Artapp15 La Donna

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La donna EDITORIALE di Edoardo Milesi

ArtApp Numero quindici - Anno VI Registrazione al Tribunale di Bergamo del 29/01/2009 n. 3/2009

Se le persone non trovano ciò che desiderano, si accontentano di desiderare ciò che trovano. Guy Debord

Direzione, Redazione, Amministrazione Via Valle del Muto, 25 24021 Albino (Bg) - Italy T +39 035 772 499 redazione@archos.it www.artapp.it Direttore editoriale Edoardo Milesi

Volti di donna. Stencil, vernice spray su intonaco. MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove, Roma

Direttore responsabile e Art Director Aurelio Candido Coordinamento editoriale Laura Cavalieri Manasse Coordinamento redazionale Elena Cattaneo Impaginazione e grafica Cristian Carrara Comitato scientifico Massimo Agus, Sonia Borsato Barbara Catalani, Arialdo Ceribelli Giovanni Cutolo, Donato Di Bello Marco Del Francia, Paola Di Giuliomaria Alessandra F. Ferrari, Salvatore Ligios Saverio Luzzi, Gianriccardo Piccoli Michelangelo Pistoletto, Carlo Pozzi Dominique Robin, Ilaria Rossi Doria Silvana Scaldaferri, Elisabeth Schneiter Benno Schubert, Sandra F. Semerano Michele Tavola, Ettore Vadini Hanno collaborato a questo numero Sonia Borsato, Marta Cattarini Laura Cavalieri Manasse, Marta Coccoluto Matteo Colleoni, Amalia Conte Bianchi Marzio Dall’Acqua, Sandra Maria Dami Marco Del Francia, Maria Gabriella Frabotta Giordano Gasperoni, Sabrina Lanzi Silvia Lombardi, Saverio Luzzi Luigi Mangia, Matter of Stuff Stefano Mavilio, Alberto Mazzocchi Giuditta Mitidieri, Carlotta Monteverde Silvia Osio, Mariachiara Persico Carlo Pozzi, Lucio Rosato, Ilaria Rossi Doria Crediti fotografici ANSA, ATIR Teatro Ringhiera Biblioteca Accademia Barilla - Parma Aniko Boehler, Aurelio Candido Centro Studi & Archivio Antonio Ligabue Didier Descouens, Nelly Dietzel Nikolay Doychinoav, Michel Durigneaux Alfred Eisenstaed, Ilaria Franchini Getty Immages, ITOPF, Ali Jarejki, Kirsteen Laing Art Gallery, Sara Marin Nafas Marrakech, Slagheap Morgan Terry Munson, Emanuele Piccardo Gianfranco Rota, Jonathon Rosen Studio Giorgio Sottile, Summit Foundation, U.S. Navy, Jennifer Susan Walters Traduzioni Franca Pauli e Nabila Yakub per MyTalk Ltd Stampa EUROTEAM ADVANCED PRINTING Via Verdi, 10 - Nuvolera (Bs) © 2015 edizioni|archos È vietata la riproduzione totale o parziale del contenuto di questa rivista senza l’autorizzazione dell’Editore

N

el numero sulla donna avremo tante voci femminili, ma non perché lo vogliamo, semplicemente perché le donne, anche se sono certamente in minoranza rispetto agli uomini nel mondo della letteratura, della musica classica, del teatro, della fotografia, del cinema, dell’arte in genere, hanno molte più cose da raccontare rispetto agli uomini e questo probabilmente perché affidano alle parole, alla scrittura, al sogno quello che non osano esprimere con la propria vita. Ma è una prerogativa della donna quella di essere palesemente complementare alla figura maschile o una caratteristica femminile? È innegabile che, al di là delle teorie ormonali, alcuni ruoli di indiscutibile prerogativa della donna (fecondazione, gravidanza, parto, allattamento) influenzano lo sviluppo cognitivo, sociale e comportamentale di entrambi. Ma è altrettanto evidente come la donna, da sempre, venga punita dall’uomo che la insegue creando attorno a lei pregiudizi e ostacoli, innumerevoli tabù sessuali che evidenziano solo l’inevitabile debolezza maschile nel controllare le “bramosie d’amore” della femmina, al punto da svalutare del tutto il sesso mediante il celibato.

Margaret Mead ipotizza che molte attività maschili, non solo i riti liturgici e quelli d’iniziazione, siano una forma di compensazione all’impossibilità di generare. È così che si spiega l’ansia maschile nell’inseguire prestigio in ogni attività, quasi un bisogno assoluto di superare la donna, frustrato dall’essere costretto a surrogare con forme diverse, spesso rabbiose e violente, il più alto atto creativo che solo la donna con la maternità riesce a compiere. Riservando solo per sé le attività religiose e di culto, vuole, in questo modo, pareggiare i conti con quanto considera veramente sacro: gravidanza e parto. Un bisogno di affermazione e di successo anche nelle attività che, se esercitate dalla donna, perdono immediatamente di importanza come il cucinare o il cucire. La romanziera Eva Figes, nel suo libro Il posto della donna nella società degli uomini (Feltrinelli 1970), inizia scrivendo: “La donna è stata creata dall’uomo (...) la visione maschile della donna non è obiettiva, ma è la combinazione imbarazzante di ciò che l’uomo desidera che la donna sia e di ciò che teme che sia (…)”. I sistemi politici ed economici, le religioni e le rivoluzioni deformano la nostra vita, le nostre aspirazioni, i nostri sogni, ma i trattati maschili sulla donna da Sant’Agostino a Milton, da Rousseau a Freud, da Schopenhauer a Fichte sono deliberatamente finalizzati a plasmarla e rimodellarla secondo modelli utili all’uomo.


Un mare di lotte, di guerre, di popoli che hanno combattuto tra loro per poi dare vita a sintesi artistiche, culturali, architettoniche in grado di lasciare il segno dell’eternità Simone de Beauvoir nel suo Secondo sesso (pubblicato in Francia nel ’49 e in Italia nel ’61) prende pacatamente atto che “non si nasce, ma si diventa donna; è la civilizzazione che produce questa creatura”. In tal senso, il danno della psicanalisi freudiana è grandissimo e non tanto per le false verità sull’inferiorità della donna e sul culto della femminilità, quanto nell’incoraggiare un conformismo che nonostante i vari pensieri post-strutturalisti, le svariate correnti lacaniane di psicoanalisi, i movimenti femministi, fatica a sradicarsi dai nostri comportamenti forse perché «gli uomini e le donne fanno più o meno quello che gli altri si aspettano che facciano e reclamano quei diritti che gli è stato insegnato desiderare» (Eva Figes). Ma è vero che le donne sono state passivamente confezionate dall’uomo o è verosimile che sia avvenuto anche l’esatto contrario? E quanto la donna è responsabile del suo stato di sudditanza e di inferiorità visto che in fondo è lei che cresce i suoi figli maschi e non si può dire che su di essi non abbia sufficiente ascendente. Difficile comunque crederlo visto che non c’è alcun dubbio che da sempre il criterio dominante nell’organizzazione delle culture favorisce gli uomini rispetto alle donne. Molto evidente nel mondo dell’arte dove le opere delle donne sono considerate dal mercato e dai collezionisti meno appetibili rispetto a quelle degli uomini. Del resto è così anche per gli artisti neri e questo fa molto pensare. Il numero di ArtApp sulla Donna tuttavia non vuole declinarne il tema solo nel rapporto tra la femmina e il maschio, bensì della donna come protagonista del mondo della cultura e dell’arte, anche se è difficile affrontare l’argomento senza avventurarsi nel femminismo, nel suo retrogusto amaro di contrasti o di rinnovati rapporti di coppia e di famiglia. Ma del resto anche l’arte maschile è costantemente ispirata e condizionata dai suoi rapporti con l’altro sesso. E poi il femminismo e il maschilismo sono tematiche esclusivamente femminili

e maschili o trascendono decisamente la distinzione di genere? Peggy Phelan, teorica femminista e critico d’arte, ci insegna che «(...) la razionalità permette di creare categorie mentre l’arte fornisce i mezzi per resistere a esse». Concludo con un elenco di nomi presi a caso tra le tantissime donne che nella storia e nel contemporaneo hanno influenzato e influenzano la nostra cultura e il nostro modo di vivere: Frida Kahlo, Marie Curie, Rita Levi Montalcini, Tamara de Łempicka, Artemisia Gentileschi, Maria Callas, Eleonora Duse, Grazia Deledda, Simone de Beauvoir, Caroline Norton, George Eliot, Maggie Tulliver, Florence Nightingale, Charlotte Brontë, Hannah Arendt, Sofonisba Anguissola, Greta Garbo, Brigitte Bardot, Agatha Christie, Marlene Dietrich, Tina Modotti, Oprah Winfrey, Anna Magnani, Sophia Loren, Janis Joplin, Ella Fitzgerald, Gertrude Stein, Anna Frank, Carla Fracci, Peggy Guggenheim, Marina Abramović, Niki de Saint Phalle, Louise Bourgeois, Saffo, Marilyn Monroe, J. K. Rowling, Elsa Morante, Lina Wertmüller, Nilde Iotti, Kathryn Bigelow, Franca Rame, Pina Bausch, Rosa Luxenburg, Sarah Bernard, Karen Blixen, Emmeline Pankhurst, Mary Wollstonecraft, Virginia Woolf, Teresa di Calcutta, Geltrude Comensoli, Gae Aulenti, Mary Shelley, Zaha Hadid, Angela Merkel, Rigoberta Menchú Tum, Ellen Johnson Sirleaf, Leymah Roberta Gbowee, Tawakkol Karman, Christine Lagarde, Hillary Rodham Clinton, Indira Gandhi, Madonna (Maria Louise Ciccone), Julija Tymošenko, Édith Piaf, Juliette Gréco, Germaine Greer, Anaïs Nin, Jane Austen, Emily Brontë, Wisława Szymborska, Diane Fossey, Margherita Hack, Emily Dickinson, Vittoria Colonna, Oriana Fallaci, George Eliot (Marie Anne Evans), George Sand (Amandine Aurore Lucile Dupin), Dora Maar, Käthe Kollwitz, Audrey Hepburn, Sara Simeoni, Anna Bolena, Evita Perón, Katharine Hepburn, Ada Lovelace, Anna Maria Mozzoni, Harriet Beecher Stowe, Benazir Bhutto,

