Quando l’arte incontra il diritto

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Alcune informazioni bibliografiche di riferimento

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Sergio Favretto

Quando l’arte incontra il diritto Autenticità e inquietudini del mercato con prefazione di Luciano Canfora


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ISBN/EAN 978-88-921-4271-8

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Se non studio e non cerco più sono perduto Vincent van Gogh

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Cost. Italiana, art. 9

L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. Cost. Italiana, art. 33

Più si conoscono la letteratura e la storia e più possiamo impadronirci del significato di un’opera figurativa. Più vaste sono le nostre conoscenze di un periodo e più è facile penetrare nello spirito dei suoi testi artistici. Ma non bisogna illudersi: molti dei suoi significati essenziali ci sfuggono ... Ci sono epoche artistiche che possono essere intuite, comprese soltanto al momento opportuno: ma il passato è morto per sempre. Quello che è ieri, rimane ieri, non è possibile farlo risorgere ... Non ci sarà mai nessuna forza, nessuna credenza, capace di farci comprendere il passato in tutte le sue implicazioni. Per quanto ci si sforzi di capire un’opera d’arte antica, per quanto ci si sforzi di imitarla, non si riuscirà mai a comprenderla nella sua complessità. Federico Zeri

Ogni arte deve impegnarsi con ciò che è accaduto prima. Anish Kapoor


Sommario

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Sommario pag. Prefazione

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Appello per l’arte libera e autentica

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Capitolo 1 Consonanze e inquietudini fra arte e diritto

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a) b) c) d) e) f)

Espressione di libertà Identità e contesto Patrimonio collettivo Incidenza nell’economia e nello sviluppo Una prima esegesi della Dichiarazione G20 Cultura di Roma 2021 Sete di autenticità e trasparenza

Capitolo 2 Il Papiro di Artemidoro caso emblematico Peculiarità del papiro e suo arrivo in Italia La severa dialettica fra gli esperti sull’autenticità Le critiche evidenze contrattuali e giuridiche Il contratto di acquisto Le dinamiche, i dubbi e le criticità dopo l’acquisto Le verifiche scientifiche compiute dall’ICPAL (Istituto Centrale per la patologia degli archivi e del libro) Anomalie, conferme e interrogativi aperti Una chiosa

3 4 6 6 8 15

21 22 24 27 29 33 37 43 46


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Quando l’arte incontra in diritto

pag. Capitolo 3 Opportunità e patologie nel mercato delle opere d’arte e beni culturali

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Luci e ombre Il perimetro del mercato dell’arte La motivazione I soggetti a) Acquisto diretto dall’autore b) Il mercante d’arte c) Gallerie d’arte d) Le case d’asta e) Pubblicistica e consulenze f) Laboratori tecnico-scientifici g) Le fiere h) Formazione e Università

51 65 75 77 78 80 80 86 90 93 97 99

Capitolo 4 Il bene da acquistare

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Grafica e stampa Come e chi attesta l’autenticità

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Capitolo 5 Le condotte penalmente rilevanti

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a) Sanzioni amministrative b) Sanzioni penali c) Le sanzioni penali del CBC e rapporto con l’art. 733 c.p. d) Circolazione dei beni culturali e rilevanze penale e) Condotte penali specifiche f) La contraffazione di opere d’arte g) Reati di ricettazione e riciclaggio, autoriciclaggio, incauto acquisto Riforma Orlando-Franceschini Uno sguardo all’esterno

124 126 128 132 134 136 146 150 152

Capitolo 6 Beni culturali di interesse religioso

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Sommario

XIII pag.

Capitolo 7 Banche e Fondazioni

171

Capitolo 8 Il sistema museale

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Capitolo 9 Il diritto d’autore

189

Capitolo 10 Diritto di seguito

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Capitolo 11 Alcune pronunce giurisprudenziali

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Capitolo 12 Un paradigma di avvertenze

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Alcune informazioni bibliografiche di riferimento

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Sitografia

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Prefazione

Falsi nell’arte e smania di profitto Per qualche decennio, al passaggio tra il XX e XXI secolo, non poca narrativa di buon livello ha denunciato la complicità di galleristi, collezionisti, falsari ed “esperti”, riconosciuti come tali specialmente se molto titolati. Pensiamo al Caso Raffaello di Iain Pears (tradotto in Italia nell’anno 2000 presso Longanesi) o anche al precorritore Maigret e il fantasma di Georges Simenon (1963, tradotto in italiano da Adelphi nel 2009). Pears descrive bene il clima quasi sacrale in cui si mette all’asta un pezzo di dubbia autenticità nella sostanziale complicità di molti: “giornalisti della carta stampata e della televisione, i più prestigiosi rappresentanti del mondo museale, i più insigni docenti delle Facoltà di Storia dell’arte” (p. 43); indugia sulla disinvoltura e sulle smisurate quantità di mezzi economici del Getty Museum di Malibù (p. 43); denuncia la cecità di chi si lascia convincere della bontà di un falso: “Se anche un falsario riuscisse ad imitare alla perfezione un Raffaello, nell’opera resterebbe sempre qualche traccia della mentalità novecentesca del suo autore” (p. 95). E con riferimento ai falsari di manoscritti di età classica – molto attivi nel secolo XIX – il maggior conoscitore dei testi greci, Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff, scrisse: “Ma l’antica scrittura è difficile da imitare non meno di quella delle epigrafi” (Storia della filologia, 1921, traduzione italiana, Einaudi 1970, p. 47). E proseguì ricordando il greco Costantino Simonidis (1820-1891?), che per poco non era riuscito a beffare l’Accademia delle Scienze di Berlino con un falso Uranios. Ma l’opera dei falsari riuscirebbe meno pericolosa se essi non trovassero una sponda nei “competenti” prezzolati, accademici o collezionisti che siano. Nel romanzo di Simenon ricordato prima, un grande e stimato collezionista dei dipinti di Van Gogh, entrato nell’ingranaggio ammette – sotto interrogatorio – “che i falsi dovevano transitare per casa sua perché non se ne potesse più mettere in dubbio l’autenticità” (p. 147). E ammette anche: “Quando si comincia è difficile fermarsi”. È vero che la nostra Costituzione stabilisce all’art. 33, che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Ed è antica pratica, altamente educativa, quella di imitare le opere d’arte: esercizio formativo in ogni campo, giacché qualunque institutio, qualunque tirocinio formativo, parte da modelli.


XVI

Quando l’arte incontra il diritto

Essi non sono soltanto il punto di partenza per aprire nuove strade, sono anche, e non meno, risultati storicamente acquisiti (e a loro volta selezionati). È l’intento proditorio mirante a barattare il falso per vero che trasforma in reato un legittimo esercizio formativo. Ma questo oramai non accade più per opera di singoli falsari di genio, bensì nell’ambito di un grande traffico alla cui base vi è l’insaziabile aspirazione al maggior profitto. Benemerita dunque deve considerarsi l’opera di chiarificazione etico-giuridica che Sergio Favretto compie, seguitando in un suo filone di ricerca, con il volume che qui i lettori potranno apprezzare, anche nella sua pregevole pars construens rivolta a rivendicare il ruolo della creazione artistica anche come fattore decisivo della crescita civile. LUCIANO CANFORA Filologo e storico


Appello per l’arte libera e autentica La prima pagina è un appello, un richiamo a coltivare e difendere sempre l’arte libera e autentica. Ogni espressione artistica rivela la genialità irripetibile di una persona, si offre come legame fra l’io e la comunità, arricchisce il patrimonio culturale e sociale di un Paese. L’opera d’arte non è un oggetto, un prodotto, ma la combinazione di materia e di pensiero, di tecnica e di estro; è soprattutto un’alta manifestazione di libertà. Quando una mano dipinge, quando la forma di una scultura si completa, quando una lirica e una sinfonia vengono composte, quando la fotografia esalta un evento drammatico o un bel paesaggio, quando un film o l’archistar entusiasmano, quando un’installazione sposa l’arte con l’ambiente, abbiamo sempre momenti unici e liberi di creazione. La nostra società ha una storia costellata di grandi e significativi apporti d’arte, non solo conflitti bellici e scoperte scientifiche, storiche rivoluzioni. Sono stati questi contributi d’arte a far crescere la qualità del vivere sociale, a far sperare sempre nel miglioramento delle relazioni umane. In alcuni periodi storici di assenza di libertà, si sono avuti blocchi nello sviluppo culturale e artistico, si sono avuti arretramenti negli assetti e negli obiettivi di governo della comunità. Oggi, di fronte al tentativo di massificare i prodotti artistici e renderli accidenti mercificati, è necessario un sussulto di impegno a difesa della libera arte e dell’arte autentica. Oggi, vi è eccedenza nella produzione d’arte, troppe espressioni che vorrebbero segnare la storia, ma in realtà sono repliche e frutto di logiche affaristiche, puri ossequi alla tendenza commerciale. Troppi soggetti intervengono e contaminano il mercato dell’arte, anche con condotte violative dell’etica e delle norme penali. Parlare di etica giuridica dell’arte non è affatto un’aggettivazione inconsueta, bensì una specificazione puntuale e reale. Nella produzione artistica e nel mercato dell’arte si possono avere comportamenti, condotte ispirate da responsabilità e coerenza, ovvero da logiche utilitaristiche e speculative. Gli strumenti giuridici, dalle leggi ai contratti, dalla consuetudine alle buone pratiche e convenzioni, possono aiutare a determinare scelte virtuose. L’etica giuridica dell’arte, muovendo dal greco ἦϑος, può motivare comportamenti e costumi positivi, espressioni di libertà e a pari tempo di responsabilità sociale.


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Quando l’arte incontra il diritto

Ecco, dunque, le ragioni di questo appello. Sollecitare tutti ad una nuova attenzione, coraggiosa e incidente, nelle varie sfere di competenza, per ridare fiato all’arte libera e autentica. Il diritto può dare man forte al destino dell’arte, sanificando il mercato, coniando un apparato normativo più garantista della qualità e dell’autenticità, valorizzando genuinità e trasparenza. Diritto e arte possono essere convinti alleati, possono migliorare il mondo che viviamo. Bene osservava Gerhard Richter “L’arte è la forma più alta della speranza”.


Capitolo 1

Consonanze e inquietudini fra arte e diritto Potrebbe apparire un raffronto antinomico. In realtà, il mondo dell’arte e dei beni culturali, nelle varie declinazioni, e il mondo del diritto si relazionano da sempre. In un’ipotetica rappresentazione grafica, creiamo un cerchio titolato mondo dell’arte e beni culturali e un secondo cerchio titolato mondo del diritto, includendo in entrambi le moltissime peculiarità e i rispettivi contenuti tematici. Facendo scivolare parzialmente un cerchio sull’altro, otteniamo un’area comune di interferenze. Qui troviamo sorprese e opportunità non sempre note. Punti di contatto positivi e frizioni evidenti.

a) Espressione di libertà Dalle figure rupestri all’arte ed architettura dei babilonesi con l’uso dell’arco e della volta, a quella egiziana poi greca e romana; dai disegni africani ai capolavori sacri cinesi, cambogiani o indiani; dalle rappresentazioni e figure indigene alle costruzioni imponenti come arene, archi trionfali e templi: l’arte fu sempre momento di esaltazione del mistero e della gloria, di comunicazione verso l’altro, di celebrazione dell’impero e del casato, ma pure occasione di riscatto e libertà. L’espressione artistica genuina e non mercificata (come avverrà con il mecenatismo esasperato e con la nascita del mercato) muove sempre da un’ispirazione interiore e da una creatività individuale, proiettata verso la libertà. L’arte è sempre stata ed è ancora oggi un presidio importante delle libertà singole e collettive. Nel passato più remoto era l’artista del villaggio e del gruppo nomade che rappresentava animali e persone sulle pareti delle caverne e sui pellami o tavolette di legno, sulle pietre; l’artista voleva trasmettere, parlare con i propri simili, con la comunità, con il dopo. Era libero di esprimersi, realizzava la propria libertà interiore. Così avvenne con l’arte etrusca nelle necropoli, con l’arte pompeiana con i preziosi affreschi.


