Argo XIV / Play

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Rivista d’esplorazione argo n. 14 | giugno 2008 | ₏ 3.00

( play )

giochi preziosi



Diario di bordo / Le regole del gioco Quella che hai tra le mani è la prima rivista-game della storia: potrai giocare con queste pagine, scegliendo che percorso fare e alla fine di ogni testo ti troverai di fronte a un bivio, proprio come nelle opere di Joe Dever, l’inventore del librogame da noi doverosamente omaggiato con un’intervista transoceanica (p. 11). Durante l’avventura, ti sarà utile consultare l’Itinerario (p. 95), da scorrere come una mappa: se vuoi, puoi annotarlo, segnando il percorso che hai deciso di intraprendere. Potrai anche usare questo numero come un gioco da tavola (p. 81), tirando i dadi (p. 34) per scegliere il numero di pagina da leggere, saltando poi qua e là, guidato solo dal caso, come in un gioco surrealista (p. 21), da un articolo a una poesia, da un racconto a una recensione, da un’intervista a un fumetto, come si salta da una casella all’altra del Monopoli (p. 82). Attento, però, perché, come ci insegna proprio il Monopoli, i giochi sono sì preziosi, ma possono rivelarsi anche molto pericolosi. Se non stai in guardia puoi finire in mezzo ai bulli di strada (p. 60), o in un campo di battaglia (p. 69), oppure in una sala-giochi dove si addestrano i militari (p. 51), rischiando così di essere arruolato, destinazione Iraq. Del resto, seguendo gli innocenti scherzi d’amore (p. 18), potresti anche finire in un gioco erotico per soli maschi (p. 4) o in una vera e propria perversione apocalittica (p. 75). Lasciando giocare tua figlia con le bambole, inoltre, se non starai sempre dalla parte delle bambine (p. 90), potresti ritrovartela un giorno simile a un clone televisivo (p. 88). Allora, meglio incantarsi di fronte ai pupazzi di Yotsuya Simon (p. 14), veri e propri capolavori, per rimanere uomini in carne e ossa! Ammaliato dai personaggi dei manga giapponesi, potresti giocarti lo stipendio al pachinko (p. 93). Ma non c’è bisogno d’arrivare in Estremo Oriente o in villaggi leggendari fra colline cave (p. 79), perché per giocare d’azzardo basta aprire un romanzo francese (p. 86) e poi l’Italia è piena di ipnotici posti-ristoro (p. 94), dove i videopoker mandano su di giri gli ormoni (p. 87). Se ti manterrai allegro e lucido, senza perdere la bussola, conservando sempre lo sguardo vigile sull’Itinerario, magari dopo aver appreso da Piergiorgio Odifreddi la Teoria dei Giochi (p. 44), potresti anche circumnavigare le zone più pericolose con Vivian Lamarque (p. 2) o giocare a nascondino con Gianpaolo Mastropasqua (p. 47). Potrai persino rientrare nei giardinetti deliziosi dell’infanzia con Luigi Socci (p. 7). E sul prato riscoprire l’antenato del calcio, la medievale soule (p. 8). Attento però a non farti influenzare dal delirio ultrà della brigata pecoreccia (p. 56)! Se i cori da stadio ti frastornano, rilassati cambiando musica: vagabondando di pagina in pagina, se non vuoi perdere tempo con

RobertDoisneau, L’Accordeoniste | Paris, 1951

Argonauti Riuniti : argo@argonline.it

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gli scacciapensieri (p. 13), puoi ascoltarti una divertente canzone di Alessandra Berardi (p. 20), o sintonizzarti sulle frequenze del jazz (p. 32), oppure entrare nella ludoteca musicale italiana (pp. 6, 9, 19, 84, 91). Se invece ti mancano i jingle dei vecchi giochi elettronici − meno diseducativi di quanto si pensi (p. 16) −, puoi assistere al Video Games Live (p. 23). Anche perché c’è chi crede che fra poco scoppierà la grande bolla di Internet (p. 62), magari per opera di Bin Laden (p. 64). Meglio allora tornare a uno dei primi giochi dell’umanità, come suggerisce Lello Voce (p. 28): le competizioni fra gli eredi dei cantori (pp. 25-27), che nell’antica Grecia narravano quelle ben più sanguinose degli eroi (p. 58). Insomma, non smettere di baloccarti mai, innanzitutto con le parole, perché anche la letteratura è un gioco (p. 42): potrai costruire fantastiche storie (p. 38) e addormentare a suon di favole anche i bimbi più birichini (p.36). Esci dal tuo quartiere (p. 53) e divertiti pensando.


Vivian Lamarque

Il gioco dei poveri

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Da bambina giocavo a una casa di tanti piani da metterci i poveri uno per stanza il mercoledì gli portavo un quadro il giovedì una carne il venerdì una stufa il sabato lo zucchero la domenica giravo a cercare poveri nuovi e pregavo che i poveri non finissero mai.

Circumnavigare Se pioveva sui gradini si giocava a verbi circumnavigare era il più difficile ma poi diventò il più facile e appena uno diceva ci are si strillava in coro circumnavigare

Se vuoi continuare a guardare i giochi con gli occhi dei poeti vai a p. 11, altrimenti vieni a teatro insieme a noi, continuando a leggere...


Teatro Comunale Alessandro Bonci, Cesena

Teatro

Regole del gioco di Giulio Marzaioli : gmarzaioli@yahoo.it

Esistono due versioni del gioco: Limited e Advance. Nella confezione del gioco si trovano: uno spazio, chiamato “spazio scenico”; un primo insieme di individui denominato “pubblico”, riconoscibile dal maggior quantitativo di unità rispetto al secondo insieme di individui, denominato “attori”. I due insiemi devono essere posizionati l’uno di fronte all’altro, tenendo presente che nella versione Limited le proporzioni quantitative sono spesso invertite e non sempre il pubblico è disposto di fronte agli attori. Scopo del gioco è abbattere la quinta parete (una a scelta tra quelle di cui è costituito lo spazio scenico, eccetto la quarta) impedendo che il pubblico, attraverso il varco aperto dall’abbattimento della quinta parete, esca dallo spazio scenico prima che ne siano usciti gli attori. Gli individui compresi nell’insieme attori si distinguono in: The Administrator - non rimane mai per più di dieci minuti nello spazio scenico, che può aprire o chiudere discrezionalmente e senza preavviso; Elfo - presente solo nella versione Advance, ha poteri di apparizione in TV e cinema. Non combatte mai in prima persona; Nano - presente solo nella versione Limited, non ha poteri e nelle battaglie ha il ruolo di guerriero;

Gnomo - presente solo nella versione Limited, messo dallo spazio, il danzatore potrà eliminanon ha poteri e non combatte. Il suo obiettivo re un attore e recitare e viceversa. segreto è trasformarsi in Elfo; A questo punto viene fissato il tempo di svolUmano - colui che rimane estraneo al gioco. gimento della partita (nota: oltre le due ore si L’appartenenza a ciascun genere viene decisa entra nel gioco Sequestro di persona). Quinda un lancio di dadi eccetto che per The Admi- di il pubblico si dispone seduto e si spengono nistrator, che nasce The Administrator. le luci. Dopo aver distribuito i ruoli, per ogni insieme si Nella versione Advance il pubblico è disposto organizzano gli individui in squadre. su comode poltroncine di velluto e talvolta si All’interno dell’insieme pubblico, nella versione addormenta. Nella versione Limited le poltronAdvance si dovranno formare le squadre degli cine sono sostituite da panche in legno sulle abbonati, degli amici, dei casuali. Nella versio- quali è impossibile addormentarsi. ne Limited attori e pubblico fanno parte dello Adesso il gioco può iniziare. Gli attori comstesso insieme. batteranno contro il pubblico per l’abbattiAll’interno dell’insieme attori si dovranno forma- mento della quinta parete, alla cui difesa re le squadre del teatro di prosa, teatro comico, quest’ultimo è preposto. Ai fini dell’abbatdanza e, nella versione Limited, “teatro di ricer- timento è vietato: usare mezzi demolitori; ca” (detto anche “ricerca di un teatro”) suddiviso usare violenza nei confronti del pubblico a sua volta in sottosquadre: teatro civile, teatro costringendolo a sbattere con forza contro danza, teatro di movimento, teatro di poesia (in le pareti dello spazio scenico; rivolgersi questa squadra i giocatori sono anche liberi di direttamente al pubblico con preghiera creare nuove sottosquadre: teatro di luce, tea- di considerare abbattuta la parete al di là tro di buio, teatro di roccia, teatro di vetro etc.). dell’effettivo abbattimento. Nella versione Limited i giocatori dovranno poi Una volta scaduto il tempo a disposizione, osservare alcune regole secondarie finalizzate qualora venga riscontrato l’abbattimento della ai seguenti obiettivi: quinta parete, saranno proclamati vincitori gli eliminare la drammaturgia; attori. In caso contrario la vittoria sarà asseeliminare il drammaturgo; gnata al pubblico. stravolgere qualsivoglia parola dotata di Dopo la chiusura dello spazio scenico, nella senso per dire di voler dire qualcosa che versione Advance, la partita termina con una non si dice. cena offerta dalla produzione. Nella versione Nel corso della partita, per non essere estro- Limited la partita termina e basta.

Secondo gli antichi, il Mondo può essere considerato un enorme Teatro (Theatrum Mundi): se anche tu la pensi così, vai a p. 85 e scopri chi tira le fila del Teatro contemporaneo. Altrimenti, continua a leggere, ma solo se sei maggiorenne...

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Marianna Aldovini: http://www.flickr.com/photos/memarianna

Solo per maschi Narciso gioca a nascondino col suo pisello!

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La spontaneità come riemersione della dimensione ludica nella vita adulta

di Andrea Marcellino : andrea.marcellino@argonline.it A Elisabeth, giocondità della vita campestre

C’è un bambino faccia a faccia con la parete di un edificio, un braccio flesso all’altezza della fronte fa da cuscino tra la sua testolina e il muro cui è appoggiato. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci. Apri gli occhi, ti giri, scruti il cortile, non c’è anima viva: sei solo. C’è un ragazzo un po’ stravagato che come il bel Narciso non si cura che di se stesso; in un momento di lucidità ti guardi attorno: sei solo. Cerchi le persone che conosci, ti muovi per scovarle, dove sono finite? Perché non si fanno trovare? Perché per te non erano niente e niente sono diventate per te: ora sei solo; condizione che ti faciliterà l’impresa di adempiere la necessità oracolare di conoscere te stesso. Scoprirai il senso della relazione organica, intellettuale, cosa sono gli altri e cosa sei tu. Quando avrai capito l’importanza delle relazioni le curerai per ampliare l’armonia che si può instaurare tra le persone, tensione verso il Tutto che parte dai tuoi compagni di giochi: sebbene non li trovi, dopo aver conosciuto te stesso, capirai che anche per loro, dopo un po’, diventa brutto rimanere soli; allora si ricomincerà un nuovo gioco, assieme. Gioco che quando è condiviso da più persone, che con il tempo diventano adulte, formalizzandosi si evolve in realtà, perdendo così la sua caratteristica fondamentale: la spontaneità. Vediamo dove essa, il vero gioco degli adulti, ci conduce.

Un lampo. Una parola, due parole, tre parole... meno quattro parole fa una parola che mi manca: quella sulla punta della lingua. Capezzolo? Esattamente! Nutrimento reale per l’anima, come non essere chiaro? Ampliando il concetto la pagina si oscura, caratteri neri incombono all’orizzonte, minacciano pioggia di parole, il lampo era prevedibile. Il lampone può ospitare un vermetto, chi va in camporella lo sa. Lamponi prevedibili se si ricordano le stagioni, vermetti a sorpresa. Nascosto tra cespugli di lamponi, sorpreso dal temporale estivo, c’è un lucro mannaro in agguato. A cosa giochiamo? Giochiamo al trasporto dei climi, io faccio il deserto, passami gli umori genitali di piantacce concentrati dal sole. Ora siamo un deserto, finalmente si vedono le stelle schizzanti impulsi di bellezza. Due occhioni spalancati. Tutt’occhi mi guarda la punta del naso, brillantante per lavastoviglie slega le briglie,


abbatte cavalli con l’abbattibuoi, inoltre, è in grado di offrire alla più esigente clientela un vasto assortimento di attrezzature e macchinari: tranciagambe - segamezzene - segasterno - pinze stordisuini - pungoli - segaossa - insaccatrici - impastatrici - tritacarne - hamburgatrici ma soprattutto elettroseghe; come quella della Collezionista di sperma, nota scrittrice di ricettari tra i quali spicca il famoso Ricette complete. Dall’allevamento alla macellazione. Se ti metti in gioco sei te stesso, allora ti giochi tutto con tutti, perdi la maschera, ma sotto c’è la carne viva che a detta dei più è molto sensibile. Sensibile, impressionabile può mutare molte forme; hai perso una maschera rinsecchita per ritrovare la carne viva, plasmabile, espressiva: una gamma completa adatta a fare della vita un’esperienza piena, forte, reale. Mamma, perché quel tato è appeso sopra la porta? Quello, mio dolcissimo tesoro, è il re dei cieli. Vedi, ha le braccia aperte e si regge all’aquilone con cui faceva mirabili acrobazie sfidando i limiti umani. Andiamo a fare le acrobazie! Aspetta tesoro, ci vuole un aquilone più grande. Credo proprio che la prima persona con cui ho giocato sia stata mia mamma ragazza. Ma ormai sono un uomo che conta, le parole che ho a disposizione per scrivere il mio contributo. Le userò per evocare i nevai che non vedrai, il salto del pesce e il pattern-merda.

Ho sforato! Cazzarola. Gli americani! Nooo. Manca il gioco delle sedie! E dov’è la forma di governo dello stato mentale? E la musa che fa venire le idee? Quando trovo la ragazza ideale poco dopo si intromette una ragazza reale: l’iper-specchio che riflette tutti i sensi. Ti trovo un po’ confusa. Smeetttilaa, che giorno è? Ti manca un venerdì? Non mi ricordo, veramente, ieri sera ho bevuto troppo. È venerdì! Ero convinta fosse giovedì! Vedi che ti mancava un venerdì. Giocare è divertente, divertirsi rende felici, chi di voi è abbastanza forte da sopportare un incontro con la felicità? Quanta felicità puoi sopportare considerando il fatto che poi dovresti riuscire a sopravvivere in caso di smarrimento di ciò che l’ha originata? Giochiamo? Eh eh eh. Ti capita mai di pensare agli elicotteri quando atterrano? Loro la centrano l’acca. Se ti piacciono i giochi erotici con le ragazze, vai a pp. 48/49, oppure puoi andare a p. 69 e perdere definitivamente la tua innocenza.

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Quando la parola gioco e i suoi parenti compaiono nei titoli di una canzone. Un gioco dell’oca per significati a più facce e altrettante sfumature culturali ed emotive nelle canzoni: vita, sport, infanzia, era sesso o era amore?

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Cantano o compongono testi e riflettono la prospettiva ludica nella sua peculiare polisemia, i cantanti italiani cantano le parole “gioco”, “giocare” e “giocattoli”. Ma di cosa parlano? Come cantano il gioco? «Questo è un gioco!»: asserzione preliminare e fondamentale per lo studioso Gregory Bateson per essere avvertiti e consapevoli che quello che si svolge non è quello che sembra1. I cantautori italiani sono stati tentati di riassumere in un’equazione vita e gioco con brani come Il gioco del mondo (2008) nell’ultimo album di Jovanotti in cui nel ritornello vengono convocati i giocatori di un gioco in cui «non si vince mai», il suo antecedente più ironico e con meno afflato diaristico è il brano Il giocatore (1971) di Piero Ciampi in cui entrano nei testi delle canzoni le scenografie dei casinò e degli ippodromi dopo la stagione allegra e spensierata del lotto di Carosone con la chitarra di Peter Van Wood in Ho giocato tre numeri al lotto (1949); i numeri per i curiosi erano 25, 60 e 38. Ciampi racconta nel monologo con sottofondo musicale che «dove si gioca ci sono gli alberi, c’è il verde, si vive / sentite le palme /… La sera alla roulette il mio giocatore gioca contro gli uomini giocando i numeri» e per questo non c’è giocatore che perda perché lui stesso si ripete: «domani tutto questo mai mio», che sembra ricordare molto l’esclamazione «Domani, domani tutto finirà!» del giocatore nato dalla penna e dai debiti di Fedor Dostoevskij. Ne Il giocatore di biliardo (1998) scritta da Giorgio Faletti e Angelo Branduardi dove il panno verde diventa un prato e le pesanti lampade al neon che illuminano la scena del gioco diventano lune, si creano rimandi continui a una realtà che diventa sempre meno ludica e sempre più esistenziale. Anche Cambio gioco (1971) di Roberto Vecchioni che segue un andamento tragico attenuato solo dalla ritmica delle chitarre mescola l’azzardo alla vita. Vecchioni pubblicherà anche un album intitolato significativamente L’uomo che si giocò il cielo a dadi (1973) che darà il titolo anche a una canzone e nell’album Robinson, come salvarsi la vita troveremo il brano Lo stregone e il giocatore (1979). A guardare le spalle dell’homo sapiens c’è l’homo ludens come scrive nel suo saggio Huizinga2 e il gioco appare come un’attività sottesa a qualsiasi azione e il giocatore è l’uomo tout court che per giocare e quindi vivere non può prescindere «dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia» come suggerisce Francesco De Gregori ne La leva calcistica della classe ’68 (1980) o ribaltare la questione giocando con le regole stesse imposte dalla partita esistenziale e approdare così a teatro coi lucidi paradossi ludici di Giorgio Gaber ascoltando, tra le innumerevoli, Far finta di essere sani (1973). Nel nucleo del significato che vede legato il gioco alla vita, la vita come un’immensa bugia la canzone Per gioco (2001) degli Ustmamò è declinata in direzione intimista e disperata: «per gioco, per Dio, ti prego non per davvero / ad occhi chiusi per non vedere, non c’è nessun bene, nessuna ragione/lasciatemi andare». 1 Gregory Bateson, Questo è un gioco! Perché non si può mai dire a qualcuno «Gioca!», Cortina, Milano 1996 2 Johan Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino 1949

Gary Hill
| Tall Ships | 1992
| Sixteen-channel video installation
Sixteen modified 4-inch black and white monitors with projection lenses, sixteen laserdisc players, sixteen laserdiscs, one computer with 16 RS-232 control ports and pressure-sensitive switching runners, black or dark gray carpet, and controlling software | Photo credit © Dirk Bleicker

Ludoteca musicale italiana | articolo a episodi | prima parte di Stefania Piras : stefania.piras@argonline.it Io... me la gioco!


Luigi Socci : socci.bros@libero.it

I giardinetti delle delizie Le ginocchia aggrappate al sommo del castello di sbarre, il ribaltone della realtà reale in giù (sangue alla testa). * Oscilla l’altalena al chiodo, alla catena infissa a scie di vivi in vivaio di gridi. * Nel cuore d’ingranaggio del ferreo girotondo tra vomito e euforia cerca la spinta un braccio. * Un cane si mordeva facendosi la bua la coda a stretti morsi sapendo che era sua.

Se vuoi restare sui prati a giocare continua a leggere, altrimenti, se vuoi scoprire chi ha selezionato queste e altre poesie qui presenti, vai a p. 39.

