Apitalia 6/2019

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APIARI NELLA ROCCIA

Apitalia - Corso Vittorio Emanuele II, 101- 00186 - Roma - ITALY - UE - ISSN: 0391 - 5522 - ANNO XXXXIIII • n. 6 • Giugno 2019 •- 697 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) Art. 1 Comma 1 – Roma Aut. C/RM/18/2016





EDITORIALE

VUOTI A PERDERE

ROBINIA COMPLETAMENTE SMARRITA, ORA SI SPERA NELLA PRODUZIONE ESTIVA DISASTROSA PRIMAVERA L’ITALIA SENZA MIELE APICOLTORI ALLO STREMO

A

lla fine di maggio avevamo dato l’allarme, ora il dato è certo: la quasi totalità delle fioriture primaverili è andata distrutta dal maltempo. Mancano all’appello milioni di chili di acacia, i danni assommano a milioni di euro. Introiti di cui gli apicoltori dovranno fare a meno passando la mano a importatori e confezionatori. Le aziende a vocazione economica sono allo stremo, le api hanno rischiato di morire di fame. Era dunque doveroso invocare la calamità per l’apicoltura. Non è così difficile anche se serve un percorso ai vari livelli istituzionali: Ministero, Regioni, Organizzazioni professionali agricole e apistiche. Il Fondo di Solidarietà Nazionale - esteso in passato al comparto apistico - serve a questo: indennizzare i danni da maltempo. Ora va attivato, appostando ed erogando le risorse necessarie. Abbiamo chiesto al Ministero dell’Agricoltura un pronto soccorso, prima che fosse troppo tardi per la sopravvivenza delle migliori imprese apistiche. Ad inizio giugno Alessandra Pesce, Sottosegretario di Stato con delega all’apicoltura, ha convocato il tavolo della filiera apistica. “Per quanto riguarda lo stato di calamità in apicoltura - ha detto in quell’occasione il Sottosegretario - ci sono difficoltà nel dettagliare le zone colpite e non è facile definire lo stato delle cose”. Ci aspettavamo maggiore coraggio, ma confidiamo che i tre più solerti paladini dell’agricoltura italiana - il Ministro Centinaio e i suoi due Sottosegretari Manzato e Pesce - non restino indifferenti. Si tirino fuori gli apicoltori dal pantano, tanto più che la loro richiesta di danni non ha precedenti e non sarà così esosa da far saltare i conti di un’Italia tornata coraggiosa… speriamo non solo a parole, ma anche nei fatti. Raffaele Cirone

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SOMMARIO

Apitalia N. 697 | 6/2019 gli articoli 5 EDITORIALE Vuoti a perdere

Raffaele Cirone

10 PRIMO PIANO Giornata Mondiale delle Api

Fabrizio Piacentini

12 AGENDA LAVORI. NORD-OVEST Inizio estate con poco miele e molte riflessioni Alberto Guernier

15 AGENDA LAVORI. NORD Il raccolto perfetto? Un insieme di più fattori

20 AGENDA LAVORI. CENTRO Produrre monitorando

Stefano De Pascale 24 AGENDA LAVORI. SUD Far fronte comune contro le avversità Santo Panzera 27 AGENDA LAVORI. SUD E ISOLE Più cera e più miele, oltre i luoghi comuni Vincenzo Stampa 41 SOCIETÀ Apicoltura in carcere

Antonio Fabrizio

43 BIOLOGIA Distinguersi conviene

Gianni Savorelli

48 MARKETING Nuove frontiere commerciali 52 FIORI PER LE API Facelia “mon amour”

Stefano dal Colle

Maurizio Ghezzi

17 AGENDA LAVORI. NORD-EST L’emozione di produrre miele Giacomo Perretta

LA NUOVA POLIZZA ASSICURATIVA PER GLI ALVEARI a pag. 56

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lo SPECIALE

APIARI NELLA ROCCIA Roberto Bixio, Sophia Germanidou


i nostri recapiti

i nostri riferimenti: per pagare Fonte di cibo in tempo di pace, arma di difesa in tempo di clonflitto. L’affascinante ipotesi emersa durante una missione archeologica italo - ellenica

hanno collaborato a questo numero

abbonamenti: quanto costano 1 anno (10 numeri carta)

€ 30,00

2 anni (20 numeri carta)

€ 54,00

Italia, una copia/arretrati

€ 5,00

Alberto Guernier, Maurizio Ghezzi, Robert Strasser (foto pag. 16), Giacomo Perretta, Stefano De Pascale, Giancarlo Martire (foto pag. 17), Santo Panzera, Wolfgang Vogt (foto pag. 24), Vincenzo Stampa, Rberto Bixio, Sophia Germanidou, Roberto Bixio, G. Bologna, M. Traverso, A. De Pascale, A. Bixio (foto e grafica pag. 29-39), Antonio Fabrizio, Gianni Savorelli, Armando Monsorno (foto Pag. 43), abcveneto.com (foto pag. 52), Giancarlo Ricciardelli D’Albore.

marcatura dell’ape regina Secondo un codice standardizzato, le regine sono marcate con un colore (tabella a lato) per permettere all’apicoltore di riconoscerne l’anno di nascita

Lo stemma circolare dell’ape regina al centro della scritta che recita “Il mio non sol, ma l’altrui ben procuro” accompagna da sempre le pubblicazioni curate dalle firme storiche dell’editoria apistica italiana da cui Apitalia trae origine

azzurro

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(ultimo numero dell’anno di allevamento, esempio “2019”)

Questa è la medaglia d’oro accompagnata dalla menzione speciale della Giuria internazionale che ha riconosciuto Apitalia miglior rivista di apicoltura per i suoi contenuti redazionali, la qualità del corredo fotografico e il valore tecnico-scientifico

La moneta di Efeso, con l’ape come simbolo riconosciuto a livello internazionale già 500 anni prima di Cristo

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PRIMO PIANO

GIORNATA MONDIALE DELLE API Le celebrazioni del 2019 sono state ospitate a Roma, presso la FAO, l’Organizzazione mondiale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione e in collaborazione con Apimondia, la Federazione Internazionale degli Apicoltori. Un prestigioso tavolo di autorità, rappresentanti delle istituzioni, della ricerca e delle organizzazioni degli apicoltori provenienti da tutto il mondo; prevalente la partecipazione di rappresenti dell’apicoltura slovena e italiana. Tutti gli intervenuti hanno messo l’ape mellifera al centro dell’attenzione mondiale: gli insetti impollinatori meritano speciale attenzione per il mantenimento della biodiversità, per la produzione agricola e per il sostegno al reddito nei Paesi in Via di Sviluppo, per la conservazione di un Pianeta in buona salute.

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PRIMO PIANO

GIORNATA MON

È stato un semplice e utile stare insieme, per dare voce e forza ad un’azione d ambiti governativi, che si sta conquistando una crescente simpatia anche da pa si fa strada a livello nazionale e internazionale: seminare e diffondere fioritur Con una priorità da non trascurare mai: l’ape italiana è la sottospecie più d

“Anche coltivare fiori sul balcone di casa contribuisce a salvare le api!”. Così José Graziano da Silva, Direttore Generale della FAO

“Le api sono un bene comune , svolgono un ruolo fondamentale ed è nostro compito preservarle”. Lo ha detto Gian Marco Centinaio, Ministro dell’Agricoltura

“Le conseguenze di una mancata impollinazione delle api, colpite da pesticidi e clima, si riflettono sull’intero ecosistema”. Questo il messaggio di Sergio Costa, Ministro dell’Ambiente

Tutti concordi i relatori intervenuti alla FAO, nel sostenere l’utilità delle api per il presente e futuro bisogno di cibo per le popolazioni del Pianeta

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NDIALE DELLE API

di salvaguardia delle popolazioni locali di api. Tema ormai presente in tutti gli arte dell’opinione pubblica. La nostra proposta a favore di un’azione concreta re utili per le api, dovunque ci sia uno spazio incolto, un terreno, un balcone. diffusa a livello mondiale, che prima di ogni altra cosa deve essere difesa.

La delegazione slovena degli apicoltori ha incontrato Papa Francesco al quale è stato donato un tipico apiario a casetta con le porticine dipinte

Da sinistra: Riccardo Jannoni Sebastianini, Segretario Generale Apimondia; Raffaele Cirone, Presidente FAI-Italia; Peter Kozmus, Vice Presidente mondiale degli apicoltori

Bukar Tijani, Assistente del Direttore Generale della FAO ha detto “api significa vita, molti paesi in via di sciluppo grazie all’impollinazione potranno nutrire il loro futuro!”

Un’arnia vietnamita, costruita in legno e foglie di bamboo e un tipico frontalino di arnia tradizionale slovena dipinto a mano: voglia di api globale.

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AGENDA LAVORI. NORD-OVEST

INIZIO ESTATE CON POCO MIELE E MOLTE RIFLESSIONI

BASTA UNA STAGIONE IMPREVEDIBILE PER METTERE IN DISCUSSIONE UN MODELLO PRODUTTIVO INADEGUATO di Alberto Guernier

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a capacità di rivedere il nostro modo di lavorare, la capacità di rivedere noi stessi, anche come apicoltori ed imprenditori, è frutto di una condizione che spesso arriva a seguito di risultati non proprio positivi. Abbiamo passato la primavera a farci le condoglianze su Facebook, le grandinate di qualcuno andavano a consolare la pioggia altrove, e questa la neve di altri... È un settore che ormai fatica; fatica quando le produzioni sono medio alte, quando si abbassano i prezzi, per via delle importazioni massicce di miele dai paesi dell’Est e quando, ovviamente le produzioni sono quasi inesistenti. Abbiamo visto api alla fame già in prefioritura dell’acacia, emergenza dovuta senz’altro al clima: fame nera, non una celletta di miele! Impossibilitati a nutrire come si sarebbe dovuto - per evitare una possibile accidentale importazione delle nutrizioni zuccherine nel melario - abbiamo dovuto far fronte ai lunghi periodi di clausura, dovuti a freddo e pioggia. A ciò

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si sono aggiunti improvvisi sprazi di sole che hanno reso poi difficoltoso il controllo della sciamatura, con situazioni di sciami morti da freddo e pioggia o uscite multiple di sciami secondari. Siamo stati costretti a visite frettolose, presi dal panico della situazione, in alcuni casi abbiamo strappato celle, causando orfanità e peggiorando di fatto la già difficile situazione. Viene allora da domandarsi, se il

È SBAGLIATO CHIEDERE TROPPO ALLE NOSTRE API


nostro comportamento collettivo o individuale nel fare apicoltura sia ancora un modo che paga. Sembra molto plausibile l’ipotesi che questa ormai cronica carenza di scorte, sia anche un po’ dovuta al nostro modo di condurre gli alveari: • sistematica formazione di nuclei; • diffuse e presunte buone pratiche apistiche, come l’asportazione della covata; • divisioni estive a fine raccolto; • eccessivo carico di alveari e irragionevole posizionamento in grosse postazioni anche oltre il periodo di bottinatura su ampie fioriture. È inoltre, molto sottovalutata la carenza di specie botaniche

utili a incrementare le fonti di cibo naturali necessarie alle api. Un problema, questo, che sfugge anche alle organizzazioni agricole, che invece dovrebbero impegnarsi a risolverlo. Una decina di anni fa, inoltre, gli apicoltori hanno cominciato a domandarsi che senso potessero avere le cosiddette “sponde”; quel miele che tutti gli anni ci si ritrovava nei favi laterali alla covata. Più di qualcuno, spesso, non era neanche in grado di stabilirne l’anno di produzione. Un peso inutile da spostare da una postazione all’altra! Di qui il via a nidi sempre più ristretti con l’intento di ottimizzare; termine, questo, andato sempre più di moda, for-

se sconosciuto ai nostri padri. Per non parlare della vendita primaverile, dovuta alla grande richiesta, di nuclei con il massimo possibile di favi di covata, fino a togliere quelle sponde di scorta che ora non piaccciono più. Salvo che quei nuclei, con l’esplosione primaverile, finiscano per implodere di fame! Ne abbiamo sentite di famiglie, sotto il dileguarsi di uno sbuffo di fumo, ventilare con un rumore secco e disperato di fame. Allora forse, alla soglia di una nuova estate che può ancora regalarci qualche soddisfazione può essere anche l’occasione per rivedere, buttando un occhio al passato, il nostro modo di con-

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AGENDA LAVO RI. NORD-OVEST durre gli alveari. Ad esempio tornando a dare piÚ spazio affinchÊ tutte le nostre famiglie, i nostri capi zootecnici allevati, possano far scorta del nuovo miele in abbondanza. Ma anche ricordando, noi per primi, quello che da sempre andiamo comunicando ai nostri consumatori: il miele non è solo acqua e zucchero! Se questo vale per noi, che di miele ne consumiamo tutto sommato poco, a maggior ragione lo si deve tenere ben presente quando stiamo allevando un insetto che di quel miele ha bisogno per vivere! Buon lavoro e buona riflessione a tutti. Alberto Guernier