WOMEN If people don’t find what they want, they make do with wanting what they find. Guy Debord

I

n this issue on women, we will have many female voices, not because that is what we want, but simply because women, despite their definitely being less in number compared to men in the world of literature, classical music, theatre, photography, cinema or art in general, have much more to say than men, probably because they express in words, writing and dreams everything they do not dare to express with their own lives. However, is it a woman’s prerogative to manifestly be complementary to the male figure or is it a female characteristic? It is undeniable that, aside from the hormone theory, some roles that are unquestionably female prerogatives (fecundation, pregnancy, childbirth, breastfeeding) influence the cognitive, social and behavioural development of both. But it is just as clear how women have always been punished by the men who follow them, creating around them preconceptions, obstacles and uncountable sexual taboos that only highlight the inevitable male weakness in controlling their “appetite for love” for the female sex, to the extent of completely debasing the gender through celibacy. Margaret Mead suggests that many male activities, not just liturgical and initiation rites, are a form of compensation for their inability to generate. That is how the male anxiety in pursuing prestige in all activities is explained, almost an absolute need to surpass women, frustrated by being forced to surrogate in various ways, often angry and violent, the highest creative deed that only a woman through maternity can achieve. By reserving all religious and cult activities to themselves only, they aim at evening the score with what they consider as truly sacred: pregnancy and childbirth. A need for assertion and for success even in activities that, when exerted by a woman, immediately lose their importance, such as sewing and cooking. The fiction writer Eva Figes, in her book called “Patriarchal Attitudes: Women in Society”, begins by writing: “Woman' in the past has been largely manmade. (...) The male view of women is not objective, but the embarrassing combination of what men want women to be and what they fear they are”. Political and economic systems, religions and revolutions deform our lives, our aspirations, our dreams, but the male treaties on women, from St. Augustine to Milton, from Rousseau to Freud, from Schopenhauer to Fichte, deliberately aim at moulding and remodelling them according to models that are useful to men. In “Second Sex”, (published in France in 1949 and in Italy in 1961), Simone de Beauvoir placidly acknowledges that “you are not born a woman, you become one; it is civilization that produces this creature”. In this sense, Freudian psychoanalysis has been extremely destructive, not so much in its false truths regarding women’s inferiority and the worship of femininity, but rather in its encouraging a conformism which, despite the various poststructuralist trains of thought, the different Lacanian currents of psychoanalysis and the feminist movements, is difficult to eradicate from our behaviour, perhaps because ”men and women do more or less what others expect them to do and demand the rights they have been taught to desire” (Eva Figes). But is it true that women have been passively packaged by men or could it be that the exact opposite has also occurred? And how much are women responsible for their subjection and inferiority, given that at the end of the day it is she who brings up her male children and one cannot say she is not sufficiently influential over them?


Caterina la Grande, Cleopatra d’Egitto, Coco Chanel, Elisabetta I Tudor, Eleanor Roosevelt, Mata Hari, Margaret Thatcher, Maria Montessori, Rachel Carson, Regina Vittoria, Martha Graham, Giovanna d’Arco, Golda Meir, Elena Lucrezia Corner Piscopia, Dorothy Hodgkin, Aung San Suu Kyi, Melinda Gates, Renata Tebaldi, Elena Giannini Belotti, Lea Pericoli, Mirella Freni, Natalia Ginzburg, Rozsika Parker, Emma Goldman, Judith Butler, Marta Rosler, Griselda Pollock, Luce Irigaray, Julia Kristeva, Audre Lorde, Meret Oppenheim, Judy Chicago, Ana Mendieta, Leslie Labowitz-Starus, Miriam Schapiro, Susan Hiller, Eva Hesse, Chantal Akerman, Emily Kame Kngwarreye, Renée Green, Tracey Moffatt, Laura Cottingham, Melinda Gates, Ellen DeGeneres, Sheila Bair, Indra Nooyi, Ellen Kullman, Angela Braly, Anne Lauvergeon, Lynn Elsenhans, Cynthia Carroll, Ho Ching, Anne Mulcahy, Wu Yi, Sallie Krawcheck, Patricia Woertz, Brenda Barnes, Zoe Cruz, Gloria Macapagal-Arroyo, Margaret Whitman, Sallie Krawcheck, Sandra Day O’Connor, Ruth Bader Ginsburg, Megawati Sukarnoputri, Carly Fiorina…

In copertina: Andrea Mastrovito Quando un uomo mente uccide un pezzo di mondo. «Il titolo è ripreso da una celebre frase di Cliff Burton. Il collage parla delle relazioni tra uomo e donna, e ricordo benissimo che lo finii esattamente la sera in cui finì anche la mia storia con la mia ragazza dell'epoca, una storia lunga anni ed anni ma ormai stanca e non più sincera. Quel pezzo fu una sorta di liberazione, quando entrambi lo vedemmo finito capimmo al volo che era finita anche tra noi». 2011, collage e acrilico su carta e tela, 150 x 110 cm - collezione privata. www.andreamastrovito.com

It is in any case difficult to believe since there is no doubt that the dominating criterion in the organisation of cultures favours men over women. This is very obvious in the art world, where works by women are considered by the market and by collectors as less appealing compared to those by men. After all, this is also true for black artists, and this certainly makes for food for thought. ArtApp’s issue on Women, however, does not aim at investigating the theme only as regards the relationship between male and female, but as women as protagonists in the world of culture and art, despite it being difficult to discuss the matter without venturing into feminism, in its bitter aftertaste of contrasts and renewed relationships between couples and family. After all, even male art is constantly inspired and conditioned by its relations with the other sex. And again, are feminism and chauvinism exclusively female and male themes, or do they decisively transcend the distinction of gender? Peggy Phelan, feminist theorist and art critique, teaches us that “(…) rationality makes it possible to create categories, while art provides the means to resist them”. Allow me to conclude with a list of names chosen randomly from amongst the many women who, in history and the modern day, have influenced and influence our culture and lifestyle: Frida Kahlo, Marie Curie, Rita Levi Montalcini, Tamara de Łempicka, Artemisia Gentileschi, Maria Callas, Eleonora Duse, Grazia Deledda, Simone de Beauvoir, Caroline Norton, George Eliot, Maggie Tulliver, Florence Nightingale, Charlotte Brontë, Hannah Arendt, Sofonisba Anguissola, Greta Garbo, Brigitte Bardot, Agatha Christie, Marlene Dietrich, Tina Modotti, Oprah Winfrey, Anna Magnani, Sophia Loren, Janis Joplin, Ella Fitzgerald, Gertrude Stein, Anna Frank, Carla Fracci, Peggy Guggenheim, Marina Abramović, Niki de Saint Phalle, Louise Bourgeois, Saffo, Marilyn Monroe, J. K. Rowling, Elsa Morante, Lina Wertmüller, Nilde Iotti, Kathryn Bigelow, Franca Rame, Pina Bausch, Rosa Luxenburg, Sarah Bernard, Karen Blixen, Emmeline Pankhurst, Mary Wollstonecraft, Virginia Woolf, Mother Teresa of Calcutta, Geltrude Comensoli, Gae Aulenti, Mary Shelley, Zaha Hadid, Angela Merkel, Rigoberta Menchú Tum, Ellen Johnson Sirleaf, Leymah Roberta Gbowee, Tawakkol Karman, Christine Lagarde, Hillary Rodham Clinton, Indira Gandhi, Madonna (Maria Louise Ciccone), Julija Tymošenko, Édith Piaf, Juliette Gréco, Germaine Greer, Anaïs Nin, Jane Austen, Emily Brontë, Wisława Szymborska, Diane Fossey, Margherita Hack, Emily Dickinson, Vittoria Colonna, Oriana Fallaci, George Eliot (Marie Anne Evans), George Sand (Amandine Aurore Lucile Dupin), Dora Maar, Käthe Kollwitz, Audrey Hepburn, Sara Simeoni, Anne Boleyn, Evita Perón, Katharine Hepburn, Ada Lovelace, Anna Maria Mozzoni, Harriet Beecher Stowe, Benazir Bhutto, Catherine the Great, Cleopatra, Coco Chanel, Elizabeth I Tudor, Eleanor Roosevelt, Mata Hari, Margaret Thatcher, Maria Montessori, Rachel Carson, Queen Victoria, Martha Graham, Giovanna d’Arco, Golda Meir, Elena Lucrezia Corner Piscopia, Dorothy Hodgkin, Aung San Suu Kyi, Melinda Gates, Renata Tebaldi, Elena Giannini Belotti, Lea Pericoli, Mirella Freni, Natalia Ginzburg, Rozsika Parker, Emma Goldman, Judith Butler, Marta Rosler, Griselda Pollock, Luce Irigaray, Julia Kristeva, Audre Lorde, Meret Oppenheim, Judy Chicago, Ana Mendieta, Leslie Labowitz-Starus, Miriam Schapiro, Susan Hiller, Eva Hesse, Chantal Akerman, Emily Kame Kngwarreye, Renée Green, Tracey Moffatt, Laura Cottingham, Melinda Gates, Ellen DeGeneres, Sheila Bair, Indra Nooyi, Ellen Kullman, Angela Braly, Anne Lauvergeon, Lynn Elsenhans, Cynthia Carroll, Ho Ching, Anne Mulcahy, Wu Yi, Sallie Krawcheck, Patricia Woertz, Brenda Barnes, Zoe Cruz, Gloria Macapagal-Arroyo, Margaret Whitman, Sallie Krawcheck, Sandra Day O’Connor, Ruth Bader Ginsburg, Megawati Sukarnoputri, Carly Fiorina…