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Frammento dell’epistolario di Vanni da Fiesole (1460)

10 settimane a dimorare, et la grande turbazione del mare che ancora tiene lontane le mercanzie le quali attendiamo al fine di Il calcio fiorentino, o calcio in livrea, è uno rimboccare la via del ritorno. In questi dì di dei giochi storici tradizionali che sembrano grave e noiosa attesa, temendo per la noessere alle origini di sport come il calcio e il stra fortuna, la nostra sola consolatione è rugby; ma non si tratta dell’unico antenato la buona et onesta compagnia del valente di tali discipline, benché sia probabilmente Mathieu Cavaut, chierico e precettore che il più conosciuto e celebrato attraverso vanta italiche origini, il quale volentieri mi è ricostruzioni folkloriche e reinterpretazioni. guida e compagno tra le mirabili opere di Nel nord della Francia, tra Normandia e codesta città e le sue generose locande. Bretagna, un’attività simile, con numerose Non delle mirabilia, pertanto, e delle archianalogie ma alcune sostanziali differenze, tetture che la città, benché provata dal seera diffusa già a partire dal XII secolo. colare et horribile conflitto contro i Britanni, conserva intatte, bensì di un ludo quasi Il frammento che pubblichiamo qui di se- familiare intendo oggi ragionare, il quale guito ci è stato gentilmente segnalato dal rammenta nei modi il nostro calcio, e di noto antiquario Pierre Canular, in data 1 ciò che mi occorse durante la partita che si aprile 2008. giuocò nel borgo di Beignettes quattro giorni or sono. Orbene, disteso et dolorante nel Dilettose donne, giaciglio della mia locanda mi appresto a sì come io già vi scrissi, nella città di Cahem ragionar di questo, et alfine di questa mia i nostri mercati ci astringono da alquante infermitate devinar potrete la cagione. a cura del CIEL (Centre International d’Études Ludiques)

Trascorrendo adunque con messer Cavaut molte hore in onesti e dilettosi ragionamenti massimamente sui sollazzevoli costumi delle nostre terre, mi trovai a mentovare quel ludo, cognominato “calcio in livrea”, che raccoglie sulla piazza in cortese tenzone fazioni et contrade. E ragionai con lui e dissi: «Per lunga tradizione nella egregia città di Fiorenza questo ludo è tenuto come simulazione dell’affrontamento in battaglia, et invoca grande abilità et forza et arguzia per menar la palla in campo avverso et nella rete, per aver marcato un punto et ottener vittoria. Nel recinto di piazza grande la disputa tienesi nei giorni della festa e tutti i cittadini dalla villa e dal volgo si ragunano per parteggiare, et secondo regole stricte la partita si giuoca aspra et leale et severa tra i giuocatori di numero uguale, cum vinculi et arbitri che massimamente si confanno a preservare la tenzone, acciò che non infiammi e le parti azzuffino, come molte fiate accade nella foga del contrasto».

Alessandro Pertini detto Sandro (Stella San Giovanni 25.IX.1896 | Roma 24.II.1990). VII Presidente della Repubblica Italiana (1978 | 1985). Già membro del Comitato di Liberazione Nazionale e Deputato dell’Assemblea Costituente, Medaglia d’Oro e Medaglia d’Argento al valor Militare. Nella foto ritratto mentre gioca una partita di scopone scientifico con Dino Zoff contro la coppia Causio | Bearzot, a bordo dell’aereo presidenziale, di ritorno da Madrid, 1982, insieme alla Nazionale Italiana campione del mondo.

Calcio fiorentino e soule


Christian Meyer, Nicola Riccardo Fasani, Stefano Belisari, Davide Civaschi, Sergio Conforti

Ludoteca musicale italiana | articolo a episodi | seconda parte di Stefania Piras : stefania.piras@argonline.it Il Calciatore è un giocatore. E il tifoso? Quando la parola gioco e i suoi parenti compaiono nei titoli di una canzone. Un gioco dell’oca per significati a più facce e altrettante sfumature culturali ed emotive nelle canzoni: vita, sport, infanzia, era sesso o era amore? Il calcio, sport amatissimo in Italia, si sa, si guadagna le parole di tanti ma in questa sede vale la pena ricordare Elio e le storie tese con Giocatore mondiale (1990) proprio nell’anno di Italia 90. Nel testo ci sono suggerimenti e supporti appassionati da tifoso al calciatore dei mondiali, lo si sprona a giocare, a stare in guardia dagli spacciatori di doping, a ricordarsi che si potrebbe pure tirare ognuno nella sua porta così da avere 22 palloni in campo e sarebbe bello, come bello e fonte di ineffabili emozioni è lo stadio nel suo statuto di tempio ludico (il finale della canzone si abbandona a un pianoforte che ospita le voci di Nando Martellini e Sandro Pertini registrate nell’82 quando Marco Tardelli portò la nazionale italiana a vincere il titolo mondiale) e se non segna non si deve preoccupare ma poi ammonisce subito che una cannella può sempre tirarla. Renato Zero nell’album La curva dell’angelo scrive una canzone incentrata sulla violenza negli stadi: Fuori gioco (2001) dove si interroga su quali emozioni viva l’hooligan dal lunedì al sabato se vive solo la domenica in un’ostentata fierezza, ma non manca nemmeno di sottolineare rivolto alle curve che «chi vi ha sfruttati e offesi ha una tribuna sua....» e perciò sono i veri attori in fuori gioco. Di questo ludo sempre onestamente ragionando, commendavo l’ardire et le belle maniere de’ nostri giuocatori, et narravo del punto memorabile che si fece pei rossi di Santa Croce alcuni inverni or sono, e quando giocossi sull’Arno ghiacciato, quando messer Cavaut, levando un braccio et percotendo la tavola della locanda, tanto che il sidro tracimò delle coppe, interrogommi, ma non tal che chiedesse di un ignoto ludo, bensì di noto et beneamato, tanto che pensai realmente dover essere d’italico lignaggio. «E in qual maniera – dimandommi – giocar si puote in un recinto, come i capponi o le oche? E ll’arbitri, per qual cagione si mescolano al ludo?» Mi presi a dettagliar la regola, con generosa messe di parole, ma Cavaut scoteva il capo in guisa di riprensione, non vedendo l’utilità di cotesta pratica e sparse numerose noci sul tavolo, le agitava senza sosta. Finalemente annunciai il ludo non essere che sollazzevole diletto et salutare

dubbio, tal ludo essere massimamente uno instrumento a regolare et risolvere tenzoni et conflitti tra le contrade et famiglie et sollazzevole ludo non essere infine, ma instrumento di justitia, et spesse fiate nel ludo colpa et pena mischiansi insieme, et provvedesi anco a punire il reo et la fazione, et alcuni incontrarono sinanco la morte». La partita, adunque, s’ingaggia al lancio della palla tra le due schiere dalla parte di un terzo, che non sia judice ma solo apra la tenzone, et con maraviglia scoprii essere il nostro Cavaut quella mattina, che nulla ci aveva anticipato. E con tutti i mezzi ciascuna fazione dovrà portare la suddetta palla nel proprio villaggio et impedirla giungere nell’avverso, che sarebbe disfatta. Et con ciò sia cosa che nel ludo si face justitia tra i borghi et le questioni di confine et di terre et di vie trovano onestissimo responso, ogni legge nel medesimo ludo viene manco et ogni scontro che s’infiammi et ogni fatto che occorra et vendetta, verrà tosto

essercizio per il corpo et lo spirito. L’altro, udendomi così fattamente parlare, non solamente si chetò, ma con consentimento parlommi di un ludo non dissimile chiamato “soule” ovvero “choule”, dicendo in quelle terre essere praticato nei borghi et le contrade massimamente per il volgo et giammai per i signori che sempre duellavan di giostra. «Codesta duminica – aggiunse – potremo vederne essempio, se in un borgo non lontano, verso il mezzogiorno, non ti schiferai di venir meco». Convenutici insieme all’ora terza ce ne andammo adunque la duminica al borgo di Beignettes, et lungo il cammino messer Cavaut ragionò di cotesto ludo e disse: «La choule si pratica senza limite di terreno, nei campi et boschi, in piano et per le balze, et senza limite di uomini. Tutti gl’uomini valenti son giocatori dei borghi in tenzone, et senza limite d’offesa. Dicono alcuni esservi regole et convenuti accordi per limitar le violenze ma è noto, e lo affermo sovra ogni

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Claudio Martella

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obliata dai borghi e le contrade tutte fino alla prossima soule. Grandemente mi dilettò il suo ragionare, finché giugnemmo presso il borgo, ove una folla schierata attendeva e fremeva nella piana. «Quando la palla sarà messa in giuoco – disse Cavaut – tutto ciò che vede il tuo occhio sarà campo. Et l’unica maniera per non giuocare è star fuori dal giuoco». Prese le parti per le squadre, salimmo sull’erta sopra ’l canale, et egli lanciò quinci con vigore la palla oltre le schiere, nel fitto del bosco e subito gittansi i giuocatori correndo appresso alla palla et fannosi ostacolo et scudo e altri corron altrove a difesa di passaggi et valichi. Udiamo voci nel bosco e strida, e dopo alcuno spazio silenzi e ancora voci, e tonfi, e suon di mano, e alcuni vediamo uscire dalla selva lenti e cheti, altri in tumulto. «Che la palla sia smarrita?». Dimandai al mio compagno ed egli a me: «O mai non sia, essi sanno chi l’ha et chi la cerca, e tu stesso potresti divinare, se prestassi attenzione...».

Dunque l’è ascosa, mi pensai et cercai di divinare chi la portasse seco, et guatando scorsi un giovine che s’avanzava chetamente, con ampie vesti, e dall’altra un compare che schiamazza e attira l’avversari dietro sé. Et ecco il giovane che subito s’affanna di lunga corsa, e come saetta s’invola. Come è uso a Firenze, mi levai dall’erta e gridai al corridore: «Bischero, calcia la palla che t’allenta!». Costui m’udì et non mi diede bado, et corse. Messer Cavaut si adoperò a farmi zitto d’un colpo nelle reni, che trattavasi di giuocare, quel grido, ma un compare del corridore volse i passi su di noi acciò che si tacesse et non si fomentasse la parte avversa e mi si gittò contro et con un gran colpo di capo nel petto m’abbatté e ruzzolai tra i rovi e mi riebbi alla locanda, con un occhio pesto, vegliato da Cavaut. «Chi la vinse?», dimandai, ed elli rispuosemi che era calata la notte e non s’era conclusa ancora. Curioso ludo è, dilettevoli donne, la soule et fiero alquanto, e ciò nondimeno Cavaut

afferma che nelle campagne vale il lavoro di judici et sbirri e chi s’annega lungo una partita non potrebbe sperarsi in miglior sorte pei borghi e contrade. Non son uso a codeste leggi et a codesti ludi ma s’avverano curiosi et degni d’attenzione, così prossimi et insieme diversi dai costumi nostri. Adunque mi dolgo, come di per questi lividi, anche di che esser non si puote spettatore senza essere immischiato et rischiar le busse et li colpi, e che interdetto sia il parteggiar di voce e prender sia d’uopo e dare in sul campo ogni volta ovvero in silenzio tacere. Abbia cura Iddio delle vostre anime, Vanni

Ami il calcio ma non i violenti? Allora non andare a p. 56, così eviterai la Brigata pecoreccia. Altrimenti, se ti affascina l’antichità, segui le gare degli eroi dell’antica Grecia a p. 58.


Intervista a Joe Dever

di Federico Di Biasio : fededyb@email.it

In Italia hai inaugurato il genere del libro-game, nel 1985, con Lone Wolf: il primo libro dove leggere equivale a giocare. Da poco ho iniziato ad apprezzare l’impatto che il mio primo Lupo Solitario ha avuto in Italia. In occasione del Lucca Comics 2004 rimasi meravigliato dal numero di lettori venuti apposta per incontrarmi: molti erano trentenni cresciuti leggendo Lupo Solitario, alcuni avevano portato le proprie giovani famiglie. Parlando con loro ho realizzato che Lupo Solitario è considerato in Italia come un “catalizzatore”, un mezzo che ha permesso alla narrativa fantasy e ai giochi di ruolo di raggiungere qui una diffusione di massa. Lupo solitario fu infatti, per i teenager negli anni ’80, il primo passo sia nella narrativa fantasy che nei giochi di ruolo, entrambi in un unico accessibile formato. La maggior parte di loro da quel momento in poi ha continuato a leggere narrativa fantasy e a divertirsi con giochi di ruolo. Come sei riuscito a rendere le dinamiche del gioco di ruolo in forma letteraria? Ho scelto uno stile narrativo esistente, ma di scarso successo: la narrazione in seconda persona presente. Questo modello, unito ad un semplice set di regole di gioco, rende comprensibile Lupo Solitario anche ai non giocatori. Per quanto riguarda il design del gioco, volevo che il lettore avesse la possibilità di portare avanti da un libro all’altro le esperienze acquisite. Volevo cioè dargli informazioni utili per le avventure successive, oppure og-

getti che lo aiutassero a sopravvivere, o ancora abilità speciali, le Arti Ramas, che potessero diventare via via più potenti mentre i giocatori progrediscono attraverso la serie. I lettori si sentono così ricompensati per i propri risultati dentro al libro, ricevendo capacità migliorate per l’inizio del successivo. Questo ha aumentato il senso di continuità della serie, facendo sì che il lettore aspettasse avidamente l’arrivo del libro seguente per usare le proprie nuove abilità e scoprire di più su Magnamund, il mondo dove sono ambientate le avventure di Lupo Solitario. L’utilizzo della narrazione in seconda persona presente è quindi motivato dalla ricerca di coinvolgimento del lettore, o è invece funzionale al suo impatto sulla storia? È difficile scrivere al presente della seconda persona in modo efficace… ma così il lettore si sente centrale nella narrazione, mentre gli eventi si sviluppano in tempo reale. Le scelte che fa cambieranno il seguito della storia, e questo gli dà un senso di potere. Senza una meccanica di gioco, le scelte che l’autore può offrire sarebbero comunque limitate e, conseguentemente, la storia risulterebbe lineare e ripetitiva. Introducendo abilità speciali, oggetti, combattimenti e livelli variabili di forza e resistenza del personaggio, ho offerto invece al lettore molte possibilità per interagire con il progredire della storia. Come hai inventato il set di regole di gioco? Ho creato una versione semplificata delle regole proprie di un gioco di ruolo tradizionale come Dungeons & Dragons. In altre

John Ronald Reuel Tolkien (Bloemfontein 3.I.1892 | Bournemouth 2.IX.1973)

Il pioniere del libro-game

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parole ho predisposto delle regole che determinano l’abilità del personaggiolettore: la sua forza in combattimento, gli oggetti che possiede, le arti speciali che ha e può sviluppare. Tutto ciò rende ciascun lettore un personaggio unico nel mondo di Magnamund.

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Edith Bratt Tolkien

do fantasy da zero e di popolarlo con creature completamente nuove che si integrassero con i miti e la mitologia che stavo sviluppando e ho utilizzato Dungeons & Dragons come un mezzo pratico per raggiungere tale risultato.

Le dinamiche di gioco di Lupo SoE come hai disegnato Magnamund, litario sono comunque piuttosto il mondo fantastico di Lupo Solita- semplici rispetto a quelle dei giochi rio? di ruolo o a quelle introdotte nei sucMagnamund ha preso forma per la cessivi libri-game. Semplicità dovuta prima volta nel 1976. Ho cominciato al fatto che sei stato un pioniere del creando la mappa del continente nord, genere, o scelta consapevole che per usarla come ambientazione dei riduce l’aspetto del gioco in favore miei wargame da tavolo. Sono stato della narrazione? un appassionato giocatore dall’età di Per rendere Lupo Solitario accessibisei anni, preferivo i giochi da tavolo le al grande pubblico dovevo evitare con regole fisse ed eserciti di soldatini. la complessità tipica nei regolamenti Ho sempre avuto interesse per la sto- di molti giochi di ruolo. Ero certamenria militare attraverso le epoche e una te conscio del mio status di pioniere fervida immaginazione, quindi Magna- e ciò ha fatto della metà degli anni mund originariamente è nato come ’80 un’epoca molto eccitante per me il mio mondo fantasy di gioco, am- come scrittore e game designer. È bientato nel Medioevo. Poi, nel 1977, molto raro infatti per un professioniscoprii Dungeons & Dragons, e i miei sta della creatività trovarsi come prepiani per Magnamund cambiarono cursore di un genere completamente improvvisamente. Cominciai a giocare nuovo. con amici a D&D usando Magnamund come ambientazione. Fu allora che Venticinque anni dopo, cambieresti la storia e la mitologia del mio mon- questa struttura di gioco e narraziodo presero gradualmente forma. Ho ne? tenuto un resoconto accurato di tutte Dal 2003 la serie di Lupo Solitario ha le campagne che vi ho ambientato e assistito a una rinascita in Europa e nel ho impiegato molto tempo nello svilup- 2006 la mia casa editrice ha deciso che pare ulteriormente il background del era il momento giusto per rilanciare l’inmondo, per fornire dettagli più ricchi tera serie in un formato da collezionisti. e un più profondo senso di credibilità Per il rilancio ho dovuto quindi rivedere ai giocatori. In totale ho passato sette in modo estensivo il primo libro della anni a sviluppare Magnamund prima serie e aggiungere molto materiale. Ho di scrivere la serie di Lupo Solitario. così potuto costatare che le regole oriSono convinto che tutto questo lavoro ginali hanno resistito all’usura del temper il palcoscenico della saga sia ciò po, quindi non ho sentito la necessità di che distingue la mia serie da altri libri cambiarle in nessun modo. fantasy interattivi. Sul web si sono formati centinaia di Ci sono autori a cui ti sei ispirato in portali di appassionati che hanno questo processo di creazione? mappato Magnamund, elaborato Sono stato certamente influenzato dizionari Italiano-Giak, ricostruito delle mie letture giovanili, in particola- Tahou. Lupo Solitario ha costruito re J.R.R. Tolkien, Michael Moorcock, attorno a sé una comunità che, tere Mervyn Peake, ma da subito ho minato il libro, continua a giocare. preso coscientemente la decisione di Che rapporto hai con quest’opera non copiare le loro creazioni. Avevo indipendente? un forte desiderio di creare il mio mon- La rinascita di interesse in Lupo Solitario


deve molto alla dedizione di siti di appassionati come Project Aon (www.projectaon.org) e Tower of the Sun (daziarn.proboards54. com). Con la mia approvazione, nel 1999 Project Aon ha cominciato a convertire il testo dei libri in formato Html per l’utilizzo sul web, completamente a proprie spese. Così i lettori hanno potuto leggere i libri della serie, anche se non erano più disponibili in stampa. Ad oggi, oltre venti titoli sono stati convertiti e sono disponibili per il download gratuito dal sito di Project Aon. Sono in stretta relazione anche con il sito italiano Librogames (www.librogame.com). Dopo il declino sofferto negli anni ’90 il libro-game sta vivendo una seconda giovinezza. Una nuova generazione di lettori o nostalgici del genere? Entrambe le cose: i miei lettori originari sono adesso trentenni e per loro Lupo Solitario ha un forte appeal nostalgico. C’è poi un ampio numero di giovani lettori che stanno scoprendo Lupo Solitario, anche grazie al web. Sono felice di costatare che sono appassionati di Lupo Solitario per le stesse ragioni per le quali lo erano i miei lettori negli anni ’80, a dispetto della miriade di altre forme di intrattenimento che lottano per la loro attenzione.