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Quando l’arte incontra il diritto

Quando l’arte divenne più tecnica, l’autore raffinò il progetto e accettò il condizionamento dei materiali, ma produsse sempre in libertà creativa, spesso con coraggio ed innovazione. Oggi, la sete di libertà dell’arte è coniata all’infinito. Non vi sono confini di scuola, di appartenenza culturale o ideologica, ma l’artista chiede di operare a tutto campo. L’opera d’arte autentica è simbolo, è endiadi di libertà-creazione. Significativo è il parallelo nel mondo del diritto. I popoli si diedero le prime regole per affermare le singole libertà delle persone, per la difesa e libertà di movimento sul territorio, per la difesa della famiglia e del gruppo o tribù. Con le varie trasformazioni sociali, le regole furono prima convenzioni, consuetudini e poi editti, codici, statuti, costituzioni e leggi. Il mondo del diritto ha sempre tratto ispirazione principe dal bisogno singolo e collettivo della libertà, libertà di esistere e vivere, libertà di manifestare il proprio pensiero, libertà di vivere e formarsi in famiglia, libertà di organizzarsi, libertà di essere rappresentati e di rappresentare, libertà di insediamento e nei rapporti fra popoli confinanti, libertà nel navigare e scoprire nuovi mondi. Anche le tragedie di Eschilo ci regalano versi bellissimi alla ricerca della giustizia, a difesa della democrazia ateniese, della libertà del popolo. Letteratura come contesto e veicolo per i principi di equità sociale della polis. Con l’Orestea, Eschilo agevola il passaggio dalla nozione di giustizia e diritto come vendetta e punizione riparativa alla nozione di giustizia come ragione, sentimento e serenità di giudizio. Nell’Orestea i giudici sono soggetti terzi, sono attinti fra le persone più sagge della città. Il diritto fu sempre interprete delle libertà, anche quando impose regole proprio perché le libertà di tutti fossero riconosciute. La libertà dell’arte, del suo manifestarsi e della sua fruizione, del suo insegnamento è oggi fra i principi fondamentali della Costituzione italiana, agli artt. 9, 33.

b) Identità e contesto Se è vero, come è vero, che ciascun uomo è il portato della propria conoscenza, cultura e formazione, del proprio patrimonio esperienziale, del contesto sociale in cui si è trovato a vivere, ancor più l’artista e l’opera d’arte hanno questo forte ancoraggio. Non è un ancoraggio esclusivo, ma fortemente caratterizzante. Ogni opera d’arte è contemporanea, perché concepita e realizzata in un momento storico temporale preciso e in un contesto socio-culturale. Non si può pensare ad un artista che crei senza un debito di ispirazione al momento e al proprio vissuto. L’astrazione completa e la torre d’avorio neutra non segnano l’arte, ma la produzione calcolata priva di flatus. Gli affreschi di Pompei, l’arte funeraria etrusca, la Stele di Rosetta, i mosaici


Consonanze e inquietudini fra arte e diritto

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di Galla Placidia a Ravenna, i templi greci di Agrigento, le opere di Giotto o di Michelangelo, le opere di Gaudì a Barcellona, le opere cromatiche di Gauguin in Polinesia o di Vincent van Gogh in Provenza, hanno tutti un forte connotato identitario, di luogo e di tempo. Sono necessariamente espressione di un contesto di ispirazione e di conoscenza, di percezione e di rappresentazione. Un esempio per tutti: la cappella degli Scrovegni di Padova, affrescata da Giotto e da pochissimo dichiarata bene tutelato dall’Unesco, è una lampante cerniera fra Medioevo e Rinascimento. La presenza degli artisti era un connotato delle famiglie nobili del luogo e del tempo. Qui Giotto, tuttavia, non fu affatto descrittivo e ripetitivo, ma realizzò un nuovo uso della prospettiva, innovò introducendo i sentimenti nella pittura: il bacio tra Anna e Gioacchino, genitori di Maria, con una marcata intensità nuova per l’arte; le lacrime che segnano le guance delle mamme afflitte per l’uccisione dei figli per mano di Re Erode; il riallacciarsi delle scarpe nella Lavanda dei Piedi. Contesto narrativo sì, ma grande identità e innovazione artistica personale, ispirata dal momento temporale vissuto. Idem nel diritto. Anche il diritto è sempre contemporaneo, vige per il presente proiettato al futuro fino alla successiva variazione o superamento. Il diritto evolve in continuazione anche più della scienza, perché non deve attendere gli ok del mondo accademico o della pubblicistica settoriale o le prove sperimentali. Di fronte ad una emergenza vissuta dalla società, ad una rivendicazione legittima di un nuovo diritto in progress, alla percezione della gravità di condotte singole e collettive organizzate di delinquenza, la legge interviene e regola. Pensiamo a quanto si è evoluto l’istituto della rappresentanza popolare e del governo delle città: dalla polis greca intesa come città-stato alle attuali metropoli e capoluogo, dal prototipo della democrazia di Sparta e di Atene, si giunge per evoluzione all’autonomia e democrazia nell’Età dei Comuni e poi al nostro sistema delle autonomie locali (tanto caro a Luigi Sturzo e Giorgio La Pira), paradigma di libera espressione del cittadino. Pensiamo alle nuove evidenze penali del terrorismo e della delinquenza mafiosa, con l’accelerazione normativa assunta. Pensiamo alla stagione affermativa dei nuovi diritti alla vita, alla convivenza, all’espressione culturale e nella socialità, all’ambiente e al paesaggio tutelato e correttamente umanizzato. Di contro, è sufficiente richiamare all’appello i periodi nefasti e grigi dell’assenza di cultura per dominio violento del potere, di certo Medio Evo buio, dell’oscurantismo religioso, dell’egemonia degli Stati assoluti fino alle fasi didattoriali del nazifascismo, per cogliere come non ci fu arte libera e neppure diritto libero, ma fitta nebbia, arretramento ed omologazione. Arte e diritto evolvono a braccetto con il tempo e con la società di contesto, in ogni parte del mondo.


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c) Patrimonio collettivo Gli antropologi e i sociologi possiedono due filtri certi per capire una società organizzata: la storia culturale e artistica da un lato, i modelli giuridici adottati dall’altro lato. Le opere d’arte nella scultura e nell’architettura hanno sempre interpretato il desiderio del popolo prima verso gli dei o l’infinito, verso il mistero, verso la natura e il bello; poi, le opere divennero rappresentative di una polis o di una dominazione-colonia dell’impero, divennero simbolo di competizione fra famiglie patrizie o comunità locali, divennero espressione e patrimonio di celebrazioni di potere e oligarchia. La pittura e la letteratura, assunsero una funzione emulativa e trasmissiva di valori e temi, di sensibilità condivise. Qui va menzionato il grande ruolo delle comunità di monaci amanuensi e certosini che assunsero il compito di custodire, tradurre, trascrivere, inventariare le importanti opere del passato per consegnarle alla storia, proprio perché considerate patrimonio di tutti e dell’umanità. Abbiamo una prima concezione ante litteram di bene culturale. L’arte amò sempre la dimensione e fruizione collettive, in pochissimi casi e molte volte casi patologici l’arte si riflesse su se stessa e nulla più. Si pensi alla funzione didattica e educatrice delle chiese con le vetrate policrome e i bassorilievi narrativi, con le grandi tele a parete e le sculture di personaggi illustri; si pensi ai vari broletto e palazzi civici invitanti alla presenza comune e agli scambi culturali ed economici. Anche il diritto, è per antonomasia regola per i molti e per tutti. Ogni sistema di diritto, prima embrionale e poi evoluto, ha comportato sempre la composizione di interessi collettivi, di attese e rivendicazioni, di garanzie e di tutele, di promozioni e valorizzazioni. Un codice tematico o un testo unico che accorpa più leggi, una direttiva comunitaria, un Trattato fra Stati, una semplice legge quadro hanno sempre un universo di poteri che amministrano e un universo di cittadini che osservano. L’intera legislazione di un Paese o di una Regione costituisce il patrimonio giuridico di riferimento per la collettività insediata.

d) Incidenza nell’economia e nello sviluppo Ancora una consonanza rafforzata. Il recente Meeting G20 sulla Cultura, concluso a Roma a fine luglio 2021, ha autorevolmente acquisito come la cultura e l’arte siano valenze rilevanti per lo sviluppo non solo di una comunità locale o di uno Stato, ma dell’intero mondo 1. 1 Il

G20 edizione 2020-2021 si è svolto sotto la presidenza dell’Italia, in varie città ospitanti. A


Consonanze e inquietudini fra arte e diritto

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I 32 punti della Dichiarazione di Roma sono il prodotto di mesi di dialogo e confronto fra i partecipanti al gruppo del G20; approvato da tutti i ministri della cultura, voluto tenacemente dal ministro italiano prof. Dario Franceschini, il testo finale ha attribuito una corretta visione al progresso culturale dell’umanità inteso come fattore di crescita economica e sociale, meritevole di un governo ampio delle risorse e degli interventi. Il documento è stato concertato con i vertici delle principali organizzazioni internazionali attive in materia come UNESCO, OCSE, il Consiglio d’Europa, l’Unione per il Mediterraneo, le organizzazioni internazionali del settore culturale quali ICCROM, ICOM, ICOMOS; come i protagonisti del contrasto agli illeciti contro il patrimonio culturale quali l’agenzia delle Nazioni Unite per il contrasto al crimine UNODC, Interpol e l’organizzazione doganale WCO, con il coinvolgimento diretto nei lavori anche il gruppo di outreach del G20 rivolto alle nuove generazioni (Y20). Tutta la Dichiarazione è dominata dall’obiettivo principe della tutela e promozione della cultura e settori creativi intesi come motori per una crescita sostenibile ed equilibrata, con rilevante impatto sociale. Nei vari punti declinati, ci si impegna in azioni coordinate transnazionali e in collaborazioni tra pubblico e privato per la protezione del patrimonio culturale, tramite modelli e strumenti di gestione efficaci, sostenibili e inclusivi; ci si impegna a realizzare sinergie forti fra cultura e istruzione, fra cultura e formazione, fra luoghi della cultura e diversità culturali. La Dichiarazione chiede il pieno riconoscimento e l’integrazione della cultura e dell’economia creativa nei processi e nelle politiche di sviluppo; esorta i governi a riconoscere la cultura e la creatività come parte integrante di agende politiche più ampie e a garantire ai professionisti e alle imprese culturali e creative il dovuto accesso all’occupazione, alla protezione sociale, all’innovazione, alla digitalizzazione e alle misure di sostegno all’imprenditorialità; condanna la distruzione deliberata del patrimonio culturale; esprime profonda preoccupazione per il crescente saccheggio e il traffico illecito di beni culturali e le minacce alla proprietà intellettuale; riconosce il traffico illecito di beni culturali e le minacce alla proRoma, nei giorni fra il 29-30 luglio si è svolto il Culture Ministers’ Meeting. Il G20 è il Foro internazionale che riunisce le principali economie del mondo. I Paesi che ne fanno parte rappresentano più del 80% del PIL mondiale, il 75% del commercio globale e il 60% della popolazione del pianeta. Si tiene ogni anno dal 1999 e dal 2008 prevede lo svolgimento di un Vertice finale, con la partecipazione dei Capi di Stato e di Governo. Oltre al Vertice, durante l’anno di Presidenza si svolgono ministeriali incontri degli Sherpa (incaricati di svolgere i negoziati e facilitare il consenso fra i Leader), riunioni di gruppi di lavoro ed eventi speciali. I Paesi membri sono: Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Sud Africa, Turchia e Unione Europea. A questi si aggiunge la Spagna, che è un invitato permanente del G20. Ogni anno, la Presidenza invita alcuni altri Paesi, che partecipano a pieno titolo ai lavori del G20, in qualità di ospiti. Vi partecipano inoltre diverse organizzazioni internazionali e regionali, conferendo al Foro una rappresentatività ancor più ampia.


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Quando l’arte incontra il diritto

prietà intellettuale come gravi crimini internazionali collegati al riciclaggio di denaro, alla corruzione, all’evasione fiscale e al finanziamento del terrorismo; riconosce il ruolo della cultura e il suo potenziale nel portare a soluzione l’emergente cambiamento climatico; riconosce l’importanza della digitalizzazione per la conservazione, l’accesso, il riutilizzo e l’educazione; riconosce l’importanza del turismo culturale sostenibile per affermare il valore della cultura come risorsa per il dialogo e la comprensione reciproca tra gli individui e per la conservazione del patrimonio culturale. La Dichiarazione parla sempre di cultura e di creatività, di patrimonio culturale e creativo, di arte e beni culturali, di sviluppo economico sociale. Il diritto da sempre ha mirato non solo a disciplinare e governare i processi comuni, ma a promuoverli e agevolarli. Il diritto è fattore di crescita perché esprime le attese di una comunità, le interpreta nel divenire. Il diritto amministra l’oggi, ma costruisce il domani. Le leggi intervengono per individuare e reprimere le condotte violative, ma anche per incentivare le condotte virtuose.

e) Una prima esegesi della Dichiarazione G20 Cultura di Roma 2021 La Dichiarazione di Roma, a conclusione del Meeting del G20 per la Cultura, costituisce un approdo molto significativo. Probabilmente non ha soddisfatto le molte attese riposte nell’assunzione di misure più cogenti e vincolanti, ma i 32 punti declinati non sono affatto diplomatici e fuorvianti. Segnano lo spartiacque fra la fase delle esortazioni generalgeneriche del passato e la fase della concertazione degli interventi e delle nuove interazioni fra organismi internazionali dell’oggi, il tutto sul tavolo autorevole delle politiche economiche. Non si deve scordare come le 20 economie più forti del mondo sono espressioni di storie, di culture, di socialità vissute enormemente differenti; di sistemi politici di governo e sistemi giuridici applicati talvolta in varianza sostanziale; sono economie che appartengono a continenti lontanissimi, sono il derivato di civiltà remote e di civiltà giovanissime. La Dichiarazione 2 ha questi meriti: – annovera finalmente la cultura, la creatività e l’arte in tutte le sue forme, il patrimonio culturale di ogni popolo fra le tematiche forti dei vertici delle economie e società mondiali. Dopo anni di marginalizzazione e di secondarietà, di specificità settoriale, la cultura e l’arte assumono una pregnanza alla pari di altre tematiche generaliste e prioritarie; insieme a queste ultime, si proiettano sul futuro sostenibile e di pace. Dopo varie positive anticipazioni di alcuni singoli Stati, co2 Qui

viene esaminato il testo ufficiale della Dichiarazione tradotto e pubblicato nel sito ufficiale del Ministero della Cultura MIC, www.beniculturali.it.


