LA COLLEZIONE DI SAN GIOVANNI A PORTA LATINA

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Università degli studi di Roma “La Sapienza” Facoltà di Lettere e Filosofia

Dipartimento di Scienze storico-archeologiche Cattedra di Archeologia classica Tesi di Laurea triennale In Archeologia classica

LA COLLEZIONE DELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI A PORTA LATINA

Relatore Prof. Patrizio Pensabene

Candidata Alessandra Pignotti

Anno accademico 2003 - 2004 1


INDICE

PREFAZIONE: 1 - Premessa

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2 - Il riuso dell’antico nel medioevo

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3 - Il sito della basilica di San Giovanni a Porta Latina

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4 - La basilica di San Giovanni a Porta Latina

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LA COLLEZIONE DELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI A PORTA LATINA : 1 - Introduzione alla collezione

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2 - Cornici

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3 – Fregi, Blocchi, Frontoncini, Architravi e Iconostasi

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4 – Capitelli e Basi

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5 – Plutei, Transenne e Pilastrini

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6 - Iscrizioni del Lapidario e della Basilixa

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7 –Terrecotte architettoniche

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8 - Frammenti lapidei a rilievo

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9 – Conclusioni

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10 – Bibliografia

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ABBREVIAZIONI:

CIL = Corpus Iscriptionum Latinarum EAA = Istituto dell’Enciclopedia Italiana G. Treccani ,Enciclopedia dell’Arte antica classica ed orientale PARA= Pontificia Accademia Romana di Archeologia

Misure dei reperti: cm= centimetri, unità di misurazione adottata diam. = diametro h = altezza inf = inferiore largh = larghezza max =massima o l’unica misurazione riportabile in caso di frammenti molto esigui sp = spessore sup = superiore

Segni diacritici: [ abc]= lettere integrate (abc)= sviluppo di un ‘abbreviazione <abc >= lettere mancanti e aggiunte nelle iscrizioni trascritte e di lettere su rasura << abc>>= lettere scritte per errore e da espungere […]= lacuna con ogni punto equivalente a una lettera mancante [---] = lacuna di cui non si conosce l’entità di lettere mancanti abc= lettere di lettura incerta . . . (sic!) = errore non corretto nella trascrizione 3


v= vacat, spazio vuoto ( ogni vacat corrisponde allo spazio di una lettera)

Alcune abbreviazioni piĂš comuni usate nelle trascrizioni delle epigrafi: ADIUT= Adiut(or) DM = Diis ,Manibus COR = COR(nelia) tribu F= Filius PPP= P(ubliorum)

Altre abbreviazioni di nota testo e bibliografia: cfr.= confronta cit. = citazione inv = inventario n.v. = non vidi p. = pagina pp. = pagine s. = seguente ss. = seguenti v. d. = vedi

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PREFAZIONE

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Premessa

Lo scopo principale del lavoro è il catalogo della collezione formatasi nel corso dei secoli, conservata presso la basilica di San Giovanni a Porta Latina; si propone di fornire un contributo di catalogazione dei reperti archeologici. Si rileva che, purtroppo, oltre all’azione corrosiva degli agenti esogeni e dello scorrere del tempo, i vari reperti sono stati anche oggetto di atti di vandalismo e di inciviltà fino a tempi più recenti. Si capisce perciò, perché la raccolta archeologica sia costituita in massima parte da frammenti che sono poi una caratteristica della basilica di San Giovanni a Porta Latina, conservando un fascino e una notevole fonte di curiosità a livello scientifico e a livello amatoriale. Infatti, la collezione, sparsa un po’ ovunque nell’edificio, non è unitaria; in essa vanno distinti i materiali di riuso nelle strutture della chiesa, dai frammenti conservati appesi nelle pareti, che formano aree di esposizioni antiquarie, come spesso avveniva in passato nelle strutture ecclesiastiche. Inoltre ci sono frammenti antichi sporadici di provenienza ignota che sono venuti alla luce da scavi fortuiti e non documentati, alcuni per i lavori di restauro della basilica, altri durante lavori di sterro del giardino dietro la basilica. La difficoltà di conoscere la provenienza dei reperti deriva dalla perdita della conoscenza del luogo originario di ritrovamento e del loro contesto stratigrafico perché spesso spostati nelle varie parti della basilica con smarrimento e dispersione di parte dei frammenti (alcune epigrafi edite nel XVIII secolo oggi non sono più reperibili). Si cercherà perciò di inquadrare nel loro periodo storico i vari pezzi e di descriverli confrontandoli con materiali affini già editi, ove sia possibile. Prima della vera e propria catalogazione di una parte significativa della collezione, che per intero offre un numero vasto di reperti di varia origine, non tutti oggi visibili e studiabili per 6


via dei restauri e altri non descrivibili, sia per problemi di stesura della documentazione sia perchÊ di un’epoca moderna/contemporanea, si delinea la storia della basilica e del suo valore artistico. Non si trascurerà ove possibile, di fornire i dati riguardanti la raccolta archeologica.

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Il riuso dell’antico nel medioevo

“The middle Age had left antiquity unburied and alternately galvanized and exorcized its corpse “

E.Panosky Il significato delle arti visive” 1962

Queste parole di Panosky ben descrivono il fenomeno di riuso intensivo e programmatico durante il medioevo di materiali di spoglio, provenienti dai monumenti antichi in stato di abbandono o da ruderi, per destinarli a nuovi edifici. Le motivazioni di questo riutilizzo oscillano tra scopi puramente utilitaristici o di affinità materiali e ragioni legate ad una precisa ricezione dell’antico. A ciò si aggiunge la necessità dell’interpretatio cristiana, ossia la volontà di legittimazione del potere tramite lo sfoggio di materiali antichi rari e preziosi, previo ricorsi di esorcismi per scacciare i demoni che si ritenevano abitassero gli antichi templi.1 La presenza di “spolia” nella basilica di San Giovanni a Porta Latina, non solo evidenzia l’abbondanza di resti archeologici nell’area su cui sorge l’edificio, ma documenta il loro uso concepito alla stregua di reliquie, ornamenti sacri, chiamati a celebrare la gloria divina. Lastre epigrafiche, fusti di colonne, capitelli, lastre da sarcofagi smontati, lastre decorative, stipiti scolpiti e altri frammenti marmorei sono inseriti nelle mura e reintegrati con nuove funzioni come elementi portanti o decorativi. La maggior parte di questi reperti sono riutilizzati nelle strutture in epoca romanica, altri in periodo alto medioevale, forse carolingio. Il reimpiego dei materiali antichi, rientra in una moda più generalizzata dell’architettura romanica italiana che investe tutte le chiese

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Panosky,1962 citato in Vaccaro 2000 p 74

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fondate o riconsacrate a partire dall’XI secolo d. C.2 La maggior parte delle chiese italiane, infatti, si intessono di spoglia, per emulare l’antica Roma assimilando il forte interesse della capitale per l’arte pagana. In tale ottica è ripresa la tradizione paleocristiana del riuso conferendogli un significato del tutto ideologico. La ricerca della spoglia antica, nella basilica di San Giovanni a Porta Latina, va interpretata in un’ottica più “classica” nella sistemazione dei frammenti archeologici negli spazi della chiesa. Infatti, quanto più gli spogli architettonici e scultorei (ad esempio i sarcofagi ) sono elaborati, tanto maggiore è il prestigio conferito dal loro riuso, perché si aggiungono i richiami simbolici all’Impero Romano con l’esaltazione della committenza e la valorizzazione degli spazi in cui lo spoglio è impiegato. La politica riformatrice del Papato in quegli anni e il richiamo alla grandezza di Roma imperiale, sono i motivi del “revival” dell’antico, mediato dalla tradizione paleocristiana. Questo fenomeno perdura ininterrottamente a Roma dal periodo costaniniano (periodo della fondazione delle grandi basiliche del Vaticano e di altre basiliche imperiali). È in questo periodo, quello del basso impero, che nasce la modalità di sistemazione dei frammenti antichi nelle nuove strutture, punto di riferimento per le successive disposizioni. Il riuso, però, subisce dei cambiamenti nelle modalità e disposizioni dei reperti negli spazi delle chiese italiane durante tutto il medioevo e l’epoca moderna, vincolate spesso da ragioni ideologiche e di prestigio. La spoglia, infatti, nel periodo della basilica di San Giovanni a Porta Latina, ha un valore economico non trascurabile soprattutto quando è di rara bellezza o comunque dotata di una forma e di una grandezza idonee ad adempire, oltre alle nuove funzioni, i ruoli simbolici che le sono affidati. Anche in questa basilica, il reimpiego di materiali provenenti da edifici o monumenti in abbandono o in stato di crollo, riafferma la tradizione paleocristiana, caratterizzata appunto 2

Pensabene 1990 pp 6-11

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dall’utilizzo delle spoglia. Tale recupero è contestuale alla fine delle lotte per le Investiture, sancita dal concordato di Worms del 1122 e la liberazione del santo sepolcro dopo la prima crociata, avvenuta tra il 1096 e il 1099. Il riuso dell’edilizia romanica è un fenomeno complesso e senza precedenti che si traduce in un rinnovamento legato all‘espressione della scuola dei Cosmati e ad una nuova interpretazione “classica” nella collocazione dei vari reperti negli spazi della basilica. Sarebbe un errore quindi parlare di estetica classicistica, intesa come imitazione del classico, che si riscontra nella maggior parte dei casi a Roma, ad esempio nella chiesa paleocristiana di Santa Sabina. E’ classicistica l’impostazione dei colonnati unitari, non è invece di emulazione del mondo classico, l’intenzione con cui è stato creato il portale, utilizzando i frammenti di cornice e di soffitto opportunamente rovesciati e integrati in posizioni diverse dalle originarie. Nelle chiese paleocristiane a volte i committenti ricorrono ad abusi causando danni notevoli, soprattutto prima del 458, anno della promulgazione della “Novellae Maioriani”, che tutelava gli edifici antichi da spogli non necessari, con la prerogativa di concedere riusi solo con il consenso imperiale per monumenti in crollo o abbandonati da tempo e instabili.3 Nelle chiese romaniche però, il riuso di materiali antichi è piuttosto limitato, non provocando

abusi

così

appariscenti

come

nel

periodo

precedente;

si

assiste

all’integrazione armoniosa di reperti con parti ex novo, talvolta ridotti per l’elevato costo di importazione qualora non originari del posto. La sistemazione dei reperti negli spazi visibili sui templi è uniforme, al contrario della realtà paleocristiana, anche se permane l’uso di sottolineare gli spazi diversi della chiesa con cambiamento di materiale (come nei colonnati con alternanza degli ordini architettonici). Il portico (XII-XIII) della basilica in esame è costituito da un insolito ordito di fusti di colonne non uniformi di epoca imperiale con capitelli, se pur di dimensioni diverse, di ordine ionico, 3

Pensabene, Panella, 1994 pp 174 ss.

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risalenti alla seconda metà del V secolo d. C. Si tratta di ordito alquanto originale di recuperi reintegrati secondo il gusto del committente, tra il “classicismo”, forse di rievocazione delle chiese dell’impero Romano d’Oriente o bizantino, e la tradizione locale. Altri elementi di recupero, colonne e capitelli, sono inseriti nel pozzo, provenienti da un edificio privato del tardo IV secolo. I colonnati all’interno, tranne eccezioni, sono orditi di spogli, tra cui due capitelli del I secolo, probabilmente provenienti dal Sacellum di Diana4. Sono tutti reperti di zona, come avviene nella maggior parte delle chiese romane. Da Roma e dai suoi siti archeologici, infatti, provengono i marmi antichi delle chiese italiane, prima di tutto perché ritenuti di alto valore simbolico rispetto a quelli di una qualsiasi altra località, e poi perché è la città più provvista di rovine da smantellare. La città papale è un centro di fitti commerci di marmi; la loro esportazione favorita già in epoca carolingia nell’XI secolo d. C. è notevolmente incrementata. Il traffico delle antichità coinvolge: Pisa, Firenze, Salerno, Amalfi, Lucca, Civitavecchia, Scala e la Sardegna. Roma, però non è la sola città rifornitrice di ruderi, ma si annovera anche Ostia e qualche sito orientale, come Smirne (epigrafe conservata a Napoli). La basilica di San Giovanni a Porta Latina presenta, però, un’inconsueta collezione di reimpieghi, che non sono solo del periodo antico, ma anche del periodo successivo, alto medioevale, pregno di prestigio e di valore simbolico. Non si realizza quindi soltanto un ambiente di sapore classico, ma si ritrova una linea di continuità tra le basiliche costantiniane e quelle romaniche. I vari tipi di materiali recuperati, creano insoliti orditi che costituiscono diversi rimandi all’arte paleocristiana, ma come si è accennato, realizzano una basilica romana unica nel suo genere rispetto ad altre chiese a lei coeve, se pur le modalità del riutilizzo di codesti frammenti è comune a tutte le chiese medioevali della stessa epoca a Roma.

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Vaccaro, 2000 p 45-99

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Si mostra, pertanto davanti agli occhi dei turisti una varietà di reimpieghi con un linguaggio apposito per ciascuna basilica della capitale, vincolata spesso dall’ambizione e dalla retorica del committente. Occorre, inoltre sottolineare che per molti studiosi il linguaggio artistico di Roma non ha avuto mai un vero e proprio medioevo e che il riuso romano dei frammenti si lega ad alcune modalità tardo antiche che permangono nelle sistemazioni e nelle realizzazioni delle chiese del XI – XII –XIII secolo .5

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Schlosser, 2004 p 76

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Il sito della basilica di San Giovanni Porta Latina

La basilica sorge nel Celio non lontano dalla Porta Latina, che ha, nel corso del tempo, condizionato la storia della chiesa attraverso l’alternanza di periodi di apertura e di chiusura della stessa. Questa è una delle porte della cinta muraria fatta erigere da Aureliano, a seguito delle continue scorrerie dei barbari che minacciavano sempre di più Roma, iniziata nel corso del III secolo (271-275) e terminata sotto l’impero di Probo. Il percorso murario cingeva la città per tredici miglia romane, più o meno 19 Km: la zona è compresa tra la via Appia, la via Latina, via di San Sebastiano e Piazza Numa Pompilio, dove archeologicamente si trovano resti romani provenienti dalle regiones augustee, II (che comprende il Celio e il Celiolus) e XIII (che comprende l’Aventino). La tradizione classica vuole collocato, proprio qui, nel luogo della chiesa, un sacello di Diana; Cicerone nel “De Aruspicum responso oratio “ XV, 32, scritta nel 56 a C, ci informa che un certo Cesare Lucio Calpurnio Pisone aveva chiuso il tempio di Diana sul Celiolus nel 58 a. C. È noto, infatti, che il culto di tale divinità è introdotto a Roma nel 459 a. C. a seguito della vittoria romana sui Latini nella battaglia di Regillo; una volta lastricata la via Latina, nella prima età repubblicana, fu eretto un piccolo tempio, che successivamente Pisone non eliminò, ma chiuse.6 Il posto dove sorge la basilica perciò, nella Roma repubblicana, assieme al tempio di Diana sull’Aventino, era sede del culto di Diana, divinità pagana autoctona, cacciatrice e silvestre assimilata con Artemide, la divinità greca della caccia, della fecondità e della vegetazione7.

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Cecchelli, 2001 p. 265

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Altri templi a Roma di tale divinità sono attestati nella zona del Circo Flaminio e dell’Esquilino; il primo risale all’epoca monarchica (Servio Tullio), il secondo al II secolo a C (179 Lepido). Cfr. Coarelli, 2001, pp 215- 264-266-320-322

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La zona, non lontano dai siti archeologici della via Appia, è ricca di sarcofagi e di colombari repubblicani, frammenti in successione, dall’epoca repubblicana in poi. Quasi di fronte al collegio Rosmini, che attualmente integra la chiesa, è conservato uno dei colombari più importanti a Roma, il colombario degli Scipioni dentro ad un parco, da cui prende il nome. Sempre nei pressi della Porta Latina, Tertulliano e i martirologi, sostengono che si svolse il mitico martirio di San Giovanni Evangelista nel 92 d. C., evento che non si è mai potuto appurare su dati certi. Nel locus martirii sarebbe poi sorto un Martyrium, una celletta su cui sorgerà l’oratorio/santuario che sarà riedificato ex novo nel rinascimento. Il luogo divenne, durante tutto il medioevo, secondo le relazioni del “Liber Pontificalis”8, sede del culto dell’Evangelista e non lontano dalla celletta del martire, fu eretta la basilica di San Giovanni Porta Latina. Dal medioevo il sito non fu tra i più sani e salubri della capitale, disconnesso dal centro vitale urbano e probabilmente, fu per questo motivo che la basilica nel VI secolo non aveva funzioni titolari nella liturgia romana. L’importanza archeologica della zona è confermata dai numerosi ritrovamenti di oggetti vari e dalla conservazione di una parte di questi da parte del collegio Antonio Rosmini. L’elevata qualità artistica del sito, è evidenziata dall’uso di alcuni frammenti selezionati con molta cura. Sembra si tratti di “una totalizzante traslazione della matrice antica”.9

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Liber Pontificalis, I p.508

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Dufour, 1979 citato in Vaccaro, 2000, p.51

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La Basilica di San Giovanni a Porta Latina

Descrizione generale La basilica oggi si integra con il collegio missionario Antonio Rosmini ad essa adiacente. Risulta frutto di numerosi restauri, di cui i più notevoli per lo status attuale, sono attribuibili alla fase novecentesca.10 È una chiesa a pianta basilicale orientata in asse N. O. / S.E. parallelo alla via Latina. Si trova all’interno della città, vicino alle Mura Aureliane, a quaranta metri dalla Porta Latina. Si presenta ancora oggi in continuo restauro e mantiene la stessa fisionomia che aveva dopo l’ultimo intervento romanico del XII secolo (1191). È a pianta basilicale semplice triabsidata; l’interno è diviso in tre navate con due file di colonne di marmo eterogeneo. Le due colonne prossime al presbiterio sono di pavonazzetto con profonde scanalature; la terza coppia è di cipollino e le altre di granito grigio e rosso, tutte sormontate da capitelli ionici. Si conserva una parte del pavimento in opus sectile dall’ornato geometrico colorato dal marmo rosso, verde, bianco, ricostruito in epoca moderna con impostazione identica alla medioevale, nei pressi dell’altare centrale. Frustoli di affreschi medioevali decorano le navate: l’abiside laterale sinistro è decorato con un mosaico eseguito negli anni cinquanta (1950) con un iconografia simile a quella bizantina. L’abiside centrale presenta una forma semicircolare all’interno ed esagonale all’esterno. Al lato sinistro del portico si eleva una splendida torre campanaria su più piani, che ospita vari frammenti archeologici, ma solo il piano terra è transitabile poiché gli altri sono pericolanti come la scala.

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Le notizie che seguono sono reperibili in Krautheimer, 1937 I , pp 311 – 316

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Da un portale sotto il portico si ha accesso all’interno della basilica, ma questo ingresso non era quello del periodo medioevale. Il portico è composto da cinque arcate sorrette da due pilastri e da quattro colonne di riuso. Il muro al lato di ingresso del portico conserva tracce di pitture alto medioevali. All’angolo destro si vede la cimasa che adornava il Tempietto di San Giovanni in Oleo, su probabile disegno del Bramante. La piazzetta antistante il portico conserva il pozzo battesimale, considerato perduto durante i vari interventi della chiesa e successivamente recuperato, al lato sinistro c’è “un’aiuola” centrale. Dietro alla basilica c’è il giardino, ricco di frammenti archeologici con inglobato un colombario tardo repubblicano. Al lato destro del portico c’è una porta da accesso al collegio missionario Antonio Rosmini con chiostro comunicante con il giardino della basilica, addossato alle strutture della chiesa, adiacente alla via Latina. L’edificio presenta poche finestre anguste, proporzioni strette e delle murature dai molteplici stili. E’ difficile la ricostruzione minuziosa di ogni fase costruttiva, sia a livello di materiali, sia di strutture, che s’intersecano tra loro e che è difficile isolare, per leggere un intervento alla volta.

Storia degli studi, degli scavi e dei restauri

La basilica per la sua ricchezza di materiale archeologico e per il suo prestigio artistico, in passato ha destato l’attenzione di studiosi che ne hanno descritto le parti e studiato la storia e i materiali, ma nessuno ne ha riportato una visione unitaria e articolata al riguardo. Si hanno le trascrizioni delle epigrafi del C.I.L. e del Crescimbeni, ma i primi studi scientifici sistematici sono certificati a partire dal 1913, quando iniziano i primi scavi archeologici, sotto la guida dell’archeologo Styger.

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Altri studiosi si sono interessati alla basilica nel corso dei restauri degli anni trenta del XIX secolo. Uno degli studi principali è quello del Krautheimer, che nel 1937 pubblica nel I volume del “Corpus basilicarum” le notizie aggiornate sulla basilica in questione, insieme ad altre chiese di Roma. Fondamentale è lo studio delle murature eseguito dalla Cecchelli, di pubblicazione abbastanza recente, che ha permesso di riconoscere almeno quattro fasi costruttive della chiesa.11 Gli scavi sono stati anche fortuiti, per sterro, per restauri e finalmente anche per ricerche archeologiche. Nel 2003 sono stai avviati dei lavori di restauro dedicati allo studio approfondito degli affreschi, deteriorati dai precedenti interventi degli anni 30 e 40 del’900, perché eseguiti con l’uso massiccio di cemento, utilizzato per consolidare le pareti pericolanti, senza tenere conto del degrado che il cemento stesso avrebbe causato sui dipinti. È un lavoro “certosino” che perdurerà per almeno quattro anni; i restauratori dovranno prima pulire le pareti dai precedenti restauri, poi consolidarle, infine intervenire sulle pitture. Dal mese di maggio 2004 sono iniziati anche i restauri del tetto, della zona absidale e della parte superiore della facciata che dureranno per lo meno un anno. Questi lavori bloccheranno lo svolgimento delle liturgie e contestualmente anche lo studio integrale della basilica, per la presenza di impalcature e recinzioni con transenne per i limiti di cantiere. Da agosto sono stati intrapresi anche lavori di ripulitura, consolidamento e restauro dei fusti di colonne del portico, materiali di riuso da monumenti di età imperiale. Da ottobre 2004 sono iniziati i restauri mirati al tetto, all’abside e agli affreschi, per riportare al suo antico splendore le strutture e salvare i dipinti dal cattivo lavoro degli anni 40, seguendo scrupolosamente, questa volta, le norme della Carta del Restauro. I ponteggi, che ingombravano il portico, sono stati rimossi durante le vacanze natalizie, restituendo delle colonne ripulite dai segni del tempo e della corrosione degli agenti 11

Cecchelli, 2001 p. 265

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esogeni e ora occupano l’interno della chiesa per proseguire l’opera di restauro. I lavori in corso tuttavia, non impediscono la visita e lo studio della maggior parte dei materiali archeologici in essa conservati.

