Journal of Osseointegration 2010_#1

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JOURNAL of OSSEOINTEGRATION versione italiana

ISSN 2036-413X

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JOURNAL of OSSEOINTEGRATION

Editorial board EDITORS-IN-CHIEF >

Adriano Piattelli Dean and Director of Studies and Research Dental School, University of Chieti Pescara (Italy) apiattelli@unich.it

ABBONAMENTO Il costo dell’abbonamento annuale (3 numeri) a Journal of Osseointegration è di 40,00 euro, da versarsi sul conto corrente n. 21020201 - intestato ad Ariesdue Srl. Per informazioni: Antonella Lambertoni abbonamenti@ariesdue.it tel. 031.79.21.35 / fax. 031.79.07.43 Stampa: SATE Srl - Zingonia Verdellino (Bg)

BOARD OF REVIEWERS >

Arthur Belem Novaes Jr. Dental School of Ribeirão Preto, University of São Paulo (Brazil) novaesjr@forp.usp.br

ASSOCIATE EDITORS

Clinical Research

Georgios Romanos Rochester (USA)

Biomaterials

Paulo Coelho New York (USA)

Implant Science

Biomaterials and Tissue Engineering

Guarulhos (Brazil)

Jose M. Granjeiro

Marco Degidi

Niterói (Brazil)

Bologna (Italy)

Basic Research

Clinical Innovations

Devorah Schwartz-Arad

Gabriele Edoardo Pecora

Tel Aviv (Israel)

Rome (Italy)

Jamil Shibli

ASSISTANT EDITORS >

Yasumasa Akagawa Hiroshima (JPN) Victor Arana Chavez Sao Paulo (BRA) Carlos Roberto Grandini Bauru (BRA) Antonio Guastaldi Araraquara (BRA) Adalberto Luiz Rosa Ribeirão Preto (BRA) Lior Shapira Jerusalem (ISR) Paulo Tambasco de Oliveira Ribeirão Preto (BRA) Heverson Tavares Araraquara (BRA) Van P. Thompson New York (USA)

Biomaterials and Tissue Engineering Paolo Amerio Chieti (ITA) Timothy G. Broomage New York (USA) Martin Lorenzoni Graz (AUT) Caro Mangano Gravedona (ITA) Brian Nicholls London (GBR) Mario Raspanti Varese (ITA) Cristina Teixeira New York (USA) Michael Yost Columbia (USA)

Basic Research

Vittoria Perrotti Department of Dentistry and Oral Science, Dental School, University of Chieti-Pescara (Italy) v.perrotti@unich.it

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Biomaterials

Nilson T. C. Oliveira Biomaterials Group “IQ”UNESP Araraquara, SP (Brazil) n.oliveira@journalofosseointegration.eu

Luciano Artese Chieti (ITA) Raquel R.M. Barros Ribeirão Preto (BRA) Giuseppe Cardaropoli New York (USA) Francesco Carinci Ferrara (ITA) Magda Feres Guarulhos (BRA) Giovanna Iezzi Chieti (ITA) Gabriella Mincione Chieti (ITA) Raffaella Muraro Chieti (ITA) Gianpaolo Papaccio Naples (ITA) Rachel Sammons Birmingham (GBR)

Clinical Research Publisher: Ariesdue Srl Via Airoldi, 11 22060 Carimate (Co) Tel. +39(0)31792135 Fax +39(0)31790743 www.ariesdue.it email: info@ariesdue.it Direttore responsabile Dino Sergio Porro Marzo 2010; 1(2)

Angela Battaglia a.battaglia@ariesdue.it Barbara Bono b.bono@ariesdue.it Cristina Calchera farma@ariesdue.it Paola Cappelletti p.cappelletti@ariesdue.it Franco De Fazio f.defazio@ariesdue.it Simona Marelli doctoros@ariesdue.it

Sergio Caputi Chieti (ITA) Massimo Del Fabbro Milan (ITA) Carlo Ercoli Rochester (USA) German Gomez-Roman Tübingen (DEU) Ole Jensen Denver (USA) Gregorio Laino Naples (ITA) Voja Lekovic Belgrade (SRB) Elcio Marcantonio Jr Araraquara (BRA) Ziv Mazor Ra'anana (ISR) Valdir Antonio Muglia Ribeirão Preto (BRA) Joerg Neugebauer Cologne (DEU)

Ana Pontes Barretos (BRA) Sérgio L. Scombatti de Souza Ribeirão Preto (BRA) Pascal Valentini Paris (FRA) Paul Weigl Frankfurt am Main (DEU)

Implant Science Carlos R.P. Araujo Bauru (BRA) Bartolomeo Assenza Chieti (ITA) Luigi Califano Naples (ITA) James Doundoulakis New York (USA) Massimo Frosecchi Florence (ITA) Enrico Gherlone Milan (ITA) Ana Becil Giglio New York (USA) Graziano Giglio New York (USA) Luigi Guida Naples (ITA) Giulio Leghissa Milan (ITA) Giuseppe Luongo Naples (ITA) Emeka Nkenke Erlangen (DEU) Marco E. Pasqualini Milan (ITA) Lorenzo Ravera Chieti (ITA) Gilberto Sammartino Naples (ITA) Antonio Scarano Chieti (ITA) Tiziano Testori Milan (ITA)

Clinical Innovations Roberto Abundo Turin (ITA) David Anson Beverly Hills (USA) Zvi Artzi Tel Aviv (ISR) Giuseppe Corrente Turin (ITA) Nilton De Bortoli Jr São Paulo (BRA) Stefano Fanali Chieti (ITA) Carlos Ademar Ferreira Tucuruvi (BRA) Luis Fujimoto New York (USA) Heracles Goussias Athens (GRC) Robert Horovitz New York (USA) Fouad Khoury Münster (DEU) Francesco Maggiore Aschaffenburg (DEU) Glenn Mascarenhas Mumbai (IDN) Georg H. Nentwig Frankfurt (DEU) Vula Papalexiou Curitiba (BRA) Roberto Pistilli Rome (ITA) Waldemar Polido Porto Alegre (BRA) Nigel Saynor Woodford (GBR) Ludovico Sbordone Pisa (ITA) David Simmons New Orleans (USA) Aris Tripodakis Athens (GRC) Glecio Vaz De Campos Jundiai (BRA) 3


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JOURNAL of OSSEOINTEGRATION

ISSN (Print): 2036-413X ISSN (Online): 2036-412

Sommario

Journal of Osseointegration Vol. 2, N. 1 Marzo 2010 - quadrimestrale © 2010 Ariesdue Srl

ORIGINAL PAPERS Formazione iniziale dell’osso nei solchi di impianti in titanio. Studio nella tibia di coniglio

journalofosseointegration.eu Journal of Osseointegration è organo ufficiale IAfIL (International Academy for Immediate Loading). Non è permessa la riproduzione di articoli della rivista senza l’autorizzazione scritta dell’editore. Tutti gli articoli pubblicati sulla rivista sono redatti sotto la responsibilità dell’autore. La rivista Journal of Osseointegration è spedita in abbonamento: l’indirizzo in nostro possesso verrà utilizzato per l’invio di questa e di altre pubblicazioni o per l’inoltro di proposte di abbonamento. Ai sensi della legge 675/96 sulla tutela della privacy, è nel diritto del ricevente richiedere la cessazione dell’invio e/o l’aggiornamento dei dati. Registrazione del Tribunale di Como n. 12-08 del 14.4.2008 Ariesdue Srl Via Airoldi, 11 22060 Carimate (Co) Tel. +39(0)31792135 Fax +39(0)31790743 www.ariesdue.it email: info@ariesdue.it Grafica e web Michele Moscatelli grafica@ariesdue.it Simone Porro simone@ariesdue.it

CASE REPORT

> 15

> 25

Patricia Miranda Burgos, Luiz Meirelles, Lars Sennerby

Valutazione di un sostituto osseo minerale inorganico di origine bovina negli alveoli postestrattivi: un case series Aron Gonshor, Chris L. Tye

> 31

Dinamiche del rimodellamento osseo intorno a superfici implantari biofunzionalizzate. Analisi della fluorescenza su modello canino Raquel R. M. Barros, Arthur B. Novaes Jr, Vula Papalexiou, Sérgio L. S. Souza, Mário Taba Jr, Daniela B. Palioto, Márcio F. M. Grisi

> 41

Potenziale diagnostico della determinazione dei livelli di cisteina nella saliva di pazienti affetti da malattia parodontale in presenza o assenza di denti con grave compromissione dei tessuti di supporto Carmelo Tassi, Massimo Lotito

> > 45

Impianti a carico immediato posizionati contestualmente a rialzo del seno e riabilitazione totale dell’arcata mascellare. Un caso clinico a cinque anni George E. Romanos

SHORT COMMUNICATION > 45 >

Impianti orali - Quo vadis? Liran Levin, Devorah Schwartz-Arad

RUBRICHE > 7

Editoriale Adriano Piattelli

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Prodotti, aziende, eventi

> 56

Iafil

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La responsabilità nell'équipe odontoiatrica Giovanni Pasceri

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Agenda


© Nobel Biocare Services AG, 2010. Tutti i diritti riservati. Nobel Biocare, il logo Nobel Biocare e tutti gli altri marchi di fabbrica sono, salvo diversa dichiarazione o evidenza dal contesto in un caso specifico, marchi di fabbrica di Nobel Biocare.

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BIFOSFONATI E IMPLANTOLOGIA ORALE. DOVE CI STIAMO DIRIGENDO?

I bifosfonati contenenti azoto (BP) riducono il rischio di frattura osteoporotica del 50-60% e le complicanze ossee nei tumori maligni metastatici di oltre il 30%. In tempi recenti è stata descritta in letteratura una complicanza caratterizzata da ulcerazioni della mucosa orale con esposizione di osso bianco-giallognolo non vitale. Tale lesione è stata definita osteonecrosi del mascellare (OM). Il 94% dei casi riferiti di OM è stato riscontrato in presenza di mieloma multiplo o malattia ossea metastatica in pazienti che erano stati precedentemente sottoposti a terapia con aminobifosfonati per via endovenosa (e.v.), quali l’acido zoledronico, il pamidronato, l’ibandronato e l’alendronato. L’utilizzo a lungo termine di bifosfonati per e.v., in particolare zoledronato e pamidronato, sembra essere il più importante fattore di rischio di complicazioni. Il rischio cumulative sembra essere dell’1% dopo 12 mesi, del 10% dopo 2 anni e del 20% dopo 3 anni. I dati riferiscono di 1 caso su 1.000.000 persone-anni di esposizione ossea per i bifosfonati orali. La patogenesi dell’OM è tuttora sconosciuta ed è verosimilmente correlata a una serie di fattori. I bifosfonati potrebbero avere un ruolo nell’inibizione del reclutamento di osteoclasti, nella riduzione del ciclo vitale degli osteoclasti e nell’inibizione dell’attività osteoclastica sulla superficie ossea. L’inibizione della funzione osteoclastica può anche determinare l’inibizione del normale rinnovamento cellulare e perciò il microtrauma locale derivante da un normale carico meccanico o lesione, venendo meno il processo riparativo, conduce infine alla necrosi ossea. Inoltre, i bifosfonati hanno un effetto inibitorio sulla funzione delle cellule endoteliali, tendono a diminuire i livelli del fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF) e, nel topo, hanno dimostrato di avere un effetto di riduzione sulla formazione capillare. I bifosfonati sembrano avere un effetto negativo anche sul signaling osteocitario per il reclutamen-

MANUSCRIPT PREPARATION

and Conclusions.

KEYWORDS MANUSCRIPT LENGTH Papers submitted to the Journal of Osseointegration must be typed in a 12-point font and double-spaced; they should not exceed 20 typescript pages (including title page), plus a typical number of figures (about 10 to 15). Italian authors must also supply an Italian translation of the full text.

TITLE PAGE Provide the following data on the title page (in the order given): title, author names, titles and affiliations (where the work was actually done), corresponding author (telephone and fax numbers, with country and area code, email and complete postal address).

ABSTRACT Abstracts must not exceed 250 words and should be structured as follows: Aim, Materials and methods, Results,

Marzo 2010; 1(2)

Authors should list 4 to 6 keywords that appropriately represent the contents of the work.

HEADINGS The component parts of the main text of a manuscript will normally be Introduction, Materials and methods, Results, and Discussion. Other parts of the manuscript will normally include a list of references, tables, figure legends, and figures.

STUDIES INVOLVING ANIMALS OR HUMANS When data from animal or human subjects are reported, approval of the protocol by an institutional committee is required and a statement should be included in the "Materials and methods" section of the text. For human subject data, an informed consent of the subjects should be also provided.

to di osteoclasti, e inoltre, è stata riscontrata la disfunzione osteoblastica nel mieloma multiplo. I bifosfonati possono agire sui precursori osteoclastici per impedire la formazione degli osteoclasti. Inoltre hanno un effetto antiangiogenico con riduzione della proliferazione delle cellule endoteliali. È stato descritto che la terapia con farmaci antiangiogenici abbia provocato un aggravamento delll’OM e che i bifosfonati possano avere un effetto soppressivo sull’angiogenesi, agendo attraverso IL-17, una citochina che favorisce l’angiogenesi. D’altro canto, i dati disponibili sembrano suggerire che la patogenesi dell’OM potrebbe essere correlata a una lesione della mucosa orale, con conseguente infezione ossea. Si è riscontrato che i bifosfonati sarebbero in grado di provocare lesioni all’epitelio orale e un ritardo nell’epitelizzazione può determinare esposizione dell’osso che, in presenza di batteri orali, va incontro a un aumentato rischio di infezione. Le estrazioni dentarie erano l’elemento predominante che precedeva l’insorgenza dell’OM. Vi sono prove che l’utilizzo dei bifosfonati costituisca una controindicazione all’inserimento di impianti dentali, mentre altri ricercatori non hanno riscontrato alcuna relazione causale tra bifosfonati orali e fallimenti implantari, e le percentuali di successo implantare erano simili confrontando pazienti in corso di terapia con bifosfonati orali e altri che non erano sottoposti a questo tipo di terapia. Negli ultimi mesi al Centro di Istologia Implantare dell’Università di Chieti-Pescara sono stati inviati, da parte di tre istituti clinici italiani, degli impianti rimossi da pazienti sottoposti a trattamento con bifosfonati e.v. e che avevano sviluppato OM. Il posizionamento degli impianti dovrebbe quindi essere evitato in tali casi fino a quando saranno disponibili dati conclusivi su pazienti sottoposti a terapia con bifosfonati per e.v.

ADRIANO PIATTELLI REFERENCES References should be listed according to the Vancouver style of referencing, that is numbered in sequence as they are cited in the text. They should be also included on a separate page in the manuscript. Examples for arranging the reference list. JOURNALS Mangano C, Scarano A, Perrotti V, Iezzi G, Piattelli A. Maxillary sinus augmentation with a porous synthetic hydroxyapatite and bovine-derived hydroxyapatite: a comparative clinical and histologic study. Int J Oral Maxillofac Implants 2007;22:980-6. MONOGRAPHS Matthews DE, Farewell VT. Using and understanding medical statistics. Basel: Karger; 1985. Edited books Piattelli A, Misch CE, Farias Pontes AE, Iezzi G, Scarano A, Degidi M. Dental Implant surfaces: a review. In: Carl E. Misch. Contemporary Implant Dentistry. Third edition. Mosby Elsevier 2008:599-620. Authors will be responsible for the accuracy of the references both within the main text

and the reference list.

TABLES AND FIGURES Each table should be typed on a separate page at the end of the manuscript, and numbered consecutively. Be sparing in the use of tables and ensure that the data presented in tables do not duplicate results described elsewhere in the article. Figures, charts, and graphs should be professionally drawn. Text should be large enough to be read after reduction. Resolution must be at least 300 dpi when the image is 3 inches wide. Files saved in TIFF or JPEG format are preferred. Please do not send images embedded in word processing programs (eg, Word) or “office suite” programs (Excel, PowerPoint, etc). Figure legends should be typed as a group on a separate page at the end of the manuscript. There should be an individual legend for each illustration. Detailed captions are encouraged. For microphotographs, specify original magnification and stain.

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editoriale

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Pianificazione implantare con OneScan 3D OneScan 3D software è la soluzione per la pianificazione implantare e chirurgia guidata che permette una drastica riduzione dei tempi di pianificazione e chirurgici unitamente a un elevato livello di sicurezza nella fase chirurgica e protesica. Ciò è possibile grazie all’alta definizione delle immagini e l’osservazione facilitata delle strutture anatomiche, consentendo così una corretta pianificazione e riducendo sensibilmente tutti gli imprevisti in fase chirurgica, per esempio attraverso l’identificazione automatica delle interferenze tra impianti e delle interferenze impianto-nervo. L’utilizzo del software OneScan 3D è facile e intuitivo e, grazie al sistema FlatGuide, consente, in maniera semplice, sicura ed economica, la visualizzazione simultanea multiplanare (assiale, cross e panoramica) e 3D del volume, nonché vari tipi di misurazioni (compreso il profilo di densità dei vari tipi di tessuti) per pianificare il posizionamento ottimale e preciso degli impianti. Ciò è possibile grazie al supporto (Help) contestuale e alla guida e supporto on-line in tutte le fasi della pianificazione, con esempi e spiegazioni semplici per comprendere a fondo tutte le funzionalità del programma. È poi possibile anche la valutazione accurata di strutture ossee, muscoli e altri tessuti passando dagli uni agli altri in tempo reale, la selezione del volume di interesse (VOI) e la correzione dell’orientamento del paziente; inoltre è possibile eliminare gli artefatti dei metalli. OneScan 3D è utilissimo negli interventi di rialzo del seno mascellare, permettendo il calcolo automatico della quantità di biomateriale necessario per il rialzo del seno. Infine, con questo software è possibile supportare una grande varietà di immagini TAC (anche quelle compatibili con immagini DICOM), facilmente e

velocemente importandole da CD, DVD, memorie esterne come chiavi USB o da dispositivi in rete provenienti da tutti i dispositivi TAC. Pertanto, è possibile pianificare l’accurato posizionamento degli impianti, valutando la base clinica ed estetica, grazie all’alta definizione; il trasferimento 3D da una pianificazione virtuale a una guida chirurgica; inoltre OneScan 3D è compatibile con tutte le marche di impianti. Il valore dell’investimento è poi ottimizzato grazie all’attività di consulenza e visual marketing, con possibilità di personalizzare i report dei pazienti con descrizioni e immagini, ottimizzando così la comunicazione e, quindi, la loro motivazione, rendendo i pazienti più coinvolti e partecipi.