Consonanze e inquietudini fra arte e diritto

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me ad esempio i principi fondamentali sulla libertà dell’arte e sulla tutela del patrimonio storico ed artistico introdotti dalla Costituzione italiana o la legislazione ad hoc della Francia e della Spagna, qui è l’intera comunità internazionale che si impegna e si obbliga. Esplicito il punto 4.4 della Dichiarazione: “4.4 Riconoscendo la capacità essenziale della cultura di innovare e nutrire le nazioni e le società, espandendo gli investimenti nella R&S culturale per la convergenza di scienze umane, scienza, tecnologie, cultura, arte e creatività ...”.

Ed ancora il punto 4.6 della Dichiarazione in merito al raccordo con la formazione, l’istruzione: “… 4.6 Riconoscendo il ruolo di musei, biblioteche, archivi, monumenti e siti del patrimonio culturale, istituti di conservazione, università, centri culturali e creativi e persone appartenenti a comunità indigene e locali e altre istituzioni culturali come chiave per sviluppare l’istruzione e l’apprendimento comprendendo appieno l’interpretazione e la trasmissione inclusiva della cultura e del patrimonio culturale e collegando le azioni locali agli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite ...”.

Da un posto di trincea difensiva, ad un posto di primafila, per acquisita consapevolezza di tutti. Nell’esplicitare le azioni da condurre, anche alla luce degli effetti della pandemia da Covid 19, la Dichiarazione formalizza ai punti 6, 7, 8: “6. Affermiamo il ruolo trasformativo della cultura nello sviluppo sostenibile, aiutando ad affrontare le pressioni e i bisogni economici, sociali ed ecologici. A questo proposito, chiediamo il pieno riconoscimento e l’integrazione della cultura e dell’economia creativa nei processi e nelle politiche di sviluppo, coinvolgendo tutti i livelli della società, comprese le comunità locali, come un motore e un facilitatore per il raggiungimento degli Obiettivi stabiliti nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile. 7. Esortiamo i Governi a riconoscere la cultura e la creatività come parte integrante di agende politiche più ampie, come la coesione sociale, l’occupazione, l’innovazione, la salute e il benessere, l’ambiente, lo sviluppo locale sostenibile e i diritti umani. 8. Raccomandiamo di includere la cultura, il patrimonio culturale e il settore creativo nelle strategie nazionali e internazionali di recupero postpandemia, riconoscendo che gli scambi culturali internazionali dipendono da forti attori culturali e creativi in tutti i paesi ...”.

– dal localismo passa al patrimonio culturale universale. L’accentuarsi esponenziale degli scambi fra culture, fra eventi e rassegne culturali ed artistiche nei vari continenti; della mobilità turistica e della fruizione culturale di ampie quote di popolazione, dell’accesa competizione fra originalità e identità fra popoli e ter-


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ritori: sono i fattori che hanno imposto una condivisione alta delle politiche di sostegno. Tutti i 32 punti della Dichiarazione di Roma sono sottesi dalla comune certezza che il patrimonio culturale è oramai di tutti, di tutto il mondo, al di là del momento e del territorio di produzione artistica e culturale. Tutta la Dichiarazione si ispira agli accordi e convenzioni internazionali già siglati o in fieri; ne raccomanda il progress e il coerente recepimento. Al punto 2.2 troviamo: “2.2 Sottolineando l’importanza della ricerca e dell’azione comune e coordinata per rafforzare la salvaguardia e la promozione della diversità culturale e del patrimonio culturale in tutte le forme, mobili, immobili, materiali, immateriali e digitali, comprese le arti, le lingue e le pratiche culturali e le espressioni dei popoli indigeni e delle comunità locali, a beneficio delle generazioni future ...”.

– gli ultimi venti anni di conflitto bellico fra Stati, di terrorismo severo contro persone e arte, di attacchi della criminalità organizzata ai beni culturali, sono i fattori che hanno motivato e imposto finalmente una esplicita accelerazione delle collaborazioni fra Stati. Nella Dichiarazione, al punto 2.1 leggiamo: “2.1 Ricordando le risoluzioni 2199 (2015) e 2347 (2017) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, rilevando che la distruzione e il traffico illecito di beni culturali sono reati gravi e costituiscono una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale ...”.

Al punto 2.3 si esprime un chiaro monito: “2.3 Riconoscendo che tutte le minacce alle risorse culturali, compresi il saccheggio e il traffico illecito di beni culturali e le minacce alla proprietà intellettuale, la distruzione o l’uso improprio del patrimonio culturale e delle conoscenze tradizionali dei popoli indigeni e delle comunità locali, lo sviluppo urbano e regionale incontrollato, il degrado ambientale, gli eventi causati dal cambiamento climatico, possono portare alla perdita di beni culturali insostituibili. Questo sconvolge le pratiche socioculturali, violando i diritti umani e culturali dei popoli e delle comunità, colpendo la diversità culturale e privando le persone e le comunità locali di preziose fonti di significato, identità, conoscenza, resilienza e benefici economici ...”.

La Dichiarazione dedica ampio spazio e definizione ad una serie di condotte e di convergenze fra Stati ed organismi internazionali per combattere le violenze alla cultura, ai beni culturali in ogni parte del mondo. Ai punti 12, 13, 14, 15 troviamo:


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“12. Convinti che la cooperazione e il dialogo siano vitali nella lotta contro l’estremismo violento, esprimiamo la nostra più forte condanna della distruzione deliberata del patrimonio culturale tangibile e intangibile, ovunque essa avvenga, poiché colpisce irreversibilmente le identità delle comunità, danneggia i diritti umani e l’identità della comunità, cancellando le eredità del passato e danneggiando la coesione sociale. Sosteniamo le iniziative intraprese per proteggere il patrimonio culturale in pericolo e ripristinare il patrimonio culturale distrutto o danneggiato. 13. Riconosciamo che l’uso improprio e l’appropriazione indebita dell’arte e delle espressioni culturali delle comunità indigene e locali, compresa la produzione e la vendita di arte non autentica delle comunità indigene e locali, contribuisce alla distruzione e alla denigrazione del patrimonio culturale e della cultura indigena e locale, e incoraggiamo la comunità internazionale a proteggere la proprietà intellettuale e l’espressione culturale delle comunità indigene e locali. 14. Siamo convinti che gli sforzi multilaterali, con l’UNESCO al centro, siano cruciali per la salvaguardia e la promozione della cultura. In questo contesto, accogliamo con favore l’attivazione di meccanismi internazionali per un rapido intervento nelle emergenze finalizzati a proteggere e preservare il patrimonio culturale danneggiato o messo in pericolo da conflitti e disastri, anche nel contesto delle operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite, sulla base della risoluzione 2347 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con la partecipazione di Task Force nazionali su invito dell’UNESCO”.

Con la Dichiarazione, per la prima volta si afferma che il traffico illecito di beni culturali e le minacce alla proprietà intellettuale, anche attraverso piattaforme digitali e sociali, sono gravi crimini internazionali e vanno decisamente e collegialmente affrontati e vinti. Al punto 15, alla comunità internazionale vengono richieste misure forti ed efficaci: “... (a) Ratifica degli accordi e delle Convenzioni internazionali rilevanti e avanzamenti nell’ulteriore sviluppo e nella migliore attuazione degli standard internazionali, in forte cooperazione con le organizzazioni internazionali pertinenti, tra cui UNESCO, ICCROM, ICOM, ICOMOS e UNIDROIT. (b) lo sviluppo e il rafforzamento di strumenti appropriati, evitando duplicazioni e ridondanze, per aumentare l’efficacia della collaborazione tra le forze dell’ordine e le indagini attraverso lo scambio volontario di dati e informazioni, il monitoraggio delle frontiere e delle case d’asta, gallerie, magazzini, zone franche e altre attività correlate, in forte cooperazione con INTERPOL, UNODC e WCO, anche attraverso sforzi di cooperazione bilaterale come i trattati di mutua assistenza legale ...”.

Nell’impegno contro i traffici illeciti e le forme di criminalità contro l’arte e la cultura, i punti 16 e 17 delineano ed assumono obblighi precisi di coordinamento e di stretta collaborazione investigativa, giudiziaria transnazionale. I punti 16, 17 espongono:


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“16. Riconoscendo che il traffico illecito di beni culturali e le minacce alla proprietà intellettuale sono gravi crimini internazionali che sono collegati al riciclaggio di denaro, alla corruzione, all’evasione fiscale e al finanziamento del terrorismo, e che inoltre incidono fortemente sull’identità culturale di tutti i paesi, sottolineiamo l’importanza di strumenti mirati come pubblici ministeri dedicati, unità di polizia specializzate e banche dati di oggetti culturali rubati, aggiornate e interconnesse con INTERPOL, così come le organizzazioni doganali dedicate, per sostenere meglio le indagini transnazionali e il perseguimento dei reati di proprietà culturale e intellettuale. 17. Incoraggiamo anche il rafforzamento del dialogo, la cooperazione strutturata intersettoriale e interdisciplinare e le sinergie tra gli attori del patrimonio culturale e della gestione del rischio di catastrofi a livello locale (comprese le persone appartenenti alle comunità locali e indigene), nazionale, regionale e internazionale, compresi IC-CROM, ICOM e ICOMOS, per proteggere il patrimonio culturale e combattere il traffico illecito di beni culturali. Ciò include la condivisione delle conoscenze, il progresso verso standard comuni e la costruzione delle capacità dei diversi soggetti coinvolti, tra cui le dogane, i mercati d’arte, i musei, le autorità di polizia e gli operatori della protezione civile e militare, nonché l’avvio di attività quali le campagne educative e la promozione dei musei ...”.

Un forte ed esplicito richiamo alla cooperazione internazionale è giunto dal Generale Roberto Riccardi 3, alla guida del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Roma, intervenuto a moderare il Focus sul traffico illecito di opere d’arte e beni culturali, svoltosi a Roma il 31 luglio 2021, in occasione del G 20 Cultura. Riccardi, citando ultimi risultati eclatanti di rinvenimento e restituzione di opere d’arte e beni culturali sottratti e rubati, ha efficacemente sostenuto come i traffici d’arte non si fermano affatto alle frontiere, come i risultati positivi si sono ottenuti grazie all’interazione fra banche dati e app specializzate, fra intelligence e tecnologia; grazie alle collaborazioni fra Forze di Polizia e Autorità Doganali. Riccardi ha posto in evidenza come in Italia il maggior controllo e la coopera3 Il Generale Roberto Riccardi guida il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Roma dal 2019. Nato a Bari nel 1966, laurea in giurisprudenza e laurea in scienze della sicurezza. Ha operato nell’Arma dei Carabinieri in Sicilia, Calabria, Lazio, Toscana e nei Balcani. Giornalista pubblicista, è stato anche direttore della rivista Il Carabiniere, fino al 2014. Comandante provinciale dei Carabinieri a Livorno. Promosso colonnello, nel 2016 è Capo Ufficio Stampa del Comando Generale dell’Arma. Nel settembre 2019 assume l’incarico di vertice del Comando Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale. Da sempre coltiva l’attività di scrittore e saggista. Fra le varie pubblicazioni: nel 2009 esce il suo primo libro Sono stato un numero, narrazione autentica della vita di Alberto Sed. Nel 2017 La notte della rabbia ripropone il noir, su uno sfondo che rievoca la stagione degli anni di piombo e introduce un nuovo personaggio, il colonnello Leone Ascoli. Nel 2018 Riccardi cura Carabinieri per la democrazia, saggio sulle vittime dell’Arma nella lotta al terrorismo, che porta insieme alla sua le firme di Giovanni Bianconi, Piero Colaprico, Andrea Galli, Carlo Lucarelli, Massimo Lugli e Valerio Varesi. Nel 2019 è la volta di Detective dell’arte, per Rizzoli, che tocca le indagini tese al recupero dei beni culturali.


