persone, accoglierle, istruirle, convogliarle nei settori a noi riservati dalle Autorità Vaticane, vedere un Santo Padre da vicino, sentirsi stringere le mani, poter scambiare con Lui parole in un clima che ancora emoziona a distanza di tempo, non può che essere ricordato come un momento che ha lasciato un’impronta indelebile in tutti noi che l’abbiamo vissuto. Esattamente un mese prima, domenica 24 maggio, Papa Francesco aveva diffuso al mondo l’Enciclica Laudato Si’, Sulla Cura della Casa Comune, il Creato. Ci sentimmo allora, ancora oggi ci sentiamo, investiti


PAPA FRANCESCO ALLA LAUDATO SI’

di quell’appello volto a preservare le più delicate creature, noi che da Apicoltori questa sensibilità l’abbiamo sempre percepita come il tratto distintivo di chi, sebbene Agricoltore, si dedica alla conduzione di un animale particolare e certamente diverso da tutti gli altri! In questi cinque anni abbiamo sempre più concretamente interpretato l’insegnamento e l’appello di Papa Francesco e nel continuare a farlo, a pochi giorni dalla Giornata Mondiale dell’Ape e da quella della Biodiversità, ci sembra non solo doveroso ma persino normale che si prosegua nel ricordare questo nostro storico incontro di semplici Apicoltori con un grande Papa.

allevatori e custodi di api hanno voluto sottolineare l’importanza di questo insetto quale fattore di produttività del mondo agricolo e di tutela della biodiversità prima ancora che di fornitore di un pregiato prodotto del made in Italy. Non poteva che essere davvero emozionante l’incontro di questa comunità di apicoltori convenuti nella Piazza più importante della Cristianità per testimoniare la loro vicinanza a questo grande Papa impegnato sui temi ambientali. L’emozione poi era accentuata dalla ricorrenza del Santo del giorno: San Giovanni Battista, colui che si nutriva di locuste e miele selvatico e che per questo viene considerato il primo custode del prezioso insetto amico dell’uomo. Proprio ad esaltare l’operosità dell’ape, il dono ufficiale della FAI al Santo Padre è stato il Miele. Tra i tanti rappresentanti, oltre mille, convenuti da tutta Italia, c’era il Gruppo Apicoltori APAT di Padova, magistralmente condotto da Paolo Molon e Igor Gatto, che giocò un ruolo importante in questa occasione. Oggi possiamo dirlo: è da loro che nasce l’idea e parte il lavoro per preparare la speciale confezione di “Delectum nectar” da donare al Papa ideata da Gennaro Andrea. 5-6/2020 | Apitalia | 11


SOCIETÀ Il colore nero riprende i colori dell’Ordine dei Gesuiti a cui Papa Francesco appartiene; il vasetto conteneva uno speciale trancio di miele in favo proveniente da arnie “Modello Arca” costruite dall’Apicoltore Maurizio Ruzzon, seguendo un rigoroso disciplinare di produzione che lascia interamente alle api la costruzione dei favi. Significativa ed eloquente anche l’immagine che appariva sul vasetto di miele: per indicare il dono e non di una persona in particolare bensì di un gruppo, il Gruppo degli Apicoltori Italiani, l’etichetta riproduceva “l’Adorazione dei Magi”, l’affresco di Giotto presente nella Cappella degli Scrovegni a Padova e concesso in uso in via esclusiva per l’occasione del dono al Papa dalla Sovraintendenza delle Belle Arti e Musei Civici di Padova. Papa Francesco, al termine dell’Udienza ha salutato di persona e si è intrattenuto con il presidente FAI Raffaele Cirone e con il sottoscritto che, oltre al miele, gli hanno offerto in dono e fatto indossare il foulard con la scritta “Papa Francesco salviamo le api!”, che tutti i partecipanti all’Udienza avevano messo in spalla e sventolato per la particolare e storica occasione. Personalmente mi sono sentito un privilegiato nel trovarmi di fronte a Papa Francesco e ricordo ancora l’emozione nello stringere la mano di questo Santo Padre, ricevere e restituire un sorriso, poter dire qualche parola di incoraggiamento per l’importante messaggio che rivolge a tutte le persone di buona volontà anche di altre religioni o non credenti. 12 | Apitalia | 5-6/2020

PELLEGRINI VERSO ROMA

Un tempo i pellegrini in viaggio verso Roma potevano imbattersi in qualche banda di briganti e, già nello Stato Pontificio dalle parti della Romagna, se erano ricchi doversela vedere con il “Passator cortese, re della strada, re della foresta”. Oppure in Toscana dover rispondere all’alt dello zelante doganiere che chiedeva con insistenza “chi siete, … cosa fate, … cosa portate?… sì ma quanti siete?… Un fiorino!” Oggi noi fortunatamente possiamo viaggiare in confortevoli pullman: in 120 dal Veneto abbiamo dunque approfittato dell’occasione e prendendola con calma ci siamo fermati a visitare, ad esempio, lo splendido borgo di Civita di Bagnoregio (foto sopra), il Lago Albano e Castel Gandolfo (foto sotto), residenza estiva dei Papi dove è ben visibile “La prima Cassetta d’impostazione delle lettere al mondo” del 1820 e lo stemma di Papa Urbano VIII (Barberini) con le tre belle api scolpite nella pietra.Le api erano il simbolo della famiglia Barberini e le possiamo ammirare, a Roma, anche nella “Fontana delle api” o nel grande “Baldacchino di San Pietro” entrambi del Bernini. Non potevano mancare una veloce visita ai Castelli Romani e un indimenticabile pranzo all’Osteria del Parco di Ariccia. La sera, infine, a Frascati nel verde dei Colli Albani, piacevolmente incantati alla vista del panorama su Roma al tramonto.


Purtroppo, però, ancora ci sono personalità decisive dei destini del mondo che non hanno compreso e raccolto il messaggio che caratte-

facendo al nostro pianeta alla sciagurata ricerca di uno sviluppo a tutti i costi: qui ritorna alla mente un personaggio de “I Promessi Sposi”, l’erudito Don Ferrante che nega l’esistenza della peste e… muore di peste! Ancora ci comportiamo come i quattro capponi di Renzo raccontati dal Manzoni: in una situazione disperata, a penzoloni e strattonati nell’agitato percorso di chi li stava portando all’avvocato Azzeccagarbugli, le teste di questi poveri disgraziati “intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come acrizza l’Enciclica “Laudato sì” e l’in- cade troppo sovente tra compagni cessante monito di Papa Francesco. di sventura”. C’è ancora chi nega l’evidenza scientifica del danno che stiamo Stefano Dal Colle

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AGENDA LAVORI. NORD-OVEST

L’ESPERIENZA INSEGNA!

“PRODURRE”: BEL VERBO PER UN APICOLTORE IMPARIAMO A DECLINARLO NEL MODO MIGLIORE di Alberto Guernier

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per effetto di internet, piuttosto che per la capacità comunicativa del settore apistico vero e proprio; rincresce dirlo, ma possiamo affermare che i nostri clienti hanno scoperto da poco che la cristallizzazione è conseguenza di un fenomeno naturale! Al Nord del Paese, il palato dei consumatori era tarato sull’Acacia bianchissima, limpida e perenne-

CAMBIAMENTI CONTINUI: SERVE SEMPRE PIÙ PERIZIA

Foto Carlo Amodeo

uando, tanti anni or sono, decisi di iniziare la mia avventura di allevatore di api, non era come spesso sento dire: “Tutto completamente diverso”. Eppure molte cose sono cambiate; in bene, in male? Ho dovuto fare questa riflessione, prima di iniziare il lavoro frenetico e senza tregua, quello che passa dalla crescita delle famiglie di api uscite dall’inverno, attraversa in poche settimane, un periodo dedicato a pareggi, nutrizioni, appunti sulla situazione, (molto utili, oggi sempre di più sono un vero risparmio di tempo) controlli della covata, occhi sempre attenti e vigili. Per arrivare un giorno a capire che tutto quell’accelerare, tutta quella spinta doveva essere controllata e in qualche caso ridimensionata: occorreva dedicarsi al controllo della sciamatura, per poi ritrovarsi già a fine aprile con l’acacia parzialmente fiorita! Una situazione che presenta, in ogni sua parte, non poche sfumature via via mutate nel tempo e ci costringe comunque, da apicoltori, a continui aggiustamenti di tiro. Va detto intanto che è cambiato il mercato del miele, forse anche


mente liquida, dolce e soltanto “sfumata” di confetto, di vaniglia in lontananza, del fiore stesso che l’ha creata ma non oltre il lontano “ricordo”. O sul Castagno amaro, ed eternamente liquido anch’esso. Certo gli intenditori, quelli che consultavano libri sul miele, che si informavano, che volevano sapere tutto ci sono sempre stati, ma in pochi volevano accettare per completamente vero, che il miele cristallizzato, non fosse un miele fatto con lo zucchero! Nel frattempo la natura si è mossa per conto proprio, incurante dei nostri capricci, le fioriture sono andate sempre più anticipando, gli inverni spesso sono passati senza farsi notare troppo, è arrivato l’Ai-

lanto, è numericamente cresciuto l’Acero, colonizzando terreni posti più in basso di quanto eravamo invece abituati a trovarlo; persino il Rovo non ha perso tempo e ha ricoperto i terreni abbandonati, quelli di mezza montagna, ancor più di collina, dismessi come il peggiore degli attrezzi, da quell’agricoltura che ha puntato, a discapito spesso della qualità e della sostenibilità, a divenire “agroindustria”. Per fortuna le api non solo volano, ma l’uomo ha messo loro le ruote! Almeno così bottinatrici ed alveari riescono a superare quello che sarebbe il loro naturale areale di produzione, il loro limitato raggio di azione.

Allora, tra i vari aggiustamenti cui ci siamo dovuti sottoporre, ci sono anche gli spostamenti, sempre più mirati, che vanno comunicati in Banca Dati, di cui bisogna verificare la fruibilità in qualunque condizione atmosferica. Abbiamo così imparato che ci sono dei posti dove, andando in una bella giornata di sole, tutto sembra propizio all’insediamento degli alveari; salvo poi, dopo una settimana di pioggia, risultare completamente inaccessibili! Evitiamoli dunque, non basterà arrivare con il “bello” e scaricare le casse; dovremo tornare con melari vuoti, tornare di nuovo a prendere quelli pieni, liberi di poter fare tutte le operazioni del caso.

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Se poi la postazione è da Acacia, non sarà certo anche da Castagno: dovremo riuscire e con qualunque tempo anche a portare via le famiglie per poter sfruttare la sequenza delle fioriture del nostro territorio. Sembrano cose banali, ma si capisce quanto siano importanti la prima volta che si rimarrà impantanati con un camion pieno di melari appena tolti e a pochi metri dall’apiario: un’esperienza poco gratificante! Prendiamo atto invece, anche in virtù del miele prodotto negli anni immediatamente precedenti, se questa o quella postazione siano ancora valide zone per le produzioni di nostro interesse. Tutti gli apicoltori dediti ad ottenere un miele monoflora sanno infatti che più la produzione di nettare, da parte di una specie è scarsa (in genere per avversità climatiche o patologie vegetali), più la produzione di quel monoflora, risulterà “inquinata” da nettare e polline provenienti da altre essenze; quindi per la produzione di miele monoflora, che possa essere venduto come tale nel rispetto delle norme di legge, dobbiamo ricercare a differenza di quanto avveniva molti anni addietro zone ad altissima diffusione della specie vegetale che ci interessa. Diciamo anche che il miele, è scientificamente provato, non è un prodotto che possa andare incontro a particolari conseguenze dovute al rimanere un anno fermo (se dobbiamo resistere ad un’annata con esuberi commerciali) all’interno di maturatori di acciaio per alimenti; questo però vale solo 16 | Apitalia | 5-6/2020

per Acacia e Castagno e se sufficientemente puri, che rimarranno allo stato liquido per più tempo. Nel caso in cui questi mieli vengano prodotti in zone poco “vocate” tenderanno presto a cristallizzare, correremo quindi il rischio di ritrovarci dopo pochi mesi con vasetti che intorbidiscono e nel prossimo inverno, maturatori che non si possono più svuotare dal rubinetto! Tutto risolvibile certo, probabilmente potranno essere classificati come ottimi millefiori, ma con una notevole aggiunta di costi e aggravio di inatteso lavoro a scapito dell’atteso guadagno. Valga come consiglio per le prossime occasioni: se dopo aver messo i primi melari della stagione, magari una settimana prima di spostare, ci accorgiamo che le api hanno portato miele a melario, sarà bene una volta giunti a destinazione effettuarne la sostituzione, qualora sia possibile, (rimettendo poi questi melari dopo

Foto Alberto Guernierw

AGENDA LAVORI. NORD-OVEST

l’acacia se si pensa di produrre del millefiori, per esempio in zone di pianura); oppure contrassegnando quegli stessi melari con nastro di carta e pennarello; essi hanno già miele che non è Acacia, (esempio Colza o Ciliegio) e avreste fatto bene a lasciarli completare con dell’Acacia. Allego una fotografia (sopra) che ancora un po’ mi commuove: è un aggeggio artigianale di quando, è vero, molti apicoltori usavano alveari da dodici favi, (con melari da undici favi). Sull’Acacia, quasi ovunque, serviva addirittura la scala per impilare melari che spezzavano le dita! Ma come dicevamo, se non tutto è cambiato sicuramente ci sono delle importanti e continue differenze rispetto al passato. È dinanzi a tutto questo che occorre sempre maggiore perizia. Buon lavoro. Alberto Guernier


AGENDA LAVORI. NORD

LA POSA DEI MELARI

ACACIA SEMPRE MENO PRODUTTIVA ATTENTI A CAPTARE SEMPRE I SEGNALI DELLE API di Maurizio Ghezzi

L’UTILITÀ DI PREDISPORRE

vece, hanno purtroppo fatto sì che i fiori d’acacia siano rimasti chiusi facendoci perdere il tanto atteso e prezioso raccolto. Così come le giornate calde ma prive di precipitazioni, hanno favorito l’uscita di fiori molto grandi, ben aperti ma purtroppo privi di nettare. Al di là dell’andamento produttivo, che comunque in alcune zone è stato leggermente migliore di quello dello scorso anno, non dimentichiamoci di continuare comunque a monitorare lo stato di salute delle famiglie e il livello di infestazione da varroa.