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Prodotti, aziende, eventi

protesici, consolidando ulteriormente la sua posizione di leader di mercato come fornitore di soluzioni globali che offrono importanti caratteristiche di estetica, forza e adattamento per ogni indicazione e necessità di restauro. Inoltre, le due aziende collaboreranno anche nell’ambito della ricerca clinica e dello sviluppo nella programmazione di attività formative per clinici e odontotecnici. In merito all’accordo, Domenico Scala, CEO di Nobel Biocare, afferma: “La partnership con VITA, fornitore di materiali apprezzati in tutto il mondo, ci consente di espandere ulteriormente l’offerta Nobel Procera e rafforzare la nostra posizione di innovatore e leader nell’odontoiatria CAD/CAM. Questa collaborazione riguarda un’ampia gamma di attività congiunte e rappresenta un ottimale complemento tra le due aziende che porterà a risultati clinici superiori per i professionisti del settore dentale e per i loro pazienti”. Gli ambiti di collaborazione con VITA sono: Soluzioni per ceramizzazione, Sviluppo dei materiali, Partnership in ambito commerciale, formativo e della ricerca e il Preferred Partner Program Con la sua ampia gamma di prodotti, VITA è leader di mercato nelle soluzioni per ceramizzazione, comprese quelle per allumina, zirconia, titanio e strutture in cromo-cobalto. La gamma di soluzioni per ceramizzazione di VITA è perfettamente compatibile con la gamma di prodotti e materiali Nobel Procera e rappresenta quindi un’ideale combinazione in termini di completezza di approccio per restauri finali di elevata qualità. Basandosi sulla loro competenza ed esperienza, Nobel Biocare e VITA sosterranno i clienti fornendo protocolli chiari e raccomandazioni procedurali. VITA e Nobel Biocare collaboreranno nello sviluppo e fornitura di materiali dentali da restauro innovativi e dalle elevate prestazioni. Combinando la

conoscenza di leader nelle soluzioni CAD/CAM e nella produzione industriale di Nobel Biocare con l’esperienza nell’ambito dei materiali di VITA, ne risulterà una qualità protesica e procedurale ulteriormente migliorata per i professionisti del dentale e per i loro pazienti. Grazie all’accordo di partnership, nell’area della protesi le due aziende collaboreranno nell’ambito dello sviluppo di nuovi materiali e della loro commercializzazione. Inoltre, offriranno programmi formativi personalizzati per ceramizzazione, protesi, pianificazione del trattamento, preparazione e tecniche applicative. Al fine di rafforzare ulteriormente con NobelProcera la sua posizione di leader di mercato nell’odontoiatria CAD/CAM, da gennaio Nobel Biocare ha attivato il Preferred Partner Program che prevede accordi di collaborazione con fornitori selezionati di materiali dentali. La partnership consentirà l’accesso ad una gamma più ampia di materiali dentali innovativi e ad elevate prestazioni, permettendo ai clienti di trarre vantaggio dal portfolio più completo di soluzioni protesiche globali disponibili sul mercato. L’ampliata gamma di prodotti di Nobel Biocare includerà nuovi prodotti, soluzioni per ceramizzazione migliorate, opzioni di trattamento più convenienti e soluzioni complete per i casi di edentulismo. Nel gennaio 2010, Ivoclar Vivadent è stata la prima azienda ad associarsi con Nobel Biocare nell’ambito di questo programma.

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Una soluzione rivoluzionaria per la disinfezione delle impronte La disinfezione è ormai un tema importante e sempre più attuale. Il CED - Consiglio dei Dentisti Europei - a maggio del 2009 ha pubblicato il Codice di controllo delle infezioni (disponibile sul sito dall’ANDI), in cui si afferma: “le impronte devono essere pulite e disinfettate prima di inviarle al laboratorio interno o esterno allo studio odontoiatrico”. L’ADA chiarisce che per la Marzo 2010; 1(2)

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ITI World Symposium 2010 Dal 15 al 17 aprile si terrà, a Ginevra, l’ITI World Symposium 2010, una delle manifestazioni più prestigiose a livello internazionale per quanti si occupano di implantologia. Il presidente ITI, professor Daniel Buser (Università di Berna), e il presidente dello Scientific Program Committee, dottor Stephen T. Chen (Australia), hanno preparato una offerta culturale davvero importante, avvalendosi appunto di un comitato prestigioso, di cui fanno parte Steve Barter (Regno Unito), Urs Belser (Svizzera), Luca Cordaro (Italia), Kerstin Fischer (Svezia), Lisa Heitz-Mayfield (Australia),

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Hideaki Katsuyama (Giappone), Dean Morton (USA), Gerhard Wahl (Germania) e Hans-Peter Weber (Svizzera). L’obiettivo è realizzare la mission di ITI: promuovere e disseminare la conoscenza su tutti gli aspetti dell’implantologia orale e di quelli collegati della rigenerazione tissutale. Sede del congresso è il modernissimo Palexpo di Ginevra: 70,000 mq di spazio espositivo e congressuale in grado di ospitare fino a 100 mila visitatori. >

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JOURNAL of OSSEOINTEGRATION

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PATRICIA MIRANDA BURGOS1, LUIZ MEIRELLES1,2, LARS SENNERBY1 1 2

Dipartimento di Biomateriali, Istituto di Scienze Chirurgiche, Accademia di Sahlgrenska, Università di Goteborg, Goteborg (Svezia) Dipartimento di Protesi, Istituto di Odontoiatria, Accademia di Sahlgrenska, Università di Goteborg, Goteborg (Svezia)

Formazione iniziale dell’osso nei solchi di impianti in titanio. Studio nella tibia di coniglio RIASSUNTO

INTRODUZIONE

Scopo del lavoro Studi precedenti hanno dimostrato una preferenza nella formazione di osso nei solchi più ampi rispetto ad altre zone della superficie implantare. Lo scopo del presente studio è quello di descrivere le fasi precoci dell’integrazione ossea di impianti in titanio ossidati e con solchi sulla superficie. Materiali e metodi Nello studio sono stati utilizzati dei conigli bianchi (specie Nuova Zelanda) e 54 impianti. Gli impianti ossidati di studio presentavano un solco di 1 μm praticato sul lato superiore, mentre gli impianti ossidati di controllo non avevano alcun solco. Gli impianti sono stati rimossi dopo 7; 14 e 28 giorni per le analisi in microscopia ottica e microtomografiche. Risultati Per tutti gli impianti i valori di contatto con l’osso e di area dell’osso aumentavano con il tempo. Una prevalenza statisticamente significativa per la formazione dell’osso nei solchi è stata individuata negli impianti di studio e nella filettatura del lato inferiore per gli impianti di controllo rispetto al lato filettato superiore. Le ricostruzioni tridimensionali della microtomografia hanno mostrato la formazione di osso sotto forma di sottili margini, continui o isolati, lungo la superficie implantare. Conclusioni Si conclude che la formazione di osso si osserva più spesso lungo il lato inferiore e nei solchi più ampi delle filettature rispetto ai controlaterali superiori degli impianti in titanio ossidati. Tale riscontro era più marcato a 7 giorni rispetto ai campioni prelevati successivamente e in aree prive di contatto primario con l’osso ospite adiacente. L’integrazione ossea degli impianti sembrava verificarsi per condensazione ossea direttamente sopra e lungo la superficie implantare e seguendo il corso della filettatura dell’impianto.

La risposta dei tessuti ai biomateriali dopo l’inserimento di impianti in tessuti molli e ossei è influenzata dalla nano, micro e macrotomografia della superficie del biomateriale (1, 2, 3). Tale conoscenza può essere utile nella progettazione di nuovi impianti osteointegrati, al fine di ottimizzare ed eventualmente ridurre i tempi dell’integrazione ossea. Per quanto riguarda la topografia di superficie, numerosi studi hanno mostrato la formazione di contatti ossei più diretti e hanno di mostrato una più elevata stabilità durante i test sul torque di rimozione ed estrazione (4-12). Generalmente si ritiene che gli impianti con superficie modificata diano migliori risultati clinici e, quindi, la maggior parte degli impianti osseointegrati disponibili in commercio presenta superfici modificate tramite rivestimento al plasma, sabbiatura, mordenzatura, ossidazione anodica o una combinazione di più tecniche (13). Tale conclusione, però, trova ridotto supporto in letteratura da un punto di vista strettamente scientifico (14). Le modifiche della macrogeometria tramite l’aggiunta di solchi alla superficie dei biomateriali possono influenzare l’orientamento e la migrazione delle cellule attraverso il fenomeno della contact guidance (1). In due precedenti studi su animali con l’utilizzo di impianti in titanio ossidati e con solchi è stato osservato che il tessuto osseo neoformato era riscontrabile più frequentemente nei solchi rispetto alle superfici che ne erano prive (15, 16). Inoltre, i test del torque di rimozione hanno mostrato, 6 settimane dopo la guarigione, un significativo aumento della stabilità per gli impianti con solchi larghi 110 µm rispetto a quelli di controllo privi di solchi. Ciò non si osservava né per quelli da 80 µm né per quelli da 200 µm. La microscopia ottica dell’interfaccia tra osso e impianti dopo il test di removal torque mostrava un aumento dell’evenienza di frat-

PAROLE CHIAVE Formazione ossea; impianti dentali; analisi morfometrica; modificazione di superficie.

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ture ossee all’ingresso del solco con ampiezza decrescente, mentre la separazione dell’interfaccia ossoimpianto veniva osservata per gli impianti di controllo. È stato ipotizzato che l’aumentata stabilità fosse la conseguenza di un aumentato incastro determinato dalla crescita di osso di supporto adiacente, piuttosto che dall’affinità ossea riscontrata di per sé, e i solchi larghi 110 µm per qualche ragione sconosciuta hanno mostrato i livelli più alti di removal torque (15, 16). Tuttavia, il fenomeno osservato in quanto tale richiede ulteriori studi per esaminare le risposte precoci dei tessuti agli impianti con solchi. Sarebbe interessante verificare se la formazione ossea osservata è un evento isolato, per esempio dovuto alla ristretta popolazione cellulare, o se è il risultato della crescita ossea guidata da aree di contatti ossei primari. Lo scopo del presente studio su modello animale è descrivere istologicamente le reazioni iniziali dell’osso agli impianti in titanio ossidati e con solchi in superficie.

MATERIALI E METODI Animali e anestesia Per lo studio sono stati utilizzati 9 conigli bianchi femmina di specie New Zealand di almeno 8 mesi. Gli animali erano stati tenuti liberi in un’apposita stanza e sono stati alimentati a volontà con acqua, dieta standard per animali di laboratorio e carote. Prima dell’intervento chirurgico gli animali sono stati sottoposti ad anestesia generale tramite iniezione intramuscolare di fluanisone e fentanile (Hypnorm, Janssen Pharmaceutica, Bruxelles, Belgio) 0,2 mg/kg e iniezione intraperitoneale di diazepam (Stesolid, Dumex, Copenaghen, Danimarca) 1,5 mg/kg di peso corporeo. In caso di necessità veniva somministrato altro Hypnorm. L’anestesia locale è stata praticata utilizzando 11 ml di una soluzione al 2% di lidocaina/epinefrina (Astra AB, Södertälje, Svezia). Dopo l’intervento gli animali sono stati tenuti in gabbie separate fino alla guarigione delle ferite (1-2 settimane) e poi liberati nell’apposita stanza fino al termine dell’esperimento. Nei tre giorni successivi all’intervento sono stati somministrati antibiotici (Intenpencillin 2.250.000 IE/5 ml, 0,1 lm/kg di peso corporeo, LEO, Helsingborg, Svezia) e analgesici (Temgesic 0,05mg/kg, Reckitt e Colman, NJ, USA) in singole iniezioni intramuscolari. Impianti Un totale di 72 impianti filettati in titanio del diametro di 3,75 mm e lunghi 7 mm (MKIII, Nobel Biocare AB, Goteborg, Svezia), privi di particolari sottosquadri apicali sono stati inseriti nei conigli e sono stati suddivisi in tre gruppi. Gli impianti di studio (n. 27) avevano un singolo solco, profondo 70 µm e largo 110 µm, posizionato al centro del lato filettato superiore (Fig. 1). Un 16

secondo gruppo di impianti (n. 27) senza solchi è stato utilizzato come controllo. Gli impianti di studio e quelli di controllo sono stati sottoposti a ossidazione anodica (TiUnite, Nobel Biocare AB, Goteborg, Svezia), che ha determinato una struttura superficiale porosa, come descritto in un altro lavoro. È stato poi inserito anche un terzo gruppo di impianti (n. 18) con superficie liscia e senza solchi, ma i relativi risultati saranno presentati in un altro lavoro. Sono stati utilizzati come siti implantari sia le metafisi tibiali sia i condili femorali distali. Le aree sperimentali sono state esposte attraverso un’incisione cutanea mediale all’articolazione del ginocchio e incisioni separate attraverso le fasce e il periosteo al di sopra di ciascun sito. Sono stati praticati tre fori in ciascuna metafisi tibiale. Un impianto sperimentale è stato inserito nel condilo femorale e un impianto di controllo nel controlaterale. In tal modo in ciascun animale venivano inseriti in totale 8 impianti. Il lembo fascicolare periosteo e la cute venivano richiusi in strati separati con suture riassorbibili. Tre animali sono stati sacrificati a 7 giorni, altrettanti a 14 e a 28 giorni tramite overdose di pentobarbital (Mebumal, ACO Läkemedel, Solna, Svezia). Trattamento dei tessuti e analisi Tutti gli impianti e il tessuto osseo circostante sono stati recuperati in blocco e fissati per immersione in formaldeide tamponata al 4%. Gli impianti della metafisi tibiale sinistra di ciascun animale sono stati utilizzati per la microtomografia come descritto più avanti; mentre gli impianti della metafisi tibiale destra sono stati disidratati in soluzioni crescenti di etanolo

Fig. 1 Analisi al SEM di un impianto sperimentale. Notare il solco lateralmente alla filettatura superiore. Marzo 2010; 1(2)


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Formazione iniziale dell’osso nei solchi di impianti in titanio nella tibia di coniglio

e inclusi in blocchi di resina fotopolimerizzante secondo il metodo descritto da Donath (17). Le sezioni sono state tagliate lungo l’asse longitudinale di ciascun impianto con seghetto e smerigliatrice (Exakt Apparatebau, Norderstedt, Germania). Le sezioni, dello spessore di circa 10 µm, sono state colorate con blu di toluidina e pironina G all’1%. Le osservazioni sono state effettuate con microscopio Nikon Eclipse 80i (Teknooptik AB, Huddinge, Svezia) munito di sistema Easy Image 2000 (Teknooptik AB, Huddinge, Svezia) utilizzando un obiettivo da 1.8 a 100 ingrandimenti per la valutazione descrittiva e le misurazioni morfometriche. L’analisi qualitativa era volta a descrivere le fasi iniziali della formazione ossea a livello della superficie ossidata in generale e dei solchi in particolare. Era nostro interesse inoltre studiare la sequenza di inserimento dell’osso nei solchi col passare del tempo e a distanza sempre maggiore dall’osso corticale. La valutazione istometrica comprendeva quanto segue. > Misurazioni del grado di contatto tra osso e impianto. > Misurazioni dell’area ossea che occupa la filettatura dell’impianto. > Misurazioni del numero dei solchi con tessuto osseo negli impianti di studio > Misurazioni del numero di superfici del lato opposto al solco che mostrano formazione di osso. > Misurazioni del numero di superfici, corrispondenti alla posizione del solco negli impianti di studio, che mostrano contatto osseo negli impianti di controllo. > Misurazioni del numero di superfici del lato opposto alla superficie corrispondente del solco che mostrano contatto osseo negli impianti di controllo. Gli impianti provenienti dalla tibia sinistra sono stati analizzati con l’attrezzatura microtomografica SkyScan 1172 (Micro Photonics Inc, Allentown, PA, USA). Il microscanner digitale a raggi X consiste di un tubo radiogeno sigillato con microfocus 20-100kV/0-250 µA con macchia focale da 5µm, un microalloggiamento (ideale per ottenere il posizionamento esatto di piccoli oggetti al centro del campo di scansione), una telecamera CCD a raggi X e un computer esterno con processori Dual Intel Xeon compatibili con il sistema operativo Windows-XP Professional. Per la trasmissione delle ricostruzioni microtomografiche le immagini radiografiche sono acquisite tramite 200-3600 visioni di rotazione da 180 o 360°. Sia il tubo radiogeno sia la telecamera sono controllati al computer. È stato utilizzato un programma specificamente studiato per analizzare l’osso e strutture simili, in modo da permettere l’analisi di serie di sezioni singolarmente o come un volume tridimensionale (CT-analysis, Micro Photonics Inc, Allentown, PA, USA). La tecnica ha permesso la ricostruzione tridimensionale virtuale di ciascun campione che poteva essere rotato e studiato da diversi angoli. Inoltre, il tessuto osseo e il titanio, grazie alla differente opacità, potevano essere identificati cromaticamente. Il percorso dell’osso in relazione alla superficie implantaMarzo 2010; 1(2)

re e la sua geometria potevano così essere studiati. Statistica I dati descrittivi dei parametri misurati sono stati utilizzati per i diversi momenti di prelievo. È stato utilizzato il test Wilcoxon Rank Sign sui dati aggregati da 7; 14 e 28 giorni e la differenza veniva considerata significativa nel caso p >0.05.

RISULTATI Microscopia ottica Il campione tipico comprendeva l‘impianto che passava attraverso uno strato corticale sottile (di circa 1,5 mm) e protrudeva nel tessuto midollare dell’osso. L’osso trabecolare era presente a uno o entrambi i lati di tutti gli impianti nei siti femorali e in alcuni campioni nella tibia prossimale. > 7 giorni: la microscopia ottica dei campioni a 7 giorni ha mostrato detriti ossei della procedura di perforazione e tessuto connettivo sparso riorganizzato con ampi vasi all’interfaccia tra tessuto e impianto. Le aree non ossee erano composte da tessuto connettivo sparso, ricco di vasi e cellule lipidiche ed emopoietiche. Non vi era alcun segno di infiltrato infiammatorio, sebbene potevano essere riscontrate cellule infiammatorie sparse (per esempio macrofagi). La formazione di osso poteva essere riscontrata sulle superfici periostee ed endossee anche a livello e intorno a particelle ossee irregolari (Fig. 2). I campioni con osso spugnoso presentavano maggiori contat-

Fig. 2 Immagine al microscopio ottico del campione dalla tibia dopo 7 giorni, che mostra un’ampia formazione ossea trabecolare verso l’impianto (di controllo). Blu di touidina. 17


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ti ossei primari con l’impianto e la formazione ossea poteva essere riscontrata sulla superficie delle trabecole ossee. Occasionalmente osso proveniente dall’endostio e/o dalle trabecole raggiungeva la superficie impiantare e la formazione di osso si estendeva al di là di questa. La formazione isolata di tessuto osseo primario poteva inoltre essere riscontrata nel midollo osseo vicino ai vasi sanguigni ma a una certa distanza dall’osso esistente e dalla superficie implantare. In questi, osteociti/osteoblasti sparsi erano circondati da aggregati granulari e globulari. L’osservazione a maggiore ingrandimento rivelava la presenza di un sottile strato colorato di scuro dalla superficie ossidata in varie lunghezze, da macchie solitarie a bordi continui lungo diverse filettature, questo materiale aveva un aspetto globulare e sembrava essere, con alcune eccezioni, acellulare (Fig. 3). Riempiva gli spazi tra le irregolarità della superficie. Inoltre, uno strato granulare leggermente colorato con numerose cellule era osservabile sopra quello più scuro (Fig. 3b). Tale fenomeno è stato interpretato come osteoblasti che producevano matrice ossea verso lo strato sottostante alla superficie implantare. > 14 giorni. A 14 giorni una maggiore quantità di osso era in contatto con l’impianto. I bordi dell’osso sulla superficie implantare erano più spessi e contenevano ampie lacune sparse casualmente con osteoblasti, indicative di formazione di osso lamellare. I

bordi erano solitamente fiancheggiati da osteoidi e osteoblasti, che indicavano la formazione ossea per apposizione verso la zona circostante. Una differenza cromatica poteva ancora essere individuata tra lo strato di interfaccia scuro più interno e il tessuto osseo sovrastante più chiaro. Erano di comune riscontro ponti ossei che mettevano in comunicazione tra loro tessuti ossei precedentemente formati, sia alla superficie sia alle superfici ossee esistenti o come formazioni isolate nel midollo osseo. Era infine evidente un ampio rimodellamento dell’osso corticale esistente. > 28 giorni. Dopo 28 giorni l’osso aveva un aspetto più maturo per l’ampio rimodellamento, ovvero la sostituzione di tessuto osseo primario con osso lamellare; ulteriore osso riempiva le filettature implantari. Era ovvio che gli impianti posizionati in osso spugnoso presentavano una maggiore quantità di osso all’interfaccia in seguito al collegamento tra le trabecole ossee e la superficie dell’impianto. Le lacune degli osteociti erano più piccole rispetto ai 14 giorni seguenti. Nelle aree del midollo osseo privo di osso spugnoso l’osso neoformato a livello della superficie implantare non riempiva completamente la filettatura, ma seguiva il contorno della filettatura come un sottile bordo con uno spessore simile a quello riscontrato nei 14 giorni seguenti, cioè da 50 a 150 µm.