LETTERA

al direttore

C

aro Edoardo, non posso scrivere un articolo che interessi su un tema così gigantesco che dovrebbe comunque essermi familiare per ovvie ragioni. Ma che ho da dire quando persone di cultura hanno sviscerato da tutti i punti l’argomento? Posso solo buttare giù qualche appunto da un osservatorio molto separato dalla vita attiva, dalla campagna in Toscana, dove la cultura attuale sembra lontanissima perché tutto è ancora profondamente ancorato alla storia contadina, ai valori della famiglia. Non conosco quindi i movimenti più attuali con le donne di punta nella cultura visiva o nell’architettura, mi viene solo in mente Zaha Hadid e i suoi edifici che francamente mi paiono molto ma molto “maschili” forti, massicci prepotenti. Ecco ho detto la parola che mi viene in mente da quando cerco di scriverti: stiamo parlando di maschi e femmine o di donne e uomini? Perché mi si intrecciano continuamente queste definizioni. Oggi si parla di “generi” parola che data la mia età faccio fatica ad amare così legata alle scuole elementari, ma divago. Mi sembra inoltre che attualmente non sia più importante parlare di donne e uomini, mi sembra che la scolarizzazione, la cultura in generale, l’accesso alle professioni, il ruolo politico stia portando uomini e donne sempre più vicini e simili e consapevoli, anche malgrado loro. Anche fisicamente: molto spesso è difficile capire chi è ragazzo o ragazza e questa non differenza è stata coltivata da anni dai creatori di moda che oggi sono gli unici veri potenti trend setters. Oddio, soprattutto in Italia quando ci si fa vecchie e non si ricorre a interventi la differenza c’è ancora e si vede ma non credo sia il futuro. La mia cultura e giovinezza è stata nel secolo scorso: il secolo delle Billie Holiday o delle Alda Merini che non potevano essere altro che donne, poetesse che hanno osato spudoratamente esprimere tutto quello che sentivano e sentivano da donne, con la dolcezza e il coraggio che nessun uomo sarebbe capace di fare. Ma nel cinema, nel secolo scorso, c’è stato anche un Ingmar Bergman che ha scavato e ritratto la donna con straordinaria acutezza e amore, con attrici donne fantastiche. Tu elenchi un bel numero di donne che hanno forse in comune una cosa: l’essere diventate famose e importanti ed eccezionali per loro imprese nel loro campo. Ma che hanno in comune Aung San Suu Kyi e Madonna? Forse nulla, forse l’ostinazione di non mollare mai, di non farsi prevaricare. Che sia questo il tema che accomuna tutte le donne, anche oggi? Confesso la mia inadeguatezza. Un caro saluto Ilaria Marvelli


S OM M ARIO ED IT ORIALE

ARTE FĂŠminin pluriel di Lucio Rosato

ANTROPOLOGIA

La donna selvaggia di Marta Cattarini

MUSICA

Muse ispiratrici nel pianismo romantico di Sabrina Lanzi

ARTE Femminile singolare o maschile plurale? di Carlotta Monteverde

28

FOT OG R AFIA Le donne di Pino di Marco Del Francia


11 | Variazioni

43 | Donne & ecologia di Saverio Luzzi

di Maria Gabriella Frabotta

56 | Perché cucinano da sempre, ma i grandi chef sono uomini

14 | Creativity and femininity di Matter of Stuff

di Silvia Lombardi

18 | Alla mia età mi nascondo ancora per fumare

S T OR IA

58 | Pietro Ghizzardi o dell’empatia

di Silvia Lombardi

di Marzio Dall’Acqua

26 | Monologo del mal di pancia

62 | Uno sguardo differente

di Giuditta Mitidieri

di Sandra Maria Dami

38 | La mobilità delle donne e per le donne

66 | la Signora del violoncello

...e il vescovo ordinò: uccidete Ipazia!

di Amalia Conte Bianchi

di Laura Cavalieri Manasse

di Matteo Colleoni

68 | Uomini e donne: stesso cervello? di Alberto Mazzocchi

70 | Architette del paesaggio di Ilaria Rossi Doria

72 | Paesaggi di genere di Giordano Gasperoni

85 | La donna anemica di Mariachiara Persico

88 | Libri

ARTE

MODA

Maria Lai. Desiderio di infinito

Le donne si innamorano della loro libertà

di Sonia Borsato

di Marta Coccoluto

P OESIA

DESIGN

Ti minaccerò con una colomba bianca

Design al femminile: Charlotte Perriand

di Laura Cavalieri Manasse

di Carlo Pozzi

ARTE

TEATRO

Il Maestro e le margherite

Give a girl the right shoes, and she can conquer the world

Storia romanzata di un visivo impenitente di Stefano Mavilio

Chiacchere fra Donne con Laura Curino di Silvia Osio


Creativity and femininity The portraits of Matthijs Holland by Matter of Stuff


Creativity and femininity, the subject seems very interconnected. What is your take on this? Creativity is a very emotional thing to me and it means to be very sensitive to your surroundings and trust your intuition. Emotionality, sensitivity and intuition are traits that are often seen as “feminine” or part of “feminine nature”. For me, creativity comes from the feminine spirit in myself. I don’t want to suggest that creativity is only for women, but I do think it comes from the feminine part in the human mind. With NormAll, you bring examples from the past to explain very contemporary issues, that of the state of gender. What is your view on the subject? The most disturbing and interesting thing about my NormAll timeline is that, in essence, it shows that the state of gender has hardly changed compared to these historical examples. As humans, we have expectations toward the future, giving for granted that we are constantly evolving for the better and that nowadays we are so much more advanced. However, the NormAll timeline shows that issues of centuries ago relating to gender are still very much a present concern. We can see a similarity between Hatshepsut and Hillary Clinton. Hatshepsut, who did the unthinkable and became the first female leader of the Egyptian empire, one of the most powerful nations at that time. Today we are facing a very similar issue when we relate to the USA Presidential Election, with Hillary Clinton as a potential first female president. The state of gender hasn’t changed that much because its perception has not really changed. Gender nowadays still is linked to male and female, instead of being seen as a fluid part of the human mind. Our sex defines our human body, but it doesn’t define our gender. The human mind possesses both the masculine and feminine spirit and it’s not divided in two clear boxes as our sex. With NormAll, I wanted to show how relevant each of their stories is and by that communicate that the state of gender hasn’t changed a lot since. I think in society we should switch our focus from sexes to gender, and put emphasis on its diversity and fluidity. By doing so, we could step away from boxes and get much closer to gender equality.

How did the feminist movements of the past century influence today’s art culture? Of course things can be changed and things have changed… I have good hopes for the future! In the past centuries, women and femininity were very present in art culture, but as the object of art, not as the creators. The feminist movement has had an impact on the contemporary art culture, with women becoming leading figures in the art culture and artists themselves. However, nowadays we still have a long way to go in gender equality in art culture. There is a lot of discrimination against women in various parts of the art culture and most scenes are still dominated by men. Women have conquered their rightful spot in the law, but we have to keep on fighting for gender equality so hopefully one day it will truly be equal.

Creatività e femminilità by Matter of Stuff

L

a mostra al Grand Palais di Parigi su Niki de Saint Phalle ha aperto una porta sull’incredibile mondo di una artista, una eroina, ma soprattutto una donna. In una intensa video intervista pronuncia: “La mia unica alternativa a essere una artista è quella di essere costantemente incinta. Sono ossessionata con la creazione” Cosa è la creatività per Niki de Saint Phalle? Per lei la creatività è una prerogativa tutta al femminile. Eppure tante poesie sono state scritte, quadri dipinti, e arte provocata da artisti uomini, la cui sensibilità ed emotività ha saputo trascendere ogni epoca, sesso e cultura. Anziché focalizzarci sulla donna, sarebbe opportuno considerare il soggetto della femminilità, un tratto più ambiguo e delicato in quanto appartiene sia agli uomini che alle donne… quel cromosoma X che è una costante in tutti noi. Sull’argomento femminilità abbiamo avuto una conversazione con Matthijs Holland, il cui progetto di laurea alla Eindhoven Design Academy è stato una serie di ritratti chiamata NormAll.

La tesi di Matthijs è quella che ogni sesso sia imbrigliato all’interno di norme sociali imposte, dove la mascolinità appartiene all’uomo e la femminilità alla donna. In questa visione, tutto ciò che rimane esterno a questa visione non appartiene più alla maggioranza, e provoca spesso reazioni di paura e opposizione. Le donne forti sono attaccate nella loro femminilità e gli uomini più sensibili non sono visti come “veri uomini”, mentre coloro che non si identificano nelle norme imposte dalla società devono trovare giustificazioni. Nonostante ciò, tra lo stereotipo di un uomo e quello di una donna vi è un grande spettro che gradualmente si amalgama ed esce al di fuori della norma. Questo accadde anche nella storia, dove persone di grande importanza storica si sono trovate al di fuori delle convenzioni sociali. La linea temporale espressa dai ritratti di Matthijs Holland mostra cinque personaggi storici esemplari che non si sono conformati alle norme imposte e alle aspettative della società.