La storia e le vicende della basilica

La basilica sarebbe qui sorta sui resti di un antico tempio ancora in piedi, demolito all’epoca di Cicerone, che le fonti antiche attribuiscono al culto di Diana. (Soresino ”De ecclesia S. Johannis ante Porta latina”). La basilica si lega al culto di San Giovanni Evangelista. L’apologista Tertulliano (II-III sec. d.c.) tra il 160 e 245 d.c. e i martirologi del VII secolo d.C., riferirebbero che nei pressi della Porta Latina, nel luogo dell’odierno tempietto omonimo, l’evangelista Giovanni avesse subito il martirio, nel 92 d.c., con l’immersione in una caldaia di olio. Uscitone illeso però,

sarebbe

stato

poi

esiliato

a

Patmos

dove,

sembra,

morì

centenario

(De Praescr. Haer. 36,3). Si racconta addirittura che vi avesse assistito personalmente l’imperatore Domiziano e che la folla, terrorizzata dall’evento, chiedesse di risparmiare la vita al santo e di commutare la pena in esilio. Alla prima fase di costruzione paleocristiana, documentata archeologicamente nelle strutture murarie più antiche, V e il VI secolo d. C., di origine e datazione incerta, appartiene la serie di bolli delle tegole, oggi conservate nel piano terreno del campanile, appese con grappe di ferro alle pareti.12 La chiesa primitiva del V secolo doveva presentare un “esonartece”, spazio interno a recinto quadrato e portico, in quella parte che oggi è considerata una piazzetta.13

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Cecchelli, 2001 pp. 264-265

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Le notizie sulla cronologia e le vicende della basilica che seguono sono rintracciabili in Krautheimer, 1937 I pp.302-316 e Pietrangeli, 1998, pp. 58-70

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L’impianto più antico meglio documentato risale al periodo compreso fra il 495 e il 526 sotto il pontificato di Gelasio (492-496) e durante l’impero di Teodorico. Ci sono stampigli di questo imperatore su tegole dell’antico tetto, anche queste nel pian terreno del campanile. Il tetto attualmente è in restauro consolidante con ponteggi per le capriate e le tegole. La tradizione lega questa fase edilizia della basilica di San Giovanni a Porta Latina alla figura di Narsete (478-568) nella prima parte del suo mandato, come difensore di Roma. Narsete, figlio come Teodorico del mondo bizantino, influenza l’impostazione planimetrica e decorativa dell’edificio a favore di schemi bizantini. La struttura del presbiterio e dei tre absidi testimoniano tutt’oggi l’influsso dell’architettura bizantina. Inoltre, si conserva un affresco di un cherubino a guardia dell’eden, di periodo alto medioevale, raffigurato secondo l’iconografia bizantina, evidente dalla resa delle sue ali policrome, oggi in restauro. Idem per un mosaico raffigurante l’immagine di cherubino nel piccolo abside laterale sinistro rispetto all’entrata degli anni 50 del XX. Si ritiene, però, che la chiesa paleocristiana, se pur strettamente legata al mondo bizantino, è indipendente da esso, perché la chiesa romana in questi anni si impone sulle altre diocesi dell’impero romano orientale e le diocesi cristiane occidentali, attraverso le immagini con storie salvifiche e del papato di Roma: le figure di Pietro e Paolo e la profusione dell’antico, ribadendo il fatto che Roma non è solo la capitale della classicità romana, ma anche della cristianità (ciò sarà ribadito per tutto il corso del medioevo con l’arte sacra romana). La struttura paleocristiana è, oggi, in parte ripresa dall’architettura romanica con il riutilizzo della pianta basilicale semplice, dallo sfoggio degli spogli alternato agli elementi realizzati ex novo. Aveva, inoltre, ambienti di ampio respiro (non più conservati a causa della loro riduzione per l’adattamento alle proporzioni ridotte dell’edilizia romanica), un’intensa

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luminosità creata dalla messa a punto di ampi finestrati nei clerestori, in parte chiusi e parzialmente sostituiti dalla anguste finestre romaniche. Era una chiesa paleocristiana sontuosa e di pregio, arricchita di simbolismo per l’intensa luminosità che penetrava dalle finestre dell’edificio, grazie al ricorso della copertura a capriata a vista, dal basso verso l’alto e per l’uso di spoglia, alternate a strutture ex novo. Dal 772 al 795 nuovi lavori interessano l’edificio sotto il papato di Adriano I; a tale stadio appartiene probabilmente la margella del pozzo, ornata di una decorazione formata da due serie sovrapposte di racemi che corrono orizzontalmente per tutto il corpo. Sull’orlo, tutto intorno, vi è un’iscrizione latina, di epoca posteriore alla margella stessa (IX secolo), che riproduce quasi per intero la formula battesimale: “In nomine pa(tri) et filii spi [ritus sant]i /omnes sitie[entes venite ad aquas] / Ego Stefanus”

Nel secolo successivo la storia della basilica si macchia del sangue di infanti, uccisi dalle monache del tempio. Sotto il pontificato di Benedetto XI (1032-1044), nel XI secolo si stabilisce una comunità di sacerdoti sottomessi all’autorità dell’arciprete. Nel 1044 la basilica diventa collegiata. Nel XII sec. possiede fondi nel territorio dell’antica Gabii e nel 1145 la chiesa passa al Capitolo Lateranense. Nel 1190 è riconsacrata da Celestino III, una lapide nell’ambone lo ricorda. Nel 1291 si ha una nuova consacrazione, con un ulteriore restauro del ciclo degli affreschi interni, raffiguranti scene vetero e neotestamentarie (quelli oggi in corso di restauro). Nel 1228 la struttura ecclesiastica ha alle dipendenze quattro chiese: o S. Stefano in “Capite Africae” o S.Lorenzo “Juxta Porticum B.Petri” o S.Anastasio “Cum Castro Noviliae” o S. Lucia “DeColumna”. Nel 1299-1333 entra a far parte del clero secolare, ma cade in rovina, senza reddito, con il ritiro dei canonici e l’abbandono delle liturgie. 20


Nel corso del XIV secolo la proprietà passa ai padri Clareni, una congregazione autonoma e di eremiti. Nel 1433 crolla il vecchio campanile, ma dal papato giunge l’ordine di ricostruirlo com’era; Il portico, infatti, è ripristinato nel 1438. Nel 1496 la basilica è affidata in custodia agli Eremitani di S.Agostino, che rimangono lì pochi anni. Nel 1509 è “restaurata” la cappella di S. Giovanni in Oleo sulla vecchia cappella. Nel 1513 Leone X affida ai cardinali titolari i restauri; il restauro completo è finanziato dal Cardinale Crivelli per coprire e dipingere il vano della volta botte del presbiterio e dal Cardinale Albani per dipingere il martirio del santo patrono della basilica su un quadro per l’altare maggiore da Federico Zuccari. Nel 1580 Montaigne sostiene che ivi si è stabilita una curiosa confraternita di portoghesi omosessuali: i portoghesi con alcuni spagnoli sono stati bruciati, secondo un dispaccio dell’ ambasciatore veneto dello stesso periodo. Una volta riaperta, la Basilica passa alla Confraternita di S. Petronio della “nazione” per riattivare il culto di questo santo. Nel XVII secolo a causa dello stato di abbandono in cui versa di nuovo la chiesa, l’ultima comunità religiosa se ne va. Il Laterano decide allora, di incaricare un canonico tra i suoi membri per provvedere alle necessità della chiesa. Per oltre un secolo sono i canonici che si prenderanno cura della basilica e degli annessi. Nel 1630 c’è la prima descrizione dettagliata dello stato archeologico della Basilica. È in questo secolo che avvengono pesanti cambiamenti: sovrastrutture “barocche”, profusione di marmi moderni e ori, demolizione del vecchio ciborio, l’inserimento di un dipinto nel catino absidale di scarsa qualità artistica raffigurante il santo che scrive l’Apocalisse, il pavimento nuovo con lastre di marmo identiche al precedente, una nuova campana ecc. Il papa Alessandro VII commissiona al Borromini, attraverso il cardinale Paolucci le modifiche del tetto e l’installazione di una croce sostenuta da una sfera decorata da rose e un fregio in terracotta con rose e palme. Nel 1703 i padri Mercenari Scalzi ottengono il 21


permesso di usare chiesa e convento e nel 1719 ci sono ritocchi all’interno dell’oratorio di San Giovanni in Oleo. Nel 1729 i Padri Minimi di S.Francesco di Paola ottengono in enfiteusi perpetua la chiesa ma contraggono debiti per la malaria; nel 1798 sono perciò cacciati e la Basilica, che versa in condizioni disperate, è salvata da un vignaiolo. All’inizio del XIX è di nuovo chiusa; nel 1830 i Padri Minimi rinunciano ai diritti sull’edificio; nel 1876 la sua cura è affidata ai Terziari francescani di Albi che per la malaria dopo poco andranno via. Nel 1877 è in completo abbandono. Nel 1905 le suore della S.S. Annunziata, dette Turchine, entrano in possesso del convento e fondano un monastero di clausura. Nel 1911 la Porta Latina, la cui chiusura e apertura aveva condizionato le sorti della basilica, è definitivamente aperta. Nel 1913 l’archeologo svizzero Don Paolo Styger scopre nel solaio affreschi del XII sec. Il corridoio scoperto ed il vestibolo, ancora esistenti nel 1700, sono nel 1928 ridotti ad abitazioni per le suore Turchine. Nel 1933 c’è un orto di fronte alla basilica e l’antico pozzo è collocato nella posizione attuale; in seguito il pozzo scompare. Dal 1937 al 1941 la basilica è sottoposta a nuovi interventi di restauro ad opera del collegio Antonio Rosmini, eretto adiacente l’edificio. Il ministro Bottai, che ha collaborato con la soprintendenza a fianco dei missionari, si mostra soddisfatto dei lavori eseguiti. Nel 2003 sono stati avviati i lavori di restauro degli affreschi alto medioevali situati all’interno, deteriorati dai precedenti restauri degli anni 30 e 40 del ’900, perché eseguiti con l’uso massiccio di cemento, utilizzato per consolidare le pareti pericolanti, senza tenere conto del degrado che il cemento stesso avrebbe causato sugli affreschi. Dal mese di maggio 2004 sono iniziati anche i restauri del tetto, della zona absidale e della parte superiore della facciata che dureranno per lo meno un anno. Questi lavori bloccheranno lo svolgimento delle liturgie e contestualmente anche lo studio integrale

22


della basilica, per la presenza di impalcature e recinzioni con transenne per i limiti di cantiere. Da agosto sono stati intrapresi anche lavori di ripulitura, consolidamento e restauro dei fusti di colonne del portico, materiali di riuso da monumenti di età imperiale. I lavori in corso tuttavia, non impediscono la visita e lo studio dei materiali archeologici in essa conservati. Da ottobre 2004 sono iniziati i restauri mirati al tetto, all’abside e agli affreschi, per riportare al suo antico splendore le strutture e salvare i dipinti dal cattivo lavoro degli anni 40, seguendo scrupolosamente, questa volta, le norme della Carta del Restauro. I ponteggi, che ingombravano il portico, sono stati rimossi durante le vacanze natalizie, restituendo delle colonne ripulite dai segni del tempo e della corrosione degli agenti esogeni e ora occupano l’interno della chiesa per proseguire l’opera di restauro. La Basilica di San Giovanni a Porta Latina, oggi, cerca di restituirci l’immagine che doveva avere nel medioevo, con la sua struttura originaria e gli interventi medioevali successivi, priva delle parti aggiunte in epoca moderna e contemporanea, arricchita dai frammenti erratici della zona, rinvenuti intorno ad essa.

23


LA COLLEZIONE DELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI A PORTA LATINA

24


Introduzione alla collezione della basilica di San Giovanni a Porta Latina

La basilica e le strutture ad essa annesse ospitano e sono abbellite da reperti archeologici di vario tipo che testimoniano non solo la ricchezza, la programmaticità del riuso e il valore artistico del materiale del sito in cui sorge il complesso conventuale, ma anche il ruolo di “musealizzazione” che volontariamente e casualmente ha rivestito la chiesa dalla sua origine ai giorni nostri. Si è andata formando di conseguenza una collezione, varia e non omogenea, che, sparsa nel tempio, è oggi a disposizione dei visitatori. La varietà di ruderi è accentuata dalla molteplicità dei materiali (lapidei, marmorei, fittili ecc.) che appartengono ad epoche diverse, “classica” moderna e contemporanea, di provenienza spesso ignota o di destinazione incerta. Si tratta di una gran parte di frammenti, venuti alla luce in fasi e periodi diversi sia per i vari restauri della chiesa, che per gli scavi archeologici. Di conseguenza le varie epoche storico-artistiche sono: 

tardo repubblicana – imperiale (II a. C. - II/III d. C.)

basso imperiale (III-V d. C.)

paleocristiana e cristiana

alto medioevale

basso medioevale

umanistico - rinascimentale

manieristica

barocca

settecentesca.

I reperti occupano i muri del portico e della basilica (come blocchi o architravi ecc), le pareti del campanile e del corridoio tra il chiostro e la chiesa (Lapidario) appesi con grappe metalliche, come una teca dal sapore antiquario. Sono elementi decorativi sui muretti e 25


attorno alle piante del chiostro come nelle terme di Traiano, che hanno dato luogo negli anni trenta del secolo appena trascorso ad un parco, con ruderi usati come elementi decorativi originali e artificiali (naturalia ed artificialia), quasi secondo la visione kircheriana del museo barocco. Altri si ritrovano all’interno della chiesa attualmente coperti dalle impalcature di restauro Ci sono : 

frammenti architettonici di vario genere (dall’epoca imperiale alla moderna)

transenne (dalle paleocristiane alle carolingie)

terrecotte architettoniche (dal II a C)

lastre, frammenti di lastre e stele funerarie iscritte (daI frammenti archeologici di I/II secolo ai testi cristiani)

lastre iscritte di dedica delle diverse fasi dell’edificio (dalle medioevali alle moderne)

tegole che appartenevano probabilmente all’antico tetto (496-524)

frammenti di sarcofagi (dal II- III secolo)

rivestimenti della chiesa, lastre di marmo e coperture di capitelli, dal medioevo (sette/ottoframmenti marmorei del primo quarto del IX secolo, di cui due sono collocati sul muretto del sagrato, due come gradini e quattro nel giardino14) al 1719.

La varietà dei reperti di San Giovanni a Porta Latina è evidenziata anche dal differente stato di conservazione delle superfici e dei materiali, che, oltre agli agenti esogeni, ai vandalismi e ai problemi di recupero in fasi di restauro o di scavo, hanno subito danni dovuti a due terremoti del 801 e del 1703. La prima descrizione della basilica ed annessi, che ricorda la presenza di lastre “ex marmore c lato“, è fatta nel 1630 (28 aprile); in essa si elencano un ciborio medioevale, sculture

di

bassorilievo,

due

vasi

marmorei

ecc,

ma

si

tratta

“catalogazione“ amatoriale che ha poco di scientifico. 14

Se si considera carolingio il fregio riusato come secondo gradino d’accesso al presbiterio crf. Sartori, 1999, pp. 286-310.

26

di

una


Stranamente le iscrizioni e i pezzi medioevali hanno destato un interesse immediato per gli studiosi mentre i frammenti più antichi sono stati quasi ignorati e trascurati anche se di notevole valore documentale. Saranno qui descritti i reperti archeologici antichi più indicativi della collezione, sottolineando la varietà dei materiali e le classi archeologiche dei resti, inquadrandoli nel periodo di esecuzione e/o di riuso, quando possibile, utilizzando anche l’eventuale confronto con materiale già edito in cataloghi o pubblicazioni affini simili a quello in analisi. Segue il catalogo della collezione di questi pezzi scelti a rappresentare la raccolta conservata a San Giovanni a Porta Latina.

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CORNICI

1.Cornice ionica, sima modanata Collocazione: chiostro, muretto. Stato di conservazione: frammento di sima spezzata sul lato sinistro, presenta un taglio netto sul lato destro e una frattura superiore, che taglia le foglie d’acanto della modanatura. Presenta macro pori concentrati nella zona superiore ed inferiore della cornice resi visibili dal degrado ambientale del reperto. La superficie modanata si trova in buono stato di mantenimento; al centro è evidente un taglio trasversale irregolare. Materiale: marmo bianco. Misure: h max cm 25 x largh max cm 42 x sp.max cm 18 e sp.min cm 14,5.

La sima presenta una struttura di modanature articolata dall’alto in basso: nella zona superiore si svolge un kyma di foglie di acanto affiancate, alternate da costolature; subito sotto un listello piano e, di seguito, un astragalo continuo a perline allungate e fusarole a calotta. Un secondo listello chiude le modanature. Questo ultimo è danneggiato sul lato sinistro. Le costolature risultano più marcate in basso e sembrano sfumate nella parte superiore. Le foglie di acanto sono a cinque lobi e presentano un punto di contatto nella parte superiore dei lobi. Le zone d’ombra sono piuttosto evidenti. La decorazione ad astragalo presenta quattro perline con la parte sinistra un po’ abrasa. È un esempio di fredda e impeccabile abilità scultorea vicina al neoatticismo. L’astragalo a perline ovali e fusarole a calotta biconvesse è una variante del motivo protoaugusteo che ha invece le perline tondeggianti. Si trovano confronti di questa sima nella resa delle decorazioni a Roma nelle cornici del Tempio di Marte Ultore, Tempio dei Castori e anche nelle province, con le cornici con mensole a doppia voluta decorate con una foglia di acanto (tipo X e XI nn 108-122-123-

28


125) di Esplanade, datati da Cherchel tra la fine del I secolo a. C. e il primo decennio del I d. C.15 Per la sua raffinatezza stilistica e la resa scultorea simile ai suoi confronti, è databile nell’epoca augustea.(27 -14 d. C.)

Bibliografia: la sima è quasi certamente inedita.

15

Pensabene, 1979, pp128-129.

29


2.Cornice ionica, sottocornice modanata Collocazione: giardino dietro la basilica. Stato di conservazione: frammento di sotto cornice fratturato sul lato sinistro e spezzato di netto sul lato destro, mancante di sopracornice. La cornice è posizionata a terra con la fronte scolpita verso l’alto. Materiale: marmo Misure: h max cm 44 h x cm 48 largh max. x cm 36 sp. medio.

La cornice presenta una decorazione scolpita articolata sulle modanature: kyma ionico, listello, dentelli regolari e kyma lesbio trilobato. Il kyma ionico è caratterizzato da un motivo ad ovuli, racchiusi tra sgusci, aperti superiormente ed intervallati da lancette poste a separazione. Si conservano due ovuli, ma il destro è leggermente eroso. Il listello è a fascia, piano, divide le tre differenti fasce modanate. I dentelli sono disposti secondo una spaziatura costante; hanno forma rettangolare a rilievo rispetto al fondo in cui sono scolpiti, gli spazi regolari tra i dentelli sono “scavati” rispetto alla decorazione. Il kyma lesbio trilobato presenta una modanatura.composta da archetti separati da fiori di tulipano; gli archetti al loro interno mostrano una piccola foglia lanceolata di acanto. La decorazione architettonica di questa cornice è analoga agli edifici augustei romani; i dentelli rettangolari ben distanziati tra loro trovano confronti in ambito augusteo, molto simili a quelli del Tempio di Marte Ultore e ad un edificio.16 Lo sviluppo della sottocornice in kyma ionico, listello, dentelli regolari e kyma lesbio trilobato, consente di escludere la prima età augustea e di inserirla negli anni tra il 10 e il 30 d .C . Bibliografia:la cornice è probabilmente inedita.

16

Cfr. Ganzert, 1996, tafel 72 n 5 e tafel 79 per il confronto del kyma ionico, tafel 93 e 97 (n 2 e 3) per il confronto del kyma lesbio

30


3 .Cornice ionica, sottocornice modanata

Collocazione: giardino dietro la chiesa. Stato di conservazione: frammento fratturato sui due lati, mancante di sopracornice, scheggiato nella parte superiore prima della modanatura ionica. E’ parzialmente nascosta dalle piante. Materiale:.marmo. Misure:h max cm 45 x largh. max cm 60 x sp. max cm 60.

Il reperto presenta una decorazione scolpita articolata in varie tipologie di modanatura: kyma ionico, listello, dentelli regolari e kyma lesbio trilobato. Il kyma ionico è caratterizzato da un motivo ad ovuli, racchiusi tra sgusci, aperti superiormente ed intervallati da lancette poste a separazione. Il listello è a fascia, piano e funziona da divisore delle tre differenti fasce modanate. I dentelli sono disposti secondo una spaziatura costante; hanno forma rettangolare a rilievo rispetto al fondo in cui sono scolpiti; gli spazi regolari tra i dentelli sono “scavati” rispetto alla decorazione. Il kyma lesbio trilobato presenta una modanatura composta da archetti separati da fiori di viola; gli archetti al loro interno mostrano una piccola foglia lanceolata di acanto. Nel complesso la decorazione è la più conservata delle altre cornici di questa collezione; ogni modanatura è perfettamente leggibile e chiara senza abrasioni sulle parti decorate, mentre il marmo è sfarinato sotto il kyma ionico. Si notano benissimo le varie modanature scolpite con precisione ed eseguite con una freddezza quasi accademica, classica. La decorazione architettonica di questa cornice è analoga agli edifici augustei romani; i dentelli rettangolari ben distanziati tra loro trovano confronti in ambito augusteo, molto simili a quelli del Tempio di Marte Ultore e ad un edificio.17

17

Cfr. Ganzert, 1996, tafel 72 n 5 e tafel 79 per il kyma ionico, tafel 93 e 97 (n 2 e 3) per il kyma lesbio.

31


Lo sviluppo della sottocornice in kyma ionico, listello, dentelli regolari e kyma lesbio trilobato, consente di escludere la prima etĂ augustea e di inserirla negli anni tra il 10 e il 30 d .C .