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AGENDA LAVORI. NORD

IL RACCOLTO PERFETTO UN INSIEME DI PIÙ FATTORI

ATTENTI A NON DISTRARSI SE L’ESTATE DOVESSE OFFRIRE INTENSI FLUSSI NETTARIFERI di Maurizio Ghezzi

L’APICOLTORE ACCORTO SA OSSERVARE I PROPRI ALVEARI

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ccoci giunti alla fine della primavera, periodo in cui all’interno dell’alveare la popolazione di api inizia a raggiungere la sua massima espansione. Siamo inoltre nel periodo di grande esplosione delle fioriture sul prosieguo di quelle già abbondanti delle settimane precedenti; ci sarà la fioritura del tiglio, dell’ailanto, della borragine (foto sotto) per proseguire nelle zone in rilievo collinare e montano con la fioritura del castagno che al suo finire ci avvicenderà a splendide di-

stese di girasoli dal caldo e carico color giallo pastello, mescolati a fiori di lavanda. Fino a luglio è molto attiva la “forza lavoro” delle nostre “operaie”, sia per quel che riguarda l’attività di bottinatura che per quel che concerne la produzione della cera; ecco perché in questo periodo l’apicoltore oltre che ad organizzare la raccolta del miele, aggiungendo melari mano a mano che vengono riempiti, può anche approfittare della spiccata attività di produzione di cera per far costruire nuovi favi alle proprie api sostituendo così quelli vecchi ed imbruniti. Per chi la praticasse questo è anche il tempo per iniziare l’attività di “transumanza”: si possono seguire le fioriture, salendo di quota, per produrre consistenti quantità di ottimi mieli monofloreali di pregiata qualità, come per esempio il tiglio. Non perdiamoci però nella soddisfazione che ci procura un iniziale “fruttuoso” raccolto e non concediamo spazio alla distrazione perché, seppure con scarsa possibilità, le sciamature potrebbero regalarci ancora qualche spiacevole esperienza. Ricordiamo sempre che l’apicoltura, sebbene possieda 6/2019 | Apitalia | 15


AGENDA LAVO RI. NORD

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Foto Robert Strasser

qualche regola di base certa, non è purtroppo, almeno per il momento, ancora una scienza esatta né tantomeno regolare. Questo è anche il motivo per il quale ogni annata apistica deve sempre essere personalizzata in base alla osservazione degli alveari, al controllo del loro sviluppo, ad un’attenta valutazione delle possibili variazioni climatiche (data da una buona conoscenza e da una importante capacità nel saper interpretare le previsioni meteorologiche) e dall’accuratezza con la quale si è in grado di prevedere l’esatto momento d’inizio delle più attese ed importanti fioriture. Un insieme di fattori, questi, che indirizzano il bravo apicoltore ad attuare tutte quelle opzioni, scelte e strategie che gli consentano di affrontare al meglio l’evolversi della stagione “escogitando” l’utilizzo delle tecniche più idonee che derivano da una giusta sintesi della valutazione di tutti quei fattori sopra elencati. Sarà proprio l’apicoltore che riuscirà a produrre un perfetto cocktail, miscelando sapientemente questi importanti “ingredienti”, colui che potrà vantarsi a fine stagione di aver ottenuto un ottimo ed abbondante raccolto. Abbiamo detto che questo è il tempo delle grandi ed intense produzioni nettarifere ed allora dovremo esser solerti nel provve-

dere a posizionare un nuovo melario non appena il vecchio sarà stato quasi completamente riempito. Io prediligo posizionare il nuovo melario al di sotto del vecchio così che, al momento in cui una buona parte del miele presente al suo interno è stato opercolato, posso portarlo nel locale di smielatura dove, quando il grado di umidità sarà ottimale (non smielo mai sopra al 16% di umidità), potrò iniziare a disopercolare, centrifugare

e poi far decantare nel maturatore, prima di poterlo invasettare. Utilizzando questa tecnica riesco a diversificare le fioriture e a separare i monoflora dai millefiori e non corro il rischio di arrivare a fine stagione con una grande quantità di melari da smielare ed un surplus di lavoro che per quanto piacevole possa essere è altrettanto fonte di grande, anche se dolce, fatica. Maurizio Ghezzi


AGENDA LAVORI. NORD-EST

L’EMOZIONE DI PRODURRE MIELE

ANCHE UN NEOFITA, ENTRO IL PRIMO ANNO DI ATTIVITÀ, PUÒ TAGLIARE IL SUO TRAGUARDO di Giacomo Perretta

SERVONO NUCLEI CAPACI DI PROGREDIRE AL RITMO DELLE FIORITURE

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tavolta mi rivolgo ai giovanissimi apicoltori, che sono arrivati con il loro primo nucleo a mettere il melario grazie alle fioriture di tiglio e alle altre che in alcune zone sono davvero consistenti in questo periodo. Parlare di aggiunta di melari ora che siamo a fine primavera, potrebbe sembrare un’incongruenza ma ha ancora un senso per gli apicoltori alle prime armi. Spesso mi giungono telefonate di chi, per la

prima volta, aspira alla produzione di miele: il compito di noi apicoltori con più esperienza è proprio quello di rassicurarli, aiutarli e accompagnarli in questo cammino. E ora concentriamoci. A MELARIO CON UN NUCLEO Una delle domande più frequenti che ricevo è sulla possibilità di produrre miele fin dal primo anno, con il nucleo di api appena acquistato. Presupposto indispensabile è che il nucleo, acquistato da un rivenditore di fiducia, sia ben sviluppato. Altro elemento di vitale importanza, che non dipende certo da noi, è rappresentato dal clima: piogge e freddo sono chiaramente controproducenti (per capirlo non serve un esperto). Assicurati da un buon nucleo e dalle condizioni atmosferiche favorevoli, possiamo arrivare al melario per la fioritura del tiglio che, nelle nostre zone, potrebbe arrivare in questo periodo. Una premessa. Il nucleo non è possibile trattarlo come fosse uno sciame, per diversi motivi; il pri6/2019 | Apitalia | 17


AGENDA LAVORI. NORD-EST

mo motivo, quello che ci interessa in questa fase, è la loro differenza nella produzione della cera, cioè il nucleo è molto più lento dello sciame nella costruzione dei fogli cerei. Mentre lo sciame è per sua stessa formazione naturale più attivo nella costruzione dei favi. Questo ci porta comunque a far costruire fogli cerei al nucleo, ma ovviamente in modo diverso dall’approccio che avremmo avuto con lo sciame. Fatte queste premesse, passiamo a seguire il nucleo di api nel suo viaggio alla conquista del suo primo melario di tiglio. All’inizio di aprile avremmo dovuto inserire un foglio cereo, al penultimo posto: una volta costruito - anche se non completamente ma è coperto dalle api - lo avremmo dovuto spostare verso il centro e per poi aggiungerne un altro fino al completo sviluppo del nucleo. 18 | Apitalia | 6/2019

L’operazione di spostare il favo, appena costruito, al centro non deve essere eseguita se questo non è il sesto favo e con un congruo numero di api. Se ci sono meno di cinque favi con poche api presenti, è possibile che il sesto favo, sebbene costruito, possa essere interpretato come diaframma. Arrivati alla fioritura del tiglio avremo un alveare pronto per escludiregina e melario, anche nel caso in cui non avessimo raggiunto la consistenza dei dieci favi ma fossimo ancora solo ad otto. Il melario deve avere, comunque, i favi già costruiti altrimenti diventa molto difficile ottenere un buon raccolto di miele: siamo già avanti nella stagione per la produzione di cera e le api impiegherebbero troppo tempo ed energia a costruire. Sono le api che portano il nettare non il numero di telaini quin-

di “poche api su dieci telaini” non equivalgono a “molte api su otto telaini”, equazione incontestabile. Non confondete il numero di telaini con la quantità di api. Imparare a capire la quantità di insetti all’interno dell’alveare è una condizione indispensabile per essere un buon apicoltore. Abbiamo visto come sviluppare un nucleo; ora passiamo pensiamo a quante api debbano esserci all’interno dell’alveare per fare una buona produzione. CONSISTENZA NUMERICA DELL’ALVEARE Su ogni telaino Dadant - il più usato in Italia da 30 x 40 cm coperto completamente di api, si contano circa 1200 insetti, che per entrambi i lati diventano 2400: numero sufficiente per mettere i melari e ottenere un buon raccolto.


La quantità di api è il presupposto necessario per la raccolta del nettare e, successivamente, per poterlo trasformare in miele. A questo punto è necessario aggiungere il melario per dare spazio, altrimenti potrebbe verificarsi ciò che l’apicoltore ama e odia contemporaneamente: la sciamatura. Noi sappiamo che si possono aggregare in certi punti più strati di api, due o anche tre. La sciamatura per mancanza di spazio è la più odiosa, una violenza contro la natura dell’ape. L’apicoltore che non allarga il nido al momento del bisogno, è un apicoltore disattento e “scollegato” dalla realtà dell’alveare. Può capitare che manchi il tem-

po per visitare gli alveari, qualche volta le visite si sono protratte e la stanchezza ha preso il sopravvento, perciò se è un’eccezione può essere tollerata, in fondo non siamo “robot”; ma quando essa è causa di pigrizia, disattenzione o peggio superficialità, questo proprio non va bene. Ho cercato con questo articolo di entrare nella logica dell’apicoltore principiante alle prese con il suo primo nucleo. Come ho già scritto, è comprensibile il desiderio di produrre il primo miele e con grande soddisfazione assaggiarlo: ci auguriamo pertanto che abbiate potuto o che presto possiate farlo anche voi. Ciò che conta, comunque, è capire i processi di avanza-

mento progressivi che necessitano per arrivare a melario partendo da un nucleo. Le tecniche affrontate in questo articolo sono alla base dello sviluppo di qualsiasi nucleo o sciame. Ecco perché esse sono tenute inconsiderazione dalla maggioranza degli apicoltori. La progressione dell’allargamento del nido, dalla tecnica per far costruire i favi fino all’aggiunta del melario, così come il focalizzare l’attenzione sul numero di api che devono essere presenti nell’alveare per arrivare al raccolto, sono gli elementi formativi più importanti che fanno la differenza. Giacomo Perretta

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AGENDA LAVORI. CENTRO

PRODURRE MONITORANDO

L’OMBRA DI INFESTAZIONE DA VARROA IN PRESENZA DI COVATA POCO COMPATTA di Stefano De Pascale

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ci sono i melari da movimentare. La buona pratica apistica prevede il controllo del nido in questo periodo, anche se con minore frequenza. Cosa monitoriamo? Sicuramente, in presenza di grandi flussi pollinici, bisognerà sempre controllare un ritorno di febbre sciamatoria, soprattutto le famiglie più forti potrebbero tornare a costruire delle celle reali. I favi di covata laterali e più vecchi sono quelli dove usualmente le api preferiscono costruire celle reali, basterà controllare che non siano celle su questi ultimi. Durante l’i-

COME CONTARE LE VARROE SENZA SACRIFICARE LE API

Foto Stefano De Pascale

opo una primavera non certo generosa bisogna concentrarsi sulle produzioni che ci proietteranno in un lampo nell’estate. Non bisogna perdersi d’animo perché le famiglie, nonostante gli scarsi raccolti, si sono mantenute ben popolate e le abbondanti piogge che si sono verificate nel mese di maggio, dovrebbero garantire il lussureggiare della vegetazione e delle fioriture. Condizioni metereologiche permettendo il nostro ricco e variegato territorio offre una moltitudine di fioriture per le nostre api. Le produzioni di millefiori nelle colline e sulle pianure, le fioriture del rovo, le diverse varietà di trifoglio, il coriandolo ed i fiori dei tigli (Foto a lato), solo per citarne alcune. Bisognerà impegnarsi nel tenere le famiglie forti ed avere sotto controllo diversi fattori che possono portare ad un calo di popolazione della colonia e quindi della produzione. Sovente gli apicoltori, passato il periodo della sciamatura e di sviluppo della famiglia, non controllano più i nidi di covata, un po’ per il caldo e la stanchezza accumulata ma anche perché ogni qual volta che si vuole controllare la famiglia


spezione dei nidi sarà necessario, inoltre, osservare con attenzione e valutare la qualità della covata. In presenza di una covata poco compatta bisognerà andare ad indagare sulle possibili motivazioni, cosa non troppo facile. Una delle prime cause può essere dovuta ad un’alta infestazione di varroa. Oltre che ad un’attenta analisi delle api, per scorgere la presenza dell’acaro si può procedere con il disopercolare una decina di celle di fuco allo stadio di pupa, estraendone il contenuto e controllando la presenza di acari. Questo tipo di osservazioni non ci darà una misura dell’infestazione ma semplicemente una stima ad “occhio”. Sarà importante invece procedere a

