Dipinti, Disegni e Sculture dal XIV al XIX Secolo 16 Maggio 2018 ASTA 16 Maggio 2018 ore 17.00 CET Palazzo Caetani Lovatelli Piazza Lovatelli, 1 00186 ROMA Tel. +39 06 32609795 +39 06 3218464
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MANAGEMENT Giuseppe Bertolami
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DIPARTIMENTI ARCHEOLOGIA NUMISMATICA Andrea Pancotti
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f.balducchi@bertolamifinearts.com Simone Rocco Di Torrepadula
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Specialist Numismatica a.ragonesi@bertolamifinearts.com Fiorenzo Catalli
Esperto Numismatico f.catalli@bertolamifinearts.com GLITTICA Gabriele Vangelli De Cresci
Responsabile del Dipartimento g.vangellidecresci@bertolamifinearts.com ARTE MEDIEVALE Giuliano Catalli
Simona Pignataro
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Luca Bortolotti
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Responsabile del Dipartimento g.gardelli@bertolamifinearts.com CORNICI ANTICHE Fabrizio Canto
Giorgia Giammei
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Responsabile del Dipartimento
Junior Specialist
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ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA ARTI DECORATIVE DEL ‘900 E DESIGN Raffaele Cecora
Manuela D’Aguanno
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Junior Specialist v.sut@bertolamifinearts.com STAMPE E MULTIPLI D’AUTORE Filippo Restelli
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Responsabile del Dipartimento d.mormorio@bertolamifinearts.com
ARTE ASIATICA E TRIBALE Giorgia Giammei
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Assistente
Responsabile del Dipartimento
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MEMORABILIA Massimo Fino
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PRIVATE SALES Giuseppe Bertolami DIRETTORE DELLA SEDE DI LONDRA Giuliano Catalli g.catalli@bertolamifinearts.com AMMINISTRAZIONE Simone Durante s.durante@bertolamifinearts.com
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Bertolami Fine Arts s.r.l Palazzo Caetani Lovatelli Piazza Lovatelli, 1 - 00186 Roma tel. +39 06 326 097 95 / +39 06 321 8464 /fax. +39 06 323 0610 Bertolami Fine Arts Ltd 63 Compton Street apartment 2 - EC1V 0BN London / ph. +44 7741 757 468 ACR Auctions GmbH
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INFORMAZIONI SULL’ASTA 46
- I lotti verranno aggiudicati definitivamente in sala durante l’asta che si svolgerà il 16 maggio 2018 dalle ore 17:00 CET. - Tutti i lotti saranno visibili l’11 maggio 2018 dalle ore 19:00 alle ore 21:00 e dal 12 al 15 maggio 2018 dalle 10:00 alle 19:00 presso Bertolami Fine Arts in Piazza Lovatelli 1, 00186 Roma. - Le offerte potranno essere effettuate attraverso il nostro sito (www.bertolamifinearts.com), o i portali Invaluable (www.invaluable. com) e Auction.fr (www.auction.fr), via fax, via email, telefonicamente o direttamente presso le sedi di Bertolami Fine Arts. Le offerte potranno essere effettuate attraverso il nostro sito sino alle ore 14:00 CET del 16 maggio 2018. - La base d’asta corrisponde, nella maggior parte dei lotti, alla stima minima. - A parità di offerta sul medesimo lotto e in assenza di nuove offerte in sala, quest’ultimo verrà assegnato all’offerta con data anteriore. - In caso di una sola offerta su un lotto, l’importo di aggiudicazione sarà quello dell’importo di base. Esempio: importo base € 1.000. Importo unica offerta € 1.500. Il lotto viene aggiudicato al cliente che ha effettuato l’unica offerta per € 1.000. - In caso di offerte multiple sul medesimo lotto, l’offerta vincente sino a quel momento verrà calcolata mediante un incremento prestabilito (vedi tabella di seguito) da aggiungere all’offerta immediatamente inferiore rispetto a quella più alta ricevuta. Esempio: prezzo base € 1.000. Cliente (A) offerta € 1.270. Cliente (B) € 1.800. In tal caso l’offerta vincente sarà quella del cliente (B) per l’importo di € 1.370 (ossia con l’incremento prestabilito come da tabella per lo scaglione corrispondente pari ad € 100 oltre l’offerta immediatamente inferiore di € 1.270). - L’elenco delle aggiudicazioni sarà pubblicato da Bertolami Fine Arts sul proprio sito, www.bertolamifinearts.com, ai soli fini informativi entro cinque giorni dalla chiusura dell’asta. - Il pagamento dei lotti aggiudicati potrà avvenire come segue: • assegno bancario o circolare non trasferibile intestato a Bertolami Fine Arts s.r.l., con aggiunta all’importo della fattura di € 10 per gli assegni esteri. • Carte di credito Visa e MasterCard con aggiunta all’importo della fattura del 2% • Paypal/American Express con aggiunta all’importo della fattura del 3,5% • bonifico bancario a favore di Bertolami Fine Arts s.r.l., con aggiunta all’importo della fattura di € 10 (bonifici extra-Europei) da effettuarsi su: - UNIPOL Banca SPA - Agenzia 163 - IBAN: IT74J0312705006000000002321 - SWIFT/BIC BAECIT2BXXX - BANCA POPOLARE DI SPOLETO S.P.A. - IBAN: IT12X0570403209000000192600 - SWIFT/BIC BPSPIT31XXX 6
- L’aggiudicatario corrisponderà a Bertolami Fine Arts una commissione d’asta, per ciascun lotto, pari al 25% sul prezzo di aggiudicazione. - I lotti aggiudicati con il sistema Live-Bidding del nostro sito web www.bertolamifinearts.com avranno un incremento dell’1,5% sul prezzo di aggiudicazione. I lotti aggiudicati con il sistema Live-bidding Auction.fr (www.auction.fr) avranno un incremento del 3% sul prezzo di aggiudicazione. I lotti aggiudicati con il sistema Live-bidding Invaluable (www.invaluable.com) avranno un incremento del 5% sul prezzo di aggiudicazione. - Il pagamento dei lotti aggiudicati dovrà avvenire entro e non oltre 10 giorni dal ricevimento della fattura di acquisto. A partire dal 30° giorno seguente la data dell’ aggiudicazione, verrà addebitata una penale dell’1%/mese sull’importo della fattura insoluta. - Eventuali costi doganali e quelli di spedizione sono a carico del compratore. Nel caso in cui, per contestazioni ingiustificate, i beni dovessero essere restituiti a Bertolami Fine Arts, le spese doganali e di spedizione sono a carico del cliente.
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1 SCUOLA BOLOGNESE, XVII SECOLO Alessandro e Zenobia Inchiostro su carta, mm 312x210 € 800 - 1.000
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2 ANONIMO, XVII SECOLO Studio di battaglia Penna e acquerello su carta, mm 84x140 € 200 - 300
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3 SCUOLA FIORENTINA, SECONDA METÀ XVI SECOLO Studio di una figura maschile con scudo Matita rossa su carta, mm 190x110 € 500 - 600
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4 CERCHIA DI GIAN LORENZO BERNINI (Napoli, 1598 - Roma, 1680)
Studio di un altare Inchiostro e acquerello su carta, mm 270x193 € 500 - 600
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5 GIOVAN FRANCESCO BARBIERI, DETTO IL GUERCINO (Cento, 1591 - Bologna, 1666), attr.
Testa di vecchio barbuto Matita e carboncino su carta, cm 9,6x15,7 Reca in basso a sinistra timbro Collezione Vallardi € 1.500 - 2.000
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6 CERCHIA DI SCIPIONE PULZONE (Gaeta, 1544 ca. - Roma, 1598)
Ritratto di gentiluomo Olio su tela, cm 102x80. Con cornice € 4.000 - 5.000
7 INNOCENZO FRANCUCCI, DETTO INNOCENZO DA IMOLA (Imola, 1490 ca. - Bologna, 1550)
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Madonna con Bambino ed i santi Giuseppe, Giovannino ed Elisabetta Olio su tavola, cm 67x53. Con cornice intagliata e dorata Questo notevole dipinto va ascritto al catalogo di Innocenzo da Imola nel suo periodo più felicemente raffaellesco, nel terzo decennio del Cinquecento. È quasi superfluo, in effetti, rilevare qui i richiami ad opere di analogo tema eseguite dall’urbinate tra Firenze e Roma. Basti citare la Madonna dell’impannata (Firenze, Galleria Palatina), la Sacra Famiglia di Francesco I (Parigi, Museo del Louvre), la Sacra Famiglia della Quercia (Madrid, Museo del Prado): altissimi modelli riportati da Innocenzo nell’alveo della recente tradizione bolognese, da Francia ad Aspertini, e tradotti in un registro stilistico più accessibile e semplificato. I termini di confronto all’interno della produzione di Innocenzo da Imola sono innumerevoli: basti citare lo Sposalizio mistico di santa Caterina, nelle versioni conservate a Bologna (coll. Villani) e a Roma (Galleria Borghese), o la Sacra Famiglia con san Giovannino, nelle redazioni di Copenaghen (Statens Museum for Kunst) e Bologna (Pinacoteca Nazionale). Una tavola del tutto analoga è presente, senza indicazione di misure né di collocazione, nella cartella dedicata ad Innocenzo da Imola nell’archivio fotografico della Fondazione Federico Zeri. € 6.000 - 8.000
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8 PITTORE FIORENTINO, SECONDO QUARTO XVI SECOLO Madonna con Bambino e san Giovannino e angeli (da Andrea del Sarto) Olio su tavola, cm 108x81 Tradizionalmente riferito a Domenico Puligo per la sua elevata qualità, questo dipinto su tavola è un nobile esempio di replica con varianti (mancano i piccoli san Francesco orante e l’angelo musicante sullo sfondo) di una celebre composizione di Andrea del Sarto (firmata, di misure quasi identiche al nostro esemplare e oggi presso la Wallace Collection di Londra), dovuta a un suo stretto seguace fiorentino. La comprensione dello stile del Sarto, con la grazia, l’equilibrio compositivo, l’eleganza, ma anche la plasticità che lo caratterizzano, viene qui sottilmente riorientata in una direttrice di sviluppo già manierista, come si evince dalle accentuazioni del tratto grafico e nell’intonazione fredda dei colori, a discapito dello sfumato di marca leonardesca che connota l’originale. € 10.000 - 12.000 13
9 DENIJS CALVAERT (Anversa, 1540 ca. - Bologna, 1619), attr.
Visitazione Olio su ardesia, cm 34,5x24 Questa opera su ardesia mostra un’interessante commistione di elementi stilistici diversi, in cui si rinvengono reminiscenze fiamminghe all’interno di un tessuto di impianto tardo-manierista, tra influssi romani e bolognesi. Il dipinto può essere avvicinato alla mano di Denijs Calvaert, pittore fiammingo che si trasferì a Bologna e nella cui fortunata bottega transitarono Guido Reni, Francesco Albani e Domenichino. La nostra Visitazione appare infatti vicina all’Annunciazione in S. Domenico a Bologna e al Paradiso della chiesa dei Servi della stessa città: ciò che suggerisce di datare la lavagna nel nono decennio del Cinquecento, in rapporto anche con l’Annunciazione della Galleria Corsini di Roma. € 5.000 - 6.000
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AGOSTINO TASSI (Ponziano Romano, 1580 - Roma, 1644), attr.
Scena portuale Olio su tela, cm 54x104 Con cornice € 3.500 - 4.500
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11 SCUOLA ROMANA, FINE XVI SECOLO Amore fa gl’asini leoni Olio su tavola, cm 61x42,5. Con cornice L’inusuale soggetto di questa tavola, decifrabile grazie alla didascalia dipinta nella cartella che incornicia il dipinto, rappresenta Amore o Cupido. Il divino fanciullo è raffigurato intento ad attaccare due ali sulla groppa di un asino, conferendo così all’animale il coraggio di un leone. Questo episodio costituisce una sorta di allegoria della vita dell’uomo, che grazie all’amore può superare qualsiasi ostacolo. La tavola che qui si presenta costituiva probabilmente uno sportello realizzato per decorare un mobile importante, forse un armadio. Lo stile rimanda all’ambiente romano di fine Cinquecento, rielaborando l’articolata struttura allegorica attraverso il filtro raffinato di una cultura figurativa post-raffaellesca. Il pittore, che mostra una chiara affinità con la maniera di Federico Zuccari, converte qui brillantemente un immaginario legato alla tradizione pagana in chiave di messaggio cristiano. € 3.000 - 4.000 15
12 GIUSEPPE VERMIGLIO (Alessandria, 1587 - 1635) , attr.
San Taddeo apostolo Olio su tela, cm 70x54 Con cornice La tela rappresenta l’apostolo Taddeo, come indica l’iscrizione dorata posta in alto a destra. L’opera può essere attribuita a Giuseppe Vermiglio, pittore che, accanto all’esperienza romana, fu attento anche alla coeva pittura emiliana e lombarda. È probabile che nell’Urbe l’artista conobbe effettivamente il Caravaggio, il cui influsso si riscontra in molti suoi quadri. La sprezzante fierezze d’impasto e una velata malinconia dello sguardo avvicinano la figura a vari Apostoli eseguiti dal Vermiglio, che esibiscono un analogo soffice realismo caravaggesco. Il dipinto, forse parte di un ciclo smembrato o in pendant con la figura di Giacomo il Minore o di Simone, assieme ai quali è spesso rappresentato, rivela chiare analogie con il San Giacomo della Pinacoteca Repossi di Chiari. € 4.000 - 6.000 12
13 FRANCESCO ALLEGRINI (Roma, 1624 ? - Roma, 1684)
Sposalizio mistico di santa Caterina d’Alessandria Olio su rame, cm 23x20. Con cornice L’opera è accompagnata da un’expertise del Prof. Herwarth Röttgen Questo dipinto su rame di fine qualità, raffigurante il matrimonio mistico di Caterina d’Alessandria. è stato attribuito da Herwarth Röttgen al pittore eugubino Francesco Allegrini, egregio allievo di Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino. Questa composizione, in effetti, rivela affinità con la Sacra Famiglia adorata da S. Francesco del Cesari, eseguita intorno al 1606. L’Allegrini mostra qui anche l’influenza della pittura di Pietro da Cortona. Un’analoga maniera si può rilevare anche negli affreschi di Allegrini nella chiesa romana dei Ss. Cosma e Damiano, datati poco dopo il 1640. € 4.000 - 6.000
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14 PITTORE DEL XVII SECOLO Compianto su Cristo morto, da Giovanni Battista Benvenuti, detto l’Ortolano Olio su tela, cm 153x101 Con cornice Reca due sigilli in ceralacca sul retro Il dipinto costituisce una copia di alta qualità - di misure ridotte e con molteplici piccole varianti e licenze - di uno dei capolavori assoluti di Giovanni Battista Benvenuti, detto l’Ortolano (Ferrara, circa 1487 – 1527), conservato presso la Galleria Borghese a Roma. Databile tra la fine del secondo e il principio del terzo decennio del Cinquecento, l’opera risulta documentata già nel 1622 nella collezione del Cardinale Scipione Borghese. L’operazione di mimesi tecnica e stilistica dell’Ortolano testimoniata dalla nostra tela è tanto evidente quanto riuscita, restituendoci la monumentalità scultorea del gruppo delle otto figure in primo piano, il registro emotivo profondo ma attentamente controllato, l’ariosità e luminosità del vasto paesaggio. Va rilevato che l’iscrizione sul cartiglio posto in basso accanto alla corona di spine, che nell’originale risulta non più leggibile, consente nella nostra versione quantomeno di decifrare con certezza la data “1517”, che potrebbe costituire un serio indizio per stabilire l’ancora controversa datazione del grande dipinto Borghese. € 10.000 - 12.000 17
15 SCUOLA VENETA, XVII SECOLO Maria Maddalena Olio su tela, cm 94x69 Con cornice Reca due sigilli in ceralacca sul retro € 4.000 - 5.000
16 SCUOLA EMILIANA, XVII SECOLO Pan e Siringa Olio su tela, cm 72x95 Con cornice € 3.500 - 4.500
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17 SCUOLA SENESE, INIZIO XVII SECOLO San Giovannino Olio su tela, cm 80x38 Con cornice. In prima tela La tela rappresenta il piccolo Giovanni Battista, figlio di Zaccaria e di Elisabetta. Egli è qui raffigurato come giovanissimo asceta, vestito di una pelle di cammello mentre regge un bastone con un cartiglio su cui è scritto Agnus Dei, che si riferisce a Gesù Cristo nel suo ruolo di vittima sacrificale. Questa tela mostra i tratti pittorici della cultura senese agli inizi del XVII secolo e si rifà in particolare ai modelli figurativi di Francesco Vanni, il maggior esponente della locale scuola tardo-manierista. In questa opera di grazia squisita si riscontrano anche accenti tipici del giovane Rutilio Manetti, soprattutto nel colore luminoso e brillante e nei delicati contrasti chiaroscurali, ancora immuni dal successivo influsso di Caravaggio. € 5.000 - 6.000 19
18 CERCHIA DI JAN BREUGHEL IL VECCHIO (Bruxelles, 1568 - Anversa, 1625)
Paesaggio con figure Olio su rame, cm 19x26 Con cornice antica
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19 CERCHIA DI JAN VAN BALEN
Questo piccolo rame di fine qualità rappresenta un esempio della produzione strettamente derivata dall’esempio di Jan Brueghel il Vecchio. La resa libera e al contempo minuziosa del fogliame e della vegetazione, gli effetti di colore sul corso d’acqua, le figurine che si possono ammirare nel nostro dipinto, rimandano alla più sciolta maniera del grande maestro fiammingo nella ricca porzione del suo corpus dedicata alle scene di paesaggio, arricchite, come nel nostro caso, dalla presenza di figure intente in attività quotidiane. € 3.500 - 4.500
(Anversa, 1611 - 1654)
Noli me tangere Olio su tavola, cm 42x70 Con cornice € 3.000 - 4.000
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20 SCUOLA ROMANA, METÀ XVII SECOLO Diogene Olio su tela, cm 83x95 Con cornice antica Il soggetto di questa tela è tratto da un aneddoto della vita del filosofo greco scritta da Diogene Laerzio il quale ci informa che osservando un ragazzo che beveva dal cavo della mano, il filosofo prese la propria ciotola dalla bisaccia e la scagliò via, ritenendo che qualcuno lo avesse vinto in parsimonia. Le storie che trattano di Diogene furono ampiamente illustrate a partire dalla metà del Seicento, soprattutto tra Napoli e Roma, città in cui il tema delle allegorie filosofiche era molto richiesto dal nascente mercato artistico. Anche l’anonimo pittore del nostro dipinto si situa tra queste due scuole pittoriche. Infatti, il realismo che permea la tela, evidente nell’esecuzione delle mani e nelle pieghe del vestito, nonché la figura fortemente caratterizzata che occupa l’intero spazio della tela, rimandano allo stile del Maestro dell’Annuncio ai pastori, attivo a Napoli tra il 1630 e il 1660 circa, filtrato dalla pittura di Mattia Preti. L’ambientazione scenica e il bagliore neoveneto che emana l’orizzonte in lontananza, facendo risaltare l’edera lungo lo sperone di roccia, rimandano invece ad un pittore attivo a Roma, a contatto con i modelli tizianeschi e con manifesti riferimenti stilistici alla scuola bolognese di Guercino e dell’Albani. La composizione e la tavolozza brillante presentano soprattutto forti contatti con la maniera di Pierfrancesco Mola: il cielo, infatti, con la caratteristica linea bassa dell’orizzonte, è trattato allo stesso modo de Il Guerriero orientale (Parigi, Museo del Louvre) mentre il volto barbuto rimanda ad altre sue opere, come il Dio Padre (Milano, coll. Koelliker) e il San Girolamo della Pinacoteca Vaticana. € 3.500 - 4.500 21
21 SEGUACE DI ANTON VAN DYCK (Anversa, 1599 - Londra, 1641)
Ritratto di nobildonna con ventaglio Olio su tela, cm 118x90 Con cornice € 4.000 - 6.000
22 PITTORE CARAVAGGESCO, PRIMA METÀ XVII SECOLO Il tributo della moneta Olio su tela, cm 87x124,5 In alto al centro della tela reca l’iscrizione latina a pennello: “REDDITE QUAE SUNT CAESARIS CESARI ET OVAE DEI DEO” La tela dipende, con minime varianti, dal dipinto di analogo soggetto eseguito da Peter Paul Rubens verso il 1614 e oggi conservato presso il Fine Arts Museum di San Francisco, che fu tradotto in un’incisione da Lucas Vorsterman nel 1621. Proprio da quest’ultima deriva la nostra opera, che ripropone in controparte la composizione di Rubens adottando un linguaggio pittorico più marcatamente caravaggista.