Above: Portrait of Charlotte von Mahlsdorf by Matthijs Holland On the left page: Portrait of the Japanese actor Segawa Kikunojo III who was so feminine that he became the role model for Geisha’s, by Matthijs Holland


Monologo del mal di pancia Una giovane scrittrice racconta con disincanto e lucida allegria il “mal di pancia” delle donne di Giuditta Mitidieri

S

ono su un treno che corre piuttosto velocemente verso ovest, seduta al finestrino. Al di là del vetro scorrono rapidi paesaggi sfuocati e piatti, sta piovigginando. Davanti a me un signore distino, sulla quarantina, dall’affascinante volto affilato, legge con aria divertita un libro ingiallito. Ogni tanto scoppia in una risata piena, chiudendo gli occhi ed alzando le sopracciglia nere, perfettamente arcuate. Nella mia testa, nel frattempo, una coltre appannata di analgesici tiene a bada l’inferno. All’altezza del mio stomaco una bolla di nausea densa comprime i polmoni. Ho una serie di immagini: - il mio ventre è un nido di vipere che si sbranano tra loro; - tutti i miei organi interni si stanno sfaldando e il corpo si contorce per strizzarli fuori direttamente in mezzo alle mie gambe;

- una squadra di operai miniaturizzati ha deciso per qualche assurda ragione di stabilirsi nelle mie viscere e puntare cento micro martelli pneumatici contro le pareti del mio utero. Fottutissimo ciclo. Quando decide di farti impazzire, non è che tu possa fare molto di più che raggomitolarti da qualche parte e tentare di battere nuovi record di bestemmie e concorsi per l’improperio più fantasioso. Il mio non è vittimismo femminista dell’ultima ora, giuro. La mia è solo la constatazione che nella notte dei tempi qualcosa è andato storto nella distribuzione dei diritti e dei dolori. Dalla prima volta che l’ho vista, quella bastarda macchiolina rosa sulle mie mutandine di dodicenne, ho capito che c’era puzza di maledizione. Non poteva essere così, andiamo. Perché una bimba di dodici anni doveva essere costretta a portare quella tremenda ferita sanguinante che non

si rimarginava mai, mentre i suoi coetanei scoprivano candidamente le gioie delle prime polluzioni notturne? Quando ho perso la verginità, poi, ne ho avuto la certezza. Ma perché diavolo io dovevo soffrire come un cane, stringere i denti e aspettare che passasse, mentre lui veleggiava beota da un orgasmo a un altro? Era chiaro che qualcuno ci aveva fregate. Eva, tu sia maledetta, tu e la tua fottutissima voglia di mele. Non era meglio una fragola e la beatitudine eterna? Una macedonia e la pace dei sensi? Sei donna, lo capisco, la perfezione edenica alla lunga ti stufava, volevi andare a curiosare un po’ nel dolore. Ma credimi, Eva, avresti docilmente ripiegato sulle pere se avessi provato almeno una volta la sensazione di un assorbente umidiccio sulla pelle. Hai condannato le tue figlie ai crampi addominali, alle nausee mattutine, ai tamponi interni, alle borse dell’acqua calda.


Eva, tu sia maledetta, tu e la tua fottutissima voglia di mele

Le hai legate a doppio nodo alla tortura del parto. Quando mia madre ebbe mia sorella, avevo otto anni. Pochi mesi prima, avevo assistito al parto della mia gatta e pensavo che anche per la mamma sarebbe stata la stessa cosa. Si sarebbe sdraiata e avrebbe aspettato finché la mia sorellina non se la fosse sentita di scivolare fuori, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Invece la mamma iniziò a urlare. Quelle urla, Dio mio, come se la stessero scuoiando dall’interno. Mi pareva assurdo che a tutti sembrasse normale che soffrisse in quel modo. Volevo gridare ai dottori: ma perché sta soffrendo così? Lei non è malata, non ha niente che non vada, non è così che deve funzionare! Quando quell’esserino rosso è uscito, lei già non si ricordava più niente ed era talmente piena di endorfine che il suo viso mi sembrava il più felice che avessi visto al mondo. Ma io non le dimenticavo, quelle grida. Lo sapevi, Eva, che Dio era il più sadico e il più fantasioso dei punitori, quando hai deciso di ascoltare le parole sibilanti del serpente? È incredibile il sistema che si è inventato per ricordarci mensilmente le tue colpe. Un flusso di estrogeni impazziti si riversa nel nostro sangue, pronto a farci esplodere il cervello. Prima tristi da non poter più ricordare come fosse la felicità, disperate e piagnone. Poi improvvisamente e voracemente affamate, infine selvaticamente e ferocemente arrabbiate. Raccontato così, sembra il peggiore dei cliché maschilisti: la donna lunatica che impazzisce, che dà di matto in quei-giorni-del-mese, da cui bisogna tenersi alla larga quando ha-la-suecose. Vulnerabile, irrazionale, strega! Tutt’altro. Credetemi, io amo essere donna. Odio non avere il controllo delle mie emozioni, odio i fianchi doloranti, la testa ovattata, le gambe gonfie. Ma nonostante tutto, nel sorteggio dei sessi, credo ancora di essere stata la parte fortuna. Vorrei però che le donne, oggi, si dimenticassero meno spesso quello che sono. Ho la sensazione che ci siamo risvegliate dopo secoli di torpore in una società costruita su misura per gli uomini e ci siamo sentite maschi con un difetto di fabbricazione.

Masaccio: Adamo ed Eva, Firenze, Cappella Brancacci

Chi è | Giuditta Mitidieri Nasce negli scoppiettanti anni novanta in una non meglio specificata località del centro Italia. Nei successivi vent’anni studia, canta, beve chinotto e fa pochissima attività sportiva. Le piace il limone, Bertrand Russell, l'origine ebraica del suo nome e il mare selvatico della Liguria. Sogna un giorno di poter vivere sotto le sue coperte, leggendo il leggibile e ricevendo visite, di tanto in tanto. Finché le sarà possibile si consola scrivendo, come può.

Monologue of the bellyache by Giuditta Mitidieri

E

ve, may you be cursed! You and your f***ing craving for apples. Couldn't it have been strawberries and eternal bliss? Salad and peace of mind? I can understand you’re a woman and you eventually got bored by that Edenic perfection. You wanted to have a look around and browse into pain just a little bit. But, Eve, you would meekly have fallen back on pears if you had only once felt a damp sanitary pad on your skin. You have condemned your daughters to abdominal cramps, morning sickness, tampons and hot water bottles. And made childbirth a catch 22 experience.

Dunque adesso per venire accettate da questa società ci siamo appiattite sui canoni dell’uomo, come se fosse il nostro essere non-tanto-diverse da loro a renderci degne di vivere tutto quello che per secoli ci è stato precluso. Abbiamo relegato in qualche angolo polveroso delle nostre pance il significato di essere donna, indossato la maschera dell’individuo neutro, robotico, sempre uguale a se stesso, giorno dopo giorno. Ma io credo che siamo diverse, invece. E dovremmo esserlo orgogliosamente, gioiosamente, altezzosamente, fieramente! Ma ora basta. Questo non è un trattato di sociologia, questo è un viaggio in treno. Ed io mi sto già annoiando dei miei pensieri.


Ti minaccerò con una colomba bianca Maram Al Masrì, poetessa siriana esule a Parigi ovvero la forza della parola che veicola le idee di Laura Cavalieri Manasse

C'è sempre una data legata ad un evento: 15 marzo 2011 è il giorno in cui inizia la guerra civile in Siria, all'interno del contesto più ampio della primavera araba del nord Africa, guerra che è ancora in corso, anche se spesso scompare dai titoli dei media. All'inizio, gli scontri avevano l'obbiettivo di far dimettere il presidente Bashar al-Assad e interrompere così più di un trentennio di dittatura, ma presto la preponderante componente arrivarono i primi foreign fighters, i combattenti stranieri, schierati al fianco dei fondamentalista salafita pose ribelli sotto l'egida della jihad. La guerra, che è diventata sempre più violenta di anno in come principale obbiettivo anno, ha provocato, ad oggi, la morte di oltre 200mila siriani. Come sempre avviene, in l'instaurazione della Shari'a in Europa ci stiamo abituando ai grandi numeri, i media ci dicono che ci sono 5 milioni di Siria. Si arriva al 29 giugno persone che necessitano di assistenza umanitaria in patria, 12 milioni di rifugiati 2014, quando un gruppo di siriani nei Paesi limitrofi, 4 milioni di vedove siriane, esuli, sole e indifese, e dietro a questi jihadisti dello Stato Islamico numeri ci sono persone che raccontano una vita quotidiana spesa nell'attesa che, in Siria, dell’Iraq e del Levante (ISIL) qualcosa cambi per potervi ritornare. A Parigi, dal 1982 abita Maram al-Masrì, più noto come Stato Islamico scrittrice e poetessa siriana, esiliata da una nazione che lei ha ripudiato, nella quale è dell’Iraq e della Siria (ISIS) stata discriminata, perseguitata e minacciata di morte dal regime di Assad, ma per la quale annunciano la creazione di un continua a lottare utilizzando la sua arma: la poesia. Nelle sue opere la poetessa esprime il califfato islamico nei territori suo dissenso e offre la sua istanza di civiltà, utilizzando un linguaggio diretto e, spesso, controllati tra Siria e Iraq, scandaloso. In lei la volontà di combattere una quotidiana lotta di denuncia è forte, così nominando come proprio leader come è forte il desiderio di far vivere la poesia. Legge i suoi testi in molte fabbriche e Abu Bakr al-Baghdadi. Questa prigioni europee, e dice: «Anche se le persone sono incredibilmente inclini alla guerra civile fu “siriana” solo poesia, questa è destinata agli intellettuali: l’operaio non ha ancora trovato il tempo per per pochi mesi: molto presto sognare e, in realtà, non ha tempo per

MILANO


Maram Al Masrì in un ritratto di Michel Durigneaux, Parigi

La polvere, una viaggiatrice come me una migrante come me che, malgrado tutto, non attecchisce da nessuna parte. Senza patria viene da ogni orizzonte, portata dalle ali del vento. […] La polvere è la cagna fedele del vento. Corre davanti e dietro e vola con lui da nord a sud, da ovest a est silenziosa aderisce come una morbida veste sui corpi.

I will threaten you with a white dove by Laura Cavalieri Manasse

M

aram al-Masri has lived in Paris since 1982. She is a Syrian writer and poet exiled from a country where she has been persecuted, threatened with death and discriminated against by the Assad regime. A country she has repudiated and continues to fight through her poetry, her favourite weapon. In her works, she expresses her dissent and calls for civilization using a direct and often scandalous language. Her will to fight this daily struggle is strong, as strong as her desire to express her poetry. She reads her texts in several European factories and prisons, and says, «Although people are incredibly prone to poetry, this art is normally intended for intellectuals and the working class has not yet found the time to dream and, in fact, has no time for anything else but work. Poetry is a luxury, but a vital one: it can enhance our humanity, make us rise above ourselves. I hope the activities and grants in favour of poetry will increase so it can keep sowing beauty in the world».