Anche i grandi giocano (ma di nascosto) Elogio dello scacciapensieri

P

o tresti pulire la tua casa che, reduce da parecchie cene tra amici, sembra una discarica. Potresti scrivere la tesi, dato che dovresti consegnarla la settimana prossima. Potresti, eventualmente, leggere il giornale, dal momento che le elezioni si avvicinano. E invece l’attuale Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana no. Ti siedi al computer con aria impegnata, lo sposti in modo che nessun’altro nella stanzapossa vedere lo schermo e, assumendo un’espressione seria e professionale, riapri la partita di Solitario, quella in cui stai per battere il tuo record. È più forte di te. Il gioco scacciapensieri è l’intervallo perfetto per qualsiasi lavoro impegnativo e urgentissimo. Questo mese sei governato dal Solitario di Windows, lo scorso sei stato campione mondiale di Spider arrivando quasi alla chiusura di una partita con quattro semi. Quand’eri al liceo, e non possedevi ancora un pc, trascorrevi le lezioni nella speranza che il tuo serpentello di Snake non morisse mai. Diverse volte hai pizzicato professori, genitori e coinquilini che, sorpresi alle spalle, si affrettavano a eliminare il proprio gioco scacciapensieri preferito dallo schermo. Si può capire molto della personalità di qualcuno indagando sul suo gioco nascosto (la peculiarità degli scacciapensieri sta proprio nella vergogna di chi li pratica) e sulle tattiche adottate. Ci sono il minimalista, ovvero quello che si accontenta dei giochi forniti dal proprio sistema operativo, e lo sperimentalista, cioè quello che, in cerca di adrenalina e nuove emozioni, si cimenta in videogame più strutturati trovati su internet. C’è il giocatore stratega, che vuole vincere a ogni costo e fa calcoli probabilistici complicatissimi per scovare le mine di Prato Fiorito, e c’è il giocatore che, incurante della probabile sconfitta e desideroso solo di spegnere il cervello, si affida al c.u.l.o. (Chissene frega di arrivare all’ Ultimo Livello - Odio gli strateghi). L’opinione comune condanna lo scacciapensieri, giudicandolo una perdita di tempo sciocca, inutile e infantile. Lo scacciapensieri si impossessa di te e della tua volontà, ti impedisce di essere produttivo, ti regala quel tempo perso gratuitamente che tanto rimpiangi. È, insomma, un gioco come quelli che si facevano da piccoli, è una piccola dose di infanzia che nutre la vita di tutti i giorni. Non sarebbe più comodo smettere di vergognarsene e sfidarsi tutti a Dama su internet? di Silvia Righini : silvia.righini@argonline.it

Non hai tempo di leggere libri-game perché impieghi ogni istante libero per giocare con il cellulare? L’Elogio qui a fianco è stato scritto per farti sentire meno in colpa. Se ti piace giocare con le parole, invece, vai a p. 21.

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Doll is just a doll

Bambole e disegni di Yotsuya Simon

16 di Daniela Shalom Vagata : shalomdan@hotmail.com

Nella piccola galleria a due passi dalla fermata della metro di Suidobashi, nel cuore pulsante di Tokyo, Yotsuya Simon (Yotsuya è il nome di un quartiere di Tokyo, Simon riprende quello della jazzista Nina Simon) ha allestito nel maggio scorso la mostra Poupées et Dessins de Simon. Volti dai tratti delicati di giovinetti e giovinette. Naso e bocca molte piccole, ben tratteggiate. Occhi dolci e giganteschi sotto le enormi arcate sopraccigliari, dietro le lastre di vetro, dentro le cornici di legno. È lui, uno di questi ritratti, Simon? Come si sente, Simon? Come si vede? Come si riflette? Allo specchio l’immagine di un uomo ormai maturo restituisce quella di un giovane. Nel galleria sono esposte anche alcune bambole dell’altezza di una ragazzina di sei-sette anni. Bambole-donne dal lungo collo, donne-giraffa vorrei soprannominarle, con l’abito di Alice nel paese delle

meraviglie. C’è anche un piccolo giovinetto vestito di marrone scuro, con tanto di stivaletti in pelle e calzini, quasi uscito da un film del dopoguerra e ancora troppo giovane per portare i pantaloni lunghi: un personaggio dei Ragazzi della via Pal. Mi accorgo che anche i volti dei ritratti hanno un lungo collo. Alice allunga il collo: per guardare cosa? Ma anche le braccia sono troppo lunghe: non c’è proporzione. Lo stesso viso per l’uomo e per la donna. Nei ritratti il legame tra il volto ossessivamente disegnato, la bambola e il suo creatore diventa più chiaro e infinitamente più delicato. Le bambole, in tutto tre, sembrano in procinto di un’azione, bloccate nell’attimo prima dell’atto. Simon gli fa assumere una posa quasi estatica, il corpo sbilanciato in avanti, le braccia aperte e le mani che sfiorano il vestito. Soltanto avvicinandosi ci si accorge dell’incarnato delicatissimo, delle unghie leggermente più rosate della pelle, delle lunghe dita sottili contratte, della grazia identica a una pittura del Tiepolo.

Le bambole sono di carta, e soltanto avvicinandosi ce ne accorgiamo. Le labbra troppo rosse stonano con la delicatezza del volto delle due fanciulle. Le giunture sono formate da sfere di legno - il procedimento è a imitazione dei Puppe di Hans Bellmer - in modo che le bambole non siano fisse in un’unica posa, ma suggeriscano la possibilità di innumerevoli altre. Se nella posizione che assume la bambola si può provare a riassumere il suo significato, nell’apertura infinita delle possibilità il significato si moltiplica fino a scomparire. «Doll is just a doll», ripete Simon. Non ha nessun significato, it’s meaningless. Il catalogo più completo delle opere di Simon, Simon Pygmalionisme, quello dalla copertina rossa, con la foto di un poupé ragazzino il cui busto è un ligneo scheletro-gabbia-ingranaggio, si divide in due parti. Pygmalionisme, le bambole di Simon dall’inizio della sua attività, intorno agli anni Sessanta, e Narcissisme, le foto giovanili del suo creatore. Ci sono le foto


Loredana Catania | (r)esistenze dolly | 100x75, olio su tela , 2007 | (r)esistenze (ti amo) part 2 | 100x75, olio su tela , 2006 | (r)esistenze dolly | 100x75, olio su tela , 2007

appartenenti al servizio di Hosoe, uno dei rosse della serie Eve of Future and Past Priva del rivestimento della pelle di carta più celebri fotografi giapponesi, Simmon: o il ghigno sguaiato di Indiscret Doll, la che solitamente ricopre la bambola, sono A Private Landscape, con Simon, in ki- bambola dal busto divergente. Perché? lasciate scoperte le giunture di filo, le mono, il viso bianco e delicato, le labbra Le donne della copertina sono vestite di ossa di legno, gli ingranaggi di metallo. rosse e le ciglia lunghissime, in giro per rosso e indossano un cappello, le bam- Il legame tra la bambola e l’uomo che si le strade del vecchio quartiere Asakusa di bole solo un reggicalze, ma l’analogia si muove e sorride a scatti diventa ancora Tokyo. Ci sono le foto di un Simon esta- realizza attraverso le fotografie di un Si- più evidente. tico e nostalgico, quelle delle locandine mon ammiccante e fatale. Sarei tentata di Accanto alla firma grossa ed estroversa dove era attore negli spettacoli del Jokyo- intravedere nell’iconografia della finestra dell’autografo, un piccolo pupazzetto: gekijo (Theatre de la Situation) sotto la sul cuore la porta aperta sugli organi di il profilo di un uomo maturo, con barba, direzione di Kara Juro, noto registra di Anatomical Boy, una mano che apre una baffi e occhiali, e l’espressione delicata. teatro d’avanguardia. Oggi la tenda rossa, pancia e ne espone le interiora, o nella È forse lui, Simon? dove quarant’anni fa Simon interpretava bambola simile al San Sebastiano forse la ruoli di prostitute, esiste ancora: all’om posa conturbante di Mishima fotografato Se volete saperne di più su Simon e bra di un giardino scintoista, tra le cime da Hosoe. Ancora angeli dalle ali colorate, l’arte giapponese di costruire bamboche svettano dei grattacieli sfavillanti. E benedicenti o in preghiera, Kyrie Eleison le, visitando www.argonline.it potrete ci sono le foto che lo ritraggono insieme addolorati per commemorare l’amico Shitrovare una doppia intervista, o meglio al gruppo di artisti e d’intellettuali che si busawa. Una delle serie costruite intorno un doppio dialogo, oltre che con Simon, riunivano intorno allo scrittore Shibusawa, al 2000, Mechanical Doll, rappresenta un con Maruhei, illustre esponente dell’arnoto per le sue traduzioni di De Sade. Nel uomo di mezza età, con barba, baffetti e tigiano tradizionale. disegno bianco e rosso della copertina occhiali, capelli ricci e fattezze delicate. dell’Histoires des Femmes Fatales dans tout le Pays, sugli scaffali della biblioteca di Shibusawa, forse riconosco le labbra Se vuoi restare in Giappone, vai a p. 93, altrimenti continua a leggere.

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Herrad von Landsberg, Hortus Deliciarum / Inferno, 1180 | copiata da Christian Maurice Engelhardt nel 1818 prima che il manoscritto originale andasse distrutto durante l’assedio di Strasburgo, 1870

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Logiche reticolari di conoscenza: il bambino nell’era dei new media

Dialogo con Fabio Bocci, docente di Pedagogia all’Università Roma Tre di Fabio Orecchini : fabio.orecchini@wanadoo.fr

I bambini e i ragazzi di oggi vivono immersi nel digitale e nel virtuale sin dall’inizio della loro esistenza. La dimensione mediatica è una componente fondamentale del loro processo di crescita. Mi riferisco naturalmente alle ore della giornata che il bambino passa a scambiarsi sms col cellulare, a guardare la tv, a giocare con la playstation e a navigare su internet. La pedagogia ha dimostrato che lo sviluppo preponderante di tutte le componenti cognitive avviene proprio negli anni della pubertà e dell’infanzia. Ne abbiamo discusso con Fabio Bocci. Rispetto al passato, quali processi di crescita e apprendimento si stanno modificando a causa di questa sovraesposizione mediatica che il bambino subisce sin dai primi anni di vita? Innanzitutto non parlerei aprioristicamente di sovraesposizione mediatica subita dal bambino. Come sostiene Maragliano in diversi suoi lavori (Esseri multimediali, La Nuova Italia 1996) il bambino è naturalmente multimediale, poiché per conoscersi, per conoscere e per entrare in relazione con i suoi pari nonché con gli adulti si avvale, integrandoli sinergicamente, di una vasta gamma di mezzi (dal giocattolo alla televisione, dall’immagine illustrata al videogame). Detto questo, non penso che a causa dei nuovi media i nostri figli siano né più precoci (come ritengono alcuni) né meno svegli (come temono altri) dei loro coetanei del passato. Non credo neppure che siano meno creativi o abbiano meno immaginazione dei bambini del passato a causa della teoria – a mio avviso incomprensibile – secondo la quale i bambini di oggi hanno troppo e hanno tutto subito a disposizione. I bambini di oggi hanno sicuramente modalità diverse di processare le informazioni, in quanto sono immersi in contesti che richiedono logiche reticolari di conoscenza (orizzontali, curvilinee, dinamiche, tridimensionali, colorate...) certamente diverse rispetto a quelle unidirezionali o al massimo bidirezionali (e quindi: verticali, lineari, bidimensionali) attivate, ad esempio, dalla mia generazione. E quando il mezzo genera violenza? Il gioco, anche violento, fa parte da sempre dell’immaginario infantile. Ma episodi gravi di violenza sono in continuo aumento tra i minori. Pensiamo anche a casi eclatanti ed estremi: la tragedia di Columbine,


Michelangelo Buonarroti, Giudizio Universale | affresco, 13,7 x 12,2 m, 1536 / 1541 | Cappella Sistina, Musei Vaticani, Città del Vaticano

ispirata dal videogioco Doom, o il gioca col e nel virtuale; in altre parole caso del diciassettenne Warren Le- l’adulto non deve operare da guardiano blanc, condannato per aver ucciso ma conoscere il mezzo, padroneggiarlo, un amico seguendo lo stile efferato monitorare gli effetti e, all’interno di un del suo gioco preferito, Man Hunt. La processo di compartecipazione delle violenza che caratterizza alcuni vide- procedure e degli effetti, operare quelle ogiochi potrebbe infatti stimolare nei che sono le proprie funzioni pedagogibambini il desiderio di emulazione; il che: la supervisione e il feedback che facrescente realismo di trama e grafica voriscono i processi di generalizzazione e l’alto grado di partecipazione attiva dal contesto prettamente ludico a quello amplificano il problema... È possibile ludico-formativo. che la realtà virtuale e la “realtà reale” si sovrappongano fin quasi a confon- Riallacciandomi alla sua risposta le dersi l’una nell’altra? chiedo: recentemente il Centro Studi Certo non si può negare che vi sono stati sull’Infanzia, la Gioventù e i Media episodi di inaudita violenza da parte di della London University ha condotto giovani legati a trasposizioni nella “re- una ricerca i cui risultati farebbero altà reale” di modalità d’azione mediate considerare i videogiochi un prezioso dalla realtà virtuale. Potrebbe trattarsi strumento didattico da utilizzare nei di casi percentualmente irrilevanti, ma programmi scolastici. Cosa ne pensa è una risposta insufficiente. Potremmo lei? rispondere che nell’apprendimento per Sono d’accordo e ne condivido l’ottimiimitazione si apprende in maniera più smo di fondo. Moltissimi prodotti televisivi pregnante da modelli reali piuttosto che odierni (mi riferisco a quelli trasmessi da da modelli derivati da rappresentazioni Playhouse Disney, come Little Einstein, virtuali (Bandura). Anche questa risposta La Casa di Topolino, Manny tuttofare...) è insoddisfacente. Dal punto di vista del così come moltissimi videogame permetpedagogista, infatti, il problema è quello tono ai bambini di sviluppare strategie di di rendere competenti i fruitori attraverso apprendimento e di affinare numerose almeno due procedure: la “desacraliz- facoltà cognitive superiori, ad esempio zazione” dei nuovi media (in particolare le funzioni esecutive. Si pensi a quanta dei videogame) mediante il loro utilizzo matematica è presente in Tomb Raider, educativo all’interno dei contesti for- oppure alle abilità visuo-percettive e alla mativi istituzionali per cui occorre che destrezza oculo-manuale presenti nei l’adulto educatore aiuti i soggetti nell’età giochi di sport ma anche nei cosiddetti dello sviluppo a rendere esplicito ciò che “picchiaduro”; oppure si rifletta su quali e spesso nel virtuale viaggia su canali quante procedure metacognitive si attivaimpliciti; investire risorse nella forma- no quando un bambino o un adolescente zione degli adulti educatori che devono è impegnato in un videogame: memopossedere competenze di transcodifica rizzare, pianificare, prendere decisioni, dei contenuti veicolati dal virtuale al fine risolvere problemi. Planning, Decision di padroneggiarne – e non esserne spa- Making, Problem Solving sono etichette ventati – il portato cognitivo, affettivo e da valorizzare quando sono correlate al socio-relazionale indirizzandolo verso testo scolastico o ad apprendimenti conforme di uso e di applicazione coerenti venzionalmente formalizzati mentre non con le finalità educative di cui scuola e si individuano come capacità quando famiglia sono le principali interfacce. Tut- sono attivate, sviluppate e implementate to questo senza snaturare la dimensione per mezzo di mediatori ludici. Superare ludica insita in questi nuovi mediatori dei queste sterili dicotomie è un passo avansaperi. Si tratta di una sfida che gli adulti ti verso una visione dell’apprendimento non possono comprendere e accettare più integrata ed efficace. se non attivano quelle che, in Una Tv per crescere (Cittadella Editore, 2006), Non crede che questa iperspecializho definito come «forme di vicinanza zazione tecnologica del bambino e cognitiva» al bambino o al ragazzo che dell’adolescente produca oltre a po-

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Risibles Amours Ogni gioco ha le sue regole

di Ilaria Vitali : ilaria.vitali@unibo.it

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La raccolta Risibles amours di Milan Kundera è interamente costruita sull’ambiguità del gioco. Ogni racconto è un palcoscenico sul quale si alternano giochi innocenti o beffardi, che finiscono per sfuggire ai loro autori e assumere risvolti tragicomici o apocalittici. Nel primo, Personne ne va rire (Nessuno riderà), un professore gioca a nascondino per non dover incontrare un tale che gli ha chiesto una raccomandazione. Finirà per prendere gusto alla clandestinità, ma anche per perdere il posto di lavoro. Ne Le jeu de l’auto-stop (Il falso autostop) il gioco diventa erotico: due fidanzati si calano nella parte del cliente e della prostituta accorgendosi troppo tardi che la simulazione assomiglia pericolosamente alla realtà. Nel racconto che chiude la raccolta, Edouard et Dieu (Eduard e Dio), il gioco procede in bilico tra se-

tenziali danni e benefici anche una ancor più netta e drastica differenziazione tra le varie culture occidentali(zzate) e tutte le altre popolazioni che, non avendo accesso alle nuove tecnologie e ai new media, risultano sempre più svantaggiate e lontane? Si tratta di un problema pedagogico rilevante, per tutta una serie di ragioni. Mauro Laeng già ne L’educazione nella civiltà tecnologica (Armando Editore, 1970) ha messo in evidenza i rischi connaturati a una nuova forma di analfabetismo, legata all’incapacità di accedere e padroneggiare le nuove forme tecnologiche attraverso le quali si generano e si veicolano i saperi. In una società dominata dal Tecnopolio (locuzione coniata da Postman) o dalle 3 T (Talento, Tecnologia, Tolleranza) indicate da Florida, tale condizione – secondo alcuni studiosi come Shaff o Ferrarotti – determinerebbe la nascita di una nuova stratificazione di ceti rappresentabile come una piramide al cui vertice risiede una ristretta élite, in possesso delle informazioni e delle competenze adeguate, mentre alla base si colloca una larga maggioranza che, a causa del proprio analfabetismo informatico, è incapace di partecipare ai processi gestionali e decisionali della società. Contro il rischio di nuove e radicali emarginazioni (che non riguardano solo chi è svantaggiato economicamente ma anche chi, si pensi alle persone disabili, lo è in partenza per la proprie difficoltà fisiche, psichiche o sensoriali) mi sembrano molto significativi i progetti del

duzione e mistificazione: un ragazzo si finge cattolico per sedurre una fanciulla molto devota. Finirà per convincerla, ma anche per essere folgorato, in chiusura, da un’apparizione divina. Sono solo alcuni esempi di come, nella raccolta, il gioco si riveli presto un’arma a doppio taglio. Malgrado le differenze, i personaggi di questi “amori ridicoli” sono tutti vittima dello stesso malinteso: convinti che il gioco li abbia liberati, si rendono conto troppo tardi di esserne schiavi. Mescolando con astuzia dramma e ironia, Kundera sembra dirci di fare attenzione: il gioco non è fatto solo d’inventiva, ma anche di regole. Ha principi e leggi proprie cui deve sottostare il giocatore. In una partita a scacchi, suggerisce Kundera, i pezzi non sono autorizzati a muoversi liberamente sulla scacchiera. Ancor meno a uscirne.

WAI (Web Access Initiative) del World-Wide-Web Consortium che si preoccupano di coloro che hanno disabilità e/o svantaggio socioculturale e non dispongono di sistemi per l’accesso alle informazioni: le parole d’ordine sono Accessibilità e Usabilità nel presupposto che l’informazione è un diritto per tutti e deve essere quindi accessibile a tutti.

Ci sono casi in cui, però, i giochi sono solo deleteri per i bambini: verificalo a p. 70. Se invece vuoi saperne di più sull’educazione dei bambini, anzi delle bambine, vai a p. 90.


Tiziano Vecellio, Amor Sacro e Amor Profano (particolare) 1513, olio su tela | Roma, Galleria Borghese

Ludoteca musicale italiana | articolo a episodi | terza parte di Stefania Piras : stefania.piras@argonline.it «Era un gioco, non era un fuoco» Quando la parola gioco e i suoi parenti compaiono nei titoli di una canzone. Un gioco dell’oca per significati a più facce e altrettante sfumature culturali ed emotive nelle canzoni: vita, sport, infanzia, era sesso o era amore?

