Apitalia 7-8/2019

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APUM INDUSTRIA

Apitalia - Corso Vittorio Emanuele II, 101- 00186 - Roma - ITALY - UE - ISSN: 0391 - 5522 - ANNO XXXXIIII • n. 7-8 • Luglio-Agosto 2019 •- 698 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) Art. 1 Comma 1 – Roma Aut. C/RM/18/2016



Atlante mondiale dei mieli uniflorali

Grazie alle analisi sensoriali e ai dati melissopalinologici raccolti dall’Autore in tutto il mondo, è stato possibile organizzare, in un unico volume, le schede descrittive di 310 mieli uniflorali delle più diverse provenienze. Il volume costituisce un compendio inedito e indispensabile per gli esperti di melissopalinologia, i ricercatori e i cultori della scienza apistica.

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EDITORIALE

LA DOTE NASCOSTA

CRESCE IL PATRIMONIO APISTICO ARRIVANO PIÙ SOLDI ALLE REGIONI EURO 5 AD ALVEARE TANTE RISORSE

Foto di Mark Soetebier

E MOLTI ESCLUSI

S

e siete tra coloro che dichiarano i propri alveari all’Anagrafe apistica nazionale, sappiate allora che il vostro gesto non è affatto simbolico, ma ha un valore concreto: per ogni famiglia che avete denunciato la vostra Regione riceverà 5 euro (4,92 per la precisione). E se contiamo il parco alveari nazionale (1.287.418 unità per l’anno 2018), dentro il salvadanaio dell’apicoltura stanno per entrare circa 7 milioni di euro: 3,5 milioni ce li metterà l’Unione europea, altrettanti il Ministero dell’Economia e delle Finanze della Repubblica Italiana. Funziona così il Regolamento 1308/2013, un provvedimento che si inquadra ormai stabilmente nella Politica Agricola Comunitaria e che, se lo si legge da Bruxelles, vale molto di più: circa 64 milioni di euro, destinati a 600 mila apicoltori, proprietari di 16 milioni di alveari europei. A cosa servono tutti questi soldi? La prima destinazione di spesa è l’assistenza tecnica ad apicoltori e associazioni (30%); segue la lotta contro aggressori e malattie dell’alveare (28%), la razionalizzazione della transumanza (18%), il ripopolamento del patrimonio apistico (14%); ma arrivano buoni soldi anche per ricerca applicata, analisi del miele e studi di mercato (10%). Dati e rendiconti che, la Commissione Europea fornisce periodicamente al Parlamento Europeo e al Consiglio. Informazioni che invece si fa fatica a reperire a livello nazionale e regionale italiano. A chi sono destinati questi soldi? Non c’è dubbio che i primi beneficiari dovrebbero essere gli Apicoltori: tali risorse, infatti, maturano grazie ai loro alveari. Se finora non vi è toccato nulla sentite la vostra Associazione, che saprà dirvi come stanno le cose. Scoprirete che ogni Regione, senza metterci un euro, pretenda di fissare criteri propri, scelga azioni e beneficiari e spenda gli aiuti come meglio crede. Spesso in barba alle disposizioni comunitarie e statali. Quindi, visto che le risorse aumentano, dovremo vigilare per difendere meglio questa dote: mica per niente, ma in Italia può capitare che i nostri soldi vengano presi e spesi da qualcun altro. Raffaele Cirone

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SOMMARIO

Apitalia N. 698 | 7-8/2019 gli articoli 5 EDITORIALE La dote nascosta

Raffaele Cirone

20 AGENDA LAVORI. CENTRO Ultimi tentativi di produzione Stefano De Pascale 24 AGENDA LAVORI. SUD Controllare l’infestazione dopo le fioriture Santo Panzera 27 AGENDA LAVORI. SUD E ISOLE Aethina e clima: cambia il modo di fare apicoltura Vincenzo Stampa 49 VESPA VELUTINA Il sistema segnalazioni StopVelutina, resoconto di un anno di attività

9 PRIMO PIANO Aiuti all’apicoltura

Sara Danielli, Antonio Iannone, Laura Bortolotti

Nostro Servizio

12 AGENDA LAVORI. NORD-OVEST Capire cosa è meglio basandoci sull’esperienza Alberto Guernier 15 AGENDA LAVORI. NORD Dopo il meritato raccolto partono i trattamenti

Maurizio Ghezzi

17 AGENDA LAVORI. NORD-EST Api pronte all’inverno con la giusta alimentazione Giacomo Perretta

lo S P ECI A L E

VARROA DESTRUCTOR: CONOSCERE IL NEMICO PER MANTENERE IN SALUTE LE API Claudia Garrido

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i nostri recapiti

i nostri riferimenti: per pagare Apum industria: si prega e si lavora magnificando il Creato in un apiario davvero speciale. Siamo in zona extraterritoriale, ma nella città di Roma: nel Monastero Benedettino di San Paolo fuori le Mura

hanno collaborato a questo numero

abbonamenti: quanto costano 1 anno (10 numeri carta)

€ 30,00

2 anni (20 numeri carta)

€ 54,00

Italia, una copia/arretrati

€ 5,00

Mark Soetebier (foto pag. 5), Brigitte Wohack (foto pag. 11), Alberto Guernier, fragolebio.it (foto pag. 12), Maurizio Ghezzi, Francesco Oliverio (foto pag. 15), apicolturaurbana.it (foto pag. 16), Giacomo Perretta, Massimiliano Fasoli (foto pag. 18), Stefano De Pascale, Azienda Ortolani (foto pag. 20,22), Santo Panzera, Matteo Cherasco (foto pag. 24), foodandbev.it (foto pag. 26), Vincenzo Stampa, Paolo Campora, Mattia Brogna, Francesca Pedone, Donatella Rossetto, Romina Montanari, Marco Novi, Danilo Repetto, Andrea Valle - ALPA Miele, Gianvito Tozzi, Sandra Lombardi, Patrick Schussele, Martino Ziosi (foto pag. 52-56), Fabrizio Piacentini, Patrizia Milione, Alessandro Patierno.

marcatura dell’ape regina Secondo un codice standardizzato, le regine sono marcate con un colore (tabella a lato) per permettere all’apicoltore di riconoscerne l’anno di nascita

Lo stemma circolare dell’ape regina al centro della scritta che recita “Il mio non sol, ma l’altrui ben procuro” accompagna da sempre le pubblicazioni curate dalle firme storiche dell’editoria apistica italiana da cui Apitalia trae origine

azzurro

bianco

giallo

rosso

verde

0o5

1o6

2o7

3o8

4o9

(ultimo numero dell’anno di allevamento, esempio “2019”)

Questa è la medaglia d’oro accompagnata dalla menzione speciale della Giuria internazionale che ha riconosciuto Apitalia miglior rivista di apicoltura per i suoi contenuti redazionali, la qualità del corredo fotografico e il valore tecnico-scientifico

La moneta di Efeso, con l’ape come simbolo riconosciuto a livello internazionale già 500 anni prima di Cristo

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PRIMO PIANO

AIUTI ALL’APICOLTURA

FIRMATO IL DECRETO MINISTERIALE CHE ASSEGNA FINANZIAMENTI EUROPEI ALLE REGIONI: IN BALLO 7 MILIONI DI EURO Nostro Servizio

LA POLITICA AGRICOLA EUROPEA CREDE NELL’APE

S

ono soldi che servono per attuare il programma di miglioramento della produzione e della commercializzazione dei prodotti dell’apicoltura. L’esercizio di spesa per l’annualità 20192020 va dal 1° agosto 2019 e si

concluderà con il 31 luglio 2020. Le risorse sono messe a disposizione direttamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che, per conto dell’Italia in quanto Stato membro dell’Unione Europea, è tenuto a compartecipare il 50% di questa misura che discende dal Regolamento n. 1308 del 2013 (la cosiddetta OCM Unica, l’Organizzazione Comune di Mercato che dispone interventi per il mondo agricolo e nel quale è confluita anche l’apicoltura). Si tratta di risorse che il Mipaaft (Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo) mette ora a disposizione delle Regioni grazie al decreto n. 3611 del 27 giugno 2019, che reca la firma del Capo Dipartimento del Mipaaft, Giuseppe Blasi. La Tabella di pag. 10 evidenzia la ripartizione e l’entità dei finanziamenti che verranno concessi alle Regioni italiane per l’Annualità 2019/2020. Stando alle indicazioni comunitarie,

I Paesi europei principali fruitori dell’aiuto comunitario all’apicoltura.

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PRIMO PIANO queste risorse dovranno essere assegnate a programmi (i cosiddetti “Sottoprogrammi” che le Regioni hanno trasmesso al Mipaaft, che li ha a sua volta collazionati in un unico “Programma nazionale”) già sottoposti al vaglio e all’approvazione della Commissione europea. I capitoli di spesa sono invariati e sono otto le voci ammesse a contributo per la realizzazione di Azioni che ciascuna Regione avrebbe dovuto scegliere d’intesa con tutti i portatori d’interesse presenti nella filiera apistica. Il condizionale è d’obbligo, visto che non sempre i sottoprogrammi regionali vengono definiti in modo collegiale; per almeno uno di questi, quello della Sicilia, c’è stato addirittura un ricorso vincente da parte di una associazione regionale che ha chiesto e ottenuto una rimodulazione rispetto alle precedenti decisioni dell’Assessorato all’agricoltura. Queste le voci ammesse a contributo: assistenza tecnica; lotta contro le malattie delle api; razionalizzazione della transumanza; sostegno ai laboratori di analisi dei prodotti delle api; incentivi al ripopolamento del patrimonio apistico; programmi di ricerca in apicoltura; monitoraggio del mercato e miglioramento della produzione. Come che vada, i sottoprogrammi regionali avranno un valore complessivo di Euro 6.294.436,00 che sono stati ripartiti in funzione del numero di alveari risultante nella Banca Dati dell’Anagrafe Apistica Nazionale alla data del 4 giugno 2019. Numero che ha raggiunto una quota, del tutto ragguar10 | Apitalia | 7-8/2019

ALLEGATO I IMPORTI PROGRAMMA MIELE ANNO 2019-2020 N° ALVEARI

IMPORTO ASSEGNATO

27.146

126.600,00

126.600,00

BOLZANO

32.045

157.575,45

255.500,00

PIEMONTE

200.463

985.740,27

1.369.620,40

7.402

36.397,99

43.400,00

150.567

740.385,79

1.055.000,00

VENETO

74.347

365.587,82

1.095.000,00

FRIULI VENEZIA GIULIA

30.072

147.873,58

149.440,00

LIGURIA

22.565

110.959,28

250.300,00

EMILIA ROMAGNA

113.230

556.787,89

984.900,00

TOSCANA

94.417

464.278,39

850.000,00

UMBRIA

42.731

180.800,00

180.800,00

MARCHE

48.283

237.422,85

530.000,00

LAZIO

37.085

182.358,73

200.000,00

ABRUZZO

39.547

194.465,17

256.000,00

MOLISE

10.061

49.473,13

270.000,00

CAMPANIA

67.498

331.909,12

500.000,00

PUGLIA

18.213

89.559,11

389.500,00

BASILICATA

14.139

69.525,96

171.000,00

CALABRIA

87.513

430.329,23

476.000,00

SICILIA

124.712

613.248,53

849.000,00

SARDEGNA

45.382

223.157,72

500.000,00

1.287.418

6.294.436,00

10.502.060,40

IMPORTO MINISTERI

795.000

795.000

MIPAAFT

795.000

795.000

REGIONI TRENTO

VALLE D’AOSTA LOMBARDIA

ITALIA SOMMA DA DISTRIBUIRE

IMPORTO RICHIESTO

7.089.436

devole, di 1.287.418 alveari di cui si compone il patrimonio apistico italiano che, nonostante le avversità, è in costante crescita. Il Programma nazionale sarà comprensivo di questo importo cui andranno ad aggiungersi Euro 795.000 per le Azioni di competenza ministeriale e le cui risorse si prevede verranno assegnate mediante apposito bando. Il

totale del Programma Italia è da intendersi pertanto pari ad Euro 7.089.436,00 di cui l’Unione Europea finanzierà l’importo del 50% pari a Euro 3.544.718,00. È doveroso ricordare che le risorse assegnate non sono a carico dei bilanci regionali, visto che i fondi erogati da questo Regolamento sono di esclusiva provenienza europea e nazionale.


