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giugno 2023
from Apinforma 12/2023
by Confapi FVG
l’Intervento dI denIS durISotto, PreSIdente del gruPPo
trASPortI e logIStICA dI ConfAPI fvg
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Il 22 giugno 2023 si è tenuto nella CCIAA di Pordenone e Udine un convegno sullo sviluppo dei trasporti e della logistica in Friuli Venezia Giulia, organizzato da tutte le Associazioni di categoria regionali, fra cui Confapi FVG, nel quale si è inteso dare spazio ad analisi, riflessioni, prospettive e ricadute sul territorio regionale dalla specifica prospettiva delle imprese del settore.
In particolare, nella prima parte dei lavori hanno trovato spazio gli interventi di esperti e conoscitori di primo piano a livello nazionale di questa materia e, precisamente: Zeno D’Agostino, Presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Orientale; Maurizio Maresca, Ordinario di Diritto internazionale dell’Università di Udine; Giovanni Longo, Ordinario di Tecnica ed economia dei trasporti e sistemi di trasporti dell’Università di Trieste.
Nella seconda parte dei lavori si sono succeduti gli interventi dei rappresentanti di tutte le associazioni territoriali organizzatrici, fra cui Confapi FVG per bocca del Vice Presidente Denis Durisotto, dedicato ai rapporti fra imprese di trasporto e logistica e pubblica amministrazione con focus sull’Autorità di regolazione dei trasporti.
Il convegno si è concluso con un prolungato dibattito moderato dall’esperto di logistica e trasporti Paolo Sartor.
Tutti gli atti del convegno saranno messi a disposizione degli interessati e portati a conoscenza alle competenti autorità di livello regionale, nazionale ed europeo, non appena saranno stati riuniti e stampati interventi e relazioni. Qui, per doverosa e opportuna conoscenza si anticipa il testo integrale dell’intervento di Denis Durisotto, al titolo Le criticità operative di un’impresa di autotrasporto cose in conto terzi nei rapporti con la Pubblica Amministrazione.
CAMERA DI COMMERCIO PORDENONE-UDINE, 22 GIUGNO 2023, ORE 15.00
Intervento di Denis Durisotto, Presidente del Gruppo trasporti e logistica di Confapi FVG
Autorità, cari Colleghi, gentili signore e signori, desidero, innanzitutto, rivolgere un ringraziamento di tutta Confapi FVG e mio personale a quanti sono intervenuti a dibattere un tema di sicura importanza per il settore dei trasporti e della logistica, specialmente perché proposto dalla visuale delle imprese regionali di questa categoria.
Un grazie sincero anche alla Camera di Commercio di Pordenone - Udine, che ci ospita, e uno speciale a Confcooperative che con convinzione e impegno ha lanciato l’idea e tanto si è prodigata nella sua realizzazione.
Mi è stato affidato il compito di toccare l’argomento dei rapporti delle nostre imprese con la pubblica amministrazione: tema che mi sta a cuore, perché dall’efficienza di quest’ultima nello svolgere i suoi compiti istituzionali dipendono in buona misura la competitività delle nostre imprese, le loro possibilità di svilupparsi, di programmare e di strutturarsi.
Il presupposto risiede nella capacità di produrre reddito. requisito che statisticamente vede le imprese del settore su posizioni di estrema debolezza, visto che la loro redditività raggiunge circa la metà di quelle manifatturiere e, per di più, che per il 4,5% discende dal rimborso di quota parte delle accise.
Finché non si esce da questa situazione il settore sarà condannato a vivere entro ristretti orizzonti, con incerte prospettive di crescita e senza uscire da una posizione di subordinazione nei confronti della committenza, sulla quale l’autotrasporto finisce con il riversare, in termini di prezzo del servizio, tutto o parte dello stesso beneficio sulle accise.
In relazione ai rapporti con la pubblica amministrazione avrei desiderato toccare alcuni temi cruciali per l’autotrasporto regionale, a cominciare dall’operatività della Motorizzazione Civile e dal quadro normativo dei rapporti fra Regione e Stato che la caratterizzano.
Preferisco invece approfittare dello spazio che mi è concesso per richiamare l’attenzione dei presenti sull’Autorità di regolazione dei trasporti, l’A.R.T., istituita ancora all’epoca del “Governo Monti” con la legge 214 del 2011, che convertì il c.d. decreto “Salva Italia”, e divenuta operante con sede a Torino nel settembre del 2013.
È un’entità nota per lo più agli addetti ai lavori. Lo è meno a quelli che non ne hanno a che fare direttamente.