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€ 4.000 - 6.000
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23 CERCHIA DI GUIDO RENI (Bologna 1575 - 1642)
Cristo nell’orto del Getsemani circondato dagli angeli con i simboli della passione Olio su rame, cm 48,5x39 Con cornice antica Questo rame potrebbe essere una delle due copie antiche note in letteratura dell’opera di analogo soggetto che Guido Reni dipinse tra il 1607 e il 1610, oggi al Musée Municipal di Sens. L’originale reniano fu acquistato nel 1668 dallo scultore Marsy per le collezioni reali francesi e fu eseguito probabilmente in pendant con l’Incoronazione della Vergine (Londra, National Gallery of Art). L’idea dei putti nella zona superiore è una rielaborazione di quelli raffigurati in un’incisione che il Reni trasse nel 1607 dalla Gloria d’angeli di Luca Cambiaso. BIBLIOGRAFIA DI CONFRONTO L’opera completa di Guido Reni, Classici dell’arte, Rizzoli, Milano 1971, p. 90, fig. 40. € 4.500 - 5.500 23
24 CERCHIA DI GASPARD DUGHET (Roma, 1615 - 1675)
Paesaggio con figure Olio su tela, cm 60x74 Con cornice € 3.000 - 4.000
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25 JOHANN HEINRICH SCHÖNFELD (Biberach, 1609 - Augusta, 1684 ca.)
Il ritrovamento del tesoro Olio su tela, cm 58x61,5. Con cornice Il dipinto è firmato col monogramma del pittore e datato “166…” sul gradone di marmo in basso a sinistra.
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Questo inedito dipinto di Johann Heinrich Schönfeld, siglato e datato, si inserisce nel percorso della sua produzione matura sia dal punto stilistico, sia da quello tematico. Il misterioso e vagamente esoterico soggetto della nostra tela è imperniato su un gruppo di nudi maschili guidati da un anziano sacerdote che indica un tesoro nascosto sotto una grande pietra, in mezzo a ciclopici ruderi classici. Al centro della scena è un braciere su cui ardono dei carboni mentre il primo piano è occupato da chiari emblemi di vanitas. Si tratta di un’iconografia su cui Schoenfeld è tornato ripetutamente nel sesto e settimo decennio del Seicento, sperimentando varianti compositive sempre diverse, ma mantenendo relativamente stabile l’impianto di base. Inequivocabili termini di raffronto col nostro affascinante dipinto sono costituiti dalle opere di analogo soggetto conservate, fra l’altro, allo Zeppelin Museum di Friedrichshafen, nelle collezioni d’arte dell’Abbazia di Kremsmünster, in collezione privata a Kronberg im Taunus, e nella similissima acquaforte su disegno di Schönfeld incisa da George Andreas Wolfgang nel 1660. € 4.000 - 6.000 24
26 GIOVANNI BAGLIONE (Roma, 1573 ca. - 1643)
Ritorno della Sacra Famiglia a Nazareth Olio su tela, cm 100x75. Con cornice antica L’opera è accompagnata da un’expertise di Giuseppe Porzio La tela raffigura il ritorno a Nazareth di Giuseppe, Maria e di Gesù Bambino dopo lo smarrimento di quest’ultimo nel Tempio di Gerusalemme. Questo dipinto inedito è stato riferito da Giuseppe Porzio alla fase matura di Giovanni Baglione, quando le sue opere divengono più eclettiche, tra ricordi manieristici, reflussi di caravaggismo e aperture al barocco. Lo studioso avvicina questo dipinto alla pala di analogo soggetto nella chiesa parrocchiale di S. Vincenzo a Gravedona e al Ritorno della Sacra Famiglia dalla fuga in Egitto conservata nella basilica romana dei Ss. Apostoli. Giovanni Baglione, che operò principalmente a Roma, è noto anche per aver scritto le fondamentali Vite de’ pittori, scultori et architetti, e per l’inimicizia col Merisi. Com’è noto, infatti, la sua iniziale pedissequa adesione allo stile naturalista del Caravaggio, ancora moderatamente riscontrabile in quest’opera nell’uso delle ombre e delle luci, provocò l’ira e il dileggio da parte del grande pittore lombardo. € 14.000 - 18.000 25
27 JAN DE MOMPER, DETTO MONSU X (Anversa, 1614 - Roma, post 1688)
Paesaggi marini con figure Coppia di dipinti olio su tela, cm 72x39 Con cornice € 4.000 - 6.000 26
28 GIULIO CARPIONI (Venezia, 1613 - Vicenza, 1679)
Sacra famiglia Olio su tela, cm 70x57 Con cornice
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In questa aggraziata raffigurazione della Sacra famiglia, tra le sue rare incursioni nell’ambito della pittura devozionale, Giulio Carpioni attinge pienamente dalla sua composita matrice stilistica, in cui coesistono le tradizioni bolognese (Guido Reni, Simone Cantarini) e veneta (Tiziano, Veronese), come si può notare nel calibrato contrasto tra gradazioni di toni più caldi e più freddi. In Carpioni sono originali il disegno, la luce e la profondità spaziale dettata dalla plasticità dei volumi dei personaggi. Ritroviamo in questa composizione di mirabile equilibrio molti tratti tipici di Carpioni, come la cura nella definizione dei contorni delle figure (in particolare del Gesù Bambino), gli insistiti ed elaborati panneggi, le posture composte e le espressioni misurate delle figure, la silenziosità dell’atmosfera. Chiari termini di confronto sono la Carità gia in coll. Steffanoni a Bergamo, il Tiresia e Narciso del Museo Civico di Padova, Cristo e l’Adultera dell’Accademia dei Concordi di Rovigo.
SCUOLA ROMANA, XVII SECOLO
€ 5.000 - 6.000
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Natura morta con fave, carciofi, ciliegie e gelsomini in una cesta di vimini Olio su tela, cm. 35x44 Con cornice. In prima tela Reca iscrizionI al retro: sulla tela “BARONE P. CUTORE”; sul telaio “ANDREA BELVEDERE/DI PROPRIETA’ BARONE PASQUALE CUTORE RECUPERO/VIALE R. MARGHERITA, 20 CATANIA”. Questa suggestiva natura morta si situa nell’ambito di un’affascinante congiuntura della pittura romana post-caravaggesca, che ruota intorno ai pittori della cosiddetta “’Accademia dei Crescenzi”, tra Verrocchi, Bonzi e Salini. La presenza delle ciliegie, delle fave e dei carciofi, ben stipati entro una canestra di vimini, permette di avvicinare il nostro esemplare alla produzione giovanile di Giovanni Stanchi, particolarmente influenzata dal Verrocchi, nella quale tale combinazione di motivi torna in più occasioni (vedi L. Ravelli, Stanchi dei Fiori, Bergamo 2005, mm. 1, 2, 7). € 4.000 - 5.000 29 27
30 PIETER JANS BOUT (Bruxelles, 1645 ca. - 1689 o 1720)
e ADRIAEN FRANS BOUDEWIJNS (Bruxelles, 1644 - 1719), attr.
Capriccio portuale con figure Olio su tela, cm 29x40 Con cornice € 5.000 - 6.000
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31 ALEXANDER VAN BREDAEL (Anversa, 1663 - 1720), attr. Scena invernale Olio su tela, cm 100x127 Con cornice
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L’opera è accompagnata da un parere scritto di Alessandro Marabottini Il dipinto rappresenta un aristocratico divertimento invernale sotto la terrazza di un palazzo classico. Eleganti figurine guardano divertite due nobildonne sedute su elaborati slittini, mentre si lasciano trainare da un cavallo e dal loro scudiero su un rivolo di ghiaccio. La tela rivela inequivocabilmente la mano di un artista fiammingo attivo nella prima metà del XVIII secolo, ma ancora legato alla grande stagione seicentesca, come dimostra l’atmosfera realistica della scena popolare di genere. Il gusto settecentesco emerge nella nota galante delle dame impettite, nell’accurata rappresentazione della villa col giardino all’italiana e nella contrapposizione fra la società notabile e la folla dei popolani. Questa tela presenta marcate similitudini con un altro dipinto di Alexander van Bredael, Les joies de l’hiver (Asta Tajan, Parigi 27 marzo 2006, l. 82). Il pittore, conosciuto per i suoi paesaggi all’italiana e per le scene di genere popolare, fu molto apprezzato dai collezionisti dell’epoca per la sua abilità nel dipingere composizioni di gruppo e per il realismo nella raffigurazione di animali. € 5.000 - 7.000 28
32 JACOPO VIGNALI (Pratovecchio, 1592 - Firenze, 1664)
Agar e l’angelo Olio su tela, cm 120x160 Con cornice L’episodio biblico dell’apparizione dell’angelo ad Agar è rappresentato con notevole efficacie narrativa in questa bella tela inedita di Jacopo Vignali, tra i principali attori sulla ricca scena artistica fiorentina nella prima metà del Seicento. Ambientato in un vasto spazio campestre, il dipinto, di impostazione marcatamente teatrale, mette in risalto i due protagonisti, le cui figure monumentali dominano l’intero spazio mostrando le qualità di disegnatore del Vignali e la sua padronanza nella resa delle anatomie (fortificata dal giovanile apprendistato a bottega da Matteo Rosselli). Agar è rappresentata come una nobildonna, avvolta in abiti sontuosa dai colori sgargianti, che testimoniano al meglio le qualità di colorista del pittore e i suoi tipici delicati passaggi di luci e ombre. La costruzione dell’immagine, l’attento bilanciamento della composizione, il lirismo delle figure, il garbato paesaggio, recano i segni inconfondibili dello stile di Jacopo Vignali e rimandano senza esitazione ad altre opere certe dell’autore, quali Il buon smaritano del Museo di San Marco a Firenze, la Vestizione di San Benedetto del Seminario Maggiore a Firenze, Ruggero soccorso da Leone e dalla maga Melissa della Galleria Palatina pure in Firenze. € 12.000 - 15.000 29
33 GREGORIO PRETI (Taverna, 1603 - Roma, 1672)
Santo vescovo Olio su tela, cm 93x130 Con cornice. In prima tela
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In questa possente rappresentazione di santo vescovo si deve riconoscere un significativo inedito di Gregorio Preti, prolifico fratello di Mattia, qui al meglio delle sue virtù naturalistiche e comunicative. L’opera, di concezione monumentale, rappresenta una figura di teatrale gestualità, che padroneggia lo spazio scenico avvolto in vesti seriche dai pesanti panneggi e ritratto con i tipici paramenti vescovili: mitra, piviale e bastone pastorale. Coprotagonisti dell’immagine sono la luce che piove dall’alto e il gioco di effetti chiaroscurali che evidenziano l’autorevolezza e l’austerità del santo. Il dipinto rimanda ad altre opere di Gregorio, pittore sempre più all’attenzione degli studi sulla pittura del Seicento nel Mezzogiorno: vale la pena ricordare il San Nicola di Bari della Madonna della Purità nella chiesa di S. Domenico a Taverna, il San Martino Vescovo della tela d’altare in S. Barbara, pure a Taverna, il Cristo dell’Estasi di San Niccolò nella chiesa di S. Niccolò a Fabriano . € 5.000 - 7.000
34 PITTORE NAPOLETANO, SECONDO QUARTO XVII SECOLO La caduta della manna Olio su tela, cm 68x100 Con cornice
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Il dipinto rappresenta la raccolta della manna che Dio fece scendere sulla terra come dono agli Israeliti. Le figure qui dipinte mostrano atteggiamenti diversificati: sullo sfondo, alcune raccolgono la manna, mentre altre, in primo piano a sinistra, apprendono l’insegnamento della parola divina. Sulla destra spicca un maestro anziano, forse l’apostolo Paolo, che nelle sue lettere ai Corinzi descrisse la manna come cibo spirituale. La tela è riferibile a un pittore attivo a Napoli nel secondo quarto del Seicento per le numerose citazioni da dipinti visibili in città in quegli anni. La figura in primo piano a sinistra richiama uno dei popolani della Liberazione di san Pietro dal carcere di Battistello Caracciolo (Napoli, Chiesa del Pio Monte della Misericordia), a sua volta un rimando alle Sette opere di Misericordia di Caravaggio, nella stessa chiesa. La figura del precettore anziano richiama La maestra di scuola di Aniello Falcone (Napoli, Museo di Capodimonte). L’anonimo esecutore di questo dipinto si è infine autorappresentato nel personaggio vestito di rosso che con fare misterioso incrocia lo sguardo dello spettatore, dalle sembianze simili all’autoritratto di Francesco Guarino nel Giuseppe venduto dai fratelli (Solofra, chiesa S. Andrea). € 9.000 - 12.000 30
35 DOMENICO GARGIULO, DETTO MICCO SPADARO (Napoli, 1612 – 1675), attr.
Adorazione dei Magi Olio su tela, cm 126x157 Con cornice Il dipinto è accompagnato da un’expertise del prof. Ferdinando Bologna Questa inedita Adorazione dei Magi di grande formato presenta una composizione che combina felicemente chiarezza d’impaginazione e complessità d’invenzione, articolando magistralmente la coesistenza di tante figure e animali, di un’architettura di monumentali rovine classiche ricoperte di vegetazione e di un suggestivo e realistico paesaggio roccioso. La tela fu assegnata da Ferdinando Bologna a Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro (definita dallo studioso “[...] opera tipica e autografa del pittore napoletano ... A conferma di questa verità si potrebbero addurre innumeri riscontri con tutte le opere certe del maestro”) e collocata in una fase giovanile dell’attività del maestro, nella seconda metà del quarto decennio del Seicento. Tale indicazione va confermata alla luce del complesso tessuto di riferimenti figurativi che la tela esibisce, che include Aniello Falcone per quanto concerne le figure sottili e allungate, il giovane Salvator Rosa per il “romantico” paesaggio e ovviamente Viviano Codazzi per le architetture. Il nostro dipinto si situa in stretta relazione con altre opere all’incirca coeve di Micco Spadaro, come la Cacciata dei mercanti dal tempio, in proprietà privata napoletana (Sestieri - Daprà, n. 9, p. 73), l’Adorazione dei pastori, di ubicazione sconosciuta (Ibid., n. 12, p. 75), e con due opere frutto della formidabile collaborazione col Codazzi (a Napoli fra il 1634 e il 1647): la Basilica di Costantino con l’Adorazione dei Magi, pure in ubicazione sconosciuta (Ibid., n. 31, p. 105), e il San Pietro risana lo storpio, del Museo di Capodimonte a Napoli (Ibid., n. 84, p. 206). Le chiare affinità con le ultime due per quanto concerne l’invenzione architettonica e la relazione figure-architettura inducono a prendere in considerazione l’ipotesi di una partecipazione diretta del Codazzi anche nell’esecuzione di quest’opera. BIBLIOGRAFIA G. Sestieri . B. Daprà, Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro. Paesaggista e “cronista” napoletano, Milano-Roma 1994. € 20.000 – 30.000 31
36 NICCOLÒ DE SIMONE, DETTO NICCOLÒ FIAMMINGO (attivo a Napoli nella prima metà del XVII secolo)
Crocifissione Olio su tela, cm 114x175 Dipinto in prima tela Questa intensa rappresentazione sacra di grande formato traduce in modo letterale ciò che viene descritto nei Vangeli, quando l’oscurità piombò sul Golgota subito dopo la crocifissione di Cristo. Una grande folla di personaggi assiste alla scena: da una parte si notano soldati e curiosi, mentre a sinistra sono visibili figure di discepoli. Questa composizione sembra affondare le sue radici nella pittura fiamminga tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, guardando in particolare all’esempio di Pieter Bruegel il Vecchio. La tela può essere attribuita al fiammingo Niccolò de Simone, attivo a Napoli tra il quarto e il sesto decennio del Seicento. Le sue tele, come ad esempio il Massacro degli Innocenti (Napoli, Museo di Capodimonte), mostrano soluzioni simili al dipinto qui presentato: scene affollate, tavolozza scura, dai forti sbattimenti di luce, patetismo di matrice fiamminga. Anche la resa espressionistica del soggetto e l’attenzione analitica al particolare risultano conformi alla sua cifra stilistica, così come si nota nelle due versioni della Decollazione di san Gennaro e dei compagni martiri nella solfatara (Napoli, Pio Monte della Misericordia e Museo Nazionale di S. Martino), vicine per drammaticità e pathos alla nostra Crocifissione. € 10.000 - 12.000 32
37 PITTORE NAPOLETANO, METÀ XVII SECOLO Nudo maschile Olio su tela, cm 70x98 Con cornice La tela rappresenta un interessante “nudo da modello” la cui figura giacente occupa l’intero spazio del dipinto. È riverso in terra e la presenza di un lenzuolo bianco – forse un sudario – lascerebbe supporre che possa trattarsi di uno studio preparatorio per un Cristo deposto. Il dipinto è sicuramente ascrivibile al contesto del naturalismo meridionale di metà Seicento e a una cultura figurativa che vede nel Maestro dell’Annuncio ai pastori e nel Maestro di Fontanarosa i principali termini di paragone. Conseguenze evidenti di questa connessione con l’ambiente partenopeo si intravedono nell’analogo studio di Nudo disteso attribuito ad Antonio de Bellis (Napoli, coll. privata), il cui catalogo, pur se ancora povero di certezze, risulta permeato di un’analoga maniera robusta ed intensa di lumi e ombre. Appare interessante anche il confronto con una sanguigna di Luigi Scaramuccia, una Figura distesa addormentata riconducibile alla cultura lanfranchiana che il pittore assimilò a Napoli negli anni quaranta del XVII secolo. L’impasto e la pennellata sfrangiata del nostro dipinto ricordano anche lo stile dello stesso Lanfranco, quale si può riscontrare nei dipinti realizzati durante il suo soggiorno partenopeo a partire dal 1634. Infine, la posa e il gioco della luce che mette in risalto alcuni dettagli anatomici, rappresentati in termini di sensibilità naturalistica, si riscontrano in maniera inequivocabile nel Sacrificio di Isacco di Mattia Preti (Bologna, Pinacoteca Nazionale), che si trasferì nel 1653 a Napoli dove, tra il 1657 e il 1659, affrescò le porte cittadine. Due Bozzetti per la peste (Napoli, Gallerie di Capodimonte) ricordano questa importante commissione, in cui si nota la raffigurazione di corpi nudi riversi per terra, vittime della peste che colpì il popolo partenopeo nel 1656. € 15.000 - 20.000 33
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I prossimi 15 lotti (nn. 39-53) ci danno modo di presentare al più alto livello oltre quattro decenni di attività di studio e di ricerche di un colto merchand-amateur, la cui profonda e vigile passione collezionistica si è rivolta prevalentemente, seppur non esclusivamente, all’arte antica. D’accordo col proprietario, si è scelto di aprire un’ampia finestra dedicata a un’accurata selezione di opere della sua raccolta, piccola parte di un insieme molto più vasto, che fosse capace di rappresentare al massimo della qualità e nel modo più efficace le opzioni predilette, e quindi il gusto, che hanno sempre ispirato la costruzione della collezione. Il più evidente filo rosso che lega le opere si è così rivelato l’amorevole e consapevole inseguimento di una bellezza raffinata e non banale, per quanto indiscutibile, in un ricercato intreccio di stili, epoche, generi, tecniche e materiali, spaziando tra pittura, scultura e grafica. Il gruppo di sculture e dipinti che seguono copre un lungo arco cronologico che si estende dalla metà del Quattrocento del meraviglioso Vaso a urna con fregio di putti e tralci di vite, riferito a Andrea Cavalcanti detto il Buggiano (bene sottoposto a vincolo dallo Stato italiano per la sua particolare importanza), esempio superbo di Rinascimento archeologico toscano, sino all’eletto neoclassicismo del Ritratto di poetessa di Stefano Tofanelli, sul finire del Settecento. Nella sequenza delle opere si incontreranno grandi e piccoli capolavori (Buggiano e Piamontini, Grammorseo e Meucci), ma anche opere che, pur senza esibire le stimmate del “capolavoro assoluto”, ci permetteranno di entrare in uno spazio più nascosto e intimo: il laboratorio del grande collezionista.