Foto Zachtleven

NUOVI NUCLEI

L

a raccolta di nettare e polline dalle piante da frutto è ormai pratica archiviata, così come pure quella della colza. Per chi si trova nelle zone costiere mediterranee, a clima più mite, le fioriture del cisto, dell’erica bianca e del timo avranno fatto rinvigorire le colonie; nel nostro territorio invece, là dove è ancora presente, è iniziata la fioritura della robinia che però per potersi aprire necessita di una temperatura di almeno 19 °C e di un po’ d’acqua per dare buone produzioni nettarifere. Notti fredde e giornate ventose, in-

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Foto Fabrizio Piacentini

Il progressivo tepore delle giornate primaverili, dopo aver avuto magari un breve periodo fresco ad inizio mese, stimola l’impulso sciamatorio se questo non è già avvenuto nel mese di aprile; per scongiurare tale fenomeno una buona pratica resta quella di formare nuovi nuclei. Se avete tempo, passione ed amore per il bricolage, questo è il momento da dedicare alla costruzione di arnie esca, seguendo le indicazioni riportate nello splendido libro di T. Seeley “La democrazia delle api”. Una volta preparate premuriamoci di disporle in prossimità del nostro apiario, basteranno pochi giorni per ritrovarle abitate da meravigliosi sciami provenienti da postazioni di vicini che non sono riusciti o sono stati impossibilitati nel contrastare la sciamatura. Se in questo periodo non avessimo ancora provveduto a posizionare i melari sui nostri alveari affrettiamoci a farlo per evitare che un raccolto eccessivo di nettare costringa le api a stoccare il

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miele prodotto nei favi del nido impedendo alla regina di avere uno spazio utile e sufficiente per deporre la nuova e abbondante covata. Questa è una situazione assolutamente da evitare! Se posizionare i melari troppo presto poteva farci rischiare di raffred-

Foto Andrea Morandi

AGENDA LAVO RI. NORD

dare l’alveare e la stessa covata, per contro metterli in ritardo può far correre il rischio di rallentare la deposizione della regina ed anticipare l’insorgenza della febbre sciamatoria. Sta al bravo apicoltore saper scegliere quale sia il momento più opportuno per dar spazio alle famiglie tenendosi ben aggiornato su quelle che sono le previsioni e le evoluzioni di un meteo sempre più imprevedibile e bizzarro a causa dei mutamenti climatici ormai palesemente manifesti. I criteri che dovrebbero guidarci alla scelta del tempo più propizio per la posa del melario, a mio avviso, corrispondono al momento in cui all’interno dell’alveare vi è un sovraffollamento di individui, all’istante prima che il miele stoccato vada a sottrarre spazio utile alla deposizione di nuova covata e a quello in cui inizieremo ad os-


servare la presenza di costruzione di cera bianca sul bordo superiore dei telai e sulla superficie interna del coprifavo. Se la mancanza di tempo vi avessero impedito di sorvegliare con costanza e puntualità gli alveari si potrebbe, inoltre, posizionare comunque il melario prima del verificarsi delle condizioni di cui abbiamo parlato, interponendo fra il melario e il nido oltre all’escludiregina anche l’apiscampo al quale avremo tolto la parte metallica centrale lasciando l’apertura libera. In questo modo la struttura dell’apiscampo contrasterà la dispersione del calore dal nido verso l’alto mentre l’apertura centrale consentirà il passaggio delle api

dal nido al melario e viceversa. È comunque utile, in questa fase, formare nuovi piccoli nuclei nei quali porteremo anche la regina della famiglia donatrice, creando così una sorta di sciamatura artificiale. Potremo poi lasciar allevare la nuova regina direttamente alla famiglia orfanizzata, oppure inserirne una nuova che ci saremo premuniti di acquistare o che avremo fatto allevare secondo le usuali tecniche. Quello che sta per concludersi, comunque, è il mese delle prime grandi e importanti fioriture, non lasciamoci ingolosire solo da una smodata frenesia di ricavare un più che abbondante raccolto: teniamo sempre un occhio rivolto

verso il benessere animale, delle cure e delle amorevoli attenzioni nei riguardi delle nostre lavoratrici alate faranno sì che esse ci sapranno ricompensare con particolare riconoscenza. La stagione è lunga e adottando un atteggiamento lungimirante riusciremo sicuramente a portare, nel modo dovuto, le famiglie verso l’autunno; sperando che nel frattempo le colonie abbiano potuto svolgere il loro faticoso lavoro e per poter affrontare l’inverno nel migliore dei modi. Così da poterci regalare nella stagione a venire ancora ricchi e gioiosi raccolti piuttosto che malinconici rimorsi. Maurizio Ghezzi

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AGENDA LAVORI. NORD-EST

NONOSTANTE L’EMERGENZA

APICOLTORI AI TEMPI DEL CORONAVIRUS SEMPRE ATTIVI, ANCHE PER GLI SCIAMI di Giacomo Perretta

AFFRONTARE IN MODO NUOVO LA VITA ASSOCIATIVA

È

molto faticoso ricominciare a focalizzare il pensiero sulle attività di apicoltura, ogni argomento risulta psicologicamente bloccato, non serve che descriva la paura: l’Italia tutta è informata di quanto sta succedendo qui nel nostro Veneto e in tutto il Nord, ma dobbiamo vincere questa condizione, consapevoli

che non sarà mai più come prima, avremo sempre un po’ paura di avvicinarci agli altri, dovremo anche rivedere il sistema degli incontri associativi, insomma ci saranno sicuramente cambiamenti importanti. I rapporti diventeranno sempre più virtuali, non a caso l’Associazione Apat Apicoltori in Veneto ha costituito un gruppo di conversazione e incontri via Skype, rigorosamente apistica e questo sarà il futuro che ci piaccia o no. Colgo qui l’occasione per ringraziare la FAI che ha chiarito la normativa per la gestione degli alveari, anche per gli apicoltori che operano in “autoconsumo” mettendoci a disposizione un modulo di autocertificazione puntuale e preciso accompagnato dalle disposizioni di legge. Sempre interessanti le letture delle comunicazioni FAI aperte a tutti sul suo portale. LA GESTIONE DEI MELARI Questo periodo si caratterizza per due importanti attività apistiche, i melari e gli sciami. I primi dovrebbero già essere appoggiati e vediamo come e quando avrebbero dovuto essere messi i melari. In alcune zone i melari sono mes-

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Foto www.miela.bio

si, mediamente, già dalla metà di aprile, in altre zone più tardi con la fioritura dell’acacia, fioritura che da’ il via all’importazione più importante la quale arriverà fino al castagno o al tiglio nelle zone di pianura. Premesso che un tempo si diceva: “le api ci comunicano quando vogliono il melario” questa comunicazione consisteva nel riuscire a vedere la frenesia dell’attività delle api, le quali nel tentativo di allargare il nido e dar spazio alle importazioni costruivano con nuova cera sopra i longheroni dei telaini; questa cera ovviamente bianca risaltava su quella scura e per questo gli apicoltori dicevano che i melari andavano messi quando le api imbiancano. Oggi sappiamo che certe particolarità non sono più attuabili, specialmente se si fa nomadismo e ci si sposta anche a migliaia di chilometri dalla propria postazione principale. Ma allora quand’è che dobbiamo mettere i melari? Semplice: quando nel nido c’è un sufficien-

te numero di api, ovviamente anche la lettura dell’imbiancata non deve essere sottovalutata è pur comunque un importane segnale. Ricordarsi di mettere l’escludiregina è certo un gran vantaggio, sia per quanto riguarda la pulizia del favo, sia perché il miele con questo accorgimento rimane più pulito o meglio non aggredito dai sapori che potrebbero essere rilasciati dalle esuvie lasciate dalle larve. Cosa che in pochi ricordano è che i melari devono essere puliti e provvisti di cera sempre nuova, in questo modo otterrete del miele di grande qualità, da non confondere con specificità. Il miele più generico quello di “fiori vari” o millefiori, potrebbe essere organoletticamente migliore, cioè senza tracce di altri sapori o odori che non siano appunto quelli dei fiori. D’altro canto, un miele specifico potrebbe avere un gusto alterato, da un cattivo e vecchio favo da melario peggio se avesse contenuto covata, quindi per finire, favi di cera quanto più

pulita possibile e l’escludiregina per evitare la deposizione nel melario. Una particolare attenzione deve essere posta anche all’inquinamento della cera, purtroppo inevitabile. La cera bio può essere, o meglio è, un valido mezzo per contrastare il rilascio degli inquinanti nel miele, ma il mio consiglio è quello di utilizzare solo cera vergine, lasciando costruire alle api il loro favo; ma come si fa? “Elementare Watson”, avrebbe detto Sherlock Holmes! Mettere una striscia di un paio di centimetri del foglio di cera bio sulla parte alta legata al longherone e inserire nel melario, prestissimo le api costruiranno con la loro cera sicuramente vergine con il favo perfettamente legato all’armatura del filo d’acciaio, se fate questo durante l’importazione rimarrete impressionati dalla velocità con cui le api costruiscono il favo. Con tre favi all’anno in tre anni avete tutti i favi nuovi, con questa tecnica raggiungerete due 5-6/2020 | Apitalia | 21


Foto www.ausl.bologna.it

AGENDA LAVORI. NORD-EST

importanti scopi, quello di avere sempre favi per il melario perfettamente puliti e quello di dare alle api ceripare la possibilità di produrre cera e fare il loro lavoro. UN PENSIERO AGLI SCIAMI Gli sciami sono un altro grattacapo di questo periodo e quest’anno, durante l’emergenza Coronavirus, è stato particolarmente complicato il loro recupero. Abbiamo imparato che in questi casi si deve sempre annotare chi ci ha chiamato – se un privato o un ente pubblico – e presso quale indirizzo ha chiesto l’intervento di rimozione e recupero delle api. Sempre bene attuare, nel caso di recupero sciami, tutte quelle attenzioni che generalmente in situazioni normali non utilizziamo e che neppure nel mio libro “Apicoltura in Sicurezza” ho descritto, per il fatto che nessuno mai avrebbe pensato, se non nei film, ad una pandemia così improvvisa e virulenta. La prima cosa da fare è analizzare dove lo sciame si è insediato, adottando comportamenti differenti a secondo se in ambiente sensibile come ospedali, centri di riabilitazioni, case per anziani oppure se in 22 | Apitalia | 5-6/2020

ambienti civili come le abitazioni diverso, nel caso specifico mi saprivate o attività pubbliche, nego- rei assicurato che non vi fosse la zi di alimentari, supermercati. possibilità da parte delle api di entrare all’interno del reparto, avrei INTERVENTI IN OSPEDALE sigillato le aperture delle finestre e Alcune volte sono stato chiama- non sarei certo intervenuto. Il rito in diversi ospedali e ho sem- schio di un contagio tra la raccolta pre collaborato con coloro che mi dello sciame e le successive puliavevano contattato, generalmente zie sarebbe stato sicuramente più il rappresentante della società di pericoloso che lasciare lo sciame disinfestazione, sia che lo sciame al suo posto. La valutazione fatela fosse stato all’esterno su alberi o ragionata insieme al professionista strutture varie oppure che si tro- o dirigente con il quale vi rapporvasse all’interno dei reparti come tate, non siate frettolosi o peggio mi è capitato, ad esempio nel superficiali, ricordandovi che voi cassonetto di una tapparella nel siete l’apicoltore tecnico e il vostro reparto infantile. Oggi in questa interlocutore un professionista dal particolare condizione prima di quale attingere il comportamento tutto avrei contattato e mi sarei da adottare, ciascuno per la proconfrontato con un dirigente re- pria professionalità senza prevasponsabile, conoscere quali sono ricazioni. Dovrete adottare diversi i pericoli infettivi e se la cattura comportamenti e protezioni, a dello sciame potrebbe essere più secondo delle condizioni, magpericolosa che non lasciarlo alla giori nel caso dobbiate intervenire sua condizione e intervenire in un all’interno di un pronto soccorso momento più opportuno. oppure se all’esterno delle strutVoglio a questo proposito stimo- ture. Attenetevi alle direttive del lare la professionalità dell’apicol- medico o dirigente preposto alla tore, capace di discernere quale sia compartecipazione della raccolta il pericolo minore, se prendo ad sciame. esempio quanto ho citato prima, Questa malattia (Covid-19) puril cassonetto nel reparto infantile, troppo è molto infettiva, è necesoggi mi sarei comportato in modo sario pertanto attrezzarsi in ma-


niera appropriata, ma sicuramente i sanitari che vi contatteranno vi forniranno anche le informazioni su come proteggervi. Oltre alle normali dotazioni per la raccolta dello sciame, sarà necessario aggiungere gli adeguati dispositivi di protezione individuale monouso che, nel caso, saranno indicati dal responsabile della struttura in cui potreste essere chiamati ad intervenire. Consiglio agli apicoltori più anziani, come me, e a chiunque abbia qualche patologia, di astenersi dal recupero di uno sciame in zone sensibili. Sperando che non ce ne sia la necessità vi chiedo calorosamente attenzione e professionalità.

INTERVENTI IN AMBIENTE CIVILE Mentre in ambiente clinico o comunque sanitario ci siamo avvalsi di un professionista con il quale confrontarci, qui in ambiente civile siamo soli con la nostra professionalità. Essere soli significa preparare il lavoro con molta attenzione. Nella maggioranza dei casi possiamo intervenire come abbiamo sempre fatto, facendo attenzione alle distanze e proteggendo i nostri indumenti con un camice o meglio con una tuta usa e getta; gli indumenti andranno comunque, terminate le operazioni, messi in lavatrice. La maschera per le api non protegge dal virus usiamo

anche una mascherina, insomma le protezioni sono importanti, evitate di toccare a mani nude qualunque cosa, so che per molti è difficile lavorare con i guanti ma in questa circostanza è importante che lo facciate. In caso di attività commerciali come supermercati o negozi non permettete agli avventori di avvicinarvi, delimitate la zona con nastro oppure con qualunque cosa possa servire. Gli sciami presi non trasmettono il virus, quindi utilizzateli come avete sempre fatto. Vi lascio con l’augurio di riuscire a superare questa drammatica condizione. Giacomo Perretta

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AGENDA LAVORI. CENTRO

ORA È TEMPO DI TUTTO

ACACIA, MA ANCHE POLLINE E PROPOLI SIATE PRONTI A INTERCETTARE RACCOLTI di Matteo Giusti

È

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ri quando l’acacia inizia ad aprire i fiori, in modo che le api raccolgano prevalentemente quel nettare. L’acacia infatti è molto attrattiva per le api e, appena parte la fioritura l’attività di raccolta delle bottinatrici si concentra su quella. Se c’era già un flusso di nettare im-

MASSIMA ATTENZIONE ALL’UMIDITÀ

Foto Max Graziani

ora che la stagione produttiva entra nel vivo in tutto il Centro Italia, dalla costa alla montagna, comprese ovviamente le isole. A farla da padrona dal punto di vista produttivo ovviamente è l’acacia, che ha iniziato a fiorire verso la terza decade di aprile nella zona costiera e sta proseguendo per tutto il mese di maggio; si protrarrà fino agli inizi di giugno, man mano che ci addentreremo nell’interno e soprattutto quando si sale di altitudine. Un tempo in cui non mancano neanche altre produzioni come il polline e la propoli. Per fare una buona quantità di miele di acacia è fondamentale ovviamente avere famiglie forti e attive per sfruttare al meglio la fioritura, soprattutto se non possiamo spostare gli alveari per seguire la fioritura. Per fare un miele altamente pregiato è necessario seguire degli accorgimenti che ci permettano di raccoglierlo con il maggior grado di purezza possibile e di preservarne la qualità e la stabilità una volta smielato. La prima cosa importante è quando e come mettere i melari. Per cercare di avere un buon prodotto in termini di purezza del miele è importante apporre i mela-


portante prima dell’apertura dei fiori di acacia e si erano già messi dei melari è bene sostituirli, dando alle api melari vuoti e puliti in modo che il miele che andremo a levare successivamente sia frutto quasi esclusivo del nettare di acacia. Purtroppo, molto spesso in questi anni la produzione del miele di acacia è stata compromessa da condizioni meteo avverse, con gelate tardive che hanno bruciato fiori e germogli, piogge eccessive che hanno impedito il volo delle api, ritorni di freddo che hanno fatto consumare agli alveari molto del miele appena raccolto o situazioni di siccità che hanno ridotto la produzione del nettare da parte delle piante. Ma in stagioni buone, con temperature miti e giusta umidità del terreno la raccolta del nettare può essere imponente, ed è per tanto importante seguire il lavoro delle api, per essere pronti a concedere il secondo (ma anche il terzo e il quarto melario) con tempestività. Un ritardo anche di pochi giorni

può portare ad un eccessivo immagazzinamento di miele nel nido, con un blocco della covata e con una perdita di prodotto dovuta al fatto che le api non hanno potuto raccogliere nettare perché non sapevano dove metterlo. A questo scopo l’uso delle bilance posizionate sotto le arnie per monitorare le variazioni di peso, e quindi il volume delle importazioni di nettare diviene utilissimo, soprattutto per apiari lontani dalla sede aziendale o dall’abitazione dell’apicoltore. Altra cosa fondamentale, per non perdere prodotto e per garantire una buona purezza monoflorale, è la scelta del momento in cui togliere i melari. Da un lato, infatti, asportarli troppo presto comporta ovviamente una perdita di produzione, perché non andremo a sfruttare totalmente il lavoro delle api e il potenziale nettarifero delle piante. Dall’altro toglierli troppo tardi può comportare due importanti rischi: la possibilità di contaminazione dovuta alla raccolta di altri

tipi di nettare e il rischio che le api possono iniziare a rimangiare il miele appena raccolto soprattutto in situazioni di siccità o di cali di temperatura, anche solo durante le ore notturne. Per scegliere quando togliere i melari è bene tener conto sia dell’andamento della fioritura sia delle quantità di nettare che viene importato. Nel caso la fioritura nettarifera prevalente in zona sia praticamente solo l’acacia, alla fine della fioritura assisteremo anche ad un calo dell’importazione. In contesti più vari dal punto di vista botanico è necessario tenere sotto controllo l’andamento della fioritura, considerando che in zone di collina e di montagna l’andamento è diverso da zona a zona a seconda dell’altitudine e dell’esposizione. Se le acacie sopra i nostri alveari hanno già lasciato cadere tutti i fiori a terra ricoprendo anche le arnie di uno strato di petali bianchi, non è detto che nel raggio di tre chi-