Bibliografia:il frammento è inedito.

32


4. Cornice ionica, sottocornice modanata

Collocazione: giardino dietro il convento. Stato di conservazione: rimane la parte inferiore della cornice e manca la sopracornice. E’ posizionata con la fronte modanata verso lo spettatore. Materiale: marmo. Misure: h max cm 40 x largh max cm 85 x sp max cm 67.

Il reperto presenta una decorazione scolpita articolata in varie tipologie di modanatura: kyma ionico, listello, dentelli regolari e kyma lesbio trilobato. Il kyma ionico è caratterizzato da un motivo ad ovuli, racchiusi tra sgusci, aperti superiormente ed intervallati da lancette poste a separazione. Il listello è a fascia, piano e funziona da divisore delle tre differenti fasce modanate. I dentelli sono disposti secondo una spaziatura costante; hanno forma rettangolare a rilievo rispetto al fondo in cui sono scolpiti; gli spazi regolari tra i dentelli sono “scavati” rispetto alla decorazione. Il kyma lesbio trilobato presenta una modanatura composta da archetti separati da fiori di tulipano; gli archetti al loro interno mostrano una piccola foglia lanceolata di acanto. Il frammento conserva meno della metà delle modanature, interrotte da una brutta frattura trasversale che taglia il reperto da sinistra a destra; la superficie non decorata sotto il kyma lesbio e quella della frattura è diventata porosa ed abrasa a causa degli agenti esogeni, del passare del tempo e del cattivo stato di conservazione. Del kyma ionico restano soltanto due ovuli e mezzo con i relativi riempitivi simili alla cornici 2 e 3 della stessa collezione18; dell’ornato a dentelli ne restano quattro elementi e del kyma lesbio due archetti e due tulipani.

18

V..d. pp.29 -31 del catalogo medesimo della collezione di San Giovanni a Porta Latina.

33


In generale si tratta di un frammento di tipologia simile alle cornici precedenti, ma posizionato con la fronte scolpita in verticale, contrariamente alla collocazione originaria nel monumento. Ăˆ databile dopo la prima etĂ augustea.

Bibliografia:Il frammento è inedito.

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5. Cornice ionica, sopracornice con attacco di Kyma lesbio

Collocazione: giardino del tempio. Stato di conservazione: abraso nell’angolo anteriore, presenta una scheggiatura lungo la sima, fratturato trasversalmente sul retro. Materiale: marmo. Misure: h cm 40 x largh. cm 76 x sp. cm 53.

Frammento di sopracornice con sima dritta separata da uno spesso kyma lesbio continuo dalla corona piuttosto sottile. Il soffitto è rientrante, perciò la cornice sporge con una sorta di peduncolo lungo la superficie, non c’è traccia di modanatura, eccetto l’attacco di un kyma ionico. Il kyma lesbio continuo di questo frammento si presenta come decorazione intagliata su gola dritta, caratterizzata dal succedersi di archetti, ognuno dei quali, composto da due semifoglie carnose, munite di una piccola connessione arcuata e dall’elemento a foglia lanceolata, per il dettaglio dell’ornato, dalla corona piuttosto sottile; il marmo è sfarinato sull’angolo sinistro per una forte abrasione. Il kyma lesbio presenta una struttura che sembrerebbe richiamare le cornici augustee e quelle dei primi anni di Tiberio, la resa è simile. È databile dopo la prima età augustea.

Bibliografia: il frammento è inedito.

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FREGI, BLOCCHI, FRONTONCINI, ARCHITRAVI E ICONOSTASI

1. Fregio scolpito con ornato a girali campiti da elementi vegetali e teriomorfi in alternanza Collocazione: attualmente secondo gradino d’accesso al presbiterio Stato di conservazione: mutilo sul lato destro con microscheggiature lungo i margini superiori. Riuso: è reimpiegato come secondo gradino d’accesso al presbiterio Materiale: marmo bianco Misure: h max cm 49 x largh max.cm 8 x sp. max cm 34.

Il frammento conserva buona parte di una fronte scolpita dell’alzato dell’attuale gradino interrotta bruscamente dalla resecatura ai due margini laterali opposti. Non sappiamo dove fosse collocato in origine nella chiesa, ma le ipotesi più probabili, avanzate dalla Sartori, sul suo impiego precedente sono: 1) faceva parte di un portale come stipite o architrave 2) apparteneva ad un ciborio 3) era inserito in una iconostasi 4) era un pluteo paleocristiano La prima ipotesi è ritenuta più verosimile per il tipo pregiato di materiale usato e le caratteristiche del fregio scultoreo, ma non ci sono certezze al riguardo sia per le dimensioni del reperto, sia per il riuso che ne è stato fatto con spreco del materiale scolpito che è andato perduto. La seconda è costruita solo sul motivo a girale abitato comune ai cibori, mentre la terza pone dei dubbi sul perché un’iconostasi fosse poi utilizzata come gradino (che presuppone una demolizione oppure un crollo). L’ultima ipotesi è la meno probabile per il tipo di ornato e le dimensioni del pezzo. 36


La demolizione può essere avvenuta in due momenti: 

nel 1084-1091

nel 1191 .

La fronte scolpita presenta un ornato di girali vegetali, ognuno dei quali, reca al centro una profonda solcatura con schema costante di alternanza tra elementi vegetali, animali e umani, in cui le figure teriomorfe, quasi sbocciando, escono dai fiori dei racemi, ripiegati a girale. Il tema decorativo sviluppa un repertorio iconografico già visto nel mondo classico, piuttosto frequente a Roma,ad esempio anche nei rilievi severiani (v. d. l’Arco degli Argentarii, porta trionfale del foro Boario)

19

, sebbene lo stile sia prettamente medioevale.

La decorazione dello stipite è molto raffinata ed è frutto di una mano esperta con evidente ricerca plastica naturalistica. Non è facile, infatti, confrontare questo fregio con altri reperti, perché, nonostante il motivo sia di repertorio, la resa è piuttosto originale (lo scultore ha realizzato una decorazione che si caratterizza per l’attenzione nel dettaglio in ogni sua parte) e non si trovano decorazioni coeve analoghe convincenti. Il fregio così concepito sembrerebbe un unicum nel panorama della scultura preromanica finora noto. L’unica certezza che si possiede riguardo l’ornato, è l’intento del “concepteur” di imitazione del modello antico dei girali abitati, di uno spoglio impiegato nelle strutture paleocristiane o delle sculture paleocristiane. L’ornato dà l’idea di un movimento sinuoso dei vari elementi, che sembrano avvolgersi e svolgersi di fronte gli occhi dello spettatore; è curioso notare come la chiesa romanica abbia riutilizzato questo fregio in una posizione poco visibile e che non rende giustizia alle immagini scolpite.

19

Bianchi Bandinelli, 2000, pp. 70 -73, foto p.71 .

37


Il reperto è stato datato in modo discordante: gli studiosi infatti si sono divisi fra quelli che lo fanno risalire in un arco di tempo compreso tra l’VIII ed il IX secolo e quelli che lo collocano nei decenni centrali dell’ XI secolo. Secondo alcuni il pezzo è databile tra la fine dell’VIII e gli inizi del IX secolo perché in esso vedono l’espressione dello stile carolingio, considerandolo uno degli esempi più “illuminati” di riuso.20 Una sicura datazione postquem molto relativa ci è data dagli interventi alla basilica tra il XI e il XII secolo che vedono il pezzo inserito come gradino nel presbiterio. Sartori, invece, data il gradino nei decenni centrali dell’XI secolo, sotto il pontificato di Benedetto XI, perché sostiene che il girale abitato è una ripresa del classico in chiave “feudale”, fedele al modello ereditato dalla tradizione paleocristiana, che auspica il ritorno della chiesa allo splendore del periodo delle origini. La datazione rimane ancora irrisolta ed oscilla dalla seconda metà del IX secolo agli inizi del XII per l’ambiguità plastica del fregio.

Bibliografia: il gradino è già edito in Sartori ,1999, pp .286 – 310.

20

Sartori ,1999, pp .286 – 310.

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2.Fregio scolpito con motivo vegetale

Collocazione: appeso alla parete sotto la scala d’accesso al secondo piano del campanile. Stato di conservazione: manca il lato superiore, il lato sinistro in diagonale e il lato inferiore, numerose scheggiature sono al margine inferiore destro. La mutilazione delle parti è netta. Materiale: marmo bianco Misure h max cm 21 x largh max cm28 x sp. max cm 4.

Il frammento conserva un ornato a rilievo con un cerchio circoscritto ad un fiore a cinque petali (ciò che rimane dell’intera trama figurata sul frammento). Si tratta di un fregio scolpito con decorazione aniconica vegetale geometrica. Molti studiosi tra cui Sartori, lo mettono in relazione con il gradino d’accesso al presbiterio, considerandolo una parte di quello, ma la decorazione non sembrerebbe, dal frammento attuale, identica all’altro. Il dubbio tutt’oggi permane. 21 Presenta le stesse problematiche di studio, di confronto e di datazione del “gradino” d’accesso al presbiterio; infatti è databile sia in epoca preromanica carolingia (fine VII e inizio IX secolo) sia nei decenni centrali del XI-XII secolo (agli anni precedenti la fase romanica della basilica).

Bibiliografia: il frammento è già stato preso in esame parzialmente in Sartori ,1999, pp .286 – 310.

21

Sartori ,1999, pp .286 – 310.

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3.“Fregio scolpito”, probabilmente attinente ad una cornice, con motivo a nastro vimineo bisolcato a foglie palmate a cinque lobi Collocazione: appeso con tre grappe alla parete del campanile Stato di conservazione: frammentario, mantiene la parte inferiore di un “fregio scolpito”. Materiale: marmo. Misure: h max cm 23 x largh max cm 28 x sp max cm 7,5.

Il reperto è una parte inferiore decorata a nastro vimineo bisolcato all’interno di una cornice piatta a fascia, mutilo della parte centrale e superiore; ha la superficie porosa e un po’ corrosa lungo la cornice. Si riscontrano tracce di ruggine, causate dalle grappe ossidate che lo sostengono. Dalle volute del fregio emerge il motivo a foglie palmate a cinque lobi, di cui resta una foglia soltanto e l’attacco della voluta, da cui pende un grappolo di uva. Sarebbe interessante interpretare l’immagine come espressione di una simbologia eucaristica e della parola di Gesù “Io sono la vite voi i tralci“22. Infatti, la Vite, con i suoi prodotti ( l’uva e il vino ), legata al mito ancestrale di Dioniso e all’ebbrezza dei baccanali, fin dall’epoca classica è considerata allusiva all’unione con il divino, concetto che, depurato e modificato, passa al cristianesimo23. Nell’arte cristiana, dall’epoca più antica fino alla più recente, tale pianta diviene un’allusione al generoso sacrificio del sangue di Cristo, per la redenzione degli uomini. La vite si presta anche, per la sua elegante struttura, sia sotto forma di viticcio, sia di pergolato, come vero e proprio elemento decorativo in forma naturalistica. In origine il fregio probabilmente era una cornice, di altissima qualità notevolmente accresciuta dalla delicatezza del tralcio morbido e sinuoso, con qualche rigidità e reminiscenza statica, che lo lega ancora a prodotti precedenti della scultura alto medioevale romana. 22

Gv,15,1 “…..Io sono la vite,voi i tralci…”.

23

Benzi, 1999, p.. 83.

40


Per questo motivo, l’opera si può datare tra l’X e il XI secolo, dopo la rinascenza carolingia, quando si riscontrano ancora certe rigidezze del periodo “longobardo”, ma già si anticipano le morbidezze di un nuovo stile scultoreo che vince la schematizzazione dell’epoca precedente, trovando nell’imitazione dell’antico nuova fonte di ispirazione. Si tratta, quindi, di una scultura preromanica, che anticipa l’esperienza romanica e si rivela come uno dei tanti segni di rinascita nel “buio medioevale”.

Bibliografia: il frammento è inedito.

41


4.Fregio dorico di probabile monumento funerario romano

Collocazione:giardino della chiesa. Stato di conservazione: frammento di fregio dorico che conserva l’angolo superiore, ¼ del reperto, fratturato di netto e spezzato malamente sul alato sinistro. Rimane un elemtno che presenta un triglifo e una buona parte di una metopa. Materiale: travertino Misure: h cm 51 x largh. cm 45 x sp. cm 24

Elemento che presenta un triglifo separato da grandi canali arcuati, e, in corrispondenza della tenia compare il consueto listello con le guttae. La metopa è occupata da una grande rosetta con piccolo pistillo piatto circolare e lunghi petali lanceolati su due lati: quelli in primo piano hanno le nervature in evidenza ottenute con scanalature del travertino, quelle in secondo piano sono lisce. Il frammento apparteneva probabilmente alla parte superiore di un monumento sepolcrale della zona.24 Il fregio è confrontabile con una parte del fregio tufaceo conservato nel monumento funerario romano che è ricostruito davanti Porta Maggiore; quest’ultimo è un fregio che corre nella parte superiore con triglifi alternati a metope riempite da rosette di vario tipo.25 Il secondo triglifo e la seconda rosetta da sinistra del mausoleo sono molto simili al reperto in esame in un contesto tra la fine della repubblica e gli inizi dell’impero.26 Il fregio dorico della collezione è databile nel I secolo a. C.

Bibliografia: frammento inedito.

24

Per la tipologia in analisi dei monumenti funerari romani con fregio dorico consultare Torelli, 1968, pp.32-54.

25

Torelli, 1968, pp.38 e fig. (A).

26

Per la zona di Porta Maggiore e il suo contesto storico vedere Coarelli, 2001 p.236.

42


5.Iconostasi

Collocazione: a terra, sotto un fusto di colonna nel chiostro della basilica. Stato di conservazione: resecata sotto e frammentaria ai lati. Materiale: marmo. Misure: h max 15 x largh max cm 30,5 x sp max cm 38, 4.

Conserva una fronte scolpita con motivo ad arcatelle triple, scandite da foglie cuoriformi. Dell’intera decorazione restano tre arcatelle con i loro piastrini e tre foglie cuoriformi con l’attacco di una quarta arcatella a destra. Il reperto ha una provenienza incerta, infatti è un’iconostasi frammentaria che ornava, probabilmente, in epoca alto medioevale la basilica, con una decorazione che andava integrata con i motivi scolpiti, dipinti e in mosaico delle altre parti della chiesa. La sua destinazione era di tramezzo tra il presbiterio e le navate, per dividere i celebranti dai fedeli come in numerose chiese antiche e di rito greco. Il motivo ad archetti scolpito sulla sua fronte si ritrova in altri reperti, privo però di foglie come i frammenti di cornici e di pilastrini, tra cui si può menzionare un frammento di cornice o di pilastrino proveniente dalla I regione ecclesiastica, il n 137. Sono entrambi figurazioni plastiche di elevata qualità, se pur rigide nel movimento delle arcatelle, sinuose e stondate nella loro resa a tutto sesto e dalle foglie non spigolose.27 Il reperto 137 sembrerebbe intuire le architetture in senso fantastico e decorativo; l’iconostasi invece potrebbe raffigurare un pergolato ad arcatelle architettoniche con le foglie poste pendenti al centro delle arcatelle stesse. Sebbene il pezzo sia frammentario, non si può non notare l’estrema eleganza dell’opera; le rigidezze dell’immagine dimostrano che il frammento non può essere datato dopo il

27

Cecchelli, 1976, pp. 155 156.

43


primo quarto del IX d. C., anche per le affinitĂ stilistiche con il reperto 137, datato dalla Cecchelli al primo quarto del IX d. C. .

Bibliografia:il frammento è inedito.

44


6. Fregio con tralcio a doppia nervatura gonfia, foglie e rosette negli avvolgimenti del sarmento Collocazione: portico, muro destro. Stato di conservazione: presenta due brevi tratti opposti a margine a banda liscia con ampie scalpellature lungo il margine della parte inferiore, che interrompono la decorazione scolpita. Riuso: architrave della porta che dà sul portico di facciata della basilica; il reimpiego ha obbligato gli operai del cantiere a scalpellare il pezzo inferiormente, con notevole perdita di materiale marmoreo, non recuperabile. Materiale: marmo bianco. Misure: h max cm 20 x largh max cm 140 x sp max cm 5.

La fronte scolpita del reperto restituisce agli spettatori un tralcio a doppia nervatura gonfia lievemente chiaroscurale, dall’andamento sinuoso. Il viticcio racchiude nei propri avvolgimenti, delle foglie lobate e piccole rosette a sei petali; presso una estremità si scorge un pesce. Si potrebbe stabilire un paragone tra la decorazione del fregio e l’ornato della cornice della basilica di San Giorgio in Velabro, conservata nella navatella sinistra della chiesa28. La cornice, infatti, custodisce un ornato a treccia viminea composta di due tralci foliati sinuosi che, partendo dai due estremi del pezzo, si intersecano al centro. Dalle volute di questo sarmento si allargano fiori a petali appuntiti e fiori a petali arrotondati. I motivi dei due reperti sono simili e esprimono la sensibilità dello scultore di ricreare con il bulino la delicatezza, la carnosità e l’aspetto vellutato dei petali e la naturalezza di un rampicante che sale con movimenti sinuosi verso l’alto. Il fregio è una trasformazione della natura in arte; si tratta di un esemplare, insieme alla cornice, unico nel suo genere che non trova, benché sia un elemento di repertorio, confronti precedenti o coevi convincenti. È un‘espressione che supera il modello severo e carolingio di tralci vegetali, girali abitati e nastri viminei alto medioevali, anche se vincolata alla tradizione. È inutile ribadire l’elevata qualità dell’architrave, che probabilmente era destinata ab origine ad una cornice della chiesa. 28

Vaccaro,1974, Corpus, VII ,III( n 27).

45


Lo stile così elegante e l’aspetto esteriore del fregio, inducono a ritenere che sia il prodotto di uno scultore della fine del X e degli inizi dell’XI secolo.

Bibliografia :Vaccaro, 1974,Corpus VII, III ,pp 98-100 (n 37).

46


7. Architrave

Collocazione: giardino ai limiti della recinzione della proprietà sul retro della chiesa. Stato di conservazione: spezzato sul lato sinistro, presenta scheggiature lungo il bordo superiore. Materiale: marmo. Misure: h max cm 58,5 x largh max cm 109,5 x sp min cm 27 e sp max cm 29

Blocco di architrave con superficie liscia, tranne sulla faccia superiore che presenta tracce di lavorazione da considerarsi come segni di gradinatura. La parte superiore della fronte laterale è sporgente rispetto al resto del reperto. Difficile è reperire un confronto, però ci sono blocchi marmorei di diverse dimensioni e forma, di diversa lavorazione, che testimoniano il commercio e il traffico dei marmi nella capitale. In particolare, ci sono alcuni reperti del Celio che presentano i diversi stadi di lavorazione e, nella maggior parte dei casi, gli archeologi ritengono che la loro provenienza sia da antichi depositi lungo il Tevere; forse anche questo frammento potrebbe appartenere a questa serie di marmi.29 Il frammento è così esiguo e fornisce talmente pochi dati da non potere essere datato.

Bibliografia: il reperto è inedito.

29

Pensabene, 1995, pp. 196-.200.

47


8. Blocco

Collocazione: giardino della basilica. Stato di conservazione: parte di un blocco fratturato irregolarmente su tutti i lati. Materiale: marmo bianco. Misure: h max cm 40 x lati max cm 49 x 52

Il frammento conserva una parte di blocco: il piano superiore è liscio e trattato a gradina, con una superficie obliqua sulla destra, dove è ancora visibile un foro di grappa. Sull’attuale retro la superficie è del tutto liscia eccetto una superficie rientrante realizzata a colpi di subbia da considerarsi come un’anatyrosis del blocco. La provenienza e la destinazione del reperto sono ignote. Si tratta di un blocco con tracce di lavorazione con la subbia; la lavorazione con la subbia di questo è confrontabile con un marmo, cipollino grezzo, proveniente dal Celio , di forma irregolarmente parallelepipeda (h max cm 62 x lati max cm 99x62).30 Non è possibile per l’esiguità di informazioni datare il marmo.

Bibliografia: il reperto è inedito.

30

Pensabene, 1995, pp. 196-.200.

48


9. Frontoncino di ara funeraria

Collocazione: muretto del giardino. Stato di conservazione: fratturato su tutti i lati. Materiale: marmo bianco. Misure: h max cm 29 x largh max cm 12 x sp max cm 12,5

Il frammento conserva parte di una lastra in cui si distinguono a bassorilievo un’ala con una benda e forse una parte dei rami di un albero. Superiormente presenta un inclinazione leggermente obliqua costituita da una tenia e da un kyma di foglie acantizzanti rovesce con la cima distinta da due fori di trapano. L’andamento obliquo di questa fa pensare ad un timpano forse pertinente ad un altare. Sul piano superiore si preserva il bordo dell’attacco di una colonnina. Il kyma di foglie acantizzanti è confrontabile con il kyma acantizzante scolpito sulla fascia inferiore, al disotto della modanatura a dentelli, in una cornice, la n 373, di marmo lunense del Tempio dell’Ara della Rotonda a Ostia antica, datato in epoca giulio claudia e con la decorazione di altre cornici, flavie e adrianee di Ostia antica, tra cui la n 376 proveniente dalle Terme di Nettuno. Il frammento in esame presenta una plastica che conserva la classicità giulio-claudia e la resa stilistica della cornice, datata tra la fine del I e gli inizi del II secolo d. C., probabilmente perché di passaggio tra la n 373 e la n 376.31 È databile tra la fine del I secolo e gli inizi del II d. C per la plastica di trapasso tra la cornice n 373 e la n 376

Bibliografia: il reperto è inedito. 31

Pensabene, 1995, p 357( n 372) 359 ( n 376).