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AGENDA LAVORI. CENTRO metodi di misura dell’infestazione che ci possano dare un risultato più attendibile. Uno di questi è il monitoraggio della caduta naturale, l’altro è il test dello zucchero a velo, meglio conosciuto come ZAV. Vediamo come procedere. CADUTA NATURALE Per la caduta naturale occorre pulire bene il vassoio dell’arnia con una spatola e poi cospargerlo con dell’olio di vasellina o applicargli un foglio adesivo per evitare che le formiche ed altri insetti o artropodi portino via le varroe morte. Ogni 5-8 giorni andranno contate le varroe e bisognerà rinnovare il foglio o l’olio di vasellina. Il numero di acari andrà diviso per i giorni di monitoraggio per ottenere un “tasso di mortalità giornaliera” che andrà annotato. Ripetendo il monitoraggio nel tempo si potrà stimare un tasso di crescita dell’infestazione dell’acaro. IL METODO ZAV Il metodo dello zucchero a velo, meglio noto come ZAV, è il sistema di misura del tasso d’infestazione delle api adulte che più si sta diffondendo nel mondo apistico. Simile ad altri sistemi di “lavaggio” delle api con soluzioni alcoliche o acqua saponata, il vantaggio dello ZAV è che il campione di api usate rimarrà vivo e potrà essere reintrodotto nell’alveare attraverso il coprifavo. Anche se la precisione è leggermente minore dei metodi di lavaggio, questo risulta più consono alla sensibilità dell’apicoltore che giustamente non vuole sacrificare la vita di poche centinaia d’api dei 22 | Apitalia | 6/2019

Foto 1

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Foto 3


propri alveari. Il procedimento è piuttosto semplice, si raccolgono in una provetta graduata 100 ml d’api (circa 300 api) (Foto 1, pagina precedente), se si ha disposizione una piccola bilancia elettronica si potrà essere più sicuri della quantità d’api prelevata (20 api pesano circa 1 g). Le api vanno chiuse in un vasetto di vetro da 1 kg e vanno aggiunti due cucchiai di zucchero a velo. Bisogna aspettare circa un minuto e poi agitare le api nel barattolo per un altro minuto. La capsula del vasetto dev’essere ritagliata applicando, con della colla a caldo, una rete con maglia da 3 mm. Successivamente si scuote il barattolo (Foto 2) in un recipiente con dell’acqua. Lo zucchero a velo si scioglierà e le varroe rimarranno a galla (Foto 3). Il numero di varroe rilevato diviso 3 ci darà la percentuale di infestazione. Per avere un dato affidabile su un apiario bisogna ripeterlo sul 20% degli alveari; quindi su un apiario da 40 unità andranno fatti 8 test su

alveari non consecutivi. La soglia del danno di infestazione da varroa è stabilita sul 5%. Quindi se la media dell’apiario fosse di 5 varroe ogni 100 api, sarebbe necessario trattare tempestivamente. Molti apicoltori professionisti ritengono che quando si rileva un’infestazione media pari al 2%, si ha un mese di tempo per eseguire il trattamento. Ma tornando alla valutazione della “qualità” della covata delle nostre colonie, altro motivo per cui questa potrebbe essere poco compatta, potrà essere dovuto all’efficienza delle regine: proprio in questo periodo le stesse famiglie procedono alla sostituzione delle regine ormai a fine carriera. Spesso proprio le regine di due o tre anni più performanti vengono sostituite. La mole di lavoro che effettua l’alveare è strettamente connessa con il lavoro effettuato dalla regina e l’esaurirsi delle sue risorse di feromone da “erogare” alle api e della capacità di ovodeposizione. Un buon metodo è quello di prendere un telaino con covata aperta

e controllare la regolarità e la concentricità della deposizione di uova. Una regina che depone in maniera disordinata, lasciando celle senza uovo e ormai vecchia, è bene sostituirla; regine giovani e vigorose daranno ottimi risultati sia sull’invernamento che sulla ripresa primaverile. In ultimo, questo è un ottimo momento per la produzione di sciami: prelevando pochi telai per famiglia - uno o due - non se ne comprometterà la capacità produttiva. È difficile dare consigli su come formare il nuovo sciame: ciò dipenderà dalla zona in cui si opera, se si scelga di formarne con regina e cella reale, lasciando che facciano tutto da sole, la disponibilità di telai già costruiti o solo di fogli cerei. L’unica regola che posso darvi come certa è che per creare un nuovo e buono sciame è bene farlo durante i flussi nettariferi, in assenza di questi difficilmente si avrà successo. Stefano De Pascale

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AGENDA LAVORI. SUD

FAR FRONTE COMUNE CONTRO LE AVVERSITÀ

NUMEROSI FATTORI POSSONO CAUSARE ORFANITÀ NELLE COLONIE: ECCO COME OPERARE di Santo Panzera

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estivi. Ma “ahinoi”, per le situazioni meteo-climatiche anomale verificatesi in maggio, con sciamature incontrollabili e ripetute, sostituzioni e mancati rientri di regine causa maltempo e presenza massiccia di gruccioni (foto sotto), siamo costretti invece a rimettere ordine in apiario, individuando le famiglie sciamate e quelle rimaste orfane. Spesso accade che in una famiglia sciamata, riuscita successivamente ad allevarsi una regina ora in piena deposizione, le api arrivano ad in-

È IL TEMPO DEL SUPERLAVORO E DELLE GRANDI SFIDE

Foto Wolfgang Vogt

l cielo di questo avvio di stagione apistica, anche nel nostro Sud, è stato offuscato e reso minaccioso oltre che dalle nubi dei frequenti temporali, con condizioni atmosferiche eccezionali ed altalenanti che hanno reso deludente la produzione di miele. Il meteo particolarmente capriccioso, infatti, caratterizzato da vento, pioggia e sbalzi termici ha impedito alle nostre pur laboriose api un sufficiente raccolto di nettare e polline, in quanto i loro tempi di bottinatura sono risultati estremamente ridotti ed i pochi viaggi giornalieri si sono rivelati infruttuosi. In ogni caso siamo in un periodo in cui le energie non devono e non possono mancare, in quanto ci attendono le fioriture di cardo, castagno, rovo ed eucalipto. In condizioni normali gli alveari in produzione dovrebbero essere a regime, con una buona standardizzazione e la nostra attività dovrebbe, e sottolineo dovrebbe, essere incentrata sul raccolto di miele, trasporto dei melari in laboratorio e sulla movimentazione degli alveari sui vari raccolti


tasare di nettare i favi del nido; nettare che viene opercolato nei favi e, con la ripresa della ovodeposizione da parte della regina, provvedono per quanto possibile a liberare. Però, mentre risulta loro semplice traslocare nel melario il miele stivato nelle cellette non ancora opercolate, altrettanto non può dirsi per quello stipato nelle celle già chiuse, le quali risultano così sottratte alla loro funzione principe che è quella di accogliere la covata. Infatti, si verifica una parziale liberazione dei favi da nido che appaiono, ai nostri occhi, ripuliti dal miele nella parte centrale, mentre permane notevole lo sviluppo della corona di miele opercolato tutt’intorno. La giovane regina, pur in possesso di notevoli capacità riproduttive, dispone solamente di un limitato spazio per ovideporre. Questa situazione ha come conseguenza l’impossibilità del rinnovo della popolazione dell’alveare sciamato, a causa della scarsità di uova deposte dalla pur nuova regina. Per questo motivo gli alveari sciamati non debbono essere lasciati all’autogoverno, in quanto li ritroveremmo, al termine della stagione produttiva, poveri di api, con un nido intasato di miele e con i melari praticamente vuoti. È infatti indispensabile, affinché tali alveari possano essere reinseriti in un efficiente ciclo produttivo, la rimozione dei favi di miele che intasano il nido e l’inserimento in loro sostituzione di un adeguato numero di fogli cerei, allo scopo di ridare spazio alla famiglia e favorire così l’incremento di covata. L’orfanità della colonia può avere come cause:

• la naturale sostituzione della regina in quanto vecchia e non più efficiente, cosa che nel Sud Italia, causa gli inverni sempre più miti che non determinano alcuna interruzione di deposizione, si verifica sempre più spesso anche dopo un solo anno; • la perdita per deriva al ritorno dal volo di fecondazione, in quanto sbaglia alveare e viene uccisa dalle api guardiane; • la perdita per predazione da parte di uccelli insettivori come gruccioni e rondini; • il saccheggio, con la regina vittima delle api assalitrici; • fenomeni accidentali diversi, come lo schiacciamento involontario da parte dell’apicoltore durante una visita o per uno scossone durante un trasporto dell’alveare per nomadismo; • l’aggomitolamento da parte delle operaie, che conduce al suo soffocamento, in caso di abuso dell’affumicatore con immissione di troppo fumo; • la marcatura della regina, quando l’odore del colore impedisce il suo riconoscimento da parte delle api operaie. Il riconoscimento della colonia orfana avviene grazie al particolare linguaggio attraverso il quale le api manifestano la presenza di tale situazione anomala, costituito da segnali esterni ed interni all’alveare. I segnali esterni possono essere colti solo attraverso un’attenta osservazione del comportamento delle nostre api e comprendono: • la sosta oziosa delle bottinatrici sul predellino d’ingresso dell’alveare, con l’esecuzione di brevi ed

incerti voli; • l’importazione di polline estremamente ridotta in quanto la covata scarseggia; • la presenza di molte api che ventilano sul predellino senza motivo; • l’emissione di un brusio lieve e prolungato, simile ad un lamento. I segnali interni che possiamo percepire una volta sollevato il coprifavo ed aperto l’alveare, comprendono: • un forte brusio dato dal battito d’ali delle operaie che ventilano sopra i telaini, con l’addome sollevato e la ghiandola di Nassanoff, situata nella parte terminale dell’addome stesso, aperta, allo scopo di emettere sostanze odorose di richiamo per la regina; • il movimento delle operaie sui favi che avviene in maniera nervosa, tanto da risultare più aggressive del solito; • l’assenza completa di covata giovane con presenza invece, qualora l’orfanità sia recente, di covata opercolata o larve prossime all’opercolazione; qualora invece l’orfanità sia più “datata”, la colonia può risultare completamente priva di covata e con popolazione in fase calante; • qualora l’orfanità sia invece molto recente, vi sarà la presenza di covata appena deposta; • per accertarsi dell’assenza o meno della regina, occorre introdurre un telaino con favo costruito, vuoto oppure contenente covata recente senza le api che la presidiano, sul quale, dopo alcune ore dal suo inserimento, qualora la regina fosse presente, la ritroveremo intenta a deporre, mentre al con6/2019 | Apitalia | 25


AGENDA LAVORI. SUD trario, in caso di reale orfanità, dopo qualche giorno, troveremo abbozzi di celle reali; • la presenza di celle reali suppletive o di sostituzione che, a differenza di quelle di sciamatura localizzate in prossimità della stecca verticale del telaino e sul margine inferiore del favo, vengono edificate intorno alle larvette e quindi sulle facce dei favi. In seguito all’orfanità è possibile la comparsa di api figliatrici, che sono semplici api operaie le quali, in assenza del feromone della regina, sviluppano parzialmente le loro ovaie e, non accoppiandosi con i fuchi, sono in grado di deporre uova dalle quali nasceranno i cosiddetti “individui intercaste”, che sono una via di mezzo tra la regina e l’operaia. La presenza di api figliatrici viene evidenziata da un’ovodeposizione disordinata, sparsa nei favi, con anche due uova per celletta e, non disponendo esse di un addome di lunghezza adeguata, non riescono a raggiungere il fondo delle cellette per cui rilasciano le uova direttamente sulle pareti; inoltre la covata si presenta molto più sporgente e gibbosa rispetto alla normale cova-

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ta da fuco deposta dalla regina, con un opercolo pressoché semisferico, in quanto si tratta di covata maschile deposta in cellette femminili che non consentono uno sviluppo sufficiente delle larve di fuco. Il metodo più semplice e veloce per gestire le situazioni di orfanità, soprattutto quelle “datate” o con presenza di api figliatrici, consiste nello smembrare le famiglie in questione, distribuendo i loro telaini tra diversi alveari forti dello stesso apiario, recuperando da ciascuno di essi altrettanti favi di api giovani e covata, con i quali andremo a ricostituire le famiglie a rischio di estinzione, che saranno poi fornite di una cella reale nascente o, ancora meglio, di una regina feconda selezionata. Infatti, in tal caso, la presenza di api giovani e nascenti faciliterà l’accettazione della nuova regina, a differenza di quanto sarebbe accaduto con la permanenza di api figliatrici. Invece, i telaini sottratti alla famiglia con api figliatrici verranno immediatamente colonizzati dalle api operaie degli alveari forti in cui sono stati inseriti e le loro celle saranno rapidamente modificate e rese idonee a contenere nuovamente covata femminile.

Un altro rimedio all’orfanità, in assenza di api figliatrici, è rappresentato dalla riunione della colonia orfana ad una debole munita di regina; quest’ultima si inserisce all’interno della colonia orfana, alla quale devono essere asportati lo stesso numero di telaini. Ad esempio si può operare sottraendo due favi che possono essere sostituiti da altrettanti fogli cerei secondo la precisa successione, a garanzia della gradualità dell’unione tra le due entità: favi colonia orfana, foglio cereo, favi colonia debole, foglio cereo, favi colonia orfana. Alla luce delle nubi minacciose che si addensano e stagliano all’orizzonte del nostro microcosmo apistico, rendendo sempre più difficile “mantenersi a galla” anche difronte alle nuove emergenze sanitarie (Aethina tumida) ed ambientali (cambiamenti climatici), è quanto mai indispensabile bandire ogni deleterio individualismo e fare invece fronte comune per affrontare le difficili sfide che la grande differenziazione e l’estrema multifunzionalità del magico mondo delle api ci pone. Santo Panzera


AGENDA LAVORI. ISOLE

PIÙ CERA E PIÙ MIELE OLTRE I LUOGHI COMUNI

QUANDO I FAVI SONO PIENI, LE API SVILUPPANO LE CELLETTE IN ALTEZZA di Vincenzo Stampa

BOTTINATRICI MAGAZZINIERE E CERAIOLE

Foto Vincenzo Stampa

ALL’UNISONO

A

desso, da noi, è tempo di melari e la loro corretta gestione può contribuire a migliorare il raccolto. Per regola le api iniziano a depositare il miele nei favi del melario che sono in direzione della covata del nido. Non è un vezzo e neanche un caso ma una regola funzionale alle esigenze nutrizionali della covata ed anche, in prospettiva, della futura disposizione invernale del glomere.