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lometri non ci siano ancora piante in piena fioritura o anche piante che stiano appena iniziando a fiorire. Quando saremo sicuri che nel raggio di azione delle nostre api tutte le acacie stanno sfiorendo è il momento di togliere i melari, indipendentemente se siano ben opercolati o al giusto grado di umidità. Una eventuale deumidificazione infatti è comodamente fattibile in magazzino o in mieleria. Per farla correttamente basta disporre i melari raccolti a stella, in modo che passi più aria possibile, e accender un deumidificatore da ambiente anche di quelli per uso domestico reperibile in qualsiasi negozio di elettrodomestici. Il consiglio è di non metter al massimo la potenza del deumidificatore e di controllare periodicamente (ogni 8-12 ore) l’umidità del miele con un mielometro in modo da sapere in tempo quando smettere di deumidificare. Una deumidificazione eccessiva, sotto il 17% 16,5% di umidità, da un lato fa perdere prodotto (se estraiamo troppa acqua diminuirà anche il peso del miele raccolto, e quindi il nostro prodotto visto che il miele si vende a peso), dall’altro ne compromette le caratteristiche organolettiche, rendendolo più viscoso e riducendone l’intensità dei profumi. Oltre al miele di acacia, e ovviamente ai millefiori, questo è anche il tempo di altri mieli monoflorali, primo tra tutti il miele di sulla, una leguminosa da foraggio coltivata in molte colline del Centro Italia per la produzione del seme e dal potenziale nettarifero molto alto, uguale o anche maggiore a quello 26 | Apitalia | 5-6/2020

dell’acacia. La sulla ha anche un buon potenziale pollinifero, però la raccolta del polline di sulla è sconsigliata perché il prodotto finale ha caratteristiche organolettiche non gradevoli. In questo periodo comunque ci sono altre fioriture molto interessanti, come il cisto, presente prevalentemente sulla costa, e il frassino che permettono ottimi raccolti sia per quantità che per qualità organolettica del polline prodotto. Anche la produzione di propoli non è da sottovalutare in questo periodo dell’anno, soprattutto se abbiamo alveari in prossimità di pioppi o di salici, ottimi produttori di questa resina molto bottinata dalle api. La raccolta si può ovviamente fare usando le apposite reti da mettere sotto il coprifavo, ma anche in altri modi. Là dove c’è una alta disponibilità di propoli nell’ambiente, le api possono accumulare spessi strati tra il coprifavo e il bordo dell’ar-

Foto www.grupporiel.it

AGENDA LAVORI. CENTRO

nia, che possono essere rimossi e raccolti ad ogni visita, ritrovandoli spessi e viscosi alla vista successiva. Un modo pratico e veloce di raccogliere questi accumuli e che fa sì che le api siano stimolate a bottinarne sempre di nuova. Questa parte della stagione apistica, infine, offre ancora spazio per la sciamatura, cosa che da un lato comporta la necessità di lavoro per evitare che le famiglie sciamino, ma dall’altra indica anche il momento più propizio per tutti quei lavori legati alla attività di riproduzione degli alveari, cioè la produzione di sciami artificiali, l’allevamento delle regine e la produzione di pappa reale. Insomma, sono giorni intensi e i lavori non mancano, anzi spesso bisogna scegliere a quali dare priorità. E in più c’è anche da tagliare l’erba in apiario! Matteo Giusti


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AGENDA LAVORI. SUD

L’INCOGNITA AMBIENTALE

IL LAVORO DELL’APICOLTORE CONDIZIONATO DA NUMEROSI E IMPREVEDIBILI FATTORI ESTERNI di Santo Panzera

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GIOCHIAMO SU PIÙ CAMPI MA LA SFIDA È DECISIVA

Foto Apic. Laterza

on c’è modo diverso per verse componenti. Ai nostri occhi si dirlo: eccoci di colpo magi- possono presentare casi diversi: camente trasportati nell’at- • la regina non si vede e la famimosfera trepidante che accompagliola è priva di covata, se essa gna le fioriture ed il frenetico lavoro però risulta attiva e raccoglie poldelle api. Nel nostro Sud è proprio line, il polline presente nei favi è questo il periodo in cui, se si è opefresco ed opaco e non lucido, può rato con meticolosità e destrezza darsi che ci sia una vergine uscita nel preparare bene i nostri alveari, in volo e quindi assente durante se si ha fortuna nell’avvicendamenla nostra visita, oppure una vergito delle fioriture, se l’andamento ne che, essendo irrequieta e molmeteo-climatico non è inclemente, to mobile, sfugge alla nostra vista, se si è riusciti a controllare efficaceoppure si è in una situazione di mente la sciamatura, le nostre fatirecente orfanità in quanto la verche saranno ripagate da abbondanti gine non tornerà più dal volo di raccolti di miele. fecondazione, poiché preda di I tanti “se”, le tante “condizionature” ben evidenziano il fatto che nel nostro essere apicoltori, i fattori esogeni (esterni), imprevedibili ed ingovernabili, sempre più spesso, alla luce dei conclamati cambiamenti climatici, hanno il sopravvento su quelli endogeni (interni), propri dell’allevamento apistico. Ecco perché anche in questo periodo è necessario mettere ordine nelle variegate situazioni che possono presentarsi nelle famiglie e negli sciami di nuova formazione, allo scopo di riportare a regime l’apiario, rendendolo il più possibile standardizzato ed omogeneo nelle sue di-


gruccioni (caso da noi molto fresegnalata dallo svuotamento di fecondazione, conviene elimiquente); la risposta e la possibile delle celle centrali dei favi, prima narla e procedere ad una riuniosoluzione a questa situazione di intasate di miele, per essere così ne, senza lasciarsi ingannare dalla dubbio è fornita dall’aggiunta preparate dalle operaie ad accopresenza di qualche “falsa” cella di un telaino di covata giovane, gliere la nuova covata; tutto ciò reale, anormale e priva di larva; se in un giorno o due le api coindica che la regina è sicuramen- • covata solo maschile per regina struiranno celle reali si è in una te presente, anche se spesso non fucaiola o operaie fucaiole, nel situazione di orfanità e si può si riesce ad individuare in quanto caso in cui scorgiamo la regina, scegliere se lasciargliele comgiovane e con l’addome ancora è bene eliminarla prima di propletare o distruggerle e riunire non completamente sviluppato; cedere ad una riunione; se sono la famigliola ad uno sciame con • colonia con regina vergine che, a invece presenti operaie fucaiole, regina feconda; inoltre il telaino differenza delle sue coetanee, osservando la deposizione delle con covata da noi fornito evita trascorsi quindici giorni dalla uova nelle cellette, notiamo che anche lo spopolamento al quale nascita, risulta ancora infeconda, le uova sono rilasciate direttapuò andare facilmente incontro come attestano i suoi caratteri mente sulle pareti, in quanto le un piccolo nucleo orfano; morfologici con l’addome corto operaie per il loro corto addome • nella colonia orfana è appena ave di forma triangolare; in questo non riescono a raggiungere il venuta la fecondazione ed il ricaso, poiché superato tale periofondo delle cellette; torno della nuova regina, l’imdo, difficilmente la regina sarà in • famiglia orfana da tempo, il polminente ripresa della covata è grado di compiere un buon volo line stivato nelle cellette appare

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lucido, come ricoperto da una sorta di glassa, il volo sul davanzale dell’arnia è scarso, le api si mostrano irrequiete e rumoreggiano facendo vento con le ali, sollevano l’addome attivando la ghiandola di Nassanoff, negli spazi dei favi al di sotto della corona di scorte in cui ci dovrebbe essere covata, appaiono celle sparse ripiene di miele; in questo caso se non si può o vuole procedere ad una riunione, bisogna al più presto inserire un telaino di covata giovane, allo scopo di impedire il formarsi di operaie fucaiole; • Uova distribuite in modo irregolare, a mucchietti sul fondo delle celle, quasi sicuramente vi è una regina fucaiola. Nel caso in cui tutti i nostri sforzi dei mesi precedenti, volti al contenimento della sciamatura, sono stati in parte vanificati dall’uscita di qualche sciame, non disperiamo, ma provvediamo a recuperarlo ed indurlo a produrre miele: avremo cura di inserirlo in un’arnia completa di fogli cerei sulla quale posizioneremo l’escludiregina ed un melario già costruito; le api dello sciame, non avendo per il momento covata da accudire, si dedicheranno subito alla raccolta di nettare, riempiendo velocemente il melario. Veri e propri problemi di inarniamento si verificano con gli sciami che escono dalle famiglie con una regina vergine, i quali tendono ad abbandonare il nuovo ricovero da noi fornito, vanificando i nostri tentativi di recupero. In questi casi una soluzione consiste nel dare allo sciame un favo di covata fresca, con 30 | Apitalia | 5-6/2020

larve di tre/quattro giorni, i cui feromoni agiscono come una vera e propria calamita, trattenendo lo sciame nell’arnia. In presenza di famiglie che, al momento della fioritura principale, non hanno ancora riempito l’intero spazio del nido, piuttosto che aspettare l’aumento della covata, rischiando che la colonia vada invece a riempire di miele i favi del nido, si può stringerla sui soli telaini effettivamente occupati, attraverso il cambiamento di posizione del diaframma, inducendo così le api a salire a melario prima della loro completa espansione nel nido. Bisogna però tenere bene a mente che due mezze famiglie sono meno produttive di una famiglia popolosa, in quanto in una famiglia poco popolosa la quota di api che devono rimanere nell’arnia a sbrigare “faccende domestiche”, anziché uscire fuori a bottinare, è più alta che in una famiglia popolosa. In famiglie in cui le api sono portate, piuttosto che a salire a melario, ad intasare di miele il nido, togliendo alla regina spazio per la covata, risulta indispensabile l’inserimento nel nido di fogli cerei da costruire. L’inserimento dei fogli cerei se ad inizio primavera, dati i possibili ritorni di freddo, era saggio e pru-

Foto Apic. Veneroni

AGENDA LAVORI. SUD

dente operarlo tra covata e scorte, evitando di interrompere la continuità della covata e di costringere la regina ad interrompere la deposizione in attesa della loro costruzione, adesso, nell’approssimarsi dell’estate, il loro inserimento tra covata e scorte potrebbe significare vederli riempire di scorte (miele e polline) piuttosto che di covata, con il rischio di sciamature per il restringimento dello spazio a disposizione della regina per la deposizione; al contrario, il loro inserimento tra due favi di covata opercolata, assicura la loro costruzione in modo celere e regolare ed il riempimento con uova delle loro cellette. Infine, è bene avere piena consapevolezza che la partita del nostro essere apicoltori si gioca su campi diversi ed impegnativi, su terreni comprendenti agricoltura, ambiente, clima, impollinazione, biodiversità, sempre più ampi, complessi ed interconnessi tanto da rendere quanto mai indispensabile una rinnovata ed il più possibile condivisa coscienziosità civile ed ecologica sull’indispensabilità delle nostre api: ne vale il presente ed il futuro non solo dei nostri allevamenti apistici. Santo Panzera


Foto SardiniaIn

SPECIALE

Bugni rustici in sughero tipici della Sardegna.

LA SARDEGNA RICORDA DUE PROTAGONISTI DELLA SUA APICOLTURA ROMOLO PROTA E SERAFINO SPIGGIA a cura di Ignazio Floris INTRODUZIONE

L’Apicoltura italiana, nella sua storia remota e prossima, ha avuto il dono di veder emergere di tanto in tanto personaggi straordinari. Il loro tratto comune è sempre quello di riunire e sommare in un unico profilo - umano e professionale - quell’amore incondizionato per le svariate forme attraverso le quali l’apicoltura è solita esprimersi: la ricerca scientifica, la destrezza manuale, l’amore per l’insetto o per gli usi e i costumi della tradizione popolare, la dedizione esistenziale e l’interesse personale che mai prende il posto del bene comune. Tutte doti che elevano la cifra di questi personaggi al livello di fuoriclasse e di figure di riferimento del nostro mondo. Chi vi scrive questa breve nota introduttiva ha avuto la fortuna di conoscerne tanti di tali superlativi personaggi e la sfortuna, in questi ultimi anni, di vedere come segno del degrado culturale che l’insegnamento dei Padri e dei Maestri dell’Apicoltura viene spesso misconosciuto, maltrattato, saccheggiato, riproposto per nuovo e persino fatto proprio da chi - senza fatica

e senza esperienza - si professa da un giorno all’altro luminare della Scienza e della Tecnica dell’Ape. Vediamo anche, nonostante tutto ciò, che i grandi protagonisti hanno formato e lasciato traccia evidente di sé in allievi che di tali e preziosi insegnamenti preservano il valore e la memoria. Fino a riportarli alla luce, risparmiandoli così dal disfacimento e collocandoli lì dove essi meritano: in una galleria dei personaggi che hanno fatto grande l’Apicoltura italiana e che abbiamo il diritto e il dovere, per essere noi sempre stati attenti alle cose della storia nazionale, di far conoscere ai giovani che oggi con entusiasmo tornano ad avvicinarsi all’apicoltura, evitando loro il rischio di trascurare figure che invece rappresentano tappe e pilastri fondamentali nella formazione della nostra identità apistica. Ringrazio per questo il professor Ignazio Floris che, in tempi di gioventù, ebbi l’onore di conoscere insieme a quei personaggi di cui oggi ci si ravviva il ricordo e l’evidenza che la Sardegna fu terra generosa e madre di eminenti figure apistiche. Raffaele Cirone