49


10. Fregio con spada e fodero di spada

Collocazione: appesa al muretto del giardino al rovescio. Stato di conservazione: metopa di fregio dorico, fratturata irregolarmente attualmente nel lato inferiore. Materiale: marmo bianco. Misure: h max cm 60,5 x largh max cm 108 x sp max cm 11,5

Metopa di fregio dorico con spada e fodero. Il reperto è collocato sul muretto del giardino al rovescio. L’immagine rimanda a scene del rilievo storico romano che talvolta confluisce in altri generi; il fregio dorico in questione doveva caratterizzarsi per l’alternanza delle metope con rosette o figurate ai triglifi. La metopa presenta una resa stilistica vicina a quella di radice medio italica, della corrente in passato definita “plebea”.32 La destinazione probabilmente è la medesima che si può ipotizzare per il pezzo 4 della medesima collezione e cioè di decorazione di un monumento funerario. Nella proprietà dei Colombari di Vigna Codini si conservano vari reperti tra cui un’ara con fregio dorico impiegato sul suo coronamento, datato al I secolo a .C., confrontabile nella resa della tenia e dei triglifi con il reperto in esame. Nel fregio dell’ara la metopa è campita da un vaso bianco funerario. Un raffronto tipologico, però più vicino a questo, è dato dalla Tomba a Mausoleo di L. Munatio Planco del 20 a. C. presso Gaeta. Sulla fascia superiore corre un fregio dorico più ricco di quello di Vigna Codini che ha una struttura ancora vincolata alla tradizione ellenistica, con l’intrusione di elementi della scultura religiosa e storica come il fregio d’armi.33

32

Bianchi Bandinelli, 2001 pp. 71-72.

33

Crema, 1959, pp 244-147 e Torelli, 1968 pp. 45-47.

50


Il frammento si può datare alla fine del I secolo a.C .alla fine dell’età tardo repubblicana.

Bibliografia: il reperto è inedito.

51


CAPITELLI E BASI

1.Capitello corinzio forse di lesena Collocazione: appeso alla parete S.O. Stato di conservazione: è’ conservata una porzione dell’abaco, le elici, le volute delle prime due foglie della prima corona di foglie d’acanto del Kalathos e una foglia centrale della seconda corona; la superficie del capitello è molto sfarinata. Materiale: marmo. Misure: h cm 36 x largh cm24,5 x sp cm 6.

Il frammento conserva parte di capitello probabilmente di lesena che doveva essere di tipo canonico: doppia corona di foglie di cui resta la foglia centrale della seconda corona, caratterizzata da scanalature di trapano che la distinguono dalle costolature minori. Il capitello era dotato di calici, volute ed elici; di queste restano le spirali a largo nastro leggermente concavo. Il reperto è confrontabile con un capitello di marmo proconnesio di Ostia antica34, di cui si conserva parte di foglia con costa centrale che si svasa verso l’alto, databile al II secolo e che potrebbe essere un capitello corinzio in stato frammentario. Il reperto della basilica non è paragonabile, relativamente allo stato di conservazione, a quello di Ostia antica. È collocabile cronologicamente tra la fine del I secolo e gli inizi del II secolo d. C.

Bibliografia: reperto probabilmente inedito.

34

Pensabene, 1973, p. 92(n 326).

52


2. Capitello corinzio di colonna

Collocazione: appeso al muro del garage della basilica a ovest della facciata ovest dell’edificio. Stato di conservazione: nel fianco destro o superiore resta con un quinto del capitello con due foglie di acanti per intere. Materiale: marmo bianco. Misure: h cm 19 x largh. cm 23 x sp. cm 4,5

Il frammento conserva uno dei lati inferiori di un capitello corinzio di colonna: sono visibili due foglie della prima corona e parte di due foglie della seconda corona. Le foglie sono divise in cinque lobi, sono lanceolate, distinte da zone d’ombra ogivali oblique; vanno rivelate le due scanalature che distinguono la costolatura centrale che si svasa in alto e in basso. Si conservano per intero le cime delle due foglie; sulla superficie superiore non compare la distinzione in cinque lobi delle foglie. Il tipo di acanto di intaglio e il confronto con alcuni analoghi capitelli corinzi di Ostia del Tempio di Roma e di Augusto, e di reimpiego, della Palestra delle Terme del Foro, collocano l’esemplare nella media e tarda età augustea (dal 13 a .C. al 14 d. C. ca).35

Bibliografia: il frammento è inedito.

35

Pensabene, 1973, pp. 56-57 tav XX (n 214-215-216-217).

53


3. Capitello corinzio di lesena

Collocazione: appeso al muro giardino con due grappe. Stato di conservazione: fratturato di netto sul alto sinistro e irregolarmente sui restanti tre lati. Materiale: travertino. Misure: h cm 20, 5 x largh. cm 19 x sp.cm 7

Frammento di capitello corinzio di lesena, conserva una foglia di acanto di uno dei lati del capitello. La foglia è realizzata con lobi spigolosi e uno stile “pungente”, caratteristica che non si trova negli altri capitelli preservati nella basilica che conduce a posizionare il reperto prima dei capitelli già precedentemente schedati. Trova numerosi confronti tardo repubblicani, si riportano, ad esempio, i capitelli in tufo e in travertino n 198- 199- 200 ad Ostia, datati alla fine del I secolo a. C., caratterizzati da foglie ancora spigolose e non sontuose, assottigliate e rigidamente appuntite.36 Il capitello è collocabile al periodo tardo repubblicano, ascrivibile agli anni precedenti il periodo augusteo.

Bibliografia : il pezzo è inedito.

36

Pensabene, 1973, (n 198 -199 -200).

54


4. Base composita liscia

Collocazione: posta a terra poggiata vicino al muro del chiostro sotto un frammento di colonna Stato di conservazione: fratturata irregolarmente inferiormente e scalpellata superiormente. Si conserva metà della base. Materiale: marmo bianco Misure: diam. cm 49 h max cm 23,5 x sp max cm. 22

La base composita si conserva a metà: il plinto quadrato mutilato inferiormente, il toro inferiore, la scozia inferiore con il listello separatore delle due scozie, la seconda scozia e il toro superiore abraso. È liscia. La base trova un analogo raffronto, a Ostia antica, nella base composita proveniente dalle Terme di Nettuno di epoca augustea, di reimpiego, con qualche capitello, già citato per confronti con i capitelli di questa collezione, la n 375.37 Il reperto è databile alla media – tarda età augustea.

Bibliografia : il pezzo è inedito.

37

Pensabene, 1995 pp. 358- 359( n 375).

55


PLUTEI, TRANSENNE E PILASTRINI

1.Pluteo scolpito con il motivo dell’albero della vita Collocazione: attualmente ubicato come lastra di rivestimento dell’altare del presbiterio; una volta fissato al muro a sinistra dell’entrata centrale, collocato poi affisso al muro a mezzogiorno del portico. Stato di conservazione: nello stato attuale è impossibile misurare lo spessore del pezzo, ma in generale il reperto si conserva bene, anche se scurito dalla polvere e dal tempo; il fronte decorato è privo di margini. Materiale: marmo bianco. Misure: h: max cm 69 x largh. max cm 0,87cm x sp max non calcolabile.

L’attuale paramento d’altare presenta tronco centrale da cui si dipartono tralci sovrapposti in tre serie, che, nelle loro volute, si legano tra loro e si avvolgono in modo che le foglie interne alle volute formano una girandola. L’ornato è a fettuccia. 38 Si tratta del motivo dell’albero della vita, molto noto nell’alto medioevo, derivato dal modello classico delle girali vegetali a S e degli intrecci floreali di acanto e di vite stilizzati delle province romane (numerosi sono gli esempi di decorazioni d’acanto a S che si trasformano col mutare del punto di vista dello spettatore sia nel mondo celtico sia nel mondo gallo romano) contaminato dallo stile dei barbari che arrivano in occidente. Tale motivo è presente nel VI secolo, quando nasce il linguaggio figurativo vero e proprio dell’arte occidentale alto medioevale; un esempio è il cancello di San Clemente, che mostra la stessa mentalità con cui è concepito il pluteo di San Giovanni a Porta Latina. In realtà la matrice di questa decorazione è ancora più antica, in quanto rievoca quella del people scroll, che dopo una serie di manipolazioni e rielaborazioni, si trasforma nell’albero della vita. La dissociazione tra la parte fogliata e il tralcio centrale genera un tralcio autonomo con una parte fogliata che si formalizza in girandola. In epoca longobarda ci 38

Vaccaro 1974, Corpus, VII, III, pp 92-93 (n 31).

56


sono i primi aspetti sperimentali del motivo che saranno successivamente codificati e utilizzati diffusamente.39 Il reperto in esame mostra un modello pienamente sviluppato che, secondo la Melucco Vaccaro, arricchiva, probabilmente, la schola cantorum di questa basilica. Nei Magazzini del Museo dell’Alto Medioevo si conserva una transenna (n 62 inv. 2167) in marmo bianco con resecato il lato sinistro, ma integra in altezza e sul lato destro, raffrontabile con questa.40 La decorazione è la medesima, ma presenta un tronco centrale con listelli a spina di pesce da cui si dipartono simmetricamente cinque girali sovrapposti, non tre, quasi paralleli simmetricamente e i tralci sono definiti da un nastro bisolcato e non a fettuccia come nella transenna in analisi. Il confronto presenta fascette, legature, che terminano in volute, appendici gigliate e ancora un giglio, un uccellino e un fiore. Il margine superiore è sottolineato tra due listelli da una fascia di cornice del nastro bisolcato con decorazioni incise e intrecciate. Entrambi i reperti presentano foglie palmate come si possono ritrovare anche nella chiesa di Santa Prassede.41 Il pluteo di San Giovanni per l’aspetto formale, le sue rigidezze e per l’horror vacui dell’esecutore, ma anche per il richiamo all’antico, è da collocarsi, come il suo coevo (n 62 inv. 2167), nel periodo carolingio del primo quarto del IX secolo d. C.

Bibliografia: il frammento è già edito in Vaccaro,1974, Corpus VII, III, pp. 92-93 (n 31fig.31).

39

Venturi,1967,p. 109 (fig 86).

40

Vaccaro, 1995, Corpus, VII,VI , p.150 152 tav XXVIII ( n 62).

41

Per il riferimento a Santa Prassede v.d. Vaccaro, 1995, Corpus, VII,VI , p.150 152.

57


2.Pluteo scolpito con nastro vimineo intrecciato a maglie circolari campite da rosette di varia forma Collocazione appoggiato in basso alla parete, ai piedi della scala del campanile. Una volta era fissato al muro a sinistra dell’entrata centrale, successivamente è stato spostato al muro a mezzogiorno del portico. Stato di conservazione. pluteo con margine a banda liscia scalpellata per estesi tratti. Resecata sui fianchi con lievi scheggiature sul margine. Materiale: marmo bianco. Misure: h max cm 69 x largh max cm 88 x sp. max cm 5.

La fronte scolpita presenta un motivo a nastro vimineo intrecciato a maglie circolari con la cornice, che rendono le girali originarie e sono campite da rosette di varia forma (ruotanti, a petali arrotondati, a petali lanceolati), da croci greche e, negli spazi tra le maglie, da nodi con all’interno girandole e rosette a petali lanceolati. La decorazione si svolge su due registri sovrapposti. È caratterizzato da una schematicità, horror vacui, e dal rilievo piuttosto piatto e monotono. La finezza e l’eleganza del motivo sono tradite da una staticità della parte scolpita che sembrerebbe negare il movimento sinuoso del nastro e delle girandole. Tra i vari esemplari avvicinabili a questo pluteo, si può citare quello di Santa Maria in Cosmedin, un frammento di pluteo, che presenta lo stesso motivo, ma con riempitivi diversi e con spazio più ampio per le tre serie di campiture della rete del nastro42. La plastica del reperto di San Giovanni a Porta Latina è rigida come quella del reperto di Santa Maria in Cosmedin; entrambi hanno una concezione del combinarsi del vegetale col simbolico a scopo ornamentale, tipica della rinascenza carolingia. Le croci realizzate come riempitivi dell’ornato, sono l’estremizzazione delle croci longobarde e della loro evoluzione nella produzione alto medioevale, richiamando anche la produzione artistica dei metalli lavorati carolingi che avevano raggiunto altissimi livelli.

42

Venturi, 1967, p. 143( fig 116).

58


È stata ipotizzata un datazione intorno al primo quarto del IX d. .C (sotto il pontificato di Adriano I), anche per le affinità con la transenna della basilica di Santa Maria in Cosmedin, datata in quell’epoca.

Bibliografia: il frammento è già edito in Vaccaro, 1974, Corpus VII , III, p.95-96( n 34).

59


3.Pluteo scolpito con motivo del nastro bisolfato a maglie rettangolari campite da rosette Collocazione: campanile, prima a sinistra dell’entrata centrale, successivamente nel mezzogiorno del portico. Stato di conservazione: resecata ai lati con fronte scolpita mutilata. Materiale; marmo bianco italico. Misure: h max cm 69 x largh max cm 87 x sp. max cm 5,5.

Il reperto presenta due tratti di margine a banda liscia decorati da un nastro bisolcato a maglie rettangolari annodate, disposte a rete, campite da rosette di diverso tipo (ruotanti, a petali arrotondati, a petali e ad angoli lanceolati), nodi a quattro occhielli ad ogiva, forme gigliate, palmetta stilizzata, croci gigliate. È stato affermato che il motivo è di forte sapore classico, tipico per l’iconografia scelta. La scultura è freddamente realizzata, con somma precisione, ma con un’idea di staticità, nonostante l’intreccio e il movimento del nastro e di alcune rosette. Sembrerebbe che l’artista abbia timore di lasciare spazi vuoti ricorrendo all’uso eccessivo di rosette. Un esempio simile è il reperto n 75 del Museo dell’Alto Medioevo. Nella chiesa di Santa Sabina un pluteo (reperto n. 240) riporta un motivo leggermente più rielaborato: Si trovano tre serie sovrapposte di riempitivi a tema unico, in basso solo gigli e al centro solo foglie stilizzate di acanto e croci:tale transenna è datata tra l’824 e l’827. 43. Il pezzo è ben conservato, nonostante le sue peripezie all’interno della basilica, peccato sia poco valorizzato nella collezione e relegato nel campanile, luogo non accessibile alla maggior parte dei visitatori. Lo stile e la resa plastica formale di questa transenna non si differenziano dalle precedenti transenne e dal reperto n. 240, perciò si può datare al primo quarto del IX secolo, durante la fase carolingia. 43

M.Trinci Cecchelli, 1976, Corpus ,VII, IV , p. 208( n240) e Vaccaro,1995,Corpus VII ,VI ,p. 163 tav XXIII( n 75).

60


Bibliografia: il reperto è già edito in Vaccaro, 1974, Corpus ,VII, III, p. 93-94(n 32 ).

61


4.Pluteo scolpito con nastro bisolfato combinato con il motivo dei cerchi intrecciato al motivo delle diagonali Collocazione: adagiato nel pian terreno del campanile. Stato di conservazione: ha la parte superiore che ha subito una forte abrasione e conserva una fronte scolpita. Materiale: marmo bianco. Misure: h max cm 77 x largh max cm 98 x sp. max cm 5,5.

Pluteo con margine a banda liscia dal nastro bisolcato che descrive cerchi combinati con il motivo delle diagonali, su due file sovrapposte, che si collegano alla cornice. A differenza di tutti gli altri plutei fin qui esaminati, mostra una notevole incertezza del ductus delle linee e nella spartizione degli spazi. Questa scelta di un motivo geometrico risponderebbe ad un’altra alternativa per decorare la zona del presbiterio. Lo stile e la fattura, sebbene imprecisi, sono di buona qualità e si riallacciano alla nuova mentalità cortense dell’epoca carolingia, di sfarzo e di rinascita dell’arte ecclesiastica attraverso forme auliche. Il tutto è reso, comunque, all’interno di un repertorio di motivi, standardizzato da tempo. Lo stesso modello doveva avere lo scultore del pluteo di Santa Sabina (reperto n 249), che realizza un nastro a tre file con cerchi annodati tra loro e intrecciati con le diagonali incrociate, bordato da una cornice “triplice a dente di sega”.44 È databile al primo quarto del IX secolo.

Bibliografia: il reperto è già edito in Vaccaro, CorpusVII , III, p.97-98 (n 35) .

44

Cecchelli, 1976,Corpus VII , IV, p. 219 (n 249).

62


5.Transenna scolpita a squame con borchie ai punti di incrocio delle squame

Collocazione: giardino al lato della chiesa e del collegio, appeso al muretto che precede la scalinata. Stato di conservazione: fratturata irregolarmente su due fianchi e superiormente scheggiata sul margine inferiore. Materiale: marmo bianco. Misure: h max cm 46 x largh max cm 26 x sp max cm 12.

In origine la transenna era incorniciata da un cavetto e da una fascia piatta; il campo è scolpito con archetti disposti a squame con borchie ai punti di incrocio. Il motivo delle squame è forse di matrice antica. I primi esempi nelle chiese, Santa Prassede, Santa Pudenziana e Santa Agata dei Goti, realizzati incisi e a traforo, compaiono in epoca piuttosto antica ( n 54-95-98).45 La presente transenna si lega a questi esempi romani, ma risulta a rilievo, il fondo è “incavo “ rispetto le squame; la cornice che rimane circonda la rete di squame con borchie rotonde, imitazione evidente delle giunture metalliche dei cancelli. Il frammento, per il contesto della chiesa, è databile alla fine del V inizi VI d C .

Bibliografia:il frammento è inedito.

45

Pani Ermini, 1974, Corpus, I, p. 113 ( n 54-95- 98).

63


6.Transenna decorata a squame prive di borchie

Collocazione: giardino della chiesa al lato della precedente transenna Stato di conservazione: frammentario sui tre lati. Materiale: marmo. Misure: h max cm 55 x largh max cm 30 x sp max. cm 13,5.

In origine la transenna era incorniciata da un cavetto e da una fascia piatta; il campo è scolpito con archetti disposti a squame priva di borchie ai punti di incrocio. Il motivo è una variante del motivo ad archetti che formano delle squame senza le borchie ai punti di incrocio, non molto differente da quello della transenna precedente. È confrontabile con la transenna precedente tranne per l’assenza di borchie.46 Il frammento, per il contesto della chiesa, è databile alla fine del V inizi VI d C .

Bibliografia: il reperto è inedito.

46

V. .d. p. 63 del medesimo catalogo

64


7.Transenna scolpita a cancello

Collocazione: appesa nel Lapidario della parete S.O. del corridoio di annessione tra la chiesa e il chiostro Stato di conservazione: sono rimasti due tratti di transenna con margini Materiale: marmo bianco italico. Misure. h max cm 32 x largh max cm 57 x sp max cm 7

Transenna decorata a cancello, con modanature cioè, che imitano una cancellata in metallo mediante l’inserimento, ai punti di incrocio delle diagonali, di borchie circolari a bassorilievo. Il motivo è concepito con la tecnica del traforo; la staccionata è incorniciata da una doppia fascia a listello piatto. Questa lastra si presume appartenesse alla recinzione del presbiterio della chiesa di San Giovanni a Porta Latina nella fase più antica, come documentata dalle murature. La decorazione a cancello è un ornato con modelli che si riscontrano anche sulle scene dell’Arco di Costantino nella Largitio, dove sono raffigurate balaustre poste a separare il “tribunale”. Nel Magazzino del Museo dell’Alto Medioevo c’è un pluteo, il reperto n 23, comparabile con la transenna in esame, che rimanda a sua volta ad un’altra scena dell’Arco di Costantino, l’Adlocutio.47. Il reperto per il tipo di motivo utilizzato, per lo stile, per il coevo confronto e per il contesto della chiesa, è stato da considerato contemporaneo al parapetto, reperto n 23, ossia collocato tra IV e V secolo d. C.

Bibliografia la transenna è inedita, ma cfr. con la transenna con lo stesso motivo decorativo conservata nel muro del giardino della basilica edita in Vaccaro,1974, Corpus, VII, III ,p.89 (n 29).

47

Vaccaro, 1995, Corpus ,VII ,VI , tav VIII( n 23) inv 2251.

65


8.Transenna con motivo a cancello

Collocazione: appesa alla parete S.O. Stato di conservazione: è rimasto un tratto di transenna con margine. Materiale: marmo bianco italico. Misure: h max cm 22 x largh max cm 42 x sp max.cm 3.

Transenna decorata a cancello, con modanature cioè, che imitano una cancellata in metallo mediante l’inserimento, ai punti di incrocio delle diagonali, di borchie circolari a bassorilievo. Il motivo è concepito con la tecnica del traforo; la staccionata è incorniciata da una doppia fascia a listello piatto. Questa lastra si presume facesse parte della recinzione del presbiterio della chiesa di San Giovanni a Porta Latina nella fase più antica, come documentata dalle murature. La decorazione a cancello è un ornato con modelli che si riscontrano anche sulle scene dell’Arco di Costantino nella Largitio, dove sono raffigurate balaustre poste a separare il “tribunale”. Nel Magazzino del Museo dell’Alto Medioevo c’è un pluteo, il reperto n 23, comparabile con la transenna in esame, che rimanda a sua volta ad un’altra scena dell’Arco di Costantino, l’Adlocutio.48. Il reperto per il tipo di motivo utilizzato, per lo stile, per il coevo confronto e per il contesto della chiesa, è da considerarsi contemporaneo al parapetto, reperto n 23, ossia collocato tra IV e V secolo d. C.

Bibliografia la transenna è inedita, ma cfr con la transenna con lo stesso motivo decorativo conservata nel muro del giardino della basilica edita in Vaccaro,1974, Corpus ,VII , III , p.89 (n 29).

48

Vaccaro,1995, Corpus ,VII ,VI , tav VIII (n 23) inv 2251.

66


9. Transenna con motivo a cancello

Collocazione: appesa al muretto del giardino accanto alla chiesa e in comunicazione con il convento. Stato di conservazione: intatta superiormente, fratturata nettamente inferiormente e irregolarmente sui lati , mutilando il motivo decorativo. Materiale: marmo bianco. Misure: h max cm 14 x largh. max cm 102 x sp. max cm 21

Presenta un cavetto piatto che incornicia un motivo a cancello con borchie ai punti di incrocio delle diagonali e l’attacco del motivo suddetto. La resa è simile alle precedenti transenne a cancello. È raffrontabile con le altre della collezione e dei reperti del Museo dell’Alto Medioevo n 189-199-200-201-202-203-204205-206-207-208-209-210, datati tra il III e il V secolo d. C.49. Questa insieme ad altri due esemplari (quello del muro del giardino50 e quello del Lapidario) presenta le maglie della cancellata grandi e idonee per l’arredo di un presbiterio. Per il contesto della chiesa è databile tra IV e V secolo d .C.

Bibliografia: il frammento è inedito.

49

Vaccaro, 1995, Corpus ,VII ,VI ,pp. 270-273, (nn 189-199-200-201-202-203-204-205-206-207-208-209-210).

50

Edito in Vaccaro, 1974, Corpus ,VII, IV, p. 89 (n 28).

