Rami Ceci

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Lucilla Rami Ceci (a cura di)

LUOGHI E OGGETTI DELLA MEMORIA Valorizzare il Patrimonio culturale. Studio di casi in Italia e in Giordania

ARMANDO EDITORE


Sommario

Introduzione LUCILLA RAMI CECI

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Un sistema a rete per la valorizzazione del Patrimonio culturale. Il caso dei siti longobardi in Italia 21 ANGELA MARIA FERRONI “La spazzatura di qualcuno è il tesoro di qualcun altro”. L’impiego di materiali di risulta nel restauro LUIGI MARINO

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Il restauro dell’Heritage Museum presso la University of Jordan (Amman) MAYSOON AL-NAHAR

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Ricostruzioni nel Patrimonio culturale: il museo virtuale della via Flaminia Antica EVA PIETRONI

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L’architettura di Amman tra antico e moderno ALI ABU GHANIMEH

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Pedagogia della memoria. Il Children’s Museum di Amman LUCILLA RAMI CECI

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Spirito e Senso dei luoghi: approccio integrato alla salvaguardia e alla conservazione del Patrimonio culturale 97 LUCIANA MARIOTTI Processi di valorizzazione dei luoghi della memoria. Il culto della “Grotta dei sette dormienti” ANNA TOZZI DI MARCO

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Gli Autori

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Ringraziamenti In occasione della pubblicazione di questo libro sento di dover ringraziare tutti coloro, colleghi, collaboratori e personale amministrativo che hanno consentito con il loro apporto gli scambi culturali tra il Dipartimento di Sociologia e Comunicazione della Sapienza Università di Roma e il Department of Archaeology della University of Jordan di Amman, nell’ambito di un Accordo Bilaterale attivo tra le due Università dal 2006. Non tralascerò di menzionare anche il contributo più recentemente offerto dal Dipartimento di Scienze Sociali della Sapienza, inerente la stampa del volume. Un riconoscimento è dovuto al Dr. Nabil Shwagheh e al prof. Renato Guarini, rispettivamente vice Rettore della University of Jordan e Rettore della Sapienza all’epoca della stipula dell’Accordo Bilaterale. Ringrazio in particolare il prof. Raimondo Cagiano de Azevedo, Delegato del Rettore alle relazioni Internazionali della Sapienza che ha presieduto la giornata di studio italo-giordana (6 maggio 2010) sul tema Luoghi e oggetti della memoria. Valorizzazione e comunicazione dell’Antico a Roma e Amman. Da quell’incontro seminariale tra addetti ai lavori in differenti discipline, sul tema della valorizzazione del Patrimonio culturale, sono scaturite le relazioni presentate in questo volume. Ho ancora una volta l’opportunità di ringraziare per la loro sincera amicizia e per il supporto fornito durante i miei soggiorni in Giordania i colleghi Maysoon – al – Nahar e Alì – Abu – Ghanimeh. La loro disponibilità ha reso possibile la realizzazione di attività scientifiche, didattiche e culturali presso le sedi delle nostre rispettive università (Roma, Amman e al-Mafraq) coinvolgendo studiosi e studenti in una feconda prospettiva interdisciplinare. Ringrazio vivamente i colleghi e amici che hanno partecipato al seminario e che hanno, con le loro comunicazioni, reso più ricco e vario l’attuale dibattito intorno alle tematiche del Patrimonio culturale materiale e immateriale. Un riconoscimento sentito va alla dott.ssa Maria Teresa Parodi per la revisione della versione italiana del libro, alle dott.sse Michela Polselli e Entela Hoxhaj per le traduzioni di alcuni saggi e agli autori che con la traduzione dei loro contributi hanno permesso la realizzazione del cd con la versione inglese dei testi; alla Direzione e alla Redazione della Armando editore per la professionalità e pazienza con la quale ormai da molti anni seguono le mie pubblicazioni. Un grazie con il cuore a mio figlio Alessandro che ha voluto condividere con me l’impegno della cura di questo volume ritagliando nel suo vasto immaginario le idee espresse dal disegno della copertina. La Sapienza Università di Roma e l’Ambasciata giordana in Italia nella persona della Principessa Whijdan al Hashimi hanno voluto concedere il Patrocinio al volume. Sono loro grata.


Introduzione LUCILLA RAMI CECI

Il grande tema della memoria che è sotteso ai saggi presentati in questo libro sembra essere oggi quanto mai di attualità. L’attenzione dell’opinione pubblica, complici i media di grande diffusione, sembra volgere particolarmente verso il problema del controllo dell’organizzazione della memoria collettiva e del suo uso politico1. Ma non è solo l’uso che noi facciamo del passato ad influire sul ricordo che abbiamo di esso, sul modo con il quale affrontiamo il presente e intendiamo pianificare il futuro. Il passato interviene pesantemente con il portato delle sue sedimentazioni prodotte nel tempo e nella mente delle persone, creando configurazioni specifiche entro le quali situare oggetti ed eventi e conferire loro significato (Assmann, 1992; Connerton, 1999). Identità, ricordo e «perpetuazione culturale» come la defisce Assmann, ovvero tradizione, producono quella struttura connettiva che attraverso l’esperienza di oggetti, luoghi e forme di comunicazione danno origine a quel senso di appartenenza attorno al quale si aggrega la comunità. Molti luoghi e antichi manufatti, resti tangibili di civiltà del passato o di fasi antecedenti l’epoca in cui viviamo, testimonianze ancora visibili di passaggi importanti nello sviluppo delle società contemporanee, costituiscono risorse di un Patrimonio riconosciuto come fondante l’identità stessa di una collettività. Risorse che proprio per questo vengono impiegate nella direzione dello sviluppo turistico di alcune aree. Tuttavia, spesso, le esigenze dell’industria del turismo di massa non consentono di rintracciare nella storia del singolo territorio quel senso dei luoghi 1 Atti

di pirateria informatica, recentemente verificatisi all’interno di sistemi fortemente protetti delle più importanti Istituzioni pubbliche di alcuni Paesi occidentali, hanno riportato all’attenzione il tema della legittimità del possesso esclusivo delle fonti di informazione e la dimensione “morale” delle nuovissime tecnologie della comunicazione che consentono di aprire brecce nelle memorie protette dei centri del potere politico ed economico.

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che ha consentito alla comunità di elaborare la propria specificità culturale. È in questo particolare momento che le competenze dell’antropologo, potenziate all’interno di una prospettiva interdisciplinare, possono individuare elementi di congiunzione tra la memoria collettiva e le memorie individuali, tra gli usi che degli oggetti si facevano nel passato e l’esperienza che se ne fa nel presente, tra le emozioni che oggetti e luoghi oggi suscitano e la percezione che di essi le comunità hanno elaborato prima di noi. Riconnettendo gli elementi del Patrimonio immateriale al contesto architettonico e archeologico che ne costituisce la scenografia, la comunità stessa può creare i presupposti per uno sviluppo sostenibile e duraturo (De Varine, 2005: 22). Se lo sviluppo locale deve essere visto non solo in funzione del turismo, se pure turismo culturale, ma nella prospettiva di uno sviluppo integrato di tutte le risorse che un territorio possiede (le visibili e le invisibili, secondo una suggestiva espressione di Hugues De Varine), i luoghi nei quali si inscrive la memoria di eventi mitici o storicamente avvenuti e che hanno valore per una collettività di persone, dovranno essere protetti e valorizzati soprattutto per quello che la comunità vi riconosce. Ma di quale comunità stiamo parlando? In senso antropologico la comunità che ha a che fare con il Patrimonio che identifica un certo territorio appare come quell’insieme di gruppi e persone che hanno o hanno avuto nel corso del tempo uno stretto rapporto con quei Beni culturali e naturalistici ai quali la collettività ha assegnato valore di rappresentatività. Organismi internazionali come l’Unesco, spinti dalla necessità di individuare criteri universali di valutazione della rappresentatività dei singoli Patrimoni per poterne consentire l’accesso nella World Heritage List, hanno di fatto per decenni interpretato il “valore” come qualcosa che atteneva alla monumentalità, all’esteticità, alle qualità artistiche dei singoli Beni. Le categorie concettuali attraverso le quali operare questa valutazione risultavano inevitabilmente contaminate da una prospettiva fortemente eurocentrica2 che penalizzava la maggior parte dei Paesi membri dell’Organizzazione stessa. 2

Con l’adozione della Convenzione per il Patrimonio immateriale (aprile 2006) e con la successiva entrata in vigore della Convenzione sulla diversità culturale (marzo 2007) si fa sempre più consistente, nell’Unesco, una linea interpretativa che, presupponendo la dinamicità insita negli elementi del Patrimonio intangibile e al tempo stesso salvaguardando l’origine locale dei contenuti dei prodotti culturali, induce una rilettura dello stesso Patrimonio tangibile, architettonico ed archeologico, nella sua diretta interrelazione con i fenomeni storici, culturali ed economici che etnograficamente vi si sono inscritti.