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zione hanno permesso negli ultimi anni di registrare una diminuzione dei furti e sottrazioni di opere d’arte e dei beni culturali, con incremento dei recuperi e ritorni. Per Riccardi “il futuro ci restituirà il passato”, confidando altresì nella prossima approvazione del Parlamento della proposta di legge Franceschini-Orlando anche in tema di reati internazionali nel settore dei beni culturali e opere d’arte. Un’annotazione aggiuntiva: molti beni culturali ed opere d’arte non sono ancora esposti e visibili, giacciono nei depositi dei musei, nei magazzini doganali, in sale chiuse di gallerie, in capannoni a ridosso di aeroporti in attesa di transazioni e destinazioni; sono custoditi nei caveaux di banche a garanzia di capitali sociali di aziende, a garanzia di prestiti e finanziamenti; costituiscono fattori di concambio in operazioni finanziarie, strumento di contrattazione commerciale 4. Ma sempre non visibili, non fruibili, molto spesso accompagnati da expertise remote e dubbie. Una nuova ed incidente cooperazione internazionale fra Stati, fra dogane, fra istituzioni, porterebbe certamente anche ad una fruibilità diversa delle opere d’arte, richiamandole dall’oblio e dal buio di un magazzino.

Niccolò Musso (1590/95 – dopo il 1622), Autoritratto, Olio su tela, Museo Civico e Gipsoteca Bistolfi, Casale Monferrato

4 Si

Leonardo Bistolfi (1859-1933), La bellezza liberata dalla materia; L’Alpe, 1899-1906, (Monumento a Giovanni Segantini) modello in gesso, Museo Civico e Gipsoteca Bistolfi, Casale Monferrato

veda l’efficace intervento dell’avv. Fulvio Gianaria del Foro di Torino, esperto cultore dell’arte e del diritto applicato, apparso in Repubblica-Torino il 15 agosto 2021, a pp. 1-14.


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Interno della Sinagoga Ebraica di Casale Monferrato, edificata nel 1595 e completamente restaurata nel 1969, espressione importante del barocco piemontese. Annesso Museo Ebraico

– la Dichiarazione realizza un chiaro richiamo alla tutela e valorizzazione dei beni e dei luoghi della cultura nei siti, nei musei e nei mercati d’arte; al monitoraggio e controllo alle frontiere, alle case d’asta, gallerie, magazzini e zone franche. A pari tempo, invita a procedere nella transizione digitale e nell’innovazione dell’offerta culturale ed artistica, con difesa della corretta informazione e veicolazione delle news nei media e nella rete. Ai punti 27, 28 e 29 leggiamo: “... 27. Sosteniamo la revisione e l’adattamento delle politiche culturali, anche nel contesto digitale, per favorire la creazione e l’accesso a diversi contenuti culturali, promuovere gli status, i diritti e le condizioni di lavoro degli artisti e dei creativi online e offline, compresi i loro diritti di proprietà intellettuale, e garantire una giusta remunerazione dei creatori e delle persone appartenenti a popoli indigeni e comunità locali. 28. Chiediamo l’adozione di garanzie per assicurare un ecosistema digitale sano per proteggere gli utenti dai rischi causati dalla disinformazione, dalla falsa informazione, dai discorsi di odio, dai pericoli online e dalla pirateria, per promuovere la fiducia reciproca tra tutti gli utenti, compresi gli artisti e i creatori. 29. Riconosciamo l’importanza del turismo culturale sostenibile per affermare il valore della cultura come risorsa per il dialogo e la comprensione reciproca tra le persone, per la conservazione e l’apprezzamento della diversità culturale, la conservazione del patrimonio culturale e la sostenibilità delle comunità locali. Incoraggiamo la gestione sostenibile dei siti del patrimonio culturale, la maggiore partecipazione dei settori culturali e creativi e delle comunità locali nello sviluppo del turismo e una migliore protezione in caso di flussi turistici importanti ...”.


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La riflessione qui compiuta sul testo della Dichiarazione di Roma offre la più recente conferma di come il diritto debba viaggiare in parallelo con l’arte e la cultura, perché dalle reciproche interferenze nascono positività e si combattono le patologie sempre possibili. È certamente un ottimo inizio, ma ci vogliono ora testi normativi conferenti e gestione pubblica trasparente e efficace. Attendiamo una produzione regolatrice più solerte e cogente, dovranno affinarsi buone pratiche e consuetudini per superare la troppa giungla ancora esistente.

f) Sete di autenticità e trasparenza Mai come in questi decenni, gli artisti e gli operatori del mondo creativo e culturale avvertono l’esigenza di un costante impegno per l’autenticità delle opere e la trasparenza dei mercati dell’arte, delle politiche pubbliche di sostegno. L’espandersi del collezionismo, il proliferare di nuovi indirizzi artistici o tendenze espressive specie nell’arte contemporanea, ma pure i percorsi carsici non sempre tracciabili delle transazioni ed esportazioni delle opere, i crescenti successi nel recupero e nel ritrovamento di opere trafugate o abusivamente collocate, l’affermarsi di modalità super veloci di contrattazione on line senza visione diretta corpo a corpo dell’opera e con webcam, l’affacciarsi con impeto nel mercato dell’arte e nelle recenti aste di Christie’s dei Nft (Non-fungible Token o certificati di autenticità digitale), sono tutti fattori di inquietudine nel settore. Proprio i Nft, dopo le aste di Christie’s a New York con le cinque opere di Andy Warhol aggiudicate a più di tre milioni di dollari, dopo ancora la recente sessione d’asta di Christie’s dell’11 marzo 2021 con l’aggiudicazione a 70 milioni di dollari di un’opera digitale di Beeple Mike Winkelmann, oppure dopo i noti tentativi di musei italiani e gallerie di cedere Nft di importanti opere possedute tramite società specializzate, sono oggi all’attenzione anche del ministro alla Cultura e Beni Culturali Dario Franceschini. Il ministro si è impegnato a far redigere nuove linee guida per i musei, a definire un programma e un progetto di Museo dell’Arte Digitale. Alcuni musei italiani pubblici e privati osservano con molta attenzione la nuova frontiera dei Nft. A Londra nel 2019 è stato creato il MoCDA, il Museo d’arte contemporanea digitale. Gli artisti autori vogliono libertà espressiva, tutela della proprietà intellettuale, giusto apprezzamento dell’opera creata, bando alle speculazioni aggiuntive di dubbio segno. Tutti gli indicatori degli osservatori specializzati, europei e non solo, sulle transazioni di opere d’arte segnalano picchi irragionevoli e triangolazioni strane tra mondo finanziario speculativo e operatori tradizionali, mediatori e fondi di in-


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tervento. Si moltiplicano pure i traffici clandestini dei beni culturali e di opere del patrimonio artistico, con riciclaggi di ingenti somme. Il mondo dell’arte esige un nuovo impegno per proporre e difendere sempre l’autenticità delle opere, per difendere il valore autorale, per creare nuove modalità di pulizia comportamentale fra critici, galleristi e case d’asta, senza attendere solo interventi investigativi e repressivi post. Il mondo dell’arte, dalla produzione al mercato e alla valorizzazione, ha oggi rischi maggiori del passato rispetto al canone della trasparenza. La ragione è semplice: a questo mondo si sono avvicinati gli uomini d’affari, gli speculatori con le loro tecniche pervasive e gli studi sulle performance delle opere e proiezioni, gli investitori borderline con la frenesia del realizzo immediato o dello scambio vantaggioso. L’ingresso anomalo nel mondo dell’arte di nuovi protagonisti, con forte capacità condizionante, ha modificato e vulnerato anche la libertà creativa di molti artisti diventati sensibili alle tendenze e alle opportunità di affermazione calcolata e programmata. Ugo Nespolo, pittore e artista poliedrico innovatore, convinto della dimensione culturale e sociale collettiva dell’arte, ha lanciato un grido d’allarme e un richiamo esplicito alla vera dimensione dell’arte, alla sua vocazione di speranza e di vita. Con il saggio “Per non morire d’arte” edito nel 2021 da Einaudi, Nespolo sostiene: “... Un cammino immaginato libero e fiducioso che pian piano rivela il suo lato oscuro, rischioso, truccato, fino a scoprire avvolti di malinconia che di arte si può persino morire ... Si può morire d’arte per aver scoperto d’essere immersi in un brodo creativo svuotato di certezze e convinzioni, morire per malinconia di vivere il tempo delle superchiacchiere, sommersi da cataste di oggetti eterogenei, merce tra le merci, schiavi del dogma dell’indifferenza estetica, condannati alla dannazione del prezzo ...”.


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Ugo Nespolo, La fontana malata, 1996, acrilici su legno

Nespolo, dedica decine di pagine ai percorsi contemporanei dell’arte, alle difficoltà di nuove espressioni, alle criticità e opportunità, ma poi conclude con un appello alla fiducia proprio nell’arte: “un viaggio per amore dell’arte ... una sorta di gesto affettuoso, ma incapace di accettare in silenzio la vorace tirannia delle distorsioni, dei vizi forse incurabili che la piegano, la dominano e la violentano ...”. Nespolo, approdando ad un epilogo niente affatto rinunciatario, ma reattivo in positivo, si chiede se: “l’arte contemporanea vuole rendere il mondo un posto migliore o se vuole essere soltanto un divertimento sofisticato ... l’arte oggi può vivere e gioire nell’essere considerata soltanto un’informe quantità di merci in vendita, commodity fra le altre come soia, maiali, nichel, bulk chemicals o se la sua ambizione – come quella appassionata e utopica di tutte le storiche avanguardie – è avere fede ancora nella possibilità di contare nel mondo per cambiarlo ...” 5. Anche il mondo della critica d’arte merita un’azione di pulizia e ritorno alla genuinità. Il grande Federico Zeri, figura emblema del critico e storico dell’arte, elaborava expertise o schede di opere d’arte, perizie articolate in più pagine, dense di riferimenti e di citazioni. Erano elaborazioni ponderate e circostanziate, talvolta non semplici e controcorrente. 5 U.

NESPOLO, Per non morire d’arte, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2021, pp. 130-131.


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Zeri era uno studioso libero, un advisor e consigliere di grandi musei o pinacoteche; era soprattutto uno studioso, con anni di ricerca nella conoscenza, di lettura di testi e di opere, di impegno e di curiosità per l’arte. Non ha mai improvvisato. Era un feroce nemico dell’inganno e del falso nell’arte, con esplicita immediatezza e con coraggio Nel 1984, in occasione del ritrovamento delle teste attribuite a Modigliani, non esitò a qualificarle come “sò du paracarri”. Sempre con coraggio, sostenne la falsità di un kourus greco acquistato dal J. Paul Getty Museum e ebbe poi lampante ragione; scoperse la falsità di una tela raffigurante la Madonna attribuita a Raffaello, grazie all’individuazione nel quadro di una palma Cycas revoluta, pianta portata in Europa da James Cook, esploratore e cartografico inglese, ben 250 anni dopo Raffaello. Qui gioca la consonanza diretta e forte con il mondo del diritto. In tutti i sistemi giuridici del mondo, di matrice common law o di civil law, dalla Vecchia Europa alle Due Americhe, alla Cina ed Australia, all’India ed Africa, troviamo regole, leggi, consuetudini e precedenti giurisprudenziali, accordi e intese operative a difesa del mondo dell’arte e del patrimonio culturale. Sono stati creati organismi fra gli Stati, a raggiera europea e mondiale. Le varie Polizie interagiscono e ottengono risultati prima non pensabili. A livello di contrattualistica civilistica e commerciale sono stati raffinati alcuni strumenti di maggior trasparenza e garanzia per gli artisti e per gli operatori. Si è dimostrato e si dimostrerà utilissimo il ruolo di UNIDROIT, Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato, organizzazione internazionale che persegue l’armonizzazione del diritto internazionale privato e conta ben 63 Stati membri. Non tutto è rosa, vi sono ancora forti rischi di contraffazione e di falsificazione, specie quando intervengono poteri economici e finanziari assetati di investire fuori da ogni pentagramma di equo riferimento. I procedimenti processuali ancora aperti in Italia e in Europa a difesa delle opere d’arte autentiche e contro le contraffazioni sono ancora molti, molti i dubbi sui mercati e sulle attribuzioni delle opere, sulle troppe facili e scontate expertise. Da qui l’esigenza di una ponderata riflessione, con gli attrezzi in mano, cercando di capire dove si celano rischi e trucchi degli affezionati delle truffe.