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SPECIALE PROTAGONISTI

È

un dovere e un onore per me poter ricordare Romolo Prota e Serafino Spiggia, in occasione, rispettivamente, del XX e del X anniversario della loro scomparsa. Due Figure fondamentali per l’apicoltura sarda, ma direi più propriamente per la cultura della nostra isola. “L’Apidologo e l’Apicoltore” potrebbe essere l’intestazione di questa breve commemorazione. Ma forse è riduttivo nonostante le “A” maiuscole tendano ad esaltare questi due ruoli. Infatti, il primo era uno scienziato/entomologo, la cui fama aveva travalicato i confini dell’isola e della penisola, e l’altro era sicuramente una figura culturalmente più articolata e complessa: scrittore, poeta, attore, cantore (nel senso di vate!) delle api ancor prima che appassionato apicoltore. La scelta di abbinare questi due illustri Personaggi è certamente azzeccata perché erano legati da una sincera ed autentica amicizia ed erano altresì accomunati da una profonda passione per il mondo delle api e per la Sardegna. Erano anche quasi coetanei, Romolo Prota (1927) e Serafino Spiggia (1925), scomparsi rispettivamente nel 2000 e nel 2010. Serafino, date le sue origini pastorali e orgolesi, nasce probabilmente già con una forte predisposizione per l’apicoltura, essendo questa un’attività tradizionalmente radicata nel mondo pastorale soprattutto del centro Sardegna. Ma è certo che a far scattare la molla per l’interesse culturale verso il mondo delle api è stato l’incontro con Romolo Prota, un incontro casuale come accade spesso nel variegato mondo dell’apicoltura: un seminario, un piccolo corso di formazione. In altre parole: l’occasione, l’evento che inaspettatamente, ma frequentemente, nel caso delle api, è determinante per l’inizio di una passione che spesso si trasforma in professione. Il professor Prota, d’altra parte, era una persona che emanava un carisma tale da suscitare sempre un interesse verso ciò che spiegava o raccontava nelle sue lezioni, sia in ambito universitario, come insigne docente, sia come divulgatore. Era facile cadere nella sua “rete”: lo so bene io che quando seguii il suo corso di entomologia all’università e poi sostenni l’esame, mi trovai il giorno dopo a chiedergli la tesi. Anche Serafino emanava fascino e carisma, che si trasmutava immediatamente in stima per un uomo

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dal volto e dalla cultura antica, che incarnava i sentimenti più autentici di sardità, termine forse inusuale o se preferite inusitato, ma che per i sardi è il sostantivo che forse meglio ne interpreta e ne definisce l’identità culturale: il sentimento profondo di appartenenza ad una civiltà antica in una terra ancor più antica. Romolo Prota era sardo solo d’adozione, essendo nativo di Roccella Ionica in Calabria, ma è indubbio il legame forte che egli instaurò con la nostra isola, sentimentalmente e culturalmente. Era affascinato dai sardi e dalla Sardegna, al punto che quando vinse la cattedra rinunciò a trasferirsi nella Penisola, vicino alla sua regione di origine, per restare in Sardegna. Arrivò giovanissimo a Sassari, dove conseguì la laurea in Scienze agrarie nel 1954 con il massimo dei voti. Nello stesso anno iniziò la sua carriera accademica come assistente della Cattedra di Entomologia agraria fino al passaggio in ruolo nel 1956. Dal 1974, rivestì il ruolo di Professore Ordinario di Entomologia e di Direttore dell’omonimo Istituto della Facoltà di Agraria di Sassari. La sua opera scientifica, nell’ambito dell’entomologia, ha spaziato in vari settori di ricerca: Lepidotterofauna forestale, Insetti nocivi alle principali colture agrarie diffuse in Sardegna, le api e l’apicoltura. Era un uomo che amava profondamente il suo lavoro: docente e ricercatore degno della massima considerazione per i suoi requisiti di rettitudine, senso di responsabilità, correttezza e moralità. Trascorreva in Istituto fino a 12 ore al giorno, suscitando negli allievi più giovani perfino un certo imbarazzo. Era sempre entusiasta del suo lavoro e sapeva trasmettere questo entusiasmo ai suoi collaboratori e ai suoi studenti. Era anche sempre aperto a nuove esperienze. Lui che aveva fatto il servizio militare come sottoufficiale degli alpini, fu pioniere e sostenitore del servizio civile. Fu protagonista anche di altre battaglie soprattutto in am-


bito ambientale, in linea anche con la sua attività di ricerca, volta al contenimento degli insetti dannosi sempre in chiave ecologica. In ambito apidologico ha coordinato due importanti progetti di ricerca italiani: dal 1981 al 1986 “Indagini sulla stato dell’apicoltura per l’incremento della produzione” che coinvolgeva quasi tutte le Università italiane (finanziato dall’allora Ministero della Pubblica Istruzione); dal 1988 al 1992 “Controllo e miglioramento delle produzioni apistiche” finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifico-Tecnologica. Fu promotore della prima e unica Scuola diretta a fini Speciali in Tecnica apistica in Italia e attivò la prima cattedra di Apicoltura all’Università di Sassari nel 1998. Serafino Spiggia, apicoltore-scrittore-attore-poeta, di origini barbaricine, ma legato anche alla città di Olbia, dove trascorse gli ultimi trent’anni della sua vita. Nato a Orgosolo nel 1925, fino ai 20 anni segue le orme paterne e si dedica alla campagna. Come quasi tutti i suoi coetanei, è un giovane pastore dell’interno dell’isola. Ma non è quello il suo destino. L’amore per la letteratura è più forte e lo spinge a prendersi il diploma magistrale. Da allora il pastore Serafino diventa il maestro Spiggia, ma senza mai tradire le sue origini. Per oltre trent’anni fa la spola da una cattedra all’altra. Il suo nome è legato alle scuole elementari di numerosi paesi isolani. Nei primi anni Ottanta, mette radici a Olbia, dove conclude la sua esperienza di insegnante e, in qualche maniera, comincia quella di letterato. Tra i suoi

lavori più importanti, nel 1982, la traduzione in lingua sarda di “Elias Portolu”, il capolavoro di Grazia Deledda. Si dedica anche alla composizione di romanzi e novelle. Tra i primi: “La casa dell’acqua”, una serie di racconti e leggende di Olbia; il “Gallo dorato” e la “Cantoniera del diavolo”. Tra le seconde, invece, “La fata dal telaio d’oro”, edita nel 2001. Un’altra grande passione per Serafino è l’apicoltura, a cui dedica il bellissimo saggio “Le api nella tradizione popolare della Sardegna”. Negli anni Novanta al maestro si aprono anche le porte del cinema. Piero Livi, un altro esponente di rilievo della cultura olbiese, lo sceglie per il suo ritorno sul grande schermo con “Sos laribiancos” (I dimenticati), un film sui sardi prigionieri in Russia durante la seconda guerra mondiale, dove interpreta un ruolo minore, ma significativo: il protagonista da vecchio. Qualche anno dopo, un altro regista isolano, Salvatore Mereu, vuole Spiggia per il suo film “Sonetàula” (Il rumore del legno), tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Fiori, presentato al festival di

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SPECIALE PROTAGONISTI Berlino, dove Serafino interpreta il nonno del giovane protagonista. A parte le parentesi delle esperienze cinematografiche, Serafino continua a coltivare a Olbia il suo impegno culturale, partecipando alla fondazione delle associazioni “Amistade” e “S’Abboju” e mantenendo sempre vivo il suo interesse per le due culture: quella popolare/contadina e quella cosiddetta “alta/ borghese”. Tornerà ad Orgosolo definitivamente solo dopo la sua morte, per la tumulazione, secondo sua espressa volontà. Sul fronte dell’apicoltura, nel lontano 1977, diede vita insieme ad alcuni amici ad una delle prime associazione apistiche della Sardegna. Ne divenne presidente, ricoprendo anche il ruolo di consigliere nazionale nella F.A.I. (Federazione Apicoltori Italiani).

Da sinistra (in primo piano) Ignazio Floris, Raffaele Cirone, Serafino Spiggia, Tomaso Desole, durante una visita in Corsica nel 1991.

autentica amicizia, all’insegna della comune passione per le api e per l’apicoltura. Qualche anno prima della sua scomparsa, Serafino, in una delle sue periodiche visite all’Università di Sassari, mi consegnò un racconto, dicendomi più o meno queste parole: “Ignazio, quando puoi dai uno sguardo a questo scritto, non l’ho nemmeno corretto, pensaci tu”. Senza rendermene conto mi aveva consegnato un breve e originale racconto fantasy su un passaggio fondamentale nella storia dell’apicoltura sarda: l’avvento della varroa, che mutò radicalmente e definitivamente l’assetto di questo comparto, ancora fortemente legato alla tradizione, facendo riemergere in forma allegorica e surreale alcuni contrasti interni all’isola come la contrapposizione tra il sud (Capo ‘e josso), da cui arrivò l’ennesimo flagello, e il nord (Capo ‘e susu). Molte volte ho ripensato, dopo la morte di Serafino, a questo dattiloscritto, non ricordando dov’era finito. Pochi giorni fa, riordinando le “scartoffie” del mio ufficio, è improvvisamente riemerso. Mi piace l’idea, in tempi di meditazione da coronavirus, che sia stato proprio lui a farmelo ritrovare, chissà! E comunque eccolo qua, fedele al suo autore, a parte qualche piccolo ininfluente ritocco, nonché qualche doverosa nota esplicativa a piè pagina per i non sardi, e diciamo anche per i sardi, come me, del Capo ‘e josso.

Tanti sono i suoi contributi in ambito nazionale come locale; pubblicazioni e poesie che parlano di umanità, api e apicoltura nella tradizione popolare. Molti lo ricordano ancora, quando nel 2004 in occasione del XX Congresso A.A.P.I. (Associazione Apicoltori Professionisti Italiani) tenutosi ad Olbia tenne una meravigliosa relazione sull’apicoltura sarda: dalla tradizione l’indicazione per la costruzione di un futuro di qualità per l’apicoltura in Sardegna. Per completare questo sentito e doveroso ricordo, attingo alla mia esperienza personale, essendo stato allievo di Romolo Prota, che mi ha avviato alla carriera universitaria entomologica/apidologica, segnata anche dall’inevitabile incontro con Serafino Spiggia, con il quale si instaurò un rapporto di

Scrivere la storia sulla presenza della varroa in Sardegna stando nel Capo di sopra non è facile. Le ipotesi formulate da esperti e non dell’area cagliarese(1) sono molteplici soltanto perché colui o coloro che scientemente o non, l’hanno importata, non hanno aperto bocca per dire la verità. L’ipotesi più attendibile è che uno o più apicoltori abbiano acquistato nel Veneto(2) o abbiano ricevuto

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Foto Ignazio Floris

in regalo, colonie di api già infestate e che le abbiano trasportate nel Campidano, a Serramanna(3) o in qualche centro vicino; secondo altri, e pare in atteggiamento di difesa, l’acaro sarebbe arrivato dalla Tunisia a cavallo delle rondini oppure trasportato dal vento caldo del sud, insieme ad api, che frequentemente spira anche nell’isola; altra supposizione è che vi siano stati degli “untori”(4) qualificati che abbiano voluto associare la varroa con la peste suina africana. Resta al di sopra delle varie formulazioni il fatto che per la Sardegna il mare è un elemento favorevole di isolamento per tutti quegli aspetti che ci potrebbero favorire ed una strada a cento corsie quando ci devono piovere altri malanni, altri guai, altre pestilenze. E itte bi podimus faghere?(5) La scoperta della varroa nel cagliarese ha senz’altro acuito ancora una volta lo spirito di attrito che esiste tra Capu ‘e susu e Capu ‘e josso: da Cagliari è partita la peste suina, è partita la varroa e pare che sia partita anche l’agalassìa degli ovini e caprini ed è presumibile che, in illo tempore, da quell’area sia partita anche l’idatidosi, la malaria e tutte quante le pestilenze che afflissero le popolazioni sarde nel passato. Il fatto non deve destare stupore e, non è una pura invenzione, se si pensa che tutto, nel passato e nel presente arriva e parte dal porto principale della regione: ancora oggi conquistare Cagliari significa possedere l’isola perché ogni potere è concentrato là e pare che tutto, terreno e divino, dipenda da Casteddu(6). Ma circa il diffondersi della varroa per espansione naturale ed in parte artificiale, uno spassoso narratore del Capo di sopra, qualche mese fa raccontava tutta una vicenda che aveva del fantastico e che

confrontata con la realtà della situazione non saprei ora dire quanto di immaginario vi fosse nel suo piacevole e ridanciano favolare. Pare si trattasse di un sogno narrato da una Signora rimasta sconosciuta che potrebbe davvero aver sognato e nel sogno aver previsto ciò che in realtà è già avvenuto o potrà avvenire.

Note

Termine per indicare un’antica moneta (detta anche callaresito) battuta a Cagliari, ma nel contesto del racconto e, probabilmente, nelle intenzioni

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dell’autore, dal significato simbolicamente “dispregiativo”, ad indicare il territorio del sud, da cui origina questo “disastro” come tanti altri.

Il Veneto, regione confinante con il Friuli da cui è partita la diffusione nel 1981 della Varroa in Italia. (3) Serramanna, cittadina del sud dell’isola è la località in cui è stata segnalata la prima presenza ufficiale della Varroa in Sardegna. (4) Circolava la voce, priva di fondamento, subito dopo l’arrivo della Varroa in Sardegna, che l’acaro fosse stato introdotto volontariamente da apicoltori (2)

professionisti del sud dell’isola con l’intento di accelerare il lento processo di ammodernamento del settore, ancora fortemente caratterizzato, soprattutto nel centro-nord dalla presenza preponderante dei caratteristici bugni villici di sughero “casiddos”. (5) “E cosa ci possiamo fare”?, modo di dire dei sardi, pronunciato con tono spesso dimesso, a segnare l’ineluttabile “segno del destino” di un popolo avvezzo alle colonizzazioni esterne. (6) Letteralmente “Castello”, termine usato per indicare la città di Cagliari

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SPECIALE PROTAGONISTI Accadde dunque che la citata Signora logurodese(7) dopo una cena parca a base di casada(8) e di ricotta con miele, si sia addormentata e sia entrata rapidamente in fase di sogno attivo trovandosi in un batter d’occhio sull’altopiano di Campeda(9) dove la strabiliante fantasia del sogno le mostrò un’orda di varroa, capitanata da certi untori, avanzare compatta verso il nord dell’isola per invadere quelle aree che ancora eran rimaste scoperte. I nomi degli audaci condottieri di razza lanzichenecca sono rimasti un po’ confusi nella visione a causa della inquietudine sorta alla vista di un tale esercito. Comunque, seguendo la massa intruppata, ben ordinata e silenziosa, dato che le varroe non hanno voce, riuscì a captare qua e là qualche sillaba da cui poter ricostruire i nomi non certo con esattezza storica: si trattava di Laurentu kannaka, capitano cagliarese già distintosi in alcuni episodi di lotta nella città di Casteddu, di un altro afferrò indistinte sillabe, arguì che si trattava di un Gino, della Trexenta(10) e del terzo capì che si trattava di orrobba(11) continentale ma restò soltanto la parte finale di un casato in Rello(12). Or mentre il capo andava avanti con l’aria di condurre la spedizione, gli altri due eran senz’altro dei vice; tant’è che Laurentu era in coda con un voluminoso carico di cento alveari di sughero provenienti dalle aree basse della Barbagia(13) del sud, naturalmente già infestate dal terribile acaro. Lo stuolo avanzava a ranghi serrati sulle strade al di là dei muri delle tanche; le avanguardie con strumenti speciali, importati dall’est europeo scrutavano l’aria alla ricerca di colonie di api da infestare col chiaro intento di non lasciarsi dietro zone che restassero immuni dall’invasione varroale. Così la Signora riuscì a notare, dopo un breve tratto, che i condottieri spargevano, con gesti solenni di seminatore, pugni del nefasto seme e tratto tratto, qualche schiera

di varroe si incuneava tra i cespugli e le siepi per raggiungere pacifiche famiglie d’api che lavoravano con la consueta lena. Era evidente che si trattava di una invasione a carattere diffusivo e con una carica di livore che in realtà non doveva esistere. Ma la Signora si accorse che quell’astio proveniva da secoli addietro perché tra sud e nord c’era sempre stato mugugno, almeno da un certo momento in avanti. Lasciando la piana di Campeda per la scarpata del bonorvese il capo ordinò una sosta soprattutto per far riposare Larentu che con i cento alveari a spalla, mal seguiva l’orda degli acari affamati. Così, mentre gli uomini riposavano, essi si sparsero per i dossi ed i canali ad est e ad ovest verso Semestene e Pozzomaggiore alla ricerca di apiari da assalire; in ogni postazione restavano poche femmine e qualche verro; l’occupazione incruenta era compiuta perché nel giro di qualche mese gli apiari sarebbero stati infestati a tal punto da subire gravissimi danni. Sulla montagna ai confini tra Bonorva ed Ittireddu, Claudio aveva alcune postazioni di alveari per l’ultimo raccolto primaverile che prometteva un adeguato compenso alle tante fatiche delle transumanze, delle visite e dei canoni d’affitto; ma gli untori non calcolavano questi ed altri sacrifici; le varroe erano addestrate alla invasione capillare con precise e severe disposizioni di condanne a morte con Amitraz a quegli elementi che non infestassero ogni apiario e, se si verificavano casi di pietà per apicoltori poveri, le pene venivano raddoppiate ed estese anche ai discendenti con poderose dosi di Amitraz rafforzato con altri prodotti. Quando Larentu ebbe ripreso fiato, comunicò con un breve kannakogramma che si poteva ripartire se i reparti infestanti erano già rientrati. Un varrogramma venne diffuso per la vallata ed in un amen le schiere si ricomposero per avviarsi verso il Sassarese, prima meta della nuova invasione, ove però era già