Ma se il gioco può diventare veramente tutto, è nominato musicalmente grazie alla più famosa e ammiccata metafora dell’amore. A tale proposito fioriscono molti brani quasi sempre occasione di riflessione malinconica sull’amore come gioco altalenante; ricordiamo Il gioco dell’amore (1969) cantata da Caterina Caselli, Gioco d’azzardo (2003) di Paolo Conte, una love ballad costruita sui rimpianti del «gioco di vita duro e bugiardo», Non gioco più (1974) cantata da Mina: voce vellutata, personalità felina che afferma di non volersi più prestare al gioco, col tono disincantato ma invincibilmente incantatore ripete che non gioca più, che se ne va e ammonisce il suo interlocutore, amante in qualsiasi modo solo per la sensualità con cui si esprime, che «non gioco più / ti assicuro / se ti faccio male / poi ti passerà / tanto il mondo come prima / senza voglia girerà». E il gioco dell’amore intrappola anche gli amanti di Antonello Venditti in A che gioco giochi (2005) dove si tenta di decifrare una qualche regola per prolungare il bene e soffocare la fine imminente di un amore. Nel brano Brillantini (2000) di Tricarico si gioca a mettersi in discussione filosofica e di genere, travestirsi per capire che l’immagine è un’illusione e l’assoluto non è nella mente e nell’ammirare il travestimento ci si sorprende persino attratti da se stessi: «Così vestito da donna mi accorgo che io sono la donna più bella / La donna più bella, la donna che voglio e sogno io nella mia testa». All’amore come gioco che tiene fatalmente sospesi hanno pensato anche gli Africa Unite con Il gioco (1997) con un approccio testuale curioso attinto alla semantica e al modo di procedere dell’informatica: «un filmato opaco mancante / forse di un frame / Sì ti voglio, ti sfido / perché non la vinci con me / questa lunga scommessa / che genera il gioco tra noi». Amara la riflessione di Franco Califano in Ho giocato con il tempo (1984) che parla di illusioni e di barare per arrivare a conquistarsi solo un po’ d’amore, parallela al disincanto di chi ha già assistito ai tentativi di arginare la fine di un amore come

in The same (quel tuo solito vecchio gioco) (1997) degli Stadio. Giocato sull’istintualità della notte che arriva e non tornerà mai più, il senso di Giocare (1996) di Biagio Antonacci invita a godersi il momento erotico altrimenti non ripetibile. Anna Oxa canta e parla dell’L’uomo che gioca (1988) come di un’avventura erotica in cui ci si deve convincere con tutto il romanticismo possibile dei “cuori viaggiatori” che è un gioco al quale vale la pena provare a giocare anche solo una volta per testare i propri eventuali sentimenti: «dentro quel blu c’è la porta del cielo / quella che tu stai aprendo con me / dentro quel blu per un attimo che / mi va di giocare una volta e mai più… l’uomo che gioca e al mio gioco ci sta / dentro quel blu». Preventivo il titolo di Gianni Morandi: Tanto è solo un gioco (2006) in cui si riconosce la paura di non essere corrisposti, di rimetterci in sentimenti e serenità simulando e fingendo controlli di autodisciplina proprio come in un gioco: «tanto è solo un gioco si lo so / me lo hai sempre detto tu / basta non alzare troppo il fuoco / sai per non scottarsi di più / tanto è solo un gioco come no / va benissimo così». Intrigante e dolce iniziazione è il gioco erotico che ricorda il protagonista della canzone di Grignani, più serioso nei vocalizzi rispetto agli scanzonati e censurati «giochetti da impazzire» della Giovanna, cantati in Niente da capire di De Gregori, perché costretto a rendersi conto che Il gioco di Sandy (1995) ora è diventato un mestiere per il quale Sandy, la bambina con cui ha scoperto l’amore, prende soldi. Il senso del gioco è stato esplorato in maniera abbastanza insolita da uno dei più importanti gruppi di rock progressivo italiani: Le Orme. Il brano è Gioco di bimba (1972) tratto dal concept album Uomo di pezza che vorrebbe tracciare con questo titolo un profilo dell’uomo come essere svuotato di ogni volontà davanti all’immagine della femminilità. «Nel gioco di bimba si perde una donna» canta Aldo Tagliapietre, evocando nelle melodie da fiaba medievale l’abuso sessuale di una giovane donna.

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“Ama il prossimo. Sperando che arrivi presto”. Ma mentre aspettiamo il prossimo… Che fare? Ammettiamolo. La vita per le single non è mai stata facile. Ce lo racconta anche una storia contenuta nel primo best-seller di tutti i tempi: la Bibbia.

Una zitella sull’arca Parole: Alessandra Berardi Musica: Battista Giordano

Nel giorno del Diluvio Universale il cielo pianse un pianto torrenziale. E per quel temporale straordinario, il mondo somigliava a un grande acquario. Giravano i girini nelle scarpe, nuotavano in giardino capre e carpe, e papere, pantere, pesci palla giocavan tutti quanti al morto a galla.

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Poi per giorni trentatrè piove e piove, fino a che bestie e umani stanno a mollo dalle zampe fino al collo. Il meteo dava tristi previsioni: «Allarme allagamenti ed alluvioni»; e per l’intero fine settimana, rovesci, nubi, e nebbia in Val Padana… A causa dei tremendi cataclismi Noè si ritrovò coi reumatismi; c’era davvero troppa umidità… Sua moglie disse: «Andiamo via di qua!». «Caro mio, dài retta a me, ci salviamo solo se fileremo via sul mare con la barca familiare». Ma prima che mollassero l’ormeggio, accorsero per evitare il peggio milioni di animali col biglietto e chiesero un passaggio sul traghetto. Poi sulla passerella, a due a due, madama Mucca con messere Bue,

la Lupa e il Lupo, Gallo con Gallina, salirono cercando una cabina. Su, c’è posto anche per te sopra l’arca di Noè! Ogni bestia può viaggiare col compagno regolare. In coppia, la Prociona col Procione; Leone con Leonessa, in processione. Però quel brutto porco di Elefante portò la moglie insieme alla sua amante… In fondo a quella fila, una bestiola contenta procedeva tutta sola… Noè le chiese: «Che animale sei?», (…) «Una zitella. Diàmoci del lei». Sopra l’arca di Noè non c’è posto, e sai perché? Se da sola vuoi viaggiare sei una bestia singolare. La gente pensa solo in forma doppia: ti vuol vedere sempre in una coppia. E per sfuggire all’ordine balordo la zitellina si nascose a bordo. …E dopo che passò quell’acquazzone, lo zitellaggio fu la sua missione: organizzò crociere straordinarie …per le navigatrici solitarie. Sono unica e perciò io da sola me ne sto. È bellissimo viaggiare con me stessa, in mezzo al mare!


Giochi di parole e giochi di oggetti nell’arte surrealista di Martha Chalikia : mchalika@yahoo.fr

Il gioco, elemento vitale della creazione surrealista, tanto nel campo della pittura e della fotografia quanto in quello della letteratura, è stato lo strumento e il catalizzatore della sua formazione. Il surrealismo, movimento di liberazione dello spirito e di ogni pratica artistica per eccellenza, ha studiato e scrutato i limiti e il funzionamento reale dello spirito e dell’anima attraverso la psicanalisi. «Il surrealismo tende semplicemente al recupero totale della nostra psiche attraverso un mezzo che non è altro che la discesa vertiginosa in noi»1. Incontri particolari di personalità esplosive, come quelli di André Breton con Louis Aragon e Philippe Soupault, e più tardi, con Robert Desnos e Antonin Artaud, hanno posto le fondamenta di un movimento che ha forse costituito l’aspetto più determinante, più multiforme e più completo dell’arte del XX secolo. Scrittori sovversivi, quali Rimbaud, Roussel o Apollinaire, hanno ispirato e formato il pensiero surrealista. Ogni parola, ogni forma, tanto nelle opere individuali che collettive, acquista un’importanza particolare avvicinandosi ad altre creazioni di genere e modo di pensare differenti. L’autonomia e la polisemia di ciascuna opera, unendosi al caso, allo spontaneo e all’inconscio, conducono all’unità della polimorfia e della cooperazione dei creatori. Estratti frammentari di celebri cadavres esquis2 1 Nostra traduzione di Jean-Luc Rispail, Les Surréalistes. Une génération entre le rêve et l’action, Paris, Découvertes Gallimard, 1991, p. 36. 2 I cadavres esquis sono giochi di parole collettivi.

(una forma di domanda diventa il pretesto per delle risposte incontrollate), formano un insieme di idee che si trova confrontato allo statu quo e alla conformità. «Per una parola tutto è salvo, per una parola tutto è perduto» (André Breton). La fragilità del pensiero si trova confrontata con l’altra faccia dell’anima, attraverso un gioco divertente e allo stesso tempo profondamente personale. L’inconscio dialoga con la scrittura automatica emergente, così come dialoga con altre attività, come il collage o i poemi-oggetto. La libera coesistenza di pensieri e di tecniche artistiche trascina i sentimenti, i desideri, gli odi, le disillusioni, verso una danza senza limiti né tabù. Il pensiero parlato conduce, attraverso la deviazione di questo gioco, alla formazione di un materiale originale, lasciando tracce di scrittura e di plasticità per far fronte alla conoscenza di un mondo in piena disgregazione. Le nuove tecniche rifiutano ormai le pratiche tradizionali, segnate fino ad allora da una forte rigidità. La pittura e la fotografia (Man Ray, Boiffard, Duchamps, Ernst, Dalí, Mirò, Tanguy, De Chirico, Magritte), la letteratura (Breton, Aragon, Eluard, Apollinaire, Crevel), i giochi e le tecniche (cadavres esquis, disegni e quadri automatici, poemi-oggetto, romanzi collage, scrittura automatica, collage, fotografie, bruciature) che compongono e collegano tutte queste pratiche di manipolazione dell’espressione non sono che gli strumenti di cui ci si serve per stabilire un pensiero interamente rinnovato, un pensiero all’inverso. Il poema-oggetto è una composizione che tende a combinare i mezzi poetici e plastici, contando sulla potenza della loro

Marcel Duchamp, Fontana | ready-made, 1917 | Collezione privata

Cadaveri squisiti

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celebrazione reciproca. «André Breton ha cercato, non l’impossibile ricostruzione di un codice impossibile, ma le vestigia ancora viventi della scienza suprema: l’analogia universale. Le ha cercate nelle tradizioni perdute e nella saggezza dei selvaggi, nelle sillabe sotterrate degli eterodossi e dei dannati – alla fine e soprattutto, le ha cercate nel suo mondo interiore, nelle passioni, nelle emozioni e immagini che genera il desiderio, una potenza non meno universale della ragione»3. Nel suo poema-oggetto Sans titre (1941), Breton esprime un’angoscia simile a quella di Rimbaud quando scriveva de «i silenzi, le notti» e «fissava vertigini». Su di un fondo bicolore sono fissati tutti gli elementi che compongono la “logica” di queste pratiche artistiche, di questo gioco spirituale. La terra occupa la parte bassa del quadro, sotto forma di mezza-testa schematica di manichino. Al di sotto di questa, tre frasi sparse, su fondo nero, «où j’erre, vaincu par l’ombre mon cœur»4, che si succedono a «ces terrains vagues, et la lune, accrochée à la maison de»5, rinviano al cielo o al quadro multidimensionale, ricordando che il surrealismo costituisce un movimento notturno e una delle immagini che lo producono, e lo illuminano, è la costellazione. Un mezzo personaggio in legno, senza tratti del viso ma vestito in maniera classica, in giacca e papillon, rappresentante del conformismo e della norma, possiede un foro di serratura al posto della bocca. Quanti segreti e desideri questa persona di sana costituzione nasconde nel suo cervello e nella sua anima? Troverà la chiave per aprire la serratura? Giungerà al sapere per evadere? Un paio di guanti da boxe è posto 3 Nostra traduzione di Octavio Paz, André Breton je vois, j’imagine, Paris, Gallimard, 1991, p. 11. 4 «Dove io erro, vinto dall’ombra, mio cuore». 5 «Questi terreni in abbandono, e la luna, appesa alla casa di».

al suo fianco, pronto a servirgli se si mettesse a lottare: uno in posizione di difesa nell’ombra, l’altro in posizione d’attacco nella luce. Ci sarà la lotta? Nella Querelle des universaux di René Magritte (olio su tela, 1928), abbiamo a che fare con una delle prime opere della serie “pitture-alfabeti”. Esse costituiscono il ponte tra le parole e la pittura e dimostrano in maniera evidente i rapporti ambivalenti delle cose, della loro immagine, delle parole che le definiscono e dei sensi che rispecchiano. Le parole utilizzate per designare il mondo che ci circonda possono essere sostituite per creare un clima di confusione e le condizioni del risveglio rispetto alla spiegazione stabilita e logica delle cose. Nella Querelle des universaux, le parole feuillage (fogliame), cheval (cavallo), miroir (specchio), convoi (corteo funebre), scritte sulla tela su dei cerchi neri, rimpiazzano l’immagine che designano. Sono poste all’estremità delle punte della stella bianca e l’ombra crea uno spazio di mistero e sorpresa. Attraverso questo gioco, il nome degli oggetti cambia, la loro relazione e i rapporti tra le immagini e le parole sono ribaltati. Incontri felici o dolorosi d’immagini e parole, unendosi al caso, all’ispirazione, alla creazione e al subconscio, creano una sintassi nuova che difende il diritto all’insubordinazione nei confronti delle regole della logica razionalista. Essi eccitano l’anima con effetti ottici o immagini da incubo. Queste trasformano, cauterizzano, prendono in giro gli elementi anatomici e gli oggetti usuali, attribuendo altre proprietà e un senso diverso ad esse e alle frasi che le accompagnano. Immagini senza alcuna coerenza logica sono giustapposte, componendo un universo onirico: «Una chimica di parole ed immagini che trascende il comico e mira al sublime: alla “rivolta superiore dello spirito”». Gli strani paesaggi di questi incontri, il gioco che si nasconde nelle opere e nelle rassegne, le profezie e le memorie dei creatori, le consonanti e le vocali, le sillabe e le parole, le frasi costruite da più autori, gli oggetti trovati, le idee, i materiali che richiamano e anche condannano gli istanti, l’apologia di un delirio, le analogie tra le differenti opere, l’intertestualità, la parodia, l’ironia e lo humor noir, le esperienze vissute e lo spirito collettivo, costituiscono la nuova antropogeografia di un mondo di pezzetti che compongono la nostra esistenza.

traduzione di Lucia Leonelli André Breton, Photomatons | 1925 courtesy of Humanity Research Center University of Texas | Austin

Cosa c’è di più surrealista che suonare dal vivo le musiche dei videogiochi? Mettiti comodo e continua a leggere. Altrimenti mantieniti nel campo dell’improvvisazione creativa e vai a p. 32.


Commodore 64 ,1982 | © 2.5

Video Games Live

I videogiochi in tournee con l’orchestra sinfonica. Sottofondo fuorviante o motivo orecchiabile? La musica per videogiochi diventa protagonista assoluta nello spettacolo Video Games Live: il primo concerto sinfonico multimediale che propone le colonne sonore di Super Mario Bros e Tetris. di Samuel Manzoni : samuel.manzoni@argonline.it Si chiama Video Games Live ed è l’evento atteso da generazioni di game players ma anche da profani e occasionali giocatori di consolle. La musica dei videogiochi si trasforma, mettendosi in gioco e rivendicando la sua importanza, lasciandosi alle spalle la nomea d’oggetto secondario, di banale sottofondo fatto di bip costanti e monotoni, diventando una raffinata forma d’arte che accoglie tra le sue braccia giovani scalpitanti e adulti desiderosi di fare un tuffo nel loro passato adolescenziale. Questo è Video Games Live, un concerto sinfonico multimediale che propone le colonne sonore di celebri videogiochi, dagli storici Mario Bros, Pong e Tetris sino ai più recenti Metal Gear Solid, Halo e Fantasy, solo per citarne alcuni. Gli spettatori, trasportati nell’universo sonoro creato dall’orchestra, si divertiranno con le immagini proiettate sul maxi schermo che mostrano alcune sequenze tratte dal videogioco, mentre gli effetti scenici delle luci diventeranno la cornice ideale per immergersi interamente in quest’oceano di suggestioni sonore e visive. Come affermato dal suo ideatore Tommy Tallarico, compositore di musiche per videogame (ha lavorato a duecentocinquanta giochi negli ultimi sedici anni), il punto di forza di questo spettacolo sta proprio nell’unione, nel mix dei suoi molteplici elementi. L’esordio, avvenuto durante l’estate del 2005, è stato d’enorme successo. Nel prestigioso scenario offerto dall’Hollywood Bowl di Los Angeles sono accorse più di 11.000 persone e durante l’autunno dello stesso anno è iniziata una tournée mondiale che di anno in anno si è intensificata sempre di più grazie alle numerose richieste. Per offrire un’idea precisa di quello che accade durante il Video Games Live è disponibile nel sito ufficiale (www.videogameslive.com) una serie di download che raccoglie il meglio dei loro eventi, dalle interviste agli ideatori, al pubblico sino agli spezzoni dei concerti. Le esecuzioni dal

vivo sono in grado di mettere in risalto sia le musiche dei videogiochi d’ultima generazione sia di offrire una nuova veste a quelle dei loro precursori. Il cambiamento radicale avvenuto negli ultimi decenni nel mercato dei videogiochi tende ad affidare la composizione delle musiche a compositori professionisti o in alcuni casi predilige l’utilizzo di canzoni di band internazionali specie per i giochi sportivi. I videogiochi “sparatutto in prima persona”1, come Halo per esempio, invece richiedono l’utilizzo di molti elementi come un coro o l’esecuzione di un solista fino all’utilizzo di percussioni elettroniche; casi analoghi si trovano nei videogiochi d’avventura dinamica, tra cui Devil May Cry e God Of War, mentre per quanto riguarda i videogiochi degli anni ’70-’80 la “musica cambia”, infatti, il ricco corpo orchestrale riesce a rendere unici i celebri temi di vecchie consolle come il Nintendo. Passando dagli epici main theme di giochi come The Legend of Zelda e Castlevania sino agli altalenanti motivi di Pac-Man, Video Games Live si propone al suo pubblico con tutti gli elementi necessari per essere unico e innovativo; unisce gli strumenti classici dell’orchestra con le musiche generazionali del mondo dei videogame e allo stesso tempo regala al suo spettatore un evento che va oltre il semplice ascolto. Gli organizzatori di VGL hanno annunciato che a breve l’evento sbarcherà in Italia, dunque, per tutti coloro che fossero interessati a questo viaggio nel mondo dei videogiochi basterà aspettare! 1 Videogiochi in cui la visuale di gioco simula la vista del personaggio principale (in prima persona). È un’espressione che combina due diciture inglesi riferite a videogiochi: shoot ‘em up (spara a tutti) e first person shooter (gioco in cui si spara in prima persona).

E se gli stessi strumenti dell'orchestra fossero dei giocattoli? Continua a leggere scoprirai che niente è impossibile! Altrimenti, se sei un patito dei videogiochi, legg l'elogio degli scacciapensieri a p. 13.