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L’abbattimento del criterio di autenticità e dell’idea di valore universale eccezionale, contenuti nella più recente Convenzione per la salvaguardia (non tutela) del Patrimonio immateriale, da parte dell’Unesco3, ci invita a riconsiderare ciò che sia “degno di memoria”. Se in realtà l’Unesco non ha rinunciato al criterio dell’eccellenza, che resta imprescindibile per accedere alla Lista, è pure vero che la necessità di assegnare riconoscimento universale a Patrimoni immateriali di intere popolazioni, dimenticate fino ad oggi in quell’orizzonte esclusivo e monoculturale che identificava il pianeta della World Heritage List, ha fatto sì che valori estetici e artistici venissero affiancati da altri a carattere storico e antropologico. La graduale scomparsa dei riferimenti estetico-artistici ha indotto una vera e propria risemantizzazione di ciò che nella sua dimensione materiale e immateriale attiene al passato. In questo luogo metaforico rintracciare ciò che vale per la comunità non è più un’operazione di validazione del già universalmente riconosciuto come eccezionale – nella sua artisticità, monumentalità, staticità – ma approccio dinamico alla riproduzione e trasmissione di pratiche culturali che attengono alla contemporaneità (Bortolotto, 2008:13). Con la profonda mutazione avvenuta nelle modalità del comunicare e nel costituirsi stesso dei flussi informativi, l’uomo ha smarrito le coordinate fisico-spaziali del tradizionale senso del luogo (Meyrowitz,1995; Cirese, 2003; Teti, 2004). Spazi, strutture, edifici non saranno in grado di rappresentare da soli i luoghi della memoria ma ne saranno capaci le configurazioni culturali e le mappe mentali che quei luoghi rivestono di significati, attraversando il tempo, tessendo le trame del ricordo, ancorandosi al presente. Il riuso delle dune shacks (capanne delle dune) di Cape Code nel Southeastern Massachussett, delle quali parla la sociologa americana Regina Binder4, non rappresenta solo un intervento urbanistico teso a 3

Dalla decisione della XXXI Conferenza Generale dell’Unesco di mettere a punto uno strumento normativo internazionale per la salvaguardia del Patrimonio immateriale (2001) all’adozione della convenzione (2003) si sviluppa un processo di sostanziale revisione del concetto di Bene culturale che espande la definizione di Patrimonio fino ad includervi le espressioni culturali popolari, i saperi tradizionali, le conoscenze non ufficiali e istituzionalizzate. 4 Eredi delle dune shacks costruite dalla Massachusetts Humane Society sulla punta della stretta penisola di Cape Code, costa nord occidentale degli Stati Uniti, per dare riparo ai marinai naufragati lungo quel burrascoso tratto di oceano, le odierne capanne sulle dune, tra alterne vicende di demolizioni e momentanei riusi, rivelano ancora oggi la capacità di costituirsi come potenti attivatori di memorie pure nella fragilità della loro consistenza

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salvaguardare elementi del paesaggio iscritti nella memoria visiva della comunità di pescatori di Provincetown. Le capanne delle dune che hanno ospitato nel corso del ’900 scrittori come Tennessee Williams, Eugene O’Neill, Jack Kerouac e Norman Mailer, sono tasselli ineliminabili di un tessuto culturale che identifica Cape Code come la “colonia di artisti” e che ha contribuito a dare vita a quel senso del luogo iscritto nella memoria della comunità e di quanti l’hanno visitata. Nei processi di valorizzazione attualmente in corso e in carico all’Ufficio Unesco del MIBAC, il caso della valorizzazione dei Siti longobardi in Italia presentato in questo libro da Angela Ferroni, sembra perfettamente rispondere alle esigenze espresse dal nuovo modello di valorizzazione che si sta cercando di delineare. Alla domanda: che cosa sto presentando? Che cosa musealizzo? Cosa promuovo? Cosa comunico? La Ferroni risponde: «non manufatti, monumenti, ruderi, siti, territori, quanto piuttosto “oggetti o luoghi della memoria” e, di conseguenza, storia, tradizioni, senso identitario. In sostanza le modalità troveranno il giusto presupposto sui “valori” immateriali insiti nei beni materiali oggetto dell’intervento, quei valori da cui discende l’importanza culturale degli stessi». Se il senso del luogo è un iter metodologico corretto, come sembra emergere dalle interpretazioni delle due studiose appena citate, la valorizzazione prescinde dai possibili fattori contingenti legati al tempo o al luogo delle diverse esperienze5. Il processo di valorizzazione dei Siti longobardi in Italia vede l’applicazione di un modello interno ai Piani di gestione dei siti Unesco che può essere utilmente messo in atto nelle situazioni più varie, adattando le strategie individuate per il raggiungimento degli obiettivi alla realtà culturale su cui si deve operare. La Ferroni ci ricorda come oggetti e architetture, ornamenti e produzioni artistiche appartenute a questa civiltà sono distribuite su un ampio territorio che dal centro-est europeo arriva materiale fatta di pezzi di legno e materiali di risulta. Si veda, R Binder, Sense of Place in Sustainable Tourism Development, http://www.international.icomos.org/quebec. 5 La stessa organizzazione dell’Unesco a Quebec City (Canada) il 4 ottobre del 2008, nell’ambito della Assemblea Generale dell’ICOMOS, ha adottato una Dichiarazione nella quale al centro dell’attenzione c’è l’interesse per la individuazione e l’indagine sullo spirito dei luoghi attraverso la salvaguardia del patrimonio culturale tangibile e intangibile. La concezione di spirito dei luoghi è stata ritenuta strumento capace di assicurare la sostenibilità e lo sviluppo sociale del mondo. Si veda anche il mio intervento in L. Rami Ceci (a cura di), Sassi e Templi. Il luogo antropologico tra cultura e ambiente, Armando, Roma, 2003, pp. 79-87.