Fig. 3

Serie di immagini al microscopio ottico di impianti con solchi che dimostrano la formazione di osso direttamente sulla superficie dell’impianto. a) si osserva uno strato di colore scuro, dello spessore di 10-15 μm, con nessuna o poche cellule, al di sopra del quale si possono distinguere osteoblasti e osteoidi (7 giorni) b) gli osteoblasti stanno per essere intrappolati nella matrice mineralizzata (7-14 giorni). c) si riscontrano osteociti sullo strato dell’interfaccia con l’osso e osteoblasti attivi che producono osteoidi (7-14 giorni). d) Osso più spesso e maturo si osserva dopo 28 giorni.

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Fig. 4 I grafici mostrano i risultati dalle misurazioni del contatto tra osso e impianto (a) e dell’area ossea degli impianti nella tibia (b). Solco Tibia test Tibia controllo Femore test Femore controllo

10 (0.9) 7.3 (2.7) 9.4 (1.7) 8.6 (2.7)

Para-solco 7 (2.7) 4.8 (1.7) 6.8 (2.2) 7.6 (2.4)

Statistica 0.0147 0.0336 0.0071 0.0394

Tab. 1 Dati aggregati dai calcoli del numero di siti con formazione ossea in solchi in confronto a alla superficie controlaterale (parasolco) dagli impianti di studio e confronto del lato superiore rispetto a quello inferiore degli impianti di controllo test di Wilcoxon Signed Rank test.

Fig. 5 Il grafico mostra i risultati dei calcoli del numero dei solchi con formazione ossea rispetto alla filettatura del lato opposto senza solchi (para-solchi) degli impianti nella tibia.

Fig. 6 Grafico che mostra i risultati delle misurazioni dell’area ossea nei solchi degli impianti di studio prelevati dalla tibia. Analisi morfometriche > Impianti nella tibia. Le analisi morfometriche hanno rivelato un aumento del contatto dell’osso e dei valori di area ossea per gli impianti nella tibia, sia quelli di studio sia quelli di controllo (Fig. 4). In tutti i momenti di prelievo i valori risultavano più elevati per gli impianti di studio. Tuttavia non si riscontravano differenze statisticamente significative nelMarzo 2010; 1(2)

l’aggregazione dei dati di tre prelievi. Gli impianti di studio e quelli di controllo mostravano un contatto con l’osso (%) rispettivamente di 29,5±23,0 e 39,3±21,7. L’area ossea (%) era 14,1±11,7 per gli impianti di controllo e 26,9±21,1 per quelli di studio. L’analisi della formazione di osso a livello della filettatura mostrava differenze marcate nelle filettature 2, e 3 dopo 7 e 14 giorni, cioè le filettature si trovavano sotto lo strato corticale. La neoformazione ossea si osservava più frequentemente nei solchi (fianco inferiore) rispetto alle superfici controlaterali (fianco superiore) negli impianti di studio nella tibia (Fig. 5). Ciò era verificato statisticamente aggregando i dati (Tab. 1). La differenza era più marcata dopo 7 rispetto a 14 e a 28 giorni. Inoltre, gli impianti di controllo dimostravano maggiore incidenza di formazione ossea al fianco inferiore della filettatura rispetto a quello superiore. Le misurazioni dell’area ossea nei solchi hanno mostrato un aumentato riempimento con il tempo con una lieve differenza tra 14 e 28 giorni (Fig. 6). Non vi era uno schema particolare relativamente all’area ossea e al livello della filettatura. > Impianti femorali. I valori del contatto osseo e dell’area ossea per gli impianti femorali aumentavano con il tempo e raggiungevano valori simili a 14 e a 28 giorni (Fig. 7). Le differenze fra impianti di studio e di controllo nei diversi campioni erano minime o del tutto assenti nei dati aggregati. Sia gli impianti di studio sia quelli di controllo mostravano valori di contatto osseo (in percentuale) rispettivamente di 46,9±19,4 e 47,3±22,1. L’area ossea (%) era di 19


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Fig. 7 Grafici che mostrano i risultati delle misurazioni del contatto tra osso e impianto (a) e dell’area ossea (b) negli impianti femorali.

Fig. 8 Grafici che mostrano i risultati dei calcoli del numero di solchi con la neoformazione ossea rispetto al fianco della filettatura opposta corrispondente senza solco negli impianti femorali. Fig. 9 Il grafico mostra i risultati delle misurazioni dell’area dell’ossso nei solchi degli impoianti di studio nel femore. 34,0±16,2 per gli impianti di controllo e 34,1±15,2 per quelli di studio. Valori simili sono stati misurati a tutti i livelli della filettatura. La formazione ossea era evidente più frequentemente nei solchi rispetto alle superfici controlaterali a tutte le scadenze cronologiche (Fig. 8). Gli impianti di controllo non hanno mostrato alcuna differenza tra i fianchi delle filettature superiori e inferiori a 7 giorni, ma una incidenza superiore per la formazione ossea dopo 14 e 28 giorni. I dati aggregati hanno mostrato dif-

ferenze significative sia per gli impianti di studio sia per quelli di controllo a favore del fianco inferiore della filettatura (Tab. 1). Le misurazioni dell’area ossea nei solchi mostravano un incremento da 7 a 14 giorni senza uno schema relativamente al livello della filettatura (Fig. 9). Microtomografia Le ricostruzioni tridimensionali con differenziazione cromatica hanno rivelato uno schema secondo il quale

Fig. 10 Ricostruzione tridimensionale di impianti nella tibia: impianto di studio (a) e impianto di controllo (B) dopo 7 giorni. 20

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l’osso neoformato sembrava seguire il percorso della filettatura nella direzione apicale sia per gli impianti di studio sia per quelli di controllo (Fig. 10). Inoltre, si è osservato che l’osso seguiva il percorso del solco (Fig. 11). L’osso appariva come una continuazione dell’osso esistente nella regione marginale e anche come bordi isolati. Le dimensioni di questi ultimi variavano da qualche centinaio di micrometri ad alcuni millimetri. Era inoltre evidente che in presenza di contatto tra l’osso esistente e la superficie dell’impianto, la formazione ossea si estendeva a partire da quel punto. Non si riscontravano isole di osso sulla punta della filettatura.

DISCUSSIONE

Fig. 11 Ricostruzione tridimensionale di un impianto nella tibia per dimostrare la formazione di osso nei solchi dopo 14 giorni.

Il presente studio su modello animale è stato condotto al fine di analizzare le risposte iniziali del tessuto osseo alle superfici di titanio ossidato e con dei solchi. Studi precedenti condotti dal nostro gruppo di lavoro hanno rivelato un’affinità ai solchi collocati su un fianco della filettatura di tali impianti rispetto al fianco di filettatura opposto (15, 16). Inoltre, è stata osservata una correlazione tra diminuzione della misura del solco e affinità della formazione ossea (16). Nonostante ciò, è stato riscontrato un chiaro incremento della resistenza al removal torque nei solchi da 110 µm rispetto ad ampiezze di 80 e 150 µm e senza solchi. Questa è la ragione per cui nel presente esperimento sono stati utilizzati solchi larghi 110 µm. I risultati del presente studio mostrano la formazione di osso direttamente sulla superficie sia degli impianti inseriti nella tibia sia in quelli inseriti nel femore, che si verificava maggiormente nei solchi rispetto al sito controlaterale negli impianti di studio posizionati nella tibia e nel femore. Una simile tendenza era comunque riscontrata anche negli impianti di controllo, indicando così che la formazione ossea ha un’affinità con il lato inferiore della filettatura. Le due osservazioni potrebbero essere statisticamente verificate aggregando i dati di tutte le tre scadenze cronologiche. Ciò è in linea con quanto affermato da Larsson et al. (11), che ha osservato una simile affinità dell’osso per il lato inferiore della filettatura rispetto a quello superiore nella valutazione di impianti in titanio con 4 topografie di superficie dopo 7 e 12 settimane di guarigione nella tibia del ratto. Nell’insieme il contatto osseo e i valori di area ossea nel presente studio erano più elevati per gli impianti di studio nella tibia, sebbene non statisticamente significativi all’aggregazione dei dati. Nei siti femorali sono state riscontrate differenze minime o assenti nei tre momenti nei dati aggregati dei campioni prelevati a 7, 14 e 28 giorni. Ciò è probabilmente collegato alle differenti morfologie dei tessuti ossei perimplantari nei due siti di esperimento. La tibia è composta da un sottile strato corticale e al di sotto da tessuto osseo

midollare, di solito privo di osso spongioso, che è invece presente nei siti femorali. Pertanto gli impianti nel femore presentavano maggiori contatti primari con l’osso dal quale poteva procedere la formazione di osso sulla superficie dell’impianto. La formazione di osso inizialmente si manifestava con uno strato largo circa 10 µm di colore scuro che riempiva le irregolarità della superficie; in esso si riscontravano poche o nessuna cellula. Tuttavia, negli stadi successivi di formazione ossea interfacciale potevano essere riscontrate numerose cellule, che spesso formavano tipiche giunzioni osteoblastiche e osteoidi. Lo strato scuro più interno si poteva distinguere anche dopo 28 giorni, sebbene molta parte del tessuto osseo primario fosse stata sostituita da osso lamellare. Le ricostruzioni tridimensionali della tibia mostravano sottili bordi di osso in tutti i tre momenti di prelievo, che seguivano il contorno della filettatura, di preferenza sul fondo della filettatura e nei solchi. I dati indicavano che la formazione ossea iniziava sulla superficie e procedeva in direzione dei tessuti circostanti e lungo la superficie dell’impianto. I nostri risultati confermano i casi di guarigione implantare discussi da Davies e Hossein (18), i quali suggeriscono che il coagulo ematico iniziale e la sua ritenzione sulla superficie dell’impianto è un requisito essenziale per la migrazione di cellule osteogeniche. Secondo questi autori il processo di neoformazione ossea inizia con la formazione di nuovo osso attraverso cellule osteogeniche appena differenziate che formano una linea di cemento direttamente sulla superficie del substrato. Tale linea è stata precedentemtente descritta con uno spessore da 500 nm a 1 µm in una revisione su studi ultrastrutturali sulla superficie tra osso e impianto (19). I limiti della tecnica di sezionamento tramite molatura unitamente alle strutture di superficie irregolari rendono impossibile l’identificazione di tali sottili strati. Tuttavia è possibile che gli strati di colorazione scura osservati nel presente studio corrispondano agli strati descritti da Davies e Hosseini (18). Da ciò, la conduzione ossea porta alla formazione di osso lungo la

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superficie dell’impianto parallelamente a un aumentato spessore dell’osso per crescita per apposizione. I nostri studi istologici confermano questa ipotesi. Utilizzando la microscopia elettronica ottica e a trasmissione, Sennerby et al. (20, 21) hanno decritto le risposte tissutali iniziali agli impianti in titanio torniti utilizzando lo stesso modello animale (coniglio); in questi studi l’osso si è formato come isole sparse nella matrice a una distanza dalla superficie implantare e mai direttamente su essa. Invece, descrissero la presenza di cellule multinucleate che diminuiscono con l’aumentare dei contatti tra osso e impianto conseguenti alla crescita di osso verso la superficie. Laddove si stabilivano contatti ossei si poteva osservare uno strato di “arginatore di lamina”, simile a una linea di cemento. L’osservazione di Sennerby et al. e quella del presente studio suggeriscono diversi percorsi dell’integrazione implantare, come è stato precedentemente descritto come osteogenesi da contatto e osteogenesi a distanza (22, 23). Tuttavia sono necessari ulteriori studi comparativi per analizzare ulteriormente le eventuali differenze tra formazione ossea su superfici modificate e superfici di titanio lisce.

CONCLUSIONI La formazione di osso si verifica più frequentemente nei solchi macroscopici sulle filettature rispetto alle superfici controlaterali prive di solchi. Ciò risulta più accentuato a 7 giorni e in aree prive di osso ospite adiacente. L’integrazione ossea degli impianti sembra verificarsi attraverso condensazione ossea direttamente e lungo la superficie implantare e di preferenza sul fondo della filettatura e nei solchi.

RINGRAZIAMENTI Il presente studio è stato sostenuto da Nobel Biocare AB, Goteborg (Svezia). Si ringraziano sentitamente il dottor Peter Schüpbach e il signor Jan Hall per il loro aiuto.

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ARON GONSHOR , CHRIS L. TYE 1

Ricercatore, Università di McGill, Departimento di Chirurgia Orale e Maxillofaciale, Montreal, Quebec, Canada Libero Professionista in Chirurgia Maxillofaciale, Colleyville, Texas, USA

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Valutazione di un sostituto osseo minerale inorganico di origine bovina negli alveoli postestrattivi: un case series RIASSUNTO Scopo del lavoro Gli innesti autogeni sono considerati il gold standard degli innesti ossei, tuttavia presentano limiti legati alla necessità di un secondo sito chirurgico e alla quantità limitata di osso che può essere prelevato. Sarebbe interessante disporre di una tecnica chirurgica che non richieda il prelievo di osso autologo e che dia come risultato la formazione di osso sufficiente in un arco di tempo relativamente breve. Materiali e metodi Nel presente lavoro sono state descritte le caratteristiche chimico-fisiche di un sostituto osseo minerale inorganico di origine bovina e il relativo impiego come materiale da innesto negli alveoli postestrattivi di 10 pazienti. Dopo un periodo di guarigione di 10 mesi sono state effettuate le analisi istologiche e istomorfometriche. Risultati L’analisi istomorfometrica ha dimostrato una percentuale di osso vitale mediamente del 26,4% (da 15 a 32%) e una percentuale di materiale residuo di 38,4% (da 32 a 48%). Conclusioni Le caratteristiche biologiche e fisicochimiche del sostituto osseo minerale inorganico di origine bovina permettono la formazione di nuovo osso vitale ben vascolarizzato, in intima connessione con le particelle del materiale stesso.

PAROLE CHIAVE Alveoli postestrattivi; innesti ossei; osso bovino inorganico; osteoblasti.

INTRODUZIONE Le estrazioni dentarie sono determinate principalmente dalla presenza di carie, trauma o malattia parodontale. La carie è endemica ed è una delle cause principali di perdita di elementi dentari nella popolazione statunitense, mentre la malattia parodontale è responsabile del 30-35% delle estrazioni in soggetti oltre i 40 anni di età (1). Clinicamente è importante sostituire i denti mancanti con la riabilitazione più idonea per il paziente, inoltre la preservazione della cresta e del sito postestrattivo sono fondamentali per il successo a lungo termine, a prescindere dal tipo di procedura utilizzato per la sostituzione dell’elemento dentario (2). Marzo 2010; 1(2)

Le tecniche attuali utilizzate per la preservazione del sito e della cresta includono l’impiego di materiali da innesto osseo e/o membrane riassorbibili (3, 4). Idealmente, al termine della rigenerazione, l’area sarà riempita di osso vitale mineralizzato con residui minimi o nulli di materiale da innesto. Allo scopo di preservare la cresta, negli alveoli postestrattivi, sono stati utilizzati diversi biomateriali. Questi comprendono miscele di particelle di osso provenienti da sito donatore (innesto autogeno), innesto con particolati omologhi ed eterologhi, nonché materiali sintetici. È stato riscontrato che l’utilizzo di membrane in titanio sugli alveoli postestrattivi - con o senza l’utilizzo di innesti di osso autologo - favorisce la preservazione della cresta (5). Il solfato di calcio semi-idrato sintetico veniva utilizzato in passato, dimostrando di riassorbirsi completamente nel giro di tre mesi e di favorire la crescita di nuovo osso trabecolare (6). Anche l’osso bovino inorganico si è dimostrato sicuro ed efficace. In uno studio gli alveoli sono stati riempiti con osso bovino inorganico e poi coperti con innesti gengivali liberi. Gli innesti gengivali hanno mostrato un’area di integrazione media del 99,7% a 6 mesi (7). I derivati dell’osso bovino sono anche stati utilizzati nella rigenerazione ossea sia per la preservazione degli alveoli (8), sia nei difetti parodontali infraossei, da soli (9) o in combinazione con plasma ricco di piastrine – con o senza rigenerazione guidata dei tessuti (10-12) e con derivati dalla matrice dello smalto (9, 13). L’utilizzo di osso poroso di origine bovina, in combinazione con membrane di collagene per la rigenerazione guidata dei tessuti negli alveoli postestrattivi, ha determinato un maggiore riempimento osseo nel sito a 6 mesi rispetto agli innesti ossei di origine bovina in associazione con fibrinogeno/fibronectina autologo (14). Uno studio recente ha messo a confronto l’utilizzo di osso bovino deproteinizzato (Bio-Oss®; Geistlich Pharma AG, Wolhusen, Svizzera) in combinazione con membrana riassorbibile (Bio-Gide®; Geistlich Pharma AG, Wolhusen, Svizzera) e l’utilizzo della sola membrana durante il posizionamento di impianti immediati. Mentre i livelli di osso si mantenevano in entrambi i gruppi, i margini dei tessuti molli erano più coronali, e quindi esteticamente migliori, nel gruppo trattato con il 25


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materiale da innesto e la membrana riassorbibile. Lo studio ha dimostrato che nei difetti ossei perimplantari l’osso deproteinizzato è stato in grado di evitare il collasso dei tessuti molli soprastanti il difetto: questo approccio risulta molto vantaggioso nelle aree estetiche (15). Nel presente studio vengono mostrati i risultati dell’impiego di un osso minerale inorganico di origine bovina (OMIB) denominato NuOss (ACE Surgical Supply Co., Brockton, USA) come materiale da innesto negli alveoli postestrattivi. TM

MATERIALI E METODI

gini al microscopio elettronico a scansione (SEM) sono state acquisite a diversi ingrandimenti (Image J software, NIH). La dimensione dei pori veniva definita come l’ampiezza maggiore di un singolo poro. Le dimensioni dei macropori di NuOss variavano da 250 a 600 µm, e da 0,1 a 1 µm per i micropori. Questa determinazione non era applicabile all’osso spongioso umano, poiché nell’osso intatto i macro e i micropori sono colmati da materiali organici, fra cui il midollo osseo (20). > Area della superficie interna: è un esame di uso frequente per lo studio della porosità. Impiegando un metodo di porosimetria ad azoto, l’area è stata calcolata in metri quadrati per grammo di minerale (m2/g). La superficie interna tra il NuOss (59) e l’osso umano spongioso era simile (50-90, con la rimozione del midollo osseo): ciò indica che lo spazio disponibile per la deposizione di nuovo osso dovrebbe essere analoga. > Spazio vuoto (capacità di riempimento del volume): il riempimento del volume per unità di peso dell’osso minerale si riferisce allo spazio vuoto disponibile per condurre la crescita e la deposizione di osso neoformato. Lo spazio vuoto è stato calcolato misurando il volume (cm3) occupato da 1 g di materiale da innesto osseo e sottraendo il volume occupato dal minerale stesso, che indica lo spazio disponibile per la crescita di osteoblasti. L’osso umano corticale/spongioso, a livello di particelle di dimensioni tra i 250-1000 µ, generalmente occupava 1,3-2,5 cm3/g, mentre l’osso minerale poroso NuOss occupava 1,83 cm3/g e quello corticale 1,77 cm3/g. Ciò indica che sia l’osso umano sia il NuOss sono molto simili nella loro capacità di fornire una matrice con sufficiente spazio vuoto per la crescita di osteoblasti e per la neoformazione ossea. > Dimensione dei cristalli (nanometri): la somiglianza nella dimensione dei cristalli tra NuOss (30, con una variabilità da 20 a 40) e l’osso spongioso umano (range 10-20) indica che i materiali possiedono anche analoghe caratteristiche di riassorbimento e rimodellamento. TM