La guerra ha provocato, ad oggi,la morte di 200mila siriani A destra: Uomo con bimbo: rifugiati siriani, foto di Nikolay Doychinoav/AFP Sotto: Bimba UNHCR, foto di Ali Jarejki/Reuters Bambini uccisi in Siria foto AFP/Reuters

nient’altro che il suo lavoro. La poesia è un lusso, ma un lusso vitale: può ancora far crescere l’umanità, innalzarci sopra noi stessi. La mia speranza è che le attività e le sovvenzioni aumentino affinché la poesia possa seminare la sua bellezza». E continua: «scrivere significa essere quella nave che salverà chi sta annegando, è stare sull’orlo di una scogliera e aggrapparsi a un filo d’erba. Quando scrivo, il mio io è quello dell’altro, e questa convinzione mi aiuta a liberare me stessa, a mettermi a nudo. Tuttavia, far valere la mia poesia, e cercare di meritare

il corrispettivo titolo, mi mette in pericolo, è uno scandalo che implica tanta sofferenza». Della sua condizione di esule dice: «È come vivere in una dimensione transitoria fra due mondi e parlare due lingue, dormire in due letti, avere due personalità e altrettante facce. Un esilio è paragonabile a un albero privato delle sue radici. E se crescere è difficile, l’essere migrante aiuta a farlo. C’è sempre un ‘ma’. Io mi sento come la polvere: leggera e pesante, e come la polvere danzo con il tempo». Maram mi ha permesso di porle alcune domande attraverso uno scambio di e-mail, così le chiedo di spiegarmi la sua missione, e lei dice: «Di fatto, essere poetessa è una grande responsabilità, simile a quella di un guardiano del cielo verso una tomba, poiché l’altro giace sotto le nostre ali di responsabilità, come in ogni rapporto d’amore. Al pari del medico che sterilizza i suoi strumenti prima di operare un paziente, la mia consapevolezza consiste in questo scrivere d’amore, quindi del non-amore: è un detergere l’esistenza. È aiutare chi non possiede – o ha perso – la vista ad

Nella pagina a fianco: Maram al Masri foto di Sara Marin

attraversare una strada pericolosa. La forza della poesia proviene dalla sua capacità intrinseca di penetrare la coscienza senza che l’altro se ne renda conto, perché essa vive già in noi». Nel suo libro Arriva nuda la libertà la scrittrice descrive la tragedia siriana: «Da quattro anni vivo la rivoluzione con tutta me stessa, perché credo profondamente nella sua giustizia. Ho visto i miei vicini di casa uccisi e un intero popolo morire ogni giorno. E i bambini!, non esagero dicendo che non riesco a vivere: i loro volti mi tormentano, mi ossessionano. La vista delle loro fotografie tra le macerie è insopportabile. A volte mi chiedo: come faccio, io, a vivere sapendo di tutte queste morti ingiuste? Ma la poetessa che è in me continua ad alzarsi ogni mattina per denunciare questi crimini. Ne I figli della libertà scrivo di alcuni bambini all’ingresso della scuola che stanno aspettando la loro madre. Ecco: la libertà, per i siriani, è una madre, i cui figli sono stati torturati davanti ai suoi occhi… anche se lei, alla fine, ritorna sempre per abbracciarli». È negli spazi vuoti del non detto che si insinua la poesia di


LE DONNE E LA GUERRA

Scrivere significa essere quella nave che salverà chi sta annegando

Il vento del cambiamento politico nell'Africa del nord ha cominciato a soffiare in Tunisia, per poi diffondersi in Egitto, Libia, Yemen, Algeria, Sudan, Bahrain, Siria… e voci di donne hanno cantato nel vento. «Le donne tunisine hanno partecipato ad ogni singola manifestazione prima e dopo la caduta del regime di Ben Ali, cercando un ruolo nuovo per il futuro e tentando di ottenere che le loro voci fossero ascoltate.», dice Hedia, quarant’anni, responsabile della raccolta dati per il Centro di Istruzione e Ricerca delle donne arabe in Tunisia, «Rappresentano generazioni diverse ed hanno retroscena molto differenti, ma c’erano tutte, quelle con l’hijab e quelle con la minigonna. C’è una consapevolezza molto alta, fra di noi, del fatto che dobbiamo muoverci per non essere escluse o marginalizzate. Nonostante l’intensa partecipazione alle proteste, la presenza delle donne nel primo e nel secondo governo

provvisorio che si sono formati non la riflette». Le fa eco l’attivista egiziana Amal Sharaf, insegnante d’inglese: «Metà delle persone presenti in Piazza Tahrir erano donne. C’è una generale richiesta, nell’opinione pubblica, di partecipazione collettiva alla politica, perciò anche le donne devono farne parte». Le siriane dicono: «Il nostro motto è Per una società libera dalla violenza e dalla discriminazione, perciò condanniamo l’uso della violenza da qualunque parte arrivi. L’uso o persino la minaccia della violenza da parte dei manifestanti per noi è inaccettabile. Il fine non giustifica i mezzi, condanniamo nel modo più assoluto ogni persona o gruppo che impieghi retorica settaria, etnica o tribale: confinarsi in tali identità ristrette va contro l’aspirazione di ogni cittadino e cittadina siriani che vogliono godere del loro diritto fondamentale all’eguaglianza di diritti e di doveri, al di là della razza, della religione, del genere o di ogni considerazione discriminatoria». Un’altra Amal , yemenita del Forum delle Sorelle

Arabe per i Diritti Umani, sembra avere la stessa visione: «Una vera democrazia significherà necessariamente eguali diritti ed eguale partecipazione per uomini e donne. Alle donne nel nostro paese non è permesso prender parte alle decisioni, non sono riconosciute come uguali esseri umani e non sono nei posti dove meriterebbero di essere per capacità e qualifiche. La discriminazione è il nostro grande problema: verso le donne, fra uomini, fra nord e sud del paese». Attenta agli sviluppi nei vari paesi arabi è anche la tunisina Hedia: «Al di là di quel che sarà il risultato delle proteste in ogni nazione o di che impatto la partecipazione delle donne ha ora, il vero indicatore sarà quanto la loro partecipazione nel fare la storia si rifletterà nel partecipare dopo al processo decisionale. Questa è la cosa più importante, ciò che verrà». (Fonti: Gulf News, Women Living Under Muslim Laws, The Guardian, Syrian Women Observatory, Sisters’ Arab Forum for Human Rights)


Maram Al-Masrì, nei puntini di sospensione di molti articoli scritti dagli osservatori stranieri del conflitto siriano, o enunciati dalle televisioni di tutto il mondo, andando, tra le sue rime, a colmare le lacune dei silenzi che portano un conflitto così feroce all'oblio. Prima di salutarla, chiedo a Maram se i movimenti femminili che sono nati in Siria dal 2011 riusciranno ad incidere sulle scelte politiche dell'ipotetico governo di

La via per superare il conflitto la troviamo nel vocabolario

Le donne non si fermeranno mai nel chiedere un mondo migliore liberazione, e lei risponde: «Io spero che questi movimenti influenzino le scelte politiche del governo che andrà a sostituire quello in essere, dal momento che le donne rivoluzione sono così attive. Io credo nel vigore di queste donne, nella loro intelligenza e nella loro voglia di libertà, quindi sono sicura che loro avranno un grande ruolo nella definizione delle scelte politiche che il governo farà in futuro». Le chiedo se, a suo avviso, le future generazioni di donne sapranno utilizzare tutta la sofferenza della guerra per potersi emancipare nella nuova società siriana, dopo il conflitto, il loro ruolo storico e lei: «Naturalmente ci sarà un grande cambiamento del ruolo storico femminile nella società siriana, ma non sarà un'operazione semplice. Quale sarà la situazione della Siria dopo il genocidio fisico e morale dei siriani? Servirà un sacco di tempo per ricostruire la nazione, ma le donne non si fermeranno mai nel chiedere un mondo migliore, moderno e giusto, e nell'impegnarsi a costruirlo».

Sopra: Uomini in fuga, Campo profughi di Yarmouk – foto ANSA Sotto: bambini soldato in Siria

“Camminare insieme”: tenendosi per mano, attraversano la via, il ragazzo negro e il bianco, il dorato splendore del giorno, l’orgoglio scuro della notte. Dalla finestra socchiusa la gente negra guarda e qui la gente bianca mormora,indignata per questi due che osano camminare insieme. Ignari di sguardi e di parole, essi camminano e non sanno... Nel 2007 con l’Associazione Le mamme in prima fila di Collemeto, Galatina, in collaborazione con la Mezzaluna Rossa e con la televisione araba Al Jazeera abbiamo organizzato un progetto culturale di dialogo fra la cultura del Mediterraneo e quella del Medioriente. Il linguaggio era quello della moda e prevedeva di offrire ad una coppia di sposi della città di Gaza un abito nuziale occidentale per il loro matrimonio, come risposta alla distruzione della guerra che aveva distrutto la popolazione di Gaza nella morte. Ebbi molte difficoltà con la lingua, ma feci un importante esperienza superando i problemi della comunicazione. I testi in lingua araba, per la televisione Al Jazeera, furono tradotti dal Direttore Samir Qaryouti.