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Guillame Apollinaire nello studio di Pablo Picasso foto di Marie Laurencin, 1924 | Bibliothèque Litteraire Jacques Doucet, Paris, France. | © Archives Charmet

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Pascal Comelade, 1 el gandul activista Un’insospettabile orchestra di strumenti-giocattolo suona e reinterpreta grandi successi. Come si gioca a costruire l’immaginazione coi mattoncini Lego, Pascal Comelade ricomincia dai giocattoli per fare e immaginare la musica. Si considera un turista della musica popolare, eppure Pascal Comelade, classe 1955, origine francese e formazione catalana, ha al suo attivo più di quaranta album pubblicati in diversi paesi, spesso raccolte ad hoc per il paese di pubblicazione. Ama incontrare altri artisti e mescolarsi al loro modo di fare come con David Byrne, Brian Eno, Sonic Youth, PJ Harvey, Roy Paci e Vinicio Capossela ma anche il poeta catalano Enric Casasses o il cantante Luis Llach che ha scritto un libro su di lui. La sua vena patafisica lo porta ad aderire all’Associazione degli amici di Alfred Jarry e al movimento Oeuvre brutiste. Appassionato di rock’n’roll, è iscritto al fan club ufficiale di Vince Taylor. Assicura che il suo professore di contrappunto al Conservatorio sia stato Igor Wagner, il pianista di Bianca Fiore, entrambi personaggi delle avventure di Tintin e Milou, celebre fumetto ideato dal disegnatore belga Hergé. La sua affermazione semiseria e tutto il restante bagaglio gitano forse possono introdurre alle sonorità del musicista Comelade, o al suo universo galáctico, aggettivo affibbiatogli dal cantautore catalano Jaume Sisa. Il suo percorso comincia a metà degli anni ’70 ma solo nel 1980 crea con Pierre Bastien e Cathy Claret la big band con la quale suona tuttora: la Bel Canto Orquestra, composta da strumenti-giocattolo: sax e trombette di plastica, chitarre-giocattolo, cannucce di plastica perforate a mo’ di flauti, batteria-giocattolo, e pianoforte-giocattolo, strumento privilegiato da Comelade. Da qui in poi fiorisce la ricerca delle radici musicali della mediterraneità che nei suoi esiti più luminosi riesce a ripensare in chiave contemporanea pasodoble, canzone napoletana, tarantella, rumba, tango, valzer… Dopo una prima stagione schiettamente sperimentale si nota un’attenzione maggiore per la melodia, Comelade suona numerosi e celebri standard della musica leggera fra i quali Honky Tonk Woman dei Rolling Stones, Proud Mary dei C.C.R., Ti amo di Umberto Tozzi, The Godfather di Nino Rota e ancora Velvet Underground, Deep Purple e Bob Dylan. L’intento è di considerare i chiaroscuri della stessa melodia trasognando contenuti ed emozioni. Il risultato? Una musica lontana dalle nozioni di evoluzione e avanguardia, quasi buffa perché singolare, che richiama alla mente lo straniamento di certi circhi, il preziosismo emotivo dei carillon, il mondo prefasico dell’infanzia, la malinconia costitutiva delle giostre deserte, un ricordo di lucine colorate che vivono a intermittenza. Una musica che non può che nutrire le visioni di certi spot pubblicitari, le atmosfere cinematografiche (tra i titoli di film in cui la si può ascoltare ci sono André le Magnifique, La Isla del Holandés, No Sex Last Night, Fett Weg!) se non gli spettacoli teatrali (Zumzum-ka). di Stefania Piras : stefania.piras@argonline.it Trad. il fannullone attivista, come si definisce lo stesso Pascal Comelade in un’intervista per Music Buzz© media park s.a. 1999

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A proposito di patafisici, vai a p. 38 e conoscerai l'OuLiPo, officina di letteratura potenzale creata da due membri del Collegio di Patafisica. Altrimenti continua ad ascoltare musica giocosa.


Sierra Casady, Bianca Casady

I balocchi musicanti delle sorelle Cocorosie

Tintinnii, ciuf ciuf, scampanellii, chicchiricchì. Se le ascolti sono una ninna nanna. Se le assaggi sanno di petite madeleine. Sierra e Bianca Casady, sorelle di sangue cherokee, si ritrovano a Parigi nel 2003 dando vita al loro miracolo musicale: i sonagli per le culle, la fattoria degli animali e le piccole armoniche a bocca di plastica sono tra i loro primi strumenti. Poi si aggiungono un’arpa, un mixer, una chitarra, un synth, l’ausilio di un semplice registratore a quattro piste e al riparo da sguardi adulti, nell’appartamento della sorella maggiore Sierra a Montmartre, sperimentano e compongono il primo album La Maison de Mon Rêve del 2004. A farle emergere dal ventre parigino ci pensa l’etichetta indie Go Records, accostandole al movimento folk-psichedelico New Weird America, a fianco di artisti del calibro di Devendra Bahnhart e Antony & the Johnsons. Comune denominatore di questi musicisti è giocare sia con la voce che con gli strumenti verso un recupero del folk miscelato ai mezzi sonori della contemporaneità. Il mondo di Coco e Rosie è colorato come i paesaggi delle Hawaii, immaginifico come lo sciamanesimo ma sinuoso come un’opera lirica. Sul palcoscenico dei loro concerti, nell’ultimo anno sold out in quasi ogni città, le due ragazze suonano strumenti-giocattolo capaci di fare da collante per le loro voci così eterogenee. I microcosmi a cui si legano le due sorelle sono un insieme complesso d’esperienza musicale e di sperimentazione, una strada che le ha portate a incidere altri tre album (Beautiful Boyz, 2004; Noah’s Ark 2005; The adventures of Ghosthorse and Stillborn, 2007 sempre per Touch and Go/Quarterstick Records) che per molti aspetti sono diversi da quello d’esordio ma tutti con uno stesso concept di fondo: giocare con le proprie identità e porsi, perché no, al confine tra due mondi. Alessandra Di Dio : alessandra_didio@virgilio.it

Una comunità poetica all’insegna del gioco: il Poetry Slam Un’idea comunitaria della poesia è sottesa alla missione del Poetry Slam: ecco quanto afferma il suo “inventore”, l’americano Marc Smith, che nel 1987 tradusse quello che nell’antica Grecia era l’agone poetico di Esiodo e compagni1 in una gara giocosa di poesia recitata dal vivo in cui il pubblico, sorteggiato per comporre una giuria di cinque elementi, è chiamato a votare il migliore. Come si legge nel sito di Lello Voce2, poeta che ha portato in Italia lo Slam negli anni Novanta, questo tipo di gara «riafferma, una volta per tutte, che la voce del poeta e l’ascolto del suo pubblico fondano una comunità, o meglio una TAZ (Temporary Autonome Zone), come direbbe Hakim Bey, in cui la parola, il pensiero, la critica, il dialogo, la polemica e insieme la tolleranza e la disponibilità all’ascolto dell’altro sono i valori fondamentali». In qualche modo, un ritorno alla face to face society, quella degli antichi cantori greci, appunto. Con la differenza che, mentre presso i Greci il poeta era sacro, rispondeva all’esigenza di trasmissione del mito cui non riusciva ad adempiere una casta sacerdotale troppo debole, al giorno d’oggi il poeta gioca, e il pubblico si diverte – tutto nei tre minuti concessi ad ogni concorrente. Di seguito vi proponiamo due autori dediti alla Slam Poetry3: Alessio Luise e il collettivo Sparajurij. I file audio dei loro testi sono disponibili sul sito www.argonline.it. a cura di Giovanni Tuzet, Rossella Renzi, Lorenzo Franceschini 1 Sullo spirito competitivo degli antichi Greci si veda l’articolo di Oscar Fuà, Le gare degli eroi, a p. 2 http://www.lellovoce.it/ sempre in questo numero a p. si trova l’intervista a Lello Voce sul fenomeno Slam. 3 Slam Poetry è la definizione che si usa per la poesia Slam: un vero e proprio genere poetico; mentre il nome della competizione, del “gioco” è Poetry Slam, quella particolare forma in cui i concorrenti, invece che rapper come nello Slam propriamente detto, sono poeti.

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Alessio Luise D’intenzione oramai (da Voce del verbo invece sez. Invano) - l’aggiornamento lo può fare dalle 12 alle 16... ...ah, anche se tiro indietro l’ora...?

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I Sei in via d’intenzione per dire che fai basta che il volto per quanto lo faccia resti buon viso, per raccontarlo ad altri e ad alcuni per essere utile in via di risorsa e non di persona per dire che quello è quel che facevi, ed è come dove guardi. Se a parole sbagli – la voce distoglie gli sguardi, dice solo se sa. Comunque io amore ti ascolto, non sono più uno ma lavo e cucino, sporco per due e mi siedo per tre, non chiedo nient’altro che il sogno di noi per mano nel tempo nel meno quadrato del metro che serve a farci da stanza, non sono che uno che cambia argomento che va per le unghie, così che è convinto che tutto abbia un posto. Che lui è quello giusto, nel posto altrettanto ma non è al momento.


Sparajurij: www.sparajurij.com

Lu schifu ca me fa lu pepistrezzu (murto)

Istruzioni per l’uso di un pipistrello (morto)

ca c’hanno li ali ca pirò sugnu mani e ci hanno iunghia ca se ligano ai pali e tengono i radio ai postu dell’occhie a si stanno all’ingiù culli nasi e li recchie iaccansati nei mucchi dei paraurti fetussi cacano enseme de cacanzi secchi

dispongono di ali che assomigliano a mani son dotati di artigli acuminati e precisi si orientano grazie a radar complessi è loro abitudine dormire capovolti abitano anfratti bui e sinistri depongono escrementi dalla consistenza dura

ie paiono topi ca sugno mejali besugna che moiano de murte ’nfernale scanzarli ai munnezzi ai sciacalli alli cani besugna pistarli de sotto li pedi me nun se può ca so’ protetti dai leggi in quest’orrore de munno scurreggi

sono esseri discreti e coinquilini ideali è opportuno apprezzarli e preservarne la specie offrir loro asilo negli ospedali essere sempre con loro ospitali poiché sono tutelati giustamente dalla legge grazie al senso civico e umano degli uomini volano liberi e felici prediligono ragni, moscerini e scarafaggi è importante occuparsi dell’ecosistema i pipistrelli vanno amati e riveriti hanno ali esili e dolci e hanno occhi che vedono l’infinito sono mammiferi come noi tutti ma anziché correre camminare stan sempre appesi o sospesi mangiano sangue di sangue rubato alle zanzare nemiche odiate del creato

engoiano ragne e zinzari e blatti ma ca m’emporti de tutte quei mustri li pipistrezzi me fannu schifu lu stessi coi quei ali nudi e sprezzi e scazzi co quei occhi zecchi sanza respetti ’nvece ca da ovi ce nascuno diretti ma nun sa ni stanno a spatachiare nel erbi si stanno au cuntrario ’sti schifi pistrezzi se sucano sangui puro cull’aidiessi

ca ma li magni me, li pipistezzi li colaziono accussì cume li bescutti ce li butto de sotto ca diventeno rutti che se spalmeno piano de dentro lu piatti (me li pigghio ca durmono nel’inverno ’sti fessi cha sembreno murti cha suno veventi)

io amo moltissimo i pipistrelli li accarezzo ogni mattina come fossero fratelli li accudisco nei miei sogni più amorevoli prego iddio padre che dormano sonni perfetti è infatti molto importante non confondere un pipistrello morto con un esemplare in letargo

’nu pepistrezzo ca dormi i’è sultanto ’na faccenda de mmerda ca nun merita altro sur manuale ch’ho scrittu manuale scolasto cha te ’nfonda speranza de pipistrezzo (murto)

un pipistrello se dorme è soltanto un caso da non registrare e da non dire sul manuale disponibile nelle biblioteche del regno con le istruzioni per l’uso di un pipistrello (morto)

Ora, come in ogni Poetry Slam che si rispetti, vota, scrivendo ad argo@argonline.it, entrambi i poeti, con un voto ciascuno da 1 a 10, compresi i mezzi voti (esempio: 7 o 7,5). Oppure, se ti diletti con i versi o conosci qualche poeta, puoi giocare dal vivo anche tu: scopri le regole del Poetry Slam su http://www.lellovoce.it/spip.php?rubrique15

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Fabrizio Tarducci (Senigallia, 17.X.1976)

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Un gioco da poeti

Intervista a Lello Voce, il padre dello Slam-spaghetti, ovvero colui che ha importato il Poetry Slam in Italia diLorenzoFranceschini:france.lorenzo@argonline.it

punto di vista io credo che in Italia lo Slam si stia allargando sempre più, ce ne sono praticamente ogni giorno; non è ancora la dimensione strutturata in federazioni che c’è in America, in Germania o in Francia, ma secondo me questo non è un danno: lo Slam in Italia cammina in maniera più libera, meno inquadrata... perché quello che importa è la poesia. Che poi ci siano le federazioni o le classifiche ufficiali, questo va bene, fa parte del gioco, ma non ne è la parte essenziale. La parte essenziale del gioco è la poesia che va in scena, che si fa performance, che torna ad avere davvero un rapporto provocatorio e stimolante col proprio pubblico.

Nel 1992-93 lo Slam approda in Europa, con grande successo. Ad oggi qual è lo stato di salute di questo gioco poetico in Italia? Ottimo! E continua a crescere: oltre agli eventi che si ripetono con più o meno frequenza – penso agli Slam di Milano, Roma, Bolzano, Ancona, Torino, le parlo di città in cui lo Slam è diventato una vera e propria tradizione – ce ne sono decine di altri che sorgono spontanei. Diciamo che ormai lo Slam sta incominciando a diventare ciò che avrebbe dovuto essere, cioè al di là degli eventi “riconosciuti”, si presenta come il modo per mettere assieme la gente perché ascolti poesia. Ed è questa la funzione principale dello Come giudica questo proliferare dello Slam, quella di creare attorno ai poeti Slam anche a bassi livelli. Non è forse una comunità interessata ad ascoltarli in qualche modo nocivo? Ho notato e che con loro vuole scambiare opinioni, che a volte offre soddisfazioni a poeti idee, sensazioni, esperienze. Da questo “acerbi”, ma che magari sono simpa-

tici, o belli, o hanno un bel timbro di voce... Lei sa quanti pessimi libri di poesia vengono pubblicati ogni anno in Italia? Sa quanti di essi vengono pubblicati a pagamento? Sa quante volte, tra l’altro con la truffa, il bisogno di esprimersi di tanti giovani viene commercializzato? Sa quante volte in Italia si riesce a pubblicare solo perché si è belli o si conosce la persona giusta? Per lo Slam, che fa parte di questo mondo, valgono le stesse regole. Ci sono degli Slam molto belli, altri meno. Però è certo che in tutte queste attività, anche nel pubblicare un libro a pagamento, almeno dalla parte dell’autore – da parte dell’editore non lo so – c’è una grande dignità che non possiamo offendere, che è l’amore delle persone per le parole. Nessuno è obbligato ad essere un grande poeta, noi siamo liberi di andare ad ascoltare gli Slam e di andarcene via se non ci piacciono, ma non


Guy Debord, Michelle Bernstein, Asger Jorn

si può affermare – come si legge anche in rete e a volte con motivazioni un po’ penose – che nello Slam la poesia venga inquinata, mentre sui libri resta pura. In verità la situazione è più o meno la stessa per la poesia scritta e per quella orale. Lo Slam è un medium, come lo è il libro. Personalmente, poi, io ho sempre profondo rispetto per chi sale su un palco, perché sta mettendo in mostra se stesso, e se lo fa ha una ragione seria per farlo. Nello Slam è molto importante la presenza scenica e anche le frasi ad effetto: bisogna colpire l’uditorio... La poesia è solo una frase ad effetto che differenza c’è se colpisce l’occhio dello spettatore piuttosto che l’orecchio? In realtà, anzi, quelle frasi che lei chiama “frasi ad effetto”, che sono la vecchia retorica, sono parte integrante anche della poesia scritta. Per quanto riguarda poi la capacità di recitare sul palco, la poesia è nata come oralità, per migliaia di anni la poesia è stata orale, solo da qualche secolo la si fa sui libri1. 1 A questa problematica abbiamo dedicato il primo numero di «Argo» consultabile sul sito www.argonline.it (sezione Territori)

Che cos’è per lei la critica? Quella degli addetti ai lavori, intendo... I critici sono fondamentali. Sono loro che sanno leggere la poesia interpretandola in maniera profonda. Il problema è che oggi molti critici non hanno quegli strumenti che servono per interpretare la poesia, spesso non conoscono neanche la metrica... Qualcuno accusa voi poeti performativi di gareggiare contro la società dello spettacolo, che ha tolto potere comunicativo alla poesia, usando gli stessi mezzi di questa società, ubbidendo alle sue leggi per non venire ignorati. Mi riferisco, per esempio, alla Lettera a Tiziano Scarpa di Alfonso Berardinelli (Sul banco dei cattivi, Donzelli 2006). Come risponde a questa critica? Guardi, Berardinelli utilizza gli stessi mezzi della società dello spettacolo, quando scrive sui quotidiani, anche di sinistra. Guy Debord parlava dello spettacolo nel senso di un apparato spettacolare che espone il vuoto, ma

non disprezza lo spettacolo in sé, il teatro, il cinema... Lo spettacolo da cui ci mette in guardia Debord è un certo tipo di comunicazione che si configura come esaltazione del nulla. Il Poetry Slam, o altre forme di spettacolarizzazione della poesia, non intendono svuotarla dei suoi contenuti, ma ampliare la sua capacità comunicativa. In realtà, sono gli editori di testi scritti che spesso si avvalgono in maniera impropria del linguaggio corrotto della società dello spettacolo. Per esempio, quando prendono uno scrittore di romanzi, una delle produzioni che più di tutte necessita di raccoglimento e di lettura personale, e lo danno in pasto ai fan su un palcoscenico. E lui magari non è neanche un bravo lettore. Nel 2002 affermava che lo Slam sarà il domani della poesia. Ne è ancora convinto? Certo. E i fatti me lo confermano. La poesia ad alta voce oggi interessa molto di più che quella scritta, è per questo che io pubblico cd...

Se non sei d'accordo con Voce, senti cosa ha da dire Matteo Fantuzzi. Se invece sei curioso di conoscere meglio la poesia Slam, vai a pp. 25/27.