Per quello che si sa e per quello che andrò a dire non ricade propriamente nemmeno nel perimetro della pubblica amministrazione.
Si tratta, infatti, di un’autorità amministrativa, indipendente e che opera in piena autonomia, in conformità con le norme europee e con motivazioni formali ispirate a principi di liberalizzazione e di eque condizioni di accesso alle infrastrutture e ai servizi di trasporto.
Meno note sono altre motivazioni, quali l’esigenza di svincolare le “regole del gioco” dalle incertezze dei cicli politici, la maggiore preparazione tecnico-economica e reattività di un ente ad hoc dedicato alle trasformazioni del mercato rispetto all’organizzazione ministeriale, le maggiori garanzie che dovrebbe offrire a tutela degli utenti e degli investitori nei rami di attività considerati.
La sua giurisdizione abbraccia le reti di trasporto e dei servizi ferroviari, del trasporto pubblico locale, portuali, aeroportuali e autostradali con ampi poteri di regolamentazione e prescrittivi, anche in ambito contabile e societario, nonché di indagine, inibitori, conformativi e sanzionatori.
Si colloca, in definitiva, sulla scia delle altre Autorità di regolazione, come quelle dell’energia e delle telecomunicazioni. Personalmente, come semplice cittadino, dietro alla nobiltà dei fini, potrei anche scorgere una nuova forma di sottrazione di spicchi di sovranità dello Stato italiano.
Come operatore del trasporto su strada ho, tuttavia, altre osservazioni da fare e, cioè, la pretesa dell’A.R.T. di estendere in qualche maniera la sua giurisdizione anche al campo del trasporto di cose su strada, non tanto ai fini di regolarlo, quanto allo scopo di ottenere da esso un concorso contributivo ai propri oneri di funzionamento.
Così, anno per anno, a partire dal 2015, con proprie delibere sono stati richiesti contributi anche alle imprese di autotrasporto di cose in conto terzi di importi ed esenzioni variabili, tempo per tempo. Da ultimo ammonta allo 0,5 per mille (precedentemente aveva toccato lo 0,6 per mille) con una soglia di esenzione per le imprese aventi un fatturato - diciamo così - tassabile pari o superiore a 5 milioni di euro ottenuto con veicoli di massa complessiva superiore a 26 t. Si tratta di una soglia che interessa già un’impresa di medie o addirittura medio-piccole dimensioni.
Le ragioni addotte per coinvolgere il nostro settore sono molteplici. La più importante è che le imprese utilizzano quelle infrastrutture e le reti che ricadono sotto la giurisdizione dell’Autorità. Non solo, ma sono le imprese a dover dimostrare tramite un’apposita dichiarazione da rendere all’Autorità, pena la sanzione dell’1% del fatturato, l’ambito di produzione del medesimo, escludendo, ad esempio, i viaggi internazionali, i trasporti in subvezione o il mancato utilizzo di determinate infrastrutture.
Tutte o in parte le nostre Associazioni nazionali di categoria sono ripetutamente ricorse al TAR del Piemonte per annullare quelle parti delle delibere che riguardavano il trasporto su strada con motivazioni evidenti, quali quelle che l’Autorità non esercitava le proprie competenze nel trasporto di cose su strada e che le imprese del settore sono già assoggettate a un’Autorità di vigilanza, che è l’Albo nazionale degli autotrasportatori di cose in conto terzi, alla cui funzione contribuiscono con il versamento di specifici contributi.
Anche il mercato dell’autotrasporto e l’esercizio della professione sono disciplinati nei loro aspetti fondamentali dalla legislazione dello Stato. Tutti qui conoscono la legge 298 del 1974 e il decreto legislativo 286 del 2005.
Ora, tutti i ricorsi al TAR del Piemonte sono stati vinti - e desidero esprimere anche qui un sentito ringraziamento alle Associazioni nazionali per l’efficace impegno profuso - ma non di fronte al Consiglio di Stato, ove nel 2021 l’Autorità con proprio ricorso è riuscita ad avere la meglio.
Per i pagamenti “dovuti” relativamente al 2022 e al 2023 rimaneva solo la strada di un provvedimento di legge che esentasse le imprese della categoria dalla giurisdizione dell’Autorità.
Questa strada è stata percorsa con parziale successo, perché le norme di legge poste in essere nel 2022 e nel 2023 riguardano solo la sospensione del versamento del contributo, anno per anno, con varie motivazioni (effetti del Covid, incremento abnorme dei prezzi di trasporto per il conflitto russo-ucraino). In altre parole, non si è avuta una esclusione completa e definitiva.