Al Jazeera diede spazio al progetto. Ricordo le precauzioni: furono oscurati i volti dei giovani sposi, ma tutto si svolse senza problemi e pericoli. La lingua, e quindi la comunicazione, è un vero e grande problema che complica il nostro rapporto nella comprensione del conflitto nelle culture di oriente e occidente. La televisione Al Jazeera può essere di grande aiuto per superare le difficoltà della lingua perché trasmette in lingua araba ed in lingua inglese, può essere la luce che cerchiamo e può liberare le parole da quel fiume nero e quindi favorire la loro difficile comprensione. Io sono convinto che la via per superare il conflitto la troviamo nel vocabolario e che il linguaggio comprensibile è la migliore forma di rispetto delle culture e della civiltà. L’esperienza culturale della moda della Via della seta da oriente a occidente che abbiamo fatto nel 2007 può essere un esempio da riprendere per capire il conflitto e per fare la via della convivialità delle differenze. Luigi Mangia



Perchè le donne cucinano da sempre, ma i grandi chef sono uomini? La domanda sorge spontanea e la risposta non è così scontata. di Silvia Lombardi

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embra una domanda lecita, ma la risposta è nella domanda stessa, come nella maggior parte dei casi. Parlando di chef si parla di cuochi noti a livello internazionale per i loro piatti, vere e proprie creazioni di gusto ed estetiche. Alcuni uomini chef sono convinti che anche il lavoro in cucina, così come per i minatori, gli operai, i tecnici, gli autotrasportatori, i manager, i politici, e chi più ne ha più ne metta, sia una lavoro duro, fatto non solo da dedizione e sacrificio, ma soprattutto da fatica fisica e disciplina. Altri uomini chef sottolineano il fatto che per crearsi una carriera anche in ambito gastronomico sia necessario rinunciare alla famiglia e a crescere i figli. Queste due argomentazioni sono sostenute anche da donne chef e, allo stesso tempo, sono numerosi gli uomini chef che confessano di aver imparato a cucinare dalle massaie in famiglia. Alcune donne chef ritengono che l’affermazione di uomini chef nello showbiz culinario dipenda soprattutto dalla loro abilità nelle pubbliche relazioni, nella vendita della loro immagine a sponsor affermati e di grande visibilità. Altre donne chef imputano la discriminazione in ambiente ristorativo alla comune discriminazione del ‘gentil sesso’ in tutti i settori produttivi: la solita storia, una donna è meno produttiva, quindi guadagna meno, quindi ha meno tempo per affermarsi a livello professionale. Queste due argomentazioni sono sostenute anche da uomini chef e, allo stesso tempo, sono numerose le donne chef che lavorano, hanno una famiglia e sono imprenditrici di successo. Alcuni rappresentanti della stampa nazionale negli ultimi anni hanno sottolineato la ghettizzazione delle donne nei concorsi, nelle classifiche e nei premi italiani, altri hanno sottolineato, a sostegno della tesi, che cucinare in famiglia e negli strati proletari e contadini della società è sempre stato appannaggio delle donne, ma ad alti livelli, per re e regine, in ambienti borghesi e aristocratici, i gastronomi sono sempre stati uomini, a causa del timore dei sovrani di venire avvelenati: si sa che le streghe, le avvelenatrici, le figlie del demonio e le impure sono storicamente sempre state le donne. Ricordiamo brevemente i più celebri autori uomini di libri

di ricette: Apicio nell’antica Roma, Bartolomeo Scappi e Maestro Martino da Como nel Medioevo, François Vatel, MarieAntonin Carême, Anthelme Brillat-Savarin in epoca illuminista, Pellegrino Artusi e Auguste Escoffier all’inizio del Novecento e oggi da Gualtiero Marchesi ai fratelli Adrià fino a Alain Ducasse. Per trovare una donna autrice di un libro di cucina bisogna aspettare la seconda metà dell’Ottocento: il primo libro di cucina che compare in Italia è dell’austriaca Katharina Prato che nel 1858 pubblica la prima edizione di “Die süddeutsche Küche” tradotto nel 1893 in italiano con il titolo “Manuale di cucina per principianti e per cuoche già pratiche” da Attilia Visconti-Aparnik, maestra di cucina del corso di economia domestica nel Civico liceo femminile di Trieste. Il primo ricettario scritto da una donna italiana esce nel 1900: “Come posso mangiar bene? Libro di cucina con oltre 1000 ricette di vivande comuni, facili ed economiche per gli stomachi sani e per quelli delicati” della contessa Giulia Ferraris Tamburini. Venticinque anni dopo, in pieno regime fascista, esce “Il talismano delle felicità” di Ada Boni destinato a donne che devono essere prima di tutto spose e madri di uomini fascisti. Sempre in epoca fascista, ma con diverse connotazioni ideologiche alla base, nel 1935 pubblica i suoi ricettari la mantovana Amalia Moretti Foggia della Rovere, in arte Petronilla: plurilaureata, probabilmente la prima pediatra italiana, giornalista per “La Domenica del Corriere”, dispensa consigli su come cucinare con poco, risparmiare, riciclare. I numeri a suffragio dell’idea che sono sempre più numerosi gli uomini chef e che le donne sono ben lontano da questo primato, sono da desumere dalla Guida Michelin 2015, la pubblicazione nazionale e internazionale punto di riferimento della valutazione critica dei ristoranti nel mondo. In Italia sono 332 i ristoranti riconosciuti con le stelle, appunto le stranote “stelle michelin”: l’Italia è il secondo paese più stellato e il primo con più donne stellate in tutto il mondo. Dei 110 ristoranti stellati nel mondo con donne chef in cucina, l’Italia ne conta 47 di cui 2 tristellate, la chef Annie Fèolde dell’Enoteca Pinchiorri a Firenze e

Copertina del Manuale di cucina per principianti e per cuoche già pratiche di Caterina Prato, 1901, Courtesy Biblioteca gastronomica Accademia Barilla, Parma


A sinistra: Vincenzo Campi, Pollivendoli, olio su tela, Pinacoteca di Brera (MI) Sotto: Pieter Brueghel Giovane, Nozze di contadini, olio su tela, Tokio Museum Fuji Art

Why do men make the best chefs when women have always cooked? by Silvia Lombardi

S Uomini chef confessano di aver imparato a cucinare dalle donne di famiglia

Nadia Santini del Ristorante Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio (MN), della quale cito il motivo per cui la cucina delle donne può essere riconosciuta di alto livello: «perché gli uomini pensano a stupire, noi prima di tutto a nutrire». Ottimo presupposto per una crescita non solo qualitativa, ma anche di fama e gloria per le donne chef in questo anno dedicato a Expo. E non a caso anche Anthelme Brillat-Savarin 190 anni fa affermava nel suo testo alla base della cucina moderna “La fisiologia del gusto”: «Le donne sono buongustaie. L’inclinazione del bel sesso verso il buongusto ha qualcosa d’istintivo perché il buongusto favorisce la bellezza. Una serie di osservazioni esatte e rigorose ha dimostrato che un regime di cibi succulenti, delicati e ben preparati allontana per molto tempo i segni della vecchiaia. Esso dà agli occhi un più vivo splendore, alla pelle maggior freschezza e ai muscoli maggior consistenza, e siccome è accertato che in fisiologia le rughe, queste terribili nemiche della bellezza, sono prodotte dalla depressione dei muscoli, è altrettanto giusto affermare che, a parità di condizioni, coloro che sanno mangiare sembrano più giovani di dieci anni di quelli che tale arte non conoscono».

ome male chefs have said that making a career in catering means relinquishing all family burdens, children included. Female chefs also seem to subscribe to this point of view. Conversely, a number of male chefs confess they have learned how to cook from the women of their family. Some female chefs believe the success of their male colleagues in culinary showbiz mainly depends on their public relations skills and on how well they manage to sell their image to established and highly visible sponsors. Other female chefs blame discrimination in the cuisine environment on a very common distorted vision of the ‘fairer sex’ in all productive sectors. The same old story according to which women are

less productive and therefore earn less, therefore have less time to pursue and reach professional success. These two arguments are supported by male chefs, too, although many female chefs are also successful wives, mothers and entrepreneurs. In Italy, 332 restaurants were awarded Michelin stars. It is the second country in the star chart and the first in terms of star-awarded female chefs worldwide. Italy counts 47 starred restaurants out of the 110 worldwide that include female staff, two of which – chef Annie Feolde of the Enoteca Pinchiorri of Florence and Nadia Santini of “Dal Pescatore” restaurant of Canneto, Mantua – are three starred. According to Santini, the reason why the level of female cuisine must still strive to be acknowledged as high is that “men care to impress, we care to nourish”.


Uomini e donne: stesso cervello? Studi medici hanno messo in evidenza che i cervelli, maschile e femminile presentano sostanziali differenze qualitative, perchè sono maggiormente specializzati in determinate aree e, soprattutto, utilizzano in modo differente i due emisferi cerebrali di Alberto Mazzocchi

Ritratto dei Duchi di Urbino, Dittico di Piero Della Francesca, olio su tela, Galleria degli Uffizi di Firenze

I

l cervello è forse l’organo umano più affascinante. Si presenta suddiviso in due emisferi apparentemente simmetrici e uguali, connessi da una struttura comune, il corpo calloso, dove passa una fitta rete di connessioni nervose. Le prime ricerche hanno messo in luce che gli individui usano prevalentemente uno dei due emisferi, sviluppando attività differenti. Va ricordato che la ricerca scientifica sulle differenze tra i sessi ha spesso provocato grossi errori per la prevalenza di pregiudizi, con conseguenti conclusioni “scientifiche” quanto meno discutibili come nel caso d’indagini sulle patologie dell’articolazione temporomandibolare (quella con cui la mandibola si muove e permette di mangiare e parlare) dove la schiacciante maggioranza di donne affette suggeriva l’ipotesi che la causa fosse l’abitudine a parlare più dei maschi. Ci sono voluti anni per capire che la patologia è legata ai forti stress quotidiani di una fascia di popolazione femminile (donne lavoratrici, separate, con figli) a prescindere da quanto usino la parola. Fortunatamente la ricerca sulle attività

del cervello non si è fermata ai pregiudizi o agli aspetti puramente anatomici: il cervello femminile è leggermente più piccolo di quello maschile e, in passato, ha dato giustificazione a chi sosteneva l’inferiorità della donna, ma ha indagato meglio sul funzionamento. EEG, TAC e risonanze magnetiche hanno progressivamente messo in luce che i due cervelli, maschile e femminile, presentano sostanziali differenze qualitative, essendo maggiormente specializzati in determinate aree e, soprattutto, utilizzano in modo differente i due emisferi cerebrali. Sono state messe in luce alcune singolarità: sembra che l’emisfero di sinistra sia legato maggiormente ai processi logici e razionali della mente, mentre quello di destra funzioni meglio negli ambiti artisticocreativi e intuitivi. Schematicamente l’emisfero di sinistra consente capacità matematiche, logiche, deduttive ed è legato a funzioni pratiche, a capacità lineari e alla possibilità di vedere bene i piccoli dettagli. Quello di destra invece permette creatività, capacità artistiche, immaginazione, intuizione e visione di