L’accumulo del miele, all’inizio del raccolto, procede rapidamente per la grande disponibilità di spazio nei favi vuoti ed è condizionata soltanto da fattori esterni quali: le condizioni climatiche, la distanza del pascolo e la specie botanica bottinata. In considerazione del fatto che le fioriture sono di breve durata, è importante massimizzare il raccolto rendendo disponibile alle api il maggiore spazio possibile. La buona pratica apistica suggerisce di cambiare, durante le visite di controllo, la posizione dei favi del melario spostando verso i lati quelli più pieni e verso il centro quelli vuoti. Quando le celle dei favi sono piene fino all’orlo, alle api non resta altra soluzione che accrescerne l’altezza mediante l’apporto di nuova cera. In effetti, in questa fase si vede che l’accumulo del miele e l’allungamento delle celle vanno di pari passo; il fattore limitante non è più Le api continuano ad allungare le celle fino al momento dell’opercolatura.

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AGENDA LAVORI. ISOLE la raccolta ma lo spazio per la conservazione. Dando all’alveare un secondo melario, si dà spazio per l’accumulo del miele che fluisce e si fornisce alle api il tempo necessario all’allungamento e riempimento delle celle del primo melario; le due cose infatti possono procedere alla pari perché il lavoro è suddiviso tra squadre diverse, bottinatrici, magazziniere, ceraiole che lavorano all’unisono. Questo fatto è molto più evidente quando si danno nei melari dei telaini a foglio cereo alternati a quelli costruiti, il riempimento di questi ultimi è più rapido rispetto alla costruzione e al riempimento delle nuove celle. Ora, se con la mente andiamo in-

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dietro al tempo in cui le api erano alloggiate nei bugni rustici e, per via della tecnica di raccolto, erano costrette a ricostruire da zero i favi a miele, l’osservazione della diminuzione della produzione in rapporto alla costruzione dei favi è stata corretta ma male interpretata. La produzione della cera è un fatto fisiologico involontario, relazionato all’età delle api e alla disponibilità di alimento; durante il flusso nettarifero vi è la coincidenza tra la presenza di un gran numero di api “ceraiole” e la disponibilità di alimento per cui la costruzione di nuovi favi o l’allungamento delle celle è possibile. Per fare questo lavoro però occorre del tempo durante il quale anche le

fioriture si portano a compimento, per cui alla fine si ha una diminuzione del raccolto non a causa della trasformazione energetica del nettare in cera ma a causa del tempo perduto nella costruzione dei favi. Ai nostri giorni il fenomeno non è più così evidente in quanto siamo in grado di fornire agli alveari melari con favi già costruiti per cui, magari, di spazio ce n’è alle volte anche troppo, rispetto al flusso del raccolto. Però ancora circola la “favola” che per produrre un chilogrammo di cera si perdono chili e chili di miele; non pensate che sia il caso, ormai, di cambiare opinione? Vincenzo Stampa


SPECIALE CAPPADOCIA

APIARI NELLA ROCCIA

FONTE DI CIBO IN TEMPO DI PACE, ARMA DA DIFESA IN CASO DI CONFLITTO di Roberto Bixio, Sophia Germanidou

Titolo originale del lavoro Ipotesi sull’uso delle api come “arma biologica” nella Cappadocia rupestre

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SPECIALE CAPPADOCIA

N

el n° 6/2002 di questa stessa rivista avevamo dato notizia della individuazione, in Cappadocia, di alcuni antichi apiari rupestri che si aggiungevano alle già note strutture scavate dall’uomo nelle straordinarie conformazioni rocciose della regione. Negli ultimi quindici anni le indagini sono proseguite, in particolare nel ristretto sito di Göreme, ampliando notevolmente il numero degli apiari localizzati e delineando il loro ruolo in un più esteso e variegato contesto insediativo ipogeo a carattere secolare, in cui le celebri chiese rupestri rappresentano soltanto la punta di un “iceberg di pietra”. Buona parte dei ritrovamenti è stata effettuata tra il 2012 e il 2014 nell’ambito della missione italiana “Rock painting in Cappadocia. For a project of knowledge, conservation and enhancement” e del progetto di ricerca PRIN “Arte e habitat rupestre”, diretti dalla prof. Maria Andaloro dell’Università della Tuscia (Viterbo), sotto l’egida del Ministero della Cultura turco. Le esplorazioni hanno consentito di individuare, oltre agli apiari, una inaspettata organizzazione difensiva e sistemi idrici evoluti, in gran parte sconosciuti, non facili da raggiungere e percorrere per la loro collocazione nelle alte pareti

L’AFFASCINANTE IPOTESI EMERSA DURANTE UNA MISSIONE ARCHEOLOGICA ITALO - ELLENICA

delle falesie o sotto l’alveo dei torrenti, e per la presenza di crolli, riempimenti e allagamenti. La documentazione così acquisita, in continua elaborazione, sta contribuendo in modo sostanziale a completare le conoscenze sul sito, fornendo nuovi spunti interpretativi su finalità e modalità di sviluppo dell’insediamento, di cui qui illustreremo un aspetto insolito. “CAVITÀ ARTIFICIALI” IN CAPPADOCIA La Cappadocia (Fig. 1) è una regione dell’Altopiano Centrale anatolico (Turchia) nota in tutto il mondo da molti punti di vista, strettaGrafica R. Bixio

Fig. 1 - Area punteggiata corrispondente alle rocce vulcaniche della Cappadocia, al cui centro si trova il sito di Göreme. Nel riquadro (Fig. 2) la posizione di Göreme, nel territorio della provincia di Nevşehir.

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Foto G. Bologna

Fig. 3 - Rappresentazione di arnie cilindriche orizzontali (dalle Homilies di Gregorio di Nazianzos, cod. Taphou 14 riprodotto in Germanidou 2016).

Fig. 4 - Località Kızılçukur. Arnia a cesto cilindrico (tubolare), non più in uso nell’apiario detto di Nicetas.

mente correlati tra loro: dalle complesse vicende storiche alle caratteristiche geomorfologiche e, soprattutto, alle peculiari architetture rupestri (e sotterranee), ampiamente distribu ite su gran parte del territorio. In sintesi, già abitata in epoca preistorica, tra il II ed il I millennio a.C. fu sede dell’impero ittita, poi area di contrapposizione tra Assiri e Frigi. Fu satrapia persiana (546-334 a.C.). Conquistata da Greci e Romani, in seguito divenne precoce centro cristiano e importante thema dell’impero bizantino, a lungo conteso dagli Arabi tra VII e X secolo d.C. Venne conquistata dai Turchi Selgiuchidi alla fine dell’XI secolo, ed infine inglobata nell’impero ottomano. Il paesaggio, attraversato dal fiume Kızılırmak, dominato dai vulcani Erciyes Dağı (3916 m) ad est, e Hasan Dağı (3268 m) ad ovest e da centinaia di centri eruttivi minori, è prevalentemente composto da potenti depositi di teneri tufi e altre rocce vulcaniche che si estendono su un’area di circa 20.000 kmq, ad una quota media di 1200 m s.l.m. Nella regione si alternano ampie piane dolcemente ondulate, disseminate di butte e contornate da mesa, a valli fortemente incise da profondi canyon, modellate dagli agenti meteorici in

spettacolari sequenze di calanchi e pinnacoli. In questo tipo di ambiente, le popolazioni che qui, nel corso dei secoli, si sono succedute e sovrapposte, hanno realizzato una straordinaria concentrazione di strutture scavate nelle rocce, favorite dalle caratteristiche litologiche, condizionate dal clima e sollecitate dagli eventi storici. Tali opere praticamente coprono tutta la gamma tipologica delle “cavità artificiali” (Galeazzi, 2013): opere residenziali e utilitarie, opere di culto e sepolcrali, opere di transito, idriche, minerarie e, non ultime, opere di difesa. In Cappadocia, centinaia sono i rifugi sotterranei conosciuti, e le sole chiese rupestri sono valutate in più di un migliaio (Ousterhout, 2017, p. 5). Oltre alle numerose opere idriche sulle quali, peraltro, sono state fatte significative scoperte (vedi, ad esempio, Bixio A. et al, 2017/a), due delle categorie su cui il Centro Studi Sotterranei, dagli anni Novanta del secolo scorso, ha maggiormente indagato, con l’ausilio di moderne tecniche speleologiche, riguardano i rifugi sotterranei e, più recentemente, gli apiari rupestri (vedi, ad esempio, Bixio R. & Castellani, 1996; Bixio R.­et al., 2002; Bixio R., 2012: Bixio R. & De Pascale, 2013). In questo articolo verrà presa in considerazione 6/2019 | Apitalia | 31


Grafica R. Bixio

Fig. 5 - Posizionamento degli apiari (icone rosse) e dei rifugi (icone gialle) individuati nell’area di Korama/Göreme.

un’area molto limitata, di appena 4 kmq, costituita da tre valli convergenti corrispondenti al sito di Göreme, l’antica Korama bizantina, che attualmente viene considerato il cuore della Cappadocia rupestre (Fig. 2). Nei primi anni del Novecento Guillaume De Jerphanion (1925-1942) aveva dato inizio al primo studio sistematico di Gueurémé, individuando 36 opere di culto rupestri. I numeri riportati nei cartigli della Fig. 5 si riferiscono ad alcune delle chiese comprese nel suo repertorio, il cui fulcro è la n° [7] Tokalı Kilise. Oggi, grazie all’opera di molti ricercatori, nella medesima area sono state localizzate 85 chiese e cappelle, 49 refettori ed innumerevoli camere funerarie e tombe di epoca romana, protocristiana e bizantina (vedi, ad esempio, Jolivet 2015; Ousterhout 2017). L’individuazione e la documentazione di rifugi, apiari e impianti idrici sotterranei, prima pressoché ignorati (Bixio A. et al., 2018), ha fornito una diversa prospettiva sull’organizzazione di un sito altrimenti conosciuto soltanto per la densità e l’importanza delle opere di culto sopra citate su cui si è concentrato quasi esclusivamente l’interesse dei bizantinisti. Inoltre, i dati raccolti ci hanno consentito di prendere in considerazione 32 | Apitalia | 6/2019

una suggestiva ipotesi di lavoro su una possibile relazione tra rifugi e apiari. GLI APIARI DI GÖREME L’origine dell’apicoltura in questa area potrebbe essere assai antica, secondo quanto suggerisce un dipinto risalente al tardo neolitico ritrovato a Çatal Hüyük, nei pressi di Konya, dunque non distante dalla Cappadocia, che sembra indicare il trapasso da una fase di sola raccolta alle prime forme di addomesticamento (Bortolin, 2008, pp. 60-61). L’importante ruolo dell’apicoltura in Asia Minore, in generale, e in alcune località del Ponto Eusino, è attestata almeno dall’età ellenistica, da autori quali Zenone, Aristotele e Plinio (Bortolin, 2008, pp. 44-45). Certamente era fiorente anche in epoca bizantina come risulta dal Geoponika (opera anonima del X secolo in cui sono descritte anche le piccionaie), sebbene se ne parli senza citare espressamente l’Asia Minore (Germanidou, 2015, pp. 34/37). Riferimenti all’esercizio dell’apicoltura in fondazioni monastiche si trovano in due Vite dei Santi: nella vita di Lazzaro, XI secolo e, in Paphlagonia, nella vita di San Filarete, VIII secolo. Già nelle Homilies di Gregorio vescovo di Nazianzos, uno dei Padri della


Chiesa della Cappadocia (nato nel 329 d.C.), sono riprodotte le immagini di arnie orizzontali (Fig. 3) (Germanidou, 2016, pp. 64/226-227) che ritroviamo ancora oggi in situ, sebbene non più utilizzate (Fig. 4, 15). Negli ultimi decenni è stata registrata, in Cappadocia, la presenza di apiari che hanno la peculiarità di essere rupestri, cioè interamente scavati nelle rocce (Bixio R. et al., 2002; Bixio R. et al., 2004; Bixio R. & De Pascale, 2013). Sino ad oggi non ci risulta siano state reperite fonti bibliografiche che possano attestarne l’origine. Abbiamo però riscontrato che la maggior parte è in abbandono; alcuni di essi, in considerazione dell’erosione assai avanzata, sembrano molto antichi (Fig. 6, 7, 9, 10), mentre i pochi ancora in esercizio (Fig. 11, 15) danno comunque l’impressione di essere usati da lunghissimo tempo. Gli apiari sino ad oggi individuati sul territorio cappadoce, di cui abbiamo notizia, si trovano

nell’area tra Ürgüp, Uçhisar, Ortahisar e Çavuşin (provincia di Nevşehir), nella valle di Ihlara (provincia di Aksaray) e nella valle di Soğanlı (provincia di Kayseri). Attualmente sono conosciuti più di 50 apiari rupestri, catalogati da Gaby Roussel (2006; 2008), un esperto del settore, ma riteniamo che possano essere molti di più. Basti pensare che nella sola ristretta area di Göreme considerata nel presente lavoro, Roussel non segnala neppure un apiario, mentre recentemente, a seguito di indagini del Centro Studi Sotterranei e di altri ricercatori (Bobrovskii, Grek, Lucas), sono stati localizzati almeno 12 apiari rupestri (icone rosse in Fig. 5), più altri tre nella valle di Meskendir (Bixio R. et al., 2004). Tutti gli apiari rupestri, anche se ciascuno con le proprie peculiarità, hanno una conformazione di base similare, costituita da camere scavate integralmente nella roccia in cui erano, o sono ancora alloggiate le arnie (Fig. 14, 15). Come le nume-