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38 SCULTORE BOLOGNESE, SECONDA METÀ XVII SECOLO Due figure allegoriche Terracotta, cm 29x8,5x12 (figura con spighe), cm 29x10,5x8 (figura con frutta) € 4.000 - 6.000 36
39 TIZIANO ASPETTI DETTO MINIO (Padova, ante 1511/1512 - Padova, 1552)
Madonna col Bambino Pietra, cm 52,5x24,5x20,7 Questa Madonna col Bambino è stata recentemente riferita al padovano Tiziano Aspetti detto Minio, che fu in primo luogo abilissimo stuccatore ma ebbe anche una produzione di alta qualità come scultore in pietra e in legno. Nel pubblicare la nostra opera, Luca Siracusano l’ha collocata negli anni della maturità della pur breve carriera dell’artista, morto a poco più di 40 anni, parlando di “una rielaborazione da parte del Minio dei fortunati prototipi mariani della maturità di Sansovino che alla metà del Cinquecento colpirono l’attenzione degli scultori”. A ciò sarebbero dovuti i paludamenti della Vergine e la posa irrequieta del Bambino che in atto di benedire si scorge fuori asse. Nello scollo a “V” della Madonna lo studioso ha inoltre riconosciuto una rielaborazione di un motivo già presente in una figura femminile in stucco dell’ultima sala dell’Odeo Cornaro a Padova, databile al 1540 circa. Anche l’ampio panneggio sulle gambe trova un analogo nel San Matteo in bronzo che orna il coperchio del fonte battesimale di S. Marco a Venezia. Il lotto è corredato di Attestato di Libera Circolazione BIBLIOGRAFIA L. Siracusano, “Cose tutte piene d’invenzioni, capricci e varietà”. Proposte per Tiziano Minio a Padova e altrove, in “Nuovi studi”, XVI/17 (2011), p. 88. € 9.000 - 11.000 37
40 GIOVANNI COMIN (Treviso, 1647 ca. - Venezia, 1695)
Inverno e Autunno Terracotta patinata, Inverno cm 49x16,5x13,5, Autunno cm 51x20x14 Come argomentato da Andrea Bacchi in una recente contributo dedicato a queste due opere, le terrecotte dovettero essere realizzate dal trevigiano Giovanni Comin in una fase matura della sua attività, quando il gioco dei panneggi strettamente derivato dal fiammingo Giusto Le Court si fa meno forzatamente barocco, diversamente dalle sue prime opere dal carattere molto più irrequieto. Secondo lo studioso, è possibile che le sculture siano nate come modelli preparatori per statue da giardino facenti parte di un ciclo rappresentante le quattro stagioni. Conferma tale ipotesi la fattura attentamente rifinita delle due terracotte tipica del genere dei modelletti di presentazione, assai richiesto dal mercato collezionistico settecentesco. Il profilo dell’Inverno, vecchio e grinzoso, richiama la statua del Comin raffigurante Avicenna (Padova, Basilica di S. Antonio) sia nei paludamenti, sia nel gioco della folta barba. Il giovane volto dell’Autunno, invece, con la sua fluente chioma trova evidenti riscontri nell’Angelo adorante (Murano, chiesa di S. Pietro) realizzato nel 1681 per la cappella funebre di Domenico Ballarin. Il lotto è corredato di Attestato di Libera Circolazione BIBLIOGRAFIA: A. Bacchi, in Jacopo Sansovino, Annibale Carracci ed altri contributi, Firenze 2007, pp. 72-79, cat. 7. € 10.000 - 12.000
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41 BARTOLOMEO SINIBALDI, DETTO BACCIO DA MONTELUPO (Montelupo Fiorentino, 1469 - Lucca, 1537 ca.)
Testa virile barbata Terracotta, cm 22x20x22 Grazie ad un foro presente dietro la nuca - un alloggiamento per un’aureola - si può ipotizzare che la testa possa essere il ritratto di un frate canonizzato. Non è possibile, però, ricondurre con certezza l’identità di questa terracotta ad un santo in particolare, sebbene alcuni dettagli come la nobile espressione del volto, la barba rada e i delicati lineamenti del viso caratterizzino sovente l’iconografia di Domenico di Guzmán, fondatore dell’ordine domenicano. Gli occhi, invece, ieraticamente rivolti al cielo, rimandano per contro alle più classiche raffigurazioni di San Francesco d’Assisi, spesso rappresentato in estasi e con tratti efebici. Questa bella terracotta è stata riferita recentemente a Baccio da Montelupo, scultore fiorentino che, dopo aver frequentato il giardino di S. Marco insieme al giovane Michelangelo, si rifugiò nel 1495 a Bologna per la sua vicinanza alle idee di Girolamo Savonarola. La scultura potrebbe essere stata realizzata intorno al 1514, anno in cui Baccio licenziò il San Giovanni Evangelista per una delle nicchie dell’Orsanmichele a Firenze. In questo bronzo, capolavoro della maturità dell’artista, si riscontrano alcune efficaci soluzioni presenti anche nella nostra terracotta, come la potente ma delicata espressione del volto e dei gesti, memore dei modelli di Desiderio da Settignano. Il lotto è corredato di Attestato di Libera Circolazione BIBLIOGRAFIA D. Lucidi, Contributi a Baccio da Montelupo scultore in terracotta, in “Nuovi Studi”, XVIII (2013), 19, pp. 51-101. € 9.000 - 11.000
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42 GIUSEPPE PIAMONTINI (Firenze, 1663 - 1744)
Busto di Diana Marmo, cm 38x5x28x22, su base in marmo nero cm 15 Il superbo ed elegantissimo busto qui presentato raffigura Diana - divinità lunare e dei boschi, protettrice delle partorienti - come si evince inequivocabilmente dalla mezzaluna che trattiene una fluente pettinatura classica. La scultura è stata attribuita da Riccardo Spinelli a Giuseppe Piamontini, scultore fiorentino autore di numerosi busti all’antica ancora debitori del linguaggio tardobarocco di Giovan Battista Foggini, nella cui bottega lo scultore apprese i primi rudimenti del mestiere prima di passare alle dipendenze di Ercole Ferrata. Quest’opera può essere avvicinata all’altra Diana che lo scultore realizzò per lo scalone di Palazzo Pitti, in cui si riscontra un’analoga derivazione dai modelli greco-romani, datata agli anni novanta del Seicento, periodo in cui la ricercata semplificazione formale diviene un’idiomatica cfra stilistica della sua produzione. La nostra Diana è ben distante dalle opere del primo periodo del Piamontini, come la Cleopatra della villa medicea di Cerreto Guidi, ed appare ben esemplificativa dello stile maturo a cui lo scultore approdò all’apice della sua esperienza artistica. Il lotto è corredato di Attestato di Libera Circolazione € 10.000 - 15.000
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43 ANDREA DI LAZZARO CAVALCANTI, DETTO IL BUGGIANO (Borgo a Buggiano, 1412 - Firenze, 1462)
e BOTTEGA DI BERNARDO GAMBARELLI, DETTO IL ROSSELLINO ? (Settignano ?, 1409 ca. - Firenze 1464)
Vaso decorativo a urna con fregio allegorico di putti e tralci di vite Marmo, cm 52x42x38 Questo vaso di derivazione archeologica testimonia magnificamente il gusto dei colti committenti che nel Quattrocento amavano circondarsi di arredi e suppellettili che ricreassero il mondo degli antichi. Anche i temi scelti per la decorazione di tali manufatti erano indissolubilmente legati alla tradizione letteraria che invocava un ritorno alla natura e alla sua perfezione per risvegliare i principi di bellezza come equilibrio ed armonia, razionalità e perfezione di proporzioni. L’arte del Quattrocento si impegnò così a recuperare la tradizione fondata sui miti pagani, tentando di conciliarla con i presupposti della dottrina cristiana. Ciò si riscontra nella decorazione di questo vaso ansato, dalla forma globulare simile ad un’urna cineraria, che si innesta su un unico piede scandito da baccellature e presenta una fascia nella parte sommitale profilata a ovoli e dardi. Il vaso è decorato da quattro putti a bassorilievo, variamente atteggiati, davanti ad una sorta di pergola con foglie di vite. Il primo brandisce una fiaccola riversa, un altro trasporta un agnello sulle spalle, un terzo trasporta due ceste di vimini mentre il quarto putto regge in mano una cetra capovolta. Il tema sembra essere una commistione su più livelli di diverse tendenze desunte dalla cultura umanistica, che declina motivi della tradizione pagana bacchica - il vendemmiatore - con temi dedotti dal repertorio funerario - il putto con la face rivolta in basso. Accanto a questi traspaiono anche simboli cristologici – il fanciullo moskophoros – ed eucaristici – i tralci d’uva. Il soggetto così criptico denuncia la sofisticata cultura del committente, partecipe delle speculazioni di Marsilio Ficino e del neoplatonismo, cosi in voga nel secondo Quattrocento. Gli studiosi hanno attribuito il manufatto ad Andrea Cavalcanti, detto il Buggiano, figlio adottivo di Filippo Brunelleschi e artista della cerchia medicea, che potrebbe averlo realizzato in collaborazione con la bottega dei fratelli Rossellino, come suggeriscono l’ornato e la tipologia del vaso che si presentano simili nell’Acquasantiera della Sagrestia Vecchia, ricondotta alla produzione di questi ultimi. La maggior parte dell’opera del Buggiano consiste in rilievi e arredi per chiese (altari, pulpiti, tabernacoli e lavabi). Lo scultore lavorò anche nel celeberrimo cantiere mediceo della Sagrestia Vecchia e collaborò con la bottega di Bernardo Rossellino com’è documentato nel Monumento Bruni in Santa Croce a Firenze del 1450. Per la sua importanza storico-artistica il dipinto è sottoposto a notifica da parte dello Stato Italiano BIBLIOGRAFIA G. Gentilini, F. Ortenzi, Vetera e Nova, a cura di M. Vezzosi, Firenze 2005, pp. 40-59, n. 2; F. Bacci, Acquasantiere, fonti battesimali e lavabi. Per una storia dell’arredo lapideo nella Firenze del Quattrocento, tesi di dottorato in Storia delle Arti e dello Spettacolo, Università degli Studi di Firenze, a.a. 2015/2016, p. 30. € 20.000 - 30.000
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44 PIETRO GRAMMORSEO (1490 ca. - Casale Monferrato, ante 1531)
Santi Gregorio Magno e Stefano protomartire Tempera grassa su tavola e aureole in lamina d’oro, cm 126x52 Questa tavola di altissima qualità rappresenta i santi Gregorio Magno e Stefano raffigurati con i loro classici attributi iconografici. Il primo, Dottore della chiesa, veste gli abiti pontificali e regge un libro. In secondo piano si scorge il diacono Stefano, primo martire ad essere ucciso per la sua fede cristiana, il cui supplizio avvenne per lapidazione. Il protomartire regge la palma simbolo del martirio e mostra la pietra sulla testa con la quale testimoniò la propria fede fino alla morte. Ricondotta alla produzione di Pietro Grammorseo da Alessandro Bagnoli, la tavola faceva parte di un polittico ora smembrato di cui si conosce solo il laterale destro, raffigurante i Santi Giovanni Battista e Lorenzo (Besançon, Musée des Beaux-Arts), purtroppo oggi ridotto nelle sue dimensioni. La tavola centrale, forse una Madonna col Bambino, si deve considerare perduta. Il nostro dipinto si rivela di fondamentale importanza per ricostruire l’attività di questo artista fiammingo – ad oggi poco nota – poiché costituisce probabilmente la sua opera più antica tra quelle oggi conosciute. Attivo in area piemontese dal 1521, il pittore coniugò elementi nordici e segnatamente düreriani con quelli coevi piemontesi e leonardeschi, come ben dimostra la tavola in esame nella descrizione dei particolari, nel dettaglio delle vesti e nella ricchezza delle decorazioni, le cui soluzioni stilistiche si possono rinvenire anche nel pannello con i Santi Antonio e Defendente (Torino, Galleria Sabauda). Questa tavola, insieme a quella di Besançon, costituisce un tassello imprescindibile per comprendere lo sviluppo artistico del pittore; ma a differenza dell’opera già musealizzata, il dipinto in esame si presenta integro e in mirabile stato di conservazione, permettendo di comprendere nel suo complesso l’opera eseguita da Grammorseo e la sua ormai perduta concezione spaziale originaria. BIBLIOGRAFIA DI CONFRONTO G. Romano, Casalesi del Cinquecento: l’avvento del manierismo in una città padana, Torino 1970. Il lotto è in regime di Temporanea Importazione € 70.000 - 80.000
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45 GERVASIO GATTI, DETTO IL SOJARO (Cremona, 1550 ca. - 1630)
Ritratto di nobildonna Olio su tela, cm 104x75 Con cornice antica Il dipinto è accompagnato da un’expertise del prof. Marco Tanzi. Sono presenti al retro bolli della dogana di Bologna del 1911 e del trasportatore imperiale di Vienna Questo raffinato ritratto va riferito alla mano del cremonese Gervasio Gatti (nipote di Bernardino Gatti detto il Sojaro, dal quale ereditò il soprannome), che si formò a Parma nel cantiere per la cupola di S. Maria della Steccata. A Parma entrò in contatto con la famiglia Farnese che, stando agli inventari, possedeva diversi ritratti del pittore, genere nel quale egli fu principalmente apprezzato dai suoi contemporanei. Il ritratto di gentildonna qui in oggetto fu realizzato sul finire del Cinquecento e si caratterizza per una forte carica espressiva e per l’efficace e accurata definizione dei tratti fisionomici. Non si conosce l’identità dell’effigiata, che veste un abito scuro – evidente segno del suo status di vedova – e indossa diversi anelli, di cui uno, al mignolo, con la croce dei Cavalieri di Malta. Nella severità complessiva dell’immagine il pittore riesce a dare slancio alla figura grazie alla luminosità dei bianchi del colletto, della camicetta e dei polsini. L’intera composizione restituisce un sapore nordico che il Gatti ebbe modo di apprezzare e di conoscere durante la sua esperienza presso la corte farnesiana di Parma. Questa marcata adesione alla ritrattistica nordica si nota anche in altri ritratti del pittore, di cui quello di Margherita d’Austria del Palazzo Comunale di Parma può essere considerato l’esempio più vicino. BIBLIOGRAFIA Sette ritratti lombardi dalla tarda maniera alla maniera pura, testi di M. Tanzi e M. Vezzosi, Firenze 2009, pp. 4-9. € 10.000 - 15.000
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46 FEDERICO ZUCCARI (Sant’Angelo in Vado, 1539 - Ancona 1609)
Ritratto di giovane Olio su carta incollata su tavola in antico, cm 43,5x32 Con cornice Il dipinto rappresenta un’importante aggiunta al corpus della produzione matura di Federico Zuccari, rivelando nella sua morbidezza di colorito e levigatezza di ductus pittorico una non usuale tangenza con la maniera di Federico Barocci. Giunto a Roma come aiuto del fratello Taddeo, Federico portò a termine tutti i lavori lasciati incompiuti alla morte di quest’ultimo in varie dimore romane e a Palazzo Farnese a Caprarola, guadagnando una posizione di indiscusso prestigio sulla scena artistica capitolina nei decenni finali del Cinquecento. Il nostro Ritratto di giovane fu dipinto presumibilmente successivamente al soggiorno spagnolo del pittore e mostra analogie con i ritratti ad affresco eseguiti nelle lunette in casa Zuccari a Roma, terminati nel 1598. L’opera fu dipinta su carta (già in antico applicata su tela forse dall’artista stesso) e si direbbe un modello eseguito dal vero. La stesura del volto richiama il Cristo alla colonna (Urbino, Museo Diocesano Albani) realizzato da Federico Zuccari nel 1605, periodo nel quale può essere collocata anche la nostra opera. Esso mostra analogie anche col ritratto del fratello Taddeo nella cosiddetta Pala Zuccari (S. Angelo in Vado, Municipio), in cui sono rappresentati alcuni membri della sua famiglia insieme con la Madonna e santi. BIBLIOGRAFIA A.M. Ambrosini Massari, A. Delpriori (a cura di), Capriccio e natura. Arte nelle Marche del secondo Cinquecento, Cinisello Balsamo 2017, p. 98, fig. 4. I Il lotto è corredato di Attestato di Libera Circolazione € 15.000 - 20.000
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47 FRANCESCO RUSTICI, DETTO IL RUSTICHINO (Siena, 1592 - 1626)
Maria Maddalena assistita dagli angeli Olio su tela, cm 91x77 Con cornice La tela, in passato attribuita a Rutilio Manetti, è stata da tempo riconosciuta come importante opera di Francesco Rustici detto il Rustichino e come tale recentemente esposta nella mostra Il buon secolo della pittura senese. Il dipinto rappresenta Maria Maddalena come peccatrice penitente che decise di ritirarsi nel deserto e vivere tra stenti e mortificazioni. Il Rustici scelse di dipingere il momento in cui tre giovani angeli confortano la donna, colta in atteggiamento estatico. Rustici improntò la sua prima maniera ai modi del Casolani, per aprirsi in seguito a una personale assimilazione del naturalismo caravaggesco (conosciuto direttamente nel corso di un giovanile soggiorno romano nella primavera del 1615) e a soluzioni vicine a Rutilio Manetti, come evidenzia l’accresciuta solidità strutturale e la plastica semplificazione dei volumi. La nostra opera mostra inoltre un’attenta ricezione del linguaggio di Orazio e Artemisia Gentileschi, secondo un’attitudine che valse al Rustici il soprannome di “gentile caravaggesco” da parte dell’abate Lanzi, alla fine del Settecento, ma anche chiare suggestioni derivate dal classicismo bolognese negli angeli di profilo e nel volto della Maddalena. L’impianto compositivo, la mimica delle figure e l’illuminazione notturna testimoniano degli stilemi più idiomatici del Rustichino e avvicinano la nostra tela ad altre sue opere come la Decapitazione del Battista del Duomo di Siena e il Processo di sant’Ansano nella chiesa omonima in Castelvecchio a Siena. PROVENIENZA Arredi del Palazzo Cenami-Spada e di altre Nobili Famiglie lucchesi (Lucca, Galleria Vangelisti, 1970). ESPOSIZIONI Il buon secolo della pittura senese. Dalla maniera moderna al lume caravaggesco, Montepulciano, San Quirico d’Orcia, Pienza, 18 marzo – 30 giugno 2017 BIBLIOGRAFIA A. Bagnoli, L’Arte a Siena, Siena 1980, p. 189, fig. 28; M. Ciampolini, Francesco Rustici detto il Rustichino, caravaggesco gentile, in “Il buon secolo della pittura senese. Dalla maniera moderna al lume caravaggesco”, catalogo della mostra, Montepulciano, San Quirico d’Orcia, Pienza, Ospedaletto, Pisa 2017 pp. 309-310, scheda n. 25. € 20.000 - 30.000
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48 BERNARDINO NOCCHI (Lucca, 1741 - Roma, 1812)
Mosè calpesta la corona del faraone Olio su carta, cm 20,2x26,2 Con cornice Si ringrazia il prof. Roberto Giovannelli che ha confermato l’attribuzione del dipinto a Bernardino Nocchi. Il dipinto raffigura un insolito episodio della vita di Mosè tratto dalle Antichità giudaiche dello storico Giuseppe Flavio. Al centro della tela, il piccolo Mosè calpesta con il piede la corona regale che Ramses I aveva posto sul suo capo. L’azione viene amplificata dalla manifestazione di sdegno di alcuni dei suoi fiduciari e dall’impostazione scenografica imperniata sulla figura del bambino. Bernardino Nocchi dispone i vari gruppi di personaggi intorno al protagonista a creare un vortice che conferisce dinamicità e drammaticità alla scena. Il dipinto può essere considerato un bozzetto preparatorio per la velocità della pennellata che lascia sommariamente abbozzati i particolari. L’opera potrebbe essere stata realizzata contemporaneamente agli affreschi nella sala dei Fasti prenestini in palazzi Vidoni Caffarelli a Roma, per la presenza di alcune analogie come le figure collocate secondo una concezione illusionistica barocca descritte in una partitura architettonica con rimandi al genere della grottesca.