immagini grandi. Gli uomini tendono a sviluppare l’attività di sinistra e molto poco quella di destra, le donne, grazie a una rete di connessioni nervose maggiore, usano entrambi gli emisferi. Se un tempo si dava molta importanza ai condizionamenti educativi (della serie: le donne sono più affettuose perché cresciute con le bambole, gli uomini più freddi perché educati a giochi violenti), negli ultimi anni si è scoperto che sono gli ormoni a dare una grande impronta alle attività cerebrali. Il testosterone, ormone tipicamente maschile, sembra creare effetti più aggressivi nel comportamento, ma anche una miglior capacità di orientamento spaziale. La presenza di questo ormone nel cervello aiuterebbe gli uomini a cavarsela sempre negli spostamenti, a individuare le direzioni giuste e, nei nostri progenitori, a cacciare. Gli estrogeni e il progesterone, al contrario, permettono di stimolare non solo un carattere più affettuoso (e meno violento) verso le creature più deboli come i neonati, ma anche una migliore memoria. Premesso che oggi le complesse funzioni ormonali sono definite solo negli aspetti più grossolani (si studiano più spesso gli effetti dei singoli ormoni, ma si conoscono poco le complesse interazioni tra i vari ormoni e i mediatori chimici del sistema nervoso) le differenze tra uomo e donna sembrano legate soprattutto alle differenti aree di sviluppo delle connessioni nervose. Le donne sviluppano una rete maggiore di connessioni tra emisfero destro e sinistro col vantaggio di passare rapidamente dall’utilizzo di uno all’altro. Questo potrebbe spiegare ad esempio la maggior padronanza di linguaggio nella donna: le bambine iniziano a parlare prima e hanno un maggior varietà di lessico rispetto ai coetanei maschi. Non solo. La donna stressata parla molto, l’uomo no. Il pianto, fenomeno che richiede l’utilizzo dell’emisfero destro, è molto comune nella donna e poco nell’uomo che utilizza molto raramente questo emisfero.


Di fronte al medesimo stress, gli uomini sviluppano più malattie cardiocircolatorie, come l’infarto, mentre le donne malattie depressive

Dio crea Eva dalla costola di Adamo Lorenzo Maitani - facciata del duomo di Orvieto

E forse l’utilizzo prevalente dell’emisfero sinistro, unito alle capacità di orientamento spaziale del testosterone, potrebbero anche spiegare perché alcune professioni sono tipicamente maschili: ingegnere, pilota d’aereo, pilota da corsa, controllore di volo e giocatore di biliardo. Grazie all’uso dell’emisfero destro, le donne sono molto più intuitive, sapendo leggere meglio i linguaggi non verbali (gesti, atteggiamenti, espressioni) delle persone. Questo fatto è stato dimostrato sperimentalmente chiedendo a un campione di donne e di uomini di interpretare le espressioni di un neonato: le donne riuscivano a intuire molte sensazioni come fame, stanchezza, dolore ecc. Gli uomini quasi nessuna. Un best seller di qualche anno fa si intitolava provocatoriamente “Perché le donne non sanno leggere le cartine e gli uomini non si fermano mai a chiedere?” sottolineando le difficoltà femminili nell’orientamento e quelle maschili nel linguaggio. Le cose in realtà non sono così semplici perché nel nostro mondo esistono anche i maschi mancini e le donne mancine. I primi sembrano sviluppare maggiormente caratteristiche dell’emisfero destro (quindi artisticointuitive) le seconde quelle dell’emisfero sinistro (più razionali). Il cervello però resta un organo troppo complesso per poter dare indicazioni schematiche. Una teoria molto interessante, purtroppo poco studiata dalla medicina moderna, è quella

What The Brain Can Tell us About Art © Jonathon Roseu Studio

Le relazioni tra uomo e donna funzionano, nonostante le differenze abissali che li contraddistinguo. Gran parte del merito è da attribuire alle donne, che possiedono le capacità necessarie a gestire le relazioni e la famiglia; esse sono in grado di intuire i motivi e i significati che si nascondono dietro ai discorsi e ai comportamenti e possono perciò prevedere gli esiti delle situazioni o agire tempestivamente per evitare inutili problemi. Ciò basterebbe a rendere il mondo migliore, se ovviamente tutti i capi di stato fossero donne. (A.B.Pease)

Women and men: same brain? by Alberto Mazzocchi

S

proposta dal Dr. R. Hamer che, partendo dal differente sviluppo dei foglietti embrionali del feto, suggerisce uno sviluppo di malattie diverse, o con sintomi diversi, nel maschio e nella femmina, a partenza dalla medesima situazione di stress. Per questa diversa attività dei centri cerebrali, secondo l’Autore, di fronte al medesimo stress, gli uomini sviluppano più malattie cardiocircolatorie, come l’infarto, mentre le donne malattie depressive, così come le donne soffrono di anoressia mentre gli uomini di sovrappeso.

cientific research on the differences between the sexes has often led to awkward mistakes due to the prevalence of prejudice in some “scientific” conclusions that are questionable at the very least. However, research on brain activity has not ceased to be prejudiced in its purely anatomical aspects – the old theory of female inferiority being centred on the idea that the female brain is slightly smaller than the male one – and has investigated how it works in deeper depth. EEGs, CT scans and MRIs have gradually brought to light the fact that the male and female brains present substantial differences in quality, as they have different specialised areas and, above all, use the two cerebral hemispheres in different ways. In addition, a few oddities have emerged such as, for example, the left hemisphere being apparently more related to the processes of the logical and rational mind, whilst the right one takes care of the artistic, creative and intuitive processes. Schematically speaking, the left hemisphere provides mathematical, logical and deductive skills and is linked to practical functions, in general, such as linear capacities and the ability to observe fine detail. The right one, on the other hand, provides creativity, artistic skills, imagination, intuition and vision of the broader picture. Males tend to be more left-brained whilst females can use both hemispheres, thanks to a denser network of nerve connections.



Design al femminile: Charlotte Perriand Parigi anni venti, Le Corbusier vs Perriand o viceversa? La storia della donna e dell'artista vista attraverso il suo rapporto con il grande architetto di Carlo Pozzi

“Charlotte Perriand è una di quelle figure che, per talento, fermezza e modo di comportarsi, hanno accompagnato la crescita di ogni giovane architetto della mia generazione. Così come è stato per Jean Prouvé, Le Corbusier, Alvar Aalto e tutto quell'incredibile gruppo di artigiani ed esploratori. Solo che Charlotte Perriand ho avuto la fortuna di conoscerla e frequentarla. Charlotte era molto bella, anche a 80 anni: grandi occhi luminosi e spalle diritte. Andava su e giù da quella minuscola scala di casa sua come se fosse un'adolescente. Ed era così anche nel suo lavoro: concreta e sognatrice, sempre vitale.” (Renzo Piano)

Charlotte Perriand Tokio Chaisse Longue 522

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uando la ventiquattrenne Charlotte Perriand entra nello studio di Le Corbusier in Rue de Sévres 35, a Parigi, nel 1927, e gli chiede di assumerla come designer di mobili, la sua risposta è concisa: «Noi non ricamiamo cuscini qui» e le mostra la porta. Pochi mesi più tardi Le Corbusier si sarebbe scusato. Dopo essere stato condotto da suo cugino Pierre Jeanneret a vedere il Bar Sous le Toit, che la Perriand aveva realizzato in vetro, acciaio e alluminio per il Salon d'Automne a Parigi, Le Corbusier la invita a unirsi al suo studio. Siamo negli anni ’20 e evidentemente Le Corbusier è ancora convinto che la donna sia una figura complementare alla figura maschile, tanto più se quest’ultima è geniale e narcisista. Ma Charlotte si propone come antesignana di un certo modo di essere architetto “di sinistra”, anticipando, con la sua autonomia, il movimento femminista. Ancora oggi è imbarazzante verificare che alcuni straordinari prodotti di design in circolazione, come la chaise longue o la siège pivotant vengano contrassegnati dalla sola sigla L.C. che ne identifica l’autore, mettendo in ombra il ruolo determinante che la Perriand ha avuto durante la progettazione del prodotto industriale: per esempio la seconda (LC7) venne disegnata da Charlotte Perriand nel 1927 per il suo appartamento di Place Saint-Sulpice a Parigi, esposta prima al Salon des Artistes Décorateurs del 1928 nella Salle à Manger e successivamente al Salon d’Automne nel 1929, venendo integrata solo successivamente nella collezione co-firmata da Le Corbusier, Pierre Jeanneret e Charlotte Perriand, che annovera vari mobili che hanno fatto la storia del design. Per lo studio di Le Corbusier era la persona competente che veniva incaricata del progetto dell’arredamento degli edifici progettati. Nel 1930 intraprende un lungo viaggio in Unione Sovietica che la mette in contatto con l'ambiente fertile di idee del costruttivismo russo. Nel 1933 è una delle poche donne a partecipare al IV CIAM ad Atene. Lascia definitivamente lo studio di Corbu nel 1937, dopo quasi dieci anni di una straordinaria esperienza professionale, alla ricerca di una indipendenza anche sul piano culturale.