Note

Da “Logudoro”, vasto territorio del nord dell’isola, corrispondente a uno dei 4 giudicati in cui era ripartita l’isola dal Medioevo. “Crema di latte di colostro”: antica ricetta della tradizione pastorale sarda, ottenuta rimestando a caldo latte di colostro di pecora, scorza di limone

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e zucchero, per ottenere un dessert da consumare rigorosamente freddo

Altopiano della Sardegna nord-occidentale che si estende su una superficie di circa 12 mila ettari. (10) Territorio storico del sud della Sardegna. (11) Nel senso di “roba”. (12) Comune spagnolo della Castiglia. (13) Vasto territorio impervio e montuoso della Sardegna centrale, che rappresenta storicamente il nucleo più selvaggio dell’isola. (9)

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scattato l’allarme, non si sa per quali notizie sfuggite durante il percorso tra Oristano e Campeda. Infatti, il Direttore di Entomologia, appena ebbe la soffiata trasmise un entomogramma notturno cifrato sull’avanzata varroasica e suonò le trombe; accorsero gli apicoltori sassaresi, della Nurra(14) e del Meliogu(15) che su un pannello luminoso lessero gli ultimi sviluppi dell’itinerario varroasico verso nord. L’entomologo chiarì a voce alcuni punti non apparsi sullo schermo elettronico esprimendo con una certa amarezza la natura dolosa di quell’avanzata proveniente dal cagliarese: era indubbiamente una vendetta di certi contestatori delle sue dottrine per l’espansione dell’apicoltura razionale nel nord, che però danneggiava quelli del sud. I convenuti non tardarono a capire da quale direzione provenisse l’attacco e vieppiù si infiammarono per dare battaglia. Il piano strategico entomologico prevedeva uno

sbarramento all’altezza di Torralba con uso di scope del Friùli, di vapori di timolo, di fumo di sigarette nazionali senza filtro e in caso di contrattacco violento anche di Amitraz atomizzato. Partirono all’istante Romolo in testa, Claudio e Giampaolo con arnesi vari, Franco e Marco con strumenti d’altro genere, Angela e Rita con bombole d’appretto per irrigidire le varroe, Ignazio con Del Bue e tanti altri. Giunti alla strettoia della semi-galleria di Torralba gli uomini della rinnovata Apibrigata Sassarese, di invincibile ferace memoria, agguerriti e pronti a respingere un nemico sì schifoso con i condottieri infidi e malevoli, presero posizione ed attesero. Tutto era silenzio in quel paesaggio di nuraghi vetusti che ben altri nemici avevano visto attraversare quelle valli nei milenni trascorsi, ma mai una scorreria così subdola animata dal proposito di attaccare inermi famiglie d’api intente a produrre miele migliore di

Note

Territorio pianeggiante a vocazione agricola del nord-ovest della Sardegna. Da medius locus, cioè luogo di mezzo, territorio confinante con il Logudoro.

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SPECIALE PROTAGONISTI quello che si raccoglie nel cagliarese; forse era tale invidia che spingeva duci e soldati a dimezzare un patrimonio che andava riprendendo quota grazie alla volontà di un uomo buono, tecnico dei babbauzzos(16) e sincero amico degli allevatori delle api ligustiche sarde, mellificanti, assai più laboriose della razza cagliarese! Ebbene, essi presero posizione aspettando un segno che poteva essere rumore, frinìo o bisbiglio, per mettere in movimento 12 micidiali macchine sputaveleno e far fuori guerrieri e generali. Avevano ripreso fiato per la lunga galoppata dalla Facoltà di Agraria quando Claudio sentì prurito negli stinchi e contemporaneamente Franco, il lungo, aveva avvistato dall’alto dei suoi binocoli Larentu che prendeva fiato sulla cima di una collina. Sono là, disse agli altri, facendo cenni con la mano, mentre continuava a scrutare l’orizzonte un po’ fosco per i vapori mattutini. Claudio, che si era curvato per grattarsi, si trovò fra le dita dei babbauzzi che non conosceva ma che avevano un odore nauseante; non tardò a capire che si trattava di varroe all’avanscoperta. Passò qualcosa di mucillaginoso a Romolo che al tatto confermò con un cenno disgustoso la “diagnosi” già proposta. Franco che dominava la situazione dall’alto inviò uno spruzzo sulla collinetta di Larentu e subito lo vide tentennare e scivolare disteso verso il basso; quasi all’istante il capitano e l’aiutante apparvero là vicino in atto di scagliare manciate di varroa alla brigata. Claudio fu pronto perché già inviperito e con raffiche di Amitraz uccise tutte le varroe scagliate; Angela e Rita a quella mossa premetterò i pulsanti delle bombole di appretto e, in un lampo, pietrificarono i due spudorati lanzichenecchi nell’atto di ungere ed imbrattare. Il grosso delle truppe, ben addestrate e autonome in caso di infortunio ai duci, accorgendosi del pericolo amitraziano e della violenza con cui veniva diretto alle avanguardie, si dispersero cercando di deviare verso est, poiché tali erano le direttive qualora qualche inconveniente avesse sbarrato la strada

per Sassari: ripiegare ad est verso la base di Tula per attaccare poi la Gallura dall’entro terra, considerato che dal mare vi erano forti difese, già saggiate in spedizioni notturne sui porti e sull’aeroporto. Il capo aveva ricevuto uno spruzzo di appretto a metà; accadde che, dopo alcuni minuti, riuscì ad allentare la presa della pietrificazione e mirò subito agli occhi dell’entomologo. La ferocia del condottiero cagliarese ebbe la meglio trovando il Romolo intento ad indicare una pattuglia varroatica che depistava verso il Campo di Ozieri. Lo colpì negli occhi accecandolo senza poter dare disposizioni per arginare l’avanzata di quella maledetta pattuglia che sfuggì all’attenzione degli altri intenti tutti a bombardare, irrorare, atomizzare quanto stava loro dinnanzi. Romolo ebbe un attimo di smarrimento, ma intervenne dall’alto il solito Franco con uno spruzzo di anidride solforosa che abbatté il capo con insolito fragore per cui l’esercito tremò tutto e si disperse impedendo per il momento la furtiva invasione del Sassarese. Quando le luci dell’alba apparvero sui monti di Pattada, i salti di Mores erano cosparsi di mucchi di varroe indurite dall’appretto, avvelenate dall’Amitraz, fatte secche dall’anidride solforosa e da alcune scariche rumorose di peti non si sa di quale fonte, ma ugualmente efficaci contro un tal nemico. Restava il dubbio sulla pattuglia che aveva svicolato ad est, però la stanchezza era tanta che non poterono verificare la nuova situazione. Ragion per cui Claudio che aveva assunto il comando per l’assenza di Romolo che si aspergeva il viso per levarsi la lordura cagliarese, trasmise un apigramma ad Olbia avvertendo Serafino e Tomas che intervenissero immediatamente sulle strettoie di Oschiri nel caso in cui la pattuglia avesse raggiunto quelle cussorge (17). Con l’aria fresca, quasi pungente dell’alba anche l’anidride solforosa non ebbe un effetto micidiale sul duce, il quale si riprese sia pur lentamente. Il suo risveglio fu assai doloroso perché scorse intorno mucchi di cadaveri e vide Larentu rialzarsi con gran fatica, coi suoi cento casiddos sulle spalle, traboc-

Note

Termine per indicare gli insetti in sardo Cussorgia: istituto giuridico medievale secondo il quale il proprietario di greggi è autorizzato dall’autorità a godere, dietro pagamento, di un suolo

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pubblico destinato a pascolo.

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canti di varroe, ferite o in stato comatoso: gli parve di aver perso la battaglia, ma non disperò; vide davanti a sé la brigata più che mai agguerrita che, paga di aver disperso le avanguardie varroasiche, restava in attesa di altre mosse. Il furbo finse di essere ormai sconfitto, fece il finto morto ed attese che la brigata si ritirasse onde poter riordinare le forze che eventualmente fossero ancora sparse o intossicate. All’apparir del sole sull’oriente sardo l’apibrigata tattaresa(18) si ritirò verso Bonnanaro e strada facendo il Romolo volle lanciare un entomogramma di allarme e di avvertimento agli apicoltori logurodesi dicendo che c’era in zona una schiera di diavoli sudisti disseminando una nefasta progenie di acari che avrebbero distrutto le api. Purtroppo molta gente non crede ad occhi chiusi tutto ciò che dicono i professori e così nessuno si mosse dalle capanne ancora semiaddormentate. Duole quando le persone non prestano ascolto ai messaggi e perciò resta l’amarezza in chi lo trasmette e poi nasce il rimpianto in chi non l’ha recepito al momento giusto. Bastava che in quell’aurora tutti si fossero destati con roncole, cani, scope, siero bollente, preti e tiogamma per arginare quell’invasione che poi li avrebbe “disapiati”. La stanchezza ed il sonno pesava sulle “carene” dei

nostri eroi. Si avviarono essi verso casa ma giunti alle curve di Bonnanaro furono attirati dalla cortesia di un contadino che metteva a loro disposizione due cesti di ciliegie appena colte: vi si buttarono che “api a moju”(19) e ne fecero una solenne mangiata. Ahimè, per loro e per l’apicoltura sassarese! Fu fatale! Come vedremo. Tomuccio captò per primo l’apigramma di Claudio: gli si rizzarono i capelli dietro il ciuffo e rimase ammutolito. Non svegliò nessuno, si alzo e diresse alcuni fucogrammi alle forze dell’interno. Chiamò Serafino, Boreddu, Natalino, Tiu Andria Tuccone, Larentzinu, Nico, Gianferri e Chiodino, preparò il suo areo al decollo, il Presidente sollecitò a predisporre la squadra pato-chirurgica con il dottor Porcu di Berchiddeddu, nuovo appassionato apicoltore. I fucogrammi furono uditi anche più lontano e parecchi si misero in viaggio verso l’aeroporto ove Bastiano in un amen aveva rifornito e agitato le eliche. Mezz’ora dopo l’aereo era stipato di uomini e di attrezzi appesi e legati fuori dalla carlinga tanto che sembrava il carro della befana di altri tempi. Zio Agostino giunto per ultimo si aggrappò al carrello tenendo i tre proli di Natalino che volevano provare emozioni nuove, considerato che essi non temono mai per nessuna ragione; Pitzinna e Biuti

Note

Termine dialettale di “sassarese”. Moju: recipiente in sughero, usato anche come unità di misura per il grano, ma nel caso specifico riferito al bugno (arnia) di sughero.

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SPECIALE PROTAGONISTI si erano accoccolati su un’ala legati con una cinghia di serranda; Giuanne Melone giunto tra i primi preferì l’ultimo posto di coda, perché in caso di atterraggi forzati, là è facile salvarsi…- Rotta ovest per Oschiri-Madonna di Castro, - comunicò Bastiano alla torre di controllo. Decollo immediato e buona fortuna, - rispose Busu via radio. L’aereo decollò con gran fracasso mentre Giovanni Meloneddu si aggrappava ai sedili. A quota 600 piedi vi fu un’impennata per cambio di vento e Giovanni sentì umido sotto il sedile, mentre quelli che stavan davanti chiedevano con urla di turare le condotte di scarico. Oschiri è in vista: atterraggio sul rettilineo della direttissima per Sassari e prosecuzione in rullata fino a Castro. Peu Bua e gli amici avevano captato l’apigramma di Claudio e si erano preparati caricando il suo motocarro antidiluviano di ogni sorta di armi atte ad arginare l’avanzata varroasica. Quando giunsero i galluresi era già stata costruita una barriera di tiria, una trincea antivarroa, ed una fascia depolverizzata con solco petrolifero per annegamento varroe. Pantaleo e Gesuino con altri giunsero da Berchidda armati con spruzzatori di vernice alla nitroglicerina infiammante-esplodente in caso di estrema necessità. Occorre dire che stiamo riportando sempre il racconto, per sommi capi, della Signora che continua a sognare e vede tutte le vicende che si vanno narrando. Ripresisi dallo shock, il generale e Kannaka, cercarono di rintracciare l’aiutante purtroppo senza esito: aveva oltrepassato i confini del morese ed era fermo a Chilivani con una pattuglia della stradale che voleva conoscere le ragioni della sua presenza nella zona, troppo lontana da quella di residenza. Come militare non era tenuto a far conoscere al nemico quali erano le ragioni e pertanto fu considerato una spia e come tale trattenuto per accertamenti. Larentu si trovò con il carico alleggerito per aver perso almeno sessantamila varroe, mentre il capo non poteva digerire la sconfitta subita con

notevoli perdite e dispersione delle forze; tuttavia non si arrese e con segnali in russo, cinese, rumeno e slavo riuscì a raccogliere quelle siringate pattuglie che erano andate ad infestare gli apiari della zona, mettendo insieme ancora un buon manipolo di varroe inferocite per le perdite inferte dalla Sassarese. Le nuove disposizioni furono: 1) avanzare compatti verso Oschiri; 2) in caso di ostacoli ripiegare verso Tula alla base di Bia Ebbas e verso Pattada a Sololche; 3) se vi sarà una piccola disponibilità di forze, alcune pattuglie devono tentare un nuovo attacco nelle terre del Sassarese attraverso Ardara e Ploaghe. Come è facile capire la spina della infestazione di Sassari stava molto a cuore al capo, memore della sconfitta di Uras nel secolo XV… (20) La sognatrice racconta che era sempre notte, benché le ore fossero passate dal primo avvistamento in Campeda e dopo la battaglia di Turalva(21) (avevamo già visto il sole, ma immaginiamo che il cielo sia molto nuvoloso, così non alteriamo né il passaggio né il tempo). Lentamente le avanguardie si affacciarono sulla vallata di Castro da ovest, assai guardinghe dopo la precedente esperienza. Superata la prima curva in salita trovarono il primo intoppo: il motocarro di Peu con un manifesto del sindacato dei fuchi scritto in rosso carminio, diceva: - Hic varroas non passaribus - difesa con poltiglia bordolese e, se occorre, anche Amitraz. Come si vede i significati erano tanti, ma lasciamo il lettore di interpretarli a proprio gusto. La Signora sognante non s’era accorta delle schiere oschiresi e galluresi e notando lo sbarramento si domandò come avessero potuto prepararsi, benché lei non avesse avuto né la forza di rompere il sogno né il tempo per far giungere l’allarme in Gallura. Comunque ne fu felice e gioì assai quando notò l’aereo avanzare oltre il dosso per raggiungere la prima linea. Con un varrogramma delle avanguardie fu informato il capo della situazione; ma prima che perve-

Note

Battaglia di Uras risalente all’aprile del 1470 tra le truppe del viceré aragonese Niccolò Carroz e le milizie sarde del marchese di Oristano

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Leonardo Alagon.