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49 PIETRO BENVENUTI (Arezzo, 1769 - Firenze, 1844)
Ritratto di donna
€ 4.000 - 6.000
Olio su tela, cm 53x42,3 Con cornice Il ritratto esalta la giovinezza della donna attraverso una tavolozza scura e il lieve bagliore sullo sfondo, che ne mette in risalto l’ovato perfetto. In quest’opera raffinata si deve riconoscere la mano di Pietro Benvenuti, la cui attività si svolse tra Roma, Firenze e Napoli. I suoi ritratti, sobri e un po’ algidi, furono molto apprezzati dai nobili fiorentini che frequentavano la corte della granduchessa Elisa Baciocchi, i quali impegnarono il pittore in diverse commissioni. Similmente al nostro, il Ritratto di Domenica Benvenuti (coll. privata) mostra lo stesso taglio di tre quarti della figura, nonché il candore dell’incarnato e una certa pinguedine del viso e del collo. BIBLIOGRAFIA L. Fornasari, Pietro Benvenuti, Firenze 2004, p. 332, fig. 282 € 4.000 - 6.000
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50 GIUSEPPE BAZZANI (Mantova, 1690 - 1769)
Ritratto di uomo in armatura Olio su tela ovale, cm 87x73 Con cornice Il dipinto reca un’iscrizione al retro: “DERR GENERAL SELD MACHT MEISTER GRAF BONEVALLE” Questo sontuoso ritratto d’uomo in armatura costituisce un’importante aggiunta all’esiguo ma notevole corpus ritrattistico del mantovano Giuseppe Bazzani. La sua formazione artistica esplicita l’influsso dei grandi veneti del Cinquecento (in primis Veronese e Bassano), riletti alla luce degli esempi di Rubens e Domenico Fetti, inaggirabili per un pittore formatosi a Mantova. La figura qui rappresentata, con l’armatura scura su cui spiccano le finiture dorate e i riflessi sulla manica destra, si staglia con su un cielo tempestoso squarciato da vibranti pennellate azzurre, che conferiscono pathos e fierezza all’effigiato. Quest’uso di effetti luministici lunari è caratteristico della maniera di Bazzani, accentuandosi vieppiù nelle sue opere tarde. Giusta l’iscrizione antica sul retro della tela, nel ritrattato si può riconoscere Claude Alexandre Conte di Bonneval, aristocratico francese dalla vita assai avventurosa che fu generale dapprima dell’esercito austriaco e poi, convertitosi all’Islam, di quello turco ottomano, morendo a Istanbul nel 1747. Il ritratto dovrebbe risalire al soggiorno forzato del conte in Italia nel terzo decennio del Settecento: datazione che si accorderebbe con l’età apparente dell’effigiato fra i trenta e i quaranta anni. € 6.000 - 8.000 59
51 VINCENZO MEUCCI (Firenze, 1694 - 1766)
Venere e Adone Olio su tela, cm 298x178 Con cornice. In prima tela Il dipinto è firmato e datato sul retro della tela “VIN:IO MEUCCI/F:/1721” Il mito messo in scena in questo dipinto, eccezionale da tanti punti di vista, vede protagonisti la più bella dea dell’Olimpo e Adone, splendido figlio di Cinira, re di Cipro, nato dall’unione incestuosa di questi con la figlia Mirra. Come racconta Ovidio nelle Metamorfosi, Venere, punta da un dardo di Cupido, si innamorò perdutamente del giovane e volle condividerne la passione per la caccia. Adone fu però ferito mortalmente da un cinghiale e dal suo sangue caduto sulla terra germogliarono gli anemoni, fiori dalla bellezza effimera – come quella del giovane – e così delicati che un lieve soffio ne può disperdere i petali. In questa tela, il racconto ovidiano si arricchisce della presenza delle ninfe Oreadi, le tre compagne di Venere che insieme alla dea piangono la morte del giovane, mentre Cupido volteggia in alto, impugnando l’arco con cui scaglia le frecce. La tela, firmata e datata sul retro, fu dipinta nel 1721 da Vincenzo Meucci, artista fiorentino formatosi a Piacenza alla scuola di Sebastiano Galeotti, che si era trasferito nel 1710 presso la corte farnesiana. L’opera può essere identificata con il “quadro grande” di analogo soggetto che il pittore inviò in dono al suo protettore, il marchese Giovanni Battista Bartolini Salimbeni, “per far conoscere i progressi delle sue fatiche”. In questa tela di dimensioni monumentali si esprime al meglio lo stile aggraziato del Meucci, di matrice accademica, fondato sulla profonda conoscenza e assimilazione dello stile dei grandi maestri. In particolare essa rivela caratteri comuni a Gian Gioseffo del Sole, che secondo le fonti fu per otto anni (dal 1711 al 1719) maestro a Bologna del nostro pittore dopo la sua esperienza piacentina, e dovrebbe inserirsi all’interno della pressoché ignota produzione bolognese di Meucci. La cromia delicata e luminosa e l’azzurro intenso del mantello di Venere ricordano i preziosismi coloristici del fiorentino Cesare Dandini, mentre il corpo di Adone e le figure femminili rivelano reminiscenze reniane, mediate dall’opera di Carlo Cignani. Ben poco si conosceva sino ad oggi della produzione del pittore precedente al 1724, anno in cui Meucci valicò nuovamente le mura della capitale del Granducato. Una volta a Firenze, infatti, egli si iscrisse all’Accademia del Disegno, dando inizio alla sua fortunata carriera di frescante, con rare incursioni nella pittura ad olio, tra cui, oltre al presente capolavoro (riferimento fondamentale per indagare l’attività giovanile dell’artista), si può ricordare l’affine Maddalena penitente, dipinta nel 1727 su commissione dell’Elettrice palatina Anna Maria Luisa de’ Medici. Per la sua importanza storico-artistica il dipinto è sottoposto a notifica da parte dello Stato Italiano. ESPOSIZIONI Il fasto e la ragione. Arte del Settecento a Firenze, Firenze, Galleria degli Uffizi, 30 maggio - 30 settembre 2009, n. 37 BIBLIOGRAFIA Un capolavoro della pittura fiorentina. Venere e Adone di Vincenzo Meucci, a cura di M. Vezzosi, testo critico di C. Leonzi Iacomelli, Firenze 2003; S. Casciu, in La principessa saggia. L’eredità di Anna Maria Luisa de’ Medici Elettrice palatina, Catalogo della mostra, Firenze 2006, p. 379; C. Lenzi Iacomelli, in Il fasto e la ragione. Arte del Settecento a Firenze, Catalogo della mostra, Firenze 2009, pp. 142-143, n. 37; S. Bellesi, Catalogo dei pittori fiorentini del ‘600 e ‘700, Firenze 2009, I, p. 201, tav. XCIV; C. Lenzi Iacomelli, Vincenzo Meucci (1694 - 1766), Firenze 2014, p. 173, scheda n. 1, p. 113, tav. I. € 40.000 - 60.000
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52 STEFANO TOFANELLI (Nave, 1752 - Lucca, 1812) Ritratto di poetessa Olio su tela, cm 99,5x75 Con cornice Il dipinto rappresenta il ritratto di una poetessa coronata di alloro con in mano una lira, con la quale si appresta a declamare i propri versi. Vestita in abiti classici, la donna – che il realismo del volto suggerisce essere un vero ritratto – personifica Erato, Musa del canto e della poesia amorosa. Il ruolo delle emergenti accademie scientifiche e letterarie in cui si riunivano eruditi e colti mecenati, tra cui naturalmente l’Arcadia, dette nuovo slancio a questo genere di raffigurazioni, protagonista assoluto nelle gallerie di ritratti dedicate agli accademici vestiti alla maniera antica ed effigiati in atteggiamenti idealizzati. Sebbene l’identità della donna resti sconosciuta, questo ritratto fu realizzato nello stesso spirito e costituisce un’efficace testimonianza del gusto dell’epoca. Il nostro dipinto è stato attribuito da Stella Rudolph a Stefano Tofanelli, pittore lucchese che si formò a Roma presso Niccolò Lapiccola. Nell’Urbe le sue opere cariche di suggestioni neoclassiche arricchirono molte collezioni dell’aristocrazia capitolina, permettendogli di affermarsi sia come raffinato ed erudito pittore di storia, sia come abile ritrattista. Rientrato a Lucca, l’artista ricoprì una posizione ufficiale alla corte di Elisa Baciocchi Bonaparte dal 1805 e realizzò diversi interventi nelle ville antiche della lucchesia. Tra i suoi ritratti più strettamente affini al nostro si può citare quello di Carlo Albacini, conservato a Roma presso l’Accademia di San Luca. € 10.000 - 15.000
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53 NICCOLÒ DI TOMMASO (pittore fiorentino attivo in Toscana e in Campania durante il terzo quarto del XIV secolo), attr.
Madonna col Bambino in trono circondata da dieci santi e ai piedi due angeli musicanti inginocchiati Tempera e oro su tavola, cm 67x32 Niccolò di Tommaso fu una voce di spicco nella pittura gotica fiorentina della seconda metà del Trecento. Il suo stile mostra significative affinità con i modi di Orcagna, Giovanni da Milano e soprattutto di Nardo di Cione (del quale fu forse collaboratore di nella Cappella Strozzi in Santa Maria Novella), dal cui esempio deriva in parte la delicatezza nella costruzione delle figure e l’accuratezza nella definizione delle vesti e dei panneggi che si possono ben percepire anche nella nostra importante e preziosa tavoletta cuspidata. L’opera costituiva presumibilmente l’anta centrale di un tabernacolo portatile a più sportelli, le cui ali laterali sono andate disperse in epoca imprecisabile. Appare indiscutibile, peraltro, la sua originaria funzione legata alla privata pratica devozionale. La nostra tavola presenta chiare analogie stilistiche, tecniche e compositive con molte opere di Niccolò di Tommaso. Meritano di essere citati in particolare i due Trittici portatili conservati presso il Musée du Petit Palais di Avignone e la Walters Art Gallery di Baltimora, la Madonna con Bambino e quattro santi della collezione Mason Perkins oggi ad Assisi, la predella di proprietà della Pinacoteca Vaticana, l’Incoronazione della Vergine fra angeli e santi della Galleria dell’Accademia di Firenze, e infine, ancor più strettamente apparentata, la tavola nella collezione dei principi Colonna a Roma, analoga alla nostra anche sotto il profilo iconografico e compositivo, presentando a sua volta il gruppo della Madonna col Bambino in trono attorniato da una teoria di dieci santi e da due angeli musicanti inginocchiati sottostanti. PROVENIENZA Dal 1980 collezione privata, Roma € 17.000 - 22.000
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54 NICCOLÒ DI SER SOZZO (Siena, documentato dal 1336 - 1363), attr.
San Lorenzo Tempera su tavola, cm 56,5x33,5 Con cornice Il dipinto è accompagnato da un’expertise del prof. Giuliano Briganti Figlio e allievo del poco noto miniatore Ser Sozzo di Stefano (e non della nobile famiglia Tegliacci come si è a lungo ritenuto), Niccolò fu tra i massimi artisti senesi attivi nei decenni centrali del XIV secolo, in particolare nelle vesti di miniatore, come dimostra il mirabile frontespizio del codice detto il Caleffo dell’Assunta conservato all’Archivio di Stato di Siena. Fra le sue principali opere pittoriche vanno citate il Polittico con l’Assunzione della Vergine e santi del Museo Civico di San Gimignano, la Madonna con Bambino degli Uffizi e il polittico con la Madonna con Bambino e Santi, firmato assieme a Luca di Tommé e datato 1362, oggi nella Pinacoteca Nazionale di Siena. Nelle sue opere Niccolò rivela una cultura aggiornatissima e raffinata, in cui l’eco vivida di Simone Martini e Pietro Lorenzetti si combina con la maniera di Lippo Memmi, avvicinandolo a Lippo Vanni e al “socio” Luca di Tommé. Ritroviamo questa commistione di elementi cardinali della pittura senese del Trecento anche nella nostra rara tavola centinata su fondo oro, di qualità elevatissima e il cui stato di conservazione si presenta nel complesso discreto. Il dipinto raffigura il protomartire Lorenzo a mezza figura, con indosso una sontuosa dalmatica minutamente descritta e un ponderoso volume retto da entrambe le mani, e combina originalmente un impianto di monumentalità quasi giottesca con delicati accenti cortesi, più idiomaticamente senesi. € 30.000 - 40.000
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55 SCUOLA FIORENTINA, ULTIMO QUARTO XV SECOLO Madonna con Bambino in trono tra due angeli e donatore Tempera su tavola, cm 64,5x44,5 Con cornice Il dipinto è accompagnato da un’expertise del prof. Giuliano Briganti Questa aggraziata tavola centinata esibisce i caratteri più canonici della pittura fiorentina dell’ultimo quarto del Quattrocento. In essa si rinvengono, infatti, gli influssi combinati di Filippo Lippi e dei giovani Botticelli, Francesco Botticini e Leonardo da Vinci. Proprio dalla celebre Madonna Benois (oggi all’Ermitage di San Pietroburgo) di quest’ultimo sembra dipendere quasi letteralmente il gruppo centrale della Vergine in trono col Bambino assiso sulle sue ginocchia, peraltro recuperando un delicato schema plastico non infrequente nella produzione artistica toscana del XV secolo, portato a perfezione e a nuova fortuna dal capolavoro leonardesco. Di tali inarrivabili modelli troviamo qui una traduzione in tono minore, che adotta un registro stilistico semplificato di immediata efficacia devozionale, al quale si intonano perfettamente gli angeli di virginale candore e la figuretta inginocchiata e deferente del donatore. Nel solco della più consolidata tradizione iconografica vanno inquadrati gli attributi delle roselline rosse che la Vergine porge a Gesù Bambino (canonico attributo mariano) e della collana di corallo indossato da quest’ultimo, ricorrente attributo apotropaico che include anche un riferimento alla Passione di Cristo. Il nostro dipinto si inserisce a pieno titolo nel solco di quella ricca produzione fiorentina, di secondo piano ma di nobile qualità, che si affianca a quella dei grandi maestri con la funzione storicamente cruciale di trasmetterne e diffonderne le invenzioni, rendendole accessibili a una platea di fruitori che si presentava all’epoca in clamorosa espansione. Il suo posto è così accanto alle opere di petitmaîtres anonimi come il Maestro della Natività Johnson, lo Pseudo Pier Francesco Fiorentino o il Maestro di San Miniato. La tavola presenta uno stato di conservazione complessivamente buono, con modeste abrasioni e lacune che non riguardano le parti principali della composizione. € 15.000 - 20.000 68
56 MAESTRO DI SAN MINIATO (attivo in Toscana nella seconda metà XV secolo), attr.
Cristo crocifisso fra la Vergine e i santi Giovanni Evangelista, Gerolamo e Francesco Tempera su tavola, cm 49x36 Con cornice Il dipinto è accompagnato da un’expertise del prof. Giuliano Briganti Questa luminosa tavoletta si situa al cuore di un passaggio cruciale della pittura toscana nei decenni successivi alla metà del Quattrocento, che vede coinvolti artisti come Domenico Veneziano, Filippo Lippi, Benozzo Gozzoli, Fra’ Carnevale, Jacopo del Sellaio e Alesso Baldovinetti. L’opera può essere così collocata all’ideale intersezione tra la cosiddetta pittura di luce e la nuova civiltà prospettica incarnata da Piero della Francesca, in una felice coesistenza di permanenza della tradizione e spinte innovative. Giuliano Briganti assegnò per primo il nostro dipinto all’allora, e ancora oggi, anonimo Maestro di San Miniato, personalità creata e lungamente lavorata da Bernard Berenson a partire dal suo capolavoro, la Madonna con Bambino, quattro santi e la famiglia del donatore della chiesa di S. Domenico a San Miniato. Un fiancheggiatore dei suoi grandi contemporanei, presumibilmente attivo fra il 1460 e il 1500 circa, con un catalogo piuttosto corposo e un’attività per lo più imperniata su dipinti destinati alla devozione privata (soprattutto Madonne con Bambino), ma non priva di sortite sul fronte pubblico delle pale d’altare. La nostra piccola tavola si candida a trovare un posto stabile all’interno del corpus ancora fluttuante del Maestro di San Miniato, come suggerisce la sua parentela stilistica con la Deposizione di Cristo nel sepolcro già in coll. Campana e di proprietà dei Muséee Nationaux francesi, il San Nicola in trono fra quattro santi già nella coll. Woodward di Londra, o la predella con Storie di Santa Barbara della Pinacoteca Vaticana: opere con le quali condivide una certa ingenuità nella scrittura pittorica sulla quale si innesta, però, in modo accattivante uno sforzo genuino di aggiornamento prospettico e compositivo, soprattutto evidente nell’ampio e felice brano di paesaggio. € 20.000 - 30.000 69
57 BONIFACIO DE’ PITATI, DETTO BONIFACIO VERONESE (Verona, 1487 ca. - Venezia, 1553) e aiuti
Sacra Famiglia con i santi Gerolamo, Antonio da Padova e Caterina d’Alessandria Olio su tavola parchettata, cm 75x120 Con cornice Di natali veronesi, dove dovette svolgersi la sua formazione artistica (della quale nulla ci è noto), Bonifacio de’ Pitati risulta per certo a Venezia nel 1528. È presumibile, però,che il suo arrivo in Serenissima sia stato precedente e rapida la sua affermazione, se di lì a poco egli si sarebbe aggiudicato il monopolio sulla vastissima decorazione pittorica (gran parte della quale oggi conservata nei depositi delle Gallerie dell’Accademia) di una prestigiosa sede della Magistratura della Repubblica, il Palazzo dei Camerlenghi, un impegno che lo avrebbe occupato dal 1530 alla sua morte. In una scena artistica dominata dal genio di Tiziano e costellata di artisti di altissimo livello, Bonifacio seppe integrarsi perfettamente nel solco della tradizione locale, in primis grazie alle sue alte virtù di colorista e paesaggista, capace di calare le scene sacre in un’atmosfera di placida immersione nella natura. Senza eludere il richiamo tizianesco, e guardando con attenzione all’opera di Lorenzo Lotto e Paris Bordon, Bonifacio trasse ispirazione principalmente da Palma il Vecchio, in particolare nella sua ricca produzione di cosiddette Sacre Conversazioni. Il dipinto qui in oggetto, di rimarchevole slancio monumentale, è costruito sul marcato decentramento del gruppo principale di personaggi, che comprende la Sacra Famiglia e la Santa Caterina d’Alessandria, mentre la porzione destra della composizione include le due plastiche figure dei santi Antonio da Padova e Gerolamo; in lontananza, sullo sfondo di un classico paesaggio postgiorgionesco, si intravvedono i due episodi evangelici della Fuga in Egitto e della Visitazione. La tavola può essere strettamente comparata a molteplici opere all’interno del corpus di Bonifacio: meritano soprattutto di essere sottolineate le similitudini formali, nell’impostazione compositiva, nelle soluzioni coloristiche, nelle fisionomie e nelle posture delle figure, con la Sacra Famiglia con la Maddalena, S. Francesco e un donatore, del M.H. De Young Museum di San Francisco, la Madonna con Bambino e i santi Giacomo Maggiore, Girolamo, Caterina d’Alessandria e Giovannino, della National Gallery di Londra, e la Madonna con Bambino, S.Giovannino e quattro Santi, già nella collezione del Marchese di Landsdowne a Bowood, Wiltshire. La tavola presenta un buono stato di conservazione. € 30.000 - 40.000
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58 LEANDRO DAL PONTE, DETTO LEANDRO BASSANO (Bassano del Grappa, 1557 - Venezia, 1622)
Ultima Cena Olio su tela, cm 95x136 Con cornice antica Questa tela inedita di smagliante qualità, certamente autografa di Leandro Bassano, costituisce una versione alternativa del tema dell’Ultima cena rispetto alla redazione più celebre conservata presso la Galleria Palatina di Palazzo Pitti in Firenze, di misure pressoché coincidenti (un’ulteriore redazione, radicalmente diversa, si trova nella chiesa di S. Alessandro in Colonna a Bergamo). In effetti, a dispetto di molte analogie più o meno superficiali (le più significative riguardano i due apostoli di spalle e l’ideale triangolo che essi tracciano a livello strutturale col Cristo seduto al centro della tavola, oltre al gatto accucciato sul primissimo piano della composizione), assai più rilevanti per quantità e qualità sono le varianti fra le due opere. Esse investono posture e abbigliamento di molti apostoli, il numero, le fisionomie, la disposizione e in alcuni casi le azioni delle figure di contorno della scena, nonché, infine, l’architettura e l’arredamento dell’ambiente che ospita l’evento sacro. Sotto il profilo della qualità esecutiva la versione che qui si presenta appare superiore a quella fiorentina, più sciolta pittoricamente e priva di quei tratti di rigidezza disegnativa, ridondanza di dettagli e macchinoso calligrafismo che non di rado si riscontrano nelle opere di grande formato di Leandro, figlio terzogenito di Jacopo Bassano. Nel nostro caso Leandro approda a un equilibrio e a una misura compositiva per lui non comune, mostrando quasi di serbare memoria del capolavoro paterno di uguale soggetto oggi conservato alla Galleria Borghese di Roma, eseguito all’incirca mezzo secolo prima. € 22.000 - 26.000 72
59 IMPERIALE GRAMATICA (Roma, 1599 - 1634)
Tre figure allegoriche Olio su tela, cm 120x160 Con cornice Il soggetto di questo dipinto, di difficile identificazione, rappresenta tre figure allegoriche che occupano l’intera superficie della tela; la donna di sinistra potrebbe alludere all’iconografia della Carità, descritta nell’Iconologia di Cesare Ripa come una giovane donna vestita di bianco che con l’indice tocca la parte inferiore dell’orecchio. Tre foto (due in bianco/nero e una a colori) riproducono il dipinto nell’archivio della Fototeca Federico Zeri, dove la tela in esame viene descritta alternativamente come Virtù Teologali o come Figure allegoriche, opara di Imperiale Grammatica (n. scheda 45862). Sebbene sia difficile riconoscere nelle altre due figure muliebri le personificazioni della Fede e della Speranza, sembra corretto attribuire l’opera alla mano del pittore romano. Le Tre Virtù allegoriche del nostro dipinto riecheggiano, infatti, la disposizione di Pomona, Cerere e Flora (ubicazione ignota) dipinte dal Grammatica, così come l’allegoria al centro con un fiamma che le arde sulla testa ricorda la personificazione della Misericordia (Milano, coll. privata) forse in origine in coppia con la nostra. Ascrivere questa tela alla sola mano di Imperiale Gramatica è una questione piuttosto delicata giacché lo stato degli studi non permette ancora di chiarire fino in fondo il rapporto professionale che lo legava al padre Antiveduto e alla sua attiva bottega. I pochi documenti finora rinvenuti sul suo conto mettono sempre in luce la diretta interdipendenza artistica esistente tra lui e la figura paterna. Bisogna infine tenere conto che la carriera di Imperiale, sebbene avviata nell’officina paterna, venne tuttavia stroncata dalla sua morte prematura avvenuta nel 1634. € 20.000 - 30.000 73