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Salvator Dalì

Poetry Slam: un giochino non indispensabile

Contro-analisi di un fenomeno d’importazione che fa maneggiare la poesia come una mazza da baseball

di Matteo Fantuzzi : matteofantuzzi@yahoo.it

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Quando mi è stato proposto di scrivere un articolo sullo Slam, ho dichiarato fin da subito che la mia analisi sarebbe stata negativa. È una convinzione che mi porto dietro ormai da anni, frutto della valutazione di due parametri: sostanza (cioè i testi) ed effettuazione (cioè come si sviluppa il Poetry Slam). Ma se andassimo a fare una valutazione di “peso” all’interno dell’analisi credo che sarebbe la questione della concretezza dei testi a creare i veri dubbi. Quando ho avuto modo di confrontarmi con le antologie di poesia Slam gli esiti non sono stati eccellenti, nel senso che i bravi poeti hanno continuato a sapere fare poesia anche all’interno del territorio Slam, mentre i poeti mediocri o pessimi tali sono rimasti, anche all’interno di una poesia “d’occasione”, di una poesia “retorica” (usando anche la definizione medievale del termine), di una poesia privata del semplice ragionamento poetico qual è la poesia Slam. L’ipertrofizzazione della componente effettuativa, infatti arriva spesso a sostituire la necessità testuale dell’opera poetica attraverso moine, grida e teatralità: tutto ciò è facilmente verificabile, se non attraverso la visione di un Poetry Slam, grazie ai nuovi media (come ad esempio la rete e, in particolare, youtube), che facilmente offrono a chiunque e, con ampia reperibilità, la possibilità di compiere una valutazione seria e serena di questo modo di proporre la poesia. Completa questo “pasto esotico” (americano, sua terra d’origine, fino al midollo), l’MC, il maestro di cerimonia che scalda la folla, gigioneggia, chiede l’applauso proprio come in un festival della profonda provincia, ma non come ci si trovasse a parlare di letteratura (di serie A o di serie B che sia), quanto piuttosto a una selezione locale di Miss Padania o piuttosto di Miss Maglietta Bagnata dove quello che conta è cosa si intravede dalle trasparenze, non tanto che il materiale sia vero o fittizio, siliconato, che stia su o drammaticamente cada al primo movimento. Se questa è la fotografia dell’analisi, se questo è il “gioco”, credo che anche il Bagaglino possa dirsi teatro sperimentale, d’avanguardia e soluzione alla captazione del pubblico (capisaldi dell’analisi di chi sostiene gli Slam). E anche questo mi sembra un problema curioso da analizzare: la ricerca del pubblico “con qualsiasi mezzo” credo non possa portare a buone soluzioni, fermo restando che in altre parti del mondo, ma oramai anche in Italia, il buon poeta che porta con sé senza fronzoli la buona poesia è in grado tranquillamente di riempire i teatri (smettiamo di raccontarci che solo in Centro o Sud America vi sono manifestazioni di poesia ad alta densità di pubblico, festival come Riccione, Monza o Monfalcone – solo per fare qualche esempio – negli ultimi anni hanno saputo fare ottima poesia e portare grande pubblico, e senza svilire la proposta). Certo, la cosa è più difficile per il pessimo poeta, che si può giocare la carta dell’incomprensione (nessuno mi capisce... ma io sono un genio!) e opta-


re per l’allargamento della base dell’analisi: a quel punto poeti urlatori, cantanti qualunquisti, comici dell’avanspettacolo, tutto può entrare in una disamina mancante di regole, in una corrida di dilettanti allo sbaraglio dove il verso è solo il modo per potere affermare se stessi davanti a una platea allargata e portare in dote maggiore potere contrattuale verso le case editrici e gli assessorati alla cultura locali (altro luogo dove spesso la quantità viene considerata parametro vincente rispetto alla qualità), ma quello che viene fuori è un “parmesan” poetico, una copia inodore e insapore che serve a imbellettare un piatto poco condito, come il glutammato che nel brodo liofilizzato serve a esaltare la sapidità e mascherare la carenza di sali minerali e nutrimento. La scorsa primavera il premio nobel Derek Walcott venne a Bologna per una lettura e portò via (senza farcene accorgere) ore e ore, eravamo in centinaia e centinaia, completamente rapiti: c’era solo Walcott, la sua voce e la sua poesia. Se fosse arrivato un MC a fare la sceneggiata... sinceramente lo avrei menato con le mie mani. E in effetti è arrivato, per un reading con alcuni giovani universitari: finito l’appuntamento con Walcott impietosamente la gente è scappata e solo pochi sventurati sono rimasti ad ascoltare questi giovani che certo Walcott non erano... Ma la differenza comunque rimane solo questa, necessariamente: se c’è della buona poesia il giochino dello Slam non ha necessità d’esserci, se c’è lo Slam la buona poesia, e la buona poesia performativa che il nostro paese ha e manda in giro per il mondo (Marco Giovenale, Laura Pugno, Florinda Fusco, Sara Ventroni, Rosaria Lo Russo, Mariangela Gualtieri) annacqua dentro a un percorso impalpabile che non porta a concrete prospettive. Giocare con la poesia insomma non pare essere un grande affare, soprattutto se si rovina il giocattolo. Certo non deve rimanere su di una mensola a prendere polvere, ma questo è un altro discorso che non autorizza a maneggiare una cosa fragile come la poesia con la mazza da baseball come qualcuno negli ultimi anni sta cercando di fare con risultati a mio parere per lo meno discutibili.

Anche il jazz, al suo apparire, attirò strali simili da parte dei custodi della “buona musica”: continua a leggere e scoprirai che i giochi nascondono sempre delle regole. Se invece anche tu apprezzi solo la “buona poesia”, torna all'inizio di «Argo» e vai a p. 2.

Geraldina Colotti: gcolotti@ilmanifesto.it Il cantico delle brutture Altissimu Onnipotente Consigliori, tue son le laude, la boria e lonore e nonne benedictione. A te solo, Altissimo, se scofanano E nullu omu ene dignu Te mantovanare Laudato, sì, Consigliori, per sor acqua La quale è molto utile et preziosa e costa Laudato si, Consigliori, per fare focu Per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bellu, et iucundo, et robustoso e forte (e semo morti) Laudato sì, Consigliori, per cosa nostra madre terra, la quale ne sustenta e governa e ci sotterra e produce diversi ciucci e biancofiori azzurri e merda Laudato sii, Consigliori, per quilli che bastonano per lo tuo amore E dispensan infirmitate et tribulatione, beati balilla, che sotterrano in pace quilli, ka da te, Altissimo, sirano incornati Laudato si, Consigliori, per sora nostra morte cerebrale, televisore, Da la quale nullu homo sentiente po skappare Guai a quilli ke morranno ne le leccata portali. Beati quilli che se trovarà ne le tue mammasanctissime volutati: ka la morte seconda canali non li poterà far male Laudate et benedicete lu mi consiglieri, e rengratiate, e servite e Lui cum grande Fede e leccate.

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Il jazz in gioco

Gli equilibrismi del jazzista fra costrizioni e libertà

di Joana Desplat-Roger: j.desplat.roger@gmail.com

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Chiedete a un musicista jazz di parlare del principio della propria musica e sarete molto sorpresi della difficoltà che incontra a spiegarvelo. Lo stesso Louis Armstrong diceva: «Se mi domandate che cos’è il jazz, non lo saprete mai». Infatti, la sola cosa di cui siamo certi è che il jazz è una musica d’improvvisazione. Ora, il processo d’improvvisazione costituisce, di primo acchito, il punto focale d’incomprensione: se il musicista improvvisa, è libero di fare quello che vuole. Ciò equivarrebbe allora ad attribuire all’esercizio d’improvvisazione una logica puramente soggettiva, gesto che impedirebbe di diritto ogni possibilità di stabilire un criterio di giudizio estetico. E, di conseguenza, il rischio potenziale di un’espulsione, senza appello, del jazz dalla sfera delle Belle Arti: destino tragico che gli ha conferito Adorno, riconoscendogli soltanto la sua costruzione aleatoria1. Supponiamo allora che l’improvvisazione non risponda ad un puro niente, ma a una logica particolare. Supponiamo adesso che l’utilizzo del termine “gioco” per descrivere il processo di creazione musicale non sia solamente il frutto di un caso linguistico2, piuttosto il segno che la nozione di gioco, intesa nel suo senso stretto, avrebbe a che fare con ciò che s’impegna a descrivere. Allora il musicista jazz sarebbe, per essere esatti, colui che gioca la musica. Più che un semplice gioco di parole, questa considerazione letterale della nozione di gioco offre un nuovo campo d’investigazione per comprendere quel che è il problema nell’improvvisazione. Ora, è un dato di fatto: il musicista jazz, sebbene non segua letteralmente una partitura scritta, non improvvisa dal nulla. Egli inventa frasi musicali a partire da una base armonica e ritmica predefinita, di cui deve tenere conto per sviluppare un’improvvisazione originale. Non si tratta di dire che questa trama armonica gli impone uno sviluppo particolare, ma al contrario che gli propone la possibilità di un “gioco con essa”. Il musicista jazz, in questo senso, è colui che decompone e ricompone la trama armonica e lo fa in maniera libera. Avanziamo allora: l’improvvisatore segue certo una regola, proposta dal pezzo stesso. E questa regola è quella del gioco: mai prescrittiva, apre uno spazio di libera circolazione, nel quale il musicista può “srotolare” il filo di un’improvvisazione, legando le note in maniera ludica. In questo modo si comprende che l’improvvisazione non è mai predefinita o indirizzata, ma che è sempre un “gioco” nel suo divenire: si costruisce in “slalom” attorno a dei punti d’assise e alle sue infinite possibilità di aggirarli. In termini musicali si parla di un movimento di “tensione-risoluzione”, che consiste nell’uscire dalla tonalità, per poi tornarci. Questa tensione è ciò che tiene in allerta contemporaneamente i musicisti e gli ascoltatori, distendendosi nella durata per realizzarsi attraverso un ritorno nella tonalità, rassicurante. Allo 1 Theodor W. Adorno, Moda senza tempo. Sul jazz,in Prismi. Saggi sulla critica della cultura, Torino, Einaudi, 1972. 2 In francese esiste l’espressione jouer de la musique (“fare musica, suonare”), che si ritrova in inglese e in tedesco.

Una volta per uno non fa male a Nettuno g.c.

Quanti ne vuoi di questi? Ci sono due momenti fondamentali che fanno da prologo e da epilogo all’atto del giocare. Sono la conta e la penitenza, circostanze di passaggio che individuano quello spazio altro, di metalinguaggio e creatività. Am blim blom, tre galline e tre capò, che andavano al mercato, a comprare il pan pepato; che andavano nell’orto, a beccare un porro storto; che andavano in città a imparar la verità. Am blim blom, tre galline e tre capò. Oppure: Lo sceriffo Biri Biri, vuole fare la pipì! Vuole farla di tre colori: rosso, verde, giallo: Fuori! Il fare la conta definisce l’ingresso del gruppo nelle dinamiche di gioco in cui destino, fortuna e creatività si manifestano determinando sottili processi psicologici di riconoscimento. Dall’altro capo, l’elemento complementare del gioco è rappresentato dalla penitenza cui viene sottoposto il giocatore vinto. La più famosa di tutte è Dire fare baciare lettera testamento. La penitenza, pur rimanendo nell’ambito del gioco, apre una finestra sul reale: il metalinguaggio è sospeso e i caratteri emersi durante il gioco possono essere messi alla prova. Il momento della penitenza apre uno spazio ambivalente − protetto nell’aura del gioco eppure proiettato sul reale – e rappresenta un’occasione di conoscenza dell’altro e di avvicinamento alla sua sfera emotiva e, non di rado, a quella erotica. Così, a parte la prova fisica, la vera penitenza per lo sventurato giocatore è farsi leggere dal gruppo, essere svelato, identificato, definito e la sua pena è, in sostanza, quella di essere il primo a smettere di giocare. di Tommaso Gragnato : tommaso.gragnato@argonline.it

stesso modo dell’equilibrista che gioca con la propria sospensione nel vuoto – che suppone sempre un potenziale squilibro a causa della sua prossimità alla caduta, mentre il suo gioco consiste nel ritardare sempre più il ritorno a una tranquilla stabilità –, l’improvvisatore mette in gioco anche se stesso e questa messa in gioco è sempre, in fondo, un gioco con il rischio dello squilibrio. Traduzione di: Lucia Leonelli

Che succede, però, se giocando si sbaglia e si perde? Continua a leggere e lo scoprirai. Altrimenti, se vuoi ascoltare un po’ di musica giocosa all’italiana, vai a p. 9.


Djambi o Lo scacchiere di Machiavelli

di FF

Tra la miriade di giochi di società dedicati alla guerra, presentiamo qui quello che, per genesi e struttura, rappresenta secondo noi un’eccezione degna di nota. In un primo momento, avevamo pensato di dedicare questo box al Gioco della Guerra concepito da Guy Debord e “brevettato” nel 19651: tale gioco, che asseconda l’interesse quasi ossessivo di Debord per la strategia e forme “classiche” del conflitto, configura su uno scacchiere uno scenario bellico e logiche di scontro che ricalcano le teorie di Von Clausewitz e ci proiettano in una dinamica bipolare di attacco e difesa lungo una linea di frontiera, che implica la protezione di arsenali e di depositi e lo sfruttamento di fortezze e di avamposti2. Poi abbiamo sperimentato Djambi, o Lo scacchiere di Machiavelli (L’impensé radical, 1975), che si rivela, per attualità e complessità, decisamente più interessante. Sviluppato, secondo indiscrezioni, da un gruppo di studenti di Michel Foucault al College de France negli anni ’70 e firmato Jean Anesto, Djambi rappresenta un’innovazione importante, benché marginale, nell’ambito dei giochi di strategia e può risultare un valido supporto per ciò che concerne la riflessione sulle logiche e sulle dinamiche della guerra. Non vogliamo affermare che Djambi sia uno strumento analitico privilegiato, ma sottolineare come esso provveda, attraverso una simulazione a differenti livelli, a evidenziare la complessità del fenomeno 1 Nel 1987 Debord pubblicherà per Gallimard il volume Le Jeu de la Guerre, insieme a Alice Becker-Ho e Gérard Lebovici. Nel 2008 il Gioco della Guerra è diventato un videogame per la Radical Software Group di New York. http://www.ecrans.fr/DebordKriegspiel,3636.html 2 Nella presentazione del gioco (1965) si legge: «L’ensemble des rapports stratégiques et tactiques est résumé dans le présent Jeu de la Guerre selon les lois établies par la théorie de Clausewitz, sur la base de la guerre classique du dix-huitième siècle, prolongée par les guerres de la Révolution et de l’Empire».

bellico interrogando in particolare il ruolo della non vengono eliminate dal gioco ma, morte e memoria del conflitto. In effetti, la peculiarità rovesciate, diventano generici elementi pasdi Djambi è quella di mettere in scena e di sivi che possono essere spostati – attraverso ricostruire la prassi bellica – la tecnicalità del la pedina “necromobile” – per ostacolare e conflitto – attraverso una ricostruzione che, in persino soffocare gli avversari. Assistiamo, in ragione delle variabili in gioco, impedisce la ri- sostanza, a un investimento nel gioco della produzione di strategie formalizzate (una par- stessa storia del conflitto, nel momento in cui i tita non può mai essere uguale a un’altra) ma morti – la memoria – possono essere utilizzati procede piuttosto secondo linee di sviluppo e strumentalizzati per condizionare la partita tendenziali e per accumulazione. In altre paro- in corso. le, non si tratta di prevedere le proprie mosse Ciascuno dei giocatori è tenuto a provocare contro e in funzione dell’avversario, ma piut- con tutti i mezzi l’eliminazione degli avversari tosto di esplorare3 – secondo una prospettiva sfruttando le caratteristiche dei differenti pezzi, “tecnica” che rinvia alle analisi del “potere” e del cercando di impadronirsi della casella centrale suo funzionamento sviluppate da Machiavelli che funziona come moltiplicatore di potere come da Foucault – le combinazioni generate (concedendo a chi la occupa il diritto di giocare dall’intersecarsi delle operazioni dei quattro dopo ogni avversario e non più secondo l’orgiocatori coinvolti, volte al conseguimento e dine normale dei turni), cercando di eliminare al mantenimento del potere a detrimento degli i capi avversari per procedere all’annessione avversari, senza nessuna restrizione etica4. di ciò che rimane dei loro pezzi, o mettendo Senza entrare nel dettaglio delle regole del gli avversari l’uno contro l’altro. E se ciascuna gioco, per le quali rimandiamo al sito http:// partita genera tradimenti, inganni e opportunireglesdejeux.free.fr/regles/djamb_rg.pdf, smi, la memoria del conflitto si estende ulteosserviamo come la struttura asimmetrica riormente e investe la sequenza delle diverse della scacchiera (9x9 caselle, con una casella partite tra gli stessi giocatori. Si assimilano centrale detta “del potere”) e l’implicazione di 4 le “abitudini” degli avversari che diventando squadre di 9 elementi ciascuna, rappresentino l’unico riferimento tattico in mancanza di un un moltiplicatore delle possibilità di evoluzione canovaccio strategico di riferimento, si ricordadi una partita e comportino, di conseguenza, la no i tradimenti e si vendicheranno, si ricordano necessità di riconfigurare i parametri di lettura gli accordi e saranno reinvestiti. Si tratta di un del gioco. D’altra parte, l’insieme delle figure in gioco che, sviluppandosi sulla scacchiera e campo (4 militanti, un capo, un diplomatico, un al di fuori di essa, non consiste nell’applica“giornalista”, un assassino e una “necromobile” zione di strategie codificate e prevedibili, ma per ciascuna squadra) con le medesime ca- provvede piuttosto a sondare le potenzialità di pacità di movimento (come la regina a scacchi, articolazione del conflitto “in tempo reale”, sesalvo il militante che muove solo di due) ma condo una logica performativa e, se vogliamo, con differenti modalità di azione, determina sperimentale. una estrema densità e variabilità di situazioni. Djambi non riproduce dunque un episodio isoLo sviluppo di ogni partita si complica ulte- lato (una battaglia) o una serie di eventi pronoriormente, poiché in Djambi le pedine “colpite” sticabili, non ricostruisce, in questo senso, ma costruisce e genera una sequenza di conflitti 3 E non di esaurire… concatenati, mette in scena una guerra che 4 Le regole prevedono infatti che a un minimo di strategia individuale pianificata corrisponda un diventa compenetrazione di scontri sul campo massimo di opportunismo, di complotti, di tradimen- e memoria di altri conflitti. ti, di doppio gioco.

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Onufri Qiprioti, Madre di Dio col bambino fine del XVI / inizio del XVII secolo, tempera su legno, 107 x 70 cm. Tirana, Istituto per i Monumenti Culturali

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Tira i dadi e ti dirò chi sei di Matteo Innocenti : mt.innocenti@gmail.com

dadi rimbalzano una, due, tre volte e poi si fermano. Sommati fanno sei. Numero che in quella posizione corrisponde a un ingegnere molto alto, tenore economico discreto, tradimenti costanti al patto nuziale per amore delle belle donne. Davanti alla rappresentazione dell’uomo e del suo viaggio – dal nascere al morire concentrato in circa un attimo – esplodono grandi risate. “Ecco chi ti è toccato. Vai e divertiti!” L’anima spicca il volo con ali d’angelo sogghignando essa stessa, poi in un brusco precipitare penetra nel corpo del nuovo individuo, banale amalgama di cultura, meschinità, indulgenza e squallore. Un lampo accecante di sole, dimenticanza, la nuova esistenza. Torniamo indietro, ai dadi dell’inizio. Vi trovate in uno spazio all’apparenza senza termine, fuori dal Tempo. Solo etere, entità e un numero imprecisato di tavoli coperti da un panno verde. Seduti a gruppi di quattro, ognuna con i suoi dadi nella mano trasparente, le essenze degli uomini si giocano a sorte la rinascita. Cioè quello che saranno in vita, nello spazio definibile da coordinate, quindi dentro il Tempo. La grande partita ha in sé la gioia della festa; non c’è tiro, non c’è risultato che non provochi sganasciamenti, spallate, spinte e pacche sui culi. Perché da qui, anzi da non-qui, ogni avventura del pianeta terra appare ridicola, eccessiva, delirante; un modo inutile di agitarsi quando basterebbe restare fermi. Ah se le anime, una volta incarnate, sapessero custodire tanta consapevolezza! Ma il Boss è un mattacchione e adora l’azzardo, gli uomini invece sono tonti che amano essere ingannati. Così nasce il mondo. Non dal Verbo ma dal Gioco. Non la fede, non la ragione ma i bizzosi capricci della casualità. Tira i dadi e ti dirò chi sei. Prendete due essenze, due qualsiasi, magari sedute allo stesso tavolo, chiamatele X e Y per vostra comodità. X tira i dadi e ottiene tre al centro. Y invece raccatta un cinque a destra. Risate, passatemi l’espressione, da pisciarsi addosso. Perché? Due tiri successivi, due somme appena diverse Konstantin Shpataraku, Crocefissione XVIII secolo, tempera su legno, 37 x 28 cm. Tirana, Istituto per i Monumenti culturali