Foto di Brigitte Wohack

È inoltre da evidenziare che gli importi assegnati dal Ministero alle Regioni sono pari ad una quota media di Euro 4,89 per al-

Autonoma di Trento la cui quota di ripartizione per alveare è di Euro 4,66 - vede tutte le Regioni italiane destinatarie di un finanziamento di Euro 4,92 per alveare rappresentato. Nel frattempo si parla già del prossimo triennio 2020-2022 che la Commissione europea ha rifinanziato con una dotazione che registra un importante incremento: l’Italia potrà contare su un cofinanziamento pari a 5,2 milioni di Euro l’anno che insieme alla quota nazionale di un ulteriore 50% porterà il nostro Programma nazionale al veare rappresentato che - salvo i valore complessivo 10,4 milioni di casi della Regione Umbria la cui Euro per l’apicoltura. quota di ripartizione per alveare è di Euro 4,23 e della Provincia

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AGENDA LAVORI. NORD-OVEST

CAPIRE COSA È MEGLIO, BASANDOCI SULL’ESPERIENZA

TRATTAMENTI ESTIVI NECESSARI E OBBLIGATORI PER PRESERVARE LA SALUTE DELLE COLONIE di Alberto Guernier

L

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sari e obbligatori con delibera della Regione Piemonte) più blandi, ma di minor impatto sull’equilibrio delle famiglie, sperando che servano comunque a mantenere bassa la presenza di varroa, evitando blocchi e divisioni - mi riferisco in particolare ai prodotti a base di timolo (foto sotto) che sono

MAI MOLTIPLICARE API COLPITE DA COVATA CALCIFICATA

www.fragolebio.it

o storico conta. L’esperienza vera, imparziale, obiettiva conta e serve anche qualora si decida di ignorarla ritenendola inutile; sarà quindi servita a scartare delle ipotesi già viste. Annate come queste, irte di scoscese difficoltà, fortemente impossibilitati dal clima a mantenere in attivo un’attività che è comunque sempre in bilico tra il guadagno e la perdita. Al Nord Ovest, il clima siccitoso, le piogge e il freddo si sono alternati in una marcia da ritirata per buona parte della stagione produttiva. Questo nostro patire, non è altro che lo specchio del patimento subito dalle nostre api. Adesso sono belle ma hanno sicuramente subìto se non dei danni, almeno delle limitazioni di sviluppo e di nutrizione, ancor più di fecondazione da parte delle regine. Tenerne conto, immaginando accorgimenti diversi nella loro conduzione da parte nostra, oppure soprassedere e tirare dritto? Più nello specifico. Rispolverare trattamenti estivi (seppur neces-


ammessi in apicoltura biologica e non prevedono blocchi di covata - oppure procedere come se nulla fosse, limitandosi alla valutazione oggettiva presente, azzardando magari la tecnica consolidata dell’asportazione o del blocco della covata? Non me ne vogliano i lettori di Apitalia se, invece di scrivere risposte, pongo delle domande, chi mi conosce lo sa: ho l’antipatica abitudine, tipica degli insicuri, di pormi sempre delle domande, cercando poi con l’esperienza, poca o tanta che sia, di darmi delle risposte operative che tengano i quesiti in debito conto. Bene o male, quando gli alveari iniziano ad essere numericamente tanti, si può sbagliare, l'importante è non farlo su tutti! Credo sia ragionevole fare ora una selezione, dividendo quelle famiglie che hanno i requisiti per essere moltiplicate, diventando “ceppo” e “nucleo”. Quelle che andremo a identificare come famiglie che non hanno vissuto una sciamatura, che non

hanno presentato cedimenti dovuti a patologie, specialmente “gessetti” di Ascosphaera apis, patogeno della covata calcificata: queste famiglie non vanno moltiplicate mai! Ricordo che, qualora il “ceppo” con regina mantenga la regina originaria, essa deve avere un’età di un anno al massimo, in quanto sarà soggetta ad un super lavoro, per riportare la propria situazione familiare in condizioni ottimali (una regina non in piena forma non sarebbe all’altezza di questo compito). In questi anni difficili, andrà valutata attentamente anche la scelta di utilizzare per il nuovo nucleo le celle reali che, se in condizioni normali, possono andare bene, offrendo anche qualche vantaggio non trascurabile dal punto di vista economico, anche se non offrono le garanzie indiscusse delle regine feconde. Se metteremo a frutto “l’esperienza del vecchio e lo sguardo sul presente”, potremo effettuare il blocco della covata abbinato all’ossalico gocciolato che, con il suo inegua-

gliabile blocco sanitario, ci offre una pulizia così radicale che è ormai utilizzato anche in inverno. Potrebbe anche essere l’occasione di provare i nuovi formulati a base di acido ossalico che promettono maggior efficacia e minor tossicità. Per le altre - quelle famiglie di cui non siamo troppo sicuri, quelle a cui le nostre cure eccessive potrebbero far più male che bene, quelle che hanno “volato basso”, magari che sono sciamate o addirittura sono sciamate “una volta di troppo” - si potrà optare per una soluzione che preveda un percorso diverso, verificando preventivamente la consistenza delle infestazioni, attraverso il metodo dello zucchero a velo, oppure con un trattamento a base dei nuovi prodotti commerciali a base di ossalico e formico combinati: non lasciano residui e possono essere utilizzati più volte anche in apicoltura biologica. Come sempre a voi la scelta e buon lavoro! Alberto Guernier

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AGENDA LAVORI. NORD

DOPO IL MERITATO RACCOLTO PARTONO I TRATTAMENTI

MAI PERDERE DI VISTA LE FAMIGLIE DURANTE LA SMIELATURA di Maurizio Ghezzi

I FAVI DEL NIDO NON DEVONO

Foto Francesco Oliverio

ESSERE TOCCATI

P

assata anche la raccolta della melata, se le mectalfe sono venute a farci visita, le fioriture nettarifere purtroppo si vanno, giorno dopo giorno, riducendo. Dalla metà di aprile fino alla piena estate, migliaia delle nostre bottinatrici si sono sfiancate visitando ogni giorno tutte le fioriture del circondario per regalarci un dolce, importante e prezioso raccolto. È così giunto per noi apicoltori il momento di ritirare all’interno dei nostri locali di smielatura il frutto dell’incessante lavoro che le nostre compagne volanti hanno prodotto

per noi. È superfluo ricordarlo, ma questo prezioso raccolto del quale vogliamo furtivamente impossessarci è solo quello contenuto nei melari, sia ben chiaro a tutti che le scorte di miele presenti nel nido devono assolutamente rimanere a disposizione dei legittimi proprietari! Purtroppo mi è capitato di imbattermi in apicoltori che maldestramente si sono impossessati anche di quei favi laterali, carichi di miele, presenti all’interno del nido, per avere un bottino ancor più consistente, per poi tornare il giorno successivo con grandi bidoni carichi di sciroppo a nutrire abbondantemente le api, nella stupida convinzione di dare loro una nutrizione che possa compensare le scorte “rubate”. Questa pratica, indubbiamente redditizia per lo scriteriato apicoltore, è sicuramente deprecabile: si ricordi infatti che il miglior nutrimento necessario alle nostre amiche alate, per poter trascorrere spensieratamente un inverno che non tarderà a raggiungerci, è il miele e non certo lo zucchero. Di norma è preferibile ritirare i melari entro la metà dell’estate perché con lo scarseggiare delle risorse 7-8/2019 | Apitalia | 15


nettarifere le famiglie diventano nervose e aggressive, rendendoci questo semplice lavoro molto più complicato, senza pensare che si corre anche il rischio che inizino a mangiarsi parte del raccolto contenuto nei melari. Come sempre, per non complicarci l’esistenza, sarà preferibile lavorare in giornate calme, calde e soleggiate; la vicinanza di temporali e giornate ventose rendono più aggressive le nostre compagne di viaggio. L’ideale è posizionare l’apiscampo a sera e la mattina seguente, di buonora, raccogliere dal melario un favo alla volta spazzolarlo delicatamente, se necessario, e posizionarlo in un melario vuoto che avremo saggiamente portato con noi e che apriremo per inserire il favo con miele, chiudendolo immediatamente dopo, fino al momento di dover inserire in esso il successivo favo e così via fino al completamento dell’operazione. Utilizziamo l’affumicatore il meno possibile e soprattutto non spargiamo fumo sui telai colmi di miele, cosa che potrebbe comprometterne gravemente il gusto. L’ideale è operare in almeno due persone: il primo estrae il favo dal melario, l’altro spazzola, apre e richiude il melario in cui verranno progressivamente inseriti i telaini. Una volta stivato il raccolto in laboratorio, accertiamoci del grado di umidità che, a mio avviso, non deve superare il 16%; se così non fosse, con un deumidificatore procediamo a disidratarlo fino a che la percentuale di umidità non raggiunga i valori desiderati. A questo punto servendoci del banco per disoper16 | Apitalia | 7-8/2019

colare, provvederemo a toglier via gli opercoli così da poter inserire i telaini nella centrifuga e procedere all’estrazione del miele, che poi filtreremo e deporremo nel maturatore per almeno 10/15 giorni, al termine dei quali si potrà iniziare ad invasettare. La raccolta dei melari segna la fine della stagione apistica e al tempo stesso l’inizio delle operazioni di invernamento; questo è il motivo per cui mentre da una parte si smiela felicemente, dall’altra è bene non perdere di vista le famiglie e proseguire con i lavori ancora da fare in apiario. È infatti giunto il momento dei primi trattamenti di contrasto alla varroa. Sicuramente ciascuno di noi possiederà la propria strategia; la mia consiste nel dare una iniziale spolverata di circa 100 g di zucchero a velo per alveare: questa operazione farà cadere una buona quantità di acari in fase foretica. A distanza di qualche giorno vado a trattare gli alveari con ossalico gocciolato e contestualmente posiziono due strisce di Apitraz e/o Apivar che lascio poi per 8/10 settimane. Qualcuno approfitta di questo periodo anche per fare dei nuovi nuclei: come già detto nei precedenti articoli, io preferisco predisporli in

www.apicolturaurbana.it

AGENDA LAVO RI. NORD

primavera, in modo da non indebolire le famiglie in estate e poterle portare in gran forza alla stagione fredda. Famiglie forti svernano meglio ed hanno una più consistente ripresa primaverile, cosa che mi permette di mandarle a melario prima. Le fioriture scarseggeranno fino a settembre e le famiglie avranno poco da raccogliere: questo è il motivo per cui dalla metà di luglio fino alla ripresa delle prime fioriture settembrine nutro le mie api con 1/1,5 litri di sciroppo (1:1) a settimana, così da mantenerle in forma ed evitare l’insorgenza di stress che potrebbe avere effetti nocivi. Sia durante il ritiro dei melari che della nutrizione (per chi la praticasse in questo periodo), è indispensabile agire con estrema cautela, evitando di disperdere in apiario miele e/o sciroppo, perché ciò potrebbe innescare deleteri saccheggi. Se tutto è andato come pensavate e la stagione vi ha soddisfatto, offrite del miele ai vostri vicini, amici o conoscenti, perché se è vero che la musica addolcisce i nostri comportamenti è altrettanto vero che il miele, simbolo del sapere e dell’intelligenza, lenisce anche le più forti tensioni. Maurizio Ghezzi


AGENDA LAVORI. NORD-EST

PRONTI ALL’INVERNO CON LA GIUSTA ALIMENTAZIONE

TRATTAMENTI ANTIVARROA SCRUPOLOSI E DIETA EQUILIBRATA PER AVERE API FORTI di Giacomo Perretta

È BUONA NORMA UNGERE IL VASSOIO SUL FONDO ARNIA

S

embra proprio che non si riesca ad uscire dalla drammatica primavera di quest’anno: proprio mentre scrivo, in Puglia c’è stata una incredibile grandinata, talmente abbondante che si sono resi necessari mezzi spazzaneve, mentre il ghiaccio sciolto trasportava le auto facendole galleggiare come barche per le vie. Questa è la parte visibilmente scenografica, ma non possiamo trascurare le drammatiche riper-

cussioni sull’agricoltura e, consequenzialmente, sull’apicoltura. Auguriamoci che questo sia quel finale “colpo di coda” di una stagione drammatica, dove molte regioni sono state costrette a chiedere lo stato di calamità. Noi apicoltori non ricordiamo che sia mai stato necessario alimentare gli alveari in Pianura Padana a maggio. E la conduzione estiva sarà condizionata dagli eventi atmosferici che hanno indebolito le nostre api. I punti più importanti da monitorare e sui quali intervenire sono la varroa e l’alimentazione. LA VARROA Presupponiamo che le api abbiano recuperato gran parte dell’avversa primavera ed abbiano abbondante covata e scorte; dobbiamo ugualmente intervenire per poterle mettere in condizione di superare l’inverno: la varroa è più agguerrita che mai, vediamone il motivo. Nei mesi estivi la covata diminuisce, questo ormai è assodato, mentre la varroa è sempre più numerosa: ogni celletta sarà infettata almeno da un acaro. Sono convinto che qualche apicoltore, cercando 7-8/2019 | Apitalia | 17


di recuperare qualche chilo in più di miele, tenderà a procrastinare l’intervento. Non ve lo consiglio, e come ripeto spesso, prima si interviene sulla varroa e meglio è, per le api e l’apicoltore. Diversamente, il risultato potrebbe essere quello di avere api estive infestate dalle varroe e cariche di patogeni infettivi. Fortunatamente, si è arrivati a capire che questa condizione porta al collasso della famiglia nel periodo più critico, quello invernale. Le tecniche e i numerosi prodotti che abbiamo messo in campo riescono spesso a salvare le nostre api. Quando ciò non accade, siamo soliti giudicare l’operato dell’apicoltore. I prodotti antivarroa hanno una tecnica di somministrazione che non può essere messa in atto in maniera superficiale, al contrario è necessario seguire le istruzioni che produttori e Istituti di ricerca suggeriscono. Ci sono tre tipi di prodotti contro la varroa, che possiamo così classificare: • prodotti per contatto come l’acido ossalico, unico prodotto autorizzato “Apibioxal”; • prodotti con principi attivi acaricidi; • prodotti evaporanti, aromatici e repellenti, in particolare il timolo. Ci sono poi le biotecniche, come la lotta biomeccanica, la distruzione della covata chiusa e il “telaino Campero”. Ognuno di questi prodotti, ad eccezione della lotta biomeccanica, agisce sulla varroa che, cadendo, non dovrebbe riuscire a risalire qualora sopravvissuta. La rete posta sotto l’alveare, un tempo utilizzata solo per moni18 | Apitalia | 7-8/2019

torare la caduta degli acari, oggi coadiuva gli effetti dei prodotti evaporanti; ungendo con un sottile strato di olio o di grasso di vaselina la superficie del vassoio sottostante, blocca i movimenti degli acari che cadono, evitando così la loro risalita verso i favi. È opportuno ricordare che il vassoio posto sotto la rete deve essere sempre pulito e leggermente unto di olio: può capitare, a volte, che le varroe cadano accidentalmente. L’ALIMENTAZIONE La primavera non è stata clemente, il bilancio finale sull’estate che stiamo vivendo lo faremo poi ma certo non sarà ricca di fioriture, come è naturale che sia. Nelle nostre zone - io mi trovo in Veneto - la covata viene interrotta solo per un breve periodo, circa una o due settimane tra ottobre e novembre, ed è proprio in questo periodo che mettiamo in atto una vera e propria “pulizia totale” della varroa. A seguito quindi di un’at-

Foto Massimiliano Fasoli

AGENDA LAVORI. NORD-EST

tenta disinfestazione, è necessario che le api siano ben nutrite affinché possano superare bene l’inverno. In commercio esistono alimenti che pongono particolare attenzione alle necessità proteiche e vitaminiche di cui le api hanno bisogno. Le api a differenza di noi umani limitano la loro alimentazione in funzione del fabbisogno (la natura è stata magnanima, non ha trasmesso loro le pulsioni della golosità!). Nella sostanza, per portare alla primavera successiva famiglie di api forti, è necessaria una buona conduzione estiva-autunnale, mettendo in atto una oculata somministrazione dei prodotti antivarroa e ponendo particolare attenzione all’alimentazione. Sono convinto che ogni chilogrammo di alimento somministrato alle api per il loro fabbisogno, ci venga largamente restituito. Auguro che possiate passare una buona estate. Giacomo Perretta



AGENDA LAVORI. CENTRO

ULTIMI TENTATIVI DI PRODUZIONE

NON SEMPRE PAGA RIMANDARE IL TRATTAMENTO ACARICIDA PER RINCORRERE LE ULTIME FIORITURE di Stefano De Pascale

U

Alveari su erba medica.