60 SIMONE DEL TINTORE (Lucca, 1630 - 1708), attr.
Grande natura morta di fiori, frutta, ortaggi, pesci e un paiolo di rame Olio su tela, cm 123x172 Con cornice Composizione di forte impatto scenografico, questa inedita natura morta en plein air si situa al crocevia di rilevanti nodi problematici nell’ambito della natura morta italiana post-caravaggista. Per la sua monumentalità, la complessità costruttiva, gli accentuati contrasti luministici e la presenza di alcuni motivi tipici del suo repertorio, l’opera può essere ricondotta alla mano del lucchese Simone del Tintore, allievo di Pietro Paolini e tra i massimi specialisti di natura morta attivi in centro-Italia nella seconda metà del XVII secolo. Ci rimandano al repertorio e al ductus pittorico di Simone il paiolo di rame con i ciuffi di verdure, i pesci, i volatili, la levigatezza e i riflessi sulla superficie dei funghi e delle mele, la matericità del melone spaccato e infine la composizione all’aria aperta, di ampia spazialità e affollata di oggetti diversi disposti su più piani secondo uno studiato effetto paratattico. Affinità sostanziali emergono con opere di Simone quali Frutta, selvaggina, volatili e coniglio, oppure Cane che vigila sulla cacciagione, con volatili, selvaggina e cinghiale, o ancora Frutta, verdura e cacciagione, con pastore e zampognaro, tutte e tre conservate in collezioni private (riprodotti in F. Baldassarri, Una natura morta di Simone del Tintore, caravaggesco di Toscana, cat. della mostra, Pienza, Museo Diocesano, 1 Maggio – 2 Giugno 2014, figg. 18, 19, 20, pp. 14-116). PROVENIENZA Collezione privata, Roma € 20.000 - 30.000
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61 CERCHIA DI MICHELANGELO MERISI, DETTO IL CARAVAGGIO (Milano, 1571 - Porto Ercole, 1610)
I giocatori di carte (“I bari”) Olio su tela, cm 92x124. Con cornice antica Il dipinto è accompagnato da uno studio del Prof. Pierluigi Carofano e dalle indagini fisiche effettuate dalla Diagnostica per l’Arte Fabbri di Davide Bussolari. L’opera è inoltre corredata della xerocopia di parte del carteggio intercorso nel 1960 tra l’antico proprietario e Roberto Longhi. Pubblicato da Pierluigi Carofano nel 2013 in occasione della mostra Il giuoco al tempo di Caravaggio, il nostro dipinto è una copia coeva di altissimo livello del celeberrimo dipinto di Caravaggio ricordato da Giovan Pietro Bellori, oggi conservato presso il Kimbell Art Museum di Fort Worth e noto universalmente, sebbene in modo lievemente fuorviante, come “I bari”. Si tratta di un soggetto che ottenne largo successo presso i seguaci di Caravaggio, tanto italiani quanto stranieri, come attesta l’abbondanza di opere di soggetto analogo eseguite nello stile del maestro dalla cerchia di pittori aderenti a quella che lo stesso Bellori ebbe a qualificare come manfrediana methodus. A dispetto della sua fortuna successiva, questo soggetto in pratica non ha eguali nella produzione di Caravaggio, il quale, allo stato delle nostre conoscenze, sembra non essere più ritornato sul tema dopo quella pur felicissima prova giovanile, solitamente datata intorno al 1596, nonostante l’abbondanza di copie che di essa furono realizzate nei decenni successivi. Il destino del dipinto appare così in tutto simile a quello delle numerose altre sortite compiute da Caravaggio durante i suoi primi anni romani nell’ambito della “pittura di genere”, destinata a uscire definitivamente dal suo orizzonte in coincidenza con le prime grandi commesse pubbliche, che produssero un clamore senza precedenti sulla contemporanea scena artistica romana e determinarono la definitiva e totale conversione dell’artista alla pittura “di storia”. Sempre Bellori ci informa che il dipinto fu comprato dal Cardinale del Monte, “che per dilettarsi molto della pittura ridusse in buono stato Michele, e lo sollevò dandogli luogo honorato in casa fra suoi gentilhuomini”. L’opera può essere così posta in relazione con la Buona Ventura della Pinacoteca Capitolina, di misure analoghe e anch’essa proveniente dalla mirabile collezione del Cardinale. Della versione che qui si presenta non è nota la provenienza ab antiquo. Sappiamo, in compenso, che essa fu oggetto di un interessantissimo scambio epistolare risalente al 1960 tra il vecchio proprietario e Roberto Longhi, allora come oggi venerato studioso di Caravaggio. Sappiamo infatti che il dipinto fu acquistato da Luigi Lancellotti in un’asta parigina nel febbraio 1952, proveniente da una collezione privata francese. Il 24 giugno 1960 il Lancellotti scrisse a Longhi, inviandogli foto non professionali, per chiedergli un parere sulla sua versione dei “Bari” di Caravaggio. Lo studioso rispose a stretto giro con una lettera di suo pugno scritta sulla carta intestata della rivista “Paragone”, da lui fondata e diretta. Premettendo che il suo giudizio si basava su immagini non professionali, Longhi così si esprimeva a proposito dell’opera: “Circa i suoi “Bari” caravaggeschi posso dirle che, se anche si trattasse di una copia antica, sarebbe fin qui la migliore da me vista (e ne conosco almeno una ventina)”. Di lì a poco Longhi ebbe modo di visionare personalmente la tela e nei mesi successivi Lancellotti e lo studioso si scambiarono ancora varie missive delle quali purtroppo ci restano solo alcune di quelle inviate dal proprietario del dipinto. Il recente intervento di pulitura ha restituito perfetta leggibilità alla tela (in eccellente stato di conservazione), permettendo di confermare appieno il parere più che lusinghiero espresso da Roberto Longhi. L’aderenza all’originale, con varianti pressoché impercettibili, la comprensione profonda dello stile del Caravaggio “in chiaro”, la finezza esecutiva, unitamente alle misure quasi identiche al dipinto del Kimbell Museum, spingono a ritenere che il nostro esemplare sia frutto di una conoscenza diretta del prototipo, se non addirittura (come suggerito da Pierluigi Carofano) da un “lucido guida” derivato da quello, e che la sua esecuzione sia da collocare nella stretta cerchia del maestro entro il primo decennio del XVII secolo.
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BIBLIOGRAFIA Il giuoco al tempo di Caravaggio, cat. della mostra, a cura di P. Carofano, Montale, Villa Castello Smilea, 7 dicembre 2013 – 6 gennaio 2014. PROVENIENZA Collezione Jourdan – Rey, Francia; Collezione Luigi Lancellotti, Milano (dal 1952); Collezione privata, Emilia-Romagna. € 20.000 - 30.000 77
62 TOMMASO SALINI (Roma, 1575 ca. - 1625)
o MAESTRO DI BARANELLO (attivo in Molise nella prima metà del XVII secolo) Apollo o Allegoria della Musica Olio su tela, cm 132x100 Con cornice In questo superbo nudo maschile seduto, fasciato solo da un ampio drappo serico, riconosciamo facilmente l’immagine di Apollo come musico ispirato, coronato di alloro, con la viola da braccio nella mano sinistra, l’archetto nella destra e ai piedi uno spartito musicale accartocciato. L’elegante e studiata composizione, accuratamente descrittiva, può essere considerata anche come un’efficace rappresentazione allegorica dell’arte della Musica. La posa plastica della figura sembra riecheggiare il celeberrimo marmo dell’Ares Ludovisi, capolavoro della statuaria romana che fu rinvenuto nei pressi di Palazzo Costaguti nel 1621-1622 (oggi al Museo Nazionale di Palazzo Altemps in Roma). Giusto questo riferimento, la data del ritrovamento si dovrebbe necessariamente intendere come terminus post quem per la datazione della nostra superba tela, d’accordo anche col suo stile. L’impianto solenne dell’immagine, infatti, evidenzia la raffinata cultura classica del suo autore, felicemente tradotta in energici contrasti chiaroscurali ed esasperazioni luministiche ancora memori dell’esempio di Caravaggio, ma non più completamente dipendenti da esso. Il nostro dipinto vanta una storia attributiva piuttosto complessa, che ne fanno un tipico caso di quesito caravaggesco ancora relativamente aperto. L’opera fu pubblicato da Mina Gregori nel 1972 con un’attribuzione a Rutilio Manetti, interessante sebbene oggi appaia ad evidenza non centrata. In seguito la tela trovò spazio nella seconda edizione, curata da Luisa Vertova, del monumentale repertorio che Benedict Nicolson dedicò ai seguaci di Caravaggio, dove veniva avvicinato al non meno bello Amore vincitore del Museo del Castello di Praga. Tale indicazione attributiva fu condivisa dalla Markova e da Gianni Papi, ma quest’ultimo più di recente ha revocato in dubbio tale riferimento, in favore di un accostamento di entrambe le tele al corpus in via di definizione dell’ancora anonimo ‘Maestro di Baranello’ (cosiddetto a partire da un Ecce homo conservato nella chiesa di San Michele Arcangelo della cittadina molisana di Baranello). Un egregio pittore, stando al catalogo che Papi gli sta pazientemente cucendo addosso, verso il quale, secondo lo studioso, sarebbe da deviare un nucleo piuttosto consistente di opere che nel tempo erano finite più o meno congruamente entro il corpus saliniano (compresa la celebre e assai dibattuta tela dei Quattro Santi coronati del Museo di Roma). Di fatto, a tutt’oggi la produzione di Tommaso Salini, detto Mao, si deve ritenere un cantiere filologico aperto e altamente problematico. Evitando in questa sede di prendere in considerazione la sua produzione di nature morte, copiosamente attestata dai documenti ma in realtà ancora oscura (sicuramente autografa può essere considerata solo una Natura Morta di ortaggi firmata sul retro “MAO fecit”), del Salini pittore di figura rimangono solo sparute testimonianze, a partire dall’Apoteosi di S. Nicola da Tolentino nell’omonima cappella della chiesa di S. Agostino in Roma. L’amico e biografo Giovanni Baglione ricorda inoltre, nelle sue Vite del 1642, un S. Lorenzo in S. Lorenzo in Lucina, oggi disperso, un Martirio di S. Cecilia sull’altare maggiore di S. Agnese in Agone, pubblicato da Federico Zeri nel 1955 (oggi ubicazione ignota), e infine uno stendardo per la chiesa oggi distrutta di S. Andrea in Vincis, conservato in collezione privata. A questo piccolo nucleo di opere pubbliche si possono aggiungere il S. Francesco donato dallo stesso Salini all’Accademia di S. Luca e ivi conservato, una S. Cecilia firmata e datata 1615, in collezione privata, e un S. Carlo Borromeo firmato e datato 1617, pure in collezione privata. La proposta di inserire all’interno del catalogo saliniano, su basi stilistiche piuttosto fragili, anche un gruppo di dipinti raffiguranti Giochi di fanciulli e Fanciulli con animali, ha trovato la critica assai divisa. Il catalogo del pittore appare, così, ancora in fieri e in effetti assai disomogeneo, sia qualitativamente sia stilisticamente. Pur nella difficoltà di associare in via definitiva a un nome certo il nostro Apollo, resta che esso s’impone comunque per il suo impianto autenticamente monumentale, la sua cifra elegante e controllata, la resa luminosa e levigata dell’incarnato, il virtuosismo dei riflessi sul drappo e sul panneggio, la calibrata registrazione di luci e ombre caravaggesche su un impianto formale classico, che richiama da vicino la produzione di Giovanni Baglione e Orazio Riminaldi.
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BIBLIOGRAFIA M. Gregori, Note su Orazio Riminaldi e i suoi rapporti con l’ambiente romano, “Paragone”, 269, 1972, p. 52, fig. 62; B.Nicholson, Caravaggism in Europe, Ed. by L. Vertova, Torino 1990, fig. 233; V. Markova, Alcune proposte per Tommaso Salini, in “Paragone”, XVII, 1989, p. 31, fig. 30; G. Papi, Un tema caravaggesco tra i quadri di figura di Tommaso Salini, “Paragone”, 12, 1989, p. 47; Id., Un nuovo S.Paolo di Valentin e alcune “anonime” aggiunte, in “Da Caravaggio ai caravaggeschi”, a cura di M. Calvesi e A. Zuccari, Roma 2009, p. 387 e nota 29. € 50.000 - 70.000 79
63 GIOVANNI BATTISTA CARACCIOLO, DETTO BATTISTELLO CARACCIOLO (Napoli, 1578 - 1635)
Ecce Homo Olio su tela, cm 124x100 Con cornice L’impressionante tela qui in esame, già attribuita da Erich Schleier a Simon Vouet, è stata pubblicata da Stefano Causa come opera di Battistello Caracciolo nel suo catalogo ragionato dedicata al pittore napoletano. Il dipinto rappresenta un Ecce Homo, espressione che rimanda all’esclamazione che, secondo il Vangelo di Giovanni, Ponzio Pilato, governatore romano della Giudea, rivolse ai Giudei mostrando loro Gesù flagellato. Molti pittori, tra cui Caravaggio e i suoi seguaci, si cimentarono nel Seicento nella raffigurazione di questo soggetto. Tra essi, Battistello Caracciolo, la cui attività fu molto importante per lo sviluppo nella direttrice naturalista della pittura napoletana del Seicento. La sua carriera iniziò subito dopo l’arrivo del Caravaggio a Napoli nel 1606 e l’artista piegò la propria maniera, debitrice della scuola tardo-manierista di Imparato, Santafede e Corenzio, in favore del nascente caravaggismo, assimilandone il realismo e gli effetti di luce e di ombra. Il dipinto in esame va datato in questa fase, tra il 1607 e il 1610, anni in cui Caravaggio fu a Napoli in due occasioni lasciando alcuni dei suoi più importanti capolavori, che impressero un segno enorme sulla produzione del nostro pittore. La scansione cronologica delle varie versioni di questo soggetto eseguite da Battistello Caracciolo (oltre alla presente, quelle conservate a Napoli, Museo di Capodimonte, e Bologna, collezione privata) permette di collocare la nostra redazione più vicina ai soggiorni napoletani del Merisi poiché essa mostra l’apprendimento ancora fresco e l’impressione potente della sua lezione. La torsione del busto, l’inclinazione del viso e l’espressione del volto trovano stretto riscontro nella figura di San Giovanni dipinta dal Battistello nella sala del Capitolo della Chiesa della Certosa di S. Martino a Napoli. PROVENIENZA Coll. Warschaw, Los Angeles; Firenze, coll. privata. BIBLIOGRAFIA Battistello Caracciolo e il primo naturalismo a Napoli, Napoli 1991, fig. 7, p. 187; fig. 23, p. 199. S. Causa, Battistello Caracciolo. L’opera completa, Napoli 2000, p. 214, fig. XVI. € 40.000 - 60.000
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64 PITTORE CARAVAGGESCO FRANCESE, PRIMA METÀ XVII SECOLO Due profeti Coppia di dipinti olio su tela, cm 100x80 Con cornici antiche Com’è noto, la maniera di Caravaggio fu imitata tanto in Italia quanto in Europa, soprattutto nei Paesi Bassi, in Francia e in Spagna. Molti pittori, in occasione del canonico viaggio di formazione a Roma, furono suggestionati da questo nuovo stile pittorico declinandolo a loro volta con la cultura artistica delle regioni da cui provenivano. Un esercito di giovani artisti giunse nell’Urbe dal Nord-Europa nel corso dei primi tre decenni del XVII secolo, popolando le tele di personaggi dai lineamenti energici, resi plastici dagli effetti caravaggeschi di chiaroscuro, con un trattamento materico degli incarnati e dei vestiti dai profondi e spessi panneggi, così come si può notare in entrambe le tele qui proposte, raffiguranti due profeti che presumibilmente facevano parte di un ciclo più ampio, che contemplava almeno un’altra coppia di profeti.
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I dipinti sono riferibili a un anonimo seguace francese del Merisi a Roma. In particolare la figura del profeta che tiene con entrambi le mani un libro, porgendolo alla vista dello spettatore, mostra alcuni stilemi - le labbra socchiuse, l’inclinazione della testa, lo sguardo e il ciuffo di capelli - simili al Sansone di Valentin de Boulogne del Cleveland Museum of Art, ma con chiare affinità anche con la maniera di Nicolas Tournier nelle tele da lui eseguite per gli Agostiniani (San Paolo, San Pietro, Soldato, Toulouse, Musée des Augustins). Le nostre due possenti figure mostrano una concezione monumentale, in termini di luce e di colore, caratterizzata da un disegno libero e da un modellato che rivela reminiscenze della pittura Simon Vouet e della maniera napoletana derivata dalla lezione di Ribera. € 40.000 - 60.000 83
65 LUCA GIORDANO (Napoli, 1634 – 1705)
Andromeda da Perseo - Apollo nella fucina di Vulcano, coppia di dipinti Coppia di dipinti olio su tela, cm 126x62 Con cornici I due dipinti sono accompagnati da un’expertise del prof. Giuseppe Porzio Queste due superbe tele, di brillante concezione e scioltissima fattura, sono senza esitazione da ricondurre alla piena maturità spagnola di Luca Giordano, negli anni conclusivi del XVII secolo. I due dipinti costituiscono chiaramente un pendant, non solo per le identiche misure e le palesi affinità di stile e composizione, ma ancor più per la stretta parentela concettuale che li ispira: entrambe le tele, infatti, sono tratte dal quarto libro delle Metamorfosi di Ovidio e focalizzano i temi universali dell’amore, della fedeltà e del tradimento. Nella prima Perseo, in groppa al suo cavallo alato Pegaso, libera Andromeda dalla tirannia del mostro marino, coronando le sue aspirazioni amorose; nella seconda Apollo informa Vulcano dell’adulterio compiuto dalla moglie Venere con Marte. Le due favole mitologiche si presentano simmetriche nell’impianto compositivo e tale stringente correlazione corrisponde alla contrapposizione degli Elementi che le due iconografia propongono: Terra / Fuoco per Apollo e Vulcano, Aria / Acqua nel caso di Perseo e del mostro. Il tessuto narrativo e le dinamiche emotive delle due storie riescono perfettamente congeniali all’inventiva e al proverbiale virtuosismo esecutivo di Luca Giordano, che dà qui prova di magistrale concentrazione del racconto pur nel registro trionfalmente barocco che informa le tue tele, col loro vorticoso dinamismo e la loro sontuosità coloristica, capace di aggiornare nei termini più scenografici la costante ispirazione neo-veneta. Numerosissimi i possibili termini di confronti all’interno della produzione mitologica del pittore. Per limitarsi ai più palmari basti citare qui Le Parche, Apollo e le Muse, Giove e Leda (Aranjuez, Palazzo Reale), Flora, Euridice rapita, Euridice punta dalla serpe (El Pardo, Casita), o il Perseo e Andromeda dell’Università di Barcellona: tutte opere, come le nostre, databili intorno al 1697, nelle quali si riscontrano, oltre allo stesso sviluppo in senso verticale della rappresentazione, chiare analogie sul piano dell’essenzialità narrativa, dello splendore cromatico e della libertà della scrittura pittorica. € 40.000 - 60.000
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66 PAOLO DE MATTEIS (Piano Vetrale, 1662 - Napoli, 1728)
Cacciata dei progenitori dal Paradiso Terrestre Olio su tela, cm 104x74 Con cornice In questa equilibrata composizione si rinvengono i caratteri tipici della maniera di Paolo de Matteis in una fase matura della sua traiettoria creativa, proprio al principio del nuovo secolo, nella quale l’influsso inaggirabile di Luca Giordano risulta temperato da una vena classicista mutuata dall’esempio di Guido Reni e Carlo Maratti. La tela, in effetti, minimizza la dimensione tragica dell’evento raffigurato, in favore di accenti narrativi decisamente composti. Particolarmente riuscito risulta l’innesto del lirico brano del coro d’angeli avvolto in una calda luce dorata, con l’espressivo paesaggio che si sviluppa luminoso ai lati del gruppo dei tre protagonisti. Ben congegnata appare anche la posa di Adamo, che dà le spalle all’angelo con la spada infuocata coprendosi il volto in gesto di vergogna. I riscontri con altri esempi della produzione di De Matteis fra la fine del XVII e il primo decennio del XVII secolo appaiono palmari e riguardano materia pittorica, composizione, pose e fisionomie delle figure: basti citare Adamo ed Eva piangono Abele ucciso, dello Statens Museen di Copenhagen, Apollo e Dafne, in collezione privata a Berkeley, la Venere dormiente in collezione privata romana e La cacciata dei progenitori già sul mercato antiquario londinese (vedi N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento, I, Dal Barocco al Rococò, Napoli 1999, nn. 111, 114, 119, 126, pp. 129-133) BIBLIOGRAFIA Paolo de Matteis un cilentano in Europa, cat. della mostra, Vallo della Lucania, Museo Diocesano, 9 febbraio - 14 aprile 2013, n. 12, pp. 58-59 (scheda di V. Pacelli). € 14.000 - 18.000 86