Schizzo di sette posizioni di seduta, LC Colletion

Female design: Charlotte Perriand by Carlo Pozzi

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profile of the great French artist, architect and designer who took her first professional steps in Corbu’s practice. Some extraordinary and still circulating products of design, such as her chaise longue or her siège pivotant, are only marked by the initials “LC” to identify the author, however overshadowing the role Perriand played in the industry of product design. For instance, the second (LC7) was designed by Charlotte in 1927 for her apartment in Place Saint-Sulpice, Paris, and exhibited at the first Salon des Artistes Décorateurs in 1928, in the Salle à manger, and later at the Salon d’Automne, in 1929. It was only later produced as part of the collection cosigned by Perriand with Le Corbusier and Pierre Jeanneret that includes various pieces of furniture that truly made the history of design. At Le Corbusier’s practice, she remained the reliable person in charge of the interior design projects of the buildings he designed.

La Perriand si “abbevera” alla filosofia orientale, impregnata di spiritualità

La molla che fa scattare la separazione è una lettera indirizzata da Corbu al cugino Pierre e a Charlotte, rimproverandoli di “giocare alle sue spalle”, con una relazione ritenuta troppo ingombrante per lo studio: la Perriand va a trovare Le Corbusier di sera, nel suo atelier. «Appena mi vide entrare, mi disse: “Andiamo, non fare scenate”. “No, Corbu, abbiamo chiuso, non ci sarà nessuna scenata, perché lascio l’atelier”. “E non te ne importa niente?”. “No, non me ne importa più”. Il mio cuore era troppo piccolo per sopportare tanta sofferenza, così, esasperata, purtroppo aggiunsi: “Avrò sempre una grande ammirazione per il tuo lavoro, Corbu, ma per l’uomo, non so”.»


Charlotte Perriand a Choshi (1954)

(da Charlotte Perriand, Io, Charlotte. Tra Le Corbusier, Léger e Jeanneret, Laterza, Roma-Bari, 2006). Nel 1940, mentre la Germania hitleriana sta invadendo la Francia, Charlotte si imbarca per il Giappone, dove è stata invitata a tenere un seminario sul nuovo design. Lavora attivamente con gli studenti dell’Istituto di Design industriale di Sendai, che la prendono a riferimento essenziale; innestando la cultura europea con saperi orientali, realizza prototipi come la chaise longue in struttura d’acciaio e bambù, la sedia in struttura in legno e sedile in bambù, il tavolino da letto con struttura in bambù e ripiano laccato. Oltre a produrre idee e progetti, la Perriand si “abbevera” alla filosofia, impregnata di spiritualità, orientale: «L’armonia dell’habitat non può essere creata indipendentemente dall’architettura e dall’urbanistica. Sarebbe vano pretendere di crearla solo attraverso l’arredamento, perché essa è determinata anche da elementi esterni quali l’ubicazione, l’orientamento, la quantità della luce. L’habitat non deve solo realizzare i dati materiali, ma deve anche creare le condizioni indispensabili all’equilibrio umano e alla liberazione dello spirito.

Sedia nera: LC1 firmata da Le Corbusier, Pierre Jeanneret, Charlotte Perriand per Cassina

Nel vuoto, solo il movimento diviene possibile Bisogna qui prendere posizione. Vogliamo fare il pieno o il vuoto? Questa domanda apparentemente ridicola ha la sua importanza. Per certuni il vuoto è il niente o la povertà; per altri, la possibilità di pensare e di muoversi. Il monaco occidentale, nella sua cella, ha scelto il vuoto per meditare e raggiungere una grande concentrazione. Il teismo, in estremo Oriente, esalta la religione del vuoto, come viene espressa da Okakura Kakuzō nel suo Libro del Tè: È soltanto nel vuoto che risiede veramente l’essenziale. Il vuoto è onnipotente perché può contenere tutto. Nel vuoto, solo il movimento diviene possibile. Applicato all’arte, questo principio

trova espressione nella suggestione. Non dicendo tutto, l’artista lascia allo spettatore l’occasione di completare». (da Charlotte Perriand, Io, Charlotte. Tra Le Corbusier, Léger e Jeanneret, Laterza, RomaBari, 2006). Nel 1941 cura l’esposizione Tradizione, selezione, creazione. Dopo l'entrata in guerra del Giappone con gli Stati Uniti, viene segregata e impossibilitata a tornare in Francia, dove rientra solo nel 1946 con il nuovo marito e la figlia avuta in quegli anni. La vita professionale riprende con nuove e antiche collaborazioni. Oltre al rapporto con Le Corbusier, con cui torna a collaborare disegnando gli arredi dell'Unità di Abitazione di Marsiglia, la Perriand disegna alcune sedi delle agenzie Air France. Passa poi a “specializzarsi” nell’architettura per la montagna, sua grande e vecchia passione, realizzando alberghi, rifugi, chalets e stazioni sciistiche in Alta Savoia, di cui era originaria la sua famiglia. Nel frattempo è andata accumulando esperienze con il pittore Fernand Léger, con Jean Prouvé, con José Luis Sert, con Lucio Costa ed altri importanti architetti, in un continuo itinerario attorno al mondo, da Brasilia a Tokyo a Pechino, interrottosi solo con la sua morte, avvenuta nel 1999, all'età di 96 anni, a Parigi. Charlotte Perriand ha ricevuto molti riconoscimenti e le sono state dedicate retrospettive della sua opera: solo recentemente è stata realizzata, sotto la supervisione di sua figlia Pernette e di Jacques Barsac, e con il sostegno di Louis Vuitton, la Maison au bord de l’eau, presentata in occasione di Art Basel, a Miami Beach nel dicembre 2013.



Anna Vanzan DONNE E GIARDINO NEL MONDO ISLAMICO Pontecorboli Editore, 2013

Marija Gimbutas IL LINGUAGGIO DELLA DEA Venexia Edizioni, 2008

I.Bussoni - R. Perna IL GESTO FEMMINISTA.LA RIVOLTA DELLE DONNE: NEL CORPO, NEL LAVORO, NELL’ARTE Derive Approdi, 2014

Sandra Maria Dami DONNE DENTRO. LA MERAVIGLIA DELLA NORMALITÀ La Caravella Editrice, 2015

Jack Vettriano WOMEN IN LOVE L’Ippocampo Edizioni, 2009

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a rigida divisione tra la sfera privata e quella pubblica prevista dalla cultura islamica è l’origine dei mitici giardini orientali. Cortili giardino cintati da alte mura, hortus conclusus, dove la donna organizza la sua vita segregata dalla società maschile pur mantenendo su di essa una inevitabile influenza anche politica. In meno di 150 pagine divise in 11 capitoli Anna Vanzan traccia in modo pacato e oggettivo la figura femminile islamica attraverso la descrizione dei giardini coranici, metafora del paradiso in una cultura cresciuta in climi aridi e ostili alla cura dell’ambiente naturale. Un percorso ben bilanciato attorno alla donna mussulmana consapevole protagonista o vittima di un condizionamento millenario e anche di un anti-islamismo di antica data. Così il giardino raccontato nel libro della Vanzan diventa anche metafora di tensioni femminilifemministe dal testo coranico ai giorni nostri. E.M.

orse il libro più noto della grande archeologa Marjia Gimbutas, Il Linguaggio della Dea, è la ricostruzione della civiltà arcaica dell'Europa Antica attraverso la ricostruzione della presenza centrale del femminile nella storia dal neolitico all'età del bronzo. Pubblicato per la prima volta nel 1989 negli Stati Uniti, è subito diventato una pietra miliare dell'archeomitologia e ha operato una rivoluzione radicale di prospettiva sulle origini della cultura europea, descrivendo minuziosamente società pacifiche, di una spiritualità ricca, pura, naturale in società in armonia con l'ambiente, basate su schemi paritari e non gerarchici e sulla mutualità tra uomo e donna, vissute nei millenni che hanno preceduto la storia riconosciuta come tale. Joseph Campbell gli riconosce l'importanza pari alla famosa Stele di Rosetta. Come lui stesso dice questo libro ci riporta a una concezione di vita antitetica ai meccanismi adulterati che si sono imposti nell'Occidente in epoca storica. L.C.M.

entre il gesto della contestazione declinata al maschile fu il pugno chiuso, il simbolo della ribellione femminile fu la congiunzione degli indici e dei pollici delle mani a formare una vagina. L’alterità delle donne venne rimarcata con un significante che non simboleggiava forza o violenza, bensì accoglienza. La sintesi del pensiero e della condizione femminile fu dunque un richiamo esplicito (per alcune decisamente troppo) alla sfera sessuale, un ambito indubbiamente compresso dal potere maschile, ma non certo l’unico. Allora perché proprio quello? “Per la sua immediatezza”, racconta una femminista italiana che lo fece nel 1971, dandogli popolarità internazionale. Il libro, attraverso un’articolata serie di saggi (per la verità non tutti di uguale valore) e un’amplissima serie di foto, ne ricostruisce la genesi e la vita fino all’eclisse, che poi è coeva a quella del femminismo. Sa.Lu.

ultimo libro dell'autrice toscana è una sfida: sceglie quattro temi difficili e li presenta in cortoracconti, neologismo che Sandra Maria Dami utilizza per descrivere i passaggi del libro. In una ipotetica tavola rotonda sono presenti quattro donne che danno la loro interpretazione della morte, la malattia, la famiglia e la scelta, quattro donne estremamente diverse per età, esperienze e sensibilità, e le loro parole coniugano gli argomenti in modi differenti, offrendo al lettore degli spazi di analisi molto interessanti. Le fotografie di Ilaria Franchini completano questo viaggio nel pensiero femminile che Sandra Maria Dami sonda con la sua caparbia tenerezza, utilizzando un linguaggio soave e delicato, ma proprio per questo toccante fino alla commozione. L.C.M.

ack Hoggan, noto come Jack Vettriano (Fife, 17 novembre 1951), è un pittore scozzese di origini italiane, onorato da Elisabetta II d'Inghilterra con l'Ordine dell'Impero Britannico che da sempre esplora i panorami psicologici ed emozionali delle relazioni femminili. Una raccolta di dipinti che ritraggono donne che si preparano a un convegno amoroso, colte nell’abbandono di un abbraccio o sofferenti per amore. Dalle spiagge assolate alla penombra della camera da letto, i quadri di questo Women in Love raccontano gli affari di cuore in tutte le loro sfaccettature. L.C.M.


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