Termine dialettale per indicare la cittadina di Torralba.

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Foto Ignazio Floris

nisse la risposta gli oschiresi, confortati dai rinforzi, avevano già dato il segnale dell’attacco: furono messe in moto le macchine spruzzatrici; dato fuoco alla tiria, irrorata la fascia depolverizzata e riempito il solco petrolifero antivarroa: grosse fiammate di vernice alla nitro furono spedite da Pantaleo che operava con Gesuino su un colle. Le attaccanti rimasero fulminate e le truppe di rincalzo, ricevuta la risposta del capo, ripiegarono a nord e a sud senza esitazione. In verità il capo non credette subito alla presenza di forze ad Oschiri e montato su una jeep, alimentata con linfa di varroa, volle constatare di persona la situazione. Affacciandosi su un tirighino nascosto incappò prima davanti a Lorentzino che lo spruzzò di sulfatiazolo a forte concentrazione, ma passò per assuefazione; il Presidente Sanciu lo assalì con boccate di fumo all’ammoniaca ma quegli superò l’ostacolo; arrivato da Tomuccio ricevette una forte spruzzata d’aceto da un certo bottiglione datogli dall’amico Giovanni: si trovò gli occhi talmente infiammati che non vide più nulla. Che aceto, però! Allora tutti gli furono addosso per suonargliele di “profana” ragione, ma la potenza del carburante consentì alla jeep di svicolare verso il lago ed essendo anfibia raggiunse la base di Tula benché in condizioni disastrose. Le pattuglie dirette a sud non tardarono a raggiungere Sololche in quel di Pattada ove, la Cooperativa al completo teneva un’assemblea sull’argomento: “Formas e misuras pro firmare sa varroa in su saltu nostru”(22). Bell’assemblea e con qualche risultato! Quando andarono a vedere l’apiario trovarono le ospiti già a cavallo dei fuchi e delle operaie. Bella frittata!! I pattadesi ebbero sentore della battaglia di Castro dal telegiornale della rete 3, sempre premurosa nell’informare gli apicoltori sardi della situazione politica della metropoli cagliarese e di altre vicende nauseabonde per gli operatori agricoli. Tomas, viste le forze in campo e l’esito subitaneo della battaglia, gioì a tal punto che avrebbe gradito la presenza dei dirigenti apistici sassaresi, non saNote

Forme (modi, modalità) e misure per fermare la varroa

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nel nostro “territorio”.

pendo che anch’essi erano reduci, sazi di ciliegie di Bonnanaro e certi di aver debellato il comune nemico; ma gli venne anche il desiderio che a Castro fosse presente anche il suo preside Bartolomeo, perché vedesse con quale impeto fu organizzata e condotta l’acaromachia scatenata dagli untori. Giunto alla base, il capo si riprese dall’acetosi padrese grazie ad alcuni unguenti che una ditta del Capo di sotto aveva opportunamente approntato per i casi di grave inquinamento dalle difese nemiche. La Signora nella sua stupenda visione aveva assistito ad altre vicende di quell’eroica tenzone, manifestando nella narrazione una tale felicità per le botte date dai nordisti ai sudisti ed avrebbe continuato a sognare serenamente per altre ore se non fosse intervenuto l’urlo di Claudio e le maledizioni di Franco, i quali, insieme a tutta la brigata, Romolo in testa, rientravano quasi spavaldi della lezione inflitta agli invasori nel bivio di Turalva. Gli eroici combattenti rinfrancati dalla faticaccia e dalle buone ceste di ciliegie avevano ripreso la superstrada certi del rinvio dell’invasione ad altri anni di quelli che devono arrivare. Ma, ahimé, all’uscita dal tunnel di Màscari, Angela sbircian-

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Orgosolo (NU) Tamara Kotevska e Ljubomir Stefanov, autori di Honeyland, ispirati dai lavori che hanno incrociato in paese hanno deciso di dipingere un murale che recita “Ma se le api si estingueranno morirà contemporaneamente anche il mondo”.

do avanti lungo la pista ciclabile, quasi sullo svincolo per Sassari, scoprì le guardie varroatiche inviate dal capo attraverso la via di Ardara per distruggere l’apicoltura sassarese e portotorrese. Là, guardate là, - gridò Angela - quelle sono varroe. Claudio fissò il punto ed esplose in quell’urlo che svegliò la Signora sognante. “Sono rovinatissimo” continuò Claudio a cui fecero eco Franco, Marco e Gianpaolo, mentre Rita restò ammutolita pensando: “Dopo questa faticata, la varroa ce l’ha fatta lo stesso!” La Signora in quel momento udì anche il telefono ed il marito che rispondeva ancora assonnato a Serafino il quale annunziava per certo, ma non era vero, che in quel di Berchidda era stato segnalato un focolaio varrooso che aveva attraversato il ponte Diana di Oschiri in un momento in cui la vigilanza era stata allentata per un piccolo ristoro al vermentino con patate bollite in comunione con pecora sarmentosa grassa. Subito si sentì anche il campanello di Pitzinna che saliva dal pozzo: c’era senza dubbio Boreddu dato che la cacciatrice a overtu23 non esce senza essere accompagnata dal padrone. Tomas lo vide avanzare asmaticamente con Serafino che aveva il mantice intasato dal polline dei fiori di Castro e dai nefasti effluvi dei pesticidi adoperati durante la battaglia. Note

All’aperto.

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Cosa ci fate a quest’ora a su canale? Veniamo da Castro o forse non eri anche tu con noi? - gli risposero ad una voce. Venite dentro, - aggiunse Tomas scompigliando con le dita i capelli. - Non capisco proprio quel che sta succedendo. Io non ero a Castro, ero a casa sveglio fino alle tre di notte a consumare l’ultimo episodio di una telenovela. Li ho visti io, - confermò la Signora che aveva sognato fino a pochi minuti prima e che vigilava dall’alto sullo svolgimento della tenzone tra apicoltori nordisti ed invasori sudisti. Bene, - dissero gli ospiti, - andiamo a mangiare qualcosa, noi siamo stanchi ed affamati. Sembrava tutto vero, così come sembrava tutto un sogno, una visione fantastica da notte d’incubo per una cattiva e lenta digestione. Tomas aveva ragione: non ci si poteva capire proprio nulla di nulla. Ed era vero perché Boreddu e Serafino a quell’ora dormivano a Cuzzola e ad Olbia, ignari che vi fosse stata una battaglia memorabile che aveva ritardato l’arrivo della temuta varroa nell’area gallurese.

Prof. Ignazio Floris Università di Sassari


AMBIENTE

ACACIA DA MILLE RISORSE

RESA MELLIFERA IN CONTINUA RIDUZIONE SI PUNTA SU LEGNO E FIORITURE SCALARI di Matteo Giusti

MIELE PREGIATO MA IN ITALIA È SEMPRE PIÙ RARO

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onsiderata una delle piante nettarifere per antonomasia, almeno nel CentroNord Italia, l’acacia è una delle piante più ricercate e apprezzate dagli apicoltori. Il miele chiaro e fluido che le api producono da questa pianta, anche in grandi quantità nelle buone stagioni, è apprezzatissimo dal mercato spuntando prezzi superiori alla gran parte degli altri tipi di miele. In più la fioritura scalare a seconda delle esposizioni e delle altitudini, il fatto che sia una pianta spontanea e quindi non soggetta a nessun tipo di trattamento fitosanitario, la

rendono ancora più interessante per l’apicoltore. Se poi si considera che spesso in zone di collina e di montagna cresce accanto ai castagneti o addirittura invade quelli abbandonati permettendo di fare due importanti e pregiati mieli monoflorali senza dover spostare gli alveari, si sfiora quasi l’idealità. Ma questa pianta non è importante solo dal punto di vista apistico; ha infatti tutta una serie di potenzialità, da quelle alimentari, a quelle farmaceutiche e forestali per le quali si sta iniziando a valutarne anche la coltivazione. Vediamo di conoscerle, e prima

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ancora, di conoscere meglio questa pianta. Il nome “acacia”, occorre cominciare con il chiarire questo, non è proprio corretto dal punto di vista botanico, per quanto ormai diffuso e accettato come nome comune di questa pianta in tutta Italia. Sarebbe più corretto chiamarla robinia (o gaggìa, altro nome volgare diffuso in varie parti di Italia), dal momento che, come dice il nome scientifico Robinia pseudoacacia L., si tratta di una falsa acacia. L’Acacia propriamente detta è un altro genere botanico, che ha una specie molto nota e diffusa anche da noi: Acacia dealbata Link, quella che comunemente conosciamo come mimosa. Ma tornando alla nostra pianta, già nel nome scientifico Robinia pseudoacacia, c’è tutta una storia interessante che parla delle sue origini e della sua diffusione. Questa pianta ha origini Nord Americane ed è arrivata in Europa per motivi ornamentali all’inizio del 1600. Il nome Robinia infatti è stato dato infatti in onore di Jean Robin, botanico di corte del re di Francia Enrico IV, che importò i semi dalla Virginia per coltivarli nel Jardin des Plantes, l’orto botanico di Parigi. In Italia arrivò sempre nel 1600 per essere coltivata nell’Orto botanico di Padova. E in Italia incontrò un altro illustre estimatore, Alessandro Manzoni, appassionato botanico come appare anche da molti passi dei Promessi Sposi, che la fece coltivare nella sua villa di Brusuglio in Brianza e la consigliò anche per consolidare poggi e terreni. Grazie (o a causa, dipende dai 44 | Apitalia | 5-6/2020

Foto Matteo Giusti

AMBIENTE

punti di vista) alla sua adattabilità e alla capacità di riprodursi per seme e per polloni, che la rendono praticamente una specie invasiva, oggi è diffusa in gran parte di Italia oltre che in quasi tutta l’Europa e buona parte dell’Asia. E come specie invasiva è in grado di sostituire nell’ambiente altre specie come i salici o i castagni, con conseguente modificazione del sottobosco, spesso impoverendolo, e per questo è stata oggetto di vari provvedimenti che ne indicano la gestione, ma per ora non sono mai state decise azioni di estirpazione obbligatoria. Ma veniamo ora agli usi che si possono fare di questa pianta, al di là della produzione del miele. Intanto si può mangiare. I fiori fritti sono molto apprezzati per la loro consistenza carnosa e il loro gusto dolciastro. Le foglie invece, soprattutto quelle dei polloni che sono più facili da raccogliere, sono tradizionalmente usate come foraggio per capre e conigli. Un foraggio anche molto interessante dal pun-

to di vista nutrizionale, in quanto la robinia è una leguminosa e quindi in grado di fissare l’azoto grazie ai suoi batteri simbionti. E questo fa sì che il contenuto di proteine possa arrivare fino a 200-250 grammi per chilogrammo di foglie secche. Ultimamente si stanno anche moltiplicando gli studi per valutare le proprietà degli estratti o degli oli essenziali ricavati da varie parti della pianta. A questo proposito, ad esempio, uno studio condotto da ricercatori indiani e sudcoreani ha valutato l’azione antimicrobica dell’olio essenziale estratto dai fiori di robinia, trovando una discreta attività di inibizione nei confronti di batteri come Staphylococcus aureus, Bacillus subtilis, Listeria monocytogenes, Escherichia coli e Salmonella enterica (Bhalla et Bajpai, 2017). Un altro studio portato avanti da ricercatori iraniani ha mostrato invece la capacità antifungine di alcuni estratti del duramen, della corteccia e delle foglie di robinia, in grado anche di inibi-


re o rallentare la crescita del fungo Tinea versicolor, responsabile di una malattia della pelle (Hosseinihashemi et al, 2016). Ma la potenzialità principale della robinia (oltre al miele ovviamente) è data dal suo legno. Un materiale molto compatto, adatto sia come legna da ardere che come legno per falegnameria. Come risorsa da ardere può essere usato il legno di qualsiasi dimensione che risulta avere un buon rendimento calorifico. Il legno di robinia oltre ad essere compatto ha anche un basso contenuto di umidità al momento del taglio, e questo fa sì che possa essere bruciato con un buon rendimento anche se non perfettamente stagionato. Ma il legno di robinia è anche molto apprezzato per usi di falegnameria, soprattutto all’estero e in particolare in Ungheria, dove esiste un centro di ricerca dedicato allo studio della robinia sotto vari punti di vista e dove è molto sviluppata la filiera del legno di questa pianta. Il legno di robinia per la sua compattezza e le sue caratteristiche tecnologiche è molto apprezzato per fare pali, manici, attrezzi e piccoli manufatti, oltre che tavole, traversine e parquet. Da noi l’uso di questo legno non è ancora molto diffuso e solitamente limitato alla realizzazione di pali per recinzioni o

per l’agricoltura. Tuttavia, si possono ricordare anche degli usi più particolari, come i pali da ormeggio a Venezia o le botti da vino in doghe di robinia, non molto diffuse, ma molto apprezzate per l’invecchiamento del vino. Sta prendendo sempre più piede quindi la possibilità di coltivare la robinia per usi forestali in maniera sistematica e non sfruttando solo le macchie spontanee presenti sul territorio. La coltivazione in impianti forestali si presenta molto interessante anche rispetto ad altre specie da legno a rapido accrescimento come la Paulonia per alcune sue caratteristiche. La robinia infatti essendo una leguminosa è in grado di fissare l’azoto autonomamente riducendo la necessità di concimazioni, può ricrescere da ricacci dopo il taglio o essere riprodotta facilmente per talea, praticamente azzerando i costi per la fornitura di piantine e materiale da propagazione e inoltre si adatta a quasi tutti i tipi di terreno, anche se ovviamente la sua produttività

sarà diversa da terreno a terreno. E se ben gestita la coltivazione di un bosco di acacia può portare a benefici enormi anche per l’apicoltura. In Ungheria, dove come dicevamo l’attenzione e lo studio sulle potenzialità della robinia è da anni all’avanguardia, sono state selezionate piante a fioritura scalare che anche alla stessa altitudine possono avere un periodo di fioritura di un mese, raddoppiando la potenzialità nettarifera e arrivando a punte di 1000 kg/ha di miele. Insomma, una pianta se non dalle mille virtù, dalle moltissime risorse. Certo dal punto di vista apistico qualcuno potrebbe obbiettare che non produce praticamente niente polline. Ma le cose troppo perfette, un po’ come le persone, dopo un po’ vengono a noia. Matteo Giusti

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BIOLOGIA

L’ESERCITO DEI BATTERI AMICI

UN’INFINITA SERIE DI MICRORGANISMI CHE REGOLANO VITA E SALUTE DELL’APE (IV E ULTIMA PARTE) a cura di Gianni Savorelli