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all’Italia meridionale. La serie di beni appartenenti allo stesso contesto storico-culturale costituisce una sorta di network particolarmente significativo perché riconducibile ad una stessa “memoria comune”. Il contesto delle memorie comuni sedimentatesi nel tempo sembra venire drammaticamente spezzato a causa di eventi che sconvolgono l’habitat costruito, storicizzato e la vita stessa delle persone. Nel complesso, faticoso e problematico processo di ricostruzione di un’area devastata da un terribile evento sismico come il centro storico de L’Aquila, in Italia, si intravede la possibilità che si realizzi quell’approccio integrato al Patrimonio culturale così esplicitato nella Dichiarazione di Jamoto6 da parte dell’Unesco. L’approccio integrato si esprime nel favorire non più singoli beni, ma complessi di beni, strade culturali (cultural roads), itinerari culturali. Nel caso segnalato da Luciana Mariotti per il Centro storico de L’Aquila, è un elemento del patrimonio immateriale, la festa della Perdonanza7 ad essere direttamente associato al bene materiale, tangibile, la Basilica romanica di Santa Maria di Collemaggio, senza la quale la pratica rituale della Perdonanza non avrebbe motivo di svolgersi. L’associazione con un edificio sacro, che nei secoli ha definito, in modo singolare ed irripetibile, l’identità, la vita delle comunità aquilane, lo stesso spirito dei luoghi, richiama come la conservazione dei contesti sia stata al centro dell’attenzione dell’ICOMOS, nell’ambito della Xi’an Declaration, nel 20058. Una delle questioni centrali nei processi di valorizzazione è appunto quel meccanismo che indichiamo con il termine ri-contestualizzazione del Patrimonio. Differenti attori sociali, singoli individui e istituzioni intervengono nel tempo sugli elementi del passato fornendone nuove interpretazioni, riattualizzando la memoria di oggetti, eventi, luoghi. È utile ricordare, come fa la Mariotti, che nella citata Dichiarazione l’Unesco chiarisce che per contesti si devono intendere «gli aspetti fisici, visuali, naturali dei monumenti e dei siti tanto quanto le pratiche sociali, i costumi, le conoscenze tradizionali e le altre espressioni intangibili che 6 Dichiarazione di Jamoto, in «Proceeding Actes. International Conference on Safeguarding of Tangible and Intangible Cultural Heritage: Towards an Integrated Approach», Unesco, Nara, 2006, p. 19. 7 Per la storia e il significato di questa cerimonia si veda l’intervento di Luciana Mariotti in questo libro pp. 97-105. 8 Cfr. Xi’An Declaration on the Conservation of the setting of Heritage Structure, sites and area, adottata in Xi’An, China nell’ambito del 15th General Assembly of ICOMOS, 21 ottobre 2005.

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ne definiscono il vissuto che attraverso di loro si è consolidato nella società del luogo stesso»9. Ma come ri-contestualizzare quando ci troviamo di fronte a siti storici o archeologici spogliati dei loro resti? Quando le tracce visibili di eventi e vissuti della quotidianità sono stati trasferiti altrove, nei Musei? Quando la natura ha coperto con la sua pervasività strisciante i percorsi antichi e la contemporaneità ha tracciato nuove vie di percorribilità più funzionali alle attuali esigenze di comunicazione? I diversi interventi presentati in questo volume esprimono in modo problematizzato l’esigenza di creare sintesi della memoria dei singoli percorsi storico-culturali, riflettendo quel bisogno di “inquadrare” l’oggetto della comunicazione – in questo caso, l’evento, il singolo elemento del Patrimonio immateriale e/o archeologico – in uno schema visuale definito e controllabile. Nel caso dell’esperienza del Museo Virtuale della Flaminia Antica si è realizzato per la prima volta in Italia un progetto di documentazione e comunicazione nel campo del virtual heritage. Questo ha posto problematiche molto specifiche che non si risolvono semplicemente nella conoscenza di strumentazioni e software; è stato necessario operare in un’ottica di ricerca realmente multidisciplinare, facendo convergere vari ambiti di competenza. Alla conoscenza dei contenuti storico-archeologici è necessario associare la conoscenza dei principi fondamentali della comunicazione e dell’apprendimento: il linguaggio e le metafore del virtuale, le possibili modalità di interazione con i contenuti ed infine le potenzialità che le tecnologie digitali sono in grado di attuare a livello percettivo, esperienziale, interpretativo, cognitivo. La visita museale, l’estenuante percorso che il turista affronta nell’area archeologica sono esperienze spesso “solitarie” anche se compiute in sale affollate o in siti impercorribili per l’eccesso di visitatori. La “distanza” temporale e culturale che si frappone tra noi e coloro che sperimentarono lo spirito dei luoghi in passato è enorme. Il teleobiettivo della nostra videocamera per quanto potente non riesce a materializzare i fantasmi di cose, oggetti, manufatti, architetture che riempivano la scena centinaia di anni fa (Ruggeri Tricoli, 2000; Danto, 2001). 9 La Foz do Iguaco’s Declaration, adottata dall’ICOMOS in Brasile il 31 maggio 2008, riflette ancora sul concetto di Spirito del luogo, precisandone le componenti tangibili e intangibili essenziali per la creazione di spazi di significato storico e culturale trasmessi di generazione in generazione.

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Come ci illustra Eva Pietroni, nella ricostruzione virtuale della via Flaminia e dei suoi siti convergono tre metafore visuali di rappresentazione spaziale: il paesaggio archeologico attuale, il paesaggio ricostruito in età augustea ed un paesaggio “ibrido” o immaginario, che sovrappone al contesto archeologico attuale la ricostruzione, in trasparenza, di alcune aree riferite alle varie epoche antiche. Seguendo recenti studi sulla comunicazione museale, sembra che il virtuale ci aiuti a “ricomporre” ciò che è scarsamente leggibile, a ri-contestualizzare ciò che è frammentario, disperso, isolato o nascosto, a ripristinare i nessi tematici culturali di cui l’oggetto è espressione (Antinucci, 2004). Queste tematiche raramente sono espresse al pubblico nei luoghi e nelle modalità tradizionali di trasmissione culturale e l’elaborazione virtuale di un bene culturale sembra incrementarne dunque la dimensione percettiva. Si tratta indubbiamente di nuove sperimentazioni le cui potenzialità non vanno percepite solo in un approccio formale. L’applicazione delle tecnologie digitali e virtuali ai beni culturali non è da ritenersi infatti una semplice traduzione tecnologica finalizzata alla riproduzione della realtà, bensì vera e propria creazione di nuovi contesti informativi, rappresentazione di nuove potenzialità e dimensioni cognitive associate al bene (Galluzzi, Valentino, 1997; Giaccardi, 2002; Ciotti, Roncaglia, 2002; Lariani, 2002; Cataldo, Paraventi, 2007)10. Il Virtual Heritage sembra poter svolgere un compito formativo dalle ampie possibilità di applicazione proprio nei contesti di recente modernizzazione come accade in un Paese del Medio Oriente. La Giordania, l’altro contesto nazionale e storico-culturale cui si riferiscono gli interventi contenuti in questo libro, è Paese dalla enorme dotazione archeologica della quale ho avuto modo di parlare in diversi miei precedenti lavori11. Nell’occasione offertami dalla presente pubblicazione ho voluto dare conto dei caratteri fortemente innovativi che possiamo riscontrare nei criteri espositivi utilizzati in alcune installazioni del Children’s Museum di Amman. Durante la visione di una grande mappa dei Paesi arabi del Medio Oriente, le tecnologie audiovisive consentono ai piccoli visitatori di occupare una work-station (postazione informatica) 10 Bisogna evidenziare che nella ricostruzione virtuale l’importanza assegnata alle immagini non rende assolutamente neutre le rappresentazioni del passato elaborate attraverso le nuove tecnologie. Come ci richiama Paul Rabinow circa l’interpretazione antropologica delle rappresentazioni: «i significati sono socialmente e culturalmente disponibili e non sono inventati ex nihilo da chi le interpreta» (Rabinow, 2001: 330). 11 L. Rami Ceci 2003; 2005a, b; 2008.