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veare nelle annate buone. Ma le api bottinatrici si logoreranno lo stesso nel cercar nettare in questi fiori che di nettare non ne vogliono dare, raccoglieranno del polline certamente, ma ad agosto avremo un calo fisiologico della popolazione, le api bottinatrici esauste dal lavoro moriranno anticipatamente; questo indebolimento

IN ESTATE LO STRESS IDRICO NON È DA SOTTOVALUTARE

Foto Azienda Ortolani

n battito di ciglia e siamo arrivati alla fine della stagione produttiva e quindi, incrociando le dita, ad un ipotetico terzo raccolto. In Centro Italia e non solo, la produzione di millefiori estiva si fa sempre più ardua, la ricerca di estese zone agricole dove si praticano le colture del trifoglio, del girasole e dell’erba medica da seme costringe gli apicoltori a spostarsi per centinaia di chilometri. Queste tre, le colture più ambite per le alte rese che danno, o forse davano. Negli ultimi anni con l’introduzione di varietà di girasole ad alto contenuto di acido oleico ed autofecondanti, le rese sono calate vertiginosamente. Il girasole e l’ape non vanno più d’accordo. L’estenuante lavoro che compiono le bottinatrici sulla calatide, la struttura che porta quell’insieme di migliaia di piccoli fiori appiccicosi, non è ripagata da diversi melari pieni: nelle zone vocate si facevano anche 4-5 melari ad al-


delle famiglie non verrà ripagato, purtroppo, da un abbondante raccolto. Anche la produzione di melata è sempre più difficile. Le api non bottinano nettare dai fiori, ma raccolgono le secrezioni zuccherine di afidi che si nutrono della linfa elaborata dalle piante, un liquido molto dolce e che rilasciano in parte sulle foglie. Il massiccio uso di insetticidi ha ridotto drasticamente la presenza di questi afidi. Quindi ci si sposta in cerca di fioriture con le dita incrociate ed in zone limitrofe per ridurre i costi fissi. Sulle piane agricole e preferibilmente vicino a corsi d’acqua dove si può trovare ancora qualche pianta spontanea in

fioritura, oppure nelle zone montane dove il basso utilizzo di insetticidi consente la sopravvivenza degli afidi e quindi la produzione dei diversi mieli di melata. In questi mesi oltre ad andare in cerca di fioriture, bisogna prestare attenzione allo stato di salute delle famiglie, in particolar modo bisognerà monitorare l’infestazione di Varroa destructor e controllare i nidi di covata, per quanto riguarda questi controlli rimandiamo all’articolo del n. 6 di Apitalia dove spiego il metodo di monitoraggio del tasso d’infestazione di Varroa destructor con il metodo dello Z.A.V.. Dopo il solstizio d’estate quando le ore di luce cominciano nuovamente a diminuire, le colonie non conti-

nueranno l’intenso sviluppo che si è potuto osservare fino a quel momento, se pur lentamente l’attività di ovideposizione della regina diminuirà ed in questi mesi i telaini di covata nell’alveare torneranno ad essere da 4 a 6. È importante sottolineare come proprio in questi mesi ci si gioca un buon invernamento e quindi si gettano le basi per la prossima stagione. Spesso si tende a rimandare il trattamento acaricida estivo nella speranza di raccogliere qualche chilo di miele in più. Vi posso assicurare che “il gioco non vale la candela”, a conti fatti la perdita di diverse famiglie non è ripagata dal valore del miele. Inoltre il rispetto della vita e della salute delle api deve essere la base

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di una buona apicoltura che sia questa da reddito o semplicemente amatoriale. Ad oggi, se pur i principi attivi acaricidi a nostra disposizione non sono cambiati rispetto all’ultimo decennio, abbiamo sicuramente a disposizione nuovi prodotti, tecniche e strumenti di somministrazione che ci permettono di operare diversamente a secondo dell’ambiente e della logistica aziendale. Ne elencherò qualcuno, ma sicuramente in questo breve spazio non si può fare una trattazione esaustiva di tale complesso e delicato argomento. Nel caso di dubbi consiglio vivamente di approfondire le vostre conoscenze con i tecnici delle vostre associazioni o con apicoltori professionisti che operano nella vostra zona. Consiglio altrettanto vivamente di non seguire le informazioni che si possono trovare sui social network dove vige il pressapochismo e la più totale confusione uniti ad una 22 | Apitalia | 7-8/2019

buona dose d’inventiva e fai da te. Per chi predilige i trattamenti biologici, ovvero con prodotti chimici di origine organica sicuramente i principi attivi a cui ci si può affidare sono l’acido ossalico e l’acido formico. Per l’utilizzo dell’acido ossalico bisognerà provvedere ad effettuare il blocco della covata ingabbiando la regina, in genere, già nella prima settimana di luglio per poi effettuare il trattamento con A.O. gocciolato dopo 26 -28 giorni. L’acido formico rimane un altro importante principio attivo che grazie alla sua capacità di penetrare sotto l’opercolo ed uccidere gli acari all’interno della covata ci permette di evitare il faticoso lavoro d’ingabbiamento. Esistono diverse tipologie di prodotti o erogatori con precisi tempi e posologie di somministrazione, bisognerà porre particolare attenzione alle temperature esterne.

Foto Azienda Ortolani

AGENDA LAVORI. CENTRO

Temperature troppo alte potrebbero danneggiare sia la covata che portare alla morte delle api regine. Consiglio di somministrare il prodotto sempre al mattino presto o alla sera in modo di dare tempo alle api di adattarsi e regolare la ventilazione all’interno dell’arnia. Per quanto riguarda i prodotti di di sintesi chimica negli ultimi anni si è riscontrata una buona efficacia abbinando due prodotti in contemporanea. Ad esempio Api Life Var (ALV) più Apistan: 4 trattamenti di ALV, con 1 tavoletta divisa in 4 parti a distanza di 6 giorni, più 1 striscia di Apistan lasciata per 8-10 settimane. L’inserimento della striscia può avvenire sia in contemporanea con il primo trattamento di ALV o alla terza settimana dopo il primo inserimento. Alveari poco popolati già nei mesi estivi passeranno difficilmente l’inverno; anche qui i motivi possono


Una covata poco compatta in una famiglia la cui sopravvivenza è già compromessa dall’alta infestazione di Varroa destructor.

essere diversi, la presenza di Nosema ceranae o un’alta infestazione di varroa porterà alla morte le api prima del tempo. Di questo periodo ci si mettono anche gli avvelenamenti letali o sub letali che è facile subire quando si opera in zone agricole o semplicemente quando si subiscono i sempre più frequenti trattamenti anti zanzare. In questo caso si consiglia di levare i melari e stringere le famiglie in modo che le api possano coprire bene tutti i telai. Se si ha la possibilità si può prelevare anche qualche telaio di covata nascente dalle famiglie più forti per inserirlo in quelle più deboli. In ultimo è molto importante assicurarsi che le api abbiano acqua fresca a disposizione, lo stress idrico non è da sottovalutare, in caso questa risorsa manchi bisognerà provvedere creando degli abbeveratoi ad hoc per le nostre api. Stefano De Pascale

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AGENDA LAVORI. SUD

CONTROLLARE L’INFESTAZIONE DOPO LE FIORITURE ESTIVE

IL CLIMA INCERTO CI COSTRINGE AD OPERARE CON ATTENZIONE E NON A CALENDARIO di Santo Panzera

A

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tende a ridursi notevolmente; logicamente, date le diverse condizioni climatico-botaniche tra le bassure collinari e le aree montane, non vi può essere una regola fissa ed uniforme, ma ognuno dovrà operare facendo leva sull’esperienza acquisita negli anni, in base alla zona in cui opera e all’ecotipo di api che alleva. Infatti in estate, dopo le ultime fioriture - castagno (foto sotto) ed eucalipto camaldulensis -, l’aspetto gestionale al quale l’apicoltore deve dedicarsi con il massimo impegno

PRIMA DI TRATTARE EQUILIBRARE LE FAMIGLIE DI TUTTO L’APIARIO

Foto Matteo Cherasco

nche quest’anno le “bizze” del clima hanno condizionato nel bene e nel male (a dire il vero, più nel male) le fioriture primaverili e le relative produzioni di miele. Insomma, niente di nuovo sotto il caldo sole estivo che invita ad appendere al classico chiodo, però solo temporaneamente, maschera e guanti e concedersi qualche giorno di meritato riposo dalle fatiche, ahinoi spesso vane, in apiario. Da buoni apicoltori quali siamo, non possiamo però distoglierci sia fisicamente che mentalmente dai nostri apiari, in quanto nei mesi estivi incombono gli interventi di lotta alla varroa e di sostituzione delle regine vecchie e non performanti, cosa quest’ultima che, nel nostro Sud, con il succedersi di inverni miti e di ripetuti cicli di covata, avviene sempre più spesso anche solo dopo un anno di età della regina. Fino alla fine di agosto, nelle aree rivierasche, a causa dell’intensa calura e della riduzione di importazione di miele e polline che, se di eucalipto, quest’ultimo risulta poco nutriente, essendo povero in aminoacidi essenziali e grassi, la covata


è il controllo dell’infestazione da varroa, affinché gli alveari siano sani e forti per superare l’inverno, sulla fascia tirrenica, o invece intercettare i raccolti di eucalipto settembrino ed inula viscosa, sulla fascia jonica. Dato l’inverno mite appena trascorso, che non ha indotto alcun blocco di covata, indispensabile per una buona efficacia del trattamento di pulizia radicale e dati i ripetuti cicli di covata che hanno determinato un incremento esponenziale del numero di varroe, l’acaro può raggiungere anticipatamente livelli critici, per cui il trattamento estivo andrebbe iniziato al più presto altrimenti si rischia di compromettere lo stato di salute delle famiglie. Un aspetto importante nella lotta alla varroa è il monitoraggio del grado di infestazione delle proprie colonie, al fine di risolvere per tempo situazioni critiche che necessitano l’attuazione tempestiva di interventi di emergenza, oppure anticipare i trattamenti già programmati. Infatti, non possiamo assolutamente più

operare ciecamente, a calendario, ma le nostre scelte devono essere fatte con oculatezza, valutando con attenzione l’evolversi dell’infestazione negli alveari, il cui livello può essere “caldo”, pronti ad intervenire al primo campanello di allarme rappresentato da qualche varroa a passeggio su api e favi, api con ali sfrangiate, deformi, osservazione di covata fortemente infestata e di api incapaci al volo che camminano sui fili d’erba al di sotto del davanzale dell’arnia. Il trattamento estivo antivarroa può essere : • di lunga durata, effettuato in prepresenza di covata e basato su preparati evaporanti a base di timolo (ApiLife Var e Apiguard); • di breve durata, da eseguire in assenza di covata, basato sull’uso di Api Bioxal, previa asportazione di covata per formare nuclei. Nel trattamento con evaporanti, allo scopo di limitare il rischio di saccheggio, sono necessarie alcune accortezze:

1. equilibrare preventivamente la forza delle famiglie; 2. trattare contemporaneamente l’intero apiario; 3. eseguire il trattamento nel tardo pomeriggio, quando la gran parte delle bottinatrici è rincasata; 4. evitare durante il trattamento la sostituzione delle regine. Affinché il trattamento con evaporanti raggiunga la massima efficacia, risultano necessari alcuni accorgimenti operativi : 1. chiudere le aperture per l’aerazione dell’arnia, riposizionando le porticine d’ingresso e i cassettini in lamiera dei fondi mobili, poiché i vapori sprigionati sono più pesanti dell’aria; 2. spalmare la superficie dei cassettini dei fondi mobili con olio di vaselina, evitando così che le varroe cadute, ma ancora vive, possano risalire sulle api, oppure se morte, siano asportate dalle formiche, falsando i valori dell’infestazione. L’Api Bioxal deve invece essere

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impiegato in assenza di covata, in quanto la sua azione non è prolungata nel tempo ma rapida ed immediata. È indispensabile infatti abbinare al trattamento un intervento biotecnico di asportazione della covata dall’alveare allo scopo di costituire nuclei, approfittando così dell’assenza di covata opercolata e del fatto che la varroa sia esclusivamente in fase foretica. È bene sottolineare come tutti i nostri sforzi, volti a tenere il più basso possibile il livello di infestazione da varroa nei nostri apiari, possano essere vanificati dai fenomeni di reinfestazione che, soprattutto in aree ad elevata densità di alveari, inducono in poco tempo un rapido incremento del parassita negli apiari trattati. Per contenere questo deleterio fenomeno è necessario limitare la presenza contemporanea nello stesso apiario e nello stesso territorio di colonie trattate e colonie non trattate, impostando la lotta acaricida a livello territoriale, attraverso un coordinamento degli interventi, frutto della collaborazione tra Associazioni apistiche ed Autorità sanitarie; coordinamento volto anche ad un’attenta 26 | Apitalia | 7-8/2019

scelta dei farmaci registrati disponibili, al fine di ottimizzare l’impiego e limitare il rischio di comparsa di farmaco resistenza e di inquinamento del miele, senza abbandonarsi a veri e propri atti di stregoneria, volti alla creazione di “formulazioni casalinghe” alquanto dannose. I fenomeni di reinfestazione possono essere dovuti a fattori diversi : • deriva di api operaie da altri apiari, tale fenomeno è però occasionale e numericamente modesto; • deriva dei fuchi, capaci di muoversi liberamente a distanze considerevoli tra gli apiari, anche se il posizionamento di griglie “escludi fuchi” davanti al predellino dell’alveare non ha contribuito ad abbassare il tasso di reinfestazione; • mancanza di flusso nettarifero che rende le api più propense al saccheggio e, appunto, al saccheggio di colonie infestate è da attribuire la più elevata reinfestazione quando il flusso nettarifero è più scarso. Studi sperimentali ormai ben datati (Imdorf, 1992) hanno evidenziato come un alveare, in un solo