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SPECIALE CAPPADOCIA

Foto A. Bixio Fig. 6 - Località Kozanağa. Apiario 1, a livello suolo. Apiario 2, pensile, sopra il quale si trova una piccionaia. Nel riquadro (Fig. 7) l’interno dell’apiario 1, scavato a livello del suolo. L’erosione ha prodotto l’irregolare allargamento delle quattro feritoie.

rosissime piccionaie rupestri presenti nelle stesse aree, gli apiari sono generalmente scavati in alto, nelle pareti di roccia (Fig. 6, 8, 10, 17), ma in alcuni casi sono collocati a livello del suolo (Fig. 6, 7, 9, 11). Dall’esterno si individuano per la presenza di gruppi ordinati (file e colonne) di piccoli buchi rotondi (fori di volo) con incavi (posatoi), spesso abbinati a serie parallele di fessure verticali (feritoie), a volte irregolari, a volte scavate con precisione, da cui entrano le api. L’apicoltore può accedere da un piccolo ingresso frontale o laterale, in origine chiuso da un portello di legno (Fig. 11, 12). Nella camera interna, i fori di volo, di norma, corrispondono ad alloggiamenti per arnie fisse costituite da scomparti verticali (nicchie), suddivisi in celle da lastre orizzontali inserite in scanalature (Fig. 13, 14), ciascuna con una chiusura mobile sul retro (Fig. 15): sono ovviamente funzionali ad una apicoltura stanziale. In corrispondenza delle fessure verticali venivano invece collocate le arnie mobili, tubolari, corri34 | Apitalia | 6/2019

spondenti a cesti oblunghi ricoperti di tezek, cioè sterco essiccato (Fig. 3, 15), coricati uno sopra l’altro. Riteniamo verosimile che le arnie tubolari fossero utilizzate per praticare la cosìddetta apicoltura nomade, secondo il Codice di Solone già attestata in Grecia dal 600 a.C. (Kristensen, 2007). Come vedremo, le loro caratteristiche (forma, dimensioni, mobilità) bene si accordano all’ipotesi di un diverso uso a servizio dei rifugi sotterranei dotati di trappole verticali. I RIFUGI DI GÖREME Tra le opere più rappresentative della Cappadocia rupestre, oltre alle chiese, vi sono senza dubbio i rifugi sotterranei. Si tratta di strutture scavate nelle formazioni rocciose, ideate per proteggere i residenti dalle incursioni che storicamente hanno investito la regione nel corso dei secoli. “In generale - scrive De Jerphanion (1925, pp. 45-46) - [...] questo tipo di chiusura ci riporta ad un momento di insicurezza. E naturalmente


i siti di Filiktepe e Sivasa, ad ovest di Nevşehir, che, benché esplorati solo parzialmente, raggiungono rispettivamente l’estensione di 1673 m, con 55 porte-macina, e 1716 m, con 53 porte-macina (Bixio R., 2012). Questi rifugi si sviluppano essenzialmente in orizzontale, ma altri, in genere di minori dimensioni, hanno una configurazione verticale, a piani sovrapposti comunicanti per mezzo di stretti ed alti passaggi ascendenti che assolvevano alla funzione di trappole (Fig. 17). In sintesi, i pozzi-trappola avevano lo scopo di fornire un’ulteriore difesa, nel caso che le portemacina del piano inferiore fossero state forzate e superate, consentendo ai residenti di ritirarsi in una camera superiore destinata ad ultimo rifugio (ridotto). Il pozzo veniva risalito per mezzo di pedarole scavate nelle pareti, oppure con scale o corde che venivano poi ritirate dall’alto (Fig. 18, 19). Possiamo immaginare che gli aggressori, nell’approntare a loro volta un sistema per arrampicarsi, si sarebbero trovati sotto la verticale del pozzo, esposti al lancio di proiettili; questi potevano essere costituiti anche da semplici pietre appositamente immagazzinate nel ridotto. Anche nel caso che gli attaccanti fossero riusciti a iniziare la risalita, avrebbero dovuto procedere uno per vol-

Fig. 8 - Località Kanlısivri. Apiario pensile con 4 colonne di 5 fori di volo ciascuna, affiancate da 4 feritoie.

Fig. 9 - Dell’apiario di Kayadibi rimane solo la facciata con una feritoia parallela a 5 fori di volo in colonna

Foto A. Bixio

Foto M. Traverso

si pensa ai secoli in cui gli arabi, padroni della Cilicia, prima delle vittorie di Niceforo Foca, facevano frequenti incursioni attraverso il Tauro (NdR: tra VII e X secolo). Dietro i loro mulini di pietra gli abitanti dei monasteri potevano aspettare, protetti dalle linee e dal fuoco, che il pericolo era sparito”. Queste opere di difesa, ampiamente presenti su tutto il territorio della Cappadocia, hanno in comune la presenza di monoliti circolari, pesanti sino a due tonnellate, ricavati nella pietra (porte-macine). Sono collocati in apposite camere di manovra, sostenuti da pilastri o incastri che ne evitavano il ribaltamento in caso di attacco proveniente dall’esterno e venivano movimentati per chiudere i cunicoli di ingresso “blindando” le camere interne (Fig. 16). Le macine sono spesso posizionate in successione ed integrate da ulteriori dispositivi, quali spioncini, fori di mira, stretti cunicoli “a gomito”, vie di emergenza defilate e, non ultimi, trappole verticali. In alcuni casi si intuisce, nonostante crolli ed erosioni, la configurazione di sistemi interconnessi, approntati per una difesa reciproca (Bixio R. et al., 2015; Bixio A. et al, 2018). Alcuni raggiungono dimensioni ragguardevoli come, ad esempio

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Foto A. Bixio

Foto A. De Pascale Fig. 11 - Località Fırkatan. Apiario rupestre ancora in uso, con porticina di legno sopra i fori di volo e le feritoie).

ta, in contrapposizione e con le mani impegnate a sorreggersi, dunque sempre in balia dei difensori. Inoltre, in diversi casi, la bocca superiore della trappola è rifinita con una cornice scolpita nella roccia utile ad alloggiare un portello orizzontale per chiudere il passaggio come ultima risorsa. Non è da escludere che i rifugi, considerata la grande quantità ed una notevole similitudine progettuale in tutta la Cappadocia, siano il frutto dell’intervento di una popolazione in larga parte formata da soldati ai quali, prima ancora dell’inizio delle incursioni arabe, erano state assegnate terre con l’impegno, esteso ai propri discendenti, di difenderle (Thierry, 1971, pp. 129; Runciman, 1997,

pp. 47-48). Certamente questi “soldati-contadini” possedevano la mentalità e la tecnica per organizzare appropriate strutture fortificate sotterranee. Nello specifico sito di Göreme, a parte la straordinaria concentrazione di opere di culto prima elencate, ai tempi di De Jerphanion (1925, pp. 45-46) erano stati segnalati soltanto tre dispositivi di difesa, a cui se ne è aggiunto un altro in tempi più recenti (Lucas 2003, pp. 36-37). Si pensava che, considerata la particolare attenzione dedicata al sito da numerosi ricercatori che qui si sono succeduti in questo lungo lasso di tempo, non vi fosse la possibilità di ulteriori significative scoperte. Dunque sorprendente è stata la indi-

Fig. 12 - Località Kızılçukur. Portello di legno ancora in uso nell’apiario detto di Nicetas.

Fig. 13 - Compartimento interno dell’apiario di Kayadibi, con fori di volo, scanalature orizzontali e resti di una lastra mobile.

Foto M. Traverso

Foto G. Bologna

Fig. 10 - Apiario 3 di Kozanağa, scavato in un pinnacolo, con ingresso laterale. In facciata: 30 fori di volo e 3 fessure, di cui 2 distrutte.

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Grafica A. Bixio

Foto G. Bologna

Fig. 14 - Schema di un apiario rupestre nell’area di Göreme.

particolarmente vicini. Il caso più significativo è quello del “rifugio concentrico” presso la Kılıçlar Kilise, n° [29] (Bixio A. et al., 2017/b): qui il rifugio non solo è attiguo all’apiario, ma ci sono buone probabilità che, in origine, fosse direttamente raggiungibile per mezzo di una cengia in seguito crollata (Fig. 18). LE API COME DIFESA? In considerazione degli argomenti sin qui esposti sulla funzione dei pozzi-trappola per la difesa dei rifugi e sulla loro prossimità con gli apiari, riteniamo che non sarebbe da scartare la suggestiva Foto R. Bixio

Foto A. Bixio

viduazione, in anni recenti, di altri quattordici rifugi sotterranei, prima sconosciuti (icone gialle in Fig. 5). Riteniamo anche probabile che, come già argomentato per gli apiari, a seguito di ulteriori indagini il numero possa ancora crescere. Notiamo che buona parte di tali opere sono impostate su piani sovrapposti con pozzi-trappola ascendenti. Dalle icone riportate nella mappa appare subito evidente che gli apiari rupestri sono localizzati in un’area in buona parte coincidente con i rifugi che risultano avere la maggiore concentrazione in corrispondenza della massima densità delle chiese. In almeno quattro casi rifugi e apiari sono

Fig. 15 - Località Kızılçukur. Interno dell’apiario di Nicetas. A sinistra, in primo piano le celle con le arnie fisse, tre delle quali ancora in uso. Sullo sfondo, le arnie tubolari mobili, ormai in disuso.

Fig. 16 - Rifugio di Sant’Eustachio. Porta-macina in posizione di chiusura.

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Foto A. Bixio

SPECIALE CAPPADOCIA

Foto A. De Pascale Fig. 17 - I pinnacoli in cui sono stati scavati il rifugio e l’apiario presso Kılıçlar Kilise. Nel riquadro di sinistra (Fig. 19) la bocca superiore del pozzo-trappola nel rifugio di Kılıçlar Kilise. In quello di destra (Fig. 20), visto dal basso.

ipotesi dell’utilizzo delle api anche come arma di difesa. Infatti, gettando le arnie (preventivamente prelevate dagli apiari) nella trappola e chiudendo la botola, gli aggressori sarebbero stati attaccati da sciami di api, con effetti anche mortali, mentre i difensori sarebbero stati al sicuro. Come anticipato, rimarchiamo che forma e dimensioni delle arnie tubolari, ancora oggi reperibili in alcuni apiari, sarebbero state particolarmente adatte all’immissione nei pozzi. Tale ipotesi è avvalorata da alcune fonti indirette. “L’uso di animali come arma militare, in particolare il pungiglione delle api, non è un’invenzione del Medioevo. Se ne parla già nella Bibbia. I primi riferimenti si hanno durante le campagne romane nella regione del Ponto, mentre l’arma biologica e letale delle api è stata ulteriormente sviluppata come metodo di difesa e attacco soprattutto in Occidente, durante gli assedi dei crociati. Con ogni probabilità, Bisanzio impiegò armi biologiche, comprese le api, seguendo le pratiche romane.” (Germanidou, 2013, p. 91104). 38 | Apitalia | 6/2019