67 GIACOMO DEL PO (Palermo, 1654 - Napoli, 1726), attr.
Ercole e il centauro Olio su tela, cm 141x217 Con cornice Questo grande dipinto rappresenta lo scontro tra Ercole e Nesso, il centauro che viveva sulle rive dell’Eveno e che, secondo la mitologia, era solito traghettare i viaggiatori da una sponda all’altra del fiume. La tela raffigura il momento in cui l’animale mitologico perisce sotto i colpi del dio poiché ha cercato invano di rapire sua moglie Deianira. L’opera può essere attribuita a Giacomo del Po, che si trasferì a Napoli probabilmente al seguito del viceré spagnolo, marchese del Carpio. Qui, nella città partenopea, il pittore fu molto richiesto dalle famiglie nobili soprattutto per opere di soggetto profano. L’atmosfera tersa e la tendenza verso il barocchetto che si respirano nel nostro dipinto furono caratteristiche tipiche della sua produzione a partire dal primo decennio del XVIII secolo. Alcune figure richiamano modelli famosi che l’artista aveva avuto modo di studiare a Roma durante la sua prima formazione, come i gruppi scultorei berniniani, citati negli atteggiamenti e negli spasimi delle figure che affollano la scena centrale. Alcuni dettagli rimandano anche alla produzione di Pietro da Cortona. Questa tela presenta marcate vicinanze stilistiche con varie opere di Giacomo del Po, quali, in particolare, il Ratto delle Sabine e l’Ercole uccide sua moglie Megara, oggi in ubicazione è sconosciuta ma presenti nell’archivio della Fototeca Zeri. € 20.000 - 30.000 87
68 DANIEL SEITER (Vienna, 1649 - Torino, 1705), attr.
Cleopatra Olio su tela, cm 98,5x74 Con cornice Sconfitta da Ottaviano, Cleopatra decise di suicidarsi piuttosto che finire in catene a Roma come prigioniera di guerra, cosa già avvenuta per sua sorella Arsinoe. La tela in esame raffigura il momento esatto in cui la regina mette fine ai suoi giorni per mezzo del morso di un’aspide, il cui potente veleno dà una morte celere ed indolore. Come è stato riconosciuto da Riccardo Lattuada e Matthias Kunze, il dipinto va riferito alla mano di Daniel Seiter, pittore che iniziò la sua carriera nella bottega veneziana di Johann Carl Loth, col quale lavorò nella seconda metà del Seicento prima di trasferirsi a Roma. Nell’Urbe, l’artista coniugò lo stile tenebroso di Giacinto Brandi col classicismo di scuola marattesca, pervenendo ad un linguaggio personalissimo, di alta qualità cromatica ed eleganza formale. Al suo periodo romano è chiaramente riconducibile questa Cleopatra, di cui l’aperta sensualità e il sapiente gioco di luci esaltano la presenza scenica. Non lontane sembrano essere le diverse rielaborazioni del soggetto realizzate da Guido Cagnacci, con le quali il Seiter condividere la posa sensuale della protagonista nonché l’eleganza con cui ella tiene il serpente in mano. Notevole il brano di natura morta in basso a sinistra, frutto forse della collaborazione con uno specialista di fiori romano della seconda metà del XVII secolo. € 6.000 - 8.000 88
69 FRANCESCO SOLIMENA E AIUTI (Canale di Serino, 1656 - Barra, 1747)
Madonna col Bambino Olio su tela, cm 102x74,5 Con cornice La tela è accompagnata da un’expertise del Prof. Ferdinando Bologna. La tela qui in oggetto costituisce un egregio esempio della produzione che Francesco Solimena, con l’ausilio della sua fiorente bottega, destinò alla devozione domestica di clienti desiderosi di possedere un saggio dell’attività del maggiore artista napoletano del tempo. Più volte replicata, ma di rado in modo altrettanto felice, la nostra Vergine col Bambino costituisce un’invenzione originale e non il semplice adattamento di una composizione celebre. Il forte risalto plastico delle figure, sottolineato dai marcati contrsti chiaroscurali, ne suggerisce una datazione nei primi anni del Settecento. € 6.000 - 8.000 89
70 GAETANO LAPIS (Cagli, 1706 - Roma, 1773)
Santa Bibiana rifiuta di adorare gli idoli pagani Olio su tela, cm 305x199 In prima tela Questa tela grandiosa proviene dall’altare sinistro della chiesa dei Ss. Timotea e Francesco dello storico palazzo Antonelli Augusti Castracane di Brugnetto di Trecastelli, presso Senigallia, e rappresenta la martire cristiana Bibiana che si rifiuta di adorare gli idoli pagani. La giovane romana rimase infatti uccisa durante la persecuzione dell’imperatore Giuliano l’Apostata insieme con la sorella Demetria ed i genitori Fausto e Dafrosa. Il culto di Bibiana ebbe un grande sviluppo in seguito al rinvenimento delle sue ossa durante i lavori per il rifacimento della chiesa a lei intitolata voluti da papa Urbano VIII Barberini fra il 1624 e il 1626, il quale commissionò a Pietro da Cortona gli affreschi con storie della santa nella chiesa romana a lei dedicata. Come nel prototipo di Pietro da Cortona, la santa è raffigurata al centro della scena mentre alza le mani in segno di difesa, rifuggendo la statua di una divinità posta su un alto basamento, additata da una delle due figure femminili che la avvicinano e che in onore dell’idolo hanno acceso un braciere ardente. Sopra di lei, un angelo reca la palma del martirio e una corona di rose, simbolo della sua verginità, mentre ai suoi piedi si vedono gli strumenti utilizzati per la sua tortura. Questo dipinto impressionante fu attribuito per primo da Maurizio Marini a Gaetano Lapis, artista nativo di Cagli che frequentò l’importante bottega di Sebastiano Conca. A contatto con le opere del maestro, lo stile di Lapis si caratterizzò per una marcata vena classicista, che lo fece riallacciare, attraverso l’opera di Carlo Maratti, alle fonti seicentesche e soprattutto alla pittura dei bolognesi. La tela in esame può essere riferita con ogni probabilità alla maturità del pittore, quando l’artista si concentrò prevalentemente sui soggetti sacri di destinazione pubblica. Alcune figure, infatti, ritornano nel repertorio di immagini dipinte dal pittore nelle sue grandi opere di collocazione ecclesiastica, come il personaggio femminile di sinistra che indica la martire romana, il cui gesto richiama quello dell’apostolo Pietro nella Vergine con Bambino e santi, nella chiesa di S. Francesco a Cagli). La presenza del pittore nel territorio di Senigallia è inoltre attestata da un’altra tela a lui riferita raffigurante la Madonna col Bambino, custodita nella chiesa parrocchiale di S. Mauro Abate, probabilmente dipinta per interessamento dello stesso committente, membro della potente famiglia degli Antonelli. PROVENIENZA Collezione cardinale Leonardo Antonelli, Brugnetto di Trecastelli (Senigallia); Per eredità conti Antonelli Castracani, Brugnetto di Trecastelli (Senigallia); Collezione privata, Marche. € 40.000 - 60.000
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71 POMPEO BATONI (Lucca, 1708 - Roma, 1787)
Ritratto del cardinale Leonardo Antonelli Olio su ardesia, cm 75x56 Con cornice in bronzo dorata Questo inedito ritratto su ardesia rappresenta il cardinale Leonardo Antonelli e fu dipinto da Pompeo Batoni nel 1777 per il monumento del nobiluomo nella chiesa privata della residenza di Brugnetto di Trecastelli, nei pressi di Senigallia. Il cardinale fu elevato da papa Pio VI al rango cardinalizio nel 1775. Fine letterato, l’Antonelli ereditò la biblioteca dello zio Nicolò Maria, anch’egli cardinale, che raccolse nella galleria del Palazzo Pamphili in Piazza Navona a Roma, poi trasferita a Senigallia nell’Ottocento. La cura di questo enorme patrimonio librario fu affidata al bibliotecario Francesco Cancellieri, che celebrò le lodi del suo protettore nel testo Cenotaphium Leonardi Antonelli Cardinalis, preziosa miniera di informazioni sulla vita del prelato. Tra i suoi tanti interessi, non mancò quello per l’arte. Uno stretto rapporto, ancora da indagare in profondità, lo legò a Pompeo Batoni, il quale dipinse l’ardesia qui presentata per il monumento presso il palazzo Antonelli Castracani, voluto dai fratelli Angelo e Bernardino nel 1775 per ricordare la sua nomina a cardinale. La lapide in marmo a corredo del ritratto così recita: “LEONARDO PHIL. F. ANTONELLIO/PRIMO INTER PATRES CARDINALES/A. PIO. VI. PONT. MAX/HONORIS CAUSSA ADLECTO/ QUUM AGERET AETATIS AN. XXXXV/ANGELUS ET BERNARDINUS COMITES/FRATRI MERENTI […]”. La conferma della paternità dell’opera al grande pittore lucchese, oltre che dalla firma parzialmente leggibile riemersa sul retro, ci giunge da una ricevuta di pagamento rinvenuta grazie a un sistematico spoglio d’archivio tra le carte private della famiglia Antonelli. L’illuminante documento recita: “Io pompeo batoni ove Lucca mi diede i natali venuto in Roma acciocche dipintore fossi di homini nobilissimi et principi di santa madre chiesa do impegno mio all eminenza porporata cardinale leonardo antonelli de santa sabinae in roma urbe, per un ritratto sopra ardesia e ovale a fondo scuro: Ove non si evidenzi nello sguardo edonismo alcuno bentanto la prudentia guida di sua missione avuta in aprile mese annus domini 1775. Opera da pittare e porre in santa timotea e santo francisco chiesa, di paltio augusti in puel sito nominato del brugnetto di val del misa, nell agosto mese io monterò con cirimonia io stesso dentro al mese dell ottobre. Do man salva di aconto avuti per l’opra mia quattrocento scudi argento sul compenso detto a me di milletrecento. P. Batoni pittore in roma, addi 18 giugno 1775 annus domini”. Inoltre, l’anonimo compilatore del Libro delle Messe, in cui sono registrate tutte le celebrazioni officiate nella chiesa della nobile famiglia, annotò al giorno 10 novembre 1777: “Officio di Messe fatto celebrare dalla Nobil/ Casa Antonelli per la benedizione del ritratto/ del Sig. Conte l’Em. Card. Leonardo Antonelli/ opera del sommo M.o Pompeo Batoni”. Quindi il cardinale, dopo aver ricevuto il cappello cardinalizio, commissionò al Batoni il proprio ritratto che fin da subito ornò la propria memoria nel palazzo di famiglia. Il prelato, che morì nel 1811, non fu però sepolto presso questa cappella, come da lui desiderato, ma nella seconda navata a sinistra del duomo di Senigallia. Nel taglio dell’opera e nella posa dell’effigiato il nostro ritratto mostra soluzioni analoghe al Ritratto dell’arcivescovo Giovan Domenico Mansi (Lucca, Museo Nazionale di Palazzo Mansi), e al Ritratto di Pio VI (Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana). PROVENIENZA Collezione cardinale Leonardo Antonelli, Brugnetto di Trecastelli (Senigallia); per eredità, Conti Antonelli Castracani, Brugnetto di Trecastelli (Senigallia); Collezione privata, Marche. € 40.000 - 60.000
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72 DOMENICO CORVI (Viterbo, 1721 - Roma, 1803)
Santa Timotea tra i santi Francesco d’Assisi, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista Olio su tela, cm 228x152 In prima tela Il dipinto reca un’etichetta antica al retro “DOMENICO CORVI PINXIT/ROMA 1733”. Questa mirabile tela rappresenta un gruppo di santi che meditano intorno al mistero della morte di Cristo e della triplice natura di Dio. In alto, infatti, alcuni angeli sorreggono il corpo esanime di Cristo, mentre Dio Padre fissa il figlio morto con le braccia aperte in un amorevole gesto di accoglienza. Il riferimento al mistero della Trinità è esplicitato dalla presenza della colomba, simbolo dello Spirito Santo. Nel registro inferiore sono dipinti i santi Giovanni Evangelista, Giovanni Battista e Francesco, e al centro la martire Timotea con la palma stretta nella mano destra, il nome della quale è riportato sulla tavoletta retta da un angelo ai suoi piedi. Quest’opera superba fu dipinta dal grande pittore viterbese Domenico Corvi e destinata all’altare maggiore della chiesa dedicata ai Ss. Francesco e Timotea, accanto al Palazzo di campagna della famiglia Antonelli a Brugnetto di Trecastelli presso Senigallia. È lo stesso Corvi che documenta in una sua lettera, datata 1752, la frequentazione dell’accademia romana del conte Bernardino Antonelli, giovane nipote del cardinale Nicola, trasferitosi da Senigallia a Roma per intraprendere gli studi. Fu proprio grazie alla protezione del prelato che l’artista romano ottenne numerose committenze, tra cui varie pale d’altare per chiese marchigiane. Il rapporto che legò il Corvi al cardinale Nicola Antonelli è attestato anche da due splendidi ritratti a figura intera, conservati nella Galleria dell’Accademia di Belle Arti di Napoli e nella Biblioteca Antonelliana di Senigallia. In seguito alla morte del cardinale Nicola nel 1767 Domenico Corvi godette della protezione di Leonardo, fratello di Bernardino, che a sua volte ottenne la cappa cardinalizia nel 1775 da papa Pio VI Braschi. Appassionato cultore dei santi e delle loro reliquie, l’Antonelli seguì a Roma gli scavi delle catacombe e fu proprio su commissione del cardinale che Corvi eseguì la pala qui in esame nel 1773 – come riportato da un cartiglio antico applicato sul retro della tela originale - in seguito al dono fatto da Benedetto XIV alla famiglia dei resti del corpo della giovane martire romana Timotea, rinvenuto preso le catacombe di S. Callisto. Le sacre spoglie furono trasportate nella chiesa di famiglia a Brugnetto di Trecastelli, dove venne riedificata una chiesa di origine cinquecentesca e dedicata proprio a Timotea e a Francesco d’Assisi. Domenico Corvi si formò a Roma a bottega da Francesco Mancini, imponendosi all’attenzione dei più importanti committenti capitolini e guadagnando uma posizione di assoluto rilievo negli anni di transizione tra il tardo-barocco e il neoclassicismo. Anche in questa tela si scorgono chiaramente i riferimenti alla più nobile tradizione artistica romana, dalla posa michelangiolesca del corpo di Cristo alla citazione marattesca per quanto riguarda la figura mirabile del Giovanni Evangelista di profilo. PROVENIENZA collezione cardinale Leonardo Antonelli, Brugnetto di Trecastelli (Senigallia); per eredità conti Antonelli Castracani, Brugnetto di Trecastelli (Senigallia); collezione privata, Marche. BIBLIOGRAFIA V. Curzi, A. Lo Bianco, Domenico Corvi, catalogo della mostra di Viterbo, Roma 1998, p. 41, fig. 8; € 60.000 - 80.000
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73 GASPAR VAN WITTEL (Amersfoort, 1653 - Roma 1736)
Veduta di Ronciglione Olio su tela, cm 61,5x75 Con cornice Il dipinto è siglato “W” sulla sella dell’asino posto sulla destra della tela. L’opera è accompagnata da un’expertise del prof. Giuliano Briganti Quando Giuliano Briganti, massimo conoscitore della pittura di Gaspar van Wittel, scrisse l’expertise che accompagna questa spettacolare e allora inedita Veduta di Ronciglione (19 settembre 1970) di tale soggetto era stata pubblicata un’unica altra versione, di dimensioni appena maggiori, nel catalogo ragionato dell’artista da lui redatto nel 1966. Successivamente al volume sarebbero emersi una piccola versione tonda a tempera, quella che qui si presenta e infine una quarta, ultima attualmente nota, particolarmente preziosa dal punto di vista storico perché reca la data “1721”, consentendo così di ancorare a una cronologia certa l’intera serie. Così si esprimeva Briganti nella sua perizia: “Conosco il dipinto di sua proprietà (...) e lo ritengo senza dubbi opera di Gaspar van Wittel. Il dipinto è siglato “W” sul basto dell’asino a destra. Il dipinto deve datarsi, a mio parere, verso il 1720. È di bella qualità e in ottimo stato di conservazione”. Briganti, inoltre, segnalava opportunamente il bellissimo disegno preparatorio conservato presso la Galleria Nazionale di Oslo. La veduta del pittoresco borgo di Ronciglione, nel viterbese, è presa dalla sponda sinistra del Rio Vicario, emissario del Lago di Vico sul quale affaccia il paese. Di estrema precisione topografica, l’immagine fu senz’altro eseguita a partire da minuziosi disegni preparatori realizzati dal vivo. Al vertice della composizione spicca la cupola del Duomo forse progettato da Carlo Rainaldi e costruito fra il 1671 e il 1695. In basso la veduta mette in evidenza le scenografiche cascatelle e le ferriere, grazie alle quali Ronciglione aveva guadagnato una certa prosperità che l’aveva rilanciata proprio al principio del Settecento anche come meta granturistica della campagna romana, portandola per la prima volta all’attenzione dei principali pittori di vedute. BIBLIOGRAFIA G. Briganti, Gaspar van Wittel, nuova edizione, a cura di L. Laureati e L. Trezzani, Milano 1996, n. 231, p. 214-216; Gaspare Vanvitelli e le origini del vedutismo, cat. della mostra, a cura di F. Benzi, Roma, Chiostro del Bramante, 26 ottobre 2002 – 2 febbraio 2003 – Venezia, Museo Correr, 28 febbraio – 18 maggio 2003. PROVENIENZA Collezione privata, Italia; nel 1970 già nell’attuale proprietà, coll. privata Roma. € 70.000 - 90.000
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74 PITTORE GENOVESE, TERZO QUARTO DEL XVII SECOLO Ritratti di Ubertus e Conradus della Volta Coppia di dipinti, olio su tela, cm 235x76,5 Con cornice Questi due ritratti monumentali facevano parte probabilmente di una serie realizzata per glorificare l’importante casata genovese dei Della Volta, ricchi mercanti che si distinsero per i vasti commerci nel Mediterraneo e in Nord-Europa. La famiglia vantava la discendenza da un certo Conradus, citato nelle genealogie cinquecentesche come vivente nel 938. La sua dimora fu costruita sulla calata più antica del porto vecchio, all’incrocio delle due vie principali della città medievale e raccoglieva una delle più prestigiose collezioni genovesi, che comprendeva anche opere di Anton van Dyck. I due imponenti ritratti a figura intera qui proposti raffigurano Ubertus e Conradus Della Volta (la cui identità è riconoscibile grazie ai nomi riportati in calce alle tele) nelle vesti rispettivamente di console e di condottiero. Entrambe le opere dovevano con ogni probabilità decorare il salone principale del lussuoso palazzo, a dimostrazione del nobile lignaggio e dell’antica discendenza della famiglia. Le due tele furono realizzate probabilmente nel corso del terzo quarto del Seicento da un artista di stretta cultura genovese e si inseriscono pienamente nella fase matura della grande stagione barocca locale che prese avvio con Van Dyck: lo si evince dalle esuberanti e dense pennellate, dal tratto energico e sicuro, dagli insistiti e voluminosi panneggi delle vesti, nonché dall’uso di un rosso intenso che, in contrasto col fondo scuro, conferisce il massimo spicco plastico alle due slanciate figure, severe e possenti. Il lotto è corredato di Attestato di Libera Circolazione € 27.000 - 33.000
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75 PITTORE VENEZIANO, SECONDA METÀ XVII SECOLO Flora e Zefiro Olio su tela, cm 103x156 Flora è la dea della primavera, dei fiori e della fioritura. Un giorno di primavera, mentre la fanciulla passeggiava per i campi, venne notata da Zefiro che se ne innamorò perdutamente. Il giovane, personificazione del vento, decise quindi di rapirla e di unirsi a lei in matrimonio. La tela qui in esame raffigura il momento in cui il dio alato cerca di dissuadere Flora, coronata di rose, per condurla con sé in Tracia, dove si diceva che vivesse in una caverna. Questo dipinto mostra analogie con la pittura giovanile di Pietro Liberi, pittore padovano, caratterizzata dall’attenzionei alle opere di Pietro da Cortona, senza però distogliere lo sguardo dai grandi maestri della stagione rinascimentale – soprattutto Michelangelo, naturalmente in aggiunta al primario riferimento alla grande tradizione veneta del Cinquecento, in primis Tiziano e Veronese. La dolcezza dei visi e il cangiantismo delle vesti rivelano, altresì, chiare ascendenze reniane e una conoscenza approfondita della pittura emiliana del XVII secolo. € 10.000 - 12.000
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76 STEFANO CAMOGLI, DETTO IL CAMOGLINO (Genova, 1610 ca. - 1690), attr.