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attraverso la quale accedere alle informazioni suppletive che illustrano ogni singolo passaggio del percorso storico di costruzione della nazione giordana lungo una durata di 2000 anni. Accendendo il dispositivo si attivano trasmettitori di suoni, brevi narrazioni (storytelling), link che rinviano il giovane pubblico indietro nel tempo, al contesto storico e ambientale indicato nella mappa. Se il Museo deve costituire il concentrato delle risorse mnemotecniche messe in opera dalla società per raccontarsi e attuare la costruzione sociale del ricordo di se stessa, il Children’s Museum, di recente costituzione, sembra voler riavviare la trasmissione culturale delle proprie origini alle generazioni future, partendo da una rielaborazione attuale, contemporanea e post-coloniale del suo passato storico12. Le scolaresche giordane in visita al Children’s Museum saranno probabilmente domani quegli stessi studenti e studentesse che hanno collaborato, nell’evento raccontato da Maysoon al-Nahar, alla ricostituzione dell’Heritage Museum nella capitale giordana Amman. Formidabile esempio di partecipazione locale alla tutela e rappresentazione dei beni culturali di una nazione, il caso del restauro del Museo dell’Heritage della Jordan University documenta che quanto maggiormente la gestione del Patrimonio è affidata a Istituzioni maggioritarie e poteri distanti dalla popolazione locale tanto più la valorizzazione può e deve essere partecipata da coloro che vivono in contatto con i Beni divenuti Patrimonio. È quanto accaduto agli studenti del Dipartimento di archeologia della University of Jordan che, come i contadini di una volta, hanno impastato, nello spiazzo antistante il Museo, fango e paglia per realizzare i mattoni con i quali ricostruire nel Museo, e lasciare a memoria delle antiche tecniche costruttive, il modello della casa tradizionale giordana13. Il museo è visto qui dunque come presidio tecnico di competenze 12 Il carattere processuale e dinamico che la Giordania attribuisce al fenomeno della valorizzazione del Patrimonio è esplicitamente dichiarato nel testo della Antiquities Law of Jordan «…There are also sites that are well known but have not yet had the attention of scholarly research. Finally, there are hundreds of sites known from surveys and accidental discoveries and numerous yet undiscovered sites whose significance cannot be understood…». In particolare molto del Patrimonio intangibile della poesia, cultura orale, tradizioni, leggende delle società beduine rischia di venire dimenticato nel processo di modernizzazione che investe anche le ultime tribù nomadiche. 13 Per una documentazione circa le ricerche di architettura del restauro sulla casa tradizionale in Giordania si veda L. Marino, M. Lodino, La casa tradizionale nei villaggi della Giordania, Cierre Edizioni, Verona, 1999; inoltre, L. Rami Ceci, Per uno studio antropologico dello spazio abitativo tradizionale tra conservazione e riuso, in «Restauro Archeolo-

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scientifiche e antropologiche che riuniscono studio, conservazione, documentazione ma anche capacità di comunicazione e coinvolgimento realizzando quella stretta relazione che deve esserci tra Patrimonio e comunità. Il fatto che il Patrimonio possa diventare un vero e proprio “terreno di coltura” per lo sviluppo locale, come ci indica Hugues De Varine, sembra testimoniato dalle numerose e documentate riflessioni che Luigi Marino ci offre circa il riuso di materiali edili, di decori e fregi dell’architettura di edifici antichi. Il riuso, assai praticato anche nell’antichità, può avere varie funzioni, dalla strutturale alla decorativa e da un punto di vista antropologico ha una sicura valenza sul piano simbolico. Se sui resti di manufatti, colonne, capitelli, templi ci si accanisce da sempre per necessità, per commercio – ricordo il redditizio mercato dei cosiddetti tombaroli fino alla perfetta organizzazione internazionale delle archeomafie richiamate dallo stesso Marino – il reimpiego su vasta scala di elementi architettonici, ci sollecita a riconsiderare la funzione stessa della memoria insita in oggetti e luoghi “non autentici”. Questi appaiono, piuttosto, contaminati, ibridati da materiali, elementi decorativi, tecniche non appartenenti a quella civiltà o momento di essa all’interno del quale l’intero contesto patrimonializzato è stato collocato, posizionato. Salvaguardare i manufatti antichi significa al tempo stesso mantenere aperto l’immenso libro delle conoscenze e saperi circa le tecniche costruttive tradizionali che nell’uso di materiali “naturali” (legno, pietra, fango) permettevano il riuso degli stessi per nuove costruzioni. Il materiale di scarto suggerisce la possibilità di un reimpiego dei rifiuti edili che non costituisce semplicemente un ampliamento dei campi di applicazione di materiali di risulta, nel restauro ad esempio, ma «una maggiore e più estesa sensibilità verso la tutela delle “culture locali”», come sostiene Marino. Ma le società sanno in vario modo salvaguardare la memoria dei saperi e della creatività delle genti passate e lo studioso può rintracciare, attraverso una dimensione comparativa, le linee di un discorso tessuto attraverso l’ordito urbano storicizzato, i cui fonémi, come spiegava Gillo Dorfles si confondono con i segni architettonici (le diverse forme degli edifici o dei manufatti architettonici) e rimandano ai designata di tali segni (ovvero gli individui che si servono di essi). gico», 3/2005, Bollettino del Gruppo di Ricerca sul restauro archeologico Conservazione e manutenzione di edifici allo stato di rudere, Università di Firenze, Alinea Editrice, Firenze, 2005.

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L’architetto Alì Abu Ghanimeh ripropone questo percorso attraverso le architetture civili giordane che emulano lo stile moderno occidentale non dimenticando, in finiture e nell’uso di materiali locali come la pietra calcarea, il loro debito verso l’antico. Il richiamo al design di Rasem Badran14, eclettico architetto giordano, appare quanto mai opportuno in un testo dall’approccio multidisciplinare come il nostro. Evidenzia lo scopo di stimolare l’attenzione verso quegli studiosi non-occidentali che sembrano intuire la vitale interconnessione tra dimensione tangibile e intangibile del Patrimonio come l’unica via percorribile per comprendere l’unico e il diverso presente nelle espressioni della cultura e il loro respiro cosmico. Di specifico interesse, nell’ambito di una ricognizione di elementi del Patrimonio immateriale nell’area mediterranea alla quale il presente lavoro intende fornire un contributo, è il caso presentato da Anna Tozzi Di Marco relativo al culto della “Grotta dei sette dormienti”. Trasversale a più religioni e culture la devozione di origine cristiana e successivamente islamizzata per i giovinetti di Efeso, miracolosamente scampati alla persecuzione dell’imperatore Decio, sembrerebbe offrirsi quale terreno ideale all’applicazione di un approccio integrato alla salvaguardia di elementi del Patrimonio immateriale come, appunto, culti, leggende, credenze, saperi, contestualizzati in siti dal particolare valore archeologico, architettonico o, come in questo caso, storico-culturale. Paesi che hanno ratificato la Convenzione Unesco15, come l’Egitto e la Giordania, possono trovare, nella ricchezza delle manifestazioni anche di tipo religioso ormai declinate, anche in rapporto al loro costituirsi come risorse per un turismo culturale, occasione per indagare quello 14

Rasem Badran sviluppa un processo progettuale lungo un attento e scrupoloso percorso interpretativo dei territori e delle culture che ne evidenzia le forti interconnessioni come lui stesso enuncia «... lo spazio architettonico consegue le proprie caratteristiche attraverso le connessioni fra gli aspetti storici, ambientali e climatici, come pure le tradizioni, i costumi, i valori ereditati, la religione e il linguaggio… Si può descrivere l’architettura come uno strumento con cui misurare il tempo. ...Il tempo è specialmente leggibile negli spazi fluttuanti che racchiudono diversi servizi in cui attività, materiali e spirituali, sono tra loro mescolate e in cui eventi ripetitivi sono ricavati da memorie profonde» cit. in J. Steele, The architecture of Rasem Badran, Narratives on People and Place, Thames & Hudson, Londra, 2005. 15 L’Egitto ha presentato la sua ratifica alla Convenzione sul Patrimonio immateriale nell’agosto 2005, la Giordania nel marzo 2006. La Convenzione è entrata in vigore per tutti i Paesi che si erano già proposti nell’aprile 2006. Tra le iniziative Unesco per la salvaguardia del Patrimonio immateriale va ricordata la Arab Copyright Convention, che regola misure di protezione delle espressioni culturali immateriali dei popoli arabi.