Foto www.foodandbev.it

AGENDA LAVORI. SUD

giorno, possa “importare” fino a 100 varroe. Nei mesi estivi bisogna anche cercare di monetizzare il nostro lavoro, prestando la dovuta attenzione nel presentare al consumatore il nostro miele che, oltre a rispettare i parametri di legge, deve essere corredato di qualche nostra spiegazione in più sulle sue proprietà organolettiche, sul come è stato prodotto e sul suo essere frutto di un intenso lavoro derivante dal mirabile ed armonico connubio api-apicoltore. È quanto mai doveroso chiedersi fino a quando il nostro mondo apistico, a fronte delle sempre più pesanti difficoltà sanitarie ed economiche, sarà in grado di dimostrare di essere vivo, di saper tener duro; infatti esso, ora più che mai, necessita, abbisogna di unità di intenti, di reciproche responsabilità condivise, di giusta attenzione e della dovuta considerazione da parte di enti, istituzioni e consumatori, in virtù del fatto che il nostro essere saggi e sapienti allevatori di api ci rende responsabili oltre che rispetto agli altri apicoltori anche nei confronti dell’ambiente e di tutta la società. Santo Panzera


AGENDA LAVORI. ISOLE

AETHINA E CLIMA: CAMBIA IL MODO DI FARE APICOLTURA

LE DUE GANASCE DI UNA MORSA CHE STRINGE L’APICOLTURA SICILIANA di Vincenzo Stampa

SCARSE FIORITURE E MANCATI RACCOLTI HANNO MESSO

Foto Vincenzo Stampa

IN CRISI LE AZIENDE

C

ome tutti sanno la Sicilia Orientale vanta il primato della presenza della maggior parte degli apicoltori siciliani, nonché delle aziende di maggiori dimensioni in numero di alveari condotti. Da qualche anno, in conseguenza della presenza del coleottero Aethina tumida in Calabria, la tradizionale transumanza tra Sicilia e

Calabria è venuta meno. Ne hanno sofferto, in prima battuta, le aziende di maggiori dimensioni che hanno dovuto trovare delle soluzioni alternative. E quale migliore alternativa della Sicilia stessa? L’accresciuta densità di alveari sul territorio, di per sé, non sarebbe un problema infatti a fronte di una piena fioritura non ci sono mai api abbastanza da sfruttarla interamente. Il problema sta da un’altra parte e nasce quando falliscono le fioriture attese, allora non parliamo più di produzione ma di sopravvivenza, non degli alveari ma delle aziende. Ad esempio, negli ultimi due anni, chi ha puntato sull’arancio, come produzione fondamentale ha avuto delle grossissime delusioni; nella primavera del 2018, a causa delle alte temperature dell’inverno precedente, gli agrumi in generale sono risultati poco o niente nettariferi, nella recente primavera invece, sulle stesse fioriture le api non hanno bottinato a causa delle basse Fioritura di aneto (Anethum graveolens L.) molto appetita alle api.

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AGENDA LAVORI. ISOLE

Censimento anagrafico Regione Sicilia Razza Provincia

N. Alveari Siciliana

Ligustica

Altro

Palermo

19.414

75%

20%

5%

Trapani

4.191

35%

35%

30%

Messina

10.771

40%

40%

20%

Caltanissetta

6.353

33%

33%

33%

Enna

6.097

80%

20%

Agrigento

8.873

35%

30%

Ragusa

9.605

85%

15%

Siracusa

31.666

95%

5%

Catania

31.522

95%

5%

Totale

128.492

35%

temperature e delle tempeste di acqua e vento. Un fenomeno sempre più evidente, lo osserviamo fin dal 2003, è lo spostamento in avanti delle stagioni climatiche rispetto alle stagioni astronomiche, in conseguenza registriamo inverni sempre più caldi e primavere sempre più fredde e ritardate. Ma il ciclo delle piante si compie nel tempo geneticamente stabilito e si avvia in funzione delle ore di luce mentre il flusso nettari-

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fero è fortemente influenzato dalla temperatura per cui succede che quando le temperature diventano idonee a sostenere il flusso nettarifero la pianta ha già compiuto il suo ciclo. Per fare un esempio concreto, il miele di sulla non si produce più in aprile ma un mese è più dopo, in maggio/giugno, quando le temperature si sono innalzate e stabilizzate. A questo punto diventano apisticamente interessanti e utili quelle

che una volta erano considerate le fioriture estive di fine stagione e che invece stanno assumendo sempre maggiore importanza per l’economia delle aziende apistiche. Siamo una regione a medio/bassa densità di popolazione per chilometro quadrato ma a medio alta densità di alveari, censiti ufficialmente n.128.492 a dicembre 2018. Il fenomeno dello spostamento di alveari dalla Sicilia Orientale verso le aree centro-occidentali è sempre più evidente e in futuro destinato ad aumentare. Questo non sarà un problema se evitiamo di costruire improbabili muri alla Trump, in particolare muri normativi per favorire alcuni, se incominciamo a dialogare seriamente tra associazioni e tra apicoltori, nel rispetto delle regole esistenti e delle comuni esigenze. “Quannu agghiorna, agghiorna pi tutti” La più semplice regola da applicare è tolleranza zero per i furbacchioni, gli avventurieri e gli abusivi; di questo tutti siamo chiamati a farci carico. Vincenzo Stampa


SPECIALE PRODOTTI ANTIVARROA

VARROA DESTRUCTOR: CONOSCERE IL NEMICO PER MANTENERE IN SALUTE LE API a cura di Claudia Garrido

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SPECIALE PRODOTTI ANTIVARROA

V

arroa destructor è un parassita di origine asiatica ed è stato segnalato per la prima volta in Italia nell’anno 1981. Nonostante sia presente già da quasi 40 anni negli allevamenti degli apicoltori italiani, questo acaro continua ad essere uno dei problemi sanitari più seri per le api. Oggi esistono diversi trattamenti, basati ciascuno su diversi principi attivi, le cui proprietà e modalità di somministrazione sono anch’esse diverse e devono essere rispettate per raggiungere un’efficacia sufficiente. La conoscenza della biologia dell’acaro varroa aiuta anche ad effettuare i trattamenti nei tempi giusti e così a mantenere le api in buona salute. Il ciclo di vita della varroa è diviso in due fasi: la cosiddetta “fase foretica” sulle api adulte e la “fase riproduttiva” nella covata opercolata. Durante la fase foretica gli acari si nascondono fra i tergiti, che ricoprono la parte ventrale dell’addome delle api. Fra i tergiti ci sono membrane sottili che le varroe perforano con gli apparati boccali al fine di alimentarsi del corpo grasso delle api adulte.

Fig. 1 - Le varroe di solito si nascondono bene fra i tergiti delle api adulte. Si spostano sul torace solo prima di entrare in una cella poco prima essere opercolata. Vederle come in questa immagine indica un’infestazione elevata.

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NESSUNA IMPROVVISAZIONE SOLO PRODOTTI AUTORIZZATI TOTALE RISPETTO DELLE ISTRUZIONI D’USO Fra tutte le api adulte, le varroe preferiscono le nutrici di cui hanno imparato ad approfittare per farsi trasportare fino alle celle di covata. Poco prima dell’opercolatura le femmine entrano nelle celle e si inseriscono sotto la larva nel residuo di alimento larvale. Dopo che la larva ha finito di consumarlo, la varroa sale sulla larva e comincia a riprodursi. La varroa madre depone allora il primo uovo 6070 ore dopo l’opercolatura, da cui nasce un maschio. Le uova successive invece vengono deposte in cicli di 30 ore, diventando femmine. Sull’addome della pupa la varroa madre crea un’apertura alimentare per le necessità proprie e per quelle della sua prole. Più spesso però la famiglia di ciascuna varroa adulta si trova sulla parete della cella, in un luogo dove gli acari defecano creando un accumulo che si presenta come una macchia bianca e che si riconosce facilmente con un poco di pratica. Questi comportamenti sono importanti per la valutazione dell’infestazione del parassita: come è stato detto, le varroe sono quasi sempre ben nascoste. Quindi, vederle apertamente sul torace o sull’addome delle api di solito indica un’infestazione già elevata ed è un segnale d’allarme. Non vederle invece non vuol dire che le varroe non sono presenti sulle api. È dunque importante mantenere questo sempre in mente per non avere brutte sorprese con la varroa. OGNI MESE RADDOPPIANO Nella cella di covata, a questo punto, abbiamo la varroa madre, un figlio maschio e fino a quattro


femmine in diversi stadi di sviluppo. Il maschio si accoppia con le sue sorelle nel momento che queste diventano adulte. Similmente a quanto accade per la regina delle api, il seme trasmesso dal maschio durante l’accoppiamento con la varroa si conserva in una spermateca di cui sono dotate le femmine adulte. Con lo sfarfallamento dell’ape escono anche le varroe femmine adulte, madre e figlie che si sono accoppiate. Quindi, una varroa attiva durante un periodo di 12 giorni (il tempo opercolato di una cella di ape operaia) genera tre-quattro varroe adulte che sono in grado di riprodursi anche in altre celle. Questo indice di sviluppo non sembra elevato, se non fosse che tale processo è accaduto anche in molte altre celle di molti altri favi e, soprattutto, che tale fenomeno si ripeterà durante tutto il periodo in cui le famiglie di api hanno covata. Di conseguenza, l’infestazione di un alveare raddoppia approssimativamente ogni mese. Una

Fig. 2 - La scacchiera spiega il concetto dell’incremento dell’infestazione della varroa. In presenza di covata questo non è lineare (1, 2, 3…) ma esponenziale (1, 2, 4, 8…). Delle 8 varroe in febbraio sono diventate 1024 in settembre.

dinamica di questo genere, detta esponenziale, è responsabile del fatto che il numero di varroe

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SPECIALE PRODOTTI ANTIVARROA

Fig. 3 - Api infette con il virus delle ali deformi di solito vengono isolate dalle operaie e eliminate della famiglia.

raggiunga livelli critici anche quando l’infestazione all’inizio di stagione è stata scarsa. Partire con sole 50 varroe presenti in un alveare nel mese di febbraio, può voler dire che diventeranno 3.200 nel mese di agosto. Un’infestazione di 200 varroe può ancora sembrare minima in febbraio, ma nel corso della stagione con l’incremento esponenziale diventeranno 12.800 in agosto. La Figura 2 spiega questo concetto in modo dinamico: fino a maggio l’infestazione sembra ancora bassa, ma da giugno “esplode”. Questo sarebbe il momento in cui si cominciano a vedere le varroe sulle api se il livello d’infestazione è stato troppo alto in primavera. Quindi il trattamento invernale, eseguito in un periodo non riproduttivo dell’acaro, aiuta a ridurre l’infestazione all’inizio della stagione e a mantenerla più bassa durante la stagione produttiva delle famiglie. VARROA INDEBOLISCE LE FAMIGLIE Lo sviluppo delle famiglie di api e dell’infestazione di varroa sono fattori che non progrediscono in parallelo. Come già accennato le varroe, a causa della loro dinamica esponenziale, arrivano al massimo della loro popolazione in tarda estate. In questo periodo le api invece saranno già in declino e si staranno preparando per l’inverno. Se l’apicoltore non mette la situazione sotto controllo, in questo periodo, il numero di varroe supererà il numero di api. Ecco perché in una con32 | Apitalia | 7-8/2019

dizione del genere si vedranno a volte più varroe sulle singole api e anche nella covata staranno entrando più varroe madri bisognose di un posto adatto alla riproduzione. Se anche fosse solo l’infestazione ad aumentare, cambiando la relazione quantitativa api/varroa, è facile immaginare che un parassita non dovrebbe mai superare il numero di esemplari del suo ospite. Ma non è solo una questione di quantità: la varroa si alimenta del corpo grasso dell’ape, un organo decisivo per la sopravvivenza delle api nel successivo inverno. Il corpo grasso è un organo di riserva, dove le api immagazzinano prodotti alimentari già digeriti, come proteine e grassi. In momenti difficili per le famiglie come l’inverno queste sostanze vengono rese disponibili. A causa del loro corpo grasso ben sviluppato le api invernali sono più longeve. Le api, inoltre, riescono ad alimentare la covata all’inizio della primavera anche quando non sono ancora disponibili molte fioriture. Se dunque un parassita come la varroa si alimenta di un organo così importante, il corpo grasso appunto, è ovvio che le api parassitate non riusciranno a sopravvivere all’inverno. Se l’infestazione raggiunge alti livelli in tarda estate, la maggioranza delle api invernali non saranno sufficientemente preparate ad affrontare l’inverno. Anche se la famiglia sopravviverà, nonostante le scarse scorte proteiche, non riuscirà quindi ad accudire bene la covata nella successiva primavera. Le famiglie di api, di conseguenza, non sverneranno bene, saranno meno popolose e meno produttive durante la stagione. È quindi assolutamente necessario che l’infestazione della varroa sia drasticamente ridotta prima che inizi l’allevamento delle api invernali in tarda estate. Oltre al danno alle api adulte, questa capacità riproduttiva dell’acaro è nociva anche per lo sviluppo della covata. Sappiamo che api nate dopo esser state parassitate durante il loro sviluppo, saranno meno longeve perché hanno immagazzinato un contenuto di proteine minore e quindi i loro organi risulteranno meno sviluppati e meno resistenti. Anche ai fuchi parassitati tocca una sorta di fat-


tore degenerativo quando sono stati attaccati dalla varroa durante lo sviluppo: risulteranno quindi peggiori volatori e non riusciranno a fecondare in modo pronto ed efficace le regine. L’effetto peggiore per lo sviluppo della covata è la trasmissione di virosi. La più diffusa ed evidente è l’infezione con i virus delle ali deformi (DWV, dall’inglese Deformed Wing Virus, Virus delle Ali Deformi): le api nascono con le ali danneggiate, non funzionali. Anche questo virus riduce il tempo di vita delle api e di solito la famiglia provvede tramite le operaie sane ad allontanare gli esemplari menomati. Un’ape regina portatrice di questo virus presenterà inoltre danni negli ovari e quindi non sarà in grado di assicurare l’adeguata prestazione riproduttiva per mantenere le famiglie sufficientemente popolose. Negli ultimi anni si sono osservate anche varietà di virus delle ali deformi più infettive, in grado di causare danni maggiori all’interno degli alveari. La varroa gioca quindi un ruolo decisivo nello sviluppo di questa che è una vera e propria infezione. È importante comunque sapere che il vi-

rus era già presente nelle nostre api anche prima dell’arrivo del parassita. Ciò che è cambiato è la modalità di trasmissione. Se prima della varroa il virus si trasmetteva per via orale o respiratoria, con l’arrivo dell’acaro i virus vengono iniettati direttamente all’interno di ciascuna ape parassitata causando così gli effetti clinici più gravi e devastanti. I trattamenti con prodotti appositamente messi a punto per fronteggiare queste situazioni, quindi, non solo proteggono le famiglie dagli effetti diretti del parassitismo, ma anche da quelli originati dalle virosi trasmesse durante il ciclo di vita della varroa. D’altra parte, non sappiamo ancora quali siano gli effetti che queste virosi possono causare anche direttamente sugli acari. API-VARROA: UNA RELAZIONE COMPLESSA Finora abbiamo parlato solo degli effetti negativi della varroa sulle api. Una relazione fra parassita ed ospite però è sempre una relazione complessa in cui agiscono entrambe le due parti, lo stesso

Fig. 4 - Il rapporto fra varroa e api è complesso. Oltre agli effetti negativi del parassitismo dell’acaro sulle api e i meccanismi di difesa delle api influiscono anche altri organismi come i virus e l’ambiente. Grafico modificato d’accordo a Nazzi & LeConte 2016.