e PITTORE DI FIGURA GENOVESE ? Coppia di Ghirlande di frutta e ortaggi con Allegorie dell’Estate e dell’Autunno Olio su tela, cm 120 x cm 97 Con cornice In questa bella coppia di tele rinveniamo lo stile di Stefano Camogli, detto il Camoglino, tra i più apprezzati specialisti di natura morta della pittura barocca genovese. Influenzato dai fiamminghi Giacomo Liegi e soprattutto Jan Roos, Camogli fu spesso collaboratore di Domenico Pìola, ma occasionalmente affiancò anche altri grandi pittori genovesi, come Gioacchino Assereto. L’artista sviluppò uno stile riconoscibile per i colori brillanti e vivacemente contrastati, la concezione sontuosamente monumentale e la definizione minuziosa del dettaglio di ascendenza fiamminga. In queste due sue tipiche Ghirlande con figure, che dovevano certamente far parte di un ciclo completo delle Quattro Stagioni, il pittore collaborò con abile figurante nella rappresentazione di un’Allegoria dell’Estate, caratterizzata dalla figura di una solare Cerere, con il tipico ciuffo di spighe in mano, posta all’interno di una sontuosa ghirlanda di fiori e ortaggi estivi, e di un’Allegoria dell’Autunno, con al centro la figura un vecchio satiro coronato di foglie di vite, circondato da una virtuosistica rassegna di prodotti della natura tipici della stagione. € 10.000 - 15.000 101
77 CERCHIA DI FRANCESCO CAIRO (Milano, 1607 - 1665)
San Francesco Olio su tela, cm 43x30 Con cornice € 3.000 - 4.000
78 NICOLA VISO (attivo a Napoli nella prima metà del XVIII secolo)
Scene dalla Vita di Cristo Coppia di dipinti olio su tela, cm 18x13 Con cornici antiche € 3.000 - 4.000
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79 ATELIER DI ONORIO MARINARI (Firenze, 1627 - 1715)
Madonna del velo Olio su tela, cm 100x80 Con cornice Si tratta di una versione di qualità sostenuta di una delle più fortunate invenzioni di Onorio Marinari (Roma, Galleria Nazionale di Palazzo Corsini), forse derivata da un perduto prototipo di Carlo Dolci, maestro e suocero del pittore. Questa Madonna con Bambino, che restituisce la toccante semplicità del suo prototipo, si configura come un nobile prodotto uscito dall’atelier di Marinari. La scena è eseguita con ammirevole accuratezza, che investe i colori smaltati e contrastati, la gestualità delle figure e i panneggi delle vesti della Vergine e del lenzuolino che avvolge Gesù. € 6.000 - 8.000
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MICHELANGELO CERQUOZZI (Roma, 1602 - 1660) e ANGELUCCIO (attivo a Roma nel XVII secolo)
Paesaggio con figure Olio su tela, cm 74x93 Con cornice
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La tela va chiaramente ricondotta alla collaborazione di Michelangelo Cerquozzi, in veste di pittore di figura, con il misterioso Angeluccio, specialista di paesaggio, forse di origine fiamminga, che Lione Pascoli nel Settecento desvrisse come egregio allievo di Claude Lorrain. Frutti più noti della felice partnership fra i due sono due tele conservate presso la Galleria Nazionale di Palazzo Corsini in Roma, la Caccia alle anatre e la cosiddetta Mosca cieca, nelle quali ritroviamo la medesima fusione tra le aggraziate scenette di genere e la natura rigogliosa. € 1.000 - 2.000 103
81 CERCHIA DI PIETRO NOVELLI (Monreale, 1603 - Palermo, 1647)
San Giacomo maggiore Olio su tela, cm 80x64. Con cornice La tela rappresenta l’apostolo Giacomo, riconoscibile dal bastone del pellegrino tenuto con la mano sinistra. Il piglio naturalistico, l’accentuazione delle ombre, la tavolozza scura rimandano alla maniera di Pietro Novelli, il più grande pittore siciliano del Seicento, che fu influenzato da Van Dyck e dalla pittura napoletana, in particolare dalle opere di Jusepe di Ribera. La tela in esame mostra affinità con varie opere di Novelli (San Paolo, Napoli, Museo di Capodimonte; Mosè, Palermo, Galleria Regionale di palazzo Abatellis) e specialmente con il San Giacomo (Roma, Galleria Nazionale di Palazzo Barberini), oggi per lo più attribuito a Ribera (sebbene non in modo unanime), ma in passato a lungo riferito alla mano del pittore siciliano. La tela qui in esame, in ogni modo, si situa pienamente nel solco del caravaggismo meridionale della prima metà del XVII secolo, che ha in Ribera il suo punto di riferimento cardinale. 81
€ 4.000 - 5.000
82 FRANCESCO GRAZIANI, detto CICCIO NAPOLETANO (attivo a Napoli e Roma nella seconda metà del XVII secolo)
La conversione di Saulo Olio su tela, cm 19,5x23 Con cornice
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€ 1.200 - 1.600
83 KAREL VAN VOGELAER, detto CARLO DE’ FIORI (Maastricht, 1653 - Roma, 1695)
Bouquet di fiori in un vaso scolpito Olio su tela, cm 92x72 Con cornice Il dipinto è accompagnato da un’expertise del Prof. John Spike Karel van Vogelaer fu tra i maggiori e più ricercati specialisti della pittura floreale attivi a Roma nella seconda metà del Seicento, al pari del suo principale concorrente, Franz Werner von Tamm, e sulla scia dei suoi grandi predecessori Giovanni Stanchi e soprattutto Mario Nuzzi detto “de’ Fiori”. Al pari di quest’ultimo, Vogelaer meritò a Roma (dove giunse intorno al 1675, circa ventenne, dalle native Fiandre) il soprannome italianizzato di “Carlo de’ Fiori”, a certificare la sua posizione di leadership nell’ambito del genere della pittura floreale, allora più che mai dominante nelle grandi collezioni dell’aristocrazia capitolina. Questa tela inedita di altissima qualità, totalmente autografa e in ottimo stato di conservazione, costituisce un esempio preclaro della natura morta prediletta da Vogelaer, imperniata sulla rappresentazione ravvicinata di un unico bouquet riccamente variato per specie e colori, posto entro un vaso: tipologia portata trionfalmente in auge da Mario de’ Fiori. Troviamo qui un fastoso florilegio, nel quale si riconoscono, tra l’altro, rose, roselline, convolvoli, giacinti, garofani e tulipani. Il dipinto è costruito con mirabile equilibrio e giocato su una tavolozza brillante che vede la prevalenza di toni chiari e luminosi arricchiti per contrasto dalla studiata inserzione di gamme cromatiche più squillanti, in una sorta di risposta al virtuosismo coloristico e compositivo di von Tamm. Si tratta di un’invenzione che trova molteplici stretti termini di confronto nel corpus di Vogelaer e che dovrebbe collocarsi nella sua prima maniera romana, particolarmente sensibile al modello di Mario de’ Fiori e Giovanni Stanchi, entro la metà del nono decennio del Seicento. € 10.000 - 12.000 105
84 GIUSEPPE RUOPPOLO (Napoli, 1631 - 1710)
Vaso con i fiori Olio su tela, cm 57x45 Con cornice Firmato sul piedistallo “G. ROPP.LI” € 6.000 - 8.000
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85 SCUOLA EMILIANA, XVII SECOLO Sacra Famiglia Olio su tela, cm 77x64 € 2.500 - 3.500
87 PAOLO ANESI (Roma, 1697 - 1773)
Paesaggio con figure Olio su tela, cm 34x77 Con cornice € 3.000 - 4.000
85 106
86 FRANCESCO TREVISANI (Capodistria, 1656 - Roma, 1746)
Autoritratto al cavalletto Olio su rame, cm 19x13,5 Questo affascinante dipinto su rame rappresenta Francesco Trevisani intento a dipingere una delle sue opere richiestissime dal mercato dell’epoca. Nato a Capodistria, l’artista si trasferì a Roma dove entrò in contatto col suo protettore, il cardinale veneziano Pietro Ottoboni. Nell’Urbe, il pittore divenne uno dei più affermarti artisti sulla scia di Carlo Maratti, imponendosi con affreschi e dipinti per le più importanti chiese romane. Il rame qui in esame è una chiara conferma del successo raggiunto dall’artista, come si può notare dal suo abbigliamento ricercato e dalla lussuosa abitazione. Un elaborato tendaggio incornicia il fastoso camino mettendo in risalto il pittore autorappresentatosi davanti al cavalletto. Il soggetto della tela ch’egli sta dipingendo potrebbe riferirsi ad un dipinto raffigurante storie di Alessandro Magno. Infatti, la figura della dea Minerva e della donna sedutagli di fronte appaiono analoghe ne La famiglia di Dario ed Alessandro (Parigi, Museo del Louvre) che il pittore eseguì nel 1737, unico dipinto pervenutoci di un ciclo più ampio ancora da rintracciare.
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€ 3.000 - 4.000
87 107
88 FRANZ WERNER VON TAMM DETTO MONSÙ DAPRAIT, attr. (Amburgo, 1658 - Vienna, 1724)
e PITTORE DI FIGURE Putto con i fiori Olio su tela, cm 51x59 Con cornice € 3.000 - 4.000
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89 CERCHIA DI SEBASTIANO CONCA (Gaeta, 1680 - Napoli, 1764)
Visione di San Francesco di Sales Olio su tela, cm 170x127 Il dipinto raffigura San Francesco di Sales in abiti episcopali, assorto in estatico rapimento, con una colomba, simbolo dello Spirito Santo, e un libro che rimanda ai volumi da lui scritti. La tela costituisce un chiaro esempio di produzione sacra di destinazione devozionale (in questo caso, considerate le misure piuttosto ampie, forse l’altare di una cappella privata). L’equilibro raggiunto tra il classicismo di Carlo Maratti e Giuseppe Chiari e l’andamento più vaporosamente barocco degli angeli suggeriscono di accostare il dipinto ad un buon seguace di Sebastiano Conca, che, grazie al suo ruolo di primo piano nella scena artistica romana nella prima metà del Settecento, ebbe una bottega attivissima frequentata anche da giovani artisti di alto livello. € 5.000 - 7.000
89 108
90 ATELIER DI POMPEO BATONI (Lucca, 1708 - Roma, 1787)
La Vergine che legge Olio su tela, cm 67x51. Con cornice La tela rappresenta la vergine Maria immersa in lettura, con un’espressione concentrata e lo sguardo rivolto estaticamente verso l’alto. Il fondo scuro e la delicata cromia rosa-verde della veste leggera, oltre naturalmente alla composizione, corrispondono perfettamente a un celebre prototipo eseguito da Pompeo Batoni per uno dei suoi facoltosi committenti e da sempre in collezione privata lucchese. La nostra tela può essere considerata una versione di finissima qualità e scioltissimo tratto pittorico di quest’ultimo dipinto batoniano, realizzata nella bottega dell’artista sotto la sua supervisione. BIBLIOGRAFIA DI CONFRONTO Pompeo Batoni 1708-1787: l’Europa delle corti e il Grand Tour, cat. della mostra (Lucca), a cura di L. Barroero, Cinisello Balsamo, 2008, figg. 18-19. € 6.000 - 8.000 109
91 FRANCESCO MONTI (Bologna, 1685 – Brescia, 1768), attr.
Giuditta e Oloferne Olio su tela, cm 79x103 Con cornice
Coppia di dipinti olio su tela, cm 35x48 Con cornice. In prima tela
Francesco Monti dà qui prova della sua felice vena classicista, nel solco della tradizione bolognese. La scena è dominata da Giuditta nel momento precedente alla decapitazione di Oloferne. L’eroina divide la composizione e rappresenta l’asse di equilibrio tra i due spazi in cui si svolge la scena. Chiara la vicinanza stilistica del Monti ai grandi modelli emiliani del Seicento (Reni, Lanfranco, Creti e il maestro Gian Gioseffo Dal Sole), ma anche a una brillantezza cromatica veneta, evidente nei colori vivaci e luminosi, frutto di una stesura pittorica che guarda a Sebastiano Ricci e Balestra. Ritroviamo qui le tipiche figure aguzze del Monti, che richiamano opere come la Madonna col Bambino e S. Maurizio, della chiesa di S. Maria della Pace di Brescia, la Rebecca e Eleazar della Curia Arcivescovile di Ferrara e le figure nella serie dei Monumenti funebri allegorici dedicati a inglesi illustri.
€ 3.500 - 4.500
€ 4.000 - 5.000
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92 SCUOLA NAPOLETANA, XVIII SECOLO Natura morta di frutta
92 110
93 ALESSANDRO MAGNASCO (Genova, 1667 - 1749)
La gazza ammaestrata Olio su tela, cm. 40 x 30. Con cornice. Questo fiammeggiante teletta inedita ci porta nel cuore della pittura con scene di genere di Alessandro Magnasco, incentrata su episodi bizzarri di vita quotidiana, che vedono come attori personaggi umili o derelitti in ambientazioni spesso miserabili. Il nostro dipinto rappresenta un tema particolarmente insolito, l’ammaestramento di una gazza, che il grande pittore genovese affrontò anche in una tela conservata nella Galleria degli Uffizi, eseguita a Firenze nel primo decennio del Settecento per Ferdinando de’ Medici. Rispetto a quella tela la nostra presenta un gran numero di varianti, dal formato verticale alla scenografia, dalle pose al numero delle figure, ma propone lo stesso tocco guizzante e la stessa imagery picaresca delle incisioni di Jacques Callot. € 5.000 - 7.000
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94 SCUOLA ROMANA, INIZIO XVIII SECOLO Giobbe che si butta nel letame Olio su tela, cm 74x57 Con cornice € 3.000 - 4.000
94 111
95 SCUOLA EMILIANA, XVIII SECOLO San Giovanni Battista Olio su tela ovale, cm 138x103 In prima tela € 4.000 - 5.000
95
96 SCUOLA NAPOLETANA, XVIII SECOLO Capriccio architettonico Olio su tela, cm 94x70 Con cornice € 3.000 - 4.000
96 112
97 FRANCESCO TREVISANI (Capodistria, 1656 - Roma, 1746)
e AIUTI Madonna col Bambino e angeli Olio su tela, cm 163x113 Con cornice Questa Madonna col Bambino si inserisce a pieno titolo nel clima artistico romano e in particolare nella stretta orbita di Francesco Trevisani, che al suo arrivo a Roma divenne uno dei maggiori prosecutori dell’opera marattesca, rivista alla luce di un sentimentalismo languido carico di pathos elegiaco e di un colorismo acceso di ascendenza veneta. La Madonna è qui rappresentata nella sua carica espressiva e svela con un gesto materno il corpo di Gesù bambino dormiente, fulcro della composizione, che stringe nella mano una croce, chiara prefigurazione della sua morte. Intorno a loro, un coro di angeli allieta la scena con canti e musiche. Sulla sinistra emergono dei bellissimi fiori, che dimostrano l’attenzione dell’artista nel rappresentare i dettagli con meticolosità e virtuosismo. L’accentuato chiaroscuro, tra le caratteristiche peculiari del pittore, fa risaltare i corpi che emergono dallo sfondo scuro. L’uso dei colori dalle sottili sfumature cangianti, che donano un forte impatto alla composizione, trovano riscontro in altre opere del pittore, come la Madonna che legge col Bambino (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini). € 6.000 - 8.000 113
98 CERCHIA DI HUBERT ROBERT (Parigi, 1733 - 1808)
La gita in barca o L’approdo all’Isola di Citera Olio su tela, cm 86x115 Con cornice
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In questa scena di sapore galante troviamo una felice commistione di elementi italiani, mutuati da Salvator Rosa, innestati su una cultura figurativa francese. L’ambientazione è dominata dalla suggestiva quinta rocciosa, con l’arco naturale punteggiato di vegetazione, cui fa da contrappunto l’elegante compagnia di nobili in gita, approdata sulla caletta di un isolotto per una giornata di svago. Accanto al retroterra italianizzante, che guarda anche Paolo Anesi e Jacob de Heusch, si colgono qui echi contemporanei connessi ai nomi di Fragonard, Vernet e Pillement. Il riferimento più stringente riguarda, però, Hubert Robert e le sue opere in cui trova espressione una visione pittoresca della natura. L’esecuzione della nostra tela può essere avvicinata a un artista della sua cerchia e posta in relazione con opere di Robert come La grotta, oggi al Louvre, Lavandaie in una grotta, in collezione privata, o Paesaggio con cascate dello Chateau de Maison-Laffitte. € 6.500 - 7.500
99 FRANCESCO ANTONIO SIMONINI (Parma, 1689 - Venezia, 1753)
Scontro di cavallerie Olio su tela, cm 58x100 Con cornice Il dipinto viene presentato con tre tasselli di pulitura.