La partita, dunque, resta aperta ed è destinata a riproporsi anche nel 2024. Vedremo con quali argomentazioni esentive, se sarà ancora così.
Non solo. Le leggi esentive non risparmiano le imprese dall’obbligo della presentazione della dichiarazione all’A.R.T. È questa una circostanza di non poco conto, poiché richiede in ciascuna impresa l’impiego di personale amministrativo ai fini di una sua corretta redazione nonché la certificazione finale da parte di un revisore contabile. Monetariamente la sua predisposizione parte da un costo effettivo ben maggiore dei 2.500 euro posti come soglia minima d’importo contributivo.
Ora, fermo restando il ribadito impegno delle nostre Associazioni nazionali di categoria a battersi per ottenere dal legislatore l’esclusione completa e senza riserve dell’autotrasporto professionale da ogni competenza dell’A.R.T., resta da chiedersi quale superiore autorità, forza o calcolo l’ha sino a oggi impedito e lo rende così problematico.
Grazie a Voi tutti per l’attenzione.
Premessa
Non esiste una disciplina contabile legata alla gestione della realizzazione degli impianti fotovoltaici, tale assenza porta a dover utilizzare le indicazioni generali del documento OIC16 e le relative prescrizioni fiscali. Il vorticoso aumento dei prezzi delle fonti di energia dello scorso anno, ha spinto le imprese verso investimenti green. Tale scelta nella nostra Regine è stata assecondata con un importante sostegno attraverso un contributo per la realizzazione di impianti fotovoltaici.
Il giusto inquadramento contabile di questi investimenti non risulta sempre chiaro, non si capisce se vadano considerati parte del fabbricato, ovvero autonomi impianti. Il diverso inquadramento ha evidentemente dei risvolti importanti sul fronte contabile sia su quello impositivo.
L’INqUADRAMENTO FISCALE
L’Agenzia delle entrate nei diversi interventi di prassi forniti negli anni è arrivata a formulare le seguenti tipologie di inquadramento:
- impianti installati al suolo, il bene è normalmente qualificato come unità immobiliare autonoma ed è censibile nella categoria D/1 o D/10 se presenta requisiti di ruralità;
- impianti parzialmente o totalmente integrati ad unità immobiliari accatastate, tipicamente capannoni o laboratori, il bene è qualificato come immobile se incrementa il valore capitale o la redditività in cui è inserito di almeno il 15%. In questi casi si rende necessario provvedere alla variazione della rendita.
Gli impianti fotovoltaici si considerano beni immobili quando devono essere dichiarati in catasto, indipendentemente dalla categoria attribuita alle unità immobiliari di cui fanno parte. Devono es- sere accatastati gli impianti che costituiscono una centrale di produzione di energia elettrica, quando risultano posizionati su pareti o tetti o ancora quando sono realizzati su aree di pertinenza comuni o esclusive di un fabbricato per le quali sussiste l’obbligo della menzione nella dichiarazione in catasto, al termine della installazione. Ciò accade, come già ricordato, quando l’impianto è integrato ad un immobile e ne incrementa il valore di almeno il 15%. In tale ipotesi l’impianto non è oggetto di un autonomo accatastamento, ma incrementa la rendita catastale dell’immobile su cui è posto senza che ne muti la classificazione. Sono invece considerati beni mobili gli impianti di modesta entità in termini di dimensioni e potenza che non rientrano nei casi indicati sopra. Per quanto riguarda poi gli imbullonati, la circolare n. 2/2016 ha chiarito che i pannelli fotovoltaici non sono oggetto di stima catastale, ad eccezione di quelli integrati nella struttura e costituenti copertura o pareti di costruzioni.
IL DIvERSO INqUADRAMENTO
La diversa qualificazione dell’impianto come bene immobile o mobile determina un trattamento contabile e fiscale differenziato.
Gli impianti installati al suolo rientrano tra quelli da contabilizzare nella voce B.II.1 – Terreni e fabbricati dell’attivo dello stato patrimoniale. Devono essere rilevati separatamente dal terreno e a questo proposti l’OIC 16 segnala che devono essere sottoposti ad ammortamento separatamente dal terreno su cui sono installati, sulla base della loro residua vita utile.
Per gli impianti parzialmente o totalmente integrati di dimensioni e potenza elevati sono possibili due alternative:
- capitalizzazione dei costi sostenuti per l’acquisto o la realizzazione dell’impianto, rilevandoli ad incremento dell’unità immobiliare su cui viene integrato, ammortizzandoli unitamente al bene principale;
- considerare l’impianto come un bene complesso ed applicare il “component approach” di cui all’OIC16 punti 45 – 46 e 69. In questo caso l’impianto viene sottoposto ad autonomo ammortamento in relazione alla durata residua di vita utile.