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Osso minerale inorganico di origine bovina - NuOss Si distinguono generalmente due tipologie di osso: corticale e spugnoso. L’osso corticale ha una maggiore densità rispetto a quello spugnoso, che presenta, invece, una struttura più porosa con ampi pori distribuiti al suo interno. La componente organica dell’osso rappresenta il 40% del contenuto, ed è principalmente costituita da collagene tipo I (99%) e da basse percentuali di glicoproteine acidiche, fosfoproteine, proteine morfogenetiche dell’osso (BMP) e altre proteine non collageniche (1%). Il componente inorganico dell’osso comprende minerali a base di calcio di struttura apatitica, principalmente apatite di calcio, contenenti piccole quantità di magnesio, sodio, potassio, cloruro. È stato dimostrato che la parte organica dell’osso può essere rimossa senza alterare significativamente la struttura originaria del minerale osseo (16). È stata maturata una tecnica per ottenere l’osso inorganico pur mantenendo la struttura minerale simile a quella dell’osso originario. Questo osso inorganico denominato NuOss (OMIB) (spongioso e corticale) è commercializzato da ACE Surgical Supply Co. (Brockton, MA, USA) e prodotto da Collagen Matrix Inc. (Franklin Lakes, NJ, USA). Il prodotto è ottenuto da bovini originari degli Stati Uniti; non sono mai stati riferiti casi di encefalopatia bovina spongiforme trasmessa da qualsiasi dispositivo medico derivato dai tessuti bovini. L’OMIB viene isolato e purificato dall’osso femorale di bovini di età inferiore ai 30 mesi, utilizzando una metodologia brevettata. La porzione spongiosa deriva dalla testa del femore e quella corticale dalla diafisi femorale. In sostanza il metodo consiste in un processo chimico d’estrazione e in un trattamento termico per eliminare i componenti organici dell’osso così da ottenere un osso minerale inorganico bovino, ovvero fosfato di calcio in una struttura di apatite carbonata. Le caratteristiche chimico-fisiche di questo osso inorganico sono determinate da una serie di studi di caratterizzazione in vitro (17). Altri dati sono a disposizione presso Collagen Matrix Inc. (18) e LifeNet Health (19). TM

Caratterizzazione fisica > Determinazione della dimensione dei pori: le imma26

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Caratterizzazione chimica > Indice di fosfato di calcio (rapporto Ca/P): il calcio è stato determinato attraverso la spettrofotometria atomica di assorbimento utilizzando PerkinElmer Analyst 100 (PerkinElmer, Waltham, Mass, USA), mentre per il fosfato è stato utilizzato acetone come reagente. L’assorbanza del fosfato è stata rilevata utilizzando lo spettrofotometro Spectronic 21D (Milton Roy, Ivyland, Penn, USA). L’indice Ca/P conferma che NuOss ha un contenuto minerale di purezza elevata (1,58 ± 0,16), con una stretta somiglianza alla quota di 1,71 dell’osso spongioso umano sottoposto ad analogo trattamento (20) e testimoniato dalla presenza minima di materiali organici residui. TM

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Per determinare l’eventuale presenza di contenuto proteico residuo è stata effettuata l’analisi del contenuto di azoto residuo nel prodotto minerale inorganico. Il contenuto medio di azoto per 9 lotti casuali di prodotti realizzati nell’arco di circa 12 mesi era di 0,007±0,001%. Supponendo che il contenuto medio di azoto nelle proteine sia del 13,6% p/p (peso medio dell’azoto in tutti gli aminoacidi ÷ peso molecolare medio di tutti gli aminoacidi), il contenuto residuo di proteine nel NuOss è 0,06 ± 0,01%. Inoltre, la composizione chimica di questo minerale inorganico è fosfato di calcio naturale in una struttura di apatite carbonata al 5%, che si avvicina al 7,4%, presente nell’osso poroso umano (20). TM

METODI CLINICI Lo studio è stato condotto durante il periodo tra agosto 2006 e agosto 2007. Sono stati arruolati 10 pazienti, 6 uomini e 4 donne, con un’età media di 53 anni (42-61). Tre pazienti presentavano fratture dentali, 2 una terapia endodontica fallita e i rimanenti 5 carie diffuse. A tutti i pazienti sono stati estratti i denti con prognosi infausta dopo aver firmato il consenso. In 8 pazienti sono stati estratti il primo o il secondo molare; 5 nell’arcata inferiore e 3 nella superiore. In tutti i molari sono state separate le radici. Nei due pazienti rimanenti il dente utilizzato era un incisivo superiore. I criteri di inclusione erano i seguenti. > Osso: ampiezza buccolinguale dell’osso alla giunzione amelocementizia (GAC) di almeno 4 mm, deiscenze dell’osso vestibolare al di sotto del margine gengivale/GAC non superiore a 5 mm. > Tessuti molli: ampiezza buccolinguale alla GAC di almeno 2 mm, altezza facciale apicale sotto la GAC non superiore a 5 mm. I criteri di esclusione erano tabagismo, diabete o patologie autoimmuni, ascessi con tumefazione dei tessuti molli, terapia con bifosfonati, estrazioni chirurgiche che richiedevano la rimozione di oltre 2 mm di osso crestale buccale e deiscenze ossee vestibolari di oltre 5 mm dai tessuti molli. L’estrazione atraumatica è stata effettuata in anestesia locale. L’alveolo è stato esaminato per verificare che non residuassero detriti e che il sanguinamento fosse entro i limiti. Il materiale da innesto OMIB è stato attentamente posizionato nell’alveolo fino a livello dell’osso crestale per assicurare la massima rigenerazione ossea. Le suture sono state effettuate con con fili a lento riassorbimento in Vycril (Johnson and Johnson, Langhorne, PA, USA), con punti a materassaio o a otto. I pazienti hanno effettuato sciacqui con clorexidina (0,25%) per una settimana dopo l’intervento. Non sono stati somministrati antibiotici. I pazienti a cui sono stati estratti i molari non hanno ricevuto, durante il periodo di guarigione, protesi provvisorie, mentre i pazienti a cui sono stati estratti gli incisivi sono Marzo 2010; 1(2)

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stati riabilitati con protesi provvisoria fissa. Biopsie Durante la seduta per l’inserimento degli impianti, mediamente 6 mesi dopo il posizionamento dell’innesto, è stato sollevato il lembo ed è stato prelevato il campione bioptico con fresa carotatrice del diametro interno di 2,7 mm (diametro esterno 3,5 mm). I campioni cilindrici sono stati lasciati all’interno della fresa e fissati in formalina tamponata neutra al 10%. Preparazione istologica Tutte le preparazioni istologiche sono state effettuate presso il Baylor College of Dentistry a Dallas, Texas, USA e l’Università McGill, a Montreal, Quebec, Canada. I campioni sono stati disidratati con soluzioni a concentrazioni crescenti di alcol per 9 giorni. I campioni sono stati poi infiltrati con resina fotopolimerizzante. Dopo altri 20 giorni sono stati inglobati e fotopolimerizzati a 450 nm. I campioni sono stati poi preparati con la tecnica di Donath (21) e Rohrer (22). I campioni sono stati lucidati fino a raggiungere uno spessore di 45-65 µm, e in seguito sono stati sottoposti a lucidatura finale con pasta all’ossido di alluminio da 0,3 µm. Le sezioni così ottenute sono state colorate con ematossilina-eosina ed è stato applicato un vetrino per l’analisi al microscopio polarizzato e al microscopio in campo chiaro. Istomorfometria In seguito alla preparazione istologica, i campioni non decalcificati sono stati valutati all’analisi morfometrica. Sono stati convertiti in formato digitale allo stesso ingrandimento utilizzando apparecchi fotografici digitali utilizzando Leica DMR HC e Jenoptic ProgRes C14. Le misurazioni istomorfometriche sono state completate utilizzando Bioquant Nova Prime Bone Morphometry, versione 6.50.10 (Bioquant Image Analysis Corp. - Nashville, Tenn, USA). I parametri valutati sono stati l’area totale del campione prelevato, la percentuale di neoformazione ossea e la percentuale di materiale da innesto residuo. Il resto dell’area veniva identificata come tessuti molli od osteoidi. Il vetrino di base valutato per ciascun campione proveniva dalla regione più centrale del campione prelevato.

RISULTATI Istologia La valutazione istomorfometrica dei 10 casi è riassunta nella tabella 1. Il contenuto medio di osso vitale era del 26,4% (range 15-32%) e il contenuto residuo di materiale da innesto del 38,4% (range 32-48%), in seguito a un periodo di guarigione in media di 6 mesi. L’analisi delle sezioni coronali e apicali dei campioni prelevati non ha mostrato alcuna differenza significativa nel con27


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tenuto di osso. Un esempio rappresentativo delle prove istologiche può essere riscontrato nelle immagini della figura 1. Nella figura 1A è riprodotta un’immagine a basso ingrandimento di un campione di osso alveolare prelevato 5 mesi dopo il posizionamento dell’OMIB. La direzione apicale è verso destra. È molto evidente l’infiltrazione ossea (rosso) nella regione dell’osso innestato (marrone). Il resto dell’area consiste principalmente di tessuto connettivo. Il particolare dell’immagine precedente a elevato ingrandimento mostra l’apposizione di osso vitale direttamente sulle particelle di OMIB (Fig. 1B). È importante notare che l’osso ospite è in intimo contatto con le particelle di OMIB, senza incapsulazione fibrosa dell’OMIB stesso. Inoltre, vi è un ponte di osso neoformato tra le particelle, evidente segno di integrazione dinamica del materiale da innesto nell’ambiente dell’osso ospite. Nella figura 1C si può apprezzare un’area di tessuto osseo primario neoformato con osteoblasti che fiancheggiano l’osso.

Paziente 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Media S.D.

VB/TT (%)

NVB/TT (%)

MFT/TT (%)

32.2 32.3 26.4 30.9 27.1 26.3 29.4 22.3 15.0 22.0 26.4 0.242

40.7 46.1 48.2 33.8 33.0 33.5 33.3 37.4 32.0 46.0 38.4 0.166

27.1 21.6 25.4 35.3 39.9 40.2 37.3 40.3 53.0 46.0 35.2 0.179

Legenda VB = Osso Vitale; NVB = Osso Non Vitale; MFT = Midollo e Tessuto Fibroso; TT = Area Totale del Teissuto

Tab. 1 Analisi istomorfometrica della rigenerazione ossea otteuta con

DISCUSSIONE In letteratura differenti sono le opinioni relative alla scelta del biomateriale più idoneo a seconda delle diverse procedure cliniche, alla relativa procedura di utilizzo, e alla possibilità di combinare i materiali da innesto tra loro (23). L’osso autologo è considerato, tradizionalmente, il “golden standard” tra i biomateriali: esso possiede infatti, specialmente nella porzione

il materiale analizzato dopo 6 mesi. spongiosa, potenziale osteogenico, osteoinduttivo e osteoconduttivo. Tuttavia l’utilizzo di osso autologo, presenta anche alcuni svantaggi, legati innanzitutto alla sede del prelievo e quindi alla necessità di un secondo sito chirurgico con aumento della morbilità del paziente; inoltre la quantità di osso autologo ottenibile è relativamente limitata. Questi limiti hanno motivato i ricercatori allo studio di nuovi sostituti ossei (24). Sono stati utilizzati numerosi biomateriali, quali innesti sintetici, omologhi ed eterologhi, che agiscono come supporto alla crescita di cellule osteoprogenitrici, ai vasi e ai tessuti perivascolari provenienti dal sito ricevente circostante (25). Froum (26) ha effettuato una comparazione istologica tra un vetro bioattivo e un alloinnesto di osso liofilizzato e demineralizzato (DFDBA) posizionati in alveoli postestrattivi. Dopo 6-8 mesi le differenze nella per-

Fig. 1A Campione di osso alveolare a 5 mesi; notare la direzione apicale a destra. Fig. 1B Osso vitale neoformato (rosso) depositato direttamente sulle particellle del sostituto osseo bovino inorganico (OMIB) (marrone). Fig. 1C Tessuto osseo primario neoformato con osteoblasti. 28

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centuale di osso vitale non erano statisticamente significative, ma il materiale innestato residuo era significativamente più elevato nei siti trattati con DFDBA (13,5%) rispetto agli alveoli riempiti con il vetro bioattivo (5,5%). Un altro studio nell’uomo sui siti estrattivi pubblicato da Carmagnola (8) ha analizzato la guarigione dopo utilizzo di innesti eterologhi (Bio-Oss) o di membrane riassorbibili (Bio-Gide). Al momento del posizionamento degli impianti, i siti in cui era stata inserita la sola membrana mostravano più ampie quantità di osso lamellare e midollo osseo e piccole porzioni di tessuto osseo primario. I siti trattati con l’innesto eterologo presentavano tessuto connettivo e solo circa il 40% della circonferenza delle particelle era a contatto con tessuto osseo primario neoformato. In un recente studio clinico e istologico sui siti postestrattivi pubblicato da Cardaropoli (27), le analisi istologiche a 4 mesi hanno rivelato una neoformazione osseo in tutti i siti con un residuo medio di particelle da innesto del 25%. Il materiale analizzato in tale studio era osso minerale naturale inorganico di origine bovina, prodotto utilizzando un processo di estrazione chimica a temperature relativamente basse. Questo processo determinava la formazione di una matrice osteoconduttiva efficace in grado di mantenere la propria architettura trabecolare e porosità. Il confronto mostrato nella tabella 1 chiarisce che, quanto alle varie caratteristiche fisiche, questo OMIB è molto simile all’osso spugnoso umano. In particolare, l’architettura trabecolare aperta dell’OMIB e quella dell’osso spugnoso umano favoriscono la stabilizzazione del coagulo e, successivamente, la rivascolarizzazione del sito innestato. La struttura aperta delle trabecole determina un’ampia area di superficie interna e un’elevata porosità. Ciò permette alle cellule osteoprogenitrici di migrare con facilità verso il sito e infine agli osteoblasti di apporre nuovo osso (28). L’osso umano è caratterizzato da cristalli di apatite relativamente piccoli, come quelli dell’OMIB analizzato. Questo tipo di struttura cristallina compatta è importante, poiché gli osteoclasti nella matrice ossea dovranno riassorbire tali cristalli per iniziare il processo di rimodellamento. Se la struttura cristallina del materiale da innesto è significativamente diversa rispetto a quella dell’osso umano, il materiale da innesto può non essere rimodellato in maniera adeguata (29). È noto ormai da tempo che l’osso minerale umano si deposita come cristalli di apatite carbonata (30), contenenti poco più del 5% di carbonato, 5-10% di fosfato di idrogeno e altri minerali vari. L’apatite biologica si deposita più velocemente rispetto ai cristalli di idrossiapatite sintetica sui materiali da innesto contenenti calcio. Questo legame serve come substrato per la successiva adesione da parte di cellule ossee e proteine. Questa prova suggerirebbe che i materiali da innesto contenenti la componente minerale del tessuto osseo abbiano maggiori probabilità di essere incorporati priMarzo 2010; 1(2)

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ma nell’osso ospite (31). La natura biologica dell’OMIB è stata studiata in diversi studi su modello umano e animale. Schlickewei (32), utilizzando il Bio-Oss, ha osservato il rimodellamento osseo nel femore del coniglio per un periodo di 1 anno. L’analisi da 1 a 12 mesi ha dimostrato che il contatto tra osso neoformato e OMIB aumentava col tempo durante il periodo di osservazione, con una ricopertura ossea del 90,8% del materiale da innesto dopo un anno. L’analisi istomorfometrica durante tale periodo mostrava anche che la quantità di Bio-Oss diminuiva durante tale periodo, con l’aumentare del nuovo osso, ammontando insieme al 60% dell’intero tessuto osseo. La componente midollare rappresentava il rimanente 40%. Boyne (33), utilizzando un osso minerale poroso inorganico di origine bovina nella scimmia rhesus ha dimostrato che durante il rimodellamento la densità ossea aumentava nell’area chirurgica. Ciò sottolineava la possibilità di usare questi materiali da innesto in aree con ridotta densità ossea, quali il mascellare posteriore, per sostenere gli impianti caricati. Prove istologiche su campioni ossei animali e in studi clinici hanno confermato le proprietà osteoconduttive del OMIB (34, 35). Nel presente studio le prove istologiche mostrano una vivace attività osteoblastica, in cui le cellule allineate determinano il processo di mineralizzazione. Il nuovo tessuto osteoide copre l’OMIB, connettendo tra loro le particelle. Ciò determina l’apposizione del nuovo osso e la stabilizzazione dell’osso ospite. Nelle analisi istomorfometriche del presente studio, la percentuale del volume osseo appena generato è simile ai valori descritti nelle analisi sui volumi ossei di altre ricerche. Trisi e Rao, in uno studio del 1999 (36), hanno correlato una valutazione clinica manuale della qualità dell’osso all’analisi istomorfometrica della densità ossea. I risultati erano espressi come percentuale di trabecole ossee sul totale dell’area bioptica, e variavano da 76,5% ± 16,19 per l’osso di densità D1 a 28,28% ±12,02 per osso di tipo D4 (37). Tuttavia, vi può essere una maggiore variabilità nel volume dell’osso trabecolare, con valori che possono perfino raggiungere il 51,93% così come il 6,73%, con medie del 17,1% nei soggetti di sesso femminile e del 23,4% maschile. I risultati di questo studio dimostrano che le caratteristiche biologiche e fisico-chimiche dell’OMIB NuOss permettono la formazione di nuovo osso vitale che sembra essere in stretto contatto con le particelle di OMIB. TM

RINGRAZIAMENTI Il progetto è stato sostenuto da Ace Surgical, Brockton (USA). Gli autori sentitamente ringraziano l’assistenza di Ari Prasad, ricercatore del laboratorio di ricerca tissutale dell’Università del Minnesota, scuola di odonto29


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iatria, e il dottor Michel Assad, direttore di piattaforma del centro di Ricerca ossea e parodontale della McGill University, e il loro staff tecnico per la preparazione dei campioni e le analisi istomorfometriche.

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RAQUEL R. M. BARROS1, ARTHUR B. NOVAES Jr.2, VULA PAPALEXIOU3, SÉRGIO L. S. SOUZA2, MÁRIO TABA Jr.2, DANIELA B. PALIOTO2, MÁRCIO F. M. GRISI2 1

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Studente di Parodontologia, Dipartimento di chirurgia orale-maxillo-facciale, traumatologia e parodontologia, Facoltà di Odontoiatria di Ribeirão Preto, Università di São Paulo, Brasile Docente di Parodontologia, Dipartimento di chirurgia orale-maxillo-facciale, traumatologia e parodontologia, facoltà di Odontoiatria di Ribeirão Preto, Università di São Paulo Docente di Parodontologia, Centro di Scienze biologiche e della salute, Facoltà di Odontoiatria, Università Cattolica Pontificia

Dinamiche del rimodellamento osseo intorno a superfici implantari biofunzionalizzate. Analisi della fluorescenza su modello canino RIASSUNTO Scopo del lavoro Lo scopo del presente lavoro è valutare il rimodellamento osseo intorno a differenti superfici implantari attraverso l’analisi della fluorescenza. Materiali e metodi Sono stati estratti i premolari mandibolari bilaterali di 8 cani nei quali, dopo 12 settimane, sono stati inseriti 6 impianti. Sono stati costituiti 4 gruppi sperimentali in cui gli impianti avevano la stessa topografia microstrutturata, con o senza l’aggiunta di un peptide bioattivo. Durante un periodo di guarigione di 2 mesi, è stata effettuata la marcatura con fluorocromi per la fluorescenza policromatica. I marcatori ossei sono stati somministrati 3 giorni dopo l’inserimento degli impianti e successivamente dopo 1, 2, 4 e 6 settimane. Risultati La neoformazione ossea è stata valutata attraverso un’analisi istomorfometrica dei marcatori ossei adiacenti e distanti dalle superfici degli impianti. In generale, la comparazione tra i diversi gruppi ha mostrato una differenza statisticamente significativa a favore della superficie microstrutturata modificata con una bassa concentrazione di peptide bioattivo (gruppo A) per quanto riguarda l’osso marcato nell’area adiacente alla superficie implantare a 4 settimane (p<0,001). A 3 giorni e a 6 settimane questo stesso gruppo raggiungeva anche valori numericamente superiori di incorporazione dei fluorocromi. Conclusioni Il rimodellamento osseo è un processo attivo che deriva dall’alternanza delle attività di riassorbimento e formazione ossea. Vi è uno schema simile di rimodellamento osseo tra le superfici microstrutturate, biofunzionalizzate o meno; tuttavia l’aggiunta di un peptide adesivo a bassa concentrazione ha favorito la formazione ossea adiacente agli impianti rispetto ad altre superfici durante il periodo valutato.