UN CAMPO CHE SVELA INCREDIBILI NOVITÀ

Questo articolo si ispira a lavori della ricerca scientifica internazionale, in particolare a CHANGES IN THE BACTERIOME OF HONEY BEES ASSOCIATED WITH THE PARASITE VARROA DESTRUCTOR, AND PATHOGENS NOSEMA AND LOTMARIA PASSIM MICROBIAL ECOLOGY Jan Hubert, Martina Bicianova, Ondrej Ledvinka, Martin Kamler, Philip J. Lester, Marta Nesvorna, Jan Kopecky, Tomas Erban

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Foto Grzegorz Korczyc

i sono circa dieci miliardi di batteri in un’ape adulta. I batteri più o meno simbionti (commensali nell’organismo ospitante, ndR) sono trasmessi, disseminati e condivisi nell’alveare attraverso i comportamenti sociali. La loro componente fondamenta-

le risulta costituita da Gilliamella apicola, Frischella perrara (patogeno opportunista), Snodgrassella alvi, Lactobacillus di cinque tipi e Bifidobacterium di tre specie oltre a vari membri della famiglia delle Bartonellaceae. Per quanto le diverse “famiglie” di batteri che costituiscono la microflora non siano tante, ognuna è rappresentata da almeno una cinquantina di ceppi: ciascuno un po’ diverso dagli altri, come possono essere diversi due fratelli. Questa è una caratteristica estremamente positiva perché può esprimere un’ampia varietà di aiuti nei confronti dell’ospite e verosimilmente non costituisce un impegno primario per il suo sistema immunitario (condizione che è alla base del divenire simbionte). Ecco perché non è facile realizzare probiotici che bisognerebbe fossero anch’essi costituiti da centinaia di specifici ceppi batterici: dovrebbe 5-6/2020 | Apitalia | 47


BIOLOGIA essere questa la loro natura mentre, come detto, molti batteri di poche specie risultano più facilmente destinati a scontrarsi con il sistema immunitario delle api. Alcuni batteri sono poi considerati rari nello stomaco dell’ape, ma risultano abbondanti nell’alveare: Acetobacteraceae con il Parasaccharibacter apium e Lactobacillus kunkeei viaggiano abbondantemente nei circuiti di trofallassi - del nettare e del polline - senza trovare una collocazione stabile nello stomaco dell’ape. C’è poi P. apium (Alpha 2.2 Acetobacteraceae) che non appartiene alla flora batterica dominante e sembra più legato al nettare che ad altro, ma la sua presenza aumenta la sopravvivenza delle larve e aumenta la resistenza al Nosema. Diversi recenti studi sperimentali, di cui a più riprese abbiamo parlato in questa rassegna bibliografica, mostrano e confermano che alterazioni del microbiota possono rendere le api più suscettibili ai patogeni e ai parassiti. Questo ultimo lavoro conferma, inoltre, i risultati che attribuiscono alla comunità di batteri simbionti la possibilità di essere sostanzialmente alterata da parassiti eucarioti, dal periodo dell’anno e dalla postazione geografica dell’alveare: già altri lavori, infatti, hanno mostrato che la localizzazione e il periodo dell’anno possono influenzare il batterioma di api e bombi. La Varroasi nondimeno determina consistenti influenze sulla composizione del batterioma. Più di quanto facciano Nosema ceranae, Nosema apis, L. passim anche se il torto di questo monumentale studio - se di 48 | Apitalia | 5-6/2020

torto si può parlare per costruttiva critica - è di non aver considerato il tipo di sviluppo del Nosema sul batterioma prodotto dalla Varroasi né considerato gli effetti derivanti dalle varie presenza virali associate a Varroa e Nosema. Tutti aspetti molto difficili da valutare, che richiedono tempo ed esperienza, ma che prima o poi saranno chiariti dalla comunità scientifica che mostra crescente interesse in questo campo. I dati rilevati indicano infatti che una certa composizione del batterioma facilita l’infezione di Nosema apis o che favorisce un più alto grado di infestazione da Varroa. Considerando i recenti studi, un microbiota alterato ha l’abilità di aumentare o diminuire la suscettibilità delle api ai suoi patogeni. È probabile che alcuni batteri simbionti rispondano in modi particolari a particolari patogeni, con ciò influenzando la capacità immunitaria e la sopravvivenza dell’ospite (ape). Api con una particolare composi-

zione del batterioma non sono sufficientemente in grado di produrre risposte immunitarie in grado di contenere l’infestazione da Varroa (che, si ricordi, mangia sangue sia di larva che di ape adulta e lo deve digerire dopo aver ferito l’ospite per succhiare; funzioni che richiedono il rompere la cuticola mettendo in moto difese immunitarie tipiche della risposta al ferimento e alle infezioni che ad esso possono essere associate, ovvero ossidanti di vari tipi che non sono esattamente facili da digerire, ndR). Ad alto livello di presenza di Varroa viene ad essere influenzata l’abbondanza relativa di taluni ceppi batterici nelle operaie a livello di intera popolazione dell’alveare. Si è ipotizzato che un aumento delle specie batteriche che si osserva all’aumentare del livello di presenza di Varroa, sia causato dall’effetto del parassitismo sulla fisiologia dell’ape che ha come conseguenza cambiamenti della flora batterica fondamentale.


Un relativo aumento di abbondanza di batteri ambientali o patogeni nel corpo dell’ape ospite può essere interpretato come batteriemia risultante dall’attacco del parassita ai tessuti dell’ospite, ma non sono stati trovati batteri notoriamente patogeni sinergizzanti con la Varroa nonostante non sia da escludere che batteri non strettamente patogeni quando immessi nel sistema ematico (circolazione del sangue) non vadano a richiedere (come visto per F. parrera) uno sforzo immunitario che ovviamente sottrae risorse al controllo delle virosi associate a Varroa che indebolisce a loro volta le api. Una vera e propria cordata! Alla fine della fiera tanto più le api sono indebolite - e la risposta immunitaria è debole - e tanto più per le varroe è facile digerirne il sangue a basso costo energetico) e con ciò disporre di maggiori risorse per aumentare la sua discendenza dal punto di vista numerico. Il cambiamento nella comuni-

tà batterica fondamentale sembra dunque esprimere un effetto antagonistico di Varroa sull’ape che l’acaro parassita usa appunto a suo favore per facilitarsi la vita e la riproduzione. Non è facile determinare quali conseguenze possono essere prodotte da cambiamenti nel batterioma sull’abilità di rispondere a patogeni e parassiti ma è oggi evidente che tutto deve essere collegato e considerato con grande attenzione. Il furto di emolinfa che la Varroa effettua diminuisce il peso e il contenuto di proteine dell’ape parassitizzata. Meccanismi compensatori possono essere ipotizzati, come ad esempio un aumento di assunzione di nutrienti ovvero peggioramenti nell’utilizzo dei nutrimenti che possono anche influenzare i batteri dello stomaco. Si è trovato che la Varroasi influenza più del 24% delle famiglie di batteri presenti nello stomaco con Lactobacilli e B. apis che risultano i

più influenzati dalla infestazione di Varroa. Questi Lactobacilli sono composti di specie e stirpi che hanno un ruolo da pionieri nella colonizzazione dello stomaco immediatamente dopo la nascita dell’ape come adulta e sembrano legati alla capacità di assorbimento dei nutrimenti, che a sua volta determina la capacità di espressione immunitaria che determina la presenza di ossidanti nel sangue che “intoppano” la digestione di Varroa (quando non risultano addirittura tossici a livello letale non è in teoria impossibile). Nell’ileo i lactobacilli Firm 5 formano un biofilm e si trova un aumento della loro abbondanza relativa associata al grado di parassitizzazione da Varroa. L. kunkeei risulta acquisito dai fiori e sue variazioni di presenza possono essere collegabili a variazioni di raccolto (trasmissione florale); essi inoltre formano un biofilm sulla superfice della borsa melaria e ciò può arricchire il nettare in circolo con la trofallassi di sostanze utili al controllo dei patogeni. Effetti, dunque, che risultano efficaci contro altri batteri ambientali, suggerendo un ruolo protettivo del biofilm normalmente presente nella borsa melaria nei confronti delle invasioni da parte dei batteri ambientali. In contrasto ad altre specie di Lactobacillus, l’abbondanza relativa di L. apis diminuisce all’aumentare della presenza di Varroa e, viceversa, mostra capacità inibenti dell’agente causale della peste americana. Il parassitismo da Varroa produce anche un evidente aumento della presenza di Bartonella ma non si ha 5-6/2020 | Apitalia | 49


BIOLOGIA nessuna idea sulle possibili funzioni di questa specie di batteri. Un’altra specie che risulta aumentare in presenza di Varroa è S. alvi ma lo stesso risulta diminuire di presenza quando le api devono far ricorso a cibi proteici stagionati e in questo caso sembra potervi essere un certo effetto di compensazione. Della famiglia delle Acetobacteraceae (Alpha 2), si trova una diminuzione di presenza di Swingsia samuiensis, in conseguenza dell’aumento di presenza di Varroa. Questi batteri di tipo Alpha 2 sono stati precedentemente rinvenuti nella borsa melaria con potenziali effetti sul controllo degli infettanti del nettare in trofallassi. Parasaccharibacter apium (Alpha 2.2) risulta presente nelle larve, ma anche nella borsa melaria delle operaie e una sua presenza sembra poter contrastare lo sviluppo del Nosema. In un precedente lavoro si è mostrato che batteri delle specie Arsenophonus e Spiroplasma vengono ad essere condivisi fra il batterioma di api e quello di varroe a seguito della parassitizzazione verosimilmente in conseguenza della nutrizione che la Varroa effettua e questi batteri, diffusi nell’emolinfa, potrebbero andare a costituire un “impegno” del sistema immunitario che favorisce l’acaro in diversi modi come detto in precedenza. Gli Arsenophonus sono batteri ambientali molto presenti sul corpo dell’ape, ma è evidente che se la stessa viene ferita, fra quanti si introducono nel suo corpo vi sono anche loro. Su questi temi il lavoro “Identifying bacterial predictors of honey bee health” - di Budge, Adams, 50 | Apitalia | 5-6/2020

Thwaites, Pietravalle, Drew, Hurst, Tomkies, Boonham, Brown - ritiene che batteri del genere Arsenophonus siano associati a cattive condizioni di salute dell’alveare e per quanto spiegato questo non risulta certo sorprendente. Comincia pertanto ad essere decisamente evidente che la presenza di Varroa negli alveari è stata fino ad ora non poco sottostimata negli effetti non immediatamente letali, ma di indebolimento che produce soprattutto in relazione alle sue interazioni con altri patogeni (virus, Nosema e virus associati a Nosema) e che le soglie di danno stimate in passato non sono allo stato dell’arte realistiche. Particolarmente in relazione all’avvento di Nosema ceranae e del virus BQCV ad essa associato (che produce scompensi nel proteoma del cervello dell’ape - Doublet 2016 - che possono incidere non poco sulla sua capacità di lavoro con effetti a cascata dirompenti). Allo stesso modo sembra di già molto evidente che è necessario avere le idee molto chiare prima

di proporre o praticare l’introduzione di batteri estranei ancorché ovviamente naturali, nei vari circuiti nell’alveare. Tuttavia, il mondo è il mondo... con tutto quel che ne è conseguito e ne consegue. Per concludere non possiamo trascurare un lavoro (Honey bee gut microbial communities are robust to the fungicide Pristine® consumed in pollen” di Gloria DegrandiHoffman, Vanessa Corby-Harris, Emily Watkins Dejong, Mona Chambers, Geoffrey Hidalgo Carl Hayden Bee Research Center, Usda-Ars, 2000 East Allen Road, Tucson-USA) che verifica come un fungicida modifichi la presenza batterica nel polline e porti le api in situazione di disbiosi e sottonutrizione. Tutte cose che, se trascurate e messe insieme, possono scatenare una vera e propria Apocalisse. Gianni Savorelli La terza parte è stata pubblicata nel n. 4/2020


AMBIENTE

APICOLTURA A RISCHIO

SE I PASCOLI MELLIFERI SONO COPERTE SEMPRE PIÙ CORTE di Vincenzo Stampa

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Le forti escursioni termiche tra il giorno e la notte limitano di molto la produttività nettarifera delle piante, inoltre il rapido alternarsi, nell’arco di qualche giorno, del bello e cattivo tempo azzera la produttività degli alveari i quali hanno un forte e costante consumo quotidiano, per l’estesa presenza della covata. Gli alveari fanno il bilancio quotidianamente infatti, se l’importazione di nettare e polline del giorno corrente non eguaglia o supera il fabbisogno dell’alveare, è normale che le api aggrediscano le scorte per alimentare se stesse

AGRUMI E SULLA FIORITURE IN DECLINO

Ape sicula su zagara.

Foto Vincenzo Stampa

avvero vogliamo bene alle api? Sembrerebbe di sì, anche in un ambito estraneo all’apicoltura. In effetti cresce la consapevolezza popolare dell’importanza vitale delle api, ma clima ed economia non sono più favorevoli all’apicoltura come invece lo erano un tempo. Eppure dovrebbe trattarsi certamente di un sentimento non proprio disinteressato, come si è sentito dire a Bruxelles, durante un dibattito sul futuro dell’apicoltura, dove qualcuno ha affermato senza mezzi termini che “senza le api rischiamo di morire di fame”. Questa consapevolezza non può restare fine a se stessa: di fronte a tanti cambiamenti, da quelli climatici a quelli sociali, che restringono sempre più le possibilità di sopravvivenza delle api e dell’apicoltura, una presa di posizione forte, anche da parte delle Organizzazioni apistiche, è ormai indispensabile. L’andamento produttivo nella stagione corrente, sulle fioriture tipiche degli agrumi e della sulla, che possiamo classificare mediamente da scarso a nullo, pone una seria ipoteca sulla sopravvivenza di tante aziende del settore; un problema sociale non indifferente.