Infatti, l’utilizzo delle api ed altri animali è attestato nel corso delle Guerre romane. Ad esempio, Bonetto (1997, pp. 356, 392 nota 66) cita l’autore greco tardoclassico Enea Tattico (Poliorketkà XXXVII: 1-4; circa 360 a.C., in Bettalli 1990) il quale, nel descrivere le strategie adottate durante gli assedi, argomenta che per fermare gli attacchi sferrati attraverso le gallerie sotterranee gli assediati scavavano delle vere e proprie controgallerie nelle quali venivano attuati vari espedienti, tra i quali l’immissione di api e vespe. Inoltre, Bonetto aggiunge che: “ [...] durante l’assedio di Lucullo a Themiscyra in Asia Minore durante la guerra mitridatica (72 a.C.) [...] vennero introdotti nei tunnel d’attacco, attraverso fori praticati dall’alto, addirittura degli orsi e altre fiere oltre ai più consueti sciami di api.” (Bonetto 1997: 360). Come argomentato in Germanidou (2013, p. 94), tale uso è riportato indirettamente anche nel trattato Taktika dell’imperatore bizantino Leone VI (895-907), nel capitolo sulle battaglie navali: “Among these would be snakes, vipers, lizards,


scorpions and other that venomous creatures. When the pots are shattered, the animals bite an by their poison wipe out the enemy...” (Dennis 2010, p. 527). Questo passaggio è citato quasi identico nella Guerra Navale del generale bizantino Niceforo Urano (950-1010), che a sua volta scrisse un manuale anch’esso intitolato Taktika (Dain 1937, pp. 83-84). Non sappiamo se questo particolare utilizzo delle api sia avvenuto anche nei rifugi di Göreme ma, considerate le premesse, non ne saremmo affatto sorpresi, benché nelle fonti storiche specifiche, come il manuale di tattica militare “Skirmishing” (Dennis 1985) attribuito a Niceforo Foca, stratega della Cappadocia (e imperatore, 963-969), non se ne parli. Ma, d’altra parte, non si parla neppure di un fenomeno così eclatante come quello dei rifugi sotterranei, nè del funzionamento delle loro peculiari porte-macine: dunque, riteniamo che non sarebbe particolarmente in-

solito che anche l’impiego delle api come armi “biologiche” sia stato finora trascurato. Roberto Bixio1-2, Sophia Germanidou3 1 Speleologo, Centro Studi Sotterranei, Genova (Italia) 2 Ispettore Onorario per l’Archeologia settore Cavità Artificiali (MIBACT-Ministero Beni, Attività Culturali, Turismo, Italy) 3 Archaeologa, Hellenic Ministry of Culture, Kalamata (Greece) LA BIBLIOGRAFIA È DISPONIBILE AL LINK www.apitalia.net/ Apitalia6_2019-BibliografiaCappadocia.pdf

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SOCIETÀ

APICOLTURA IN CARCERE

LA BELLEZZA, L’UTILITÀ E L’OPPORTUNITÀ DI UNA RIFLESSIONE SUL VALORE DELLA VITA di Antonio Fabrizio

UN MODELLO FORMATIVO AD ELEVATA

Foto Antonio Fabrizio

VALENZA SOCIALE

O

rmai da anni l’apicoltura è entrata nel sistema penitenziario italiano. Ciò si è reso possibile grazie ad un programma ideato e sviluppato dalla FAI (box pag. 42). Non fa eccezione la casa Circondariale di Melfi (PZ) che ha fornito nel tempo nuove opportunità di crescita culturale e lavorativa con la possibilità, per i detenuti, di svolgere un’attività imprenditoriale alla fine del percorso rieducativo. Iniziative, ancora oggi, ereditate e portate avanti da una cooperativa locale. Frequentemente però, ci si chiede cosa abbia in comune il mondo delle api con la realtà detentiva.

La mia breve riflessione da docente va oltre l’aspetto formativo in senso teorico-pratico, perché sono di gran lunga più interessanti i valori sociali che un corso di questo genere è in grado di trasferire. La vita dell’alveare è fondata e vive esclusivamente sul rispetto degli altri individui; gli alunni, ancor più se ospiti di un carcere, sono prima di tutto persone con la propria dignità e la propria vita: degna del più alto rispetto ed al tempo stesso da rispettare quando appartiene agli altri. Frequentemente ho notato, in questi ambienti, da parte degli allievi la motivazione ad una personale rivisitazione della propria esistenza; il corso di apicoltura, possiamo esserne certi, è in grado di agevolare questo cammino. La vita delle api, infatti, aiuta a scoprire il valore dell’altruismo, di comunità rispettosa dei ruoli e quindi del prossimo, toccando e stimolando fattori e motivi. Si arriva così a cogliere, attraverso le api, un esempio sublime di onestà e laboriosità, tanto da voler riportare tale modello nella vita e nella società. L’utilità e la bellezza di un corso di questo tipo, dunque, non è solo quella di conseguire opportunità 6/2019 | Apitalia | 41


SOCIETÀ imprenditoriali. Si allargano invece gli orizzonti formativi affacciandosi a una realtà che durante la detenzione appare lontana ma che invece è legata al cammino rieducativo mediato dall’ape. Gli sforzi delle Direzione Penitenziarie e degli Educatori, affinché questo percorso potesse essere intrapreso, sono diventati più pertinenti grazie al modello ideato dalla FAI-Federazione Apicoltori Italiani. Un’azione che per oltre quindici anni è andata sviluppandosi in tutto il territorio nazionale. Un’esperienza che non va dimenticata e che anzi meritoa, oggi, di essere ripresa e considerata. Un’ultima riflessione: le api comunicano attraverso la danza; gli alunni seguono con ancor più stupore del solito questa lezione, in particolare sono sorpresi quando si descrive la danza della gioia. Gli studiosi, forse senza saperlo, hanno utilizzato il termine esatto, descrivendo la danza con la parola gioia e non felicità. Ecco un altro comun denominatore con la vita degli uomini. Essi hanno diritto alla gioia più che alla felicità, perché questa ci aiuta a non dimenticare il mondo, neanche quello interiore fatto di bei ricordi, ma anche di paure e di sofferenze; è la gioia che stimola le lacrime: “ho pianto di gioia”. La felicità è invece la risposta ad uno stimolo che finisce o si consuma; essa è solo legata alla fase del traguardo, raggiunto il quale inizia a svanire. La gioia, al contrario, è diffusiva, tende ad allargarsi agli altri, a coinvolgerli, a condividere ed a gioire: insomma, si vive la gioia donando e donandosi per aiutare gli altri; non è dunque l’accumulo ma 42 | Apitalia | 6/2019

QUANDO L’APE INSEGNA IL VALORE DELLA LIBERTÀ Nel 1996 ha preso avvio, in Italia, un progetto pilota per la realizzazione di un corso di formazione professionale in apicoltura, rivolto ai detenuti di una colonia agricola penale. Un’attività frutto della collaborazione istituzionale tra il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia e la FAI-Federazione Apicoltori Italiani. Vista la particolare natura delle colonie agricole penali, gli intenti principali erano quelli di assicurare l’attività impollinatrice delle api sia per le produzioni agricole che per la flora spontanea, diffondendo l’ape italiana, producendo miele destinato al consumo della struttura penitenziaria, offrendo nuove opportunità di lavoro per i detenuti giunti a fine pena e in vista di un loro reinserimento sociale una volta tornati in libertà. Il progetto si concretizzò sull’Isola di Pianosa, nell’Arcipelago Toscano, creando con l’occasione anche una stazione di fecondazione per la salvaguardia e la selezione della razza Apis mellifera ligustica. Incoraggiati dai buoni risultati raggiunti, nel 1999 il Ministero della Giustizia presentò un progetto più articolato, che ottenne il benestare del Ministero dell’Agricoltura per un finanziamento con il Regolamento Comunitario n. 1234/04 (oggi 1308/2013) dell’Unione europea. L’attuazione del progetto venne affidata alla FAI-Federazione Apicoltori Italiani che, con tecnici propri o attraverso le Associazioni aderenti dislocate sul territorio, crearono gli apiari produttivi e avviarono una serie di corsi professionali. Il percorso formativo prevedeva vari moduli differenziati tra detenuti principianti e che avessero già acquisito esperienza nella conduzione degli alveari. Il livello avanzato, prevedeva formazione specialistica anche sull’allevamento delle api regine. Il successo di questa iniziativa fu tale che dagli iniziali 7 istituti coinvolti si arrivò ad uno sviluppo progettuale di 40 aziende agricole penali, dove ogni anno venivano formati centinaia di apicoltori che, per l’intera durata del progetto, arrivarono a toccare 2.650 unità con più di 500 alveari in produzione. Fu così che grazie alla disponibilità ed alla professionalità degli apicoltori che la FAI-Federazione Apicoltori Italiani coinvolse come docenti, il difficile mondo del carcere trovò, per i detenuti a fine pena, il modo di offrire una opportunità lavorativa indispensabile per il reinserimento nella società. Un modello esemplare, insomma, di impiego delle risorse pubbliche che comunque trovò sulla sua strada un ostacolo burocratico: la Corte dei Conti europea, su istanza di un non ben identificato soggetto, ritenne che tale attività danneggiasse il bilancio dell’Unione Europea. Ragione per cui il Ministero delle Politiche Agricole revocò nel 2016 al Ministero della Giustizia, nonostante fosse ancora in svolgimento l’attività già autorizzata alla FAI-Federazione Apicoltori Italiani, i corsi di apicoltura negli istituti penitenziari. Vicenda dai contorni poco chiari, che non fa onore né al nostro Paese né all’Unione Europea e che comunque non ha impedito che nel solco tracciato continuassero a crescere nuovi germogli di apicoltura sociale.

la donazione a dare gioia. Quale altro valore legato alla sacralità della vita, nella forma più elevata, al rispetto del prossimo, alla donazione, deve essere fonte di riflessione in carcere e nella nostra societa? Ecco dunque spiegato l’intimo legame tra il mondo dell’alve-

are ed il mondo degli uomini. Di qui la ragione per cui l’apicoltura, che attraverso il carcere entra nel sociale, è un virtuoso modello formativo, che merita, al pari delle api, di essere salvato e valorizzato. Antonio Fabrizio


BIOLOGIA

IL NUMERO DI ALVEARI INCIDE SUL BENESSERE DELLE API

STUDI RECENTI CONFERMANO IPOTESI DESCRITTE IN PASSATO: L’ALTA DENSITÀ NUOCE ALLA SALUTE a cura di Gianni Savorelli Titolo originale del lavoro

Foto Armando Monsorno

Il ridurre la densità di api in apiario e il rendere gli alveari molto ben distinguibili fra loro riduce il carico di parassiti e aumenta produzione di miele e sopravvivenza invernale

INTRODUZIONE Vi è ampia preoccupazione sul destino delle api gestite dall’uomo.Gli alveari “managed” sono abitualmente collocati ad una densità molte volte superiore a quanto accadrebbe in un’ambiente e in condizioni naturali (1-6 colonie per km2). Gli apiari gestiti dall’uomo prevedono alveari affiancati fra loro a stretto contatto con presenze di 40 alveari in un piccolo spazio (sono noti casi di ostazioni con 100 alveari in un unico apiario, ndt). Oggi le ricerche dimostrano che questo

enorme aumento di densità può comportare serie implicazioni per la salute degli alveari e per la loro sopravvivenza. La densità di popolazione è stata studiata e considerata come fattore chiave in diversi tipi di relazioni ecologiche, a cominciare dal lavoro di Thomas Robert Malthus (economista e demografo inglese del XIX secolo) che per primo descrive la relazione tra mortalità e densità. Questa infatti è riconosciuta come un importante fattore che determina la dinamica delle popolazioni di molti esseri viventi, inclusi insetti, pesci, piante e mammiferi. Per quanto riguarda le api, in particolare, un eccessivo affollamento nella zona del pascolo può andare a detrimento della produttività e della sopravvivenza. Condizioni di bottinamento affollate possono anche portare le api a trasmettere un segnale di stop del bottinamento o a diminuire il reclutamento di nuove bottinatrici; con ciò riducendo l’efficienza di bottinamento dell’alveare. Studi sia teorici che pratici mostrano che la densità di popolazione è un fattore chiave nella dinamica delle patologie. Si ritiene che mag6/2019 | Apitalia | 43


BIOLOGIA Fig. 1 - Due diverse configurazioni di apiari in scala visti dall’alto. La direzione delle frecce indica l’ingresso della colonia.

giore densità e maggiore mescolamento della popolazione ospite (nel nostro caso le api, ndt) risulti in una maggiore trasmissione e incidenza delle patologie e che ciò possa portare per via evolutiva ad un aumento della virulenza dei patogeni. In considerazione di ciò si è ipotizzato che la gestione classica degli alveari potesse produrre eccessiva competizione per l’accesso alle risorse, determinando la consueguenza di una maggiore incidenza dei patogeni, di un peggioramento delle condizioni di salute delle co-

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lonie, di una riduzione della produzione e della sopravvivenza. Nello specifico si è evidenziato, inoltre, che il livello di Varroa destructor negli apiari ad alta densità aumenta più velocemente fino a mantenersi a livelli più alti rispetto a quanto avviene in apiari a minore densità e configurazione “aperta” con alveari ben distanziati e a diverse altezze anzichè in linea retta e contigui. Si è inoltre pronosticato che gli alveari di apiari ad alta densità abbiano minor popolazione e da ciò minor produzione e inferiori possibilità si sopravvivenza. Viceversa, in questi stessi apiari, si registra una maggiore presenza di Varroa.

DISCUSSIONE Lo studio qui presentato fornisce diverse conoscenze relativamente al modo in cui la configurazione dell’apiario incide sulla salute delle api. Innanzitutto una elevata densità porta a significativa diminuzione della produzione di miele (Fig. 1). Secondariamente si osserva una presenza di Varroa significativamente più alta. Ne deriva che un’alta densità di api porta una notevole diminuzione della sopravvivenza invernale. Si può ritenere, dunque, che gli alveari operino con minore efficacia in apiari ad alta densità in conseguen-

za di confusione o sovrapposizione di segnali che riducono l’efficacia dell’operato delle api bottinatrici. Ad esempio uno studio mostra che l’affollamento porta talune bottinatrici a segnalare ad altre api di cessare il bottinamento. Ovviamente l’aumento della presenza di acari impatta negativamente anche sulla produzione di miele INFESTAZIONE DA VARROA È stata rilevata una significativa interazione tra configurazione dell’apiario e presenza di acari negli alveari (Fig. 2) con aumento della presenza di acari al crescere della densità di alveari.