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PAROLE CHIAVE Fluorescenza; impianti dentali; rimodellamento osseo; sperimentazioni su animali.

INTRODUZIONE Al momento dell’inserimento degli impianti le superfici dei materiali sintetici vengono ricoperte da una sottile pellicola proteica (1). L’orientamento delle proteine dipende dalla superficie legante; infatti sono diverse le caratteristiche di superficie in grado di modificare le attività biologiche e quindi l’adesione cellulare e l’apposizione ossea (2). In presenza del titanio, che è un materiale biocompatibile ampiamente utilizzato, bisogna prevedere la formazione di uno strato di ossido superficiale e l’interazione delle cellule con questo strato sarà mediata dalle proteine presenti in superficie, le proteine della matrice cellulare (2). Un obiettivo diffuso in ingegneria cellulare e tissutale è la possibilità di modificare il materiale per interagire selettivamente con un tipo specifico di cellula attraverso eventi di riconoscimento biomolecolare. Tipicamente i peptidi contenenti i domini di unione cellulare ritrovati nelle proteine della matrice extracellulare sono immobilizzati nel materiale per promuovere l’adesione delle cellule attraverso interazioni recettore-legante (3, 4). Secondo i parametri utilizzati per valutare l’osteointegrazione, sono stati ottenuti ottimi risultati con le superfici implantari microstrutturate in seguito a processi di sabbiatura/mordenzatura. Tuttavia, la topografia di superficie non è l’unica caratteristica di superficie che 31


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influenza l’apposizione ossea intorno agli impianti in titanio. La composizione chimica e biochimica della superficie dell’impianto possono anch’esse avere un ruolo importante nella formazione ossea, specialmente se nelle fasi iniziali di questo processo (1-5). In base a ciò, la funzionalizzazione della superficie utilizzando diversi peptidi è attualmente oggetto di studio. Alcuni studi in vitro si sono focalizzati sull’attività di reclutamento cellulare sulle superfici implantari modificate (6, 7). Queste sono state ottenute per mezzo di diversi procedimenti, che spesso prevedevano la biofunzionalizzazione con peptidi adesivi. Schuler et al. (7) hanno analizzato i modelli di adesione e spreading di cellule epiteliali, fibroblasti e osteoblasti su una superficie biomimeticamente modificata (contenente una sequenza peptidica bioattiva RGD), e su superfici di titanio sia lisce sia rugose. Come superfici di controllo sono state utilizzate superfici non bioattive di titanio non trattato. In generale, è stato osservato un aumento del numero delle cellule e un maggiore spreading delle cellule sui substrati bioattivi (contenenti RGD) rispetto alle superfici non bioattive. Era presente un numero maggiore di fibroblasti sulle topografie lisce rispetto a quelle rugose, mentre per gli osteoblasti si osservava la tendenza opposta. L’adesione degli osteoblasti aumentava con l’aumentare della concentrazione del peptide RDG sulla superficie. Gli autori hanno concluso che la topografia e la (bio)chimica di superficie sono fattori chiave nel determinare la risposta cellulare a un impianto. Studi su animali supportano l’ipotesi che le superfici implantari biofunzionalizzate potrebbero avere alcuni vantaggi (8-10). Park et al. (8) hanno valutato l’osteointegrazione di impianti in titanio anodizzato rivestiti di fattore di crescita fibroblastico-fribronectina (FGFFN) proteina di fusione che veniva posizionata nella tibia di coniglio. I valori di torque di rimozione implantare e le percentuali di contatto tra osso e impianto del gruppo di studio erano migliori rispetto a quelli riscontrati negli impianti non biofunzionalizzati. Germanier et al. (10) hanno confrontato le superfici implantari modificate con polipeptidi RGD e superfici implantari sabbiate e mordenzate posizionate nella mandibola di minipig e hanno rilevato che la biofunzionalizzazione può promuovere ed incrementare l’apposizione ossea durante le fasi iniziali della rigenerazione ossea. La marcatura con fluorocromi dell’osso è un metodo per ottenere la morfometria ossea e per chiarire la cronologia del rimodellamento osseo (11) e delle fasi iniziali dell’instaurarsi dell’interfaccia osso-impianto. Il processo di neoformazione ossea inizia con la produzione di una matrice non calcificata da parte degli osteoblasti, che successivamente diventerà mineralizzata per la deposizione di apatite; e durante questa fase di formazione si possono accumulare i fluorocromi. Secondo Nkenke et al. (12) “durante il processo di 32

mineralizzazione le colorazioni per l’analisi della fluorescenza sono incorporate nel fronte di mineralizzazione dai chelati”. L’applicazione in sequenza di differenti colorazioni a diversi intervalli di tempo permette di seguire la direzione e la localizzazione topografica di neoformazione ossea. Lo scopo del presente studio è quello di analizzare, in un modello animale attraverso l’abbinamento sequenziale polifluorocromatico, il processo di rimodellamento osseo intorno a superfici implantari contenenti concentrazioni basse o elevate di un peptide bioattivo e confrontarle con altre superfici implantari microstrutturate tramite un processo di sabbiatura/mordenzatura.

MATERIALI E METODI Design implantare Tutti gli impianti sono stati prodotti con titanio commercialmente puro, con il design XiVE (Dentsply Friadent, Mannheim, Germania) e con dimensioni 4,5 x 9,5 mm. Gli impianti sono stati caratterizzati da un incavo posto a 2,3 mm dalla parte superiore dell’impianto, profondo 0,18 mm e alto 1,5 mm (Fig. 1). In questo incavo sono stati effettuati 4 tipi di rivestimento, in base ai quali sono stati costituiti i 4 gruppi sperimentali: A, B, C e D (Tab. 1). Prima, la superficie dell’incavo di tutti i 4 gruppi è stata microstrutturata come una superficie Friadent plus (Dentsply Friadent, Mannheim, Germania) attraverso un trattamento di sabbiatura/mordenzatura. La biofunzionalizzazione della superficie implantare è stata effettuata attraverso l’assorbimento di un peptide bioattivo nel rivestimento di idrossiapatite (HA) nanocristallina. Il peptide bioattivo può anche essere descritto come una sequenza di aminoacidi correlati alla formazione ossea; tuttavia, la composizione dettagliata non è stata dichiarata dal produttore (procedura brevettata). Pertanto, il gruppo A era costituito dalla morfologia microstrutturata e da una bassa concentrazione del peptide bioattivo/rivestimento di HA nanocristallina, mentre il gruppo D aveva le estesse caratteristiche, solo che il peptide bioattivo era presente a concentrazione elevata. Nel gruppo B gli impianti presentavano morfologia microstrutturata abbinata al rivestimento di HA nanocristallina senza l’assorbimento del peptide bioattivo e il gruppo C, infine, era preparato come la superficie Friadent plus. Lo studio era cieco, in tal modo tutti gli operatori coinvolti, dal chirurgo all’esaminatore delle immagini a fluorescenza, non erano a conoscenza dei gruppi di studio. I diversi rivestimenti che caratterizzavano le 4 superfici implantari sono stati rivelati solo al termine dell’analisi della fluorescenza.

Procedura chirurgica Il protocollo di studio è stato approvato dal Comitato Marzo 2010; 1(2)


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Influenza delle superfici implantari biofunzionalizzate sulle dinamiche del rimodellamento osseo

di ricerca animale dell’Istituto e ha previsto 2 interventi chirurgici effettuati su 8 giovani cani meticci adulti, del peso di circa 12 kg. Gli animali presentavano mascelle intatte, nessun trauma occlusale generalizzato e nessuna lesione orale virale o fungina, godevano di buona salute generale senza coinvolgimenti a livello sistemico confermati dall’esame clinico veterinario effettuato. Nel primo intervento chirurgico, dopo la sedazione i cani sono stati anestetizzati con un’infusione intravenosa di thiopental (1 ml/kg; 20 mg/kg thiopental diluiti in 50 ml di soluzione salina). Successivamente sono stati elevati dei lembi a tutto spessore bilateralmente nell’area premolare mandibolare. I denti sono stati sezionati in direzione buccolinguale alla biforcazione, in modo che le radici potessero essere estratte individualmente senza danneggiare le pareti ossee, utilizzando un periotomo. I lembi sono stati riposizionati e suturati con filo 4-0 non riassorbibile. Dopo un periodo di guarigione di 3 mesi, agli animali è stata somministrata una dose di 20,000 IU di penicillina e streptomicina (1,0 g/10 kg) la notte precedente il secondo intervento. Questa dose fornisce una copertura antibiotica per 4 giorni, così una ulteriore dose è stata somministrata dopo 4 giorni per estendere la copertura a 8 giorni in totale. Dopo aver ripetuto la stessa procedura di sedazione e anestesia utilizzata nel primo intervento, sono state effettuate incisioni crestali orizzontali bilateralmente dalla regione distale del canino alla regione mesiale del primo molare. Sono stati inseriti casualmente tre impianti in ciascun lato della mandibola di ciascun animale. In

questo modo le emimandibole degli animali sono state trattate con diverse sequenze di gruppi implantari. In totale nella sperimentazione sono stati utilizzati 48 impianti, 12 per ciascun gruppo (A, B, D, e D). I lembi sono stati suturati con filo non riassorbibile e gli impianti sono stati lasciati sommersi per il periodo di guarigione. Gli animali hanno seguito una dieta morbida per 14 giorni, cioè fino a quando sono stati rimossi i punti di sutura. La guarigione è stata valutata periodicamente e i denti rimanenti sono stati puliti mensilmente con ultrasuoni. Durante i 2 mesi di guarigione sono stati somministrati i marker di fluorescenza per osservare (13) il grado e l’estensione della neoformazione ossea; a 3 giorni dal posizionamento degli impianti sono stati somministrati per via endovenosa 20 mg di calceina verde/kg di peso corporeo (Sigma Chemical Co., St Louis, MO, USA); alla prima settimana sono stati somministrati 20 mg di alizarina rossa S/kg di peso corporeo (Sigma), a due settimane 20 mg di oxitetraciclina HCl/kg di peso corporeo (Sigma), a 4 settimane 20 mg di calceina verde/kg di peso corporeo (Sigma) e a 6 settimane 20 mg di calceina blu/kg di peso corporeo (Sigma). Tutte le colorazioni sono state preparate immediatamente prima dell’uso con soluzione salina o bicarbonato di sodio al 2%. Dopo la preparazione il pH è stato modificato a 7,4 e la soluzione è stata filtrata attraverso un filtro da 0,45 µm (Schleider & Schuell GmbH, Dassel, Germania). Ciascun cane ha ricevuto una dose totale di 3 ml.

Preparazione istologica Gli animali sono stati sedati e poi sacrificati con una overdose di thiopental 8 settimane dopo il posizionamento degli impianti. Le emimandibole sono state rimosse, dissezionate e fissate in formalina tamponata di fosfato al 4%, con pH 7, per 10 giorni e trasferite in una soluzione al 70% di etanolo fino a quando è stata effettuata la procedura di preparazione. I campioni sono stati disidratati tramite concentrazioni graduali di alcol, arrivando fino al 100%, poi sono stati infiltrati in resina LR White (London Resin Company, Berkshire, Gran Bretagna) e sezionati dopo l’induGruppo

Fig. 1 Disegno implantare. Tutti gli impianti presentavano la stessa forma e topografia (sabbiata/mordenzata) di base, ma si differenziavano nel rivestimento di superficie presente nell’incavo praticato a 2,3 mm partendo dalla parte superiore dell’impianto con una profondità di 0,18 mm e un’altezza 1,5 mm. Marzo 2010; 1(2)

Caratteristiche della superficie dell’impianto

A

Morfologia superficie Friadent plus + rivestimento HA + peptide bioattivo a bassa concentrazione

B

Morfologia superficie Friadent plus + rivestimento HA

C

Morfologia superficie Friadent plus (processo di sabbiatura/mordenzatura)

D

Morfologia superficie Friadent plus + rivestimento HA + peptide bioattivo ad alta concentrazione

Tab. 1 Le superfici dei quattro impianti sperimentali . 33


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rimento utilizzando la tecnica descritta da Donath e Breuner (14). I campioni sono stati assottigliati fino a raggiungere uno spessore di 50 µm per l’osservazione al microscopio a fluorescenza (12).

Analisi della fluorescenza Le immagini al microscopio a fluorescenza sono state acquisite longitudinalmente a ciascun impianto per mezzo di una videocamera Leica DC 300F (Leica Microsystems GmbH, Nussloch, Germania) collegata allo stereomicroscopio Leica MZFL III (Leica Microsystems GmbH, Nussloch, Germania), utilizzando filtri appropriati. I filtri delle lunghezze d’onda utilizzati erano D per ossitetraciclina HCI che ha un livello di eccitazione tra 355-425 nm e A per la calceina blu che ha un livello di eccitazione tra 340 e 380 nm. Considerando che la calceina verde è stata utilizzata due volte (3 giorni dopo il posizionamento e 4 settimane dopo il posizionamento), altre immagini sono state ottenute con il microscopio a scansione confocale laser (CLSM), che permette di ottenere immagini successive di diversi piani dello stesso campione, in modo da costruire immagini tridimensionali. Una volta che il rosso di alizarina S è stato somministrato tra le 2 somministrazioni di calceina verde è stato possibile distinguere l’osso colorato con calceina verde e i diversi momenti utilizzando le immagini fornite dal CLSM. Tutte le immagini sono state adattate e analizzate per mezzo del programma Image J (National Institutes of Health, Bethesda, USA) per determinare la percentuale dell’osso colorato presente nell’incavo. L’osso colorato è stato delineato tra due rettangoli, uno dei quail all’interno dell’incisione (II), occupandone l’intera area, e l’altro al di fuori dell’incisione (OI) come immagine speculare del primo. Sono state effettuate delle misurazioni delle percentuali di osso fluorescente rispetto all’area totale. Un solo esaminatore, che ignorava da quale gruppo provenissero le sezioni, ha effettuato le misurazioni.

Analisi statistica Tutte le misurazioni sono state valutate statisticamen-

te utilizzando l’analisi della varianza, ANOVA, con 2 fattori (trattamento di superficie e marcatura/tempo) e il test di Tukey è stato utilizzato per il confronto multiplo tra i mezzi. Il livello di confidenza era del 95%.

RISULTATI Prima di tutto è importante sottolineare che la morfologia microstrutturata non si è modificata a causa del processo di biofunzionalizzazione delle superfici. La morfologia di superficie di Friadent plus era completamente preservata in seguito all’applicazione del sottile rivestimento di HA + peptide bioattivo mostrato nelle immagini al SEM (Fig. 2). L’analisi microscopica della fluorescenza ha mostrato un intenso rimodellamento osseo per tutti i gruppi valutati. L’osso preesistente appariva sempre più scuro e senza categorizzazione (fig. 3). L’alizarina era di colore rosso in uno sfondo diffuso mischiato; chiaramente evidenti le fasce verdi generalmente rappresentate da calceina verde; l’ossidotetraciclina mostrava linee sottili giallo-verdi e, infine, la calceina blu era caratterizzata da un colore blu in uno sfondo molto diffuso (Fig. 3). In molti campioni la presenza di osteoni secondari era dimostrata dalla deposizione delle marcature in assetto concentrico (Fig. 3, 4). La neoformazione ossea è stata valutata attraverso l’analisi istomorfometrica dei marcatori ossei. Le percentuali di osso neoformato all’interno dell’incisione (II) adiacente all’impianto sono descritti nella tabella 1 e nella figura 5. Inoltre, le percentuali di osso neoformato al di fuori dell’incavo (OI) e distante dall’impianto sono mostrate nella tabella 2 e nella figura 6. Il confronto tra i gruppi dell’osso marcato nell’area II ha rivelato una differenza statisticamente significativa a favore del gruppo A a 4 settimane (p<0.001), sebbene a 3 giorni e a 6 settimane il gruppo A raggiungesse anche valori numericamente superiori per l’incorporazione dei fluorocromi. La valutazione dell’area OI ha fornito risultati quasi sovrapponibili per tutti i gruppi considerando tutti i periodi di applicazione.

Fig. 2 Immagini al SEM: notare il rivestimento uniforme che non modifica la morfologia originale Friadent plus. a) Superficie Friadent plus (ingrandimento 1000 x). b) Superficie Friadent plus dopo rivestimento di idrossiapatite/peptide bioattivo plus (ingrandimento 10000 x). 34

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Influenza delle superfici implantari biofunzionalizzate sulle dinamiche del rimodellamento osseo

Fig. 3 Analisi della fluorescenza. La neoformazione ossea è stata valutata attraverso un’analisi istomorfometrica dei marcatori ossei dentro e fuori l’incisione. L’osso preesistente appariva sempre più scuro e senza marcatura. a) L’alizarina rossa aveva un colore rosso in uno sfondo diffuso. b) l’osteotetraciclina ha mostrato sottili linee giallo verdi. c) La calceina verde era generalmente rappresentata da fasce verdi chiaramente visibili. d) La calceina blu era caratterizzata da un colore blu in uno sfondo diffuso.

Fig. 4 L’analisi della fluorescenza. a) Alizarina rossa. b) Immagine ottenuta con microscopia confocale che mostrava l’alizarina rossa e la calceina verde insieme. c) Calceina verde.

Non sono state rilevate differenze statisticamente significative tra i gruppi. Infine, l’analisi tra gruppi che rappresentavano l’effetto di ciascuna superficie dell’area II (adiacente alla superficie implantare) confrontata con l’area OI (distante dalla superficie dell’impianto) non mostrava Marzo 2010; 1(2)

differenze statisticamente significative.

DISCUSSIONE L’utilizzo dei marcatori ossei è essenziale per l’analisi 35


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Barros R. R. M. et al.

Fig. 5 Grafico che mostra le percentuali di osso neoformato all’interno dell’incisione (II) adiacente all’impianto, durate il periodo di valutazione.

Fig. 6 Il grafico mostra le percentuali di osso neoformato al di fuori dell’incisione (OI) distante dall’impianto, durante il periodo di valutazione. Bistant measurement measurements bone marked Confocal/fluorescence analysis 3 days 1 week 2 weeks 4 weeks 6 weeks

Adjacent measurements bone marked Confocal/fluorescence analysis 3 days 1 week 2 weeks 4 weeks

6 weeks

A

12.97

11.30

26.41

13.62

21.62

A

10.45

7.21

35.78

6.86

22.73

B

10.17

13.20

23.68

6.81

16.07

B

10.38

7.36

35.52

6.72

25.52

C

10.89

12.16

26.49

6.39

18.22

C

9.99

7.04

33.84

6.06

26.37

D

10.72

11.68

21.19

5.98

12.24

D

10.30

7.17

34.18

6.30

24.14

Tab. 2 La percentuale di osso neoformato dentro l’incisione (II) adiacente all’impianto, durante il periodo di valutazione.