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spirito dei luoghi che, attraverso la salvaguardia del patrimonio culturale tangibile e intangibile che li caratterizza, assicuri la sostenibilità dello sviluppo e della modernizzazione del territorio16. In particolare nell’area mediterranea, grotte, cavità naturali, antri, luoghi di vissuti arcaici e di memorie bibliche, sono talora rifunzionalizzati nella contemporaneità a scopo mediatico o turistico, sovrapponendo significati estranei al tessuto connettivo delle memorie locali, mantenuto talora in vita da presenze e pratiche silenziose e schive17. Nel caso di culti religiosi, in particolare quelli sincretici, una maggiore attenzione delle istituzioni per la salvaguardia di questi Beni, cui è associato uno specifico valore etnoantropologico, può indurre processi di valorizzazione di tipo integrato, come viene qui suggerito per il caso aquilano. Se da un lato il libro vuole documentare l’importanza che riveste il dare applicazione alla Convenzione Unesco per la salvaguardia del Patrimonio immateriale, dall’altro le competenze ed esperienze dei singoli autori mettono in luce in modo significativo come si possa suscitare un più ampio riconoscimento da parte della collettività verso lo stesso Patrimonio tangibile, culturale e naturale. Questo, infatti, se associato a quelle pratiche culturali, a quei saperi, a quei sentimenti che mutando nel tempo vi hanno iscritto significati e funzioni, potrà essere valorizzato anche in quegli elementi meno noti e visibili, degradati o dimenticati.

16 A Quebec City (Canada) il 4 ottobre del 2008, nell’ambito della Assemblea Generale dell’ICOMOS, è stata adottata, a seguito di un Simposio dal titolo Place-Memory-Meaning: Preserving Intangible Values in Monuments and Sites, una Dichiarazione nella quale al centro dell’attenzione c’è l’interesse per la individuazione e l’indagine sullo spirito dei luoghi. La concezione di spirito dei luoghi è stata ritenuta strumento capace di assicurare la sostenibilità e lo sviluppo sociale del mondo, preservandone la memoria. 17 Esempio emblematico, il sito dei Sassi di Matera, in Italia, iscritto nella World Heritage List dal 1993. Il sito è conosciuto a livello mondiale più per essere stato il set del famoso film Passion diretto da Mel Gibson – che lo scelse per le caratteristiche simili all’arido habitat della Gerusalemme delle ultime ore del Cristo – che non per il fatto di rappresentare la memoria tangibile e intangibile della cultura delle civiltà rupestri. Ma mentre le comitive di turisti giapponesi, che nulla sanno delle pratiche di vita dei vecchi abitanti dei Sassi, percorrono le strette viuzze nella speranza di identificare i luoghi della via Crucis conosciuti attraverso la visione del DVD della pellicola americana, nel fondo oggi intonacato di una antica casa-grotta, un anziano, tornato ad abitare i Sassi restaurati, custodisce ancora gli utensili, gli oggetti, i pochi essenziali arredi che resero umana, pur se negletta e malsana, la vita in quegli spazi trogloditi. Si veda D. Cascione, I racconti del Museo (Tales from the Museum), Arteprint, Matera, 2005.

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Un sistema a rete per la valorizzazione del Patrimonio culturale. Il caso dei siti longobardi in Italia ANGELA MARIA FERRONI

Voglio innanzitutto ringraziare l’amica Lucilla Rami Ceci per l’invito graditissimo a partecipare a questo workshop. Gli eventi organizzati dalla Cattedra di Antropologia del turismo sostenibile rappresentano infatti, sempre, momenti preziosi di incontro, momenti di reale arricchimento, in quanto offrono la possibilità di confrontarsi – tra discipline affini, ma diverse – su tematiche specifiche afferenti la valorizzazione e la gestione del Patrimonio culturale. Il tema che affronterò a prima vista potrebbe sembrare non particolarmente “calato” negli ambiti in cui si sviluppa questa giornata di studio – il rapporto tra sito archeologico e aspetto urbano, i problemi di presentazione, allestimento, comunicazione, i piani di fruizione, le metodiche di contestualizzazione degli oggetti, ecc. –; penso comunque che il mio intervento ricomprenda alla fine tutti questi ambiti, in quanto presenta una metodologia di gestione, una strategia per governare in maniera integrata tutte le tematiche che rientrano nei processi di valorizzazione del patrimonio culturale. Nella legge italiana di tutela riordinata nel 2004 – il Codice dei beni culturali e del paesaggio – la valorizzazione viene definita come l’esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività «dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale… e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura»1. In questa enunciazione appare evidente come quelle che sono definite le “funzioni gestionali” 1

Art. 6 comma 1 del Codice dei beni culturali e del paesaggio - D. Lgs. 42 del 22 gennaio 2004, così come modificato dal D. Lgs. 24 marzo 2006, n. 156 e D. Lgs. 24 marzo 2006, n. 157, nonché dal D. Lgs. 26 marzo 2008, n. 62 e D. Lgs. 26 marzo 2008, n. 63.

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legate al Patrimonio culturale siano tutte ricomprese nella valorizzazione, perché questa si fonda sulla conoscenza, si persegue attraverso interventi di conservazione e promozione e si realizza in un innalzamento delle modalità di utilizzazione e fruizione “in forme compatibili con la tutela”2. Scendendo nello specifico del campo archeologico, sottolineerei come la conservazione abbracci spesso anche la presentazione, perché gli interventi di restauro sui “ruderi” si differenziano da quelli sul patrimonio storico costruito anche per la finalità che essi devono perseguire, quella di rendere leggibili e comprensibili manufatti che oggi hanno perso del tutto o quasi la configurazione volumetrica e spaziale originale. Ancora ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, per promozione si intende la diffusione della conoscenza del patrimonio culturale3: essa quindi ricomprende sia la comunicazione che la sensibilizzazione, intese come l’insieme delle attività formative e di aggiornamento, dei connessi percorsi didattici e della predisposizione di materiali e sussidi audiovisivi, destinati a favorire la fruizione e, conseguentemente, ad innalzare la consapevolezza delle popolazioni residenti e dei turisti verso il patrimonio. Tutto questo è, quindi, sempre valorizzazione. In sostanza, tutte le funzioni gestionali che vertono intorno al Patrimonio culturale hanno come obiettivo ultimo e si riassumono nel campo della valorizzazione (Fig. 1). I processi di valorizzazione, come ormai acclarato da almeno due decenni, devono essere condotti secondo strategie mirate affinché i risultati siano maggiormente efficaci; devono quindi essere organizzati con riferimento a iter metodologici specifici e compatibili con il delicato settore del Patrimonio culturale4. Tra le esperienze più recenti condotte in Italia, maggiormente significative in tal senso, sono quelle relative ai siti iscritti o in iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale. È dall’Unesco che ci vengono 2 Art.

6 comma 2 del Codice. 119 del Codice. 4 Sulla valorizzazione integrata territoriale cfr.: P.A. Valentino, A. Misiani (a cura di), Gestione del patrimonio culturale e del territorio. La programmazione integrata nei siti archeologici nell’area euro-mediterranea, Carocci editore, Roma 2004; Ead., Le trame del territorio. Politiche di sviluppo dei sistemi territoriali e distretti culturali, Sperling & Kupfer editori, Milano, 2003. 3 Art.

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Figura 1. Processo di Valorizzazione del Patrimonio culturale. Schema analitico.

infatti criteri, parametri e anche metodologie di approccio sostenibile al patrimonio; riferimenti, questi, universali, così come sono di valore universale i beni per i quali sono stati elaborati, adattabili quindi a tutte le tipologie di patrimonio – da quello culturale, tangibile ed intangibile, a quello naturale –, così come alle espressioni di qualsivoglia civiltà, prescindendo dai possibili fattori contingenti legati al tempo o al luogo5. La Lista del Patrimonio Mondiale (LPM) è stata creata nel 1972 a seguito dell’adozione, da parte della Conferenza Generale degli Stati membri dell’Unesco, della “Convenzione sulla protezione del Patrimonio Culturale e Naturale mondiale”6. Attraverso questo trattato internazionale l’Unesco ha inteso stimolare tutti i Paesi ad assicurare la preservazione, la valorizzazione e la trasmissione del loro Patrimonio culturale e naturale, sostenendo altresì un’azione di sensibilizzazione delle popolazioni locali chiamate a partecipare alla conservazione dei 5 Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention (http://whc.unesco.org/archive/opguide08-en.pdf). 6 Convention concerning the Protection of the World Cultural and Natural Heritage (http://whc.unesco.org/en/convention text/).