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http://cosmauxpolis.blogspot.com/2007/12/logo-jeux-olympiques-pkin-2008-beijing.html

e guardate cosa accade. vecchia e due figlie femmine, sposate. X: Sig. Andrea Falce, classe ‘59, zona Dunque quali sono state le domande Italia centrale, genitori entrambi inse- e le necessità che hanno affiancato gnanti. Dopo una laurea in “Scienze quest’uomo nel proprio cammino? Pridella Comunicazione” e alcune col- ma la conquista di uno stipendio buono, laborazioni con quotidiani locali egli dopo di una pensione di egual fattura. diventa giornalista per professione, Tutto il resto è contato niente. Mai una specializzato in fenomeni socio- domanda sul senso, sui significati geculturali. Sulla soglia dei quarant’anni nerali, sul ruolo della sua persona nel Andrea pubblica la sua prima e ultima mondo. Io ho prodotto, consumato e opera filosofica, “Presente, assente!” creato una famiglia, ti basta? avrebbe (titolo stupido, reso tale per ragioni di affermato da ultimo Angelico, nella cassa). Nel volume il giovine pensato- fase più saggia dell’esistenza. re espone – sintesi qui ridotta all’osso Quella volta che lesse sul giornale – quanto segue: il mondo sarebbe un del filosofo morto suicida, dopo un presente assoluto a sé sufficiente, pri- volo di circa novantasette metri stile vo di qualsiasi definizione dicotomica gabbiano, voltò la testa e chiese un tipo morale/immorale, ordine/disordine, cacciavite. Del resto il filosofo, dinanzi passato/futuro; ogni attributo o giu- alla prospettiva di lavorare per sempre dizio di merito non sarebbe altro che in fabbrica, a ripetere la stessa azione un delirio asserente, cioè un valore già ripetuta, si sarebbe ucciso con aggiunto dagli uomini alla realtà pur di sensibilissimo anticipo. avere qualcosa da comprendere, pur Ancora fuori dal Tempo. X e Y si rincondi sfuggire, appunto, al presente; da ciò trano. Si guardano. C’è forse una nota si arriverebbe a ben magre conclusio- di disapprovazione nelle facce opache, ni circa l’utilità della politica e della ver- magari la scintilla di un contrasto nel sione più nobile di essa, la riflessione. fondo della pupilla? No, niente, in due Dante Falce si pone troppe domande, balzi le essenze sono vicine e lì si abad ogni ora; giunto alla certezza che gli bracciano. E di nuovo risate, spintoni, uomini vivono un sogno e che la vita spallate, e pacche sui culi. è il tentativo idiota di modificarlo, egli “Ma davvero ti sei buttato?” decide il da farsi. Metterà finalmente a “Sì, ti dico di sì. Un volo! E tu, con l’idea tacere le voci che, soprattutto la notte, fissa del denaro!” quasi lo fanno impazzire. Salito sulla “Già!” Torre degli Asinelli a Bologna, durante Uno scroscio di pioggia richiama a la pausa di un convegno, apre le brac- sé l’attenzione. Non quella delle anicia e felice va in aria. Si ricongiunge me, che dall’acqua sono attraversate alla terra generatrice. Stop. senza avvertirla, ma la vostra. Il Boss, Y: Sig. Angelico Pinelli, classe ‘58, zona sulla vetta del divertimento, vi mostra Italia Nord, genitori commercianti. Sul due carte rovesciate. Siglate X e Y. Vi limite della maggiore età – già stanco concede il cinquantapercento, metà di libri, quaderni e penne mordicchiate vincita, metà errore, per scoprire la – egli sega le speranze parentali trac- verità. Scegliete una variabile per indociando con decisione il proprio futuro. vinare chi, tra i due uomini, sia stato in “Domani entro in fabbrica.” vita a immagine e somiglianza di Dio. Entra come operaio semplice presso Buona fortuna. una grande azienda di lampadine. Da lui ci si aspettava di più, perché ha agito in tal modo? Per fatica. Per la stessa apatia che lo accompagna a lavoro, fino alla vecchiaia. Alla fine - dopo qualche anno tranquillo a guardarsi E i personaggi dei romanzi: come giocano d’azzardo? Scoprilo a p. 86, altrimenti, resta le dita, seduto sulle panche del parco con i piedi per terra: entra in un’agenzia pubblico – si spegne nel letto di casa di scommesse a p. 94 e verificherai propria per usura. Lascia una moglie come l’azzardo possa rovinare la vita.


Cinzia Delnevo

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Rime per il cielo e per la terra: le poesie “per sbaglio” di Gianni Rodari Giochi di parole fino al nonsense, per un mondo migliore Accade che quando ai bambini si racconta la storia di Alice Cascherina, che cade in mare dove poi vuole rimanere per sempre, «come le sirene d’una volta», i piccoli esclamano: «Ancora, ancora! Vogliamo ascoltarla un’altra volta!». Tutto questo entusiasmo non accompagna solo Alice, ma pure le avventure di Giovannino Perdigiorno, e soprattutto le numerose filastrocche, da inseguire con la testa per aria e il mondo sotto i piedi, così piacevoli da leggere e soprattutto da ascoltare. Come quella della Luna bambina: «Se la diamo a un calciatore / la luna pallone / vorrà una paga lunare: / ogni calcio un trilione». Certo, Gianni Rodari è uno scrittore per bambini, cui va riconosciuta la grande capacità di essersi liberato da quelli che erano, all’epoca della sua attività, i dettami della letteratura per l’infanzia. Filastrocche in cielo e in terra1 esce nel 1960 per Einaudi: con quei testi così carichi di figure retoriche, attenti al ritmo e al metro, il libro parla ai bambini del mondo vero, dei problemi di ogni giorno: «In questo stipendio fateci stare / vitto, alloggio e un po’ di mare» (La scuola dei grandi) e non di un mondo pre-convenzionato o confezionato. Con tutte quelle rime e quei tratti legati alla quotidianità, i

versi di questa raccolta lasciano una traccia, negli adulti e nei bambini. Filastrocche per ridere e per pensare, che non trascurano la letteratura novecentesca dal momento che, nella loro elaborazione, si appoggiano a tecniche distintive del surrealismo o del futurismo, e rievocano, ad esempio, la scrittura di Aldo Palazzeschi. Rodari stesso, grazie alla sua originalità e alla sua operosità, va considerato tra i più grandi scrittori per bambini, ma non solo, del secondo Novecento: tra il 1950 e il 1970 pubblica più di quindici opere in versi e prosa, che sono state tradotte in moltissime lingue straniere, e poi raggruppate in diverse raccolte. Per avvicinarsi alla sua poetica, per cogliere il senso della sua scrittura e il suo messaggio per il mondo che vuole e deve partire dai bambini, occorre riportare le parole dell’autore stesso, pronunciate nel 1970, quando riceve il nobel per la letteratura infantile, il Premio Andersen: «Si può parlare di uomini anche parlando di gatti e si può parlare di cose serie e importanti anche raccontando fiabe allegre» e ancora: «Occorre una grande fantasia […] per immaginare cose che non esistono ancora – per immaginare un mondo migliore di quello in cui viviamo e mettersi a lavorare per costruirlo»2. Di immaginazione, questo maestro nato sul lago d’Orta, in provincia

1 Gianni Rodari, Filastrocche in cielo e in terra, Torino, Einaudi, 1960.

2 Cfr. Nota introduttiva in ivi, p.VIII.

di Rossella Renzi : rossella.renzi@argonline.it


di Novara, ne ha per tutti i gusti: i suoi testi, come lui stesso spiega, possono essere paragonati a dei giocattoli, in grado di conquistare tutta la curiosità dei fanciulli. Le sue storie in rima si possono scomporre e in esse è possibile individuare l’anima che a quei versi ha dato vita: il momento in cui la fantasia ha preso corpo attraverso l’arte magica della scrittura. Con Le favole a rovescio (una delle nove sezioni delle Filastrocche), ad esempio, Rodari si diverte a scombinare e ricomporre il tessuto delle fiabe tradizionali, creando situazioni bizzarre e sconosciute, veri e propri giocattoli nuovi. La sua opera, sia in versi che in prosa, è intrisa di tutto quello che ha caratterizzato la sua vita: giornalismo, politica, ideologia, autobiografia, pedagogia, ma soprattutto nonsense, in un miscuglio in cui la regola principale è dettata dalla fantasia. Quando poi si giunge al punto in cui la fantasia si scontra con la realtà, l’autore «scopre il senso del non senso, la serietà dell’assurdo e del gioco che è la vita vivente, sciolta dalle inibizioni e dalle paralisi e restituita alle prove, agli incontri e scontri del suo farsi»3, come spiega il poeta Alfonso Gatto. La materia è solida e autentica e, sebbene alleggerita e colorata, nasconde piccole lame solo a tratti affilate, in grado di lasciare il segno, di solleticare... qualcosa di molto prossimo alla vera poesia. Tra un sorriso e una rima, ritornano alla mente quelle filastrocche nate «per ridere», o forse «poesie per sbaglio»4, come Rodari stesso le definisce:

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C’è scritto – Mamma non stare in pena se non ritorno per la cena, in prigione mi hanno messo perché sui muri ho scritto col gesso. «Con un pezzetto di gesso in mano quel che scrivevo era buon italiano, ho scritto sui muri della città “Vogliamo pace e libertà”». (da L’accento sull’A)

3 Ivi, p. X. 4 Ivi. P. XIII.

Se ti piacciono i giochi di parole, divertiti a trovare quelli di Geraldina Colotti, altrimenti, se preferisci il suono degli oggetti, vai a p. 25.

Donna Rima contro lo Gnome All’alba di un’alcaica mattinata, Donna Rima mise il coliambo al canone e chiuse la stanza sull’aria d’un epìtrito: asinarteto! Aveva il colon pieno di bylina a causa dello Gnome. Omoteleuta! Nel suo paragramma solo paratassi. E adesso anche la chiave al climax, la catena all’imeneo. Itifallico! Acefalo! Baccheo! E quei coliambici stitici dei sinizesi? Combinano asticci e fanno catecresi. Anacoluti! Dopo una tornata di deprecazioni, Donna Rima non aveva più iato. E quando il canone partì per un excursus con un’inarcatura, poco mancò che avesse un ictus. Torna qui, strambotto!, urlò con un rondò. Dopo un tetrametro, ritrovò il canone con un molosso. Dietro un’ependesi, uno gnome a cobbola con un’epistola arringava i topos nella spezzatura: geminate, geminate! E i reiziani spezzavano ossimori con prosopopèa. Un sonetto saffico spirava tristico sullo spondeo. Era il trionfo di cratinei e cherilei, frottole e prosodie, barbarismi e sotadei. “Non c’è antitesi o antistrofe, siamo all’anastrofe”, pensava Rima avviandosi alla mise en abîme. Ma a qualche metro, ecco arrivare un treno. “Quando è tropo è tropo”, gridava scendendendo una strofa veneziana. “Gli prendesse una sincope”, cantava una siciliana . “Versoliberismo contro il liberismo” scandiva a tutto chiasmo un mottetto in ditirambo. Una ballata di sillabe e sestine, villotte e saturnini che sfidava lo Gnome a singolar tenzone. (geraldina colotti, sabato 14 gennaio 2006)


Claudio Martella

OuLiPo: penne creative per seri giochi ad ostacoli Ovvero le regole della letteratura potenziale tra genialità, vincolo e capriole del linguaggio

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diTommasoGragnato:tommaso.gragnato@argonline.it

In una notte di novembre, presso le cantine del ristorante “Vero guascone” di Parigi, le estrose intelligenze di Raymond Queneau e François Le Lionnais si trovarono concordi nel decretare, quali membri di una delle sottocommissioni di lavoro del Collegio di Patafisica, la nascita di una “officina”. L’intento, dettato da un’onesta esigenza di divertimento, consisteva nell’ideare una nuova letteratura che sfruttasse opere e strutture metriche della tradizione, trasformandole attraverso l’applicazione di bizzarre regole dal gusto matematizzante. Il calendario segnava 24, era giovedì, l’anno il 1960: data di fondazione dell’OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle). Ouvroir come i laboratori di cucito dei monasteri, de Littérature perché si tratta di letteratura e non di tessuti, Potentielle, nel segno della ricerca di nuove strutture e nuovi procedimenti creativi. La pratica oulipienne, nata dall’incontro tra matematica, genio letterario e fumisteria, si adopera nella definizione di vincolo (contrainte) che

fissa il procedimento di trasformazione di un testo. Il carattere che più chiaramente illumina quale sia lo spirito oulipienne è l’unione del concetto di ri-creazione come rifacimento e ricreazione come divertimento, svago1. Si può chiamare variazione sul tema, composizione regolata o gioco al rilancio intellettuale; freddo esercizio di compilazione, jeux d’esprit o più propriamente esperimento di letteratura potenziale2. Un esempio: la poesia antonimica. Dolce e chiara è la notte e senza vento,/ e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti/ posa la luna, e di lontan rivela/ serena ogni montagna (da La sera del dì di festa, G. Leopardi) Amaro e oscuro è il giorno ventoso,/ e 1 Cfr Ruggero Campagnoli, Yves Hersant (a cura di), OULIPO. La letteratura potenziale. Creazioni Ricreazioni Ricreazioni, Clueb, Bologna 1985. 2 Il carattere potenziale si esplicita su due assi: trovata una regola soddisfacente la si può applicare ad altri testi; secondo, un testo può essere sottoposto a infinite regole oulipienne.

agitato sotto i pavimenti e ai margini dell’incolto/ s’alza il sole e così vicin cela la tristezza d’ogni pianura (da Il mattino della notte lavorativa di G. Testuggini) Divertente e incredibilmente serio, il gioco oulipienne è una pratica ludica che spreme gli strumenti della lingua, le parole e le strutture, i temi e i canoni della letteratura. L’elemento dissacrante, che può essere colto a un primo approccio, è un aspetto marginale; nello spazio aperto dai giochi dell’OuLiPo prevale piuttosto la voglia di liberare risorse imbrigliate nelle forme della tradizione, il proposito di far scaturire nuove strutture e nuovi percorsi di senso con abili sostituzioni, slittamenti. Non le parole in libertà del Futurismo, né la scrittura automatica del Surrealismo; la consorteria oulipienne, sovversiva e disciplinata, sviluppa una letteratura d’esercizio, un laboratorio ad ostacoli per la creatività che vive su una dialettica ortogonale di vincolo e libertà, secondo l’assioma che una costrizione


L’ironia che sceglie il verso Guida alla lettura

Rainer Ganahl, DadaLenin | bronzo, porcellana, 2007

di Giovanni Tuzet, Rossella Renzi, Lorenzo Franceschini

è motore per la creatività3. Ogni gioco dell’OuLiPo coinvolge differenti elementi; in alcuni casi la soggettività del “giocatore” è esclusa (S+n) 4, in altri è parte in gioco (lipogramma). Unica costante e principio primo di ogni pratica oulipienne è la qualità della contrainte che si misura nei parametri di originalità, ingegno e raffinatezza. Si tratta di un gioco puro, in cui il valore estetico e produttivo, quindi il valore letterario del prodotto della trasformazione, non contano; si valutano piuttosto l’ingegno del nuovo sistema, le 3 Per un esempio pratico si consiglia di giocare al lipogramma: scrivere in prosa o in versi imponendosi la regola di sopprimere una lettera dell’alfabeto. Provate a descrivere un’azione, anche delle più semplici escludendo una lettera e, per la regola della qualità della regola, provate a escludere una vocale; vedrete emergere, per evitare le parole escluse dal gioco, gli strumenti della retorica! 4 S+n è un procedimento che consiste nel sostituire a ogni sostantivo di un determinato testo quello che lo segue di n posti in un prefissato dizionario. Per una completa documentazione si rimanda a www. oulipo.net e a Raffaele Aragona (a cura di), Oplepiana. Dizionario di Letteratura Potenziale, Zanichelli, Bologna 2002, in cui sono riuniti i testi prodotti dall’OPLEPO, la versione italiana dell’OuLiPo, oltre a una accurata descrizione di numerose contrainte.

«Tri tri tri, / fru fru fru» attaccava Palazzeschi nel 1910 una “canzonetta” destinata alle antologie. Era un gioco? Non solo: era un gesto di ironia antidolorifica. Alcuni anni dopo, nel 1916 al Cabaret Voltaire, i «versi senza parole» del dadaista Ball si presentavano così: «gadji beri bimba». Un altro gioco? Era una forma di ironia purificante. «Le ironie avevano purificato l’aria. Nessuno ha osato ridere. In un cabaret, e nel nostro a maggior ragione, quasi non ce lo saremmo aspettato. Abbiamo accolto il Bambino, nell’arte e nella vita» (Ball, La fuga dal tempo). Il gioco linguistico della poesia si presta ai soggetti e agli esiti più diversi. Come il gioco insolito di Vivian Lamarque (a p. 2) o il violento nascondino di Gianpaolo Mastropasqua (a p. 47). Ma la sorpresa è maggiore quando il gioco si rivela profondamente serio. Così nei giardinetti rovesciati di Luigi Socci (a p. 7). Come nei versi di Guido Oldani (a p. 54), nella sua rispettosa diversità e dissidenza dal mercato dei poeti ufficiali. Egli ha scritto di recente che, inabissando, la poesia «non chiede aiuto, al contrario canticchia, orientando forse la pericolosa transizione della sua amatissima civiltà». Sono esempi di ironia pensante.

capriole procurate al codice linguistico e a quello semantico. Accanto al ferreo rispetto della regola, esiste la possibilità di far saltare il sistema, di far penetrare nel gioco quel granello di indeterminazione che George Perec, membro dell’OuLiPo dal 1967, ha chiamato clinamen, con riferimento alla teoria epicurea della deviazione spontanea degli atomi: lo scarto gioioso e liberatorio. La convenzione violata apre nel mondo ordinato del gioco una finestra di mondo reale, di utile e fecondo caos. D’altronde anche il baro, così come il caso, fa parte del gioco; è un rischio e allo stesso tempo una necessità che risponde alla medesima esigenza che nei giochi di combinatoria impone uno spazio vuoto quale condizione perché si possano muovere le tessere. Ciò che si mette a repentaglio quando durante il gioco si fa saltare una regola per guadagnare una forma di libertà è la tenuta stessa del gioco, il carattere avvincente della sfida. Il giocatore oulipienne è arbitro di se stesso, combatte contro le sue scelte, di contrainte e di testo; se esagera con gli espedienti, ne

diverrà gradualmente schiavo e ciò che avrà perso sarà il suo divertimento. Una tale condizione si può rintracciare nelle pagine del romanzo combinatorio di Italo Calvino Il castello dei destini incrociati. L’intento dello scrittore ligure, membro dell’OuLiPo dal 1974, è servirsi del mazzo dei tarocchi come meccanismo generativo di storie utilizzando la medesima tecnica della lettura cartomantica in cui le carte che precedono orientano semanticamente quelle che seguono. A corona di queste storie pone una cornice narrativa che soggiace ad alcune regole: i personaggi riuniti attorno a un tavolo sono privati di favella, raccontano la propria storia disponendo i tarocchi sul tavolo e intrecciando il percorso delle loro vicende con le carte già giocate dagli altri presenti. La voce narrante ha il compito di leggere il flusso delle carte interpretando i simboli e azzardando congetture. Nel dietro le quinte, nel laboratorio, il compito dello scrittore è costruire un prospetto del tavolo da gioco che supporti in coerenza l’incrociarsi delle storie seguendo quelle

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August Sicard von Sicardsburg e Eduard van der Nüll, Wiener Staatsoper (Opera di Stato di Vienna) | Vienna, 1869

42 che fanno scattare lo stimolo alla scrittura. I tempi e le modalità di stesura delle due sezioni che compongono è materia poco interessante, fatto sta che il libro, dato alle stampe come una liberazione, risulta sempre più anarchico e l’ossessione di Calvino di costruire un modello perfetto e ordinato su cui far scorrere le storie si infrange con la necessità continua di cambiare le regole: «Così passavo giornate a scomporre e ricomporre il mio puzzle, escogitavo nuove regole del gioco, tracciavo centinaia di schemi, a quadrato, a rombo, a stella, ma c’erano sempre carte essenziali che restavano fuori e carte superflue che finivano in mezzo e gli schemi diventavano così complicati (acquistando talora anche la terza dimensione, diventando cubici, poliedrici) che mi ci perdevo io stesso»5

5 Italo Calvino, Nota a Il castello dei destini incrociati, in Romanzi e racconti, Mondadori, Milano, 2005, vol. 2, pp. 1275-1281, cui si rimanda anche per una completa analisi della snervante genesi dell’opera.