67


10. Transenna con motivo a cancello con piccole diagonali

Collocazione: giardino. Stato di conservazione: incastrato nel terreno per quasi metà, presenta l’attuale alzata e la parte scoperta estremamente consumate. Riuso: è reimpiegato come gradino per l’accesso al giardino dietro la basilica. Materiale:marmo bianco. Misure: h cm. max 34 x largh. max cm 26 x sp. max. cm 20,5

Il gradino, appartenente ad una transenna di recinzione, presenta un motivo scolpito a piccole diagonali sulla parte sporgente del piano di calpestio, mutilato dall’abrasione, che riproduce il motivo a cancello con maglie ridotte e regolari. Le diagonali si incrociano più volte realizzando un piccolo intreccio. Non si conosce la provenienza e la destinazione della transenna, né la ratio del suo riuso. Non ci sono confronti idonei analoghi a questo reperto. Il reperto è antico forse databile già al I secolo a. C.

Bibliografia: il pezzo è inedito.

68


11. “Pilastrino” con motivo a intreccio simile ad una corda

Collocazione: appesa al muretto del giardino accanto alla chiesa e in comunicazione con il convento. Stato di conservazione: integro con scheggiature su tre lati e fratturato irregolarmente sul lato destro. Materiale: marmo bianco. Misure: h max cm 13 x largh max cm 10 ca x sp. max cm 4

Piccolo pilastro con cornice incisa sulla fronte decorato a treccia simile ad una corda. Il frammento era destinato forse ad una cornice della chiesa con motivi geometrici. Il motivo geometrico è molto sviluppato per adornare gli arredi delle basiliche italiane, però, sembrerebbe una decorazione “esclusiva del periodo carolingio, del IX secolo d.C.” che si somma agli ornati di altro genere come il tralcio di vite, l’albero della vita e la croce, unendo il valore simbolico del geometrico e del nastro intrecciato al gusto e al valore culturale che certamente rivestiva.51 Lo scopo probabilmente del frammento era analogo e si sposava bene con il suo intrinseco valore estetico. Il reperto è confrontabile con vari frammenti romani datati al IX d. C., come i frammenti di cornici di provenienza incerta n 156 -157-158-159-160-161 del Museo dell’Alto Medioevo e il pilastrino n 213 del sito di Santa Cornelia (a 17 Km N. O . da Roma ), datati tra il 740 e il 780 d .C. e gli inizi del IX secolo d. C. 52 Il pezzo è databile all’inizio del IX secolo d. C.

Bibliografia: il frammento è inedito.

51

Cit. Lavigno, 1960, pp. 181-200.

52

Vaccaro, 1995, Corpus, VII, VI,tav. XLI ( n 156 -157-158-159-160-161) e LI ( n 213), pp. 227-230.

69


ISCRIZIONI DEL LAPIDARIO E DELLA BASILICA

1.Lastra funeraria con cornice a listello Collocazione: inserto murario del portico a 147 cm da terra. Stato di conservazione: la lastra conserva una cornice a doppio listello che racchiude una epigrafe scheggiata sul listello superiore in vari punti. Lo specchio epigrafico risulta ben leggibile e conserva due linee di scrittura. Il reperto nell’insieme pare non abbia subito modifiche. Riuso: riutilizzata come inserto murario a lato della porta d’ingresso del campanile per scopo edilizio e decorativo. Materale: marmo. Misure: h max cm 60. x largh max.cm 122 x sp. max cm 30 del reperto h max cm 58 x largh max cm 120 dello specchio epigrafico h max delle lettere cm 12 in tutte le linee di scrittura.

M(arcus) Furius M(arci) Filius \ Cor(nelia) R(ufus) Come la maggior parte dei reperti finora noti, della collezione preservata presso la basilica di San Giovanni a Porta Latina, non si conosce la provenienza e la destinazione della lastra. Il reperto è forse già stato riutilizzato, per la parete esterna sinistra del campanile, già in epoca paleocristiana, infatti il riuso sistematico di epigrafi greche e latine è un fenomeno già noto ai romani, addirittura abituale nelle strutture cristiane medioevali. A Roma si contano numerosi esempi di questa manifestazione di esibizione pregiata di reliquie, inserite in vari punti della chiesa (San Lorenzo in Lucina, San Clemente, Santa Agnese, San Lorenzo fuori le mura ecc); alcuni blocchi iscritti sono incastonati tra le lastre pavimentali, utilizzati forse per esorcizzare i demoni, consuetudine molto attestata nell’Egitto post- faraonico. 53 La lastra non presenta parti decorate, se non per la cornice che adorna il contorno della superficie con epigrafe latina sepolcrale. 53

cfr e v.d. pp.8- 12 del catalogo

70


Per il tipo di iscrizione scolpita sulla fronte, la lapide potrebbe essere classificata come un reperto sepolcrale (non è chiaro se si tratta di una tabella di colombario, di un semplice sepolcro o di un monumento funerario). L’iscrizione ricorda un defunto, un certo Marco Furio Rufo, di cui resta una formula onomastica su due linee di scrittura composta di praenomen, nomen, patronimico, tribù e cognomen. L’intero contenuto del testo sepolcrale si limita al nome del defunto. Il cognomen Rufus conta più di mille attestazioni ed è uno dei cognomina più antichi.54 Il Kajanto evidenzia la refrattarietà dell’uso del cognomen Rufus al maschile per liberti e schiavi, contrapposta alla frequenza dello stesso in forma femminile, (Rufa), per liberte e serve. Dal punto di vista paleografico, l’epigrafe è caratterizzata da un testo funerario redatto in lettere capitali quadrate, incise, tutte delle stesse dimensioni e distanziate costantemente tra loro. Le O sono perfettamente tonde; le M con le traverse laterali estremamente divaricate hanno un forte sapore arcaico. Tutte le lettere hanno una discreta apicatura e l’iscrizione presenta quattro segni di punteggiatura di tipo triangolare. La formula onomastica dei tria nomina, del patronimico e della tribù sono dati fondamentali per la legislazione romana dal 46 a. C. in poi, per cui si potrebbe datare l’epigrafe dopo il 46 d. C. e non oltre il II secolo, (quando cominciano le omissioni onomastiche di alcuni elementi del nome e decade la consuetudine di usare la scrittura capitale quadrata). L’indicazione della tribù, tende a scomparire alla fine del II d. C. Questo dato è un elemento per un criterio interno di datazione dell’epigrafe che conduce ad una data oltre la quale non si può più datare il reperto; si crea un terminus ante quem per la collocazione cronologica dell’iscrizione e del suo supporto. 54

“Kajanto, 1982, pp. 64-65 121-134.

71


La cronologia del reperto, in conclusione, non può andare oltre la fine del II secolo d. C.

Bibliografia: l’iscrizione è edita in C.I.L., VI , 18786: il supporto è inedito(non è descritto ).

72


2.Lastra sepolcrale con cornice su tre lati

Collocazione: a 145 cm da terra nella parete esterna del campanile del portico in facciata. Stato di conservazione: la lastra non sembra avere subito sostanziali modifiche; manca della chiusa della cornice sul lato destro. Lo stato di conservazione generale del reperto è ottimo. Riuso: è un reperto sfruttato per scopo edilizio come lastra parietale, ma va valutato anche il profondo effetto estetico celato dietro questo riuso, pensato probabilmente per nobilitare le strutture con materiali più antichi. Si tratta di un atto programmatico nella chiesa concretizzato per impreziosire la facciata e ribadire l’ambizione del committente. Materiale: lapideo. Misure: h max cm 64 x largh max cm .93 x sp max cm 30 della lastra h max cm 64 x largh max cm 93 dello specchio epigrafico h max delle lettere cm 11 in tutte linee di scrittura.

Titienia/uxor viro\ Lastra cimiteriale con cornice a fascia semplice, presenta due linee di scrittura incise con molta accuratezza. È reimpiegata come lastra parietale. A Roma si contano numerosi esempi di questa manifestazione di esibizione pregiata di reliquie, inserite in vari punti della chiesa (San Lorenzo in Lucina, San Clemente, Santa Agnese, San Lorenzo fuori le mura ecc); alcuni blocchi iscritti sono incastonati tra le lastre pavimentali, utilizzati forse per esorcizzare i demoni, consuetudine molto attestata nell’Egitto post- faraonico.55 La

destinazione

della

lapide

probabilmente

era

simile

a

quella

del

reperto

precedentemente esaminato. L’epigrafe sepolcrale contiene una dedica funeraria; la formula di dedica, è incompleta, infatti riporta il nome del defunto e quello della dedicante, ma non il verbo di offerta, che come in alcuni casi, è omesso dal lapicida.

55

V. d. p. 78 del catalogo medesimo.

73


I casi con cui sono espressi i due nomi sono quelli consueti per un ‘offerta: in nominativo la dedicante, con un unico elemento di denominazione e in dativo il defunto. Il probabile sepolcro è edificato dalla moglie al marito, come indicato dall’iscrizione della lastra. Gli studi paleografici hanno messo in luce i caratteri marcati delle lettere capitali quadrate e la loro apicatura; si nota un solo segno di interpunzione triangolare. Le O sono perfettamente tonde, le R con occhiello chiuso e le T con la traversa orizzontale allungata. Il nome della dedicante Titienia è raro; ci sono poche attestazioni nel panorama onomastico latino in testi epigrafici romani. Ricordiamo le testimonianze nelle epigrafi di CIL VI, (n 27458, n 27459 e n 33968), provenienti dalla via Appia in direzione Porta Capena e Villa Wolkonschy. 56 È databile nello stesso arco cronologico dell’iscrizione precedente .

Bibliografia: l’epigrafe è edita in C.I.L., VI , 27457.

56

Cfr. C.I.L. ,VI, 27458-27459-33968.

74


3.Lastra cimiteriale con cornice

Collocazione: nel muro esterno della torre campanaria, a 149 cm da terra. Stato di conservazione: ha subito delle abrasioni lungo i bordi superiore e sinistro della lastra; presenta numerose scheggiature lungo la cornice a listello che limita un campo epigrafico di sette linee di scrittura. Riuso: edilizio, come inserto murario. Misure: h max cm 60 x largh. max cm 122 x sp max cm.30 della lastra h max cm 52 x largh max cm 114 dello specchio epigrafico h max delle lettere: cm 7 nella prima linea di scrittura, cm 6 nella seconda, nella terza, quarta e quinta cm 5, nella sesta cm 4, nella settima cm 3,5 – 4, nella ottava cm 3

Triun (sic!) PPP(ubliorum)Aeliorum Aspasi Isidori Aspasi/et Claudia Euphora fecerunt / sibi et suis /libertis libertabusque/ posterisque(sic !) eorum (sic !) / hoc monumentum/ exteros non recipiat. Lastra sepolcrale che presenta otto linee di scrittura: ricordo funebre di tre liberti, una liberta e la moglie o la sorella di uno dei tre. È reimpiegata come lastra parietale. A Roma si contano numerosi esempi di questa manifestazione di esibizione pregiata di reliquie, inserite in vari punti della chiesa (San Lorenzo in Lucina, San Clemente, Santa Agnese, San Lorenzo fuori le mura ecc); alcuni blocchi iscritti sono incastonati tra le lastre pavimentali, utilizzati forse per esorcizzare i demoni, consuetudine molto attestata nell’Egitto post- faraonico. La difficoltà di una traduzione precisa della iscrizione della suddetta lastra derivano dalla presenza dei nomi dei liberti, in genitivo, e della liberta in nominativo, dal verbo coniugato alla terza persona plurale, dall’ignoranza dello stato di vita o di morte dei tre al momento di dedica, dall’uso dei dittonghi “postaerique aeorum” dalla presenza di triun non di trium. L’epigrafe presenta notevoli problemi grammaticali e linguistici per cui non è possibile trovare casi simili a questo da raffrontare. Aspasio, Isidoro e Eufodia sono nomi di origine grecanica. 75


Nel campo epigrafico, le lettere sono scolpite più grandi nella prima e quarta linea e ci sono due segni di interpunzione per separare le parole57. I numerosi errori di scrittura si potrebbero giustificare come distrazioni dell’ordinator nel copiare il testo corsivo dei committenti in testo monumentale per il lapicida che ha riportato gli errori sulla lapide. Oggi risulta enigmatica sia la comprensione del testo, che la ratio per il riuso medioevale dell’epigrafe nella facciata del tempio . Il Solin data il reperto e l’epitaffio al II d.c58.

Bibliografia: il testo è edito in C.I.L. , VI, 10647.

57

Solin, p. 85 I p 864.

58

Solin, 1982, p.1222.

76


4 Lastra sepolcrale frammentaria

Collocazione: appesa con due grappe alla parte del lapidario del corridoio S.O. Stato di conservazione: parte sinistra di lastra che conserva i resti di tre linee di scrittura incise; presenta una frattura netta diagonale a destra del reperto che sembrerebbe di vecchia data poiché in frattura il marmo del supporto epigrafico ha perso compattezza e consistenza, risultando orribilmente mutilato e deteriorato. La lastra è ulteriormente degradata dalla presenza di ruggine nella zona di contatto tra il marmo e le grappe metalliche ossidate. Materiale: marmo grigiastro. Misure: h max cm 19 x largh max cm.17 x sp max cm 3 del reperto h max cm 19 x largh max cm 17 dello spazio epigrafico rimanente Le lettere sono alte max cm 3 in tutte le linee di scrittura.

Aur(elia ---)/vix[it ann(os)---] \ K(a)l(endas La lastra è un frammento erratico, come la stramaggioranza dei frammenti appesi sulla parete del corridoio S.O.del convento di San Giovanni a Porta Latina, di cui si ignora la provenienza. Conserva i resti di tre linee di scrittura incise che restituiscono un elemento onomastico femminile e tre termini di indicazione biografica (il verbo, gli anni e il giorno del dies natalis del defunto); è un epitaffio di una donna con il nomen Aurelia, di cui non è specificato lo stato sociale. Dal punto di vista paleografico l’iscrizione presenta la L con la traversa obliqua lievemente discendente; la A ha la traversa leggermente flessa e la K presenta le alette innestate in un solo punto di asta. Le lettere presentano tutte l’apicatura e sul campo epigrafico non ci sono segni di punteggiatura o di separazione. Sono visibili le linee guida con cui l’epigrafe è incisa con molta accuratezza;l’epigrafe è un esempio di scrittura dalle lettere eleganti e dal solco profondo a sezione triangolare. 59

Bibliografia: il reperto è affrontato in Gradi, 1987-88, scheda 19, pp. 110 -111, tav XXII ( fig 25).

59

Gradi, 1987-1988, p. 111.

77


5.Lastra funeraria ricostruita da tre frammenti

Collocazione: appesa sulla parete di S.O. del corridoio a 149 cm da terra. Stato di conservazione: lastra ricongiunta da tre pezzi fratturatisi in fase di recupero. Presenta una frattura orizzontale da un lato all’altro e una obliqua. Inoltre si notano sui tre margini conservati, numerose fratture. L’iscrizione si deve essere fratturata nel momento di affissione o di recupero del reperto e questo spiegherebbe il tentativo di ricongiungimento dei frammenti con le grappe. La superficie è abbastanza levigata con macchie e depositi di natura calcarea. Materiale: travertino( Lapis Tiburtinus). Misure: h max cm 22,5 x largh. max cm 22.5 x sp max cm 3 di tre lastre ricomposte appese dimensioni del campo epigrafico non quantificabili per l’esiguità del frammento h max delle lettere:cm 4 nella prima linea conservata di scrittura, cm 3,5 nelle due restanti linee.

[vi]talis \[a] nn(is) XVII \[K(alendas) n] ovemb(res) Lastra con tre linee di epigrafe sepolcrale latina molto lacunose , che, con ogni probabilità, apparteneva a un monumento dell’ambito funerario (non è sicuro il tipo di ricettacolo). Il reperto non è di buona fattura ed il suo cattivo stato di mantenimento non migliora la presentabilità al pubblico. Il contenuto dell’iscrizione non è giunto integro, ma si possono leggere i frammenti di un elemento di nome e dell’indicazione biografica del defunto, del suo dies natalis, privo dell’anno, andato perduto (era di fondamentale importanza per datare l’epitaffio). Il nome del defunto, Vitalis, qualora fosse considerato un nome conservato per intero, conta più di mille attestazioni, per schiavi e per liberti, nel mondo romano fino all’epoca cristiana (v. d. San Vitale). Le indicazioni biografiche in possesso non offrono informazioni ulteriori sul testo. La paleografia delle lettere attesta la lettera L con la traversa obliqua fortemente discendente; la M si connota con i tratti centrali che si uniscono poco sopra la linea di base

78


e con le traverse laterali aperte non simmetricamente. La lettera B presenta gli occhielli chiusi e diseguali. Il titulus sepolcrale è inciso con un ductus incerto e si presenta irregolare con la presenza di piÚ tratti di scalpello per ogni lettera come se il lapicida fosse inesperto. I dati interni al reperto non restituiscono un insieme di elementi indicatori per datare il frammento.

Bibliografia: il frammento è studiato in Gradi,1987-1988, pp. 121-123.

79


6. Lastra sepolcrale di liberto imperiale

Collocazione: parete S.O. del corridoio a 85 cm da terra. Stato di conservazione: parte destra inferiore di lastra estremamente consumata che restituisce i resti di sette linee di scrittura con cornice semplice. Materiale: marmo grigio. Misure: h max cm 36 x largh max cm 40 x sp max cm.4 sp max del campo epigrafico cm 2,4 h max delle lettere:nella prima linea conservata di scrittura è irregolare da cm 3,5 a cm 2,5, nella seconda cm 2, nella terza da cm 3 a cm 2,8, nella quarta cm 3 , nella quinta cm 2,5 e nella sesta e ultima linea conservata cm 2.

[---]\ [---Caes]aris N(ostri) vernae \ [- - - anni ] s IIII mensibus X\[---dieb]us XIIII \ [---] (*) Peculiaris\ è[---t ] abularius filio \ [- - - e ]t sibi poisterisq(ue) eorum. Il reperto è uno dei casi di materiale sporadico della basilica che è posto appeso alla parete S.O. del corridoio della chiesa, muro che ospita altri frammenti come una teca d’antiquariato. Si tratta della parte inferiore di una lastra marmorea che contiene alcuni elementi di un titulus sepolcrale inciso sulla fronte, visibile in parte a causa di una forte dilavatura che presenta il supporto dell’epigrafe; dell’intero contenuto dell’iscrizione rimangono parte dell’indicazione biografica dell’estinto, un elemento del nome del dedicante (Peculiaris), la condizione sociale del destinatario (quella di schiavo imperiale “ Caesaris Nostri vernae”) e la formula giuridica di dedica ai posteri,su sei linee di scrittura. il nome Peculiaris è attestato solo in ventisei epigrafi romane.60 L’espressione “Caesaris Nostri vernae”, se pur rara, è una formula che risale, forse, all’età adrianea, poiché prima è proprio difficile da riscontrare in altri testi. Dal punto di vista paleografico, la scrittura è realizzata in capitale quadrata; le lettere incise sono molto eleganti e presentano lievi apicature. La O e la Q dell’ultima riga 60

Cfr.

C.I.L.,

VI,

1586-2912-312443-3124R3-10084-10107-14265-16604-18620—19825-19957-20329-20399-20757-211011-22314-

23871-26551-28073-28402-32480-34702-35376-36060-37337-28721.

80


presentano una forma ovoidale; la M si caratterizza per le traverse appena aperte e i tratti centrali uniti in basso. La C è semicircolare e la O di Filio perfettamente tonda. Nel campo epigrafico sette segni di interpunzione separano le parole. Lo stile è accurato. Il titulus appartiene, con ogni probabilità, all’epoca adrianea (117-138) per l’espressione “Caesaris Nostri vernae” e per la paleografia. Il frammento, grazie ai dati forniti dall’epitaffio, è databile al II d. C .

Bibliografia: il reperto è edito in Ferrua, 1967, pp. 93-94.

81


7. Lastra con testo frammentario greco Collocazione: appesa in basso sulla parete S.O. del corridoio a147 cm da terra. Stato di conservazione: frammento di lastra iscritta in alfabeto greco mutilato su tutti i lati con quattro lesioni che interessano lo specchio epigrafico. Rimangono due linee molto lacunose di scrittura. Materiale. Travertino (Lapis Tiburtinus) Misure: h. max cm15 x largh max. cm 20,5 x sp max cm 3 non si possono calcolare le dimensioni del campo epigrafico in un frammento, fratturato così irregolarmente h max delle lettere cm 2.5 -2,nelle due linee frammentarie rimaste.

[---]  [---] ‘” [---] [---][---] [---][---][---][---][---][---][---][---][---][---] La lastra è notevolmente danneggiata perciò non risulta di alcuna utilità lo studio del materiale di cui è composta. Per di più il materiale del supporto, il travertino, non è una pietra dura che è usata solo per un tipo di reperto ed è un cattivo elemento indicatore di datazione della lapide poiché è impiegato nell’antichità dal II secolo a. C. in poi. È continuamente sfruttato dalla tarda repubblica all’età imperiale e si presta ad uso edilizio e di rivestimento. Ha una larghissima diffusione areale e cronologica che non permette di restringere il campo di indagine per l’analisi di questo reperto Il campo epigrafico, molto abraso e corroso, presenta un’epigrafe non interpretabile su due linee di scrittura; l’iscrizione greca, dal contenuto a piccoli brani di parole, non dona informazioni vitali per la traduzione e la comprensione del testo. L’epigrafe e la lastra non sono classificabili, dal punto di vista paleografico il reperto presenta delle lettere incise con un solco molto profondo a sezione triangolare. L’iscrizione, anche se esigua, presenta una fattura molto accurata, che farebbe pensare all’esecuzione di una mano piuttosto esperta.

Bibliografia : la lastra è studiata in Gradi, 1987-1988, pp. 124-125.

82


8.Lastra sepolcrale di Marcus Aurelius [- - - ]paminus

Collocazione: appesa alla parete S.O. del corridoio con tre grappe. Stato di conservazione: parte centrale di lastra mancante di tutti i lati, orribilmente mutilata a destra e sinistra. Presenta un’epigrafe latina molto lacunosa, estesa in cinque linee di scrittura. Il frammento presenta macchie e incrostazioni di tipo calcareo su tutta la fronte epigrafica. Materiale: marmo grigiastro. Misure: h max cm 31x largh. max cm 43 x sp. max cm. 4,5 le dimensioni dello specchio epigrafico non sono calcolabili per via della mutilazione del supporto su ogni lato h max delle lettere: nella prima linea pervenuta cm 4,5, nella seconda cm 3,5, nella terza , quarta e quinta cm 3.