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loro beni. Ad oggi la Convenzione del Patrimonio è stata ratificata da 187 Paesi e la Lista include 911 siti, di cui 704 a valenza culturale, 180 naturali e 27 misti7. L’ambito riconoscimento nella LPM si basa sull’individuazione del valore eccezionale universale di un bene – che sia un sito, un complesso, un monumento singolo –, valore che trascende i confini nazionali di uno Stato e che è importante per le generazioni presenti e future di tutta l’umanità; tale valore deve essere definito con riferimento ai criteri indicati dall’Unesco e ai requisiti di integrità ed autenticità8. L’Unesco richiede agli Stati membri di assicurare un adeguato sistema di protezione e gestione dei beni, tale da permettere che l’eccezionale valore universale, nonché le condizioni di integrità ed autenticità, che ne hanno reso possibile l’iscrizione nella Lista, non vengano meno, anzi siano mantenute e rafforzate ai fini della loro trasmissione alle future generazioni. Per far fronte a questa richiesta si prevede che, per ogni bene, venga elaborato un Piano di gestione, inteso come strumento necessario a definire e rendere operativo un processo di tutela e di sviluppo condiviso da tutti i soggetti interessati ed attuato attraverso adeguati accordi o altri mezzi di concertazione. Tale Piano deve prevedere altresì tutte le azioni che, a breve-medio e lungo termine, saranno poste in atto per tutelare, conservare, valorizzare e promuovere il bene; l’Unesco invita a fondare tali azioni sui criteri-valori di eccezionalità e sulle intrinseche qualità del bene9. Il Piano deve inoltre individuare il meccanismo o la struttura di gestione che garantirà il coordinamento e l’implementazione delle azioni programmate. Tale meccanismo o struttura si rivela particolarmente necessario per i beni definiti “seriali”, composti cioè da diverse componenti10. Il Ministero per i beni e le attività culturali da diversi anni è impegnato, insieme con i responsabili dei Siti italiani iscritti nella Lista, nella definizione della migliore metodologia da adottare per l’elaborazione dei Piani di gestione, anche in virtù dell’esigenza – sempre più sentita – di passare da una tutela meramente passiva del Patrimonio culturale 7 L’Italia, che ha ratificato la propria adesione alla Convenzione nel 1978, è oggi lo Stato che possiede il maggior numero di siti iscritti, con 45 tra città, monumenti singoli, aree archeologiche e paesaggi culturali e naturali. 8 Punti 77-95 delle Guidelines citate a nota 5. 9 Ivi, punti 108-118. 10 Ivi, punti 137-139.

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ad una tutela attiva, capace di coniugare le esigenze di conservazione dello stesso con le necessità di trasformazione indotte sui territori dalle dinamiche socio-economiche11. Non sto ad esporre tale metodologia in dettaglio, in quanto è stata sapientemente descritta dal collega architetto Manuel Roberto Guido anche nel Convegno Internazionale tenutosi proprio qui, alla Facoltà di Scienze della Comunicazione, sempre organizzato da Lucilla Rami12. Ricordo solo che, secondo tale metodologia, il Piano di gestione si pone come una pianificazione strategica che rende possibile un processo di sviluppo socio-economico sostenibile fondato sulla conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale. In tal senso si tratta di un piano di livello territoriale che si riferisce non ad un solo bene/sito, ma ad un più ampio contesto di riferimento; per questo motivo coniuga ed integra gli strumenti di tutela normativi e procedurali con tutte le pianificazioni esistenti, sia quelle di governo del territorio – piani paesaggistici, piani regolatori, ecc. – sia quelle inerenti l’aspetto puramente economico – piani di sviluppo –, ponendosi quindi come uno strumento sovraordinato di concertazione13. Per l’attuazione delle azioni/progetti che costituiscono il nerbo del Piano di gestione (azioni programmate sulla base di analisi mirate – analisi conoscitive sulle risorse patrimoniali e analisi socio-economica territoriale – ed articolate in piani settoriali – relativi a: conoscenza, tutela e conservazione, valorizzazione, promozione-sensibilizzazione, 11 M.R. Guido, Piani di gestione dei siti Unesco. Struttura e metodologia, in L. Rami Ceci (a cura di), Turismo e sostenibilità. Risorse locali e promozione turistica come valore, Armando, Roma, 2005, pp. 285-298; “Linee Guida per la redazione e l’attuazione dei piani di gestione”, in P. Micoli, M.R. Palombi (a cura di), I siti italiani iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Piano di gestione e rapporto periodico, Atti della Seconda Conferenza Nazionale Paestum 25-26 maggio 2004, Villanova Monferrato, 2005; A.M. Ferroni, “Progetto di definizione per la realizzazione dei Piani di Gestione dei siti Unesco”, in Dossier studi. Strumenti per il Sud, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Roma, 2006, pp. 130-145; A.M. Ferroni, Avvio operativo del Piano di Gestione del sito Unesco Le città tardo barocche del Val di Noto, ivi, pp. 146-167. 12 Convegno Internazionale “Turismo e sostenibilità. Il ruolo dell’antropologo nella valorizzazione e tutela dei beni culturali ed ambientali”, dicembre 2004; per l’intervento di M.R. Guido vedi nota 11. 13 Il Piano di gestione non è stato comunque ancora formalmente riconosciuto in Italia tra gli strumenti di pianificazione, ma esso è previsto obbligatoriamente per i siti iscritti nella LPM ai sensi della Legge 20 febbraio 2006, n. 77, “Misure speciali di tutela e fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella lista del patrimonio mondiale, posti sotto la tutela dell’Unesco”.

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sviluppo socio-economico), è necessario individuare gli strumenti operativi più idonei, nonché definire un sistema di monitoraggio efficace, basato su indicatori chiave costruiti sulla specifica situazione, atti a valutare lo stato di avanzamento degli obiettivi programmati nonché gli impatti e le ricadute culturali e socio-economiche sul territorio. Il processo gestionale individuato dall’Unesco per la conservazione del patrimonio culturale, definito metodologicamente a livello nazionale, può ritenersi valido non solo per i beni iscritti nella LPM, ma anche per tutti gli altri beni in cui si riconosce un interesse culturale. Ancora ai sensi della legge italiana di tutela «i beni culturali sono le cose immobili e mobili che… presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate …quali testimonianze aventi valore di civiltà»14. In sostanza, in tutti i casi di intervento sui beni culturali possiamo trovare le modalità operative più idonee applicando le indicazioni che ci vengono dall’Unesco. Qualsiasi forma di presentazione, quindi, di musealizzazione, promozione, comunicazione, deve rispondere alle domande: che cosa sto presentando?, che cosa musealizzo?, cosa promuovo?, cosa comunico? E la risposta logica, quella che mi suggerirà le soluzioni più corrette, sarà: non manufatti, monumenti, ruderi, siti, territori, quanto piuttosto “oggetti o luoghi della memoria” e, di conseguenza, storia, tradizioni, senso identitario. In sostanza le modalità troveranno il giusto presupposto sui “valori” immateriali insiti nei beni materiali oggetto dell’intervento, quei valori da cui discende l’importanza culturale degli stessi. La metodologia messa a punto per i Piani di gestione dei siti Unesco costituisce dunque un modello universale, che può essere utilmente messo in atto nelle situazioni più varie, adattando solamente le strategie individuate per il raggiungimento degli obiettivi alla realtà culturale su cui si deve operare. Essa è quindi applicabile ad uno o più beni immobili, come ad uno o più siti anche distanti tra di loro, purché legati da un filo conduttore, riconducibili cioè ad una stessa “memoria comune”. Il caso dei siti longobardi inseriti nella candidatura in atto per l’iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale costituisce in tale ottica un esempio di network particolarmente significativo. Sul territorio italiano sono presenti testimonianze della cultura longobarda di eccezionale va14 Art.