Tab. 3 La percentuale di osso neoformato fuori dell’incisione (OI) distante dall’impianto, durante il periodo di valutazione.

della fluorescenza al CLSM. La loro applicazione in periodi diversi permette la valutazione della neoformazione e del rimodellamento osseo nelle diverse fasi di guarigione. I fuorocromi dell’alizarina, calceina verde, ossitetraciclina e calceina blu presentano colori diversi e forniscono informazioni sequenziali se applicati in diversi tempi sperimentali. I marcatori ossei utilizzati nel presente studio possono essere confrontati perché si legano agli ioni calcio per chelazione (15), e ciò permette di evidenziare correttamente le aree di mineralizzazione attiva (12). Il presente studio era volto a valutare la dinamica della formazione ossea intorno a differenti superfici implantari (gruppi A, B, C e D). In breve, l’incorporazione dei fluorocromi seguiva uno schema nei diversi gruppi di superfici implantari durante il periodo di valutazione da 3 giorni a 6 settimane. Fino alla prima settimana la percentuale di osso marcato rimaneva tra il 10 e il 13% in tutti i gruppi. Tuttavia, alla valutazione a 2 settimane un aumento significativo nella formazione ossea veniva riscontrato in tutti i 4 gruppi. In quel periodo sperimentale ciascun gruppo raggiungeva il valore più elevato di osso marcato che rappresentava individualmente il picco di mineralizzazione. Alla valutazione a 4 settimane il livello di osso marcato diminuiva notevolmente in tutti i gruppi, tranne che nel gruppo A, nel quale la diminuzione non era così evidente. Mentre i gruppi B, C e D

mostravano in tale fase i livelli più bassi, intorno al 6%, il gruppo A, invece, mostrava un 13% di osso marcato. Infine, a 6 settimane un altro aumento dell’attività di mineralizzazione si verificava in tutti i gruppi (B 16%; C 18%; D 12%), con risultati lievemente migliori per il gruppo A (21%). Le fasi iniziali di formazione ossea intorno agli impianti sono ancora poco comprese. Spesso gli studi sulle superfici implantari analizzano solo l’osteointegrazione determinata in base alla percentuale di contatto tra osso e impianto raggiunto alla fine della sperimentazione. Lo studio tramite marcatura con fluorocromi rende possibile l’analisi delle differenze nella formazione ossea durante il processo di rimodellamento, considerando 4 o 5 periodi di valutazione. In maniera diversa Abrahamsson et al. (16) hanno valutato istomorfometricamente la guarigione tra 2 ore e 12 settimane dopo il posizionamento degli impianti in un modello canino. I cani sono stati sacrificati e le biopsie sono state ottenute ai diversi tempi sperimentali. Dalle sezioni non decalcificate venivano quantificate le percentuali di tessuto osseo primario, osso lamellare, strutture non mineralizzate (tessuto residuo) e i residui ossei e dalle sezioni decalcificate si distinguevano, tra gli altri, il contenuto di osteoblasti, cellule mesenchimali simil-fibroblastiche e componenti del tessuto mineralizzato. Tenendo in considerazione i risultati ottenuti in ciascun periodo di rimodel-

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JOURNAL of OSSEOINTEGRATION Influenza delle superfici implantari biofunzionalizzate sulle dinamiche del rimodellamento osseo

lamento osseo intorno agli impianti in questo studio e confrontandoli con Abrahamsson et al. (16), si osservava che durante la prima settimana immediatamente dopo il posizionamento implantare (periodi di valutazione 3 e 7 giorni) si riscontravano già segni di mineralizzazione nell’area studiata, in tutti i gruppi si raggiungeva una pecentuale di osso tra il 10 e il 13%. Secondo Abrahamson et al. (16), in queste prime fasi ci si poteva aspettare la presenza del coagulo caratterizzato da strutture vascolari circondate da cellule mesenchimali simil-fibroblastiche alla periferia (tessuto di granulazione), che poteva non garantire una mineralizzazione sostanziale della matrice in questa fase prematura. Ciononostante la formazione di tessuto osseo primario iniziava frequentemente a 1 settimana e solitamente erano riconoscibili i centri di formazione ossea (osteoni primari) (16). A questo punto poteva essere riscontrato un aumento dei componenti mineralizzati, sebbene fosse da prevedere ancora la presenza di una matrice di tessuto connettivo ricco di strutture vascolari. Abrahamson et al. (16) hanno descritto che, in questa fase, gli osteoni primari erano immancabilmente affiancati dagli osteoblasti. Dopo 2 settimane era prevista la presenza di trabecole di osso neoformato che occupavano l’intero spazio disponibile. A questo punto era presente un processo attivo di mineralizzazione. Tali osservazioni supportavano i risultati riscontrati nel presente studio che testimoniavano come il periodo di 2 settimane rappresentasse il picco di mineralizzazione per tutti i gruppi. In seguito a questo processo in fase attiva, alla valutazione a 4 settimane nel presente studio è stata osservata una riduzione dei livelli di mineralizzazione, che è spiegata dal fatto che un ampio volume di tessuto osseo primario era già stato sostituito da osso lamellare (16). Di conseguenza per le successive 4 settimane si riscontravano la formazione di osteoni secondari e l’attività di rimodellamento. In questo processo, nel presente studio, le fasi di formazione e di riassorbimento osseo erano sistematicamente alternate e il livello di mineralizzazione tendeva a crescere in modo più lento ma graduale nelle rilevazioni a 6 settimane. Rimodellamento osseo significa sostituzione di tessuto osseo che migliora la qualità delle proprietà sia meccaniche che metaboliche (17). Il rimodellamento prevede il reclutamento di osteoblasti che formano una cavità sulla superficie trabecolare. Alla fine di questa fase di riassorbimento gli osteoblasti si spostano o scompaiono e, dopo una breve interruzione o fase di inversione, gli osteoblasti iniziano a depositare nuovo osso (fase formativa) (17). Questo fenomeno di abbinamento è di particolare interesse perché coinvolge cellule di origine piuttosto diversa nelle unità di rimodellamento sia corticale sia trabecolare. L’attivazione delle attività abbinate di formazione e riassorbimento si basa ovviamente su un’azione concertata di fattori multipli coinvolti nelMarzo 2010; 1(2)

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l’attivazione osteoclastica, proliferazione e differenziazione osteoblastica, formazione di matrice e mineralizzazione. Di conseguenza il riscontro di quantità maggiori di osso marcato nel gruppo A a 4 settimane potrebbe essere considerato come un bilancio positivo per la formazione ossea. Non è noto come la superficie implantare biofunzionalizzata con la concentrazione più bassa di peptide del gruppo A possa aver influenzato positivamente la fase formativa, favorendo significativamente il livello di mineralizzazione specifico di tale gruppo in questo periodo. Considerando la mineralizzazione in sé, sono state considerate alcune necessità basilari come assolutamente necessarie, quali un’adeguata concentrazione di ioni di calcio e fosfato, la presenza di matrice calcificabile e agenti nucleati e il controllo da parte dei regolatori (cioè promotori e inibitori) (18). I tipi di tessuto osseo potrebbero essere distinti dall’orientamento delle fibre collagene. Nel tessuto osseo primario erano orientate in maniera casuale, mentre l’osso lamellare era caratterizzato da strati di 3-5 µm paralleli. Inoltre, all’analisi della marcatura fluorocromatica il tessuto osseo primario presentava riassorbimento diffuso piuttosto che chiaramente delineato, sebbene l’osso lamellare mostrasse fasce fluorescenti ben definite una volta che le caratterizzazioni fluorocromatiche erano limitate al fronte di mineralizzazione (17). Nel presente studio questi schemi sono stati riscontrati sia per il tessuto osseo primario sia per l’osso lamellare. Il tessuto osseo primario era rappresentato dall’alizarina rossa che era stata somministrata 1 settimana dopo il posizionamento implantare e mostrava una caratterizzazione molto diffusa. Dal canto suo, l’osso lamellare era rappresentato dall’ossitetraciclina che era stata somministrata 2 settimane dopo il posizionamento degli impianti e anche dalla calceina verde somministrata a 4 settimane. Le immagini di entrambi i fluorocromi hanno mostrato un aspetto chiaramente differente determinato da fasce fluorescenti ben definite e meglio organizzate. Questo riscontro è conforme al processo di formazione ossea nei difetti ossei descritto da Schenk et al. (19), che presuppone prima di tutto la formazione di tessuto osseo primario seguito da osso lamellare. Il tessuto osseo primario si formava più rapidamente e l’intervallo tra la deposizione osteoide e la mineralizzazione era breve. In contrasto, la formazione di osso lamellare avveniva più lentamente e la mineralizzazione avveniva lungo un fronte chiaramente delineato rispetto agli strati paralleli e/o concentrici delle fibre collagene. Si può concludere che tutte le superfici implantari studiate, dalla biofunzionalizzata a quella microstrutturata create con il processo di sabbiatura/mordenzatura presentano un simile schema di rimodellamento osseo evidenziabile dall’analisi delle marcature fluorocromatiche. La superficie implantare biofun37


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Barros R. R. M. et al.

zionalizzata con il peptide adesivo a bassa concentrazione ha favorito la formazione di osso adiacente all’impianto rispetto ad altre superfici durante il periodo valutato, che significa che diverse concentrazioni di peptide bioattivo conducono a risultati diversi.

RINGRAZIAMENTI Lo studio è stato sostenuto in parte da Dentsply Friadent e da FAPESP (numeri di processo 05/60839-8 and 06/56020-6).

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CARMELO TASSI1, MASSIMO LOTITO2 Università degli Studi di Perugia Dipartimento di Medicina Sperimentale e Scienze Biochimiche, Cattedra di Biochimica Clinica Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Radiologiche, Odontostomatologiche e Medicina Forense, Cattedra di Materiali Dentari 1 2

Potenziale diagnostico della determinazione dei livelli di cisteina nella saliva di pazienti affetti da malattia parodontale in presenza o assenza di denti con grave compromissione dei tessuti di supporto RIASSUNTO

INTRODUZIONE

Scopo del lavoro In ricerche precedenti sono stati valutati i livelli di cisteina nella saliva di pazienti affetti da malattia parodontale (MP). Il nostro studio ha avuto lo scopo di valutare il potenziale diagnostico di questa determinazione. Materiali e metodi La concentazione della cisteina nella saliva è stata valutata con il metodo HPLC. Sono stati presi in esame 15 soggetti senza MP (soggetti controllo) e 35 pazienti con MP. Tra questi ultimi, 18 avevano denti gravemente compromessi in relazione alla loro possibilità di essere mantenuti in arcata. I valori della concentrazione della cisteina sono stati analizzati mediante le curve ROC (Receiver Operating Characteristic) al fine di valutare il potenziale diagnostico di tale determinazione. Risultati I livelli di cisteina nella saliva dei pazienti con malattia parodontale sono statisticamente più elevati (P<0,01) rispetto ai controlli; inoltre nella saliva dei pazienti con denti ”parodontalmente compromessi” i livelli della cisteina sono statisticamente più elevati rispetto agli altri pazienti. Conclusioni I nostri risultati evidenziano che la analisi, mediante le curve ROC, dei livelli di cisteina nella saliva dimostra un potenziale diagnostico idoneo per differenziare i soggetti controllo dai pazienti con MP e, tra questi, individuare quelli con grave compromissione a livello dei tessuti di supporto degli elementi dentali.

La malattia parodontale (MP) è una delle cause principali di perdita dei denti nei soggetti adulti (1,2). Nei pazienti affetti da MP, diversi studi hanno mostrato una correlazione tra la concentrazione di composti solforati volatili nell’aria espirata e l’incremento della profondità delle tasche parodontali (3 ,6). I composti solforati volatili, in particolare l’idrogeno solforato ed il metimercaptano, sono una famiglia di gas particolarmente responsabili dell’alitosi: contribuiscono in modo particolare al cattivo odore orale e la loro concentrazione aumenta proporzionalmente all’entità del danno parodontale (7). Zappacosta et al. (8) hanno evidenziato che la concentrazione di alcuni composti solforati (cisteina, cisteneilglicina e glutatione) nella saliva di pazienti con parodontite è significativamente più elevata rispetto ai controlli. Più recentemente, Zappacosta et al. (9) hanno mostrato che la cisteina, un precursore diretto dell’idrogeno solforato, potrebbe essere considerata come un marcatore attendibile della gravità del danno parodontale. La malattia parodontale in stato avanzato si caratterizza per la presenza di elementi dentali con grave compromessione dei tessuti di sostegno, secondo i criteri di Becker et al. (10). Le determinazioni di analiti in laboratorio spesso produce risultati che non hanno un valore limite con potere discriminatorio e predittivo e pertanto non sono utilizzabili da un punto di vista diagnostico. L’analisi mediante le curve ROC (Receiver Operating Characteristic) è da tempo utilizzata nella diagnostica medica (12, 13) e permette di identificare valori limite che sono uti-

PAROLE CHIAVE Cisteina; parodontite; curva ROC; saliva.

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Tassi C. e Lotito M.

Variabile

Soggetti sani Pazienti P2 Pazienti P1

N° di soggetti Cisteina (μmol/L)

15 1.16± 0.36

18 4.72±1.05*

17 10.78±3.13*°

I valori sono espressi come media ± Deviazione Standard (DS) *Mann-Whitney U-test, differenze statisticamente significative tra soggetti sani e pazienti con MP. P<0.01 °Mann-Whitney U-test, differenze statisticamente significative tra pazienti P1 e pazienti P2. P<0.01

lizzati per discriminare tra soggetti sani e pazienti con malattia. Questa nostra ricerca ha lo scopo di determinare, mediante la tecnica HPLC, i livelli di cisteina nella saliva di soggetti sani e di pazienti con malattia parodontale in presenza o assenza di denti con grave compromissione e di valutare, mediante l’analisi delle curve ROC, il potenziale diagnostico di queste determinazioni.

MATERIALI E METODI Soggetti Sono stati presi in esame 15 soggetti sani senza malattia del parodonto (età media 33,6 anni; tra 23-44 anni) e 35 pazienti con malattia parodontale (età media 32,5 anni; tra 26-48 anni). I criteri clinici per la diagnosi di malattia parodontale sono stati la profondità delle tasche e valutazioni radiografiche. In particolare, i pazienti con malattia parodontale dovevano avere almeno due siti con profondità delle tasche maggiore di 4 mm. I pazienti con MP sono stati divisi in due gruppi basati sulla presenza (n=18, pazienti P1) o assenza (n=17, pazienti P2) di denti con grave compromissione dei tessuti di supporto, appunto secondo i criteri di Becker et al. (10). Il numero di questi denti era di 2,85+/-0,32 per paziente.

Sono stati evidenziate differenze statisticamente significative tra i soggetti controllo e i pazienti con malattia parodontale e tra i pazienti P1 e i pazienti P2. I risultati della analisi delle curve ROC e gli intervalli di confidenza 95% sono mostrati nella tabella 2. Una sensibilità del 100%, una specificità del 100% ed una accuratezza diagnostica del 100% sono stati ottenuti, ponendo il valore limite di 1,85 µmol/L, per i soggetti controllo confrontati con i pazienti P1. Risultati analoghi sono stati ottenuti, ponendo lo stesso valore limite, per i soggetti controllo confrontati con i pazienti P2. Una sensibilità del 94,1%, una specificità del 100% ed una accuratezza diagnostica del 97,2% sono stati ottenuti, ponendo il valore limite di 6,75 µmol/L, per i pazienti P1 confrontati con i pazienti P2. La figura 1 illustra la curva ROC che correla la sensibilità e la specificità diagnostica della determinazione della cisteina nella saliva dei pazienti P1 confrontati con i pazienti P2. Due valori limite decisionali sono evidenziabili nella

Correlazione P1 vs CS*

Raccolta dei campioni di saliva I campioni di saliva sono stati raccolti dopo opportuna stimolazione (14) e tenuti a –80°C fino alla determinazione della cisteina mediante HPLC (15).

P2 vs CS*

Analisi statistica Sono stati usati MedCalc (demo version) e GraphPad Software (Version 4.02). La analisi statistica è stata effettuata utilizzando il test Mann-Whitney U-test. L’analisi delle curve ROC ha permesso di evidenziare i valori limite di cisteina che forniscono la migliore combinazione tra sensibilità e specificità diagnostica. Sono state calcolate anche l’area sotto la curva ROC e l’intervallo di confidenza 95% (16). P<0,05 era il limite di significatività.

RISULTATI I risultati della determinazione della concentrazione della cisteina salivare sono mostrati nella tabella 1. 42

Tab. 1 Livelli di cisteina nella saliva di soggetti sani e di pazienti con MP.

P1 vs P2*

Tecnica

Valore

ROC** AUC Valore limite 95% intervallo di confidenza Sensibilità Specificità Potenziale diagnostico

1.000 1.85 μmol/L 0.893 a 1.000 100% 100% 100%

ROC** AUC Valore limite 95% intervallo di confidenza Sensibilità Specificità Potenziale diagnostico

1.000 1.85% μmol/L 0.890 a 1.000 100% 100% 100%

ROC** AUC Valore limite 95% intervallo di confidenza Sensibilità Specificità Potenziale diagnostico

0.990 6.75 μmol/L 0.881 a 1.000 94.1% 100% 97.2%

*Pazienti con MP (P1 e P2), soggetti controllo sani (CS) ** Analisi della curva ROC: area sotto la curva (AUC), valore limite per la ottimizzazione della sensibilità e specificità

Tab. 2 Valutazione statistica del potenziale diagnostico della determinazione della cisteina nella saliva. Marzo 2010; 1(2)


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JOURNAL of OSSEOINTEGRATION Potenziale diagnostico della determinazione dei livelli di cisteina nella saliva di pazienti con malattia parodontale

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determinazione della cisteina salivare: 1) 1,85 µmol/L (per differenziare i soggetti controllo dai pazienti con malattia parodontale); 2) 6,75 µmol/L (per differenziare i pazienti P1 dai pazienti P2) (Fig. 2).

DISCUSSIONE Diverse sostanze biologiche (quali xenobiotici, enzimi, ormoni, immunoglobuline ed altre molecole) sono state da tempo valutate con successo nella saliva. Di recente è stata presa in considerazione l’utilizzazione della saliva come valida sorgente alternativa per lo studio del DNA in indagini genetico-epidemiologiche (17); sono state anche svolte indagini sulla 8-idrossi2’-deossi-guanosina (8-OHdG) di origine salivare quale marcatore di stress ossidativo (18). Nel nostro studio abbiamo valutato, mediante la tecnica HPLC, i livelli di cisteina nella saliva di soggetti controllo e di pazienti con malattia parodontale. I valori da noi ottenuti sono in accodo con quelli riportati da Zappacosta et al. (8,9); le piccole differenze sono forse dovute al diverso metodo usato per la raccolta dei campioni di saliva. I valori di cisteina nella saliva dei pazienti con MP sono significativamente più elevati (P<0,01) rispetto ai soggetti controllo, in accordo con Zappacosta et al. (8, 9). È stato suggerito che il significativo incremento dell’analita nella saliva dei pazienti potrebbe essere probabilmente dovuto sia al danno parodontale sia a una modificazione nel bilanciamento ossidanti/antiossidanti (19, 20). La cisteina nei pazienti P2 è statisticamente più elevata (P<0,01) rispetto ai pazienti P1. I nostri risultati suggeriscono che i denti “con grave compromissione” sono una sorgente di cisteina salivare. Studi precedenti hanno evidenziato che in presenza di questi elementi dentali si può verificare un incremento della “degenerazione tissutale”, indotta dallo stress ossidativo (18).

Fig. 1 Esempio di analisi mediante la curva ROC dei livelli di cisteina nella saliva dei pazienti P1 e P2. In ordinata è riportata la percentuale di vera positività (sensibilità); in ascissa è riportata la percentuale di falsa positività (100-specificità). Ciascun punto sulla curva ROC rappresenta una coppia sensibilità/specificità corrispondente a un particolare livello decisionale. Il valore dell’area sotto la curva rappresenta gli effetti combinati sia della specificità che della specificità della determinazione della cisteina salivare per la diagnosi dei pazienti P2. Il potenziale diagnostico delle determinazioni della cisteina nella saliva è stato valutato mediante l’analisi delle curve ROC; sono state evidenziate, in grado molto elevato, la specificità, sensibilità e accuratezza diagnostica. È stato suggerito che un test di laboratorio dovrebbe avere una accuratezza diagnostica non inferiore al 80% per essere considerato utilizzabile a scopo diagnostico (21). Nell’analisi delle curve ROC, il valore AUC (Area Under Curve) rappresenta gli effetti combinati sia della sensibilità che della specificità diagnostica di un saggio di laboratorio. Un valore di AUC di 0,90

Fig. 2 Livelli decisionali della cisteina nella saliva (Ìmol/L). Vengono riportati i livelli decisionali (valori dentro i cerchi) e gli intervalli di riferimento (a forma di triangolo ). Marzo 2010; 1(2)

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o più elevato indica un eccellente test diagnostico (13). Nella presente indagine sono stati evidenziati valori di AUC pari rispettivamente a 1,00; 1,00; 0,99. La determinazione dei livelli decisionali nei tests di laboratorio comporta la valutazione della sensibilità e specificità diagnostica a vari livelli di concentrazione dell’analita in studio. Usualmente, vengono valutate a tale scopo le curve ROC. In questo studio sono stati evidenziati due livelli decisionali; in tal modo la utilità diagnostica della determinazione della cisteina nella saliva viene notevolmente aumentata. Sotto questo aspetto il livello decisionale di 6,75 µmol/L è particolarmente utile perché permette di discriminare i pazienti P1 dai pazienti P2.