[----]M(arcus) Aurelius [---][---]/ et Aureli [---]\ [--- ] paminus [---]\ [---] ores -- \ [---] t do [---] Caso di provenienza e di destinazione di funzione ignota come il maggior numero di lastre epigrafiche del lapidario, la lastra come materiale non fornisce, anche a causa del suo cattivo stato di conservazione, dati sulla sua storia e tipologia. Invece dell’intera argomentazione dell’iscrizione qualcosa rimane, si legge qualche frammento di nome nella prima linea di scrittura, qualche frammento di nome e un finale di una parola nelle restanti linee di scrittura con lacune non colmabili e quantificabili. (cinque linee molto lacunose). Dal punto di vista paleografico presenta: la E con la traversa centrale ascendente, la L e la T con le traverse cortissime. La M presenta i tratti intermedi uniti sulla linea di base. La linea di incisione dell’epigrafe è molto profonda; tutte le lettere sono apicate. La scrittura è intervallata da soli due segni di interpunzione visibili nelle linee 4 e 5 per separare le parole.

Bibliografia l’epigrafe è nota in C. I.L., VI , 12985.

83


9. Lastra di dedica sacra in ambito funerario

Collocazione: parete S.O. del corridoio a 44 cm da terra. Stato di conservazione: il frammento di lastra è mancante di tutti i lati; si conserva una superficie levigata iscritta, di cui restano tre linee epigrafiche molto lacunose, in latino. Lungo il bordo inferiore presenta un’ampia scheggiatura; nel campo epigrafico e in qualche solco vi sono residui calcarei e piccole incrostazioni di medesima natura. In basso a destra è visibile il rialzo cornice. Materiale: marmo grigiastro. Misure:. h max cm 12,5 x. largh max cm 19 x sp max cm.4,5 dimensioni del campo epigrafico non calcolabili per motivi simili alla lastra precedentemente esaminata h max delle lettere nella prima preservata cm 2, nella seconda e nella terza cm 3.

[---] Sanc[to]\ [---][--monumentu]m fecit [---phil ]anthus[---] La lastra è probabilmente una lastra di ambito sacro, dato deducibile dal tipo di iscrizione che conserva sulla fronte (dedica sacra). Si leggono frammenti della formula, un verbo di dedica alla terza persona singolare e un finale di elemento onomastico. Dal punto di vista paleografico, la scrittura presenta tutte le lettere apicate. La M, in parte visibile, si connota con le traverse esterne piuttosto divaricate e quelle interne che si congiungono molto in basso. La C non è perfettamente semilunata; la A presenta la traversa centrale lievemente obliqua e l’asta destra lievemente sporgente sulla sinistra. La U mostra l’asta destra più lunga della sinistra; la l e la F hanno le traverse impercettibilmente ascendenti. Tutte le lettere mostrano un solco molto profondo di forma piuttosto allungata

Bibliografia: la tabella è analizzata in Gradi, 1987-1988, pp. 126-129.

84


10.Lastra cimiteriale con dedica ai posteri

Collocazione: parete S.O. del corridoio, si trova a 53 cm da terra appeso con due grappe. Stato di conservazione: si conserva la parte inferiore di una lastra con le ultime quattro linee di scrittura in latino, molto lacunose. Materiale: marmo grigiastro. Misure: h max cm 21 x largh. max cm 29 x sp max. cm 2,5 dimensioni dello specchio epigrafico non precisabili h max delle lettere cm 3 in tutte le linee di scrittura.

[[- - - nt - - - ] \ [benevolentia [- - - ]\ [- - -] lib(ertis) libet[ab (usque)] ( sic!) / [ - - - post] er(isque) eoru[m] Non ci sono informazioni sufficienti sul reperto e sull’epigrafe per stabilire la tipologia del monumento in cui era originariamente destinato il frammento e per potere classificare l’iscrizione. Rimangono del contenuto dell’epigrafe il possibile motivo della dedica, benevolentia, e una formula ricca di lacune di dedica ai posteri. Quest’ultima farebbe considerare il reperto nel suo insieme un prodotto sepolcrale. Dal punto di vista paleografico, la lettera E è caratterizzata da una traversa centrale più corta, ma slanciata verso l’alto così come avviene nella L. La R mostra un occhiello ben chiuso e una gamba leggermente flessa. La B è incisa con due occhielli uguali panciuti; la lettera O è scolpita con due tratti semilunati dall’alto verso il basso e non risulta perfettamente

circolare.

L’epigrafe

presenta

un

errore

commesso

dal

lapicida,

libetabusque anziché libertabusque. Forse è una svista di incisione del testo o un errore dell’ordinator che è stato copiato dal lapicida. Tutte le lettere sono marcate e incise con un solco profondo.

Bibliografia: la tabella è analizzata in Gradi,1987-1988,pp.108-9.

85


11.Lastra funeraria di Varius

Collocazione: a 120 cm da terra appesa sulla parete con tre grappe del corridoio tra la chiesa e il chiostro S.O. Stato di conservazione: frammento di lastra con epigrafe latina su cinque linee di scrittura, sembrerebbe la metà destra di una tabella. Il campo epigrafico è riquadrato in una cornice modanata da una gola rovescia. Scheggiature intaccano la fronte iscritta; la scrittura occupa anche una parte della cornice. Materiale: Marmo grigiastro. Misure: h max cm 28 x largh max cm 22.5 x sp max.cm 6 h max cm 18 x largh max cm 16,5 dello specchio epigrafico h max delle lettere nella prima, seconda e terza linea di scrittura cm 2,5, nella quarta cm 3 e nella quinta e ultima cm 2.

[---] Varius [---n] \ atione \ [---]| [---] is et \[---] poste[risque eo ] |rum Massimo Pedrazzoli integra così: [Diis Manibus]\ Varius natione \Romano et [- --] poste [ri eo]\rum61 Il reperto è frammentario e non si può avere una visione della sua funzione. L’iscrizione invece, qualche dato lo fornisce; infatti, riporta un epitaffio maschile con formula onomastica non completa (è solo il cognomen. Varius o [Ian]uarius ) La presenza del termine natione ci fa pensare che l’epigrafe, fosse indirizzata a uno degli auxiliares del defunto. La formula DM è scritta sulla cornice per una dimenticanza del lapicida o per un calcolo sbagliato dello spazio a disposizione per l’iscrizione. La scrittura non è accuratissima, le lettere sono profondamente incise, ma con tratto incerto. La P presenta un occhiello aperto,che ricorda lo stile corsivo, la M presenta le traverse centrali che si uniscono sulla linea di base; sulla seconda linea c’è un segno di interpunzione tra la S e la E di Et e un altro subito dopo. Non ci sono molti elementi indicatori per la datazione del reperto, tranne la presenza sulla cornice della formula agli dei Mani in forma abbreviata, espressione che compare dalla 61

Gradi, 1987-88, pp. 130-133.

86


fine del I secolo d. C.62 Tale elemento (postquem) di riferimento è l’unico per collocare cronologicamente il frammento.

Bibliografia: la lastra è presa in esame in Gradi, 1987-88, pp.130-133.

62

Calabi Limentani, 1968, p. 62 - 197

87


12.Lastra sepolcrale di due donne

Collocazione: appesa a 50 cm da terra nella parete SO del corridoio nel Lapidario. Stato di conservazione: piccolo frammento di lastrina mutila ai due lati con epigrafe latina lacunosa di due linee di scrittura scolpita su una superficie levigata; presenta numerose scheggiature ai margini e sull’angolo superiore. Materiale: marmo grigiastro. Misure: h max cm 9 x largh max cm 13 x sp. max cm 4 ca h max cm 8 xlargh max cm 12,8 del campo epigrafico h max delle lettere cm 2,5 - 2

[---] Q(uinti) f(iliae) Oliae---] [---Domi] tillae \ [---]\ La lastra di colombario presenta un’epigrafe con i frammenti di due nomi femminili e un patronimico, il resto dell’iscrizione è lacunoso e non ricostruibile. Sul supporto del testo non ci sono dati. Domitilla è il nome ricostruito dal finale di cognomen con la terminazione “tilla”; non è l’unico nome che può essere ricostruito da “tilla”, ma certamente uno dei più diffusi a Roma.63 Sebbene ciò che rimane del reperto sia molto poco, dal punto di vista paleografico, l’iscrizione presenta alcune caratteristiche: la lettera E compare con le traverse di diversa lunghezza lievemente ondulate verso l’alto come la lettera L, la O è perfettamente circolare; la Q ha una forma perfettamente circolare con la coda inclinata verso l’alto, mentre la T presenta la traversa superiore perfettamente perpendicolare. Le lettere conservate sono di ottima fattura, incise con un solco mediamente profondo a sezione triangolare e presentano una leggera apicatura . Le spaziature tra le lettere non presentano segni di interpunzione visibili tranne uno.

Bibliografia: Gradi, 1987-1988,pp. 103-107.

63

Gradi, 1987-1988, pp. 103-107.

88


13.Stele con figura del defunto con il cane sulla klinè

Collocazione. è posta a 135 cm da terra nella parete SO del corridoio nel Lapidario. Stato di conservazione: lastra di stele leggermente danneggiata sopra e sotto da due brutte fratture irregolari. Presenta un’immagine funeraria mutilata superiormente dalla frattura, al di sotto di questa una cornice racchiude un titulus sepolcrale latino di nove linee di scrittura integre. L’intero reperto è in discreto stato di conservazione, senza abrasioni lungo la faccia scolpita. Il marmo non è degradato da macchie o scurito dall’umidità o dal tempo. Materiale: marmo bianco a grana fina. Misure. h max cm 45 x largh max cm 25 x sp max. cm 4,5 h max cm 20 x largh max cm 18 dello specchio epigrafico h max delle lettere cm 1, 5 in tutte le linee di scrittura.

Dis Manibus sac(rum) \Syntamo vix(it) an(nis) XL / Iulia Philusa / soror fratri \ carissimo et /Theseus Fil(ius) patri /pio et Themis / conserva /fecerunt . La stele in esame è il reperto del Lapidario meglio conservato sia dal punto di vista del materiale che dell’epigrafe scolpita sulla fronte. Il marmo bianco di questa lastra non sembra avere subito modifiche meccaniche o di altro genere; si è formata sulla superficie del reperto una leggera patina di conservazione quasi incolore, trasparente, che ha protetto nel corso dei secoli fino ad oggi la lapide e non ha mutato l’aspetto estetico dell’oggetto. Però, benché sia ben mantenuta non si conosce la sua originaria provenienza ed è considerata erratica della zona. È suddivisa in due parti: la prima ospita un corredo iconografico, la seconda un’epigrafe sepolcrale ben inquadrata da una cornice a doppio listello piatto inciso. L’ immagine scolpita, rappresenta il defunto semi sdraiato su una klinè che accarezza con una mano il suo cane e con l’altra si tiene la testa; un atteggiamento comunemente raffigurato già nelle urnette e nei sarcofagi etruschi e medio italici fin dall’epoca più antica (dalla fine del V secolo a. C.), trasmessi dalla tradizione medio italica nella cultura romana, all’interno della quale si sviluppa fino ad esperienze di serie. L’esemplare, che si trova 89


presso la basilica di San Giovanni a Porta Latina, presenta un aspetto formale ben reso. È assente, però, la cura dei particolari, che farebbe supporre una produzione di bottega a livello seriale, adattata per questa epigrafe. La scena rimanda a un momento della vita quotidiana del defunto, un motivo intimo, che piace molto ai privati per la loro raffigurazione sui monumenti funerari. La scultura, realizzata a bassorilievo, è compressa sopra il titulus sepolcrale, svalutando lievemente l’immagine a favore del testo. La figura esprime una fisionomia essenziale, ma non senza una certa attenzione nella realizzazione. Il tratto realizzato dal bulino dell’artista è delicato e pare opera di una mano esperta. Nonostante sia serializzata, la stele espone un ‘immagine di buona qualità. Un’immagine confrontabile con questa proviene da un rilievo in pietra calcarea con corteo funebre di Amiterum, San Vittorino, del Museo Nazionale d’Abruzzo , datato alla seconda metà del I secolo a .C. La figurazione del morto , adagiata su un fianco e in posizione simile alla stele in esame; entrambi sembrano descrivere puntualmente il defunto con intento quasi espositivo la scultura. 64 La scultura del reperto in esame anche se più recente del confronto, tipologicamente non se ne discosta molto. Il contenuto dell’epigrafe sepolcrale è completo: presenta un’invocazione in forma intera agli dei dell’oltretomba pagano (gli dei Mani), il nome del defunto con l’indicazione biografica, il nome dei dedicanti con il loro rapporto di parentela con il defunto e il verbo di offerta. Il committente del sepolcro e della stele è una donna, certa Iulia Philusa, l’unica, forse tra i dedicanti, che può sostenere la spesa per il monumento e la stele. L’epigrafe, dal punto di vista paleografico, presenta una O scolpita perfettamente tonda, la P realizzata con l’occhiello aperto; la I di Dis è lunga ed espressa tramite l’allungamento del tratto d’incisione. Tutte le lettere presentano una forte apicatura e sono incise in 64

Bianchi Bandinelli, 2001 p. 59 ( fig n 60 e 61 ).

90


capitale quadrata. L’iscrizione è curata, con dodici segni di interpunzione triangolari, messi a separare le parole. Secondo il Solin il monumento, quanto l’iscrizione, sono databili tra il I e il II d.C.65

Bibliografia: lì epigrafe è edita in C.I.L. , VI, 27067.

65

Solin, 1982, p. 442 I p. 654.

91


14.Lastra sepolcrale di donna

Collocazione frammento a): appeso lungo la parete centrale della torre campanaria. Stato di conservazione: il frammento superiore destro della lastra presenta un nome soprascritto - “Martinelli Augusto ’57” - potrebbe essere forse colui che l’ha trovata, o l’atto di un vandalo. Materiale: marmo bianco. Misure: h cm 21 x largh cm. 31 x sp. cm 7 dimensioni del campo epigrafico non riportabili h delle lettere cm 3 Man]ibus Sac(rum)\ [- - -] Tigridi \ [- - -] Felix Collocazione frammento b): appeso lungo la parete centrale della torre campanaria. Stato di conservazione: il frammento centrale della lastra conserva tracce di tre linee molto lacunose di un iscrizione con lo stesso nome soprascritto del primo frammento “Martinelli Augusto ’57”. Materiale:marmo bianco. Misure: h max cm 37 x largh. max cm 41,5 x sp. max cm 7 dimensioni del campo epigrafico non riportabili h max delle lettere cm 3 Flav[iae] [- - -]\ T(itus) Flaviu[s- - -] \coniugi kar[issimae et san] ctissimae [- - -]

Questi due frammenti appartenenti alla stessa lastra sono stati danneggiati in epoca moderna, come confermato dalla trascrizione in forma completa eseguita dal Crescimbeni e dal C.I.L. in un momento precedente: queste due pubblicazioni del XVIII e XIX secolo trascrivono così l’epigrafe del reperto in questione: Diis Manibus

sac(rm ) \ Flaviae Tigridi \ Ti(tus)

Flavius Felix\ coniugi carissimae et

san|ctissimae vixit annisXXVIIII| mensibus VIII |et T(tus)Flavius Mencles pater |et Flavius Sverus filius |fecerunt suis et sibi libetis libertabusque eorum Anche se non si può esaminare bene il reperto per il suo esiguo e cattivo stato di conservazione, l’epigrafe può parzialmente illustrare la funzione del reperto. Si tratta di un’epigrafe funeraria con i resti di sei linee lacunose che informano i passanti sulla storia del defunto e del monumento, secondo le consuete indicazioni dei titoli 92


cimiteriali; dell’intero contenuto dell’iscrizione permangono il nome della defunta, quello del dedicante (suo marito), l’invocazione agli dei Mani e una definizione della virtù della defunta espressa con dei superlativi. La vita dell’estinta doveva essere ricordata attraverso il dies natalis, seguivano gli altri dedicanti con il loro grado di parentela rispetto la defunta, il verbo (in questo caso coniugato alla terza persona plurale) e la formula di dedica ai liberti e alle liberte e ai loro posteri. La defunta e il padre di lei presentano dei nomi di derivazione greca, forse erano di origini greco-orientali. Menecles, infatti, è un nome di chiara derivazione greca, mentre Tigris è uno di quei nomi di origine incerta, ma sicuramente non latini. 66 Al contrario non ci sono dubbi sull’origine romana del figlio di Flavia, avendo un cognomen latino così diffuso come Felix. Lo si trova soprattutto in testi epigrafici cristiani. 67 Dal punto di vista paleografico, la G di coniugi è un po’ simile al corsivo, la R e la D sono rese illeggibili da due brutte scheggiature; mentre il K presenta le alette appena accennate; le O sono tonde. Le M sono di sapore arcaico con le traverse laterali estremamente divaricate. Le lettere, malgrado la lastra sia molto consumata, sono eleganti abbastanza apicate e di uguale grandezza. Nell’ordinatio il lapicida ha cercato la spaziatura costante, ma non è riuscito nell’intento. Non è facile datare il reperto.

Bibliografia: edito in C.I.L., VI, 1844.

.Kajanto, 1966, pp. 11-329.

66 67

Kajanto, 1963, pp. 13 22 26 2 9 30 37 71-73 184 272.

93


15.Tegola con bollo doliare

Collocazione: affissa con tre grappe sul muro di sinistra del campanile. Stato di conservazione: la tegola probabilmente ricopriva l’antico tetto ed è ben conservata, recante uno stampiglio doliare, mancante del lato inferiore sinistro, fratturata in due punti lungo il lato superiore. Materiale: terracotta. Misure: h max cm 38 x largh. max cm 54 x sp. max cm 1,5 . h max cm 19 x largh. max cm 4,8 del bollo

Reg(nante) D(omino) Thede(+ rico )bono Rome Tegola che parecchi studiosi considerano parte dell’antico tetto con stampiglio doliare iscritto su due linee di scrittura sovrapposte, impresso abbastanza profondamente, perfettamente leggibile. A detta dei padri rosminiani, c’erano nella chiesa almeno cinque esemplari con questo bollo, ma oggi ne resta uno solo. Sempre secondo i padri del collegio, le altre tegole sono state trafugate, dal 1939 a oggi, assieme ad altri preziosi reperti di questa collezione considerati attualmente dispersi.68 Ci sono altri esemplari a Roma di stampigli analoghi, tra cui un bollo rettangolare conservato nell’ambulatorio della basilica di Santa Pudenziana, ad esso coevo. Questi bolli rappresentano le ultime produzioni romane di bolli doliari; dopo Teodorico, infatti, non si trovano più bolli statali romani, ma compaiono lentamente quelli papali o chiesastici, diffusi poi in tutto il medioevo e oltre.(di questo tipo di bolli ci sono vari reperti non leggibili e poco ben conservati nella torre campanaria, di poco valore artistico e storico, se non per testimoniare i vari interventi alla chiesa). Il reperto è databile tra il 496 e il 526 d. C. Bibliografia: la tegola è inedita,ma ci sono esemplari simili in CIL XV 1665.

68

Krautheimer, 1936, p. 486 e cfr C.I.L., XV, 1665.

94


16. Lastra di urnetta

Collocazione: Lapidario, appesa con due grappe alla parete S. O. del corridoio Stato di conservazione: frammento di parte sinistra di una fronte di lastra di una piccola urna con numerose scheggiature lungo i bordi e con fratture. Presenta tracce di malta. Il marmo ha sfarinato ai bordi della cornice e sul campo epigrafico in alcuni punti . Materiale: marmo grigiastro Misure: h max cm 19 x largh max cm 21 x sp max cm 4,5 h max cm 8,2 x largh max cm 10 ca del campo epigrafico h max delle lettere cm 1 in tutte le linee di scrittura.

L(ucius) Agriu[s] [- - - ]/ fecit s[ibi et ] / Aquiliae pie [ - - - ]/ suae c[arissmae] / et [- - -] . Frammento di lastra per urnetta con iscrizione latina impaginata in uno specchio epigrafico ribassato, delimitato da una cornice costituita da un listello di foglie lanceolate. Si conservano cinque linee lacunose di scrittura di una dedica funeraria fatta da un certo Lucius Agrius per se stesso e per una tale Aquilia, forse moglie del dedicante, definita nell’iscrizione suae carissimae da Agrius; a questi due nomi se ne aggiungevano probabilmente altri poiché resta una congiunzione copulativa, et .il verbo di dedica è il consueto fecit . Lungo i lati della cornice, entro cui corre l’iscrizione, corre un rilievo di frutti o di decorazioni vegetali, oggi assolutamente indistinguibili. Nell’iscrizione la lettera mutila dopo la I di Pi è di incerta interpretazione tra la B, la D, la E, la F, la L, la M, la N, la I, la P e la R. I nomi dei due defunti sono molto attestati, sia Agrius che Aquilia, trovano confronti in altre epigrafi urbane.69 L’epigrafe è rovinata, ma si nota, dal punto di vista paleografico, ancora un tratto di incisione della scrittura molto accurato e sobrio reso con un solco molto profondo.

69

Cfr C. I. L .VI Indices.

95


Le lettere presentano tutte una discreta apicatura; la P e la R presentano un occhiello chiaramente aperto . Sulla base di confronti stilistici e paleografici il reperto e la sua iscrizione sono databili tra il I e il II secolo d. C. 70

Bibliografia: Gradi, 1997-1998, pp. 113-116 per il reperto.

70

La decorazione vegetale e il modo di racchiudere il campo epigrafico sono vicini alle urrne trattete da Buonocore, 1984, pp. 97-98 (n 5), pp. 124-128 (n 88), pp. 135-137 ( n 106) , pp. 184-185 (n 186).

96


17. Lastra sepolcrale di bambina

Collocazione: inserita nella pavimentazione esterna alla chiesa subito dietro la seconda colonna del portico a partire da sinistra verso la porta d’accesso. Stato di conservazione: frammento sinistro di lastra sepolcrale scorniciato molto ben conservato . Riuso: edilizio, apotropaico, nella pavimentazione del portico come lastra pavimentale Materiale: marmo bianco a grana fina. Misure: h max cm 48 x largh max cm 42 x sp max non calcolabile per via della pavimentazione Le dimensioni del campo epigrafico non sono calcolabili h max delle lettere cm 3 in tutte le linee di scrittura.