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AMBIENTE e le covate in allevamento; questa altalena tra il “metti” incerto e il “togli” certo alla fine può determinare un risultato di accumulo prossimo a zero. Il margine è molto ristretto: infatti si calcola che il consumo dell’alveare, per la sola sua sopravvivenza, sia di circa il 90% di quanto raccolto nell’arco dell’intero anno. Esemplare è il caso del miele di zagara, una delle tipicità gastronomiche della Sicilia, che si fa sempre più raro: viene da chiedersi se in futuro ci dovremo accontentare soltanto del valore semantico della parola “Zagara”. La fioritura dell’arancio ormai si può dire ultimata, in tre provincie vocate Agrigento, Catania, Palermo si stima una produzione dal 30 al 40% in meno rispetto ad un’annata regolare. Per la sulla si ripete uno scenario noto: nella fascia costiera le api iniziano a bottinare attorno alle 11,00, ora legale, e smettono attorno alle 17,00: il raccolto è sufficiente a

mantenere l’alveare, ma c’è poco o niente nei melari; come negli ultimi anni la produzione di sulla si realizzerà, tardivamente, nelle zone più interne in quanto si riduce lo sbalzo termico giorno/notte. In generale, non è soltanto un fattore di clima. In prospettiva le fonti nettarifere vanno a restringersi; la rotazione agraria, che dispone l’alternanza tra le graminacee e le leguminose, sembra favorevole all’apicoltura, nella realtà non è proprio così. Ma non è, come può sembrare, un problema agrario: è, semmai, un problema economico, di riflesso ad una certa organizzazione dei mercati. La sulla è la foraggera per la fienagione più diffusa in Sicilia, è anche una pianta molto nettarifera tant’è che il miele che ne deriva, unitamente a quello di zagara, rappresenterebbe la maggior parte della produzione. Le superfici agrarie investite a sulla, purtroppo però, si restrin-

gono continuamente. Ciò avviene in conseguenza della riduzione degli allevamenti che non trovano un adeguato sbocco commerciale, a causa della diminuzione del numero delle rivendite rionali a favore della grande distribuzione, la quale non trova conveniente approvvigionarsi localmente. E la rotazione agraria? Di leguminose ce ne sono tante altre: ad esempio il cece, o il favino, che sono di scarso valore apistico è vero ma che hanno come sbocco commerciale, oltre all’alimentazione umana, anche l’industria mangimistica. E le api? Hanno una storia lunga centinaia di migliaia di anni, per sopravvivere non hanno avuto bisogno dell’apicoltore, però, purtroppo, hanno un nemico temibile “Homo sapiens”, il quale ha anche lui un nemico altrettanto temibile: “se stesso”. E sopravvivere a se stessi, si sa, non è un’impresa da poco! Vincenzo Stampa

ZAGARA Se si apre il vocabolario di lingua araba e si cerca la famiglia delle parole collegate alla radice “z - h - r” ci si rende conto che quasi tutti i termini derivati appartengono al campo semantico della fioritura, della prosperità, della lucentezza, dello splendore e della bianchezza, caratteristiche reali e metaforiche di un fenomeno naturale come la fioritura di una pianta mediterranea che porta succosi frutti grazie all’azione impollinatrice di insetti molto importanti come le api. Che sia questo il legame tra il fior d’arancio e lo sposalizio, un augurio di prosperità e splendore ai novelli sposi? È bello credere che sia così. Molto più semplicemente pare che, essendo la primavera la stagione delle nuove unioni e della fioritura degli agrumi, le giovani spose del Sud Italia usavano adornarsi con questi fiorellini bianchi e odorosi di cui vi era grande abbondanza e facilità di approvvigionamento. Da lì la tradizione che vuole la locuzione ‘fiori d’arancio’ essere un sinonimo di ‘sposalizio’. La parola zagara è giunta in italiano come un sicilianismo, ed è probabilmente un’eredità araba lasciata alla meravigliosa terra siciliana, la “patria delle arance” nostrana. Un fiorellino così semplice e profumato, perfino umile nella sua delicatezza e discrezione, le cui virtù sono apprezzate sia in cucina che alla toeletta, porta un nome che racchiude in sé beltà, candore, luminosità e prosperità. Vale la pena pensarci la prossima volta che si vuol fare colpo col classico mazzo di rose…

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FLORA APISTICA. Scheda n. 15

I POLLINI DI EMERGENZA

FIORI UTILI PER LE API E PER GLI ALTRI APOIDEI NELL’ITALIA CENTRALE di Giancarlo Ricciardelli D’Albore

POLLINI DI FINE INVERNO - Petasites officinalis Moench. (Compositae) (Cavolaccio)

DESCRIZIONE GENERICA

TEMPO DI FIORITURA

POLLINE

Perenne erbacea di notevole taglia (150 cm) ubiquitaria, distribuita vicino ai corsi d’acqua. Fiorisce a febbraio. Abbastanza visitata dalle api per polline e per nettare. Raccolto buono di polline per poco tempo. Pallottoline di polline bianche. Notati pochi piccoli apoidei sui fiori.

VALORE APISTICO

Da 1 a 4: 3.

VALORE PER ALTRI PRONUBI

Da 1 a 4: 1.

ALTRI USI

BIBLIOGRAFIA

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La base delle foglie mediocre alimento bollito. La specie selvatica contiene alcaloidi pirrolizidinici, dannosi per il fegato e cancerogeni. Oggi si coltivano varietà prive di tali alcaloidi. Le radici sono diuretiche, toniche, stomachiche, sudorifere, antiartritiche, calmanti delle cefalee e antidolorifiche. I capolini sono astringenti, sudoriferi, espettoranti e bechici. Le foglie pestate per cataplasma esterno contro piaghe e ferite. Schoenfelder I. & P., 2012. Guida alle piante medicinali. Ed. Ricca, 242. Tosco U. 1989. Piante aromatiche e medicinali. Ed. Paoline, 300.


POLLINI DI FINE INVERNO - Phillyrea latifolia L. (Oleaceae) (Lilàtro)

DESCRIZIONE GENERICA

TEMPO DI FIORITURA

POLLINE

VALORE APISTICO

VALORE PER ALTRI PRONUBI

ALTRI USI

BIBLIOGRAFIA

Arbusto sempreverde alto fino a 3 m, distribuito nella macchia mediterranea. Fiorisce a marzo. Polline di emergenza raccolto dalle api in discrete quantità, insieme a quello simile di P. angustifolia, in un periodo di scaristà di flora pollinifera. Le pallottoline di polline sono colore giallo chiaro, quasi bianco. Da 1 a 4: 3. Da 1 a 4: sconosciuto (pronubi selvatici non sono stati notati.) Le foglie sono diuretiche, toniche, astringenti, emmenagoghe. Per uso esterno per lavande o come colluttorio. Tosco U. 1989. Piante aromatiche e medicinali. Ed. Paoline: 302-303.

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Ape Sicura: e stai tranquillo Polizza di Assicurazione sulla Responsabilità Civile (R.C.) Alveari COME ASSICURARE I PROPRI ALVEARI Gli Apicoltori abbonati alla Rivista APITALIA che desiderano assicurare i propri alveari contro i rischi derivanti dalla responsabilità civile per eventuali danni procurati a terzi, debbono compilare l’apposito modulo di adesione alla Polizza collettiva “Ape Sicura” e trasmetterlo alla Segreteria della Rivista APITALIA. Gli Apicoltori abbonati alla Rivista APITALIA possono attivare una Polizza per ciascun apiario posseduto. È garantita la copertura assicurativa per un intero anno (12 mesi). Il Certificato di Polizza sarà prodotto (in formato cartaceo e/o elettronico) e trasmesso - solo a seguito dell’invio delle attestazioni di pagamento e del Modulo di Adesione - alla Segreteria della Rivista APITALIA. La volontà di recesso dalla Polizza collettiva non dovrà essere preventivamente comunicata vista l’automatica scadenza annuale della copertura assicurativa. CONDIZIONI GENERALI DI POLIZZA 1) Rischi assicurati. La Compagnia “Gruppo UNIPOL-SAI. Divisione Fondiaria” assicura a ciascun abbonato alla Rivista APITALIA - purché Apicoltore e come tale iscritto all’Anagrafe Apistica Nazionale - il pagamento delle somme che, quale proprietario-esercente l’apicoltura, sia tenuto a corrispondere, in quanto civilmente responsabile ai sensi di legge, a titolo di risarcimento per danni involontariamente cagionati a terzi, sia per lesioni a persone che per danni materiali a cose o animali, in conseguenza ad un fatto accidentale, compresi i rischi derivanti dalle operazioni di carico e scarico degli apiari e dal trasferimento da una zona all’altra degli apiari stessi, escluso il rischio della circolazione su strada di uso pubblico o su aree a questa equiparate dai mezzi impiegati (in conformità alle norme della legge 24/12/69 n. 990 e del DPR 24/11/ 70 n. 973 è infatti obbligatoria l’assicurazione per rischi di responsabilità civile auto). Sono compresi nel novero dei terzi, limitatamente a lesioni personali, gli aiutanti occasionali dell’assicurato, sempreché vi sia responsabilità dell’assicurato stesso. La polizza collettiva “Ape Sicura” copre inoltre i rischi inerenti alla partecipazione degli Assicurati a Fiere, Mostre e Mercati, compreso il rischio derivante dall’allestimento e dallo smontaggio di stand, ma con l’esclusione dei danni agli espositori ed alle cose esposte. 2) Massimali e Franchigia. L’Assicurazione vale fino alla concorrenza massima complessiva, per capitale, interessi e spese di: Euro 1.000.000,00 (un milione/00 di Euro) per ogni sinistro e relativi danneggiamenti arrecati a persona, animali e cose. Per ciascun sinistro è prevista una franchigia pari a Euro 250,00. 3) Partecipazione all’Assicurazione. Possono essere incluse nella Polizza collettiva “Ape Sicura” le persone e gli enti che siano Abbonati alla Rivista APITALIA - purché Apicoltori o Proprietari di alveari e come tali iscritti all’Anagrafe Apistica Nazionale. Per beneficiare dell’Assicurazione gli Apicoltori debbono: A) versare sul conto corrente postale n. 46157004 intestato a: FAI - Federazione Apicoltori Italiani - Roma, o con qualsiasi altro mezzo ritenuto idoneo, il premio assicurativo di 15,00 Euro (per ciascun apiario da assicurare).

La Compagnia assicuratrice si riserva di modificare l’entità del premio in base all’andamento tecnico sul rapporto sinistri/annualità; B) comunicare alla Segreteria della Rivista APITALIA con apposito modulo di adesione l’ubicazione esatta dell’apiario o degli apiari da assicurare. 4) Decorrenza. La validità della garanzia decorre dalla data di versamento del premio assicurativo, che dovrà essere contestuale alla data di sottoscrizione all’abbonamento annuale alla Rivista APITALIA, ha la durata di un anno a partire dalle ore 24 del giorno del versamento. 5) Norme e sinistri. In caso di sinistro l’assicurato deve darne denuncia scritta alla Segreteria della Rivista APITALIA - Corso Vittorio Emanuele II, 101 - 00186 Roma (tel.: 06.6877175 - 06.6852276; fax: 06.6852287; email: segreteria@federapi. biz) entro cinque giorni dal fatto o al momento in cui ne viene a conoscenza. Per i sinistri implicanti gravi lesioni corporali, l’assicurato oltre a darne notizia alla Segreteria della Rivista APITALIA, ne darà comunicazione alla Compagnia “Gruppo UNIPOL-SAI. Divisione Fondiaria” (indirizzo PEC: unipolsaiassicurazioni@pec.unipol.it), indicando anche il codice della polizza n. 159877505. Non adempiendo all’obbligo della denuncia l’assicurato perde il diritto al risarcimento. Parimenti decade da tale diritto qualora pregiudichi i legittimi interessi della Compagnia nella difesa o contro le azioni o pretese per il risarcimento dei danni che ad essa esclusivamente spetta di condurre in qualsiasi sede o modo, in nome e con la collaborazione dell’assicurato. 6) Accettazione condizioni generali e particolari. Il versamento del premio di assicurazione significa piena accettazione di tutte la condizioni generali e particolari della Polizza n. 159877505, di cui gli interessati possono, su richiesta, prendere visione, dovendosi intendere il rapporto assicurativo, indipendentemente dall’opera intermediaria della contraente, direttamente intercedente fra la Compagnia assicuratrice e i singoli assicurati e regolato unicamente dalle condizioni stabilite nella Polizza citata.

Mod. 01/2020 Questo modulo annulla e sostituisce tutti i precedenti

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Ape Sicura

Modulo di Adesione per gli Apicoltori abbonati alla Rivista

1

IL SOTTOSCRITTO.......................................................................................................................................................................................................... INDIRIZZO...................................................................................................................................................................................................................... CAP................................... LOCALITÀ.......................................................................................................................... PROVINCIA........................... TELEFONO......................................................................... EMAIL................................................................................................................................ CODICE FISCALE.............................................................. PARTITA IVA...................................................................................................................... nella sua qualità di abbonato della rivista APITALIA: a) chiede di essere incluso nella Polizza collettiva “Ape Sicura” di assicurazione per la responsabilità civile contratta a beneficio degli Apicoltori che aderiscono all’iniziativa; b) dichiara, sotto la propria responsabilità, di essere iscritto all’Anagrafe Apistica Nazionale con Codice di Allevamento n. ..........................; c) indica, qui di seguito, l’ubicazione dell’apiario che intende assicurare:

2

1. Apiario composto da n° ................. alveari Comune, Provincia........................................................................................................................................................................................................... Indirizzo, Frazione........................................................................................................................................................................................................... Località, Fondo................................................................................................................................................................................................................. Coordinate satellitari.......................................................................................................................................................................................................

NOTA BENE Utilizzare n. 1 modulo per ogni apiario da assicurare

Proseguire su altri fogli fotocopiati per eventuali altri apiari da assicurare.

Che rimette

a mezzo CCP n. 46157004 - FAI - Federazione Apicoltori Italiani - Roma

a mezzo bonifico bancario, MPS Banca - IBAN IT65T0103003283000061424927

unitamente alla presente

Data.............................................. Firma (leggibile) dell’Assicurato............................................................................................................................ Data.............................................. Firma per accettazione da parte della Compagnia............................................................................................

3

Acconsento all’utilizzo dei miei dati personali ai sensi della normativa sulla Tutela della Privacy (Art. 10 Legge n. 196/2003 e del Reg. UE 2017/679) ai fini del trattamento da parte della Rivista Apitalia e della FAI-Federazione Apicoltori Italiani per l’invio di materiale amministrativo, informativo e/o promozionale. I miei dati non potranno comunque essere ceduti a terzi e mi riservo il pieno diritto di conoscere, aggiornare, modificare o cancellare le informazioni a me riferite. Data................................................ Firma (leggibile) dell’Assicurato.......................................................................................................... Mod. 01/2020 - Questo modulo annulla e sostituisce tutti i precedenti

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INSERZIONISTI

CHEMICALS LAIF Prodotti per la cura e nutrizione delle api pag. 2 info@chemicalslaif.it

Gianni Savorelli

AL NATURALE Laboratorio erboristico info@alnaturale.com

pag. 13

DOMENICI Prodotti di apicoltura di erboristeria info@domenici.it

pag. 15

CMA DI PITARRESI MICHELE Prodotti per l’apicoltura commerciale@pitarresiitalia-cma.it

pag. 19

ENOLAPI Alimenti proteici per api info@enolapi.it

pag. 23

OTTOLINA Caramelle di qualità apicolturaottolina@gmail.com

pag. 25

ZOOTRADE Prodotti per la cura delle api info@beevital.it

pag. 27

ISIFOOD Contenitori, vasetti, accessori isifood@isifood.com

pag. 29

CIVAN Prodotti per l’apicoltura info@civan.com.tr

pag. 33

BEE SALUS Prodotti per l’apiterapia info@beesalus.com

pag. 37

ONETTI ERBORISTERIA APISTICA Prodotti per l’apicoltura store@apistore.it

pag. 39

MELYOS Allevamento api regine melyosapicoltura@gmail.com

pag. 45

ADEA Alimenti per ap commerciale@adea-srl.it

pag. 46

GIANNI SAVORELLI Prodotti per la cura delle api giannisavorelli0@gmail.com

pag. 53

VITA ITALIA Prodotti per la cura delle api vitaitalia@vitaitalia.191.it

pag. 59

LEGA Prodotti per l’apicoltura info@legaitaly.com

pag. 60

Registro Stampa Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 15447 del 01.04.1974 ISSN: 0391-5522 - Iscrizione R.O.C.: 26230 Editore FAI Apicoltura S.r.l. Corso Vittorio Emanuele II, 101 - 00186 Roma - Italia - UE Telefono +39. 06. 6852556 - Fax +39. 06. 6852287 Email info@faiapicoltura.biz Direttore Responsabile Raffaele Cirone redazione@apitalia.net Redazione e Segreteria Corso Vittorio Emanuele II, 101 00186 Roma - Italia - UE Telefono +39. 06. 6852280 - Fax +39. 06. 6852287 Email redazione@apitalia.net Grafica e Impaginazione Alberto Nardi redazione@apitalia.net Comunicazione e Social Media redazione@apitalia.net Esperto Apistico Fabrizio Piacentini redazione@apitalia.net Promozioni e Pubblicità Patrizia Milione redazione@apitalia.net Stampa Tipografica EuroInterstampa Via Eleonora Carlo Ruffini 1 - 00145 Roma

Associata USPI Unione Stampa Periodica Italiana

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