*** Un caso emblematico e recente. Attorno al papiro attribuito al geografo greco antico Artemidoro si scrive e argomenta da decenni. Studiosi, accademici delle più diverse scuole di ricerca, non solo europei; galleristi e curatori museali, restauratori e critici antichisti, esperti in papirologia hanno dialogato e polemizzato per anni sui media e sulle riviste scientifiche del settore.


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A dicembre 2018, è intervenuta la Procura della Repubblica di Torino con una dettagliata indagine e con la richiesta di archiviazione per prescrizione del reato nei confronti del collezionista, mercante d’arte e dubbio falsario Serop Simonian, richiesta accolta dal GIP. La magistratura inquirente torinese indagò, con approfondimenti e procedure complesse, e congruamente ricostruì le fasi temporali, le modalità di venditaacquisto del papiro; intervenne sulle lacune e anomalie che segnarono l’approdo in Italia del reperto e la sua forse imprudente attribuzione di autenticità totale e conseguente ipervalorizzazione. Non solo, in contemporanea con le risultanze d’indagine, anche l’Istituto Centrale per la patologia degli archivi e del libro (ICPAL) del MIBAC di Roma ha sviluppato verifiche e accertamenti chimici, fotografici e fisici sul papiro. L’ICPAL, su incarico della Fondazione Compagnia di San Paolo, ha dedicato tempo e professionalità per un’azione indispensabile di restauro conservativo, per l’analisi del supporto, delle figure e scritture sopra versate. In queste pagine, razionalizzando e aggiornando altri precedenti contributi di riflessione 6, viene richiamato lo sviluppo della vicenda storico-temporale dell’arrivo in Italia del papiro; viene contestualizzato il conflitto duro e motivato fra gli studiosi che si sono cimentati sull’autenticità o falsità del reperto; viene assunto l’iter di indagine svolto dalla Procura di Torino con le risultanze, anche se non tradottesi in iter processuale dibattimentale e pronunciamento. Il tutto viene qui analizzato ed esposto allo scopo di rendere plastico come sia necessario che il diritto intervenga nel mercato dell’arte e dei beni culturali per assicurare trasparenza e verità, soprattutto oggi in presenza di una giungla di protagonisti e ruoli, di importanti somme di denaro investite o spese non sempre coerentemente; di una crescente domanda culturale e turistica per l’arte e il patrimonio culturale, domanda che va coltivata e sostenuta e per nulla disattesa. La complessa e non risolta definitivamente vicenda del papiro di Artemidoro, qui assunta come paradigma di conoscenza critica, costituisce la controprova di come arte e diritto non siano affatto linee parallele che corrono all’infinito, senza punti di contatto. Sono linee che talvolta si toccano e poi si divaricano e poi ancora si toccano. Oggi, nel mercato dell’arte vi è una dominante inquietudine, tesa fra il desiderio di trasformarsi e quello di perpetuare business, fra la necessità di sanificare alla radice l’ambiente e le condotte e, di contro, l’opportunità calcolata di non disturbare gli assetti lobbystici attuali. Sull’attuale mercato incombe la permanente incognita della falsificazione delle 6 Si veda il contributo di S. Favretto apparso nella rivista online Altalex del 6 dicembre 2019 con il titolo Il papiro di Artemidoro. Verità e trasparenza nel mercato dei beni culturali; si veda pure di S. FAVRETTO, Il papiro di Artemidoro. Verità e trasparenza nel mercato dei beni culturali e delle opere d’arte, LineLab, Edizioni, Alessandria, 2020.


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opere d’arte. Non è patologia contemporanea, ma atavica. Harry Bellet, critico d’arte e firma di Le Monde, nel suo recente saggio “Falsari illustri” di Skira, Milano 2019, richiama la figura di van Weegeren, notissimo falsario di Jan Vermeer; di John Drewe, falsario inglese che si specializzò nel redarre false documentazioni, di introdurre falsi documenti e attestazioni negli archivi; di Eric Hebborn, falsario imperterrito e mai scoperto. Oggi, anche le nuove tecniche di riproduzione digitali o le stampanti 3D aiutano l’inserimento nel mercato di opere false e solo apparentemente appaganti. Al MART di Rovereto, aprile 2021, si è organizzata una singolare mostra “Il falsario nell’arte. Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento”, da un’idea di Vittorio Sgarbi curata da Mario Del Bufalo e Marco Horak. Dossena fu un autorevole falsario di numerose opere scultoree dell’antichità e del Rinascimento (Donatello, Simone Martini, Andrea Del Verrocchio). Nella mostra si espongono contenuti e immagini anche delle false teste di Modì attribuite e poi sconfessate al celebre Modigliani. Basterebbe molto poco, solo coraggio: i giornalisti d’inchiesta e i critici d’arte o storici dell’arte indipendenti e professionali vi sono, gli organismi investigativi e le istituzioni allertati vi sono; le società di consulenza e gli advisors sono pronti; forse i media generalisti potrebbero ardire molto di più e condurre battaglie di razionalizzazione del mercato, forse il legislatore potrebbe intervenire con misure più cogenti e disincentivanti rispetto alle patologie penali; forse sarebbe sufficiente ampliare le buone prassi nella gestione di musei e gallerie, nella divulgazione editoriale e nell’elaborazione di perizie e expertise; forse sarebbe necessario utilizzare molto di più e in modo mirato i laboratori scientifici e chimici, fisici e fotografici, per svelare i falsi e le contraffazioni totali o parziali, per attribuire correttamente opere ai veri autori o ai veri periodi di realizzazione e di appartenenza. Va segnalato l’approfondimento svolto da Giorgio Stamatopoulos ne La Stampa del 6 febbraio 2022. Secondo l’analisi effettuata dall’osservatorio Nomisma, l’art industry italiana nel 2019 ha registrato un fatturato di 1,46 miliardi con un impatto economico derivato di 3,78 miliardi di euro. È aumentata l’offerta di opere e beni artistici; vi è stata una diminuzione dei costi, ma molto dinamismo per realizzare. Gli esperti suggeriscono prudenza e ricorso a galleristi e collezionisti professionali. Un mercato in ripresa e espansione impone più rigore e genuinità.


Capitolo 2

Il Papiro di Artemidoro caso emblematico Nel dicembre del 2018, l’enigmatica vicenda sulla falsità o sull’autenticità del papiro attribuito ad Artemidoro visse un momento topico: giunse la Procura della Repubblica di Torino con una dettagliata indagine ed infine con la richiesta di archiviazione 1 per prescrizione del reato nei confronti di Serop Simonian, richiesta accolta dal GIP con decreto di archiviazione datato 1° dicembre 2018 2. Pur dovendosi limitare alla rituale richiesta di dichiarazione del non doversi procedere, stante l’oggettiva decorrenza dei termini pur in presenza di attività investigativa non facile, la Procura ha significativamente indagato sulle modalità di vendita-acquisto del papiro e sulle lacune e anomalie che hanno segnato l’approdo in Italia e la sua forse immotivata qualificazione artistica. Ad avviso della Procura “... la certezza del falso è abbondantemente provata, quanto meno sulla base di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti”. Per la prima volta la magistratura si è occupata di vicende correlate al papiro di Artemidoro, analizzando l’ipotesi della commissione del reato di truffa aggravata, ex art. 640 c.p. e art. 61, n. 7, c.p., in capo al collezionista e mercante d’arte Serop Simonian 3 che vendette alla Fondazione per l’Arte della Compagnia San Paolo di Torino il citato reperto archeologico nel 2004. In queste pagine, viene richiamato, in un primo sintetico abstract, lo sviluppo della vicenda storico-temporale dell’arrivo in Italia del papiro; viene contestualizzato il conflitto duro e motivato fra gli studiosi che si sono cimentati sull’autenticità o falsità del reperto; infine, viene assunto l’iter di indagine svolto dalla Pro1 La richiesta di archiviazione è datata 29 novembre 2018 ed è firmata dal Procuratore della Repubblica di Torino dott. Armando Spataro, dai Sostituti Procuratori dott. Andrea Beconi e Laura Longo. 2 Il decreto di archiviazione è datato 1° dicembre 2018 ed è firmato dal GIP dott. Cristiana Domaneschi, depositato il 3 dicembre 2018. 3 Serop Simoniam, nato al Cairo il 1° gennaio 1942, mercante e collezionista d’arte di origine armena.


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cura di Torino con le risultanze, anche se non tradottesi in iter processuale dibattimentale e pronunciamento 4. Il tutto viene qui analizzato ed esposto allo scopo di rendere plastico come sia necessario che il diritto intervenga nel mercato dell’arte e dei beni culturali per assicurare trasparenza e verità, soprattutto oggi in presenza di una giungla di protagonisti e ruoli, di importanti somme di denaro investite o spese non sempre coerentemente, di una crescente domanda culturale e turistica per l’arte e il patrimonio culturale. Le pagine che seguono intendono offrire agli operatori del diritto, ai frequentatori del mercato dell’arte e ai semplici cultori del bello, ai soggetti privati e pubblici che si occupano di tutela e valorizzazione dei beni culturali, un canovaccio interpretativo della vicenda, vicenda ricca di contributi scientifici e storici in conflitto, ma anche di molteplici interferenze contrattuali e giuridiche, emblematiche e dubbie.

Peculiarità del papiro e suo arrivo in Italia Viene denominato “papiro di Artemidoro” un papiro frammentario e non integrale, della lunghezza di metri 2,5 circa ed un’altezza di cm. 32,5, sommatoria di più elementi. Sul verso si coglie un significativo testo scritto in greco a più colonne, una mappa dell’Iberia e del mar interno (il Mediterraneo), accompagnati a seguire da numerosi disegni di figure umane (teste, mani, piedi) e sul recto un cospicuo insieme a mo’ di bestiario, con disegni oscillanti fra la descrizione realistica e una versione fantastica e immaginaria. Venne attribuito per la prima volta ad Artemidoro di Efeso 5 dal prof. Claudio Gallazzi 6 docente dell’Università Statale di Milano e dalla prof. Barbel Kramer docente dell’Università di Treviri in Germania, con un articolo scientifico pubblicato nel 1999 7. Il papiro venne acquistato dalla Fondazione per l’Arte della Compagnia San Paolo di Torino, oggi denominata Fondazione 1563 per l’Arte, per conto della Compagnia di San Paolo di Torino; fu stipulato un contratto di compravendita in 4 In questa sede viene analizzato il testo del provvedimento della Procura di Torino e del decreto di archiviazione del GIP del Tribunale di Torino, come resi pubblici e linkati anche nel sito www.ilfattoquotidiano.it del 15 dicembre 2018. 5 Artemidoro di Efeso, geografo, vissuto tra il secondo e il primo secolo a.C., celebre non solo in patria, visitò l’Italia e la Spagna, le coste europee dell’Atlantico, l’Egitto e i paesi contermini e forse altre regioni mediterranee. Elaborò un periplo del Mare interno che poi ampliò fino a comporre vari libri con descrizione dei paesi visitati, con le loro caratteristiche fisiche e storico-politiche. L’opera completa di Artemidoro non ci è pervenuta, ma si hanno solo frammenti e citazioni varie. 6 Claudio Gallazzi è considerato uno dei massimi papirologi italiani, direttore del laboratorio di papirologia dell’Università Statale di Milano. 7 Articolo pubblicato nella rivista tedesca Archiv für Papyrusforschung, n. 44, 1999.