Fig. 2 - Livello di infestazione nella covata. A. Acari in 100 celle di covata per configurazione di apiario. B. Significativa interazione tra presenza di varroa e configurazione dell’apiario.

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BIOLOGIA

Fig. 3 - Rappresentazione della deriva di api per ciascun tipo di apiario. I pannelli A-C rappresentano la configurazione ad alta densità HD. I pannelli D-F rappresentano la deriva nella configurazione a bassa densità LD. Nei pannelli D-F la deriva è verso l’alveare più vicino

e alla stessa altezza. Questo in conseguenza di evidenti ragioni logistiche e pratiche. Lo studio realizzato, tuttavia, ha mostrato come vi siano consistenti differenze di produzione, salute e sopravvivenza in relazione alla densità di api in apiario e al modo in cui gli alveari vengono dislocati. La maniera classica di dislocare gli alveari va a detrimento della produttività e dei basilari parametri del benessere. I risultati ottenuti suggeriscono, in conclusione, che riducendo la densità in apiario e rendendo le famiglie visibilmente distinguibili, l’apicoltore può aumentare la produttività e ridurre la mortalità invernale. Questo non sembra CONCLUSIONE La gestione classica degli alveari richiedere un grande sforzo e ne prevede configurazione dell’apiario rende dunque possibile l’attuazioad alta densità “abitativa” con al- ne nella gran parte dei nostri apiari. veari estremamente ravvicinati fra a cura di Gianni Savorelli loro, simili alla vista, in linea retta

SOPRAVVIVENZA La mortalità invernale è risultata significantivamente correlata alla configurazione dell’apiario. La sopravvivenza è risultata molto maggiore in apiari a bassa densità - e questo è un fatto di grande importanza per gli apicoltori - e si è dimostrato che può essere significativamente aumentata da una opportuna configurazione a bassa densità dell’apiario. Questi risultati sono coerenti con quelli di Seeley e al. (2015) i cui studi mostrano che la sopravvivenza invernale si riduce negli apiari ad alta densità rispetto a quanto avviene per colonie disperse.

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LO STUDIO

L’originale è scaricabile gratuitamente all’indirizzo: journals.plos.org/plosone/ article?id=10.1371/journal. pone.0216286


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NUOVE FRONTIERE COMMERCIALI

IL MIELE CHE PARLA LINGUE DIVERSE, L’ETICA APRE LA STRADA A NUOVI MERCATI Nostro Servizio

N

onostante le pesanti perdite di api che l’apicoltura italiana sopporta ogni anno, la produzione nazionale viene in parte compensata dai grandi sforzi degli apicoltori che rimpiazzano gli alveari perduti. Le esportazioni di miele italiano, tuttavia, sono in costante riduzione e il processo di internazionalizzazione si è ormai interrotto e rischia di vederci perdenti sul fronte dei prezzi. Ecco perché, tra le tendenze emergenti che valorizzano il prodotto, ci sono anche

i criteri ideologici o religiosi che assimilano l’etica ad un fattore di qualità. MORÌE E PROFESSIONALITÀ DELL’APICOLTORE Ogni anno in Italia si registrano perdite del 25-30% del patrimonio apistico nazionale (circa 350.000 su un totale di 1.500.000 alveari). Ciò ha indotto il comparto produttivo ad una graduale modificazione delle tecniche di allevamento. Nonostante la gravità di tale situazione e,

A QUALCUNO PIACE “LECITO” AD ALTRI “ADEGUATO”

Shira Baron è nata a Gerusalemme, ma da oltre dieci anni vive in Italia. È un’apicoltrice professionista e, viste le sue origini, ha pensato bene di caratterizzare il marchio B-Api - produzioni che sono già di alta gamma tutte con la certificazione “kosher”.

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Un banco di prodotti apistici. Nei paesi arabi il miele venduto è certificato Halal.

anzi, proprio in conseguenza di essa, assistiamo ad un lento ma costante processo di sensibilizzazione degli apicoltori che, con enormi sforzi tecnici ed economici, ricostituiscono ogni anno il proprio patrimonio apistico. Oggi, questo importante capitale zootecnico, viene salvaguarda-

to con maggiore cura rispetto al passato e messo in condizione di produrre con elevati standard di qualità. Valori, tuttavia, che sono molto apprezzati sul mercato interno e sempre meno su quello internazionale, dove la partita si gioca invece più sui prezzi commisurati alle quantità.

CERTIFICAZIONI VOLONTARIE EMERGENTI Sia sul mercato interno, sia su quello internazionale, infine, il processo di massimizzazione del valore e della redditività del miele risulta fortemente sostenuto dai sistemi di certificazione, spesso volontari piuttosto che obbligatori. Tra le certificazioni volontarie più tradizionali, risultano sempre più qualificanti quelle che attestano l’origine nazionale del miele e la sua produzione secondo il metodo biologico. Si stanno affermando, tuttavia, nuove forme di certificazione del miele che equivalgono a veri e propri “passaporti” per la conquista di nuovi segmenti di mercato, finora del tutto inesplorati dagli apicoltori. “Ogm free”, “Kosher”, “Halal”,

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MARKETING

COS’E’ “KOSHER” IN APICOLTURA Stando alle prescrizioni del Talmud - testo sacro ebraico - “ciò che viene da qualcosa che non è kosher non è kosher, e ciò che viene da qualcosa che è kosher è kosher”. Di conseguenza, per esempio, il latte di un cammello è altrettanto incoerente dell’animale che lo ha prodotto. Non è consentito. Perché allora, visto che le api non sono kosher, viene considerato permesso il miele prodotto dall’ape? La risposta l’hanno data gli stessi religiosi ebraici, giungendo alla conclusione che il miele consiste in nettare che le api raccolgono, immagazzinano e trasportano ai loro favi. Mentre nell’ape, il nettare viene scomposto e trasformato in miele grazie all’azione di enzimi dell’ape. In realtà, dunque, secondo i rabbini, non si tratta di un prodotto dell’ape stessa, come invece accade per il latte. Quindi, in linea di principio, il miele puro al cento per cento (senza aggiunta di altri zuccheri o ingredienti) è da considerarsi “kosher”. Gli insegnamenti del Rabbino al piccolo ebreo: Le cose cambiano quando il miele non viene adeguatamente filtrato, in il miele spalmato sulle sacre scritture tal caso potrebbe contenere parti di api (ali, zampe, corpuscoli vari) e visto che tali parti sono considerate immangiabili al pari delle ossa, il miele “kosher” ha bisogno di questo ulteriore elemento di verifica. La pappa reale, essendo una diretta secrezione ghiandolare, non è riconosciuta dai rabbini come prodotto permesso per la certificazione “kosher”. Il polline delle api è considerato kosher. Il pane delle api è considerato kosher, essendo una miscela di miele e polline. Propoli e cera hanno uno status particolare e, per dirla in breve, sono da considerarsi “kosher” perché non sono considerati prodotti alimentari.

sono alcune tra le parole chiave che possono agevolare l’accesso e l’approdo definitivo verso nuove fasce di consumatori italiani e stranieri. Si tratta di un lessico nuovo dal punto di vista commerciale, teso a certificare la provenienza del miele da un ambiente agricolo sostenibile o da un processo produttivo improntato al rispetto dei valori etici e della tradizione. SE “INCONTAMINATO” È UNA RELIGIONE È assolutamente opportuno, a questo punto, in un processo di globalizzazione delle merci, delle culture e delle religioni, approfondire due procedure di certificazione che dettano una serie di regole similari riferite alla natura, alla preparazione ed all’origine del 50 | Apitalia | 6/2019

cibo. “Kosher”, che in ebraico significa “adeguato” o “Halal”, che in arabo vuole dire “lecito”, sono elementi distintivi che stanno crescendo anche nel nostro tessuto sociale. Criteri che ritroviamo alla base di filosofie che ispirano e guidano regimi alimentari a noi finora quasi del tutto sconosciuti: l’una deve essere lecita, cioè conforme al Corano, l’altra adeguata, quindi adatta agli insegnamenti della Bibbia. Poter dire che un apicoltore italiano ha svolto il proprio lavoro in conformità alle regole islamiche di liceità, significa poter certificare che il suo miele è “Halal”. Tale attestazione del processo produttivo equivale al conseguimento di un vero e proprio passaporto commerciale che

introduce al mercato della comunità musulmana che, solo in Italia, conta ormai circa 1.500.000 appartenenti. Non è da trascurare, inoltre, che la certificazione “Halal” costituisce uno strumento di fondamentale importanza per quei produttori che, guardando alle necessità della clientela musulmana, intendano collocare la propria produzione sui principali Paesi di fede islamica che, curiosamente, sono anche fortissimi consumatori di miele e già acquirenti di quote crescenti della nostra produzione nazionale. PERCHÉ PRODURRE MIELE “KOSHER” O “HALAL” Poter dire, analogamente, che un apicoltore italiano ha svolto il proprio lavoro in conformità alle regole adeguate ai dettami della tradizione re-


La cena della prima sera di Rosh haShana (il capodanno religioso, uno dei tre previsti nel calendario ebraico) è detta Seder di Rosh haShanà; durante questa cena, assieme alla recitazione di piccole formule di preghiera, si usa consumare sia qualcosa di dolce (tipica la mela intinta nel miele), sia cibi che diano l’idea di molteplicità, come il melograno, per augurarsi un anno dolce e prospero.

ligiosa ebraica, significa poter certificare che il proprio miele è “Kosher”. Anche in questo caso, l’attestazione del processo produttivo equivale al conseguimento di un vero e proprio passaporto commerciale che apre le porte ad un mercato fatto di milioni di consumatori. L’esempio principale è quello degli Stati Uniti d’America dove il termine “Kosher” si è affermato come sinonimo di qualità dell’alimento in un segmento di mercato che vale miliardi di dollari e che cresce ogni anno del 12% rispet-

to alla crescita ordinaria dell’1-2% di tutti gli altri segmenti. Un mercato, dunque, fatto dell’interezza dei consumatori americani (1 su 5 sceglie “Kosher) perché ritiene che tale certificazione garantisca maggiore sicurezza e salubrità rispetto ai prodotti convenzionali. Valutando il dato che negli USA i prodotti italiani sono sempre più apprezzati e ricercati, che pochi sono quelli che varcano le frontiere grazie alla certificazione “Kosher” e che l’agroalimentare esportato sul mercato

statunitense rappresenta per l’Italia uno spazio commerciale pressoché sconfinato, si può facilmente comprendere come questo ulteriore criterio di certificazione del miele possa sostenere un percorso di accreditamento certo verso nuovi e più remunerativi mercati. Nell’uno e nell’altro caso, i mieli “Halal” o “Kosher” possono essere certificati direttamente in Italia grazie al supporto di alcuni tra i più qualificati enti attivi nel nostro Paese, riconosciuti dalle nostre Autorità governative e collegati con gli operatori dei principali canali commerciali di esportazione. In virtù di tali processi di certificazione, in conclusione, è come se insegnassimo al nostro prodotto a parlare più lingue e a soddisfare le specifiche esigenze dei palati più diversi e delle culture più lontane. Sta di fatto che in tal modo viene riconosciuto al miele un fattore di ulteriore riconoscimento del valore commerciale: è il fattore etico, che via via andrà assumendo un peso equivalente al fattore qualitativo.