Il gioco combinatorio, nato come un esercizio per la creatività, diviene sempre più complesso e trascina lo scrittore in una estenuante dialettica di adesione e scarto rispetto al codice che lo porta ad un approccio nevrotico, ossessivo, maniacale. Ne esce un libro poco piacevole alla lettura ma che, come nel caso dei procedimenti di trasformazione dell’OuLiPo, apre la strada a infinite altre potenziali storie da raccontare usando lo stesso metodo cioè accostando carte da gioco. Questo esempio mi pare rivelatore per tentare la più semplice e la più genuina definizione di quando un gioco è gioco e quando cessa di essere tale: da una parte, ci si trova ad approntare uno spazio in cui giocare, svagarsi e inventare, conoscere, crescere; dall’altra, interviene il secondo fine, la necessità regolata non più da uno slancio creativo ma da una logica di produzione.

Se la Patafisica ti ha stregato, ascolta i dialoghi della sedia a p. 63, oppure se ami le regole della letteratura vai a p. 42. Altrimenti, sciogli l’enigma della poesia visiva che ti proponiamo di seguito.


di Girolamo Grammatico : girolamogrammatico@yahoo.it illustrata da: violettavalery : rossopiublu@gmail.com Istruzioni per l’uso. Gioco con le parole che giocano con me…. escludo dal gioco le parole contro l’uomo. Contro me. Contro tutti. Escludo: contro escludo. Gioco con le parole Che giocano con me… dal gioco le parole l’uomo. Me. Tutti.

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Jouer à la littérature mode d’emploi

Alla scoperta delle teorie ludiche della letteratura di Anna Maziarczyk : amaziarczyk@poczta.onet.pl

Con la comparsa dei lavori di Johan Huizinga e Roger Caillois1, l’ottica del gioco è stata vista dalle scienze letterarie come un serbatoio di potenzialità che permette di orientare le ricerche in nuove direzioni. Ispirate da diverse concezioni del gioco, le teorie ludiche della letteratura si sono moltiplicate, contribuendo a elaborare i principi della critica ludica. Descrivendo le interazioni che si producono tra i compagni di gioco e analizzando le loro strategie di comportamento, la teoria dei giochi si rivela particolarmente adatta per studiare le relazioni a livello di comunicazione letteraria. Appoggiandosi su svariate argomentazioni, Elisabeth Bruss, Peter Hutchinson e Jerzy Jarzębski2 dimostrano che alcuni testi letterari presentano diverse 1 J. Huizinga, Homo Ludens, Paris, Gallimard, 1951; R. Caillois, Les Jeux et les Hommes, Paris, Gallimard, 1958. 2 E. W. Bruss, «The Game of Literature and Some Literary Games », in New Literary History, n 9, 1977, pp. 153-172; P. Hutchinson, Games authors play, London, Methuen, 1983; J. Jarzębski, « O zastosowaniu pojęcia ‘gra’ w badaniach literackich », in Problemy odbioru i odbiorcy, éds. T. Bujnicki, J. Sławiński, Warszawa, Ossolineum, 1977, pp. 23-46.

Antonio Galluzzi, Historische 2 / Ritratto di giovane con perle

Antonio Galluzzi, Historische 1 / Autoritratto alla maniera di Tiziano

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caratteristiche che li avvicinano ai giochi. Complessi e ambigui, essi possono sia contenere esplicitamente un enigma che il lettore è tenuto a chiarire, sia utilizzare certe strategie testuali per forzarlo a raccogliere gli elementi dispersi e ricostituire la coesione dell’intreccio. Questi testi di carattere interattivo implicano uno sforzo intellettuale considerevole e un reale impegno da parte del lettore, che diventa così un vero compagno dei giochi letterari; gioco particolare, poiché consiste simultaneamente nel conflitto e nella comunanza d’interessi. Influenzati dalla teoria matematica del gioco, gli approcci presentati insistono sul fatto che le relazioni tra i compagni della comunicazione letteraria si fondano, così come nel gioco, sulla rivalità: l’autore è, in qualche modo, sempre vincitore dal momento che è egli stesso a concepire il testo nel suo insieme; lo scrittore può rapportare il proprio lettore a dati contraddittori e ambigui, in modo che l’elaborazione di un’interpretazione logica risulti, a quest’ultimo, particolarmente difficile. In questo caso, tuttavia, l’atto di lettura rischierebbe il completo fallimento, perciò l’autore inserisce nel testo delle indicazioni per orientare la lettura e permettere la decifrazione dell’opera. Il testo ludico si presenta così come un luogo di tensioni tra l’autore e il lettore, due istanze tenute a sorvegliare continuamente le proprie manovre reciproche, interpretarle e rispondere loro. A seconda della strategia adottata, la cooperazione dell’autore è più o


Antonio Galluzzi, Historische 3 / Ritratto di giovane

meno marcata e il ruolo del lettore più o meno attivo. Ricorrendo al concetto proposto da Roland Barthes, Hutchinson distingue così la letteratura “scrittibile”, essenzialmente interattiva e perciò ludica, e la letteratura meno esigente, semplicemente “leggibile”. Allo stesso modo di tutta l’attività ludica, la letteratura “scrittibile” si può manifestare sotto forma di play o di game. Non sottomessa alle convenzioni concrete, la letteratura di tipo play è storicamente più antica, e sembra più fortuita e superficiale della letteratura di tipo game, la cui struttura ricercata poggia su regole complesse. Lontano dall’essere accidentale o puramente decorativo, il game letterario è di un’importanza cruciale per il testo e contribuisce a creare il suo senso. L’essenza della letteratura ludica risiede nella giocosità: sprovvista di humour e di spontaneità, infatti, essa non sarebbe che un esercizio intellettuale. Appoggiandosi all’analisi della struttura del gioco letterario, Jarzębski nota che essa determina le proprie funzioni così come, in maniera indiretta, la propria natura. Proprio come il giocatore coinvolto in una partita, il lettore, leggendo un testo, allo stesso tempo, si diverte e si istruisce. La funzione ludica della letteratura consiste nel provocare reazioni emozionali nel lettore, quella educativa nell’imporre a quest’ultimo la visione del mondo e il sistema di valori dell’autore. Presenti in ogni testo, queste due funzioni si manifestano

in proporzioni diverse nei testi concreti. La lettura e il gioco costituiscono esperienze di natura simile, dal momento che è possibile osservare una sorta di sdoppiamento della coscienza nell’individuo che si dedica all’una o all’altra attività. L’aspetto della natura eterogenea del gioco e della letteratura si colloca al centro delle ricerche di Robert Detweiler, Ruth Burke e Michel Picard3. Sviluppandosi nel loro proprio universo, sfidando le leggi della ragione, questi due fenomeni restano simultaneamente sottomessi alla logica della realtà. Picard dimostra che la dualità della natura di queste due attività è strettamente legata alla loro struttura caratteristica, alle funzioni che esse assolvono e alle motivazioni da cui esse risultano. La lettura è un gioco eccezionalmente complesso dal momento che dipende tanto dal playing quanto dal game: le regole che strutturano il testo stesso, così come i codici che regolano l’atto della lettura, favoriscono l’esperienza del gioco letterario durante il quale il lettore si lascia trascinare dalla finzione, comunque conservando la relazione con la realtà. La lettura, proprio come il gioco, è attività di sublimazione per eccellenza, che permette di sopportare le frustrazioni della vita quotidiana. L’ottica del gioco sembra, così, molto interessante per le scienze letterarie. Essa permette di affrontare gli aspetti più diversi del testo e della letteratura, a partire dalla comunicazione letteraria, passando per le ricerche sull’essenza della letteratura e finendo con lo studio dei processi cognitivi o interpretativi generati dalla lettura. traduzione a cura di Lucia Lionelli 3 R. Detweiler, «Games and Play in Modern American Fiction », in Contemporary Literature, XVII, n 1, 1976, pp. 44-62; R. E. Burke, The Games of Poetics. Ludic Criticism and Postmodern Fiction, New York, Peter Land Publishing, 1994; M. Picard, La lecture comme jeu, Paris, Minuit, 1986.

In Italia i libri si vendono poco, gli scrittori molto g.c.

Chi era Caillois, ma soprattutto che cosa disse di tanto importante? Scoprilo nel fumetto a p. 48/49. Oppure continua a leggere e conoscerai la teoria matematica dei giochi.

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Intervista al matematico Piergiorgio Odifreddi

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di Roberto Muzi : romuzi@libero.it

Imbattendoci casualmente in un articolo di giornale che parlava del “gioco del pollo” ci siamo ritrovati dentro un’affascinante dottrina matematica, la Teoria dei giochi: e quella che all’inizio credevamo una semplice divagazione ludica è divenuta un’affascinante passione. Definizione: la Teoria dei giochi è la scienza matematica che analizza situazioni di conflitto e ne ricerca soluzioni competitive e cooperative tramite i modelli, cioè lo studio delle decisioni individuali in situazioni in cui vi sono interazioni tra diversi soggetti, tali per cui le decisioni di un soggetto possono influire sui risultati conseguibili da parte di un rivale. Un gioco di ruolo dai mille risvolti. Complicato? Facciamo un esempio. Negli anni ’50, il matematico Albert Tucker, propose un problema di Teoria dei giochi destinato a divenire famoso: il dilemma del prigioniero. Due criminali vengono accusati con prove indiziarie di aver compiuto una rapina. Gli investigatori li arrestano entrambi e li chiudono in due celle diverse per impedire che comunichino tra loro. Possono confessare o non confessare, sapendo che: a) se solo uno dei due confessa, chi ha confessato evita la pena e l’altro viene condannato a sette anni di carcere; b) se entrambi confessano vengono condannati a sei anni di carcere ciascuno; c) se nessuno dei due confessa entrambi vengono condannati a un anno. Poiché per ognuno dei due lo scopo è minimizzare la propria condanna e sapendo che confessando ognuno rischia o zero o sei anni e non confessando o uno o sette anni, entrambi faranno lo stesso ragionamento con il risultato paradossalmente sfavorevole per entrambi di avere sei anni a testa.

Il ragionamento matematico di Tucker era facilmente trasferibile alla logica della guerra fredda: se pensiamo a Usa e Urss come ai due prigionieri e alla confessione come all’armamento con l’atomica (e alla non confessione come il non armamento), il sistema descrive come al tempo fosse inevitabile la corsa agli armamenti benché questo non fosse ottimale per nessuna delle due nazioni (e per l’intero mondo). È stato il matematico nord-americano John Nash a dare lo sviluppo più significativo alla Teoria dei giochi, postulata nel 1944 da Von Neumann e Morgenstern con l’idea di matematizzare il comportamento umano nei casi in cui l’interazione tra individui comporta la vincita o la spartizione di una risorsa. Nash la trasformò in uno strumento valido e duttile, applicabile ai più svariati campi della scienza, dall’economia alla strategia militare, dalla sociologia all’informatica: col concetto di “equilibrio” cercò di formulare un tentativo di predizione del comportamento delle persone, date talune condizioni di partenza, tentando di ridurre le previsioni a una mera descrizione degli equilibri stessi. Essendo un modello dottrinale, questa teoria ha dei limiti: è stato per esempio dimostrato da studi empirici che giocatori reali messi in tali situazioni non sempre tendono a comportarsi come la teoria prevede. Ma la sua importanza e l’utilizzo massiccio nei vari campi citati è valsa a due dei suoi più grandi studiosi il premio Nobel per l’Economia (dato che non esiste un Nobel per la matematica sono stati premiati nel campo che ne ha visto il maggiore impiego): al già citato John Nash – alla cui vita il regista Ron Howard ha dedicato il film A beautiful mind (2001) – e a Robert Aumann. Non potevamo dunque non approfittare della presenza a Roma dei due matematici per la seconda edizione del Festival della Ma-

Adrien Crete, Edouard Dobe, Paul Tardif, Roger Barbeau, (?), Gerard Descoteaux, Roland Prudhomme
Arline Ouellette, Jacqueline Champagne, Rita Soucy, Therese Harrington, Aline Gilbert,
(?) Laperle, Pauline Ducharme, Lorriane Geoffrion, Carmen Bergeron, Jeannette Tardiff, Leo Caron
Robert Beauchemin, Paul Vaillancourt, Alan Grimard, Monsignor Vaccarest, Doris Roy, Jeannine Mailhot, Claire Geoofrion | 1952, Pinardville, New Hempshire

Quando la domanda te la pone il pennuto


tematica (la regina delle scienze e delle arti), svoltosi dal 13 al 16 aprile scorso. Delusi dalla conferenza di Nash e Aumann che, dato il pubblico estremamente variegato, hanno parlato con fin troppa semplicità e generalità, alla fine del simposio siamo riusciti, per pochi minuti, a strappare alle cure assurdamente morbose degli steward di sala il professor Piergiorgio Odifreddi, ideatore, direttore e mattatore del festival. Siete stati davvero bravi - elogiamo subito - vista l’ampia partecipazione di persone di ogni età e considerando che da sempre l’Italia è il paese del trivio e che c’è uno Stato in città dove i bancomat parlano ancora il latinorum (uno dei bancomat di Città del Vaticano parla latino, NdR)… (Sorride, forse perché di polemiche con i cattolici ne ha già affrontate troppe e oggi è troppo raggiante per farne) Il primo grazie è per Veltroni che ha creduto in questo progetto e ci ha messo a disposizione uno spazio straordinario come l’Auditorium. Cosa significa organizzare un festival della matematica in un paese così poco propenso alla ricerca scientifica? È un modo per rendere giustizia all’importanza che la matematica ha nella storia di questa nazione e ridare smalto al pensiero scientifico-razionale. In questo senso, la straordinaria partecipazione della gente ci incoraggia. La scienza fa parte della cultura, come ne fanno parte le lettere. Lei ha fortemente voluto la presenza dei due geni che hanno appena parlato e nella programmazione del festival è stato dato ampio spazio alla tematica della Teoria dei giochi: qual è il suo aspetto più significativo? Il fatto che sia una teoria filosofica: la sua forza sta nel trasformare ragionamenti numerici in situazioni reali, nello sfruttare le possibilità di certezza della matematica per calcolare le risposte del comportamento dell’individuo. È geniale. Il gioco matematico, in tutt’altro contesto, quello dei bambini, ha trovato grande attenzione qui al festival: perché? È fondamentale forgiare la forma mentis dei ragazzi, fin da piccoli. I giochi intelligenti li aiutano a ragionare: lo scopo primo di qualsiasi insegnamento e soprattutto della matematica. Mentre si abbassano le luci per una conferenza e ci allontanano da Odifreddi, ci viene in mente una pericolosa connessione tra la Teoria dei giochi e la forma mentis da forgiare: il problema è sempre lo stesso quando le invenzioni della scienza divengono strumenti con un forte potenziale di utilizzo in ambiti come quello commerciale e della strategia militare: e se anche questo non fosse che un ulteriore congegno nelle mani dei simpaticoni del marke(t)ting della guerra?

Leggi la favola qui a fianco e ti accorgerai di qualcosa che la matematica non può spiegare. Altrimenti vai a p. 62 e scopri il destino infausto di un colosso numerico.

Le Cose Quando ieri notte ho acceso la luce per andare a spegnere il cellulare, i folletti e tutte le cose animate della mia stanza non hanno fatto in tempo a tornare al loro posto. È stato un momento, solo pochi secondi, ma li ho visti! Non se l’aspettavano. Nessuno di loro si era accorto che avevo lasciato il cellulare acceso sulla scrivania, prima di coricarmi. E io non dormo mai col cellulare acceso... loro lo sanno. Ma questa volta, dopo anni di scrupolosa attenzione, hanno toppato, hanno fatto male i conti. Così, ho potuto vedere le pietre della mia collezione sfilare vicino al calorifero, prima di spiccare il balzo e tornare nella teca; ho potuto vedere le lampade dal collo più lungo pavoneggiarsi con quelle più basse, il ferro da stiro e la piccola scacchiera da viaggio occhieggiare invidiosa verso gli animaletti di cristallo che agili scorrazzavano per la stanza in tutta tranquillità. I libri erano tutti fermi al loro posto, ma in modo diverso da come li avevo messi io: qualcuno più composto, qualche altro più sbracato, a seconda del carattere e delle inclinazioni di ognuno. Dei folletti ho potuto intravedere soltanto qualche cappello, loro sono i più veloci a nascondersi. Gli ultimi a prendere i loro posti sono stati gli animaletti di vetro; una volta tornati immobili a fianco della lampada rossa, sono rimasti del tutto impassibili, come se nulla fosse successo. Da quando sono bambino, le cose della mia camera giocano questo nascondino notturno. Questo gioco le ristora, almeno in parte, dalla disciplina che sono costrette a seguire durante il giorno. Solo che non sono più abili come una volta. Ogni mattino mi accorgo che qualcosa non va, qualcosa è sempre fuori posto. Non sono più brave come un tempo a ritornare dove le ho messe. E poi ieri notte sono state davvero sbadate... chissà poi perché... che stiano invecchiando anche loro, insieme a me? O forse hanno solo capito che ormai è inutile nascondersi... io non ho più nessuno con cui parlare, e quindi non corrono il rischio che il loro segreto venga tradito... e poi sono vecchio, seppure lo dicessi in giro tutti mi prenderebbero per matto; loro lo sanno. O forse... forse hanno capito che in fondo questa divisione non è più necessaria... il sonno e la veglia... il gioco e la realtà... il possibile, l’impossibile... hanno voluto mostrarmi la verità che le concerne, prima che io me ne vada. È stato un bel gesto, nei miei confronti, che care! di Lorenzo Franceschini : lorenzo.franceschini@argonline.it

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PUBLIEDITORIALE La metafisica di Narciso Giovane, riflessivo, critico. Questi i tre aggettivi, che saltano alla mente non appena i colori ed i tratti di Jacopo Misiano Lastraioli saltano all’occhio. Un pittore che ama definirsi Narciso, continuatore di un genere che ama definirsi metafisica e che dopo gli illustrissimi iniziatori novecenteschi, riceve nuovo vigore dai suoi novissimi esponenti, dei quali il pittore

fiorentino rappresenta sicuramente uno dei più dinamici. Smalti, acrilici, installazioni metalliche, ready-made convivono all’interno della poetica di Narciso determinando sovente risultati inaspettati e sorprendenti. Nella sua opera prevale comunque il momento riflessivo su quello tecnico-pratico, anzi in opere come Musa la poetica ipertestuale, la volontà di trascendere

l’opera per impregnarla di pensiero, si sposa perfettamente con una tecnica tridimensionale originale tendente alla riscoperta della dimensione del Tempo inteso come attimo eterno di fruizione estetica. Un pittore che si definisce attraverso un opera metafisica, inscrivendola tra le tre temporalità di un passato conosciuto, un presente produttivo ed un futuro ambizioso.


Gianpaolo G. Mastropasqua Nascondino Riconoscere l’estraneo sulla rima vertebrale per contare la distanza fra trentuno e il buio fino a dieci se dici dodici sedici silenzio tirarsi dal tendine più adulto fiondarsi a getti, alla conquista dell’età che fugge e ride, nei suoi nascondigli impassibili o attendere la conta fatale, il numero teso alla ricerca della botola d’erba, della chiusa ermetica, isola per ascoltarsi ristoppia o battito quel rimbombarsi qualcosa qualcuno accadrà sostituirsi con una bambola, cambiare il letto portare la luna lontanissimo da qui, cavarsela l’ingannerò ungendomi col sangue che conosce e una collana di orecchie per anticiparne il passo dei feriti dilanieranno subito, dei veloci combatteranno i piedi, osso resisterà con l’ossigeno fra i denti e tu più leggero degli altri ti sottrai al campo hai seguito i suoi capelli, le caduche forme nella profondità viva di una campagna e bevi l’adolescenza a piene mani, confondi le tracce, t’immergi nella terra immensa più fertile scompari e riemergi vento annunci primavera e liberi tutti.

Complimenti! Hai superato il primo livello, ora prendi fiato, rilassati con il paginone centrale, poi attraversa lo specchio, capovolgi la rivista e ricomincia da «Ogra». Ma attenzione, perché i giochi si faranno assai pericolosi!

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