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2 del Codice dei Beni culturali e del paesaggio.


lore ed uniche, in quanto tale civiltà si è espressa in forme monumentali solo dal suo manifestarsi in Italia nel 568 d.C., mentre nei luoghi di provenienza (nord e centro-est europeo) le attestazioni delle loro produzioni artistiche sono relative ai soli oggetti di ornamento personale e di corredo d’armi. La candidatura risponde alla tipologia definita dall’Unesco come “sito seriale”, in quanto è composta da una serie di beni appartenenti allo stesso contesto storico-culturale15; tali beni sono però tipologicamente differenti l’uno dall’altro, in quanto trattasi di monumenti singoli, complessi architettonici (ospitanti, in alcuni casi, musei), edifici di culto e non, santuari, contesti urbani, aree archeologiche. In particolare sono compresi nella candidatura del Sito denominato “I Longobardi in Italia. I centri del potere (568-774 d.C.)” i seguenti beni: 1. a Cividale del Friuli (provincia di Udine) l’area della Gastaldaga con il cd. “Tempietto Longobardo” e il Complesso episcopale con i resti del Palazzo Patriarcale sottostanti il Museo Archeologico Nazionale; 2. a Brescia il monastero di S. Salvatore-S. Giulia, oggi sede del Museo della città; 3. a Castelseprio-Torba (Varese) l’area del castrum con la Torre di Torba e la chiesa extra-moenia di S. Maria foris portas; 4. a Spoleto la Basilica di S. Salvatore (Perugia); 5. a Campello sul Clitunno il Tempietto del Clitunno (Perugia); 6. a Benevento il complesso di S. Sofia con la chiesa e l’annesso chiostro, parte dell’abbazia che oggi ospita il Museo del Sannio; 7. a Monte S. Angelo (Foggia), il Santuario di San Michele. Tali beni, come evidente, sono variamente diffusi sul territorio italiano, situati in cinque regioni diverse nel nord, nel centro e nel sud dell’Italia (Fig. 2). Che cosa accomuna questi luoghi così distanti tra di loro? La riconducibilità ad uno stesso periodo storico – quello dell’Alto medioevo –, l’appartenenza ad una cultura comune – quella longobarda –, le caratteristiche di riconoscibilità date dalle forme architettoniche e decorative dei loro beni. Questi ultimi, in sostanza, rappresentano – ognuno per la propria tipologia specifica – il modello più significativo o quello più conservato tra le numerose testimonianze diffuse nel territorio nazionale e, nel loro insieme, rispecchiano l’universalità della cultura longo15

Punto 137 delle Guidelines.

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Figura 2. Diffusione dei siti longobardi in Italia.

barda al suo apice. Una cultura che dal recente dibattito storiografico è stata ampiamente rivalutata in funzione dei successivi sviluppi della civiltĂ europea, riconoscendole un ruolo fondamentale nell’ambito del 28


processo storico che caratterizzò l’età di transizione tra il mondo classico e quello medievale16. Una candidatura, quindi, anche molto attuale se consideriamo l’analogia tra il nostro periodo storico, che vive un importante fenomeno di immigrazione dai Paesi Terzi, e quello dell’Italia del VI secolo, che vide le genti “barbare” dei Longobardi stanziarsi in un territorio ancora forte della tradizione ellenistico-romana – dominato dalla Chiesa di Roma e dai Bizantini – e produrre una cultura nuova, originale, capace di lasciare segni profondi e permanenti nei successivi 1000 anni d’Europa. Tornando al nostro tema, nelle testimonianze materiali e immateriali del portato storico, del lascito che dalla civiltà longobarda ci perviene – nell’arte, nella lingua, nel diritto, nella religione cristiana, così come in numerosi altri aspetti – si possono individuare quei valori comuni su cui si sono fondati i progetti e le azioni che sono state previste nel Piano di gestione elaborato per l’iscrizione del Sito nella LPM17. Tali valori possono essere riconosciuti nella fondamentale funzione storica svolta dai Longobardi nell’ambito della cruciale fase di transizione al mondo medievale e nel sincretismo culturale da essi operato integrando e fondendo le loro esperienze originarie alto-germaniche con le antiche e profonde tradizioni che trovarono in Italia – quella romana e bizantina – e con gli apporti di aree mediterranee ed orientali. Alla luce di quanto sopra, gli indirizzi seguiti per l’elaborazione del Piano di gestione per la rete dei siti longobardi possono essere sintetizzati in tre punti fondamentali: 9 formulare progetti di rete basati sulla comune matrice culturale dei luoghi coinvolti, per valorizzare le numerose potenziali16 La letteratura in merito è assai ampia; si rimanda quindi agli studi più recenti comprensivi della bibliografia precedente: C. Bertelli, G.P. Brogiolo (a cura di), Il futuro dei Longobardi. L’Italia e la costruzione dell’Europa di Carlo Magno, Catalogo della mostra, Brescia, Monastero di Santa Giulia, 18 giugno-19 novembre 2000, Milano, 2000; AA.VV., I Longobardi dei ducati di Spoleto e Benevento, in «Atti del XVI congresso internazionale di Studi sull’Alto Medioevo» (Spoleto 20-23 ottobre – Benevento 24-27 ottobre 2002), Spoleto, 2003; S. Gasparri (a cura di), Il Regno dei Longobardi in Italia. Archeologia, società, istituzioni, Spoleto, 2004; AA.VV., Le leggi dei Longobardi. Storia, memoria e diritto di un popolo germanico, Roma, 2005; G.P. Brogiolo, A. Chavarria Arnau (a cura di), I Longobardi dalla caduta dell’impero all’alba dell’Italia, Catalogo della mostra, Torino, Palazzo Bricherasio, 28 settembre 2007 - 6 gennaio 2008, Milano, 2007. 17 Sulla candidatura cfr.: A.M. Ferroni, Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. La candidatura del Sito “Italia Langobardorum. Centri di potere e di culto (568-774 d.C.)”, in «Forum Iulii» XXXI (2007), 2008, pp. 157-169.

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tà insite nei diversi territori e per innalzare la conoscenza e la sensibilizzazione nei confronti del patrimonio, promuovendo al contempo processi di sviluppo; 9 rafforzare le attività di conoscenza, conservazione e promozione già in atto sui singoli luoghi, per elevare il livello di valorizzazione e fruizione delle risorse territoriali, incrementando i benefici per la popolazione residente derivanti dalla presenza di tali risorse; 9 garantire la partecipazione a tale processo di sviluppo delle comunità locali, sostenuta dal rafforzamento delle identità sociali che esse esprimono. Scendendo la scala della programmazione, ricordo solo alcune previsioni del Piano di gestione: per quanto concerne la conoscenza: azioni finalizzate ad approfondire ed aggiornare i saperi sui singoli monumenti/manufatti, come sulla civiltà longobarda nel suo insieme, attuate anche a livello di rete “allargata”, comprendente non solo i luoghi italiani non inseriti nella candidatura, ma anche quelli posti nel cosiddetto “Corridoio geo-culturale europeo” che include i diversi Paesi che dal nord all’est dell’Europa sono stati interessati dalla lunga migrazione dei Longobardi; per quanto concerne la valorizzazione: azioni mirate a garantire la massima accessibilità dei luoghi e dei contenuti culturali (accessibilità estesa a categorie di visitatori con disabilità permanenti e temporanee), da attuarsi anche mediante la creazione di itinerari di visita tematici lungo i percorsi di migrazione e di stanziamento dei Longobardi (in Italia e all’estero); ▪ per quanto concerne la promozione: azioni di formazione e informazione estese alle varie tipologie di residenti e visitatori, sostenute anche dall’uso dei sistemi tecnologici più avanzati18. In merito alla promozione/comunicazione vorrei ricordare in particolare che, oltre ai numerosi eventi organizzati sui singoli luoghi, per ben tre anni la Rete dei Longobardi ha partecipato al BIT, la 18

Per quanto riguarda la Rete vorrei citare l’aggiornamento e il potenziamento del sito web www.italialangobardorum.it, che si pone sempre più strategico sia per un’informazione verso l’utenza esterna, sia per la comunicazione e il continuo aggiornamento tra i partner; il sito web accoglierà inoltre a breve i data-base che si stanno costruendo per sistematizzare i dati delle azioni conoscitive sul patrimonio longobardo.