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SPECIALE PRODOTTI ANTIVARROA

Fig. 5 - Un esempio da non copiare: grande quantità di famiglie, tutte in linea, scarsa qualità delle pratiche apistiche. Questo favorisce la deriva e il saccheggio e, in conseguenza, la reinfestazione di varroe e trasmissione di malattie.

ambiente circostante ed eventuali altri organismi. Nel caso del rapporto api-varroa entrano in gioco anche le virosi, come abbiamo già visto. Sebbene sappiamo che questi agenti patogeni danneggiano le api, ancora non è chiaro se e come essi siano nocivi anche per gli acari. È noto, ad esempio, che il virus DWV (delle ali deformi) si moltiplica anche nella varroa. Se questo fattore da “solo” contribuisca alla trasmissione oppure influisca sulla longevità o su altri fattori fisiologici della varroa è ancora sconosciuto. Ci sono anche altre virosi associate alla varroa, come ad esempio il virus della paralisi acuta. Esso è spesso responsabile del fenomeno di trovare le arnie vuote e senza più api; anomalia che si verifica senza segnali chiari che precedano una probabile debilitazione delle famiglie. Oltre a queste virosi, ci sono poi anche altre infezioni secondarie, sempre associabili alla varroa. Purtroppo, gli sforzi per trovare un patogeno del parassita che non finisca per danneggiare anche le api finora 34 | Apitalia | 7-8/2019

non hanno avuto successo. Le api ovviamente non sono completamente indifese verso le varroe. Esse hanno meccanismi di difesa come il comportamento igienico verso la covata ammalata. Comunque, questi comportamenti non sono sufficienti per mantenere sotto controllo lo sviluppo dell’infestazione. Siccome la varroa per le nostre api mellifere è un parassita nuovo in termini di tempi evolutivi, non ci sono difese biologiche specifiche contro questo acaro. L’ospite originario invece, l’Apis cerana asiatica, non ha bisogno di trattamenti o cure speciali grazie al rapporto intrattenuto per milioni di anni con la varroa. C’è una ragione principale che permette all’ape asiatica di resistere al parassita che, invece, è così dannoso per le nostre api: la varroa si riproduce solo nella covata di fuco. Le api asiatiche ne producono anche solo quantità limitate e a ritmi irregolari e corti. Questo limita molto l’incremento dell’infestazione della varroa. Da noi invece, la varroa può riprodursi senza limiti


durante la stagione produttiva delle api. Sia le varroe sia le api vivono in un ambiente abbastanza stabile rispetto ai necessari parametri di temperatura e di umidità. L’ambiente influisce sulla fisiologia di tutte e due che trovano le condizioni ideali per i loro cicli di vita. Nonostante non sia un trattamento contro la varroa, la scelta dell’apicoltore di un posto adatto per gli apiari consente alle api di mantenere le condizioni giuste all’interno dell’arnia. L’apiario è un fattore ambientale importante per la salute delle famiglie, come pure il posto giusto in cui collocare l’apiario. In un ambiente naturale la densità delle famiglie di api mellifere sarebbe pari, grossomodo, ad una famiglia per chilometro quadrato, invece che di decine di famiglie in un unico posto. In famiglie selvatiche ancora presenti nei boschi, infatti, si trovano meno agenti patogeni e parassiti, inclusa la varroa. Siccome le necessità prati-

che dell’apicoltore in questo caso contraddicono il benessere delle api, è importante che si prenda in maggiore considerazione almeno il modo in cui collocare gli alveari. Lunghe file, come si sa, promuovono la deriva delle api e così anche la trasmissione di varroe ed altre malattie. REINFESTAZIONE La deriva e, anche peggio, il saccheggio sono fattori importanti nel controllo delle malattie. Il saccheggio si verifica soprattutto in periodi con poche risorse fiorite, di solito in tarda estate. Famiglie forti che non trovano abbastanza alimento in questo periodo entrano in altre famiglie, di solito deboli e con poche difese all’entrata dell’arnia. Si riconosce il saccheggio per il volo agitato davanti alle casse, per la presenza di api senza peli e lucide, per la frequente risposta con un comportamento aggressivo da parte delle famiglie attaccate. A causa del saccheggio, le famiglie

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SPECIALE PRODOTTI ANTIVARROA aggredite possono anche collassare. Ma anche la famiglia più forte, “vincitrice”, viene danneggiata: le api che hanno saccheggiato, infatti, si portano dietro gli agenti patogeni e le varroe presenti nelle famiglie deboli. Questa reinfestazione, quindi l’invasione di varroe in una famiglia già trattata, accade spesso proprio nel periodo in cui le colonie provvedono all’allevamento delle api invernali. La reinfestazione è più probabile e frequente in aree con un’alta densità di api. Per evitare questo fenomeno è essenziale evitare la presenza di famiglie trattate e non trattate nello stesso territorio. Si raccomanda, quindi, di trattare sempre tutte le famiglie presenti in un apiario e nello stesso momento. A livello territoriale, la collaborazione fra apicoltori, associazioni e autorità sanitarie può aiutare a coordinare trattamenti contemporanei almeno in zone circoscritte. Purtroppo, questo tipo di collaborazione non si verifica molto spesso anche se essa rappresenta il modo più efficace per ridurre la reinfestazione e quindi aumentare l’efficacia delle misure sanitarie adottate a favore delle api in un determinato areale. Ogni apicoltore però può applicare le buone pratiche apistiche per evitare sia deriva sia saccheggio, quindi almeno operare per ridurre il rischio che questo accada. Anche in tale contesto è importante ricordare che non vedere la varroa non vuol dire che non c’è. Per sfortuna ci sono ancora apicoltori che non riconoscono questo fatto e credono, sbagliando, di poter trascurare i trattamenti. CALENDARIO DEI TRATTAMENTI Come è stato accennato prima, la dinamica di infestazione della varroa assieme al ciclo di vita delle api suggeriscono la necessità di effettuare almeno due trattamenti all’anno: • in autunno/inverno per ridurre l’infestazione in assenza di covata. Così l’infestazione della varroa non raggiungerà livelli pericolosi durante la stagione produttiva delle api; • In estate per garantire un sano allevamento 36 | Apitalia | 7-8/2019

Fig. 6 - L’ingabbiamento della regina crea assenza di covata anche in estate. Per rilasciare la regina dopo il periodo di 25 giorni, è sufficiente aprire la gabbietta senza manipolare la regina stessa.

delle api invernali. Nei mesi precedenti l’infestazione di varroa si è raddoppiata ogni mese arrivando a livelli alti anche se non si vedono gli acari. Questi due trattamenti salvaguardano il patrimonio apistico mantenendo l’infestazione bassa durante il ciclo di vita delle famiglie. Il trattamento invernale è fondamentale per lo svernamento sano di tutti gli alveari. Riduce l’infestazione dovuta alla riproduzione delle varroe in autunno e la reinfestazione. Oltre a questo, se le famiglie partono con una carica bassa del parassita, nella primavera successiva l’infestazione non raggiungerà livelli pericolosi per la sopravvivenza delle api. Il trattamento estivo deve avvenire prima che la dinamica esponenziale dell’infestazione dell’acaro abbia raggiunto livelli critici e causato già danni.


PERIODO

STATO DELLA FAMIGLIA

STATO DELLE VARROE

TRATTAMENTO

RAGIONE

Inverno

Famiglia senza covata, in glomere

Solo varroe foretiche

Acido ossalico, mitraz, fluvalinate

Garantisce lo svernamento

Estate

Il numero di api diminuisce dopo aver passato il culmine di sviluppo

Varroe foretiche e reproduttive, maggior parte nella covata

Acido ossalico con ingabbiamento, acido formico, timolo, amitraz, fluvalinate

Api invernali sane

Tabella 1 - Riassunto dei trattamenti consigliati contro Varroa destructor.

In regioni con clima temperato la produzione di miele finisce attorno al mese di luglio. Questa è l’opportunità per fare i trattamenti senza compromettere la qualità dei prodotti dell’alveare. Il trattamento dovrebbe essere fatto subito dopo la fine della produzione e non oltre alla metà di agosto per garantire una generazione di api invernali sane. In regioni più calde come al Centro-Sud d’Italia i trattamenti devono essere adattati alla presenza più estesa di covata. I momenti del trattamento devono anche rispettare, da un lato, lo sviluppo delle famiglie e la produzione e, dall’altro, il controllo della varroa. Il riscaldamento globale pone il problema di inverni più caldi e presenza di covata anche in questo periodo. I consigli che ora stiamo fornendo, quindi, in futuro potrebbero cambiare al fine di aggiornare le tecniche di trattamento e continuare a salvaguardare il giusto livello di efficacia dei trattamenti. È quindi d’obbligo per l’apicoltore mantenersi costantemente informato. Il “ho sempre fatto così” uccide le api e riduce in conseguenza anche il reddito dell’apicoltore. SOSTANZE ATTIVE PER IL TRATTAMENTO DELLA VARROA Nel corso degli anni diverse sostanze sono state provate per i trattamenti contro la varroa. Quelle che sono rimaste in circolazione sono, a nostro avviso, almeno sei: i componenti di sintesi a base di Amitraz, i piretroidi Fluvalinate e Flumetrina e le sostanze di origine organica quali l’acido ossalico, l’acido formico e il timolo con i relativi formulati autorizzati per l’impiego in apicoltura.

Spesso l’apicoltore si riferisce a queste sostanze come “chimiche” o “naturali”. Va detto, a scanso di equivoci, che sono tutte sostanze chimiche, con l’unica differenza che gli acidi organici e il timolo sono molecole che si ritrovano in natura. Indipendentemente da questo, ci pare più che opportuno ricordare e sottolineare ancora una volta che ogni trattamento contro la varroa va fatto, tassativamente, in assenza di melario. Questo serve a tutelare la qualità e l’innocuità del miele. Va poi detto che ogni medicinale - anche gli acaricidi lo sono - deve essere usato secondo il foglio illustrativo nel quale sono indicate tutte le prescrizioni che hanno reso possibile l’immissione in commercio con la relativa autorizzazione dell’Autorità sanitaria. In apicoltura siamo nella felice situazione che i trattamenti alternativi, quindi i prodotti a base di acidi organici e di timolo, hanno un’efficacia superiore ai trattamenti di sintesi (a base di Amitraz e/o piretroidi). Oltre a questo, c’è anche un modesto rischio di residui degli acaricidi organici nel miele o negli altri prodotti dell’alveare. Se il trattamento si fa nei tempi giusti, con le dosi corrette e in assenza di melario, queste sostanze non si accumulano e quindi non recano danni alle api e all’uomo. È anche poco probabile che le varroe diventino resistenti contro queste sostanze giacché la loro azione è diversa dalle sostanze di sintesi. D’altra parte i prodotti antivarroa che usano come principio attivo Amitraz o Fluvalinate sono molto facili da usare e la gran parte degli apicoltori li preferiscono per questo motivo. Se usate correttamente, quindi, e avendo cura di 7-8/2019 | Apitalia | 37


SPECIALE PRODOTTI ANTIVARROA alternare le sostanze che regolarmente vengono somministrate in apiario con l’intento di evitare le resistenze, queste molecole possono anche dare buoni risultati. Resta di estrema importanza, anche se tra gli apicoltori questo concetto fa fatica ad affermarsi nella totalità della categoria, l’obbligo di usare solo prodotti autorizzati e registrati per i trattamenti contro la varroa. Interventi “fai da te” non garantiscono l’efficacia necessaria e nemmeno la dose corretta. I prodotti registrati sul mercato italiano sono tutti stati studiati per salvaguardare la salute delle api, proteggere i prodotti dell’alveare da alterazioni e anche per la sicurezza sia per le api sia per l’apicoltore che li usa. Spesso gli apicoltori si lamentano del costo del trattamento registrato, senza considerare che perdere le famiglie durante l’inverno per mancata efficacia degli interventi fai da te, oppure l’alterazione dei parametri di qualità dei prodotti dell’alveare, rappresentano costi molto più importanti. Va poi considerato che ogni medicinale ha anche effetti secondari o controindicazioni che si possono evitare leggendo attentamente il foglietto illustrativo e usando i prodotti correttamente. Alla fine, non usando i prodotti registrati non si risparmia, ma si spende in più. TRATTAMENTI A BASE DI ACIDO OSSALICO L’acido ossalico risulta, tra tutte le sostanze che conosciamo, la più efficace contro la varroa. È un acido organico molto forte e la sua efficacia si basa proprio sull’acidità del principio attivo. Agisce soltanto sulle varroe foretiche, vuol dire quelle che si nascondono fra i tergiti delle api adulte. Quindi si deve usare in famiglie senza covata. Durante l’inverno, questa condizione si verifica naturalmente. In estate invece, si deve ingabbiare la regina per 25 giorni prima del trattamento. In queste condizioni il trattamento raggiunge un’efficacia superiore al 90%. Si arriva all’efficacia più alta, assieme ad un’ottima tollerabilità per le api, con una concentrazione di 4,2% per la soluzione da somministrare. 38 | Apitalia | 7-8/2019