D(is) M(anibus) / Hermes Aug(usti) [lib(ertus]/ fecit / felicissimae al[umnae] / benemerenti q[uae] / vixit ann(is) IIII m[en(ibus)] / dieb(us) IIII hor(is) [ VI] L’iscrizione è mutila, ma gli autori del C. I. L. ( Bormann, Henzen, H uelsen ) la trascrivono integra. È un reperto riutilizzato come lastra pavimentale. A Roma si contano numerosi esempi di questa manifestazione di esibizione pregiata di reliquie, inserite in vari punti della chiesa (San Lorenzo in Lucina, San Clemente, Santa Agnese, San Lorenzo fuori le mura ecc); alcuni blocchi iscritti sono incastonati tra le lastre pavimentali, utilizzati forse per esorcizzare i demoni, consuetudine molto attestata nell’Egitto post- faraonico.71 È una lastra sepolcrale con iscrizione latina; reca D.M, l’adprecatio agli Dei Mani, in forma abbreviata, forma che si trova a partire dalla metà del I secolo a. C. Si conservano sette linee di scrittura di un ricordo funebre di un liberto imperiale (libertus augusti) ad una bambina morta a quattro anni, quattro mesi, quattro giorni e sei ore, secondo l’indicazione biografica molto dettagliata dell’epigrafe. Della dedica rimangono: il nome del liberto dedicante, l’adprecatio, l’indicazione biografica della bambina, il motivo del ricordo (benemerenti).e il verbo di morte della bambina. Non si

71

V. d. p. 79 del catalogo.

97


è conservato il nome della destinataria che è definita alumna, forse un orfanella alunna del liberto o un orfanella da lui adottata. Il nome del liberto Hermes è di origine greca (derivato dal nome della divinità greca). La destinataria è espressa in dativo. Dal punto di vista paleografico, presenta una scrittura elegante caratterizzata dalla sobrietà dell’incisione; le lettere sono in capitale quadrata e eseguite con un solco molto profondo, tutte ben distinguibili e leggermente apicate . I segni di interpunzione sono sei e di forma triangolare . Il Solin data la lastra sepolcrale tra il I e il II secolo d. C. 72

Bibliografia: il testo è edito in C. I . L. ,VI, 19385.

72

Solin, 1982, p346, I.

98


LE TERRECOTTE

1.Antefissa con palmetta a cinque lobi Collocazione: parete S. O. del corridoio. Stato di conservazione: mutila ai due lati Materiale: terracotta. Misure: h max cm 12 x largh max cm 14 x sp max cm 3,5.

È un’antefissa con motivo decorativo a palmetta mutilo dei due lobi laterali. Il motivo a palmetta è già diffuso a Roma nella tradizione italica e poi reintrodotto durante l’ellenizzazione della città. Questa antefissa è a forma di palmetta a cinque lobi, dove i lobi laterali si riducono a favore di quelli centrali, tutti ricurvi verso l’esterno. Nel Museo Nazionale Romano ci sono degli esempi simili paragonabili a questa antefissa (tipi VI e VII) definiti come “antefisse di classe A” (n 295 – 296 – 520 - 814

), con

73

scanalature dei lobi poco accentuate, tipiche di una serie più recente di antefisse a palmetta, dai lobi ricurvi verso l’esterno e lobi mediani più sviluppati rispetto ai laterali, di epoca augustea. Per la somiglianza alle palmette del Museo Nazionale Romano, poiché si caratterizza come una antefissa di questo periodo artistico, la palmetta di San Giovanni a Porta Latina è databile tra l’ultimo quarto del I secolo a. C. e il primo quarto del I d. C.

Bibliografia:l’antefissa è inedita.

73

Pensabene, 1983, p. 35.

99


2.Lastra con Gorgoneion

Collocazione: parete S. O .del corridoio. Stato di conservazione: si conserva soltanto un frammento di volto “umano” Materiale: terracotta. Misure: h max cm 29 x largh max cm 21 x sp max cm 4,5

Testa di Gorgone caratterizzata da una doppia fila di riccioli “a chiocciola” che inquadrano la parte superiore del volto, con lavorazione estremamente curata. Si tratta di un frammento di lastra raffigurante un Gorgoneion, di cui si conserva la parte superiore del volto fino alla linea degli occhi. Le figure di gorgoneia e le terrecotte architettoniche con Sileni compaiono sullo scenario italico e romano dall’epoca tardo arcaica, con l’aumentare delle dimensioni delle terrecotte. Questo reperto, però, sembra più recente rispetto al periodo tardo arcaico.74 Si potrebbe creare un paragone tra questa e una testa di Sileno (tav XXIII n 8675) che appartiene alla collezione dell’Antiquarium comunale di Roma, perché entrambe, sebbene siano diverse le figure (un Sileno l’una ed una Gorgone l’altra), presentano la stessa tipologia figurativa e stilistica. Il Sileno, però, si presenta ben conservato rispetto alla Gorgone, con i baffi che terminano a volta e la base del reperto decorata con una collana di palmette e ornamenti vegetali. La plastica a bassorilievo dell’una e dell’altra terracotta, si ascrive intorno alla metà del I secolo a.C.

Bibliografia . il reperto è inedito.

74

Pensabene, 1983 ,pp. 34 e ss .

75

Anselmino, 1994, tav XXIII n 86.

100


3.Antefissa con testa di Gorgone

Collocazione: parete S.O. del corridoio. Stato di conservazione: mutila. Materiale: terracotta. Misure: h max cm 16 x largh max cm 16 x sp max cm 3

Testa di Gorgone, caratterizzata da una pettinatura formata da una triplice fila di riccioli calamistrati che incorniciano la fronte come un diadema; dalla bocca spalancata esce la lingua. La testa poggia su cespo di acanto oggi perduto; rimane soltanto la testa della gorgone. Un reperto molto simile a questo, si ritrova nella collezione comunale dell’Antiquarium di Roma76 (antefissa 58 inv 146), proveniente da Vigna Codini, che presenta una palmetta con testa gorgonica, realizzata con la medesima iconografia presente presso la basilica di San Giovanni a Porta Latina. Il motivo e lo stile di questi due reperti fittili appartengono alla produzione della seconda metà del I secolo a. C.

Bibliografia: l’antefissa è inedita.

76

Anselmino,1994, tav XIII 58.

101


4.Lastra di rivestimento con motivi vegetali

Collocazione: parete S.O. Stato di conservazione: frammento di lastra ornamentale mutila della parte superiore decorata. Materiale: terracotta. Misure:h max cm 16 x largh max cm 15 x sp max cm 5

Si conserva la parte inferiore dell’antefissa decorata con motivi vegetali; la parte rivolta verso il basso mostra in bassorilievo una serie di baccelli, mentre al di sopra si intravede un girale di tralcio su superficie abrasa e molto rovinata. Questo reperto fittile trova dei confronti stilistici nella serie lastre Campana, scoperta negli ultimi scavi effettuati sul Palatino nella zona del Tempio di Apollo Palatino; si cita ad esempio una lastra che descrive la storia di Perseo e la Gorgone Medusa (la cui testa è portata dall’eroe in trionfo ad Atena, di profilo sul lato opposto della lastra) compresa tra due “fregi” di baccellature a rilievo.77 Pur se le baccellature, nelle due lastre a confronto, sono rese in maniera diversa, lo stile delle lastre è il medesimo. Tutte e due sono reperti coevi del I d. C., in epoca augustea.

Bibliografia: inedito.

77

La Regina, 2004, p. 57.

102


5.Lastra ornamentale con motivo vegetale

Collocazione: appesa alla parete S.O.del corridoio. Stato di conservazione: molto frammentaria su tutti i lati. Materiale: terracotta. Misure: h max cm 19,5 x largh max cm 13,5 x sp max cm 4.5

Lastra di rivestimento con motivo vegetale caratterizzato da una decorazione a quattro/cinque baccelli e rosette (fiori). La decorazione risulta mutila e difficilmente ricostruibile nel suo insieme; probabilmente si trattava di un motivo di viticcio o di acanto con baccelli a rilievo, circondati da una sorta di “sgusci”, ispirato dal contesto di Dioniso, con l’esaltazione del benessere, del piacere, della salute e dell’abbondanza, ma non legato al culto del dio, ma a ciò che impersona nel mondo romano. La destinazione della lastra era di ambito privato con ambizione modesta, che si accontentava di una figurazione vegetale Lo stato di permanenza non è dei migliori, considerando le altre lastre di Roma che sono catalogabili all’interno della stessa serie detta “lastre Campana“. Non ci sono altre terrecotte come questa, ma nella serie Campana si trova come motivo ricorrente il “fregio” di baccelli, a guarnire come una cornice, inferiormente e superiormente, le lastre di rivestimento rinvenute sul Palatino. Una lastra in particolare, presenta un motivo analogo alla tabella in esame, seppure con una scena mitica, la lotta tra Apollo e Ercole per il possesso del tripode delfico. La lastra di raffronto è un oggetto di legittimazione del potere dell’imperatore, Augusto, rappresentato come Apollo vs Antonio nella forma di Ercole. È, infatti, datata proprio negli anni cruciali della lotta tra Augusto e Antonio (25.30 a. C.).78

78

La Regina, 2004, p .57.

103


Al contrario del reperto del Celio, quella del Palatino è in ottimo stato di conservazione, inoltre, nella resa plastica, si avvicina allo stile neoattico. La lastra di San Giovanni a Porta Latina non può restituire, per l’esiguità della decorazione, un’idea globale e una classificazione stilistica del motivo. Per l’affinità tipologica dei baccelli con la lastra del Museo Palatino, è databile tra il I secolo a. C. ed il I secolo d. C.

Bibliografia: il frammento è inedito.

104


6.Antefissa con palmetta, conchiglia, delfini laterali e base ad astragalo

Collocazione: parete S.O. del corridoio nel Lapidario Stato di conservazione: fratturata trasversalmente sulla base e spezzata agli angoli superiori destro e sinistro. Materiale: terracotta. Misure:h max cm 20 x largh max cm 16.5 x sp max cm 3.5

Antefissa con palmetta, conchiglia, delfini laterali e fregio con astragali. Presenta un motivo a palmetta a sette lobi con una conchiglia da cui essa nasce; vi sono due delfini guizzanti in posizione araldica ai due alti della conchiglia. La base dell’antefissa presenta un astragalo a fusarole e perline compreso tra due listelli arrotondati. La decorazione s’interrompe in vicinanza di una brutta frattura ed è corrosa ai margini del reperto per il degrado. Il colore dell’argilla è alterato. Tale tipo di ornato è molto diffuso a Roma e presenta notevoli variazioni in tema come si riscontra nelle antefisse del Museo Nazionale Romano, che presentano una palmetta con sette lobi scanalati con spirali circolari rivolte verso l’interno e foglia d’acanto con perlina alla base delfini alterali (n 586, n 587,n 588, n 589 e altre79). Un esemplare con lo stesso identico motivo si trova nel Museo Nazionale Romano ed è l’antefissa n 584, di cui resta la parte inferiore, di argilla rosa chiaro e inclusioni rosse, piccole e grandi; si tratta di una palmetta piuttosto frammentaria, con sette lobi a sezione angolare che nascono da una conchiglia a quattordici costolature. Ai lati della conchiglia guizzano due delfini piuttosto sporgenti in forma araldica. Lo zoccolo di base è ridotto a un listello piuttosto sottile. 80

79

Pensabene, 1983, p.218 n 586.-7-8-9.

80

Pensabene, 1983, p. .217 n 584.

105


La base dell’antefissa della collezione di San Giovanni a Porta Latina però, ricorda quella dell’antefissa n 585 del Museo Nazionale Romano, con fregio realizzato con la medesima iconografia, anche se nella terracotta architettonica in esame, il fregio sembrerebbe ingrandito e meglio mantenuto.81 Per le forti affinità con i due reperti datati tra la metà del I secolo a. C. e l’inizio del I secolo d. C. (n 584 e 585 del Museo Nazionale Romano), il reperto è databile nello stesso periodo.

Bibliografia: l’antefissa è inedita.

81

Pensabene, 1983, p.217 (n 585).

106


7.Antefissa con palmetta a sette lobi,foglia d’acanto raccolta, protomi di aquila ai lati in posizione araldica e fregio ad astragalo Collocazione: parete S.O. del corridoio nel Lapidario. Stato di conservazione: resta la parte inferiore di antefissa a palmetta, la base è malamente preservata. Materiale: terracotta. Misure:h max cm 14 xlargh max cm 16,5 x sp max cm 3,5

Antefissa con palmetta a sette lobi; presenta una foglia centrale d’Acanto raccolta, i lobi laterali sottili che non terminano a spirale (perché probabilmente la parte finale dei lobi è andata perduta) con protomi di aquila laterali in posizione araldica. È confrontabile con una terracotta architettonica proveniente dal Museo Nazionale Romano, la n 808, una palmetta che presenta anch’essa sette lobi percorsi da una solcatura a sezione convessa e foglia centrale d’acanto raccolta, due protomi d’aquila laterali e lobi terminanti a spirale ad anello. La base è guarnita da un fregio ad astragalo a fusarole e perline, un po’ degradato.82 Entrambi le antefisse riproducono lo stesso motivo, ma la n 808 presenta i lobi più solcati che per di più terminano a spirale. La base dell’antefissa n 808 presenta un fregio ad astragalo più grande e più a rilievo del fregio In generale l’ornato sui due reperti è un’evoluzione di modello a palmetta, nascente da un cespo d’acanto del periodo tardo ellenistico, di classe C, che presenta piccole variazioni in tema .83 La lavorazione è classicistica per la resa plastica e naturalistica degli elementi floreali; sono prodotti di epoca augustea. 84 82

Pensabene, 1983, p. 265, (n 808) in Tav CXXV.

83

Pensabene ,1983, p. 36, Classe C.

84

Pensabene, 1983, pp. 35-36, Classe A e Classe C.

107


L’antefissa, per tipologia analoga alla 808 del Museo Nazionale Romano, datata alla fine del I secolo a. C., è databile al principato di Augusto.

Bibliografia: l’antefissa è inedita.

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8.Lastra di rivestimento “Pre-Campana” con motivo vegetale

Collocazione: parete S.O.del corridoio nel Lapidario. Stato di conservazione: mutila sui lati sinistro e destro, conserva tracce di scialbatura. Materiale: terracotta. Misure: h max cm 16 x largh max cm 18 x sp max cm 4,5

Lastra ornamentale con motivo floreale dal sarmento stilizzato e terminante a piccole spirali; con rametti ad S intervallati da riempitivi simili a fusi. Il tema è mutilato ai due lati da due fratture. Pertanto dell’intero fregio si preservano tre spirali con tre riempitivi, il terzo elemento di entrambi (la S e il riempitivo) sono mancanti. Sopra il motivo a bassorilievo ci sono tracce di colore biancastro, unica testimonianza dell’antica policromia, che era una caratteristica peculiare della maggior parte delle terrecotte del mondo romano. Il bianco è solo uno dei sette colori principali che venivano dipinti a encausto o a tempera, durante l’epoca tardo repubblicana e nella prima età imperiale: rosso, marrone, azzurro, giallo, verde, violetto e bianco. Il bianco è ottenuto lasciando nei punti interessati solo lo strato di calce, che tendeva al bianco, come probabilmente è accaduto per l’antefissa in esame, oppure usando la biacca. L’una con il tempo tende a deteriorarsi come la calce dei muri, l’altra, la biacca, è incline ad annerire per la formazione di cristalli di sale, ma è forse più resistente della prima all’umidità e agli agenti esogeni. La resa delle S del motivo è molto sinuosa, le forme sono molto classicheggianti. Le due S più interne sembrano formare un cuore fiorito, molto elegante e delicato. Il tipo del motivo figurato è catalogabile nella classe delle lastre fittili dette “lastre pre-Campana”, prima della diffusione delle “lastre Campana” vere e proprie, nel Lazio con numerosi rinvenimenti anche in Campania.

109


La decorazione vegetale ad S e i riempitivi simili a fusi, forse semplici foglie ad un solo lobo o bastoncini affusolati, sono figure già note ai Romani; forse un’evoluzione del tralcio continuo, spezzato in piccole S autonome, frammenti di racemo stilizzato con una resa vicina al naturalismo, ma con un risultato un po’ diverso dai viticci delle province, dove il substrato culturale vincola la loro realizzazione plastica (soprattutto nelle Gallie) secondo la tradizione preromana. A scandire gli spazi vuoti tra una S e l’altra degli elementi affusolati a distanze regolari. Se le distanze non fossero tali e non fosse un frammento rinvenuto a Roma, si potrebbe dire che è un prodotto provinciale con horror vacui dell’artista; invece, i riempitivi, sono saggiamente collocati secondo un ordine preciso, esprimendo un gusto particolare che non si riduce alla paura di lasciare gli spazi vuoti dell’ornato, ma con determinata volontà ricorre a questi elementi per impreziosire la terracotta. La matrice non doveva essere stata tanto sfruttata, dato che l’antefissa presenta il motivo a bassorilievo reso come fosse il primo utilizzo, mostrando visibile tutto il “fregio” nel dettaglio, nonostante l’azione corrosiva del tempo e degli agenti esogeni. Il tipo di ornato non specifica la sua destinazione, ma poteva essere anche di ambito privato poiché esistono esempi di questo genere posti sulle pareti di residenze private. In mancanza di studi sull’argilla, utilizzata per questo reperto e di analisi di laboratorio, non è possibile risalire al luogo di fabbricazione del reperto. Non ci sono a Roma modelli convincenti confrontabili con questo. Stabilire la cronologia è perciò piuttosto ostico, perché lo stesso motivo è ricorrente e diffuso tra la fine del I secolo a. C. e la prima metà del I secolo d. C. Per la presenza di reperti fittili in questa collezione prevalentemente augustei si potrebbe porre la datazione della lastra di rivestimento al periodo augusteo (27/ 23 - 14 d.C.)

Bibliografia . il reperto è inedito.

110


FRAMMENTI LAPIDEI A RILIEVO

1.Lastra a rilievo con Apollo delfico Collocazione: muro di sinistra del portico, parte esterna del campanile Riuso:edilizio per inserto murario della parete con la fronte scolpita a vista con scopo estetico Stato di conservazione: frammento superiore destro di lastra liscia scolpita, con motivo figurato mutilato da una spaccatura netta. Rimane la metà superiore della scultura. Materiale: marmo bianco. Misure:h max cm 25 x largh max cm 49 x sp max cm 3

Presso la sede della basilica di San Giovanni a Porta Latina, riusata come blocco edilizio del muro sinistro del portico al lato dell’ingresso al campanile, è conservata una lastra marmorea liscia con fronte scolpita verso lo spettatore con motivo figurato. La scena raffigurata per intero narrava la storia di Apollo in lotta con Ercole per il tripode delfico, di cui resta solo la testa di Apollo con la sua mano che impugna il tripode. Non si sa di preciso quale fosse la destinazione di tale lastra. La vicenda che era rappresentata vedeva il dio e l’eroe contendersi l’oracolo di Delfi, per l’inadempiuta risposta di una sacerdotessa, contesa che verrà bloccata solo da Giove con uno dei suoi fulmini. Non è difficile ricostruire il mito di questa scultura perché si conservano altri frammenti con questa fabula non solo su marmo, ma anche su terracotta, come la lastra fittile del Palatino (già citata) che è stata spesso anche letta in chiave politica (la lotta tra Augusto e Antonio). In tutta l’arte antica Apollo appare raffigurato alternativamente seguendo due modelli iconografici principali: il primo lo rappresenta come un giovane bellissimo, sbarbato, dai capelli lunghi e strane treccioline radiali (come i kuoroi arcaici), gli occhi a mandorla che richiamano quelli delle popolazioni orientali e ricordano le immagini del mondo ionico, in posizione stante un po’ rigida. Il secondo lo raffigura come un giovane atleta, senza barba, 111


vicino ai modelli fidiaci classici, un po’ realistici nello studio delle anatomie e un po’ idealizzati nella resa dei corpi “efebici”, quasi perfetti. Il frammento sembrerebbe ricorrere ad un modello di noto sapore arcaico poiché i capelli del dio sono pettinati come quelli arcaici, gli occhi sembrano un po’ a mandorla e la resa plastica, è leggermente rigida e somiglia ai corpi dei Kouroi dell‘epoca tardo arcaica. Si cela però, nell’immagine, una profonda conoscenza delle forme del mondo ellenico posteriore all’arcaico, ravvisabile nel realismo e nel senso anatomico della muscolatura del collo, unita alla tradizione squisitamente romana, di origine medio italica, visibile nell’esecuzione del tripode, poco realistica, che si avvicina al caricaturale. I modelli arcaicizzanti a Roma sono reintrodotti, alternativamente ad altri, in senso programmatico e paradigmatico, durante il principato di Augusto, come l’esempio offerto dal pannello sinistro del lato orientale dell’Ara Pacis, raffigurante il Lupercale, con il dio Marte barbato, rappresentato secondo l’iconografia arcaica, ma dalla ritrattistica romana. Per la presenza di un modello arcaicizzante greco, con richiami a quello romano però, si può datare alla fine del I d. C.

Bibliografia: probabilmente inedito

112


2.Sarcofago con parte anteriore di leone

Collocazione: appeso alla parete di destra del portico nella parete esterna del campanile. Stato di conservazione: frammento resecato su tutti i lati per inserirla nella specie di “fornetto “ nella parete destra del portico di natura calcarea. Riuso: edilizio come lastra parietale Materiale: marmo. Misure: h max cm 69,5 x largh max cm 50 x sp max non calcolabile per via del muro

Lastra di sarcofago che conserva la parte anteriore di un leone con tracce di rosso. Si tratta forse di uno dei colori con cui era adornato il bassorilievo del sarcofago. La criniera del felino è resa con dovizia di particolari con i crini mossi che terminano arricciati; il dorso è raffigurato tenendo conto dell’anatomia dell’animale. Nella mitologia romana il Leone è un animale apotropaico. In campo funerario si riteneva che una serie particolare di animali, tra cui il leone, conducessero l’anima del defunto nell’aldilà; il leone, come la tarasca o tarasque, è quindi un elemento dell’ambito escatologico, che ha valore di accompagnamento dell’anima del defunto e di allontanamento del maligno sia dal defunto sia dal suo luogo di sepoltura. La caccia allude alla caccia eterna e la vita nell’aldilà . Un frammento conservato nei Magazzini del Museo Nazionale Romano (il n 6 inv. 9061) è paragonabile al pezzo in esame: presenta un’iconografia identica a quella della lastra di San Giovanni a Porta Latina, ma in più, conserva la parte inferiore posteriore di un cavaliere al galoppo, che sovrasta il leone stremato dalla fatica.85 Il sarcofago n 6 è stato datato dal Giuliano nell’ultimo decennio del III d. C.