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data 26 luglio 2004 con il venditore Serop Simonian, mercante d’arte e collezionista egiziano residente in Germania, di origini armene. Oggi, il papiro è in proprietà della Compagnia di San Paolo di Torino che lo pagò ben 2.750.000 euro, tramite la Fondazione per l’Arte come braccio strumentale e operativo, per poi destinarlo al Museo Egizio di Torino in comodato gratuito, ma la consegna mai avvenne per diniego del medesimo Museo. Nel seguito delle pagine, si userà l’abbreviazione “P. Artemid” in sintonia con la consuetudine nell’indicare i reperti in ambito papirologico. Il reperto è costituito da un supporto vegetale, attribuito pacificamente fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., come risulterebbe dalle effettuate indagini al carbonio 14; da scritti in greco e disegni, una mappa della Spagna, immagini reali di figure umane e simboliche di animali sovrapposte che ne costituiscono, invece, il contenuto impresso sul supporto. Secondo le tesi che ne hanno accreditato la presunta autenticità, il P. Artemid venne consegnato dal mercante Serop Simonian al prof. Gallazzi presso i laboratori di papirologia dell’Università Statale di Milano, dove vennero effettuati alcuni restauri. Ad oggi, come si vedrà a seguire, non vi sono certezze sulla provenienza, sulla genesi, sui passaggi e trasferimenti dall’Egitto all’Italia, sulla successione degli interventi di restauro. Non vi è una tracciabilità certa o verosimile condivisa. Il papiro risulterebbe facente parte di un Konvolut, ovvero insieme di altri papiri e materiale vario utilizzato per riempimenti di maschere funerarie. In antecedenza, l’intero Konvolut sarebbe stato acquistato da Serop Simonian dal fratello Hagop, allora direttore del Museo egiziano di Khashara Pasha 8, esportandolo nel 1971. Si osserva che nel caso del P. Artemid viene utilizzato il termine Konvolut per indicare quello che più comunemente viene denominato nella papirologia classica con il termine papier maché, appunto insieme di papiri, frammenti di papiri, tessuti ed altro materiale da riempimento. Il Konvolut, secondo le tesi del prof. Gallazzi, venne smontato presso un laboratorio di Stoccarda, laboratorio del cui coinvolgimento non si hanno evidenze e conferme. Del Konvolut si ha solo un fotomontaggio in proprietà della Compagnia San Paolo di Torino e trasmessa dal prof. Settis, ma non esistono altre immagini o documentazioni e verbali dell’operazione di apertura del Konvolut e del suo restauro. L’unica immagine esistente è stata poi verificata come frutto di un montaggio falsificato, scoperto dai tecnici e funzionari del Gabinetto Interregionale di Polizia Scientifica Abruzzo-Marche. I papiri di contesto o documentari, rinvenuti con il papiro di Artemidoro, sarebbero oggi depositati presso il laboratorio del prof. Gal8 La Raccolta Khashaba Pasha venne costituita con il patrimonio di reperti e beni culturali appartenuti al collezionista tardo ottocentesco Saiyid Khashaba Pasha. Il P. Artemid sembra che venne acquistato da S. Khashaba Pasha per incrementare la sua collezione di Asyut. La raccolta venne poi smembrata e liquidata nel secondo dopoguerra.


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lazzi a Milano in comodato e non acquistati dalla Fondazione Compagnia San Paolo. Nel 1999, secondo le risultanze di indagine, il prof. Salvatore Settis 9 ebbe modo di trattare l’acquisto del papiro per conto del Getty Center for the History of Art and the Humanities di Los Angeles, quando ricoprì il ruolo di direttore; l’operazione non si concretizzò forse in ragione di un rilancio eccessivo del prezzo di acquisto. Il reperto non venne mai accolto ed esposto dal Museo Egizio di Torino, ma, trasferito da Milano a Torino dove venne esposto in mostra nel 2006 a Palazzo Bricherasio, in occasione delle Olimpiadi Invernali del 2006. Venne poi ospitato nel caveau della Banca San Paolo di Torino, salvo due trasferimenti per esposizione a Berlino e a Monaco. Al rientro dalla Germania, il reperto venne trasferito al deposito del Centro Restauro di Venaria Reale e poi ospitato al Museo delle Antichità di Torino dove ora si trova in esposizione, salvo momentaneo trasferimento per accertamenti da parte del MIBACT a Roma.

La severa dialettica fra gli esperti sull’autenticità Il P. Artemid è ancora oggi al centro di un’interessantissima rete di opposte considerazioni scientifiche ed accademiche, anche dopo la corposa indagine giudiziaria svolta dalla Procura di Torino, non giunta all’epilogo con un pronunciamento processuale solo per intervenuta prescrizione del reato di truffa. Dal dicembre 2018 ad oggi, il dibattito si è ulteriormente alimentato a tutto tondo. Da un lato, i sostenitori della genuinità e del valore scientifico e storico del papiro come C. Gallazzi, B. Kramer, S. Settis, F. Montanari, F. Pontani ed altri studiosi non solo italiani; dal lato avverso, i sostenitori della falsità del papiro con il convintissimo prof. L. Canfora in trincea che da tempo sostiene come il papiro sia un falso pregevole ed ottocentesco, opera di Costantino Simonidis 10. Di particolare rilevanza scientifica e metodologica sono gli studi, gli approfondimenti e le pubblicazioni sul tema realizzati e prodotti dal prof. Federico Condello dell’Università di Bologna. La schiera dei sostenitori della non autenticità del papiro si è ampliata negli anni, con contributi anche da università non italiane. 9 Salvatore

Settis, docente di archeologia classica, autore di molti testi con diffusione internazionale, responsabile in ruoli di vertice al Ministero dei Beni Culturali. 10 Costantino Simonidis nacque nel 1820 nell’isola di Simi nei pressi di Rodi e mancò nel 1890. Fu allievo di un noto libraio; visse con lo zio abate in un monastero sul monte Athos, coltivando tecniche dei copisti. Venne noto per alcuni falsi testi medievali ed icone; viaggiò in molte sedi europee, da Londra a Lipsia, fino a giungere a Costantinopoli e ad Alessandria. Fu contestato per vari tentativi di vendita di reperti falsi.


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Proprio sull’esposto critico del prof. L. Canfora si mosse la Procura di Torino, diretta allora dal dott. Giancarlo Caselli 11. Nel corso delle primissime indagini, svolte dal Reparto Operativo-Sezione Archeologica del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Roma, vennero acquisiti gli atti del convegno svoltosi a Bologna il 9 luglio 2013, durante il quale vari studiosi hanno ipotizzato la falsità del papiro; venne altresì acquisita ampia documentazione a sostegno dell’autenticità del reperto. Nello sviluppo delle indagini, disposte dalla Procura di Torino ed effettuate da Carabinieri della Polizia Giudiziaria della medesima Procura di Torino, sono state acquisite altre documentazioni, atti e pareri, contratti e delibere autorizzative. Non deve sfuggire come, con decreto del 24 gennaio 2006, la Direzione Regionale peri Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte dichiarò il papiro “di interesse archeologico ai sensi degli artt. 10-12 del D.Lgs. n. 42/2004”. Il prof. Settis, in un articolo pubblicato su “Il fatto quotidiano” del 15 dicembre 2018, sferrò un duro attacco all’operato della Procura di Torino, osservando lacune ed incongruenze e rivendicando quanto invece sia motivata la tesi dell’autenticità del papiro, a seguito di un elenco consistente di studiosi che produssero contributi e analisi. Sempre critico sui risultati dell’indagine di Torino è il pensiero del prof. Tomaso Montanari, apparso pubblicato sul blog “Emergenza cultura – In difesa dell’art. 9” del 27 dicembre 2018. Neutro sembra essere, invece, il contributo apparso nel numero del 10 dicembre 2018 del “National Geographic Italia” con il titolo “L’inchiesta della Procura conferma: un falso papiro di Artemidoro”. Da segnalare, altresì, come il quotidiano Il Foglio pubblicò in data 10 dicembre 2018 un articolo di Maurizio Stefanini titolato Il falsario di talento e il papiro di Artemidoro, richiamante per esteso il precedente articolo dello stesso Stefanini, esaustivo e ben argomentato, pubblicato da Il Foglio il 6 gennaio 2010. La dialettica scientifica ha alimentato pubblicazioni, convegni, interviste a settimanali o servizi televisivi. Dopo le risultanze dell’indagine di Torino, si nota una maggior prudenza di molti studiosi e una caparbia insistenza di coloro che ne coltivarono da subito la genuinità. Per un contesto essenziale ed orientativo della pubblicistica sul tema fin qui intervenuta, si vedano: F. CONDELLO, “Artemidoro” 2006-2011: l’ultima vita, in breve, in Quaderni di Storia, 74, 2011, pp. 161-256; L. CANFORA, Il papiro di Artemidoro, con contributi di L. Bossina, L. Capponi, G. Carlucci, V. Maraglino, S. Micunco, R. Otranto, C. Schiano e un saggio del nuovo papiro, Roma-Bari 2008; L. CANFORA, Il viaggio di Artemidoro. Vita e avventure di un grande esploratore 11 L’esposto del prof. Luciano Canfora, indirizzato all’allora Procuratore dott. Giancarlo Caselli, venne iscritto al Registro Mod. 45 della Procura di Torino in data 14 novembre 2013; in data 20 luglio 2016, il procedimento venne iscritto nel reg. Mod. 21 a carico dell’indagato Serop Simonian con il n. 17472/2016.21.


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dell’antichità, Milano, 2010; L. CANFORA, La meravigliosa storia del falso Artemidoro, Palermo, 2011; C. GALLAZZI, B. KRAMER, S. SETTIS, con A. SOLDATI (edd.), Intorno al Papiro di Artemidoro, I. Contesto culturale, lingua, stile e tradizione, Milano, 2010; C. GALLAZZI, B. KRAMER, S. SETTIS (edd.), Intorno al Papiro di Artemidoro, II. Geografia e Cartografia, Milano, 2012; J. ELSNER (ed.), New Studies on the Artemidorus Papyrus, in Historia, LXI/3 (2012); G. ADORNATO (ed.), Intorno al Papiro di Artemidoro, III. I disegni, Milano, 2016; Il papiro di Artemidoro (P. Artemid.), edito da C. Gallazzi, B. Kramer, S. Settis, con la collaborazione di G. Adornato, A.C. Cassio, A. Soldati, Milano 2008; Pseudo-Artemidoro, Epitome: Spagna. Il geografo come filosofo, a cura di L. CANFORA, Roma-Padova, 2012. Nel 2013 a Madrid si svolse il convegno internazionale “Arte, scienza, geografia e filosofia nel papiro di Artemidoro” presieduto dalla prof. Irene Pajón Leyra, docente all’Università di Siviglia. Nel convegno vennero apprezzati le criticità e i dubbi esposti e sostenuti da Luciano Canfora e da altri studiosi. Sul P. Artemid venne scritto anche un romanzo; trattasi dell’opera dello scrittore Ernesto Ferrero che nel 2006, in concomitanza con la mostra ed esposizione del P. Artemid durante le Olimpiadi invernali, diede alle stampe “La misteriosa storia del papiro di Artemidoro” pubblicato da Einaudi, Torino. Più recentemente, a dicembre 2018, il prof. Francesco Condello 12 ha pubblicato il significativo saggio “P. Artemid e i suoi avvocati” in Eikasmos XXIX (2018), Quaderni Bolognesi di Filologia Classica, rivista fondata dal prof. Enzo Degani. Sempre Condello ha promosso al Collegio Superiore di Bologna, nell’anno accademico 2018-2019, un seminario proprio sul tema dell’autenticità-falsità del P. Artemid. Da segnalare l’efficace servizio d’inchiesta realizzato da Giulia Presutti e trasmesso per Report il 16 giugno 2019 su Rai 3, dove è stata ricostruita l’intera vicenda con un’anteprima dell’esito della verifica tecnico-scientifica svolta all’Istituto Centrale per la Patologia degli Archivi e del Libro di Roma. In questa sede si è solo contestualizzato e richiamato il progress della vicenda, ben sapendo come in molti altri casi la magistratura intervenne a far emergere la falsità di opere, pur in presenza di stuoli di studiosi che si erano pronunciati per la loro autenticità. Ci si riferisce, ad esempio, all’esposto e all’accertamento circa la falsità della quasi totalità della mostra di quadri di Amedeo Modigliani al Palazzo Ducale di Genova negli anni 2017-2018. Dopo mesi di mostra promossa su tutti i media, decine di migliaia di visitatori, prima un semplice albergatore ligure innamorato di Modigliani e poi il critico più autorevole del medesimo, il dott. Carlo Pepi, hanno offerto l’input alla Procura di Genova per sequestrare il tutto e promuovere indagini. 12 F. Federico Condello è docente ordinario di filologia greco-latina e tradizione classica all’Università di Bologna, coordina il Laboratorio di traduzione specialistica dalle lingue antiche presso l’Università di Bologna.


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Anche in questo caso si hanno expertise, commenti e cataloghi avvaloranti la genuinità ed autenticità. La vicenda è ancor oggi tutta aperta; presso il Tribunale di Genova, è in corso un difficile e complesso processo penale con molti imputati e accertamenti compiuti e in divenire nella fase dibattimentale. Sono previste decine di udienze e partecipazioni di consulenti e periti con elaborati e tesi contrastanti. I media hanno dato grande rilevanza al caso, anche per la dimensione dell’attenzione pubblica suscitata dalla mostra e diffusione del catalogo. In queste pagine si offre una riflessione giuridica da un lato, non filologica o papirologica, e dall’altro lato un approccio da semplice cittadino avvertito, consapevole come il mercato dell’arte e dei beni culturali necessiti di nuova trasparenza e verità.