In regioni più fredde si usano concentrazioni più basse, a causa delle preoccupazioni che derivano dagli inverni più lunghi e finora tipici del Centro-Nord europeo. Questo comunque compromette l’efficacia del trattamento e con gli inverni più caldi degli ultimi anni il metodo tradizionale sta rischiando di diventare obsoleto. Siccome è l’acidità della soluzione che uccide le varroe, l’acido ossalico deve essere applicato in forma liquida. Affinché il prodotto rimanga liquido per il tempo più lungo possibile, si aggiunge zucchero alla soluzione pronta all’uso. È opinione comune che lo zucchero serva a fare la soluzione più appetibile per le api, ma ancora una volta ci troviamo dinanzi ad un falso. Lo zucchero, infatti, ha la funzione di mantenere il giusto tasso di umidità: se lasciate una ciotola di zucchero all’aperto, poco tempo dopo cominciano a formarsi grumi perché lo zucchero “lega” l’acqua. Queste proprietà igroscopiche aiutano quindi la soluzione di acido ossalico, da somministrare in forma gocciolata nelle famiglie da trattare, a rimanere liquida per un tempo più lungo. La sostanza poi agisce per contatto, mentre le api la distribuiscono con la loro attività. Va detto che lo zucchero in ambiente acido sviluppa HMF dopo pochi giorni; sostanza che può essere tossica per le api ad alte concentrazioni e che comunque rischiamo poi di ritrovare nel miele che raggiunge parametri non consentiti dalle norme vigenti. Prodotti basati su una soluzione zuccherina si devono quindi preparare all’ultimo momento e devono essere usati subito. Le nuove formulazioni con glicerolo, invece dello zucchero, non hanno questo problema: si vendono come soluzioni pronte all’uso che si possono immagazzinare durante un tempo indicato sul foglio illustrativo. Un altro vantaggio dell’acido ossalico è che la sua azione è indipendente dalle temperature esterne. L’efficacia non cambia in temperature alte o basse, rimane sempre sui livelli alti accennati. Il modo più facile di usarlo è per gocciolamento mediante una siringa. Si somministra la


soluzione in posizione obliqua ai favi e alla dose indicata sull’etichetta. L’acido ossalico si può anche sublimare con una attrezzatura adatta oppure spruzzare la soluzione direttamente sui favi. Questi due metodi però sono consigliati meno spesso: la sublimazione presenta rischi più alti per l’apicoltore, già che si formano particelle di acido ossalico molto piccole che possono penetrare le vie respiratorie profondamente. Lo spruzzamento, d’altra parte, è molto più laborioso e si consiglia soltanto per il trattamento degli sciami. PRODOTTI A BASE DI ACIDO OSSALICO 1. Api-Bioxal, polvere solubile in sciroppo Autorizzato ITALIA

temperature superiori a 10 °C. Per il trattamento estivo si ingabbia la regina per 25 giorni dopo il raccolto principale. Per rilasciare la regina alla fine di questo periodo, è sufficiente aprire la gabbia. Poi si gocciola il prodotto come descritto prima. Non trattare durante il flusso di miele. Sublimazione: usare un apparecchio per sublimazione a resistenza elettrica. Si versano 2,3 g di prodotto nell’apparecchio sublimatore spento. Si introduce l’apparecchio attraverso l’apertura di volo, evitando il contatto con i favi. Per evitare l’uscita delle api e i fumi, si deve sigillare l’apertura. Si alimenta l’apparecchio secondo le istruzioni del produttore per almeno 3 minuti. Poi la famiglia rimane chiusa per altri 10 minuti. Fra una famiglia e l’altra, si lascia raffreddare completamente l’apparecchio e si pulisce con acqua potabile. Non trattare durante il f lusso di miele. 2. Api-Bioxal, soluzione pronta all’uso L’acido ossalico in questo prodotto è sciolto in glicerolo che permette di immagazzinare e conservare la soluzione pronta all’uso. Si usa per gocciolamento come descritto prima.

Gocciolamento: preparare sciroppo 1:1 e sciogliere il contenuto della busta nella quantità indicata: • busta da 35 g: sciogliere in 0,5 L di sciroppo; • busta da 175 g: sciogliere in 2,5 L di sciroppo; • busta da 350 g: sciogliere in 5 L di sciroppo. Nota: si deve preparare prima lo sciroppo e poi sciogliere il contenuto della busta per avere la concentrazione di acido ossalico giusta al 4,2%. Una volta preparata la soluzione si deve usare entro un giorno. Dosi: gocciolare 5 ml per spazio interfavo occupato da api, trasversalmente alla loro direzione. Per il trattamento invernale si controlla prima l’assenza di covata. Effettuare il trattamento con

Dosi: gocciolare 5 ml per spazio interfavo occupato da api, trasversalmente alla loro direzione. Per il trattamento invernale si controlla prima l’assenza di covata. Effettuare il trattamento con temperature superiori a 10 °C. Per il trattamento estivo si ingabbia la regina per 25 giorni dopo il raccolto principale. Per rilasciare la regina alla fine di questo periodo, è sufficiente aprire la gabbia. Poi si gocciola il prodotto come descritto prima. Non trattare durante il flusso di miele. 3. Oxuvar 5,7% A questo prodotto si deve aggiungere lo zucchero in un flacone che contenga una soluzione di acido ossalico: • 275 g di zucchero per un flacone di 275 g. 7-8/2019 | Apitalia | 39


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Autorizzato ITALIA

• 1 kg di zucchero per un flacone di 1000 g. In questo modo si ottiene una soluzione di acido ossalico in sciroppo di 2,7%.

chero e oli essenziali inclusa nella confezione. Per preparare la soluzione pronta all’uso: • porre la bottiglia con la soluzione in acqua a 30-35°C; • versare il contenuto della bustina nel liquido; • chiudere bene il flacone ed agitarlo fino a quando lapolvere non si è completamente dissolta. Dosi: 5-6 ml per favo occupato di api. La soluzione deve essere calda (30-35°C) durante l’applicazione.

Non usare durante il flusso di miele.

Nota: la concentrazione della soluzione pronto all’uso di questo prodotto è ancora più bassa di quella dell’Oxuvar. La quantità più alta NON compensa la concentrazione più bassa, giacché l’acido ossalico agisce per la sua acidità, dipendente dalla concentrazione, non dalla quantità applicata. In più, non si capisce perché si debba aggiungere ancora zucchero se la soluzione ha già un eccipiente igroscopico, il glicerolo. Non è chiaro il ruolo degli oli essenziali a concentrazioni troppo basse per avere un effetto acaricida. Questo raddoppiamento è inutile e contraddice il principio medicinale di usare solo le sostanze necessarie per un trattamento.

4. Oxybee

Non usare durante il flusso di miele.

Dosi: 5-6 ml fino a 8-10 ml per spazio interfavo occupato di api. La soluzione deve essere usata tiepida. Nota: La concentrazione della soluzione pronto all’uso di questo prodotto è quella usata nel Centro-Nord europeo, più bassa di quella consigliata. La quantità più alta NON compensa la concentrazione più bassa, giacché l’acido ossalico agisce per la sua acidità, dipendente dalla concentrazione, non dalla quantità applicata.

Autorizzato ITALIA

5. Varromed Autorizzato ITALIA

Questo prodotto è una soluzione di acido ossalico in glicerolo cui si miscela una bustina di zuc40 | Apitalia | 7-8/2019


Questo prodotto è proposto per un uso multiplo durante l’anno. Assieme all’acido ossalico contiene anche acido formico (0,5%), oli essenziali e un colorante. È una soluzione zuccherina pronta all’uso.

si devono preparare proprio prima del trattamento. Analisi in Spagna hanno trovato concentrazioni elevate di HMF in questo prodotto, a livelli chiaramente pericolosi per le api.

Dosi: il dosaggio deve essere adattato alla dimensione della famiglia secondo la seguente tabella:

Non usare durante il flusso di miele o in presenza di melario.

Numero api

Varromed (ml)

5.000-7.000

15 ml

7.000-12.000

15-30 ml

12.000-30.000

30-45 ml

>30.000

45 ml

Secondo le raccomandazioni del produttore si possono fare fino a 9 trattamenti durante l’anno (1-3x in primavera, 3-5x in estate e 1x in inverno). Nel foglio illustrativo viene indicato uno schema di trattamenti. Nota: questo prodotto non è consigliabile per diversi motivi. La concentrazione di acido ossalico è troppo bassa per raggiungere l’efficacia necessaria. La concentrazione di acido formico è troppo bassa perché possa evaporare e quindi non serve come sostanza attiva in questo caso. La bassa efficacia del prodotto è stata dimostrata in prove in Germania con questo prodotto. Inoltre, la soluzione pronta all’uso con lo zucchero ha il problema di HMF che si può formare mantenendo queste soluzioni per più tempo. È per questo che gli altri prodotti a base di acido ossalico in soluzione zuccherina ZONA GEOGRAFICA

TRATTAMENTI A BASE DI TIMOLO Il timolo ha dimostrato un’alta efficacia contro la varroa, raggiungendo livelli sopra 90%. Questa sostanza deve evaporare per essere efficace e quindi si usa soltanto in estate, quando le temperature esterne sono favorevoli. Si consiglia di fare il trattamento con temperature comprese fra 15-30 °C. Il meccanismo di azione del timolo è sconosciuto. Si applica in blocchi saturati con questa sostanza oppure in una formulazione gel che si applicano sopra i listelli dei portafavi. Sospetti di resistenza contro questo componente attivo finora non sono stati confermati. I tre prodotti registrati in Italia sono stati testati e comparati, sia in Germania sia in Italia. I risultati sono riassunti nella tabella a fondo pagina. PRODOTTI A BASE DI TIMOLO 1. Api Life Var La temperatura ideale per il trattamento con questo prodotto è fra 20 e 25 °C. Si sconsiglia di usarlo con temperature superiori a 30 °C per non aumentare lo stress per le famiglie. L’efficacia è insufficiente sotto una media di temperatura di 15 °C, quindi usare soltanto in estate. APIGUARD

THYMOVAR

APILIFEVAR

ITALIA (NORD)

66.9%

93.6%

93.7%

ITALIA (CENTRO)

94.3%

99.5%

94.5%

ITALIA (SUD)

96.5%

97.5%

96.7%

GERMANIA (CENTRO)

43.1%

86.5%

95.0%

GERMANIA (OVEST, ZONA DEL RENO)

71.5%

92.6%

95.9%

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SPECIALE PRODOTTI ANTIVARROA

Autorizzato ITALIA

L’efficacia è insufficiente sotto una media di temperatura di 15 °C, quindi usare soltanto in estate. Trattamento: si mette una striscia e mezza sopra i favi per 3-4 settimane. Si ripete il trattamento per la stessa durata con un’altra striscia e mezza. Durata del trattamento completo: 6-8 settimane. Non trattare in presenza di melario

Trattamento: prendere una tavoletta e spezzarla in 3-4 pezzi. Posizionare i singoli pezzi agli angoli sopra i listelli portafavi. Richiudere l’arnia e lasciare agire il prodotto per sette giorni. Si ripete questa procedura per quattro volte con altre strisce, ogni sette giorni. Rimuovere residui alla fine del ciclo. Durata del trattamento completo: 28 giorni.

3. Apiguard Autorizzato ITALIA

Non trattare in presenza di melario. Nota: questo prodotto mantiene anche altri oli essenziali che aiutano a mantenere liquido il timolo e così aiutare la sua evaporazione. 2. Thymovar Autorizzato ITALIA

Si consiglia il trattamento con temperature fra 15 e 40°C. Trattamento: si mette una vaschetta aperta sui favi per 14 giorni. Si ripete il trattamento per la stessa durata con un’altra vaschetta. Nota: Questo prodotto è formulato in gel. La sua efficacia dipende molto dell’attività delle api. In periodi di maltempo con bassa attività delle api, la superficie del gel diventa secca formando una crosta che impedisce l’evaporazione. Non trattare in presenza di melario.

La temperatura ideale per il trattamento con questo prodotto è fra 20 e 25 °C. Si sconsiglia di usarlo con temperature superiori a 30 °C per non aumentare lo stress delle famiglie. 42 | Apitalia | 7-8/2019

TRATTAMENTI A BASE DI ACIDO FORMICO L’acido formico è l’unica sostanza per i trattamenti contro la varroa che agisce anche nella covata. Vuol dire che uccide non solo le varroe sulle api adulte, ma anche le madri nelle celle


assieme alla loro prole. Questa sostanza deve evaporare per essere efficace. Quindi deve avere una concentrazione di almeno 60% per raggiungere la concentrazione terapeutica nell’aria dell’alveare. Per applicare l’acido formico si usano evaporatori specifici. Comunque, l’efficacia contro la varroa e la tollerabilità dell’acido formico dipendono da diverse condizioni ambientali: • la temperatura ambientale ideale per il trattamento è fra 15 e 18 °C. Con temperature più alte ai 25 °C la tollerabilità per le api diminuisce sostanzialmente. Si consiglia di trattare presto nel mattino oppure tardi la sera in caso di temperature più alte e refrigerare la soluzione prima dell’applicazione; • la dose è variabile secondo la forza della famiglia e il tipo d’ingresso dell’arnia. Somministrata in forma liquida facilita l’adattamento delle dosi. Formulazioni in gel però hanno

una dose fissa che può risultare come un sovradosaggio per le famiglie più piccole; • evaporatore: l’efficacia più alta si è osservata con gli evaporatori che si sviluppano in superficie orizzontale e questo consente di raggiungere risultati affidabili. Affinché l’acido formico sia tollerabile per le famiglie la sostanza deve evaporare lentamente e continuamente. I vapori possono danneggiare la covata (uova, larve giovani), soprattutto in prossimità dell’evaporatore. Con formulazioni gel, si sono notati danni maggiori che con i trattamenti liquidi. Si deve dire che in Italia le condizioni per un trattamento estivo con l’acido formico si verificano solo nell’ estremo Nord e ad elevate altitudini. Altrimenti, le alte temperature estive mettono a rischio la tollerabilità per le api sottoposte a questo tipo di trattamento.