Il “component approach” è un nuovo principio contabile che prevede l’iscrizione separata in contabilità di un bene dalle sue pertinenze, componenti o accessori, nel caso in cui la durata utile prevista per questi ultimi sia diversa da quella del cespite principale. L’ammortamento di tali componenti sarà effettuato autonomamente. La separazione non va effettuata se non praticabile o non significativa. In bilancio comparirà il valore contabile del singolo bene, ovvero della categoria di beni, al netto della sommatoria dei fondi di ammortamento dei singoli componenti. Viene precisato, inoltre, che “se un componente ha una durata superiore a quella del cespite principale, non è possibile utilizzare per esso un periodo di ammortamento più lungo, in quanto, una volta dismesso il cespite principale, il componente deve essere assoggettato ad un nuovo processo valutativo, se ancora utilizzabile.” La separazione ha, infatti, lo scopo di facilitare la contabilizzazione di una pertinenza con vita utile più breve rispetto al cespite principale, nell’ottica della sua sostituzione. Anche dal punto di vista fiscale l’ammortamento effettuato ai sensi del DM 31/12/88 va calcolato con aliquote autonome.
LE DIvERSE ALIqUOTE
Ai fini dell’individuazione dell’aliquota di ammortamento si deve fare riferimento ai coefficienti previsti per le industrie dell’energia elettrica, del gas e dell’acqua (Gruppo XVII). In particolare è applicabile l’aliquota del 9% nel caso in cui l’impianto è qualificato come bene mobile e del 4% se qualificato come bene immobile.
Per gli impianti fotovoltaici accatastati autonomamente e quindi qualificati come immobili, è necessario scorporare il valore del terreno ex art. 36 comma 7 e seguenti del D.L. 223/2006.
Questa impostazione potrebbe avere riflessi di non poco conto qualora l’impianto sia installato su un immobile di nuova costruzione, verrebbe ammortizzato in base ad un’aliquota più bassa collegata al bene principale e non sulla base dell’aliquota prevista per gli impianti qualificabili come beni mobili. L’aliquota del 9% è stata determinata tenendo conto del fatto che, non contemplando il D.M. 31.12.1988 la categoria degli impianti fotovoltaici, è stato applicato il principio secondo cui in questi casi si deve fare riferimento a beni appartenenti ad altri settori produttivi che presentano le caratteristiche similari dal punto di vista del loro impiego.
Si ricorda tuttavia che in base al principio di derivazione rafforzata è possibile dedurre la quota nei limiti della previa imputazione a conto economico ai sensi dell’art. 109 comma 4 del TUIR.
IMPIANTI REALIzzATI SU bENI DI TERzI
Qualora l’investimento sia realizzato su beni di terzi, compreso il caso di società appartenente allo stesso soggetto economico, il relativo costo configura una spesa di manutenzione straordinaria non capitalizzabile in quanto relativa ad un bene non di proprietà. In base al OIC24 il costo potrà essere contabilizzato in due diversi modi, a seconda che l’impianto abbia o meno una propria autonomia.
In particolare:
- se l’impianto non è separabile dall’immobile cui si riferisce, il costo deve essere iscritto nelle immobilizzazioni immateriali nella voce “Costi per migliorie e spese incrementative su beni di terzi”. Concorrerà alla determinazione del reddito d’impresa come spesa relativa a più esercizi nei limiti della quota imputabile a ogni esercizio;
- se l’impianto è separabile dall’immobile il costo deve essere iscritto nelle immobilizzazioni materiali nella specifica categoria di appartenenza e concorrerà alla formazione del reddito d’impresa attraverso la procedura di ammortamento ex art. 102 del TUIR.
IMPIANTO FOTOvOLTAICO IN LEASING
La realizzazione in leasing dell’impianto fotovoltaico determina le seguenti conseguenze fiscali sul fronte dell’imposizione diretta:
- se l’impianto è qualificabile come bene mobile ed è strumentale all’esercizio dell’attività d’impresa, il canone di leasing è deducibile ai sensi dell’art. 102 comma 7 del TUIR secondo cui “per l’impresa utilizzatrice che imputa a conto economico i canoni di locazione finanziaria, a prescindere dalla durata contrattuale prevista, la deduzione è ammessa per un periodo non inferiore a metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente di ammortamento e in relazione all’attività esercitata;
- se l’impianto è qualificabile bene immobile, il citato art. 102 comma 7 del TUIR prevede che la deduzione è ammessa per un periodo non inferiore a dodici anni. (Pz)