Le critiche evidenze contrattuali e giuridiche La vicenda del P. Artemid ha, fino ad oggi e senza alcuna cesura, coinvolto molti protagonisti, dai collezionisti ai mercanti d’arte e dei beni culturali, dai direttori di musei ai critici ed esperti d’arte, dagli studiosi e ricercatori universitari, dai giornalisti e fotografi, dai vari media ai semplici lettori di riviste e quotidiani, dai magistrati ai funzionari di polizia e carabinieri del Comando TPC di Roma, dai dirigenti ministeriali ai funzionari delle sovrintendenze regionali. Certamente il P. Artemid è al centro di querelle e discordie storico-scientifiche di grande coinvolgimento e partecipazione. Non vanno, però, scordati i tre distinti livelli di approfondimento e di narrazione. Il primo livello: quello alimentato giustamente dagli studiosi del settore dell’archeologia storica, della papirologia, della filologia greca antica, della letteratura e storia greca, del restauro papirologico, della diagnostica chimica e della fotografia. Qui non sono mancati significativi contributi di analisi, di ricostruzioni, di interpretazioni di segno diverso. In quest’ambito, la dialettica e il confronto antitetico non è mai venuto meno. Come non è mancato un singolare percorso di adattamento progressivo rispetto alle evidenze emergenti dell’inautenticità del P. Artemid. Un secondo livello: quello giornalistico e comunicativo. Il P. Artemid ha da subito incontrato una forte e puntuale attenzione e risonanza nei vari media, con interventi ripetuti a sottolineare, di volta in volta, l’attrattività e curiosità del caso enigmatico. Tv, quotidiani, riviste di divulgazione, esposizioni pubbliche, interventi editoriali hanno fin dall’inizio accompagnato l’evolversi della discordia artemidorea. Un terzo livello: quello della declinazione giuridica e degli sviluppi dell’indagine della magistratura sul caso. Qui sta la novità di questi due ultimi anni. Accanto alla pluriennale diatriba fra insigni studiosi, fra scuole di pensiero e di ricerca specialistica, è intervenuta la magistratura di Torino per tentare di porre condi-


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zioni di chiarezza ed eventualmente individuare responsabilità nelle condotte assunte. I tre livelli devono adottare una spiccata autonomia, devono potersi relazionare con le distinte metodologie e distinte professionalità, ma senza sconfinamenti in terreni non propri 13. La Procura di Torino, indagando sull’ipotesi di reato di una presunta truffa a danno della Compagnia San Paolo di Torino, ha effettuato una giusta ed opportuna incursione in uno scenario prestigioso sì, per autorevolezza, ma sin dagli albori connotato da margini di incertezza sull’autenticità del papiro. L’incursione della Procura merita tutto l’apprezzamento, anche per il significato simbolico ed emblematico che assume, mentre pare evidentissimo come il mercato dell’arte e dei beni culturali soffra dei difetti e distorsioni di volontà truffaldine. Una prima annotazione. Il Procuratore della Repubblica di Torino dott. Armando Spataro ha reso pubbliche, con il comunicato stampa del 10 dicembre 2018, le risultanze dell’indagine e del decreto di archiviazione, richiamandosi ad una precisa delibera del CSM emanata l’11 luglio 2018. La delibera del CSM ha precisato che possono essere oggetto delle comunicazioni degli Uffici Giudiziari “le informazioni di effettivo interesse pubblico, tra cui casi e controversie di obiettivo rilievo sociale tecnico-scientifico”. Non trova spazio, dunque, l’obiezione che sia stata assunta un’iniziativa estemporanea e gratuita su una vicenda chiusa e irrilevante. Non si è trattato solo di un’indagine inerente al reato di truffa aggravata, ma di un’indagine che ha esaminato condotte di più attori, privati e pubblici, con una forte ricaduta permanente sul mondo scientifico, accademico e universitario; con effetti di costo per gli enti pubblici e fondazioni, con opportunità ingannatrici di migliaia di utenti-fruitori e cultori dell’arte. Chiarissimo l’interesse pubblico e tecnico-scientifico a conoscere l’esito dell’indagine, anche se in presenza di una archiviazione per prescrizione 14. Si espongono, in sintesi, le più evidenti critiche interferenze contrattuali e giuridiche sulla complessa vicenda, alla luce di come sono state lette ed analizzate dalla Procura di Torino e di come oggi si possono attualizzare.

13 Queste interazione possibile e distinzione-autonomia dei ruoli vennero sottolineate da Sergio Favretto nel saggio Il diritto a braccetto con l’arte. Beni culturali, paesaggio, opere d’arte pubblicato da Falsopiano nel 2007. 14 La circolare del CSM venne emanata il 13 luglio 2018, con protocollo n. P12411/2018, definita “Linee-guida per l’organizzazione degli uffici giudiziari ai fini di una corretta comunicazione istituzionale”.


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Il contratto di acquisto Dall’esame del contratto di compravendita del papiro e degli allegati, dalle dichiarazioni rese in indagine, emerge come vi sia stata una fase precontrattuale e di negoziazione di rilievo, ma con anomalie evidenti. Fu, dicono le varie persone informate sui fatti, il Ministro Giuliano Urbani a dare l’input e a suggerire alla Compagnia San Paolo di Torino l’acquisto del papiro, allo scopo di consolidare il rapporto con la costituenda Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino, alla quale poi il papiro sarebbe stato dato in comodato gratuito 15. Nel 2004 Giuliano Urbani era Ministro dei beni culturali e delle attività culturali; sostenne e battezzò l’avvio del nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio, così venne definito il D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, entrato in vigore dal 1° maggio 2004. La nuova normativa dava possibilità a soggetti privati e pubblici di costituire fondazioni per la valorizzazione dei beni culturali, cogliendo anche opportunità di finanziamento e di agevolazioni fiscali. In questo contesto di attenzione pubblica verso l’arte e i beni culturali, a Torino gli enti locali e le fondazioni bancarie decisero di fare sinergia e crearono la Fondazione Museo delle antichità egizie che avrebbe dovuto gestire e valorizzare il Museo Egizio. Accanto alla Regione, alla Provincia di Torino, al Comune di Torino, intervennero la Fondazione della Cassa di Risparmio di Torino e la Compagnia San Paolo di Torino. Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali conferì alla fondazione il 6 ottobre 2004 per trent’anni la gestione dei beni del Museo Egizio. Primo presidente della Fondazione è stato Alain Elkann. L’attuale presidente della fondazione è Evelina Christillin, indicata dal ministero, in carica dal 2012. Secondo la ricostruzione compiuta dalla Procura, la fase di negoziazione e propedeutica alla stipula del contratto venne tessuta: dal dott. Dario Disegni, allora Segretario Generale della Fondazione per l’arte e la cultura; dal dott. Piero Gastaldo, allora segretario generale della Compagnia San Paolo; dal prof. Claudio Gallazzi che, su incarico di Dario Disegni, ebbe il compito di guidare l’istruttoria propedeutica alla valutazione del papiro, nell’ottica di un eventuale acquisto (a questa istruttoria tecnico-scientifica parteciparono la dott. B. Kramer e il prof. S. Settis); dallo studio legale associato Di Chio-Disegni-Rostagno di Torino per le valutazioni tecnico-giuridiche. Dall’escussione dei testi e delle persone informate sui fatti, come recita la relazione di indagine, emerge che l’indicazione e il suggerimento di acquistare il papiro giunsero alla Compagnia San Paolo dal Ministro Urbani, dopo aver raccolto la segnalazione da parte del prof. S. Settis, docente alla Normale di Pisa e già pre15 Testimonianza

di Elisabetta Ballaria, funzionaria oggi della Fondazione 1563 ed allora della Fondazione per l’arte e la cultura della Compagnia San Paolo di Torino.


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sidente del Consiglio Superiore del Beni Culturali. Allo sviluppo delle trattative per stipulare il contratto di compravendita vennero preposti Dario Disegni con la consulenza del prof. S. Settis e dello studio legale associato Di Chio-DisegniRostagno di Torino; i contatti si ebbero con il venditore indagato Simonian, attraverso anche il prof. Gallazzi che curò in parte la contrattazione dal punto scientifico. Una prima evidenza: il prof. S. Settis, da sempre adesivo alle tesi di C. Gallazzi e della B. Kramer quali scopritori e primi editori del reperto qualificato come papiro di Artemidoro, partecipò prima come direttore del Centro Getty di Los Angeles ad una negoziazione con Simonian per l’acquisto del papiro e poi ad una seconda negoziazione per conto della Compagnia San Paolo di Torino, sempre sostenendo la genuinità dell’attribuzione del reperto. Una seconda evidenza: il dott. Filippo Maria Gambari, funzionario della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte, precisò in atti come venne rilasciata “la dichiarazione di interesse e non di particolare interesse” in ragione dei dubbi già emersi sull’autenticità; si era osservato, infatti, che lo stato del papiro non era compatibile con un utilizzo di riempimento e appallottamento nel Konvolut come sostenuto dagli studiosi, poiché non si ravvisavano macchie, piegature o patine. Il Gambari rilasciò la dichiarazione senza aver potuto visionare il papiro, perché in restauro a Milano, ma sulla base della relazione del prof. Gallazzi datata 22.3.2004 e redatta dal Gallazzi in vista dell’acquisto da parte della Compagnia San Paolo di Torino. Nella relazione, costituita da una pagina solo, il Gallazzi ne attestava la straordinaria importanza scientifica e valutava congrua la stima di acquisto della somma di 2.750.000 euro. Sempre il Gambari sostenne che il commissionamento dell’acquisto del papiro da parte del Ministro Urbani alla Fondazione avvenne senza che fosse stata coinvolta la Soprintendenza, struttura che negli anni 2003-2004 gestiva ancora il Museo Egizio. Una terza evidenza: il prof. Gallazzi ha sempre sostenuto l’autenticità del papiro, anche dopo le esplicite contestazioni del prof. L. Canfora 16; ha escluso di aver suggerito al Ministro Urbani di acquistare il papiro, ma di averne parlato più volte con il prof. S. Settis che a sua volta rappresentò l’opportunità al Ministro; furono lui e la prof. B. Kramer ad attribuire il testo e contenuto del papiro ad Artemidoro; fu lui a tessere con Simonian alcuni contatti, incontri e corrispondenze per coltivare la contrattazione dell’acquisto prima con Settis per il Center Getty di Los Angeles e poi con Gastaldo per la Compagnia San Paolo; vi furono incontri vari con la presenza di Simonian, Gastaldo, Gallazzi, Urbani, Settis, tutti dedicati allo 16 Luciano

Canfora, professore emerito dell’Università di Bari, già ordinario di filologia greca e latina, specializzatosi alla Scuola Normale di Pisa; è stato membro del Comitato scientifico della Society of Classical Tradition di Boston, componente della Fondazione Istituto Gramsci di Roma. Autore di numerose pubblicazioni a rilievo internazionale, saggista e direttore di riviste di storia, opinionista di giornali e media italiani.


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sviluppo della vicenda di acquisto; il Gallazzi incontrò anche il consiglio di amministrazione della Compagnia San Paolo al quale rappresentò l’opportunità dell’acquisto; il Gallazzi afferma che il papiro venne portato in Italia dal Simonian e a lui consegnato presso l’Università di Milano, che venne redatto un verbale di consegna nel quale venne anche valutata la congruità del reperto e la sua integrità (di questo verbale tuttavia non vi è traccia o copia); Gallazzi ha affermato come seppe che l’apertura del Konvolut venne fatta a Stoccarda, come i papiri documentari trovati insieme all’apertura del Konvolut non vennero acquistati dalla Compagnia San Paolo, ma sono stati donati e messi a sua disposizione presso l’Università di Milano; il Gallazzi ha ritenuto che il Museo Egizio non ospitò il papiro in ragione di precedenti contrasti fra la direttrice dott. Vassilika e il Simonian. Una quarta evidenza: dopo la fase preparatoria tecnico-scientifica e i primi contatti avuti fra Simonian, Gallazzi e Settis, la fase conclusiva della negoziazione venne svolta direttamente dalla Fondazione, con la consulenza giuridica dello studio legale associato Di Chio-Rostagno-Disegni per la stesura del contratto e l’esame di tutta la documentazione inviata dal Simonian. Una quinta evidenza: la definizione e quantificazione del valore di 2.750.000 euro del papiro è frutto, recita il contratto, della valutazione operata dal prof. Gallazzi con propria expertise del 22 marzo 2004, omogenea a quella formulata il 12 marzo 2004 dalla prof. Kramer. Una sesta evidenza: la direttrice del Museo Egizio dott. Vassilika, poi direttore del National Trust per la salvaguardia dei beni culturali inglesi, ha esposto come, per esperienza diretta, ebbe sempre sospetto della correttezza del mercante e collezionista Simonian, noto per agevolare l’entrata di reperti in Germania tramite Duty Free svizzeri, per aver manomesso alcuni reperti. Lo conobbe dagli anni 2000, quand’era direttrice del museo di Hilddesheim in Germania e dovette affrontare il problema di reperti falsi in modo dozzinale, rovinati e troppo costosi. Ci si chiede come sia stato possibile che nella fase della contrattazione non sia stata interpellata la Vassilika, già direttrice di musei in Germania e in rapporto con Simonian in passato? La Vassilika ha pure fatto cenno a vicende poco chiare in merito al ruolo dei due fratelli del Simonian. Una settima evidenza: non è stata considerata dirimente, prima dell’acquisto, l’acquisizione di una adeguata e congruente certificazione delle origini e della provenienza del papiro. La sola fotografia del Konvolut, rivelatosi poi un falso montaggio, non è sufficiente a certificare la provenienza. Come non è sufficiente la dichiarazione di un parente. Una ottava evidenza: per giungere alla definizione dell’autenticità e valore del reperto, le parti contraenti si limitarono ad acquisire la relazione-perizia del Simonian, con allegata una comunicazione con cui si delineava al Gallazzi la sequenza di passaggi del papiro, ma nessuna due diligence, ovvero certificazioni di provenienza e attestazione compiute.