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FIORI PER LE API

FACELIA “MON AMOUR”

L’INIZIATIVA DI ALCUNI COMUNI VENETI PER LA SALVAGUARDIA DELLA BIODIVERSITÀ di Stefano Dal Colle

I

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un mese e mezzo dopo e dura per otto-dieci settimane. L’iniziativa ha avuto successo e numerose Amministrazioni Comunali hanno risposto positivamente, acquistando e regalando alla popolazione migliaia di sacchettini di semi di facelia: Asolo, Cison di Valmarino, Crocetta del Montello, Jesolo, Monastier di Treviso, Musile di Piave, Nervesa della Battaglia, Paese, Ponzano Veneto, Quinto di Treviso, Revine Lago, Spresiano, Villor-

UN’AZIONE CONCRETA PER CONTRIBUIRE ALLA SOPRAVVIVENZA DEI PRONUBI

Foto abcveneto.com

l primo marzo di quest’anno l’APAT-Apicoltori in Veneto ha inviato una lettera ai 140 Comuni delle province di Treviso e Venezia proponendo loro un’azione di diffusione dell’essenza erbacea annuale “Facelia” (Phacelia tanacetifolia). Lo scopo, indicato nella lettera, era quello di: • contribuire efficacemente alla sopravvivenza degli insetti pronubi, in particolare delle api e favorire la biodiversità del proprio territorio comunale; • abbellire il paesaggio con l’abbondante e prolungata fioritura della facelia dal colore violettobluastro; • arricchire i terreni di materia organica tramite la pratica del sovescio a fine fioritura. L’iniziativa consisteva nel destinare una modesta cifra del bilancio comunale per mettere a disposizione gratuitamente la semente di questa essenza, anche per una limitata superficie, ai residenti che ne facessero richiesta; occorrono 10-12 kg di semi ad ettaro per un costo di circa 150 euro sempre ad ettaro. La facelia viene di solito seminata in primavera, la fioritura avviene


ba, tra le prime ad aver aderito. Alcune di queste hanno inoltre organizzato, in occasione della distribuzione gratuita di semi di facelia, un momento informativo da parte di un Apicoltore che descriveva l’utilità dell’ape e del suo

prezioso lavoro e di un agronomo che illustrava le caratteristiche di questo prezioso fiore. A fare da apripista il Comune di Spresiano e poi quelli di Ponzano Veneto, Quinto di Treviso, Crocetta del Montello, Nervesa

della Battaglia, Cison di Valmarino, Musile di Piave. Pianta utile all’Apicoltura e all’Agricoltura dunque, la facelia, perché oltre all’apporto nettarifero ha un potere attrattivo per molti insetti antagonisti di afidi e di insetti dannosi. Questa essenza è inserita dallo stesso Ministero delle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo fra quelle ammissibili a premio con la misura 10.14/3 del PSR per i terreni a riposo. Un fiore capace di offrire tanti servizi utili all’intera collettività. Stefano Dal Colle

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FLORA APISTICA. Scheda n. 11

I POLLINI DI EMERGENZA

FIORI UTILI PER LE API E PER GLI ALTRI APOIDEI NELL’ITALIA CENTRALE di Giancarlo Ricciardelli D’Albore

POLLINI DI FINE INVERNO - Helleborus foetidus L. (Ranunculaceae) (Elleboro fetido)

DESCRIZIONE GENERICA

TEMPO DI FIORITURA POLLINE

Perenne erbacea alta fino a 60 cm, distribuita nel sottobosco. Questa specie (ed altre dello stesso genere) viene citata come principale fonte di polline alla fine dell’inverno per le regine dei bombi, che cominciano ad uscire dal letargo invernale e hanno bisogno di notevole nutrimento per iniziare a costruire il nido e formare la colonia. Meno importante per le api, che comunque visitano anch’esse i suoi fiori. Fiorisce in inverno. Le pallottoline di polline sono color verde giallastro chiaro.

VALORE APISTICO

Da 1 a 4: 2.

VALORE PER ALTRI PRONUBI

Da 1 a 4: 4.

ALTRI USI

BIBLIOGRAFIA

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La specie è velenosa e quindi da usare con molta cautela. Le radici sono un purgante drastico; sono anche cardiotoniche,narcotiche, emetiche e curative degli edemi. Per uso esterno contro le malattie della pelle. Tosco U., 1989. Piante aromatiche e medicinali. Ed. Paoline, 252.


POLLINI DI FINE INVERNO - Juglans regia L. (Juglandaceae) (Noce)

DESCRIZIONE GENERICA

TEMPO DI FIORITURA POLLINE VALORE APISTICO VALORE PER ALTRI PRONUBI

ALTRI USI

BIBLIOGRAFIA

Albero deciduo alto fino a 20 m, coltivato dalla pianura alla zona montana. Specialmente in montagna le api raccolgono discrete quantità di questo polline; ma per un breve periodo con percentuali notevoli. Non sono stati notati altri pronubi sugli amenti. Fiorisce alla fine dell’inverno. Le pallottoline di polline sono color bianco verdastro. Da 1 a 4: 2. Da 1 a 4: sconosciuto. La pianta contiene il citotossico juglone. I frutti (noci) ed il rispettivo olio di estrazione nell’alimentazione umana. La specie è coltivata per il legno pregiato e per i frutti commestibili. Il mallo è depurativo, amaro stomachico, tonico astringente, antisudorifero, galattologo, ipoglicemizzante. Le foglie hanno una azione tannica. Vengono usate come vulnerarie per lavande, impacchi e bagni contro le infiammazioni cutanee.Utili anche contro i catarri intestinali. Utilizzate come disinfettanti sulle tonsille. La corteccia è lassativa e vermifuga. Le bucce usate per tingere di marrone la pelle ed i capelli. Schoenfelder I. & P., 2012. Guida alle piante medicinali. Ed. Ricca, 304. Tosco U. 1989. Piante aromatiche e medicinali. Ed. Paoline: 260-261.

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Ape Sicura: e stai tranquillo Polizza di Assicurazione sulla Responsabilità Civile (R.C.) Alveari COME ASSICURARE I PROPRI ALVEARI Gli Apicoltori abbonati alla Rivista APITALIA che desiderano assicurare i propri alveari contro i rischi derivanti dalla responsabilità civile per eventuali danni procurati a terzi, debbono compilare l’apposito modulo di adesione alla Polizza collettiva “Ape Sicura” e trasmetterlo alla Segreteria della Rivista APITALIA. Gli Apicoltori abbonati alla Rivista APITALIA possono attivare una Polizza per ciascun apiario posseduto. È garantita la copertura assicurativa per un intero anno (12 mesi). Il Certificato di Polizza sarà prodotto (in formato cartaceo e/o elettronico) e trasmesso - solo a seguito dell’invio delle attestazioni di pagamento e del Modulo di Adesione - alla Segreteria della Rivista APITALIA. La volontà di recesso dalla Polizza collettiva non dovrà essere preventivamente comunicata vista l’automatica scadenza annuale della copertura assicurativa. CONDIZIONI GENERALI DI POLIZZA 1) Rischi assicurati. La Compagnia “Gruppo UNIPOL-SAI. Divisione Fondiaria” assicura a ciascun abbonato alla Rivista APITALIA - purché Apicoltore e come tale iscritto all’Anagrafe Apistica Nazionale - il pagamento delle somme che, quale proprietario-esercente l’apicoltura, sia tenuto a corrispondere, in quanto civilmente responsabile ai sensi di legge, a titolo di risarcimento per danni involontariamente cagionati a terzi, sia per lesioni a persone che per danni materiali a cose o animali, in conseguenza ad un fatto accidentale, compresi i rischi derivanti dalle operazioni di carico e scarico degli apiari e dal trasferimento da una zona all’altra degli apiari stessi, escluso il rischio della circolazione su strada di uso pubblico o su aree a questa equiparate dai mezzi impiegati (in conformità alle norme della legge 24/12/69 n. 990 e del DPR 24/11/ 70 n. 973 è infatti obbligatoria l’assicurazione per rischi di responsabilità civile auto). Sono compresi nel novero dei terzi, limitatamente a lesioni personali, gli aiutanti occasionali dell’assicurato, sempreché vi sia responsabilità dell’assicurato stesso. La polizza collettiva “Ape Sicura” copre inoltre i rischi inerenti alla partecipazione degli Assicurati a Fiere, Mostre e Mercati, compreso il rischio derivante dall’allestimento e dallo smontaggio di stand, ma con l’esclusione dei danni agli espositori ed alle cose esposte. 2) Massimali e Franchigia. L’Assicurazione vale fino alla concorrenza massima complessiva, per capitale, interessi e spese di: Euro 1.000.000,00 (un milione/00 di Euro) per ogni sinistro e relativi danneggiamenti arrecati a persona, animali e cose. Per ciascun sinistro è prevista una franchigia pari a Euro 250,00. 3) Partecipazione all’Assicurazione. Possono essere incluse nella Polizza collettiva “Ape Sicura” le persone e gli enti che siano Abbonati alla Rivista APITALIA - purché Apicoltori o Proprietari di alveari e come tali iscritti all’Anagrafe Apistica Nazionale. Per beneficiare dell’Assicurazione gli Apicoltori debbono: A) versare sul conto corrente postale n. 46157004 intestato a: FAI - Federazione Apicoltori Italiani - Roma, o con qualsiasi altro mezzo ritenuto idoneo, il premio assicurativo di 15,00 Euro (per ciascun apiario da assicurare).

La Compagnia assicuratrice si riserva di modificare l’entità del premio in base all’andamento tecnico sul rapporto sinistri/annualità; B) comunicare alla Segreteria della Rivista APITALIA con apposito modulo di adesione l’ubicazione esatta dell’apiario o degli apiari da assicurare. 4) Decorrenza. La validità della garanzia decorre dalla data di versamento del premio assicurativo, che dovrà essere contestuale alla data di sottoscrizione all’abbonamento annuale alla Rivista APITALIA, ha la durata di un anno a partire dalle ore 24 del giorno del versamento. 5) Norme e sinistri. In caso di sinistro l’assicurato deve darne denuncia scritta alla Segreteria della Rivista APITALIA - Corso Vittorio Emanuele II, 101 - 00186 Roma (tel.: 06.6877175 - 06.6852276; fax: 06.6852287; email: segreteria@federapi. biz) entro cinque giorni dal fatto o al momento in cui ne viene a conoscenza. Per i sinistri implicanti gravi lesioni corporali, l’assicurato oltre a darne notizia alla Segreteria della Rivista APITALIA, ne darà comunicazione alla Compagnia “Gruppo UNIPOL-SAI. Divisione Fondiaria” (indirizzo PEC: unipolsaiassicurazioni@pec.unipol.it), indicando anche il codice della polizza n. 159877505. Non adempiendo all’obbligo della denuncia l’assicurato perde il diritto al risarcimento. Parimenti decade da tale diritto qualora pregiudichi i legittimi interessi della Compagnia nella difesa o contro le azioni o pretese per il risarcimento dei danni che ad essa esclusivamente spetta di condurre in qualsiasi sede o modo, in nome e con la collaborazione dell’assicurato. 6) Accettazione condizioni generali e particolari. Il versamento del premio di assicurazione significa piena accettazione di tutte la condizioni generali e particolari della Polizza n. 159877505, di cui gli interessati possono, su richiesta, prendere visione, dovendosi intendere il rapporto assicurativo, indipendentemente dall’opera intermediaria della contraente, direttamente intercedente fra la Compagnia assicuratrice e i singoli assicurati e regolato unicamente dalle condizioni stabilite nella Polizza citata.

Mod. 01/2019 Questo modulo annulla e sostituisce tutti i precedenti

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Ape Sicura

Modulo di Adesione per gli Apicoltori abbonati alla Rivista

1

IL SOTTOSCRITTO.......................................................................................................................................................................................................... INDIRIZZO...................................................................................................................................................................................................................... CAP................................... LOCALITÀ.......................................................................................................................... PROVINCIA........................... TELEFONO......................................................................... EMAIL................................................................................................................................ CODICE FISCALE.............................................................. PARTITA IVA...................................................................................................................... nella sua qualità di abbonato della rivista APITALIA: a) chiede di essere incluso nella Polizza collettiva “Ape Sicura” di assicurazione per la responsabilità civile contratta a beneficio degli Apicoltori che aderiscono all’iniziativa; b) dichiara, sotto la propria responsabilità, di essere iscritto all’Anagrafe Apistica Nazionale con Codice di Allevamento n. ..........................; c) indica, qui di seguito, l’ubicazione dell’apiario che intende assicurare:

2

1. Apiario composto da n° ................. alveari Comune, Provincia........................................................................................................................................................................................................... Indirizzo, Frazione........................................................................................................................................................................................................... Località, Fondo................................................................................................................................................................................................................. Coordinate satellitari.......................................................................................................................................................................................................

NOTA BENE Utilizzare n. 1 modulo per ogni apiario da assicurare

Proseguire su altri fogli fotocopiati eventuali altri apiari da assicurare.

Che rimette

a mezzo CCP n. 46157004 - FAI - Federazione Apicoltori Italiani - Roma

a mezzo bonifico bancario, MPS Banca - IBAN IT65T0103003283000061424927

unitamente alla presente

Data.............................................. Firma (leggibile) dell’Assicurato............................................................................................................................ Data.............................................. Firma per accettazione da parte della Compagnia............................................................................................

3

Acconsento all’utilizzo dei miei dati personali ai sensi della normativa sulla Tutela della Privacy (Art. 10 Legge n. 196/2003 e del Reg. UE 2017/679) ai fini del trattamento da parte della Rivista Apitalia e della FAI-Federazione Apicoltori Italiani per l’invio di materiale amministrativo, informativo e/o promozionale. I miei dati non potranno comunque essere ceduti a terzi e mi riservo il pieno diritto di conoscere, aggiornare, modificare o cancellare le informazioni a me riferite. Data................................................ Firma (leggibile) dell’Assicurato..........................................................................................................

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INSERZIONISTI CHEMICALS LAIF Prodotti per la cura e nutrizione delle api info@chemicalslaif.it

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Registro Stampa Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 15447 del 01.04.1974 ISSN: 0391-5522 - Iscrizione R.O.C.: 26230 Editore FAI Apicoltura S.r.l. Corso Vittorio Emanuele II, 101 - 00186 Roma - Italia - UE Telefono +39. 06. 6852556 - Fax +39. 06. 6852287 Email info@faiapicoltura.biz Direttore Responsabile Raffaele Cirone redazione@apitalia.net Redazione e Segreteria Corso Vittorio Emanuele II, 101 00186 Roma - Italia - UE Telefono +39. 06. 6852280 - Fax +39. 06. 6852287 Email redazione@apitalia.net Grafica e Impaginazione Alberto Nardi redazione@apitalia.net Comunicazione e Social Media redazione@apitalia.net Esperto Apistico Fabrizio Piacentini redazione@apitalia.net Promozioni e Pubblicità Patrizia Milione redazione@apitalia.net Stampa Tipografica EuroInterstampa Via della Magliana 295 - 00146 Roma

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