CONCLUSIONI La peri-implantite è una reazione infiammatoria dei tessuti intorno ad un impianto e può essere causa del suo insuccesso. Viene diagnosticata mediante esami radiografici della perdita ossea, mobilità e segni clinici di infezione. Il processo infiammatorio determina una massiva infiltrazione di linfociti e monociti con formazione di un microambiente. Si determina una interreazione tra leucociti e fibroblasti e produzione di citochine immunoregolatorie e di mediatori chimici che possono attivare le proteasi della matrice extracellulare, quali quella della cisteina (22). Partendo da questo aspetto, la determinazione della cisteina salivare potrebbe essere un marcatore anche in caso di perimplantite. Le nostre ricerche future saranno rivolte verso questo approfondimento.

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Dipartimento di Chirurgia Orale e Implantologia, Facoltà di Odontoiatria, Francoforte, Germania Divisione di Parodontologia, Centro Odontoiatrico Eastman, Università di Rochester, Rochester, NY, USA

Impianti a carico immediato posizionati contestualmente a rialzo del seno e riabilitazione totale dell’arcata mascellare. Un caso clinico a cinque anni RIASSUNTO Scopo del lavoro Il concetto di trattamento a carico immediato in implantologia orale sembra avere successo in casi di riabilitazione di arcate edentule. Caso clinico Il presente caso clinico riferisce la riabilitazione di una mascella edentula utilizzando una protesi a carico immediato supportata da 6 impianti con filettatura progressiva posizionati in osso di scarsa densità. In particolare, due impianti erano inseriti simultaneamente dopo elevazione del seno mascellare e incremento della cavità utilizzando osso autologo come materiale da innesto. La stabilizzazione dell’intera arcata tramite ponte provvisorio ha permesso l’immobilizzazione degli impianti per il periodo di guarigione. La riabilitazione finale è stata effettuata 4 mesi dopo il carico. Il caso clinico presenta la valutazione clinica e radiografica degli impianti a carico immediato e i risultati a 5 anni.

PAROLE CHIAVE Carico immediato, elevazione del seno.

INTRODUZIONE Le revisioni della letteratura recenti (1, 2) mostrano che il concetto di carico immediato funzionale (occlusale) in zone di scarsa qualità ossea, soprattutto nella mascella posteriore, non è ben stabilito e sembra essere di importanza cruciale. L’alto rischio di micromovimenti può risultare in incapsulamento fibroso e causare un fallimento precoce dell’impianto. Perciò, per compensare tale effetto, è stato suggerito di posizionare un maggior numero di impianti al fine di ridurre i micromovimenti all’interfaccia osso/impianto e di immobilizzare gli impianti nelle zone ossee qualitativamente compromesse. Vi sono però indicazioni cliniche al posizionamento di impianti nel mascellare Marzo 2010; 1(2)

posteriore in concomitanza a procedura di elevazione del seno. È stato descritto in precedenza un approccio dalla finestra laterale (3) o tecnica osteotomica in direzione del seno con elevazione verticale della membrana e del pavimento del seno (3-6). In quest’ultima tecnica non è sempre necessario l’utilizzo di materiali da innesto osseo (7). I dati dell’aumento di seno e simultaneo posizionamento implantare supportano una predicibilità a lungo termine di tale procedura, purché la stabilità primaria dell’impianto sia ottenuta attraverso una sufficiente altezza della cresta residua e un’adeguata stabilità conferita dal disegno dell’impianto. Un’altezza media di 4-5 mm dalla sommità della cresta al pavimento del seno si è dimostrata sufficiente per la stabilità iniziale dell’impianto nell’approccio combinato (4, 8, 9). Quando la stabilità implantare è dubbia, è consigliato un approccio multifasico. Come accennato precedentemente, le possibilità di ottenere l’osteointegrazione aumentano se l’impianto non è sottoposto a micromovimenti, se il disegno dell’impianto è filettato (vite), se vi è l’aiuto di una fissazione esterna o una stabilizzazione dell’intera arcata. Nel presente caso clinico viene presentato un aumento unilaterale di seno mascellare contestuale al posizionamento di impianti e carico funzionale (occlusale) immediato per riabilitare l’intera arcata mascellare utilizzando un’unica protesi fissa cementata e supportata da impianti.

CASO CLINICO Un paziente, maschio di 54 anni si presentava al Dipartimento di Chirurgia Orale e Implantologia dell’Università di Francoforte (anno 2002) per il trattamento di un’edentulia mascellare. In base all’esame clinico e radiografico si riscontrava che l’altezza della mascella posteriore sinistra non era adeguata per il posizionamento degli impianti. Gli elementi controlaterali erano già stati riabilitati tramite una protesi fis45


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sa supportata da impianti. Il paziente veniva informato sul piano di trattamento e le eventuali terapie alternative prima di firmare il consenso informato. Dopo l’anestesia locale con Articaina DS forte (1:100.000; Aventis, Bad Soden, Germania), veniva sollevato un lembo mucoperiosteo con incisione al centro della cresta da #1-16 e incisione verticale in senso distale per un migliore accesso alla regione di #15-16 compresa la tuberosità di sinistra. Veniva effettuata la preparazione della finestra lateralmente alla mascella per la procedura classica di rialzo del seno (Fig. 1). La parete media veniva visualizzata dopo l’attento sollevamento della membrana del seno utilizzando curette sinusali e successivamente le pareti del seno venivano raschiate per permettere un sufficiente apporto ematico, come suggerito precedentemente (10). L’osso autologo da innestare per il rialzo di seno veniva prelevato dalla tuberosità di sinistra. Sei impianti Ankylos® (Friadent-Dentsply, Tulsa, USA) venivano posizionati in base al protocollo del produttore senza maschiatura dell’osso. La lunghezza implantare selezionata era 14 mm in tutti i casi (canini e premolari di destra, canini e primo premolare di

sinistra), a eccezione di un impianto della lunghezza di 11 mm (secondo premolare di sinistra), tutti con diamentro di 3,5 mm (Fig. 2). Gli impianti posizionati nel seno avevano lunghezze di 14 mm (primo premolare di sinistra # 12) e 11 mm (secondo premolare di sinistra # 13). Tutti gli impianti presentavano sufficiente stabilità primaria. Gli abutment angolati (15°) erano connessi con un torque finale di 15 Ncm (Fig. 3). Dopo il rialzo di seno è stata utilizzata una membrana di collagene (Biogide®, Geistlich, Wolhusen, Svizzera) per coprire la finestra laterale (Fig. 4). La membrana veniva fissata con viti in titanio (Frios, Friadent, Mannheim, Germania). Immediatamente dopo l’intervento chirurgico sono state posizionate delle cappette di resina a protezione dei margini dell’abutment e il lembo mucoperiosteo è stato richiuso utilizzando fili di seta 4-0 (Resorba®, Norimberga, Germania). Utilizzando una dima e della resina (Protemp®, Espe, Seefeld, Germania), veniva realizzato alla poltrona un provvisorio fisso cementato con Temp Bond® (Kerr, Orange, USA) (Fig. 5). Prima della cementazione del ponte provvisorio, la stabilità degli impianti veniva valutata tramite l’apparecchio Perio-

Fig. 1 Preparazione della finestra laterale per la procedura di rialzo del seno e posizionamento degli impianti.

Fig. 2 Posizionamento degli impianti contestualmente alla procedura di

Fig. 3 La connessione dell’abutment subito dopo la procedura di rialzo del seno.

Fig. 4 La copertura della finestra laterale con membrana di collagene; cappette di resina sull’abutment per la realizzazione del ponte provvisorio.

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rialzo del seno. Gli impianti sono posizionati nella cavità sinusale subito prima del rialzo.

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Posizionamento di impianti a carico immediato, rialzo del seno e riabilitazione del mascellare. Caso clinico a 5 anni

Fig. 5 Provvisorio in situ subito dopo l’intervento (carico occlusale immediato).

Fig. 6 Radiografia panoramica effettuata subito prima dell’inserimento degli impianti e procedura di innalzamento del seno.

Fig. 7 Radiografia panoramica effettuata subito dopo l’inserimento degli impianti e procedura di innalzamento del seno.

Fig. 8 Visione occlusale della protesi definitiva su impianti a cinque anni dal carico immediato.

test (Gulden, Bensheim, Germania). La Panorex postoperatoria confermava la posizione dell’impianto e il rapporto con l’aumento di seno in confronto alla radiografia preoperatoria (Fig. 6, 7). Nei 10 giorni dopo l’intervento si somministrava antibiotico (Augmentan® 500 mg, t.i.d.) e si consigliava una dieta morbida per i primi 3-4 mesi dopo il carico. Dieci giorni dopo l’intervento, il provvisorio è stato rimosso con cautela utilizzando un agente emostatico, sono state rimosse le suture ed è stata effettuata l’irrigazione con soluzione salina per eliminare la fibrina. In questa fase della guarigione è stata valutata la condizione dei tessuti molli tramite misurazioni dei tessuti perimplantari (Tab. 1). Tre mesi dopo il carico, è stata effettuata un’altra panoramica per esaminare la formazione dell’osso nei siti #12 e #13. È stato rimosso nuovamente il provvisorio e sono state effettuate le misurazioni volte a valutare la stabilità implantare e le condizioni perimplantari (T1). Un’impronta finale a livello degli abutment è stata rilevata utilizzando cappette per impronte in resina. La struttura metallica è stata consegnata due settimane dopo.

La protesi finale in metalloceramica è stata consegnata dopo 4-6 settimane e cementata con Temp Bond per permetterne una facile rimozione e il controllo periodico della stabilità implantare (Periotest) durante le visite di follow-up (T2). Sono state incorporate nel disegno protesico due leve distali alla sede di #2 e 3 e anche una in sede di #14 (Fig. 8). Le misurazioni dei tessuti molli perimplanatri e del Periotest (PV) dell’intero periodo di follow-up (T3) sono illustrate nella tabella 1. All’ultimo controllo dopo 63 mesi di carico (nell’anno 2008) sono state effettuate una panoramica e delle radiografie periapicali per verificale il livello di osso crestale. Agli esami radiografici gli impianti presentavano prognosi e integrazione ossea eccellenti. Non è stata rilevata alcuna perdita di osso crestale nell’intero periodo di carico.

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DISCUSSIONE Il presente caso clinico illustra un’insolita riabilitazione protesica della mascella per la quale è stata utiliz47


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Fig. 9 La radiografia periapicale degli impianti caricati immediatamente posizionati in sede di # 4-6 non mostra alcuna perdita di osso crestale a cinque anni dal carico immediato (platform shifting).

Fig. 10 La valutazione radiografica degli impianti a carico immediato Misurazione

Indice placca SBI

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posizionati contestualmente alla procedura di rialzo di seno non mostra alcuna perdita di osso crestale (platform shifting) a cinque anni dal carico immediato e una eccellente neoformazione ossea. Il rimodellamento del materiale da innesto è avvenuto in modo eccellente grazie alle forze di carico; non vi sono margini apprezzabili tra il pavimento del seno e il materiale da innesto osseo.

#5

zata una protesi fissa totale supportata da impianti con significativa riduzione dell’intero periodo di trattamento, considerando il giorno dell’intervento come T1 0 1 2 2 2 0 baseline. In particolare, sono stati posizionati due T2 0 1 2 1 2 1 impianti in combinazione con la procedura di rialzo T3 2 3 2 4 3 -2 del seno e caricati immediatamente dopo l’intervento tramite provvisorio fisso supportato da impianti. Veni#6 va consigliata una dieta morbida/liquida per i primi To 0 0 1 2 4 0 3/4 mesi di guarigione per ridurre i micromovimenti T1 0 0 2 2 4 2 all’interfaccia osso/impianto. In base alla teoria di T2 0 0 2 1 4 -1 Wolf (11), la formazione di nuovo osso dipende dalla capacità funzionale dell’osso (“la forma segue la funT3 1 3 2 4 3 -1 zione”). Nel presente caso sembrerebbe che il materia#11 le da innesto nel pavimento del seno si sia rimodellaTo 0 0 2 1 5 2 to sotto l’influenza del carico funzionale. Il restauro provvisorio era in resina, e presentava perciò una cerT1 0 0 2 2 5 -1 ta elasticità durante il carico, permettendo in tal T2 0 0 2 2 4 -2 modo la formazione di osso nella cavità sinusale senT3 0 2 3 4 3 -2 za riassorbimenoto dell’osso autologo (Fig. 10). Questo adattamento dell’osso alle forze di carico, in partico#12 lare utilizzando il disegno implantare a filettaura proTo 1 0 2 1 4 2 gressiva, è stato dimostrato dopo il carico funzionale T1 1 0 2 1 4 2 immediato in aree di scarsa qualità ossea delle scimT2 0 0 2 1 4 -2 mie (12). Non vi è dubbio che la valutazione istologica del nuoT3 1 0 3 3 3 -3 vo osso nei siti innestati sarebbe interessante, però #13 risulta difficoltosa nei soggetti umani. Sulla base del To 0 0 2 2 4 5 presente piano di trattamento si può concludere che la stabilità primaria è stata raggiunta in primis utilizT1 0 0 2 2 4 2 zando un disegno di impianto con elevata stabilità T2 0 0 2 2 4 0 meccanica nell’osso lamellare residuo e secondariaT3 0 2 2 3 3 -3 mente immobilizzando l’intera arcata (splintaggio) con gli impianti adiacenti. Tutti i sistemi implantari Tab. 1 Valutazione degli indici perimplantari durante il periodo di carico. SBI: presentano una stabilità primaria diversa, che influisce sull’immobilizzazione a livello dell’interfaccia (13); indice di sanguinamento del solco; PPDm: profondità tasca al sondaggio (mesiale) in mm; PPBDb: profondità della tasca al sondaggio (buccale) in mm; la superficie implantare sembra essere importante durante il periodo di guarigione per supportare e KM ampiezza della mucosa cheratinizzata in mm; PV valore periotest. To

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modificare il processo di guarigione e velocizzare l’osteointegrazione. Lo splintaggio con gli impianti adiacenti aumenta la stabilità dell’impianto nel sito dell’osteotomia e può controllare i micromovimenti a livello dell’interfaccia. Il sistema implantare utilizzato ha un disegno a filettatura progressiva che permette la trasmissione delle forze di carico principalmente alla parte apicale dell’impianto ed è stata precedentemente documentata da studi sugli elementi finiti (14) e misurazioni optoelastiche (15). A causa delle forze di carico più elevate nella parte della filettatura apicale dell’impianto, l’osso nel sito incrementato (innesto di osso autologo) può essere rimodellato e diventare più denso. L’osso sotto la compressione o tensione va incontro a neoformazione (16) e produce forze extra-assiali a livello dell’interfaccia dell’impianto che caratterizzano questo rimodellamento dinamico (17). Per tale ragione l’osso autologo è stato utilizzato nel presente caso clinico al posto di altri materiali da innesto osseo che non presentano le stesse proprietà di rigenerazione; in studi futuri sarebbe importante valutare il potenziale di altri materiali da innesto osseo nel processo di rimodellamento sotto l’influenza delle forze di carico occlusali. Tuttavia, allorché agiscono sull’osso forze elevate con microtensioni superiori a 200.000, la formazione di apatite potrebbe risultare danneggiata e, a livello ultrastrutturale, ci potrebbero essere problemi di mineralizzazione (18). Considerazioni biomeccaniche, quali una connessione impianto-abutment conica serrata, potrebbero essere importanti per creare un monoimpianto virtuale, in grado di connettersi senza il rischio di micromovimenti. Utilizzando questo tipo di connessione si potrebbe fissare l’abutment con un torque di soli 15 Ncm, a seconda del produttore. Perciò, entro i limiti di questo caso clinico, siamo riusciti a dimostrare che il carico funzionale immediato nella mascella o in generale in presenza di scarsa qualità ossea, non necessita di per sé un torque di 30-40 Ncm, come suggerito da studi precedenti (19). Il torque per l’inserimento degli impianti non è stato misurato nel presente studio, ma sembra essere basso nella mascella posteriore nella zona del seno. Il torque necessario per il fissaggio dell’abutment dovrebbe essere preso in considerazione in futuro nella stesura di linee guida e protocolli per il carico immediato. L’ulteriore beneficio derivante dall’utilizzo di un impianto di tipo platform switching, che è anche caratteristico di questo sistema implantare, può essere una causa della stabilità dell’osso crestale (20, 21). Ciò è stato ampiamente documentato con questo sistema implantare in vari studi clinici (2224). Altri risultati positivi relativamente alla stabilità dell’osso crestale sono stati documentati da studi sulle scimmie (12, 24-27) e anche nell’uomo (27, 28) utilizzando il carico funzionale immediato. In tutti questi studi è stato rilevato il ruolo della dieta Marzo 2010; 1(2)

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liquida/morbida ai fini del carico immediato, come già osservato altrove (29-31). In conclusione, questo caso clinico mostra la possibilità di carico immediato di impianti dentali contestualmente al rialzo del seno, purché vengano considerate alcune esigenze specifiche. È in generale accettato il fatto che la tecnica di aumento di seno rappresenta un atto chirurgico ben consolidato nella mascella posteriore, con elevate percentuali di sopravvivenza implantare. Ciò è stato mostrato nelle revisioni sistematiche relative alla formazione di nuovo osso intorno al materiale da innesto posizionato nel seno (32, 33). L’eccellente stabilità primaria e l’immobilizzazione degli impianti tramite splintaggio con stabilizzazione dell’intera arcata sono in generale obbligatorie. In base alla nostra esperienza in tali casi clinici, l’utilizzo di una dieta morbida/liquida per i primi 3-4 mesi di carico è considerata obbligatoria. Dovrebbero essere analizzati ulteriori casi clinici con maggiori dati sull’impiego di tale protocollo terapeutico e disegni di impianto diversi al fine di migliorare il concetto di carico immediato in aree di scarsa qualità e quantità ossea.

RINGRAZIAMENTI L’autore ringrazia l’odontotecnico Susanne Roth (Facoltà di Odontoiatria di Francoforte, Reparto di Protesi, Francoforte, Germania) per l’aiuto nella presentazione di questo caso clinico.

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LIRAN LEVIN , DEVORAH SCHWARTZ-ARAD 1 2

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S H O R T C O M M U N I C AT I O N 3

Department of Oral Rehabilitation, The Maurice and Gabriela Goldschleger School of Dental Medicine, Tel-Aviv University, Tel-Aviv, Israel Department of Periodontology, School of Graduate Dentistry, Rambam Health Care Campus, Haifa, Israel MD, DDS; Private Practice in Maxillofacial Surgery, Colleyville, Texas, USA Schwartz-Arad Surgical Center, Ramat-Hasharon, Israel

Impianti orali – Quo vadis? RIASSUNTO L’utilizzo di impianti osteointegrati per la sostituzione protesica di elementi dentari mancanti ha trovato ampia diffusione nell’arco degli ultimi decenni. La terapia implantare è diventata una pratica comune, quasi di routine, e probabilmente aumenterà la propria diffusione nei prossimi anni. In futuro, nell’odontoiatria implantare saranno necessari ulteriori studi per migliorare il successo a lungo termine degli impianti ed eliminare le complicazioni connesse a tale tipo di riabilitazione. Infatti, l’obiettivo della ricerca in campo implantare è fornire al paziente l’immediata sostituzione degli elementi dentari nel modo più semplice, più veloce e affidabile quanto a funzionalità ed estetica.

PAROLE CHIAVE Carico; fallimenti implantari; impianti dentali; mucosite perimplantare; perimplantite.