85

Baldassarri in Giuliano1996, pp. 6-7 (n 6 inv 9061).

113


Per affinità iconografica e perché presenta un rendimento stilistico poco curato, anche la lastra frontale della collezione di San Giovanni a Porta Latina è databile nell’ultimo decennio del III secolo d. C.

Bibliografia :inedito.

114


3.Sarcofago con motivo militare

Collocazione: appeso alla parete S.O. del corridoio di connessione tra il chiostro e il collegio Rosminiano Stato di conservazione: frammento di lastra frontale di sarcofago figurato spezzata su tutti i lati, intaccata da macchie calcaree. Materiale: marmo bianco. Misure. h max cm 40 x largh max cm 27 x sp max cm 5

Lastra frontale di sarcofago che restituisce un’immagine di tipo militare; rappresenta due soldati, per lo più conservati all’altezza del busto (acefali), in una scena di “commiato”. Uno dei due tiene con una mano uno scudo e l’altro tende il braccio e la mano verso la spalla del compagno. Si notano ancora le sinuosità e i virtuosismi dei panneggi degli abiti dei due soldati, specie intorno alle clamidi e la perfetta circolarità dello scudo. La qualità doveva essere elevata, considerando che si percepiscono certe finezze e complessità pur in un frammento così ridotto. Il reperto di San Giovanni a Porta Latina, per il tipo di motivo e per le sue piccole finezze, potrebbe essere datato a cavallo tra il II e il III secolo d. C., quando ancora nello stile si nota una corruzione delle forme simili a quelle severiane, nel moltiplicarsi delle pieghe degli abiti e in quel poco che rimane delle anatomie, se pur si cela qualche lieve reminiscenza classicistica.

Bibliografia : il frammento è inedito.

115


4.Due Lastre di sarcofago strigilato

Collocazione reperto a): appesa alla parete S.O.del corridoio di comunicazione tra chiesa chiostro e collegio. Stato di conservazione: fronte di sarcofago che conserva un campo strigilato. Materiale: marmo. Misure: h max cm 26 x largh max cm 17,5 x sp max cm 4

Lastra di sarcofago che conserva solo il campo strigliato, con strigilature doppie a dorsi acuti combacianti. Il frammento è confrontabile con un esemplare del Museo Nazionale Romano (il n 169), che restituisce un campo strigilato al di sotto del bordo superiore liscio delimitato da una gola rovescia. 86 Si possono trovare strigilature differenti come nei frammenti di sarcofago del Museo Nazionale Romano (n 98 137

138 168), “scavate” rispetto al fondo della fronte dei

sarcofagi e a rilievo, con le linee sinuose a S divergenti o convergenti rispetto alle figure, tutti quanti databili nel corso del III secolo d C. Sono sarcofagi che rimandano con le figure di eroti, Geni alati stagionali ecc., al ciclo di Dioniso e al culto misterico escatologico del defunto. Il reperto, come i suoi confronti è databile al III secolo d. C..87

bibliografia: il frammento è inedito.

86

Musso in Giuliano 1988, p. 147.

87

Musso in Giuliano 1988, pp. 117- 118- 147.

116


Collocazione reperto b): appesa alla parete SO del corridoio di comunicazione tra chiesa chiostro e collegio; posizionata orizzontalmente e non verticalmente nel senso della decorazione, come, probabilmente, in origine Stato di conservazione: fronte di sarcofago che conserva un campo strigilato Materiale: marmo. Misure: h max cm 13 x largh max cm 8 x sp max cm 3,5

Lastra di sarcofago che conserva solo il campo strigliato, con strigilature doppie a dorsi acuti combacianti. Il frammento è confrontabile con un esemplare del Museo Nazionale Romano, (il n 169) che restituisce un campo strigilato al di sotto del bordo superiore liscio delimitato da una gola rovescia. Si possono trovare strigilature differenti come nei frammenti di sarcofago del Museo Nazionale Romano (n 98 137

138 168), “scavate” rispetto al fondo della fronte dei

sarcofagi e a rilievo, con le linee sinuose a S divergenti o convergenti rispetto alle figure, tutti quanti databili nel corso del III secolo d C. 88 Sono sarcofagi che rimandano con le figure di eroti, Geni alati stagionali ecc., al ciclo di Dioniso e al culto misterico escatologico del defunto . Il reperto, come i suoi confronti è databile al III secolo d. C89

Bibliografia: il frammento è inedito .

88

Musso in Giuliano 1988, p. 147.

89

Musso in Giuliano 1988, pp. 117- 118- 147.

117


5.Lastra di sarcofago con scena marina

Collocazione: muro S.O. del corridoio, nel Lapidario. Stato di conservazione: mutila su tre lati, con la facciata fortemente logorata . Materiale: marmo. Misure:h max cm 19 x largh max cm 25 x sp max cm 4

Frammento di lastra di sarcofago che presenta una superficie estremamente consumata dal tempo, con resti di una decorazione figurata; l’immagine raffigurata è un mostro marino, una pistrice, di cui rimane solo la coda. La figura appartiene probabilmente ad un tiaso marino, per le caratteristiche della coda, potrebbe essere scambiato per un delfino. Della coda resta la pinna caudale e l’attacco delle spire. Numerose sono le attestazioni di questo genere che compongono rappresentazioni di tiasi marini che sono scolpite sulle lastre dei sarcofagi. Compaiono figure marine di vario tipo: delfini, tritoni, balene e ippocampi realizzate secondo composizioni spesso ardite e una varietà molteplice di mostri marini, tra cui le pistrici. Il delfino, il mostro marino e il cetaceo, sono spesso stati interpretati come simboli di ambito funerario, oltre come portafortuna, nell’aldilà, sono “animali“ che accompagnano le anime agli inferi. Solo successivamente, nel folklore cristiano medioevale, sono trasportatori di anime dei beati nell’isola dei morti. Sono realizzazioni che si ispirano a diversi modelli del mondo antico, che si differenziano tra loro più spesso di quanto si creda. Il frammento in esame è raffrontabile con pezzo di un’alzata di coperchio di sarcofago del Museo Nazionale Romano, (il n 22). Della figurazione è conservata solo la spira del mostro a rilievo, piuttosto alto, e un piede di erote a cavallo di questo animale. La spira del

118


mostro è effettuata nella stessa maniera nei due esemplari, sia per quello di San Giovanni a Porta Latina che per quello del Museo Nazionale Romano.90 La coda bifida del frammento di San Giovanni a Porta Latina trova un riscontro analogico nell’esemplare 23 del Museo Nazionale Romano. Sono due parti terminali del corpo serpentiforme. Il frammento di San Giovanni a Porta Latina e quelli del Museo Nazionale Romano, il reperto n 22 e il n 23, sono tutte lastre di sarcofago databili tra la fine del II secolo d. C. e la prima metà del III secolo d. C .

Bibliografia :la lastra è inedita.

90

Baldassarri in Giuliano,1988,(n 22-23-28).

119


6-Coperchio di sarcofago con putti ghirlandofori

Collocazione: appeso alla parete S.O.del corridoio. Stato di conservazione: coperchio di sarcofago fratturato su tutti i lati, presenta due grosse scheggiature nel lato superiore; la lastra ha sfarinato ed è scurita dal tempo. Materiale: marmo. Misure: h max cm 16,5 x largh max cm 33,5 x sp max cm 6

Frammento di coperchio di sarcofago figurato, rappresenta una figura semisdraiata con una ghirlanda. È il motivo dei sarcofagi con putti ghirlandofori, noto a Roma già nel I secolo d . C.; rimane un putto e una ghirlanda di alloro, costituita da foglie e da bacche, estremamente dilavata. È una scena di genere non raffigurata accuratamente. Nel Museo Nazionale Romano, si trova una serie di sarcofagi con putti ghirlandofori,: uno di questi (il n 195) presenta una decorazione realizzata in maniera simile al frammento in esame, con un putto semi inginocchiato recante un festone di alloro di foglie e di bacche. Rispetto al frammento in questione, il reperto n 195 conserva, nonostante l’abrasione della superficie, le scalfitture e le diffuse incrostazioni di natura calcarea, le fistulae con cui il festone è legato (fettucce che presentano lembi che fluttuano sopra la ghirlanda stessa).91 Il frammento n 195, appartenente ad un coperchio di sarcofago, è un’espressione dell’arte romana della seconda metà del II secolo d. C. Il reperto della basilica di San Giovanni a Porta Latina, invece presenta delle affinità di resa della ghirlanda, con dei frammenti del Museo Nazionale Romano (il n 200, il n 202 e il n 203) che sono di un periodo successivo, della prima metà del III secolo d. C. Un altro esemplare di festone come quello del frammento in analisi proviene dalla Porta trionfale del foro Boario; è un pannello minore tra quelli in alto, con un rilievo meno 91

Sapelli in Giuliano 1988, p. 197(n 195 ).

120


marcato di due Vittorie che tengono una pesante ghirlanda, analoga alla lastra di San Giovanni a Porta Latina, ma qui, però, frutto di un repertorio figurativo ufficiale con ostentata frontalità dell’immagine simile, come resa, al frammento. Si vedono ascendenze di forme popolari e di ideologie orientali, iconografia diversa dai sarcofagi e impregnata di uno stile coloristico che non soverchia le forme ufficiali delle altre figurazioni della Porta.92 Il carattere del frammento in questione è spontaneo, popolare, più vicino alle forme dei sarcofagi del Museo Nazionale Romano (n 195-200-202-203) che non a quelle della Porta, con degli elementi di richiamo a quelli antoniniani, (reperto n 195), ma dallo stile più somigliante a quello pienamente severo dei sarcofagi del Museo.93 Pertanto, il frammento è databile nel periodo compreso tra l’età antoniniana e l’età severa, tra la fine del II secolo d. C. e l’inizio del III secolo d. C.

Bibliografia: il coperchio è inedito.

92

Sapelli in Giuliano 1988, pp. 197 e ss (n 195-200-202-203 ).

93

Bianchi Bandinelli, 2000, pp. 70-77.

121


7.Sarcofago con scena di caccia al leone

Collocazione: appesa alla parete S.O.del corridoio Stato di conservazione: lastra frontale di sarcofago mutila di tutti i lati, scurita dal tempo e un po’ abrasa ai contorni della figurazione che rimane. Materiale: marmo. Misure: h max cm 34 x largh max cm 41 x sp max cm 5

Si conserva un frammento di lastra di sarcofago frontale figurato. L ‘immagine preserva una scena di caccia al leone, di cui si mantiene il profilo dell’animale. Esso è raffigurato fedelmente seguendo le linee dell’anatomia del corpo. La criniera è realizzata con un uso sapiente del trapano che rende più voluminoso l’intersecarsi delle ciocche dei crini arricciolati e sinuosi. Il leone ha la bocca leggermente aperta come se fosse affaticata per lo sforzo dovuto all’inseguimento dei segugi. Nonostante l’ esiguità del frammento, confronti tipologici si possono istituire con sarcofagi di età tardo tetrarchica e proto-costantiniana, in particolare il frammento 6 del Museo Nazionale Romano (inv. 9061), già citato in occasione di un altro frammento di sarcofago con scena di caccia al leone della stessa collezione.94 Il frammento, pertinente ad una cassa, conserva una figurazione di una gamba destra e l’orlo della tunica di un cavaliere al galoppo verso destra con, ai suoi piedi, tra le zampe del cavallo, un leone di profilo che si accascia, con la bocca aperta. Il sarcofago della serie di San Giovanni a Porta Latina è molto simile per iconografia al reperto n 6 del Museo Nazionale Romano (inv. 9061), ma il rendimento stilistico è migliore, più accurato, più a rilievo con i particolari scolpiti plasticamente e non incisi frettolosamente. L’ausilio del trapano è limitato nel frammento 6 alla resa del muso della

94

Baldassarri in Giuliano 1988, pp 6-7(n 6).

122


fiera, invece nel frammento in esame è testimoniato nella criniera e nei contorni del corpo, dando tridimensionalità alla figura. La lastra n 6 del Museo Nazionale Romano, infatti è datata alla fine del III secolo d. C., come quella dell’esemplare di San Giovanni a Porta Latina.

Bibliografia: il reperto è inedito .

123


8.Sarcofago con scena di caccia al cervo

Collocazione: appesa alla parete S.O.del corridoio nel Lapidario. Stato di conservazione: frammento di lastra di sarcofago figurata mutilo di tutti i lati. Materiale: marmo . Misure. h max cm 16 x largh max cm 29 x sp max cm 4.

Lastra di sarcofago con scena di vita quotidiana, una caccia di cui rimane solo il dorso di un cervide o equide, scolpito a rilievo, seguendo l’aspetto fisico della figura . Il frammento è scarno, ma la qualità dimostrata dal rilievo è alta. Nell’arte romana sono frequenti le raffigurazioni di caccia sui sarcofagi, che si intensificano dal III secolo d. C. con l’avvento di filosofie mistiche ed escatologiche. La freddezza nella realizzazione del dorso è manieristica, parallela, nel modo di rappresentare, a quello dell’esemplare già nominato in schede precedenti (n 6 del Museo Nazionale Romano, inv. 9061).95Il motivo risulta di stile poco curato e coloristico, invece lo stile del frammento in esame sembrerebbe diverso da quello del Museo Nazionale Romano, inv. 9061, ma anch’esso è databile al III secolo d. C.

Bibliografia la lastra è :inedita.

95

Baldassarri in Giuliano 1988, pp. 6-7( n 6).

124


9. Coperchio di sarcofago con scena marina

Collocazione: appeso al muro ovest esterno sul retro della basilica Stato di conservazione:frammento di coperchio di sarcofago mutilo ai lati Riuso: blocco edilizio dell’edificio,con funzione estetico apotropaica. Materiale:marmo bianco a grana fina. Misure:h max cm 40 x largh max 30 cm x sp max non misurabile perché incastonata perfettamente nel muro

Frammento di sarcofago in cui sono visibili due delfini paralleli che nuotano in un mare agitato, ottenuto con incisioni ondulate parallele. I delfini sono animali apotropaici che sono raffigurati sovente sui coperchi di sarcofago, ma che diventano un repertorio diffusissimo nel mondo cristiano che si legano all’ambito funerario come creature che trasportano l’anima del defunto nell’isola dei beati. L’immagine infatti si ritrova in sarcofagi pagani e cristiani del basso impero nei primi con il solo valore di guida del defunto agli inferi e nei secondi spesso collegati con le storie di Giona e la balena Lo stile è standardizzato e la realizzazione per questo motivo di genere non è molto accurata. È una spoglia preziosa delle murature della basilica che assume anche come la maggior parte dei casi un valore simbolico . Il reperto trova numerosi confronti con altri frammenti di sarcofago preservati nel Museo Nazionale Romano, tra cui il n 29 che raffigura una teoria di delfini ai lati di un tridente.96 Entrambi i frammenti restituiscono una stessa maniera di realizzare i delfini guizzanti nel mare resi a bassorilievo piatto. Il frammento in esame risulta meglio conservato del raffronto.

96

Baldassarri in Giuliano, 1988,pp. 27 -28 ( n 29).

125


Il mare entro cui si muovono i delfini è analogo a quello del frammento n 28 del Museo Nazionale Romano. 97 Il frammento è databile al III d .C.

Bibliografia: Il coperchio è inedito.

97

Baldassarri in Giuliano 1988,pp. 27-8 (n 29).

126


10.Lastra a rilievo con grifone alato

Collocazione: appeso con delle grappe al muro del garage sul lato ovest della basilica. Stato di conservazione: integra superiormente con microscheggiature lungo il bordo, fratturata malamente sui restanti lati. Presenta una traccia di asporto inferiormente, un foro superiormente e una forte incrinatura trasversale che parte dall’angolo superiore sinistro e corre fino ad una parte della scena figurata conservata. Materiale: marmo bianco Misure:h max cm 26 x largh max cm 38,5 x sp max cm 4

La lastra frammentaria presenta una fronte scolpita figurata; la scena rappresenta un’ala e una coda di un animale mitologico. Si potrebbe circoscrivere il campo di analisi tra i grifi, le sfingi, i cavalli alati o le arpie, animali molto raffigurati nell’ambito funerario, come sembrerebbe essere la destinazione di questo frammento di lastra. Sono una serie di animali mitologici, che svolgono il compito di far raggiungere l’apoteosi all’anima del defunto di forte valore apotropaico. La direzione dell’ala proporrebbe la figurazione di un grifone. Confronti simili si trovano in zona, nei Colombari di Vigna Codini, con grifi affrontati sui timpani delle are sepolcrali, datati tra la fine della repubblica e la prima età imperiale.98 Un’ara sepolcrale di uno dei tre colombari di Vigna Codini conserva sul timpano due grifi affrontati in posizione araldica, tipica rappresentazione per il contesto funerario, la n 2 , datata alla seconda metà del I secolo a. C., dalla medesima resa plastica del frammento in esame. Il frammento è databile al I secolo a. C ./ d .C .

Bibliografia: Il frammento è inedito. 98

Manacorda, 1979, pp. 15 e ss.

127


11.Lastra frontale di sarcofago strigilato con colonnina

Collocazione: appeso al medesimo muro del reperto precedentemente descritto. Stato di conservazione: intatta sul lato sinistro, mutila del alto superiore e fratturata irregolarmente sui restanti lati. Materiale: marmo bianco. Misure:h max cm 54 x largh max cm 53,5 x sp max cm 6.

Lastra di sarcofago che presenta una colonnina e un campo strigilato. Il fusto della colonnina è rudentato e termina superiormente con un capitello composito di cui sono curati i dettagli delle decorazioni. Le strigilature sono realizzate come i frammenti di campo strigilato della medesima collezione, ma la colonnina sembrerebbe scolpita con piĂš cura se pur in un contesto serializzato di sarcofagi.99 Il frammento sembrerebbe precedente i due frammenti n 4 della collezione, dell’inizio del III d . C.

Bibliografia: il frammento è inedito.

99

V.d. scheda n 4 del medesimo catalogo.

128


12. Lastra lapidea con rilievo cordato da giunchi sottili e arrotondati

Collocazione: appeso al medesimo muretto della scheda precedente. Stato di conservazione: angolo di lastra lapidea. Materiale: marmo bianco italico Misure:h max cm 13 x largh max cm 10 x sp max cm 4

Il frammento di lastra, appartenente con interpretazione incerta a un ciborio o ad un pluteo, presenta una cornice a listello piatto entro la quale si svolge una decorazione scolpita ,simile a corda, formata da giunchi sottili e rotondeggianti, che si annoda e variamente compone, dando origine a forme ellissoidali e spigolose. Il pezzo è confrontabile con un pluteo del Museo Nazionale di Ravenna, il n 32, che presenta la medesima decorazione, datato all’inizio del IX d. C. 100 II frammento è databile agli inizi del IX secolo d. C.

Bibliografia: il pezzo è inedito.

100

Martinelli, 1968, p.36 (n 32).

129


13. Lastra a rilievo con fascio littorio

Collocazione:appeso al muretto della scheda precedente. Stato di conservazione: fratturato lungo tutto il contorno. Materiale: marmo bianco. Misure: h max cm 28,5 x largh max cm 15 x sp max cm 4,5

Il frammento appartiene probabilmente ad un rilievo in cui erano raffigurati i fasci littori e forse la sella curulis con o senza magistrato. Numerosi confronti si trovano in ambito funerario, si cita ad esempio il reperto numero n 6 della basilica di Santa Maria in Domenica.101 Il rilievo è databile tra il I e il II secolo d.C.

Bibliografia: il reperto è inedito.

101

Pensabene, 2002, p. 185 (n 6 fig 36 e 37).

130


CONCLUSIONI

La collezione, sebbene sia disomogenea, caratterizzata soprattutto da frammenti archeologici di cui nella maggior parte dei casi si ignora l’areale originario di destinazione, sia per la mancanza di fonti, sia per l’assenza di una stratigrafia dello scavo del sito con tutti i dati utili all’approfondimento sistematico dei reperti, è una raccolta vicina allo spirito antiquario, che ha segnato la storia della museologia italiana, in particolare di Roma, per tutto il rinascimento e anche dopo, fino addirittura agli anni trenta, con parecchi casi simili, di raccolte concepite nello stesso modo. I vari materiali, nonostante i danni subiti e i problemi di adattamento alle nuove situazioni di conservazione, sono ancora in un ottimo stato di preservazione storico-documentaria. Le notizie riguardo ogni singolo frammento, sono talvolta molto scarse e non è sempre possibile il confronto con pezzi analoghi già datati. Il ricorso ad un confronto spesso mostra solo l’evoluzione del motivo e non la tipologia del frammento. Il perdurare di un motivo decorativo non sempre in archeologia ha un significato assoluto, ma denota comunque la presenza di un elemento di repertorio non legato ad una determinata funzione; sarebbe sbagliato dire che la forma segue la funzione (“form follows function“). Ad esempio, i plutei tardo antichi e alto medioevali della chiesa, presentano vari tipi di decorazione, ciascuno riscontrabile in tante altre transenne di Roma, ma ciò non significa che quelle sculture siano conseguenza di una funzione, ma soltanto che sono motivi diffusi, alla moda, molto apprezzati dal punto di vista ornamentale. La diversità dei motivi non determina anche la diversità temporale, ma una varietas di temi paralleli di uno stesso periodo artistico, come lo si vede nelle terrecotte.

131


Il lungo arco cronologico che abbraccia in generale tutti i pezzi della basilica, segna marcatamente il valore artistico e di frequentazione del sito nel passato. Per quanto riguarda il patrimonio lapidario epigrafico nonostante la varietà si potrebbe risalire ad un'unica officina sulla via Appia, forse la medesima delle iscrizioni di Vigna Codini ipotizzata dal Manacorda o limitrofa la via Appia.102 In questo catalogo si è cercato di dimostrare quanto espresso sopra, con l’analisi dei pezzi più indicativi della collezione della basilica di San Giovanni a Porta Latina, nella aspettativa di fornire un apporto allo studio archeologico circostanziato dei materiali qui conservati.

102

Manacorda, 1980, pp. 9-97.

132


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135


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141


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