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Figura 3. Materiali pubblicitari della “Rete dei Longobardi” presentati al BIT (Borsa Italiana del Turismo) a Milano.

Borsa del Turismo che si svolge a Milano, presente in più stand con i materiali pubblicitari appositamente predisposti (Fig. 3). Per quanto riguarda gli aspetti socio-economici: le azioni mirano a valorizzare e riqualificare le tradizioni e i saperi, le produzioni di qualità tipiche dei territori (produzioni agroalimentari, enogastronomiche, artigianali), la riqualificazione e l’eventuale potenziamento delle strutture e dei servizi di ospitalità, il potenziamento del sistema infrastrutturale, la riqualificazione e l’aggiornamento delle risorse umane interne alla rete, la formazione e promozione di nuova imprenditoria e imprese dedicate, la promozione di attività economiche innovative. Come già sottolineato, le 523 azioni/progetti contenuti nel Piano di gestione del sito I Longobardi in Italia. I centri del potere (568-774 d.C.) sono riferiti ai singoli beni inseriti nella candidatura, ai territori che li ospitano e – per alcune tematiche di valorizzazione – ad una rete più estesa sul territorio nazionale e oltre. La matrice comune longobarda costituisce lo sfondo uniforme e condiviso su cui si articolano le ini31


ziative, ma non va dimenticato che sono anche le differenze locali che rafforzano il tutto. In un sistema di valorizzazione integrata territoriale, qual è quello della Rete longobarda, infatti, la “competitività” tra i singoli elementi in gioco è fondamentale per innescare e sostenere i processi di sviluppo; nel caso specifico tale competitività è data non solo dalle specificità che ogni singolo territorio di riferimento esprime in termini di risorse endogene e strumentali, ma anche dalle connotazioni che distinguono gli stessi beni longobardi compresi nella candidatura. Tali beni, di fatto, pur nella loro uniformità culturale – segno di una chiara unitarietà di intenti determinata dalla necessità di legittimazione delle élite longobarde di fronte alle popolazioni autoctone –, si differenziano comunque l’uno dall’altro per alcuni caratteri distintivi; tali caratteri, che si estrinsecano nell’eterogeneità degli esiti artistici, sono testimonianza della volontà di autoaffermazione dei singoli duchi longobardi, che si vollero distinguere l’uno dall’altro anche in virtù delle loro diverse identità etniche e culturali (Foto 4). Il lavoro in rete, che permette di conferire maggiore efficacia ai risultati dei progetti programmati19, consentendo inoltre notevoli economie di scala, viene garantito dall’azione di coordinamento e monitoraggio svolto dalla Associazione Italia Langobardorum, la struttura di gestione dedicata cui partecipano le istituzioni e gli enti pubblici e privati coinvolti nella candidatura20. In merito vorrei sottolineare che la partecipazione dei numerosi, diversi soggetti si attua in base ai cri19 Ad oggi sono stati completati quasi il 36% dei progetti del Piano di gestione, la cui attuazione è stata avviata nel 2008, e il 36% è operativo. 20 La candidatura del sito I Longobardi in Italia. I centri del potere (568-774 d.C.), coordinata dall’Ufficio Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco, vede il coinvolgimento di numerose istituzioni ed enti pubblici e privati. In particolare, oltre al Ministero per i Beni e le Attività Culturali (presente con 5 Direzioni Regionali per il Friuli Venezia Giulia, per la Lombardia, per l’Umbria, la Campania e la Puglia, e ben 16 Soprintendenze territoriali, competenti per le province in cui si trovano i beni selezionati), partecipano all’iniziativa: 5 Regioni (Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Umbria, Campania, Puglia), 6 Province (Udine, Brescia, Varese, Perugia, Benevento, Foggia), 8 Comuni (Cividale del Friuli, Brescia, Castelseprio, Gornate Olona, Spoleto, Campello sul Clitunno, Benevento, Monte Sant’Angelo), 4 enti ecclesiastici (la Parrocchia di S. Maria Assunta di Cividale, le Arcidiocesi di Spoleto e Norcia e quella di Benevento, la Basilica di San Michele Arcangelo), l’Ente Parco Nazionale del Gargano, 2 Comunità Montane (dei Monti Martani e del Serano e del Gargano), la Fondazione CAB - Istituto di Cultura Giovanni Folonari, il FAI - Fondo per l’Ambiente Italiano, ed anche i due maggiori centri di studi esistenti in Italia relativamente al periodo in esame, il CISAM - Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo e il Centro di Studi Micaelici e Garganici.

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Foto 4. Beni artistici, architettonici, culturali appartenenti alla “Rete dei Longobardi� in Italia.

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teri di sussidiarietà e cooperazione che caratterizzano le linee generali dell’azione politica dell’Unione Europea. Va considerato che la Rete dei siti longobardi avrebbe potuto presentare importanti criticità, soprattutto a causa della complessità della situazione politica italiana; al contrario le potenziali problematiche sono state superate in virtù dell’entusiasmo, della partecipazione e della collaborazione posta in essere dai vari stakeholders che hanno saputo superare le differenze ideologico-politiche, uniti dai comuni obiettivi di sviluppo sostenibile legati alla promozione della cultura longobarda. L’eccezionalità di questa esperienza, che può costituire un modello virtuoso di rete per la valorizzazione integrata del Patrimonio culturale, consiste nell’aver prodotto – attraverso la stesura, l’adozione e l’applicazione del Piano di gestione – uno strumento di sviluppo sostenibile che si pone al di sopra dei particolarismi locali. Questa è la forza propria del Piano di gestione, che può sviluppare i suoi effetti positivi, con importanti livelli di integrazione fra il settore culturale ed il settore socio-economico, anche in funzione di significative cooperazioni transnazionali. Bibliografia AA.VV., I Longobardi dei ducati di Spoleto e Benevento, in «Atti del XVI congresso internazionale di Studi sull’Alto Medioevo» (Spoleto 20-23 ottobre – Benevento 24-27 ottobre 2002), Spoleto 2003. AA.VV., Le leggi dei Longobardi. Storia, memoria e diritto di un popolo germanico, Viella, Roma, 2005. Bertelli C., Brogiolo G.P. (a cura di), Il futuro dei Longobardi. L’Italia e la costruzione dell’Europa di Carlo Magno, Catalogo della mostra, Brescia, Monastero di Santa Giulia, 18 giugno-19 novembre 2000, Milano, 2000. Brogiolo G.P., Chavarria Arnau A. (a cura di), I Longobardi dalla caduta dell’impero all’alba dell’Italia, Catalogo della mostra, Torino, Palazzo Bricherasio, 28 settembre 2007-6 gennaio 2008, Milano 2007. Ferroni A.M., Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. La candidatura del Sito “Italia Langobardorum. Centri di potere e di culto (568-774 d.C.)”, in «Forum Iulii», XXXI (2007), 2008, pp. 157169. 34


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