INTRODUZIONE Negli ultimi decenni l’utilizzo degli impianti osteointegrati per la sostituzione protesica di elementi dentari perduti è diventato molto diffuso. La terapia implantare è diventata una pratica molto comune, quasi routinaria, e senz’altro aumenterà la propria diffusione in futuro. Viene considerata una procedura altamente affidabile (1), ma ci sono dei fattori di rischio che potrebbero predisporre taluni soggetti a percentuali di riuscita inferiori (2). Per questa ragione c’è un crescente interesse nell’identificazione dei fattori correlati al fallimento implantare. Inoltre, in futuro vi sarà la necessità di ulteriori studi per migliorare il successo a lungo termine degli impianti ed eliminare le complicazioni correlate a tale tipo di riabilitazione. Infatti, l’obiettivo della ricerca in campo implanMarzo 2010; 1(2)

tare è fornire al paziente l’immediata sostituzione degli elementi dentari nel modo più semplice, più veloce e affidabile quanto a funzionalità ed estetica.

IDENTIFICAZIONE DEGLI IMPIANTI DESTINATI A INSUCCESSO Il successo degli impianti dentali è generalmente definito come sopravvivenza implantare. Il fallimento implantare, però, è il risultato di un processo multifattoriale. Un impianto che dà sintomi clinici, come dolore continuo e mobilità, è considerato a rischio di fallimento. La continua perdita di osso marginale (POM) potrebbe ulteriormente metterne a rischio la sopravvivenza a lungo termine (3). Recentemente, l’abbondanza di dati riguardanti la POM e una migliore comprensione del comportamento dell’osso e dei tessuti molli intorno al collo e al corpo implantare hanno dimostrato che questi criteri potrebbero essere inesatti, data l’ampia varietà di sistemi implantari attualmente disponibili (4). Infatti è essenziale identificare tempestivamente un impianto destinato a insuccesso per evitare la continua perdita di osso alveolare che potrebbe complicare la possibilità di sostituzione dell’impianto fallito con uno nuovo e persino compromettere il risultato estetico dell’intera area. Nell’insuccesso implantare l’identificazione dei momenti critici dovrebbe essere uno dei principali argomenti di studio.

GESTIONE DEGLI INSUCCESSI IMPLANTARI La riabilitazione su impianti offre un trattamento affidabile e predicibile per la sostituzione dei denti mancanti (5-9). Ciononostante si verificano insuccessi che obbligano alla rimozione immediata dell’impianto (6, 10-13) e le conseguenze potrebbero rendere ancora più difficili gli sforzi del clinico per ottenere una funzione e una estetica soddisfacenti e comportare per il paziente ulteriori spese e terapie (14). Inoltre, un tale evento potrebbe non essere isolato, ma coinvolgere altri impianti (13, 15) e quindi gli ope53


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Liran Levin e Devorah Schwartz-Arad

ratori dovranno affrontare tale complicazione e le altre a essa connesse. Dopo il fallimento implantare i pazienti dovrebbero ricevere un piano di trattamento personalizzato, essere informati su tutte le modalità di trattamento possibili e dare il loro consenso all’opzione terapeutica a loro più appropriata. Il successo di impianti posizionati per sostituire i precedenti falliti nello stesso sito è stato descritto raramente (16-20), e di conseguenza i dati reperibili in letteratura sono insufficienti. È importante verificare la causa del fallimento implantare e in particolare se è correlato all’impianto, al sito, al paziente o, come è più probabile, a una combinazione di tali fattori. La comprensione dell’insuccesso aiuterà l’operatore a evitarlo e anche a trovare soluzioni adeguate.

CARICO IMPLANTARE PRECOCE E IMMEDIATO Il posizionamento e il carico immediato degli impianti sono un vantaggio ovvio per molti pazienti. Un trattamento a più lungo termine, che prevede una protesi provvisoria, può risultare scomodo ed essere la ragione della mancata scelta di una riabilitazione implanto-supportata. Il concetto di carico immediato si è diffuso perché si comporta un minor trauma, inferiore durata del trattamento con riduzione del disagio per il paziente, elevata accettazione da parte del paziente e migliori caratteristiche di funzionalità ed estetica (21-23). Ciononostante la ricerca in quest’ambito è talvolta contraddittoria. Il tempo di guarigione generalmente necessario prima che gli impianti possano essere posizionati o caricati nella mandibola e nella mascella è stato proposto in base al risultato di osservazioni cliniche piuttosto che biologiche. I protocolli di carico immediato sono frequentemente utilizzati in implantologia orale, ma i requisiti per ottenere buoni risultati e i limiti di tali protocolli non sono completamente noti. Un’attenta selezione dei pazienti, un corretto piano di trattamento, un meticoloso intervento chirurgico e un disegno protesico congruo sono essenziali per un risultato ottimale quando si adotta questo tipo di approccio. Ulteriori studi sono necessari per l’individuazione dei metodi più idonei per poter sostituire un elemento dentario in maniera funzionale ed estetica in tempi rapidi dopo la perdita dell’elemento stesso.

TECNICHE DI RIGENERAZIONE OSSEA Un requisito importante per prevedere un successo implantare a lungo termine è la disponibilità di un sufficiente volume di osso sano nei siti riceventi. Tuttavia, questa situazione clinica non è sempre di facile riscontro a causa di trauma, perdita dentale e infezioni (per esempio parodontite avanzata). Negli anni 54

sono state messe a punto diverse tecniche per ricostruire creste alveolari di dimensioni insufficienti per permettere il posizionamento di impianti attraverso un approccio sia simultaneo sia multifasico (24), tra queste tecniche si annoverano la rigenerazione ossea guidata, l’osteogenesi per distrazione e l’innesto osseo di tipo onlay. Queste procedure di rigenerazione ossea possono fallire e anche gli impianti posizionati in queste aree non necessariamente presentano percentuali di sopravvivenza a lungo termine sovrapponibili a quelle di impianti posizionati in siti intatti. Un Consensus recentemente pubblicato sottolinea la necessità di trovare delle risposte definitive a quesiti riguardo la performance a lungo termine di impianti posizionati in osso rigenerato; la performance clinica di impianti posizionati in siti rigenerati o intatti e i benefici clinici della rigenerazione ossea in confronto a trattamenti alternativi (25).

MUCOSITE PERIMPLANTARE E PERIMPLANTITE I chirurghi orali e i parodontologi che si occupano di implantologia orale dedicheranno molto tempo e sforzi al trattamento e alla prevenzione della mucosite perimplantare e della perimplantite. La patologia perimplantare che si verifica in seguito ad un’osteointegrazione ben riuscita è il risultato di uno squilibrio tra carica batterica e difese dell’ospite, che può influire solo sulla mucosa perimplantare (mucosite perimplantare) o può coinvolgere anche l’osso di sostegno (perimplantite) (26). Una corretta diagnosi di patologia perimplantare è cruciale per una gestione corretta perché, se non diagnosticata, tale condizione può condurre alla perdita completa dell’osteointegrazione e quindi dell’impianto. La patologia perimplantare può essere classificata come segue: mucosite perimplantare, che corrisponde alla gengivite, e perimplantite, che corrisponde alla parodontite (26). Sfortunatamente, le nostre conoscenze sulla biologia e il trattamento della patologia perimplantare sono molto inferiori rispetto a quelle relative alla malattia parodontale (27, 28). Sebbene gli impianti dentali siano stati utilizzati come procedura di routine per oltre 25 anni per il trattamento di pazienti completamente o parzialmente edentuli, gli studi clinici volti a valutare il trattamento della malattia perimplantare nella maggior parte dei casi sono di tipo longitudinale e si riferiscono a piccoli gruppi di pazienti. Sarebbe auspicabile un approccio epidemiologico per ottenere informazioni sufficienti sull’incidenza della malattia perimplantare e si dovrebbe effettuare uno studio utilizzando un campione di dimensioni adeguate e basato su esami clinici e radiografici. I pazienti dovrebbero essere idealmente reclutati da cliniche odontoiatriche pubbliche o private, piuttosto che universitarie, in grado di fornire Marzo 2010; 1(2)


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JOURNAL of OSSEOINTEGRATION Impianti orali - Short communication

informazioni sull’efficacia piuttosto che sull’efficienza di una terapia implantare (26).

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IAFIL International Academy For Immediate Loading

Le relazioni scientifiche

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sotto gli occhi di tutti la pletora dei convegni scientifici, un male che ha colpito ogni branca della medicina, ma che in campo odontoiatrico ha raggiunto livelli non più sostenibili dai medici, che si sentono confusi da tale molteplicità di offerte ed indecisi sulla scelta della giusta fonte di aggiornamento. Insostenibili anche dai relatori che, chiamati a parlare così frequentemente, anche se di fronte a platee semideserte, si trovano a ripetere più volte gli stessi argomenti, e questo non fa che peggiorare la già scarsa affluenza di pubblico ben attento a gestire al meglio il proprio tempo. Neppure sponsor ed espositori riscono ad sostenere così frequenti impegni economici, soprattutto in tempi di crisi profonda. Insostenibili, infine, neanche per qualità e originalità culturale, in quanto la ricerca scientifica, pur essendo oggi ben attiva e prolifica, non riesce a tenere il passo di tale richiesta. Sono problemi reali che, però, non affliggono nello stesso modo e indiscriminatamente tutte le manifestazioni. Per esempio, i ben conosciuti e consolidati megacongressi, di tradizionale ripetitività, risentono meno di tale situazione, a differenza degli “eventi delle società scientifiche” (le cosiddette manifestazioni libere) rispetto ai “congressi aziendali” (le cosiddette manifestazioni sponsorizzate). Infatti i primi vengono maggiormente penalizzati dal fatto che devono necessariamente essere a pagamento, mentre i secondi usufruiscono della disponibilità economica degli sponsor e della loro capacità commerciale in termini di divulgazione dell’evento e coinvolgimento di pubblico: si pensi ad esempio al lavoro “porta a porta” svolto dai rappresentati e/o promotori farmaceutici. E questo non è buono per una corretta e libera divulgazione scientifica, dato che spesso nei “congressi aziendali” il messaggio è controllato, o quanto meno “indirizzato” dalle aziende stesse. Un appunto va però fatto anche alla qualità. Sorvolando sui punti appena esposti sulla ripetitività di certi relatori, vi sono altri aspetti non meno evidenti che vale la pena considerare. Il primo riguarda la qualità e organizzazione interna delle relazioni scientifiche. In ogni congresso esiste un Comitato Scientifico che non è un organismo “di rappresentanza” dato che tra i suoi compiti più importanti sta quello della scelta, ammissione e coordinamento delle relazioni scientifiche. Per consentire al comitato scientifico di svolgere con tranquillità il 56

proprio lavoro, le presentazioni andranno consegnate per la verifica con anticipo sufficiente da permetterne la valutazione e scelta delle stesse, e la stampa e la divulgazione del programma definitivo: quindi almeno 4 mesi prima dell’evento. Non basta quindi comunicare il titolo della presentazione come viene fatto oggi, ma occorre fornire tutta la presentazione (le foto originali, se si vuole, possono essere mascherate o consegnate in bassissima risoluzione), accompagnata da un abstract non troppo stringato che permetta agli esaminatori di comprenderne l’argomento. Le presentazioni dovranno essere ben ordinate ed esteticamente gradevoli (troppo spesso si vedono iconografie illeggibili, con riprese male inquadrate o sfocate) e i caratteri dovranno essere chiari e leggibili leggibili (Arial, Times New Roman, Cambria, ecc.), con colori ben contrastati e non aggressivi. Le tabelle e gli schemi devono contenere pochi scritti per aumentarne la comprensione. In tutte le citazioni utilizzate va sempre riportata l’esatta collocazione bibliografica. Qualche effetto di animazione non guasta, ma è bene non esagerare. L’esposizione per essere chiara e compresa dal pubblico, deve mantenere sempre un certo ordine: 1. introduzione e generalità dell’argomento; 2. scopo e finalità del lavoro; 3. revisione bibliografica; 4. descrizione dei casi clinici riportando: anamnesi, diagnosi e terapia; 5. discussione; 6. conclusioni. Il secondo appunto riguarda l’omogeneità e propedeuticità delle relazioni scientifiche. Se la manifestazione si svolge in più sessioni (una per giornata, oppure una al mattino ed una al pomeriggio, o anche 2 nella stessa mezza giornata) è bene che ciascuna di esse individui un tema ben preciso e raccolga relazioni scientifiche che siano pertinenti a esso, non siano ripetitive e vengano presentate sequenzialmente seguendo un filo logico negli argomenti svolti. È pertanto necessario operare una corretta pianificazione della relazioni da concordare tra il comitato scientifico ed i relatori. Tutto questo affinché il pubblico possa individuare tempi e modi per ascoltare ciò a cui è realmente interessato. Il terzo appunto riguarda i presidenti di sessione. Fare i moderatori non è semplice e spesso un bravo moderatore riesce a rivitalizzare una sessione apparentemente scialba e noiosa. Il Presidente ha il compito di coordinare le relazioni e intervenire con argomentazioni atte a stimolare le domande e il contraddittorio tra il pubblico e i relatori, mantenendo alto il livello di attenzione. Per tale motivo alla carica di Presidente di sessione dovrà essere chiamato un personaggio di chiara fama e, soprattutto, esperto dell’argomento scientifico della sessione che sovrintende e non, come spesso accade, scelto a caso o in base alla disponibilità. Stefano Fanali Marzo 2010; 1(2)


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AVVOCATO

GIOVANNI PASCERI

La responsabilità nell'équipe odontoiatrica

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a maggiore consapevolezza dei pazienti-consumatori rispetto al diritto alla salute unitamente al miglioramento delle tecniche e al perfezionamento delle linee guida nel campo della odontostomatologia ha determinato, rispetto al passato, anche nelle strutture private, una ripartizione dei compiti e delle competenze, favorendo in questo modo l'associazione tra colleghi e la loro partecipazione ad un meccanismo di collaborazione all’attività professionale. Ed in effetti vi sono casi, come ad esempio nei trattamenti di implantoprotesi nei quali spesso interagiscono, in tempi diversi, varie figure professionali quali l'implantologo, il protesista, l'odontotecnico e l'igienista dentale. In riferimento a questo contesto si può notare un notevole progressivo incremento del contenzioso che trova spiegazione sia nella complessità effettiva di questo tipo di trattamenti sia nel coinvolgimento di figure professionali talora molto diversificate tra loro e comunque richiedenti un elevato grado di interazione. In materia di responsabilità penale e civile, al di là delle norme contrattuali e/o extracontrattuali ben statuite dal punto di vista legislativo, si rileva quindi una difficoltà oggettiva nell'identificare, in caso di addebiti di responsabilità, il tipo di rapporto che lega il proprietario dello studio, i collaboratori che lavorano con diverse qualifiche all'interno dello stesso e i dipendenti, con il paziente; tutto ciò dovuto al fatto che la giurisprudenza non sembra mostrare un orientamento univoco, affidando al caso concreto e talora al libero convincimento dei singoli giudici, l'emissione di sentenze talora apparentemente contraddittorie tra loro. In sede penale, essendo la responsabilità personale risponde direttamente chi abbia cagionato un danno colposamente o dolosamente, ricordando inoltre che siamo di fronte all’assenza di tutele assicurative. Invero, anche in presenza di una tutela assicurativa, è possibile che, in casi di colpa grave, l'ente assicuratore possa rivalersi sul singolo addetto che abbia determinato un danno. In sede civile, però, la denuncia può essere rivolta al singolo operatore o anche alla struttura alla quale il paziente si è rivolto. Nella maggior parte dei casi, la denuncia è diretta alla struttura, quindi all'équipe ed in subordine al singolo operatore. In tali casi occorrerà verificare l’esistenza o meno della dichiarata colpa professionale. In caso di colpa occorrerà verificare se tale colpa sia addebitabile o meno al paziente (es. mancato rispetto delle preMarzo 2010; 1(2)

scrizioni, visite periodiche etc) e/o di terzi estranei al rapporto di cura. Solo successivamente occorrerà verificare se vi sia una responsabilità orizzontale o verticale dell’equipe. In breve, nel caso di responsabilità orizzontale, ci si trova di fronte a casi di responsabilità del titolare dello studio, di responsabilità esclusiva del collega esecutore dell'opera o di responsabilità solidale. In questi casi, il professionista risponderà di un eventuale danno nei confronti del paziente, anche se non commesso direttamente, in qualità di "direttore sanitario" dell’esercizio, essendo il rapporto contrattuale, nella maggior parte delle volte, instaurato esclusivamente fra questi e il paziente. Nello specifico si può affermare che anche il medico in posizione subordinata gode di una sua autonomia, sia pure vincolata alle direttive ricevute, per cui egli può e deve manifestare al proprietario dello studio le proprie riserve e, se occorre, il proprio dissenso, rispetto a scelte o prestazioni terapeutiche su cui non ritenga di essere d'accordo. La responsabilità esclusiva del collaboratore si delinea qualora questi instauri un contratto di cura direttamente con il paziente, sempre se si ottiene un esplicito consenso da parte del paziente a farsi curare dal collaboratore del professionista interpellato, specificando le prestazioni che svolgerà, non potendo ritenere valido un consenso implicito, perché la responsabilità ricadrebbe sul titolare di studio. Invece, si ha responsabilità contrattuale solidale quando non sia possibile individuare un unico responsabile del danno e quindi tutti i componenti dell'équipe potranno risponderne secondo il principio della responsabilità solidale. Nel caso di responsabilità verticale va esaminato il rapporto lavorativo del "capo équipe" con i collaboratori in posizione "subordinata", come ad esempio le figure dell'igienista dentale, l'assistente di studio e l'odontotecnico. Qualora l'igienista svolga il proprio lavoro come collaboratore dipendente presso uno studio odontoiatrico, nei casi di responsabilità, l'onere risarcitorio spetta al titolare dello studio; viceversa se l'attività lavorativa viene svolta autonomamente, l'onere risarcitorio spetta all'igienista dentale, salvo il caso in cui il danno derivi da un’errata diagnosi o indicazione terapeutica del dentista. In caso di responsabilità dell'assistente di studio, il risarcimento del danno, ad esclusione dei casi di dolo o colpa grave, secondo quanto stabilito dal codice civile, spetta al datore di lavoro. Differentemente l'odontotecnico contrae un rapporto di tipo contrattuale di prestazione d'opera solamente con l'odontoiatra, escludendo qualsiasi tipo di rapporto diretto con il paziente. Quindi se il dispositivo protesico non viene eseguito secondo le condizioni stabilite nel contratto è possibile una sua risoluzione qualora, su richiesta dell'odontoiatra, non sia avvenuta la corretta riesecuzione del lavorato. Per cui si arriva ad affermare che è sempre il 57


avvocato+agenda

22-03-2010

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JOURNAL of OSSEOINTEGRATION >

avvocato Giovanni Pasceri

agenda

dentista l'unico legittimato a contestare la prestazione del tecnico. La conseguenza è che qualora l’esito negativo della terapia protesica si sia verificato per errori tecnici, e pertanto di esclusiva responsabilità del tecnico, spetterà all'odontotecnico stesso risarcire il danno. In caso di difformità o vizi del manufatto protesico, se le carenze della protesi sono note o individuabili alla consegna e non siano stati dolosamente occultati, l'accettazione tacita o espressa da parte del dentista libera o quantomeno riduce proporzionalmente la responsabilità dell'odontotecnico per errori o difetti del dispositivo protesico. Il denti-

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New York (USA) Current concepts in american dentistry: advances and innovations in clinical implantology Relatori: Schmidt, Deporter, Chaar, Horowitz, Tarnow, Cho, Stappert education@simitdental.it - Tel. 0376.267811

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sta che si accorga di tali difetti dopo la consegna è tenuto a segnalarli entro otto giorni dalla stessa; la responsabilità dell'odontotecnico, comunque, si prescrive entro un anno dalla consegna. Concludendo, emerge che la regola ordinaria nell'attività medica d'équipe è che ciascun soggetto professionale risponda soltanto dell'inosservanza della “regola d’arte” nel proprio specifico settore ma, vi è comunque un obbligo di controllo e sorveglianza per tutti i membri dell'equipe, e quindi di intervento, quando si possono constatare circostanze concrete che facciano intuire comportamenti errati ed insufficienti.

21

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