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SPECIALE PRODOTTI ANTIVARROA PRODOTTI A BASE DI ACIDO FORMICO 1. Apifor Autorizzato ITALIA

Nota: Questo prodotto ha una dose fissa che può diventare un sovradosaggio per famiglie più piccole. Una prova in diverse regioni italiane ha dimostrato un’efficacia insufficiente soprattutto in presenza di covata. Il prodotto tendeva a fuoriscire anche della confezione, gocciolando sopra i favi. Questo rappresenta un problema sia per la tollerabilità per le api, sia per la sicurezza dell’apicoltore. Non trattare in presenza di melario. 3. Maqs

Prodotto liquido che quindi deve essere applicato con un evaporatore. Si riempie l’evaporatore con una dose sufficiente per durare un ciclo intero di covata (21 giorni). La dose per questo periodo è di circa 400 ml e si adatta secondo la forza della famiglia. Si sconsiglia di trattare le famiglie con temperature esterne superiori a 30 °C per evitare effetti negativi per le api. Lasciare la porticina dell’arnia aperta durante il trattamento. Non trattare in presenza di melario. 2. Varteminator Autorizzato ITALIA

Autorizzato ITALIA

Prodotto formulato in gel. Si applicano due strisce sopra i favi per un periodo di 7 giorni. Aspettare almeno 30 giorni prima di ripetere il trattamento. Si sconsiglia di trattare con temperature superiori a 33 °C. La forza delle famiglie deve comprendere almeno 6 favi coperti da api. Lasciare aperta la porticina dell’arnia durante il trattamento per garantire una corretta ventilazione. Nota: Questo prodotto ha una dose fissa che può rappresentare un sovradosaggio per famiglie più piccole.

Questo prodotto è formulato in gel. Si applicano due tavolette di gel sopra i favi per 10 giorni. Il trattamento va ripetuto per la stessa durata con altre 2 strisce. 44 | Apitalia | 7-8/2019

Non trattare in presenza di melario. TRATTAMENTI DI SINTESI All’arrivo di Varroa destructor in Europa non c’erano prodotti per trattare il parassita e mancava


esperienza su come affrontare il problema. Quindi sono state usate sostanze già conosciute come acaricidi per il trattamento contro la varroa. Di tutte le sostanze di sintesi finora usate, tre sono ancora in circolazione: l’Amitraz, il Fluvalinate e la Flumethrina, che sono le sostanze attive descritte nei prodotti di cui parliamo qui di seguito. Come premessa va detto che c’è un motivo per escludere altre sostanze una volta usate contro la varroa. Prima di tutto, non c’è l’efficacia sufficiente per salvaguardare la salute delle api. Poi, molte di queste sostanze causano la formazione di residui nei prodotti dell’alveare. Si trovano ancora residui di sostanze non usate da più di 10 anni nella cera delle api. Anche se il miele di solito è più “pulito”, va detto che la qualità dei prodotti apistici va tutelata con estrema cura per mantenere la fiducia e anche la sicurezza del consumatore. In questo contesto le stecche impregnate di acaricida e altre “soluzioni fai da te” sono da

abolire e da disapprovare con rigore. Oltre al rischio di una mancata efficacia, c’è il pericolo per la salute umana, non ultima quella dell’apicoltore che manipola tali sostanze. 1. Apivar Autorizzato ITALIA

L’Apivar è un farmaco a base di Amitraz in strisce di plastica. L’Amitraz è un principio attivo

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SPECIALE PRODOTTI ANTIVARROA che agisce per contatto e blocca un recettore nel sistema nervoso della varroa. È una sostanza che funziona solo sulle varroe foretiche e ha maggiore efficacia in momenti di ridotta presenza di covata. Trattamento: l’Apivar si usa alla fine del periodo estivo dopo la smielatura. Si mettono due strisce vicino al nido e si lasciano dentro l’alveare per almeno 42 giorni. Nel caso in cui durante questo periodo il nido si sia ridotto molto e le strisce si siano allontanate, si possono riposizionare e lasciare per altri 14 giorni. Si devono togliere le strisce al più tardi dopo 56 giorni. Non trattare in presenza di melario. 2. Apitraz

care le strisce fra due favi di miele con posizioni specifiche nel arnia (fra 3° e 4° e fra 7° e 8° favo). Questo non ha senso a causa del requisito di mettere le strisce ad un posto con maggiore attività di passaggio delle api. La posizione è dovuta alle pratiche apistiche in Spagna (il produttore è spagnolo). La scelta di termini fa anche pensare ad un errore di traduzione nel passaggio dallo spagnolo all’inglese per la documentazione europea e poi all’italiano. Siccome è importante mantenere il contatto delle api con le strisce, si consiglia di scegliere i posti come descritto per l’Apivar, di cui questo prodotto finalmente è una copia. Non trattare in presenza di melario.

Autorizzato ITALIA

3. Apistan Autorizzato ITALIA

Anche l’Apitraz è a base di Amitraz e quindi con le stesse proprietà dell’Apivar. Le strisce sono di un materiale più spugnoso e più lunghe. La quantità di Amitraz in ogni striscia è la stessa. Trattamento: il prodotto viene usato in periodo estivo ma con livelli di covata bassi e prima che si formi il glomere. Si mettono due strisce fra due favi in un posto dove c’è la maggiore attività di passaggio delle api. Non tagliare le strisce per non ridurre la dose introdotta nell’alveare. Le strisce rimangono dentro le famiglie per 42 giorni (6 settimane). Nota: nell’etichetta del prodotto è detto di attac46 | Apitalia | 7-8/2019

Prodotto a base di Fluvalinate che agisce per contatto. Questa sostanza è un piretroide che disturba la trasmissione del sistema nervoso delle varroe. La sostanza attiva è fissata in strisce che si appendono fra i favi. Trattamento: si collocano 2 strisce tra i favi laterali alla covata. Il trattamento dura 6-10 settimane. Nota: con i piretroidi c’è un rischio elevato di farmacoresistenza che si può verificare anche fra diverse sostanze appartenenti


allo stesso gruppo chimico. Il Fluvalinate e la Flumethrina (vedi Polyvar) sono sostanze molto simili e quindi possono formare resistenze reciproche. Non trattare in presenza di melario. 4. Polyvar Autorizzato ITALIA

Nota: siccome le strisce di Polyvar si applicano davanti alla porticina dell’alveare questo prodotto è specialmente interessante per regioni ad alto rischio di reinfestazione. Con i piretroidi c’è un rischio elevato di farmacoresistenza, fenomeno che si può verificare anche fra diverse sostanze appartenenti allo stesso gruppo chimico. Il Fluvalinate (vedi Apistan) e la Flumethrina sono sostanze molto simili e quindi possono formare resistenze reciproche. Non trattare in presenza di melario.

Questo prodotto a base di Flumethrina si presenta in strisce forate che vengono applicate alla porticina dell’alveare. Le api sono obbligate a passare i fori per entrare e uscire dall’arnia e così vengono in contatto con la sostanza attiva. Si distribuisce poi nella famiglia per il contatto fra le api. Trattamento: si collocano 2 strisce davanti alla porticina con le graffette, puntine ecc. La durata del trattamento è di 9 settimane fino a un massimo di 4 mesi.

CONCLUSIONI: DALLA TEORIA ALLA PRATICA Tutto ciò che è stato detto potrebbe sembrare teorico e senza relazione con la pratica apistica di tutti i giorni. Ma non è così; al contrario, la teoria è sempre alla base di una pratica sostenibile e di successo. Mantenersi informati è una delle cose più importanti per potersi adattare, a complesse avversità come la varroa, nel modo più efficace e sensato. Ci sono due cose, in particolare, che dobbiamo sempre ricordare: le varroe di solito non si vedono e hanno uno sviluppo esponenziale nelle famiglie. Da questo deriva la responsabilità dell’apicoltore di trattare almeno due volte all’anno (estate ed inverno). Le buone pratiche apistiche aiutano le famiglie a mantenersi sane. In rela-

CHI È L’AUTRICE DI QUESTO INSERTO Claudia Garrido è biologa e fondatrice di BeeSafe, un’azienda di consulenza che si occupa della salute delle api in agricoltura e medicina veterinaria. La sua carriera è stata dedicata alle api fin dal 1993. La dottoressa Garrido ha lavorato su parassiti e malattie delle api in diversi Istituti tedeschi prima di iniziare la sua attività indipendente. Ha pubblicato diversi lavori scientifici sulla varroa di cui è considerata un’esperta riconosciuta sulla scena internazionale. Attualmente lavora soprattutto in Germania ed in Italia, ma ha eseguito prove sull’efficacia dei vari trattamenti anche in diversi altri Paesi europei, in Brasile e in Thailandia.

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SPECIALE PRODOTTI ANTIVARROA zione alla varroa la cosa più importante sarebbe evitare il saccheggio e la deriva per evitare la reinfestazione. Fare lo sforzo di coordinarsi con gli apicoltori vicini e con le autorità veterinarie aiuta ed è anche vantaggioso per questo scopo. Va inoltre detto che non tutti i trattamenti sono uguali, com’è anche nel caso dei medicinali impiegati nella cura degli umani. Nelle descrizioni delle sostanze con le relative note, sotto ciascun prodotto troverete indicazioni per farvi un’idea del trattamento più indicato. In linea generale, è sempre meglio usare trattamenti con una sola sostanza attiva e con il minimo di eccipienti. Questo è un principio dei trattamenti integrati: ciò che è necessario, ma il minimo possibile. C’è anche un’altra analogia con i medicinali per umani: fra sostanze attive ci possono essere effetti reciproci. Combinare trattamenti, come sta diventando pratica comune con il timolo e l’Apistan, è assolutamente sconsigliabile. Per

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prima cosa, non sappiamo se ci sono interazioni perché è una combinazione non studiata e non registrata; secondariamente, questa scelta è da accantonare perché non ha senso. Il timolo ha un’efficacia sufficiente, se usato nei tempi giusti e correttamente. E se si è preoccupati per le resistenze contro l’Apistan non si usa. È sufficiente agire semplicemente così. Claudia Garrido

ATTENZIONE Apitalia ringrazia gli Autori delle foto e delle immagini a corredo di questo inserto speciale e ricorda che esse sono soggette a copyright. Apitalia ha avuto il permesso esclusivo per la pubblicazione in questo inserto e non per la pubblicazione in forma singola, per altre finalità o per altri canali informativi. L’utilizzo non autorizzato di tali elementi, pertanto, costituisce violazione dei diritti degli Autori.


VESPA VELUTINA

IL SISTEMA SEGNALAZIONI STOPVELUTINA, ATTIVITÀ 2018

LA RETE CONTINUA LA SUA OPERA PER ARGINARE LA PRESENZA DEL CALABRONE ASIATICO IN ITALIA di Sara Danielli, Antonio Iannone e Laura Bortolotti INTRODUZIONE La vespa velutina (Vespa velutina nigrithorax) rappresenta un pericolo oltre che per l’apicoltura, anche per la biodiversità e l’integrità dell’ambiente in generale. Negli ultimi anni purtroppo il suo areale è in espansione e la sua diffusione può avvenire attraverso direttrici inaspettate mediante trasporto pas-

sivo di regine svernanti. Dal 2012, anno del primo avvistamento in Liguria, V. velutina ha fatto registrare ritrovamenti anche in altre regioni, uscendo dai confini della zona rossa: Piemonte, Veneto, Lombardia e infine Toscana. StopVelutina, la rete italiana che unisce enti di ricerca e apicoltori, è nata proprio con lo scopo di monitorare la diffusione

Figura 1 - Mappa delle segnalazioni di adulti e nidi di Vespa velutina pervenute al sito StopVelutina dal 2014 al 2019; focus sui ritrovamenti del 2018 nelle zone di confine tra Liguria e Toscana; dal sito www.stopvelutina.it

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VESPA VELUTINA

Figura 2 - Numero di segnalazioni per regione di origine.

Figura 3 - Istogramma mostrante il numero di segnalazioni nel corso dei mesi.

del calabrone asiatico e di interromperne l’avanzata: il controllo e la sorveglianza del territorio rappresentano infatti elementi imprescindibili per l’attuazione di metodi di eradicazione e/o controllo tempestivi e quindi efficaci. In questo terzo anno di attività, il sistema di segnalazioni ha continuato a mantenere alta l’attenzione in Liguria in provincia di La Spezia e in Toscana (MS), confermando i ritrovamenti avvenuti nel corso della stagione 2018 (Figura 1). Positiva l’assenza di rinvenimenti in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, regioni che avevano destato preoccupazione tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 a causa dei ritrovamenti di un nido e di alcuni esemplari in zone adiacenti agli argini del fiume Po, in territorio lombardo e veneto, località vicinissime ai confini emiliani. Altro elemento positivo è l’aumento del numero delle segnalazioni pervenute, che è indice dell’accresciuta sensibilizzazione dei cittadini, la cui collaborazione

risulta indispensabile per la raccolta a rischio a causa della possibilità di di informazioni dal territorio ed un trasporto passivo di regine svernanti. eventuale pronto intervento. Il sito della rete (www.stopvelutina.it) offre infatti la possibilità agli utenti di documentarsi attraverso seLA RETE STOPVELUTINA E IL SISTEMA DI SEGNALAZIONI zioni informative, schede identificaLa rete StopVelutina, nata nel 2015 tive, notizie, video didattici, ecc. e di dal progetto ministeriale (Mipaaf ) inviare segnalazioni di adulti o nidi VELUTINA con lo scopo di mo- mediante la compilazione di un monitorare l’espansione del calabrone dulo online (http://www.stopveluasiatico sul territorio italiano e di tina.it/effettua-una-segnalazione/). studiare strategie di contenimento, Questo modulo presenta campi è formata da ricercatori e studiosi predefiniti in cui vengono richieste di CREA, CNR, Università di Fi- informazioni utili all’identificazione: renze, Università di Pisa e Apiligu- località, posizione e l’altezza in caso ria - Associata FAI-Federazione di nidi e altri particolari, come l’eApicoltori Italiani. Il programma ventuale pericolosità, oltre alla possi è concluso nel 2016, ma, viste la sibilità di inserire una foto. Le rilerilevanza e l’indispensabilità delle vazioni possono essere inviate anche attività, il gruppo continua ad ope- all’indirizzo info@stopvelutina.it oprare con finanziamenti propri, gra- pure attraverso la pagina Facebook zie anche alla collaborazione delle Stopvelutina. Dal 2017 è inoltre associazioni apistiche presenti sul attivo un numero telefonico (345 territorio. 6423030) attraverso cui gli utenti La rete dispone di un sistema di se- possono inviare notifiche mediangnalazioni in grado di ricevere infor- te messaggi WhatsApp, ampliando mazioni da tutto il territorio nazio- ulteriormente le modalità attraverso nale, in quanto tutte le regioni sono cui monitorare il territorio.