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Sommo specialista di battaglie, Simonini dà prova in questo dipinto della sua vivacissima maniera pittorica. L’artista unisce vari episodi di battaglia con l’inserimento di vasti sfondi paesaggistici. Protagonista della nostra scena è la zuffa caotica dei cavalieri carichi di dinamismo, ma particolare rilievo è dato alle architetture che si stagliano in lontananza, al cielo solcato dalle nubi e ai caratteristici effetti del fumo delle polveri. Analogie evidenti connettono la nostra tela alla Carica di Cavalleria degli Uffizi, allo Scontro di cavalieri con ponte sulla destra, della Galleria Apolloni di Roma, e alla Battaglia di cavalieri con un borgo fortificato sulla destra, di collezione privata romana. € 6.000 - 8.000 114
100 WILLEM VAN MIERIS (Leida, 1662 - 1747), attr.
Concerto sulla terrazza di un palazzo Olio su tela, cm 90x130 Con cornice Il dipinto è accompagnato da un’expertise del prof. Didier Bodart Figlio del grande pittore olandese Frans van Mieris, Willem fu uno dei suoi più dotati allievi. Egli si inserì nel solco della scuola pittorica che ebbe luogo nella città di Leida, i cui esponenti furono battezzati “fijnschilders”, ossia “pittori raffinati”, per la grande accuratezza esecutiva, l’abilità nella riproduzione minuziosa degli oggetti e la predilezione per opere di piccolo formato. Insieme a Gerrit Dou e Gabriel Metsu, Frans van Mieris fu tra i protagonisti di questa corrente cardinale dell’arte olandese del XVII secolo e il figlio ne riprese i temi prediletti, raggiungendo talora effetti sorprendenti di mimesi stilistica e tecnica. In questo caso il pittore si confronta con un tema non infrequente nella pittura di genere dei Paesi Bassi, la rappresentazione di un concerto nel terrazzo di una villa, che coinvolge nell’esecuzione un intero gruppo familiare. Il formato ampio si accorda alla complessità della scena, alla sovrabbondanza di dettagli, alla moltitudine delle figure e all’estensione del paesaggio oltre le mura dell’edificio, che sembra denunciare l’influenza di Adriaen van de Werff e Gerard de Lairesse: ciò che sembra indirizzare l’opera versa una fase tarda della produzione del maestro, in collaborazione col suo atelier. La tela può essere messa in relazione con opere come Dame che bevono il thè del Musée du Louvre, La bottega del droghiere del Mauritshuis dell’Aia, Lo spettacolo per i bimbi del Rijksmuseum di Amsterdam. € 10.000 - 15.000 115
101 AUGUST QUERFURT (Vienna, 1696 - 1761), attr.
Scontri di cavalleria Coppia di dipinti olio su tela, cm 43,5x67 Con cornice € 3.000 - 4.000
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102 SCUOLA FIORENTINA, XVII SECOLO Testa femminile Olio su embrice, cm 45x35 Con cornice Il dipinto è accompagnato da un’expertise del Prof. Ferdinando Bologna che lo attribuisce a Giovanni Mannozzi detto Giovanni da San Giovanni (San Giovanni Valdarno, 1592 - Firenze, 1636). € 1.500 - 2.000
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103 PITTORE FIAMMINGO ATTIVO IN ITALIA, XVII SECOLO Adamo ed Eva Olio su tela, cm 68x89 Con cornice € 2.500 - 3.500
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SCUOLA LOMBARDA, XVIII SECOLO
SCUOLA LOMBARDA, XVIII SECOLO
Ritratto di gentiluomo con fucile
Ritratto di gentiluomo con lettera
Olio su tela, cm 80x60 Con cornice antica
Olio su tela, cm 80x60 Con cornice antica
€ 1.000 - 1.500
Il dipinto reca un’iscrizione sulla lettera “MONSIEUR JEAN ROUGIER/A MILAN” € 1.000 - 1.500
106 SCUOLA ROMANA, XVIII SECOLO Paesaggio con Ponte Milvio Olio su tela, cm 55x94 Con cornice
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€ 2.000 - 3.000
107 ALFONSO DI SPIGNA (Lacco Ameno, 1697 - 1785)
La Vergine con il Bambino e i santi Vito e Caterina d’Alessandria Olio su tela, cm 101x76 Con cornice La tela costituisce il bozzetto dellla pala d’altare, datata e firmata “ADSF 1745”, che tuttora campeggia nell’abside maggiore della chiesa di S. Vito martire di Forio, opera del pittore ischitano Alfonso di Spigna. L’artista, le cui opere sono disseminate in diverse chiese dell’isola, si formò presso la bottega di Francesco Solimena. € 1.500 - 2.000
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108 SCUOLA TOSCANA, XVII SECOLO Noli me tangere Olio su tela applicata su tavola, cm 103x78 Con cornice € 1.500 - 2.000
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109 CERCHIA DI GASPARE TRAVERSI (Napoli, 1722 - Roma, 1770)
Ritratto di travestito Olio su tela, cm 62x50 Con cornice € 1.000 - 1.500
110 SCUOLA VENEZIANA, XVIII SECOLO Veduta della laguna dalla Riva degli Schiavoni Olio su tela, cm 58x94 Con cornice
109
€ 2.000 - 3.000
110 120
111 SCUOLA EMILIANA, FINE XVII INIZIO XVIII SECOLO Natura morta di fiori, frutta e ortaggi Olio su tela, cm 87x60 Con cornice € 1.500 - 2.500
111
112 SCUOLA ROMANA, XVII SECOLO Vaso di fiori Olio su tela, cm 85x55 Con cornice € 2.000 - 3.000
112 121
113
114
113
114
SCUOLA NAPOLETANA, XVIII SECOLO
SCUOLA INGLESE, XIX SECOLO
Transito di san Giuseppe
Ritratto di donna con bambino
Olio su tela, cm 103x76 Con cornice
Olio su tela, cm 125x100 Con cornice
€ 1.000 - 1.500
€ 1.000 - 1.500
115 PITTORE ITALIANO, XVIII SECOLO Canestra di frutta Olio su tavola, cm 45x63 Con cornice € 500 - 600
115 122
117
116
117
116 SCUOLA FIORENTINA, XVIII SECOLO
GEORGE LANCE
Sacra Famiglia con angeli
(Essex, 1802 - Sunnyside, 1864)
Olio su tela, cm 116x87
Natura morta
€ 2.000 - 3.000
Olio su tela, cm 60x46 Con cornice € 1.000 - 1.500
118 SCUOLA ROMANA, XVIII SECOLO Paesaggio Olio su tela, cm 35x45,5 Con cornice € 500 - 600
118 123
119
120
119
120
ANONIMO, XVIII SECOLO
SCUOLA FIAMMINGA, XVIII SECOLO
Palazzo Montecitorio, Palazzo Mattei
Scena di genere con contadini e animali
Coppia di dipinti gouaches su carta, cm 20x31 Con cornici
Olio su tavola, cm 37x50 Con cornice
€ 1.000 - 1.500
€ 800 - 1.000
121
122
121
122
CERCHIA DI CARLO MAGINI, FINE XVIII SECOLO
ANONIMO, XIX SECOLO
Natura morta con ortaggi, verzura e vaso di coccio
Natura morta con uva e piatti di limoni
Olio su tela, cm 66x80 Con cornice
Olio su tela, cm 60x80 Con cornice
€ 1.000 - 1.500
€ 500 - 600 124
123
124
123
124
JOHAN VAN DER LINDEN
SCUOLA EMILIANA, XIX SECOLO
(Amsterdam, 1887 - 1965)
Allegoria della Pace
La sposa ebrea - da Rembrandt van Rijn (Amsterdam, Rijksmuseum)
Olio su tela, cm 55x96 In prima tela
Olio su tela, cm 100x135
€ 800 - 1.000
Il dipinto è firmato in alto a destra: “J.V.D. LINDE JR. PORTRAIT PAINTER” € 1.000 - 2.000
126
125
125
126
SCUOLA VENETA, XIX SECOLO
SCUOLA NAPOLETANA, XIX SECOLO
Capriccio con figure
Marina con barche
Tempera su cartoncino, cm 19x26 Con cornice
Olio su tela, cm 40x70 Con cornice
€ 400 - 600
€ 600 - 800 125
CONDIZIONI DI VENDITA
Le presenti informazioni sono rivolte a qualsiasi soggetto interessato all’acquisto dei lotti posti in vendita da Bertolami Fine Arts srl nelle proprie aste. Informazioni riguardanti l’asta in corso possono essere inserite in catalogo o comunicate in sala prima o durante la vendita. I termini e le condizioni di vendita possono subire degli aggiornamenti che saranno immediatamente pubblicati sul nostro sito www.bertolamifinearts.com. Ove si registrassero discrepanze tra il testo del regolamento pubblicato sui cataloghi cartacei e quello pubblicato sul nostro sito fa fede la versione on line. 1. Bertolami Fine Arts srl (d’ora in avanti BFA), agisce direttamente o quale mandataria in esclusiva in nome proprio e per conto di ciascun venditore il cui nome viene trascritto negli appositi registri di P.S. presso BFA. Gli effetti della vendita influiscono sul venditore e BFA non assume, quando agisce quale mandataria, nei confronti dell’aggiudicatario o di terzi in genere altra responsabilità oltre quella ad essa derivante dalla propria qualità di mandataria. 2. Gli oggetti vengono aggiudicati al migliore offerente e per contanti. In caso di contestazione tra più aggiudicatari, il lotto verrà, a insindacabile giudizio del banditore, rimesso in vendita in corso dell’asta stessa e nuovamente giudicato. Le offerte potranno essere effettuate attraverso il nostro sito (www. bertolamifinearts.com) o i portali web pubblicati nelle informazioni di vendita, via fax, via email, telefonicamente (in questo caso le telefonate saranno registrate) o direttamente presso la sede di BFA. Le offerte telefoniche, via email, via fax, attraverso il nostro sito o i portali web sopra indicati potranno essere effettuate sino all’ora indicata nelle informazioni dell’asta. BFA non accetterà trasferimenti a terzi di lotti già aggiudicati e riterrà unicamente responsabile del pagamento l’aggiudicatario. La partecipazione all’asta in nome e per conto di terzi potrà essere accettata esclusivamente previo deposito presso gli uffici di BFA di una procura autenticata e di adeguate referenze bancarie. 3. BFA si riserva la facoltà di ritirare dall’asta qualsiasi lotto. Il banditore, durante l’asta, ha facoltà di abbinare o separare i lotti ed eventualmente variare l’ordine di vendita. Lo stesso potrà, a proprio insindacabile giudizio, ritirare i lotti qualora le offerte in asta non raggiungano il prezzo di riserva concordato tra BFA e venditore. 126
4. L’aggiudicatario corrisponderà a BFA una commissione d’asta, per ciascun lotto. 5. A tutti i partecipanti all’asta è richiesto, ai sensi della validità di un eventuale aggiudicazione, di compilare una scheda di partecipazione con i dati personali e le informazioni richieste, prima di ogni asta. Per poter effettuare acquisti è necessario possedere la capacità di agire richiesta dalla legge italiana ovverosia aver raggiunto la maggiore età che si ottiene con il compimento del diciottesimo anno di età. Diversamente, ogni attività dovrà essere effettuata tramite il genitore o comunque persona esercente la potestà parentale o il tutore. 6. BFA può accettare mandati per l’acquisto, effettuando rilanci mediante il banditore, in gara con il pubblico partecipante all’asta. In caso di offerte identiche, l’offerta scritta prevarrà su quella orale manifestata in sala. Sempre nel caso di offerte identiche per il medesimo lotto, lo stesso verrà aggiudicato all’offerente la cui offerta sia stata ricevuta per prima. BFA si riserva il diritto di rifiutare le offerte di acquirenti non conosciuti a meno che non venga rilasciato un deposito a intera copertura del valore dei lotti desiderati o, in ogni caso, fornita altra adeguata garanzia. 7. All’atto di aggiudicazione, BFA potrà chiedere all’aggiudicatario le proprie generalità e, in caso di pagamento non immediato e in contanti, l’aggiudicatario dovrà fornire a BFA referenze bancarie congrue e comunque controllabili: in caso di evidente non rispondenza al vero o di incompletezza dei dati o delle circostanze di cui sopra, o comunque di inadeguatezza delle referenze bancarie, BFA si riserva di annullare il contratto di vendita del lotto aggiudicato. 8. BFA quando agisce in qualità di mandataria dei venditori declina ogni responsabilità in ordine alla descrizione degli oggetti contenuta nei cataloghi, nelle brochure ed in qualsiasi altro materiale illustrativo; le descrizioni di cui sopra, così come ogni altra indicazione o illustrazione, sono puramente indicative e non potranno generare affidamento di alcun tipo negli aggiudicatari. Tutte le aste sono precedute da un’esposizione al fine di permettere un esame approfondito circa lo stato di conservazione, la provenienza, il tipo e la qualità degli oggetti. Dopo l’aggiudicazione, né BFA né i venditori potranno esser responsabili per i vizi relativi allo stato di conservazione, per l’errata attribuzione, per la provenienza, per il peso e per la mancanza di qualità degli oggetti. Né BFA né il personale incaricato da BFA potranno rilasciare una qualsiasi garanzia in tal senso, salvi i casi previsti dalla legge. Ai fini e per gli effetti dell’art. 1488, comma 2, del codice civile, BFA precisa che la presente vendita costituisce contratto aleatorio ed è esclusa, quindi, ogni garanzia per l’evizione. Pertanto, nell’ipotesi in cui l’aggiudicatario dovesse subire l’evizione, totale o parziale, del bene oggetto della presente vendita, lo stesso non potrà pretendere da BFA né il risarcimento dei danni subiti, né la restituzione del prezzo pagato e il rimborso delle spese. Resta ferma, ai sensi dell’art. 1487, comma 2, del codice civile, la garanzia per l’evizione derivante da fatto proprio di BFA. BFA, inoltre, non è responsabile nei confronti dell’aggiudicatario per qualunque lucro cessante ovvero per qualsiasi altra perdita o danno indiretto o consequenziale derivante sia da inadempimento contrattuale che da responsabilità extracontrattuale e pre-contrattuale di BFA. BFA si impegna a fornire all’aggiudicatario il bene che quest’ultimo si è obbligato ad acquistare, fatti salvi gli impedimenti dovuti a causa di forza maggiore, od altra causa che esuli da proprio ragionevole controllo (quale, ad esempio, scioperi, furti, incendi od altri disastri naturali, ritardi ed annullamenti di viaggi di trasporto) ovvero altre cause dovute alla volontà di terzi e non dipendenti da BFA (quali, ad esempio, divieti alla vendita, all’esportazione od all’importazione posti da Autorità Statali Italiane o Straniere). BFA rifonderà le somme ricevute dall’aggiudicatario per l’acquisto del bene ad esclusione di quelle relative alle spese per il trasporto del bene, se avvenuto od in corso, per l’assicurazione dello stesso e le tasse doganali e/o di importazione. 127
9. Le stime relative al possibile prezzo di vendita di ciascun lotto sono stampate sotto la descrizione dei lotti riportata nel catalogo e non includono i diritti d’asta dovuti all’aggiudicatario. Tali stime sono puramente indicative. Le descrizioni dei lotti nel catalogo potranno essere soggette a revisione, mediante comunicazioni al pubblico durante l’asta. BFA può accettare offerte pre-asta sui lotti posti in vendita anche sotto l’importo di riserva. Ove un lotto non riceva offerte superiori o pari alla riserva, Bertolami Fine Arts, sottopone all’approvazione del venditore la maggiore offerta pervenuta nella fase pre-asta. La decisione del venditore viene comunicata all’offerente entro quindici giorni dalla data dell’asta. 10. Il pagamento totale del prezzo di aggiudicazione e dei diritti d’asta dovrà essere effettuato per intero, in Euro, entro dieci giorni dall’ aggiudicazione. In difetto BFA, fatto comunque salvo il risarcimento dei maggiori danni, potrà: a) procedere per l’esecuzione coattiva dell’obbligo di acquisto; b) alienare il lotto a trattativa privata oppure in un’asta successiva in danno dell’aggiudicatario, trattenendo comunque, a titolo di penale, eventuali acconti ricevuti. L’oggetto verrà custodito da BFA a rischio e spese dell’aggiudicatario fino a quando non sarà venduto come sopra oppure restituito al venditore su richiesta del medesimo. In ogni caso, fino alla data di restituzione o di vendita, l’aggiudicatario sarà tenuto a corrispondere a BFA una penale pari a 1%/mese sull’importo della fattura; gli interessi così calcolati saranno applicati sulle somme dovute a decorrere dal trentesimo giorno seguente la data dell’ aggiudicazione. La consegna del lotto aggiudicato potrà avvenire esclusivamente dal momento della verifica dell’avvenuto pagamento dello stesso. 11. La spedizione per i beni venduti ad acquirenti italiani viene effettuata con corriere espresso assicurato. La spedizione per i beni venduti ad acquirenti esteri di importo superiore ad € 200,00 viene di regola effettuata con corriere espresso assicurato a spese ed a rischio del destinatario, salvo diversi accordi presi direttamente con l’acquirente. Se espressamente richiesto dal cliente, BFA potrà effettuare spedizioni tramite posta raccomandata assicurata e tracciabile. La spedizione per le fatture di importo inferiore ad € 200,00 viene di regola effettuata tramite posta raccomandata assicurata. 12. Nonostante ogni disposizione contraria qui contenuta, BFA si riserva il diritto di concordare con gli aggiudicatari forme speciali di pagamento, di depositare in magazzini privati/pubblici o vendere privatamente i lotti aggiudicati, di risolvere controversie o contestazioni effettuate da aggiudicatari o contro gli stessi e in generale di intraprendere qualsiasi iniziativa ritenuta opportuna al fine di riscuotere somme dovute dall’aggiudicatario o anche, a seconda delle circostanze, di annullare la vendita ai sensi degli articoli 13 e 15 e restituire il prezzo all’aggiudicatario. 13. Gli aggiudicatari sono tenuti all’osservanza di tutte le disposizioni legislative o regolamentari in vigore relativamente agli oggetti dichiarati di interesse storico o artistico particolarmente importante. L’esportazione di oggetti di rilevante interesse storico ed artistico da parte di aggiudicatari residenti e non residenti in Italia è regolata da specifiche normative doganali, valutarie e tributarie. I tempi di attesa di un permesso di libera circolazione sono di circa 60 giorni dal giorno delle richieste all’Ufficio Esportazione competente. La richiesta del permesso è inoltrata all’Ufficio Esportazione solo previo pagamento del lotto e su esplicita autorizzazione dell’aggiudicatario. BFA non assume alcuna responsabilità nei confronti degli aggiudicatari in ordine ad eventuali restrizioni all’esportazione dei lotti aggiudicati, né in ordine ad eventuali autorizzazioni o attestati che l’aggiudicatario dovrà ottenere in base alla legge italiana. L’aggiudicatario, in caso di esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato italiano, non potrà pretendere da BFA o dal venditore alcun rimborso di eventuali interessi sul prezzo e sulle commissioni d’asta già corrisposte. 128
14. Gli aggiudicatari (cittadini italiani o residenti in Italia) sono tenuti a fornire alla BFA un valido documento d’identità ed il proprio Codice Fiscale. 15. La casa d’asta offre una garanzia incondizionata e senza riserva di tempo sull’autenticità degli oggetti. Le indicazioni e descrizioni contenute nel catalogo sono opinioni soggettive e sono espresse in buona fede. 16. BFA in osservanza all’articolo 49, comma 1, del D.Lgs. n. 231/2007, non può accettare pagamenti in contanti per un importo pari o superiore ai 2.900,00 (duemilanovecento/00) euro. 17. I lotti contenenti più oggetti non illustrati sono venduti come visti e piaciuti e non sono soggetti a resa da parte dell’acquirente. 18. Le presenti condizioni di vendita sono accettate automaticamente da quanti concorrono all’asta e sono a disposizione di qualsiasi interessato che ne faccia richiesta. 19. Ai sensi dell’art.13 del D.Lgs. n. 196 del 30.6.2003 (Codice Privacy) si informa il partecipante all’asta che i suoi dati personali saranno trattati per (I) finalità funzionali all’adempimento di obblighi fiscali, contabili e di legge e finalità di gestione contratti e clientela e (II) finalità connesse all’attività commerciale. I dati saranno trattati, anche attraverso la creazione e la gestione di un archivio centrale, con supporti cartacei, informatici e telematici a cui ha accesso personale specializzato e autorizzato. Il conferimento dei dati personali essenziali per gli adempimenti di legge e/o all’instaurazione e/o prosecuzione del rapporto contrattuale è obbligatorio, nel senso che in mancanza sarà impossibile instaurare e/o dar corso a tale rapporto. Il conferimento degli altri dati personali è facoltativo e in genere funzionale a fornire un migliore servizio alla clientela; un eventuale rifiuto a tale conferimento non avrà conseguenze negative a carico del partecipante. I dati personali che riguardano il cliente potranno essere oggetto di Comunicazione a società controllanti, controllate e/o collegate per le stesse finalità di cui sopra o a soggetti esterni di servizi specializzati in: I) gestione di software, hardware, sistemi telematici e informativi; II) attività di elaborazione e archiviazione dati ; (III) attività di stampa, trasmissione, imbustamento, trasporto e smistamento delle comunicazioni alla clientela; (IV) servizi di finanziamento, recupero crediti e rilevamento rischi finanziari. Il partecipante potrà sempre esercitare i diritti previsti dall’articolo 7 del Codice Privacy. Il Titolare del trattamento è Bertolami Fine Arts S.r.l., con sede legale in Roma, Piazza Lovatelli, 1. Il responsabile è il signor Giuseppe Bertolami. Il partecipante, con l’invio telematico della conferma del proprio ordine d’acquisto, prende atto della suesposta informativa ed acconsente al trattamento dei dati personali forniti. 20. Ogni controversia relativa alla applicazione, esecuzione, interpretazione e violazione del presente contratto d’acquisto è sottoposta alla giurisdizione italiana. Per qualsiasi controversia tra le parti in merito al presente contratto sarà di esclusiva competenza del Foro di Roma.
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...... / ......
Titolare/Holder
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...... / ......
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ASTA di
Arte Asiatica La collezione di una nobildonna olandese vissuta in Indonesia e altre proprietĂ
8 Maggio 2018 ROMA ESPOSIZIONE 3-7 MAGGIO 2018 132
ASTA di Arte Moderna e Contemporanea,
Arti decorative del ‘900, Stampe e Multipli d’autore 30 Maggio 2018 ROMA ESPOSIZIONE 24-29 Maggio 2018 133
ASTA di
Juan ed Evita Perรณn: lettere, documenti e cimeli 12 Giugno 2018 ROMA
ESPOSIZIONE 7-11 GIUGNO 2018 134
ASTA ASTAdidi
Arte Tribale Archeologia 12 26Giugno Giugno2018 2018 ROMA ROMA
ESPOSIZIONE 7-11 GIUGNO 2018 135
ASTA di
Archeologia 26 Giugno 2018 ROMA
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