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LE SEGNALAZIONI Nel corso del 2018 sono pervenute in totale 836 segnalazioni, di cui la maggior parte mediante il sito (74,76%), a seguire WhatsApp (16,87%), Facebook (5,38%), doppia segnalazione con sito e Facebook o WhatsApp (1,91%) e infine tramite comunicazione personale (1,08%). Per quanto riguarda la provenienza, la maggior parte delle segnalazioni è arrivata dal Nord-Ovest (306), a seguire dal Nord-Est (271), dal Centro (122), dal Sud (91) e infine dalle Isole (32); 3 segnalazioni sono arrivate persino dall’estero, mentre per 11 non è stata indicata l’origine. La ripartizione per regioni è schematizzata

nella Figura 2. L’Emilia-Romagna risulta come per il 2017 (Danielli e Bortolotti, 2018) la regione da cui è pervenuto il maggior numero di segnalazioni (173). Altre regioni da cui è arrivato un elevato numero di segnalazioni sono Liguria (141) e Lombardia (115). Il riscontro di un numero relativamente basso di segnalazioni da regioni “calde” come Veneto (69), Piemonte (49) e Toscana (32) è giustificabile con la presenza di altri enti che si occupano di ricevere le segnalazioni in queste regioni: progetto Life Stopvespa in Piemonte, Università di Firenze in Toscana, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie in Veneto. Per quanto riguarda l’andamen-

to delle segnalazioni nel corso dell’anno (Figura 3), ne sono state registrate in tutti i mesi, con aumento nel corso della primavera e dell’estate, parallelamente al ciclo di sviluppo delle vespe. In particolare, il maggior numero è stato riscontrato nel mese di agosto: ciò si può spiegare con il raggiungimento del picco del numero di esemplari adulti nei nidi, che si traduce in una maggiore rilevabilità della loro presenza nell’ambiente. Dopo questo mese, il numero delle segnalazioni è fisiologicamente calato, sebbene sia rimasto molto alto in settembre e ottobre. La maggior parte delle segnalazioni ha avuto per oggetto esemplari adulti (601), a seguire nidi (134),

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VESPA VELUTINA

Figura 5 - Grafico a torta raffigurante i risultati delle segnalazioni per l’anno 2018; sono indicate solamente quelle in cui è stato possibile arrivare ad una identificazione.

segnalazione di un adulto in territorio toscano dopo quella del 2017 a Pietrasanta (MS): un esemplare maschio è stato attestato presso un apiario a Licciana (MS), confermando la necessità di mantenere ancor più alta l’attenzione in questa regione. Altri avvistamenti (2) del calabrone asiatico sono arrivati dal Piemonte (CN), che rappresenta una regione fortemente a rischio. I casi positivi risultano pochi ma il dato è da correlarsi alla presenza del progetto LIFE Stopvespa dell’Università di Torino, che si occupa delle segnalazioni in questa regione e che ha individuato adulti e nidi di Vespa velutina in alcune località della provincia di Cuneo (Ormea, Caprauna, Alto) vicino al confine con la Liguria. Un altro dato apprezzabile è il mancato riscontro di positività in Emilia-Romagna, regione da cui è pervenuto il maggior numero di segnalazioni

nidi e adulti contemporaneamente stati molteplici e molto distanzia(96) e in pochissimi casi non è sta- ti tra loro, con un ritrovamento a settembre ad Ameglia (SP), punto to specificato (5). più vicino al confine con la ToscaRISULTATI E CONSIDERAZIONI na. Inoltre, nel mese di novembre Nella Figura 5 sono raffigurati i è arrivata per mezzo dell’associarisultati dell’identificazione degli zione Toscana Miele la seconda esemplari segnalati. Vespa velutina (si vedano anche le Figura 6, 7 e 8) è stata identificata in 61 casi. Come atteso, la maggior parte delle conferme, sia di adulti che di nidi, è arrivata dalla Liguria, in particolare dall’area considerata endemica (provincia di Imperia), ma ne sono giunte anche dalla zona di Savona e in particolare da La Spezia, rafforzando l’allerta che si era ivi scatenata per il ritrovamento di diversi esemplari tra agosto e ottobre 2017. Nel 2018 sono stati infatti rilevati i primi esemplari adulti a partire da maggio e con aumento delle segnalazioni a settembre, facendo perciò pensare alla presenza Figura 6 - Foto di adulti di Vespa velutina pervenute al sistema StopVelutina, le propordi più nidi nella zona: i luoghi dove zioni non sono rispettate; A) Foto di anonimo (IM), B) Foto di anonimo (IM), C) Foto di sono state avvistate le velutine sono Paolo Campora (IM), D) Foto di anonimo (MS). 52 | Apitalia | 7-8/2019


Figura 7 - Foto di nidi primari di Vespa velutina pervenute al sito StopVelutina, le proporzioni non sono rispettate. A) Foto di Mattia Brogna (IM); B) Foto di Francesca Pedone (IM).

Figura 8 - Foto di nidi secondari di Vespa velutina arrivate al sistema di segnalazioni StopVelutina; le proporzioni non sono rispettate. A) Foto di Donatella Rossetto (IM), B) Foto di Romina Montanari (IM)

probabilmente per la sensibilizzazione dovuta ai casi verificatisi a cavallo tra il 2016 e la primavera del 2017 in località a pochi chilometri dai confini emiliani. In particolare, erano stati ritrovati esemplari adulti nel mese di novembre 2016 a Bergantino (RO), un nido a gennaio 2017 e un esemplare adulto a Borgofranco sul Po (MN) nel

successivo maggio. L’assenza di ritrovamenti per ben due anni lascia auspicare che da quel nido non si sia sviluppato un focolaio, che in caso contrario sarebbe stato rilevato negli anni successivi. Per quanto attiene le segnalazioni per le quali non è stata confermata Vespa velutina ma sono state identificate altre specie, al primo posto

come frequenza troviamo Vespa crabro (in totale 367 casi). Questa specie nostrana di calabrone viene frequentemente scambiata per V. velutina probabilmente perché le dimensioni degli adulti possono risultare analoghe senza un confronto diretto e la sagoma è simile, “da calabrone”. Invece, i principali elementi morfologici che ne permettono la distinzione sono la colorazione complessivamente più nerastra nella V. velutina e più rossiccia nella V. crabro, le bande gialle colorate caratteristiche dell’addome e il differente colore delle zampe: scure e con la parte terminale gialla nella V. velutina, interamente bruno-rossicce nella V. crabro (Figura 9). Per quanto concerne i nidi, nelle due specie l’aspetto complessivo è simile (di cellulosa e diametro di alcune decine di cm), ma si possono differenziare perché quelli di V. velutina presentano un’apertura piccola e laterale mentre quelli di V. crabro ce l’hanno larga e diretta verso il basso. Altro elemento che può orientare nell’identificazione è la localizzazione: quelli di V. velutina (Figura 8) sono generalmente aerei, posizionati su alberi ad altezze elevate (più di 10 m), più raramente in alberi cavi, edifici, camini come invece è caratteristico per V. crabro (Figura 10). Nel caso di fotografie nelle quali si possa osservare solamente una parte di nido o effettuate a gran distanza, risulta impossibile distinguere con certezza le due specie; l’ideale sarebbe poter abbinare la foto del nido a quella di un esemplare (ad esempio un adulto nei pressi dell’ingresso oppure un esemplare 7-8/2019 | Apitalia | 53


VESPA VELUTINA trovato morto a terra o all’interno di un nido abbandonato), si vedano Figure 9 e 10. Al secondo posto come frequenza si rileva Vespa orientalis (Figura 11), accertata in ben 36 segnalazioni. In tali casi si è trattato generalmente di avvistamenti di esemplari adulti, mentre per quanto riguarda i nidi non ci sono dubbi per la differente ubicazione (Vespa orientalis fa sempre nidi sotto terra, Vespa velutina mai). La provenienza dei ritrovamenti sembra indicare che questa specie, autoctona nell’Italia meridionale, stia ampliando l’areale di distribuzione, con qualche puntata anche al Nord. La maggior parte delle segnalazioni è infatti arrivata dal Sud: 30 dalla Campania (province di Caserta, Napoli e Salerno), 3 dalla Sicilia (provincia di Palermo), ma ci sono stati anche 2 avvistamenti di adulti, in due città portuali del Nord Italia, Genova e Trieste. La Campania nel complesso è stata tra le regioni del CentroSud quella con più segnalazioni, di cui quasi la metà risultate di Vespa orientalis. Presumibilmente c’è una certa sensibilizzazione dei residenti a questa specie, che presenta un impatto predatorio sulle api paragonabile a quello di Vespa velutina. Altri esemplari adulti che sono stati confusi con Vespa velutina appartengono al gruppo delle vespe parassitoidi solitarie, nello specifico alle seguenti famiglie: Scoliidae (19), Eumeniidae (7), Sphecidae (6), Siriciidae (2) e Pompilidae (1). Questi (Figura 12) vengono scambiati per il calabrone asiatico probabilmente per via della dimensione, delle colorazioni vivaci 54 | Apitalia | 7-8/2019

Figura 9 - Foto di nidi primari di Vespa crabro pervenute al sistema Stopvelutina: il ritrovamento di un esemplare adulto è risultato decisivo per l’identificazione della specie; A) Foto di anonimo (RM); B e C) Foto di anonimo (RSM). Le proporzioni non sono rispettate.

Figura 10 - Foto di nidi secondari di Vespa crabro pervenuti al sito StopVelutina, anche in questi casi l’avvistamento dei soggetti adulti risulta chiarificatore; A e B) Foto di Marco Novi (FE); C) Foto di Danilo Repetto (GE).

o semplicemente perché meno conosciuti agli utenti e quindi considerati erroneamente esemplari non autoctoni. Altri imenotteri segnalati erroneamente come Vespa velutina appartengono al genere Dolichovespula

(14), Vespula (6) e Polistes (3). Per quanto riguarda il genere Dolichovespula, in tutti i casi si è trattato di segnalazioni di nidi, prevedibilmente perché sono somiglianti nelle due specie e entrambi con localizzazione arborea. Elementi


Figura 11 - Foto di esemplari di Vespa orientalis pervenute al sistema Stopvelutina, le proporzioni non sono rispettate; A e B) Foto di Andrea Valle – ALPA Miele (GE), C) Foto di Gianvito Tozzi (SA), D) Foto di anonima (NA).

orientanti nella differenziazione sono: le dimensioni (quelli di V. velutina hanno generalmente dimensioni maggiori); la posizione (quelli

di V. velutina sono ad altezze più elevate), le caratteristiche esterne: quelli di Dolichovespula hanno una colorazione più grigia e un aspet-

to più liscio rispetto a quelli della velutina (Bortolotti et al., 2017). In questi casi, se nel nido sono presenti esemplari adulti, l’invio di una foto in cui vengono mostrati risulterà discriminante, in quanto l’aspetto e le dimensioni di un esemplare di Dolichovespula sono nettamente distinguibili da quelli di velutina (Figura 13). Quando non sono presenti adulti nel nido, anche il diametro delle cellette esagonali può risultare diagnostico: 5-6 mm per i nidi di Dolichovespula, 8-9 mm per quelli di velutina (Figura 13). Infine sono stati segnalati alcuni apoidei (10) tra cui Anthidium sp.(5), Megachile sp. (2), Andrena sp. (1) e le comuni api mellifere

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VESPA VELUTINA Apis mellifera (2). Infine, per 289 segnalazioni non è stato possibile pervenire ad una identificazione della specie (34,67%). Ciò è stato dovuto principalmente alla mancanza di adeguate informazioni fornite dall’utente, in particolare il 78,20% di queste segnalazioni non è stata accompagnata dall’invio di una foto, indispensabile per arrivare ad una identificazione certa, oppure quando questa era presente, non era di qualità idonea al riconoscimento. CONCLUSIONI In questo terzo anno di attività il sistema StopVelutina ha dato ulteriore prova di funzionare in modo utile, aumentando nella popolazione la consapevolezza del problema Vespa velutina, come dimostrato dall’incremento esponenziale delle segnalazioni rispetto agli anni precedenti. Il sistema ha inoltre permesso di controllare la sua propagazione nel nostro Paese, svelando la sua diffusione negli areali al confine tra la Liguria e la Toscana. Tali conoscenze, se acquisite in modo tempestivo, risultano fondamentali per lo studio di nuovi metodi di approccio e contenimento del problema. Si invitano pertanto gli utenti a inviare le segnalazioni accompagnate di fotografie, indispensabili per una corretta identificazione. Sara Danielli, Antonio Iannone e Laura Bortolotti CREA - Unità di ricerca Agricoltura Ambiente 56 | Apitalia | 7-8/2019

Figura 12 - Foto di vespe parassitoidi pervenute a StopVelutina, le proporzioni non sono rispettate, A) Esemplari di Scolia hirta, foto di Sandra Lombardi (GE), B) Megascolia sp., foto di Patrick Schussele (PG), C) Eumenidae, foto di anonimo (RM), D) Sfecidae, foto di anonimo (GE), E) Siricidae, foto di Martino Ziosi (FI), F) Pompilidae, foto di anonima (RO).

Figura 13 - Foto di nidi secondari di Dolichovespula sp. pervenute al sito raffiguranti due particolari dello stesso nido, le proporzioni non sono rispettate; in questo caso l’identificazione della specie è avvenuta grazie al ritrovamento di esemplari adulti e alla misurazione delle cellette; A e B) Foto di anonimo (TN). BIBLIOGRAFIA Bortolotti L., Bogo G. e Monaco L., 2017 - Il sistema di segnalazioni StopVelutina: resoconto di un anno di attività. Apitalia, n. 4: 36-41 • Danielli S. e Bortolotti L., 2018 – StopVelutina: sosteniamo il sistema delle segnalazioni. Apitalia, n. 4: 31-41.



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