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In questa comunicazione, il Simonian narra un percorso accidentato e non documentato-verificato fra l’Egitto, Amburgo, Stoccarda. Non venne ritenuto necessario chiedere il contributo scientifico di un perito terzo, estraneo alla parte venditrice. Ci si fidò delle tesi dei venditori e di una certa comunità scientifica promotrice e sollecitatrice dell’acquisto monoorientata. Una nona evidenza: la quantificazione del valore di acquisto del papiro è stato determinato fra le parti, sulla base delle considerazioni dei proff. S. Settis e C. Gallazzi, senza accogliere un’opportuna analisi comparativa dei precedenti ed una valutazione puntuale, necessaria questa proprio perché non vi era congruità nel percorso di trasferimento ed esportazione del bene. Non solo, i soggetti attivi nella contrattazione non avrebbero dovuto ignorare o sottacere la valenza pubblica dell’operazione, a grande risalto culturale pubblico e internazionale. Una decima evidenza: il papiro, come sostenuto dal Simonian, venne esportato dall’Egitto nell’aprile 1971 proveniente dal Museo di Kashaba, per opera di Eagoub Chan Simonian (fratello dell’indagato) verso un certo dott. Georges Stephan in Germania. Il trasferimento avvenne ai sensi di una licenza ministeriale all’esportazione e di vendita degli antichi beni in liquidazione del Museo di Kashaba, licenza relativa non allo specifico papiro di Artemidoro, ma ad un papier maché poi denominato Konvolut. Il papiro venne poi trasferito in Italia dallo stesso Simonian per giungere al laboratorio di papirologia dell’Università di Milano diretto dal prof. Gallazzi. La tesi di Simonian è formalizzata nel testo del contratto, come premessa assertiva e documentata solo da una lettera inviata via mail al prof. Gallazzi. Nessuna attestazione ufficiale del Museo egiziano, ma solo dichiarazione in carta libera da parte del fratello dell’indagato. Una undicesima evidenza: il trasferimento e l’esportazione del papiro dall’Egitto in Germania e poi dalla Germania all’Italia devono necessariamente essere contestualizzati nell’ambito della normativa cogente della “Convenzione Unesco concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali”. La Convenzione venne firmata a Parigi il 14 novembre 1970 ed entrò in vigore in Italia, dopo la ratifica del 2 ottobre 1978, in data 2 gennaio 1979. In Egitto la Convenzione entrò in vigore in data 5 luglio 1973, dopo la ratifica del 5 aprile 1973. Non solo, entra pure in gioco “Il Codice etico professionale dell’ICOM (International Council of Museums)” adottato all’unanimità dall’Assemblea Generale ICOM a Buenos Aires nel 1986, poi aggiornato revisionato nel 2001 e 2004. Una dodicesima evidenza: l’indagine di Torino ha acquisito agli atti le più significative pubblicazioni, interventi e commenti del prof. Luciano Canfora a congressi internazionali. La voce di Canfora e le sue tesi note e pubbliche da un decennio sono acquisite come dato storico e motivante. La relazione della Procura espone: “... Canfora sostiene motivatamente che il papiro di Artemidoro costitui-


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sca un falso ottocentesco, mostrando anche la perfetta sovrapponibilità di alcuni disegni di Costantino Simonidis ... con i disegni del papiro. Il prof. Canfora ha conseguentemente sostenuto che sia ormai accertata l’origine ottocentesca del cosiddetto papiro di Artemidoro ...”. La Procura richiama pure il fatto come, nell’esposizione al Museo delle Antichità di Torino (esposizione decisa non al Museo Egizio, ma al Museo delle Antichità dopo sei anni di giacenza anonima in deposito alla Venaria Reale), il reperto venga accompagnato dalla didascalia illustrativa con la dicitura “potrebbe essere un falso” ed una immagine del falsario Costantino Simonidis.

Le dinamiche, i dubbi e le criticità dopo l’acquisto Avvenuta la stipula del contratto in data 26 luglio 2004, si originò subito un iter di fatti e di interpretazioni scientifiche ed accademiche di segno contrastato. Si sono susseguiti convegni e pubblicazioni, si è alimentato un esercizio fra rigore ed esigenze promozionali, fra reticenze e superficialità. In molti casi, i due livelli che avrebbero dovuto operare in autonomia (quello degli studiosi e quello dei media) si sono incrociati e condizionati, con alterne suggestioni e adesioni fideistiche. Ad una certa data parve tutto chiarito per l’indiscussa autenticità e dopo poco, invece, sorsero più forti e convincenti dubbi. Seguendo ciò che è emerso dall’indagine della Procura di Torino e dai recenti contributi più autorevoli della scienza impegnata sul tema, oggi si può redarre una versione puntuale e testimoniata della storia del P. Artemid post contratto di acquisto. Qui la novità: fino al dicembre 2018, il contrasto fra gli esperti sull’autenticità del reperto fu solo accademico e pubblicistico; ora, il contrasto ha ricevuto la conferma da testimonianze rese e da documenti prodotti ai magistrati inquirenti e ai funzionari di polizia giudiziaria. Dopo l’acquisto a luglio 2004, il papiro venne consegnato dal Simonian al Gallazzi presso l’Università e il Laboratorio di Papirologia di Milano. Venne esposto a Palazzo Bricherasio a Torino dall’8 febbraio al 3 maggio 2006 nella mostra titolata “Le tre vite del papiro di Artemidoro”, curata da Settis e Gallazzi. In questa occasione, nel catalogo e nei vari comunicati stampa, si fece cenno al dibattito sulla sua autenticità in corso nella comunità scientifica di allora. Dopo la mostra, venne trasferito presso il caveau della Banca San Paolo di Torino. Nel marzo 2008, venne trasferito a Berlino nella mostra “Agyptisches Museum and papyrussammmlung”. Dopo la mostra di Berlino e poi ancora di Monaco, il papiro venne depositato presso il Centro di Restauro di Venaria Reale.


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Dall’ottobre 2014 il papiro è esposto presso il Museo delle Antichità di Torino in via XX settembre n. 86, in una sezione dedicata facente parte dell’orangeries di Palazzo Reale. Nelle didascalie che accompagnano la visita al papiro, sono espresse le perplessità di una parte della comunità scientifica sull’autenticità del medesimo, comunità che ipotizza che trattasi un falso ottocentesco di Costantino Simonidis. I dubbi e la conseguente serrata dialettica, iniziarono con le analisi e considerazioni esposte dal prof. L. Canfora nel 2006, una chiara diagnosi di falsità a valere soprattutto su molteplici ragioni filologiche e testuali. Nel 2006 e 2007 si sono susseguiti relazioni e contributi adesivi alle tesi di Canfora, redatti sotto differenti approcci di indagine ed esplorazione. Come bene ricorda il prof. F. Condello, nel saggio Artemidoro 2006-2011: l’ultima vita, in breve, i primi rilievi filologici evidenziarono la lingua raccogliticcia, la sintassi traballante, la diffusa ricorrenza di espressioni attestate altrove solo nel greco patristico e bizantino ... confermarono la sua diffusa e sostanziale inverosimiglianza sul piano linguistico e concettuale. La Fondazione per l’Arte della Compagnia San Paolo, a fronte delle incognite rappresentate dalla comunità scientifica, commissionò un approfondito studio per ampliare la conoscenza del papiro. Lo studio venne pubblicato con l’opera Il papiro di Artemidoro (P. Artemid.), curato da C. GALLAZZI, B. KRAMER, S. SETTIS, con la collaborazione di G. Adornato, A.C. Cassio, A. Soldati, edito a Milano da LED edizioni, 2008. Nell’ampio studio, di ben 630 pagine e annesso dvd, vengono motivate tutte le argomentazioni a sostegno dell’autenticità del reperto, anche se in coda, a p. 616 dell’opera, si fa menzione di “molti problemi aperti che dovranno essere affrontati dagli studi”. Nel 2006, leggendo la brossure della mostra effettuata a Palazzo Bricherasio e osservando che il Museo Egizio collaborò all’organizzazione, il Direttore Generale delle Antichità Egizie del Ministero Egiziano e Segretario Generale del Consiglio Supremo delle Antichità della Repubblica d’Egitto prof. Zahi Hawass scrisse alla Direttrice Vassilika per dissuaderla ad accogliere il papiro, perché il reperto poteva essere stato esportato in violazione di normativa e asserendo “la provenienza di questo papiro è discutibile ... dovrebbe essere restituito all’Egitto e non esposto nel vostro Museo ...”. La Vassilika testimoniò come allora rispose che non avrebbe esposto il papiro nel Museo e che questa scelta fu oggetto di confronto e controversia fra lei e il consiglio di amministrazione della Fondazione e della Compagnia San Paolo, con discussione sul mantenimento dell’incarico. Dal 2006 e con frequenza ripetuta per più anni, il prof. Canfora e vari colleghi italiani ed europei, espressione del mondo scientifico ed accademico nell’archeologia, nella papirologia e nella filologia dei testi greci, hanno elaborato studi e svolto convegni sostenendo come il papiro di Artemidoro sia un falso ottocentesco attribuibile al noto falsario Costantino Simonidis.


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Nel 2016, la Direzione dei Musei Reali di Torino, non essendo emersi dati dirimenti circa l’autenticità e l’effettivo valore commerciale del papiro, chiese alla Compagnia San Paolo di assumere l’onere assicurativo, in attesa di eventualmente valutare opportunità, tempi e modi di restituzione del bene. Nel 2017 venne stipulata una polizza assicurativa per un valore di 11.791.763, per un valore dichiarato dell’opera di euro 2.750.000 euro. Per dimostrare l’autenticità del P. Artemid, nella mostra a Berlino del 2008 e in altri luoghi pubblici, a margine di convegni, venne reso pubblico dal prof. S. Settis un fotomontaggio relativo all’insieme dei frammenti di papiro facenti parte del Konvolut, insieme di cui avrebbe dovuto fare parte il P. Artemid. Il citato fotogramma venne esaminato e dichiarato falso, nel 2009, dal Gabinetto Interregionale di Polizia Scientifica Marche-Abruzzo, diretto dal dott. Silio Bozzi; le risultanze vennero più volte pubblicate da riviste specializzate e sono considerate oggi incontroverse, salvo obiezioni formulate dal filologo Jurgen Hammerstaedt e da esperti di fotografia come Paolo Morello e Hans Baumann. Le loro tesi ebbero ripetute confutazioni. Sempre nel biennio 2008-2009, in modo soft e non eclatante, Settis diffuse altri tre scatti rappresentanti il P. Artemid nelle fasi di smontaggio, nelle fasi ante ricomposizione e durante la ricomposizione. Non vengono circostanziate la provenienza e la datazione di questi scatti, forse trasmessi a Settis da S. Simonian, forse effettuati durante il restauro a Stoccarda. Il dott. Filippo Maria Gambari, oggi Soprintendente ai Beni Archeologici della Lombardia, ebbe modo in convegni pubblici di osservare come il fotomontaggio venne falsamente allestito per beneficiare il Simonian, come il papiro di Artemidoro non poteva appartenere all’insieme di papiri denominati Konvolut, come non poté essere legittimamente importato in Germania. Nella comunità scientifica si affermò chiaro il disegno di chi attuò il falso montaggio per affermare l’autenticità del reperto descritto e fotografato. Questa doppia falsità è un dato esiziale per riconoscere la genuinità del reperto. Come bene ha richiamato ed esposto il prof. Condello nel saggio “Artemidoro 2006-2011: l’ultima vita, in breve” edito nel 2011, solo nel marzo 2008 a Berlino gli editori principi del P. Artemid parlarono di Konvolut (ammasso) e resero pubblica una fotografia di tale oggetto contenitore in parte già smontato e scomposto. In antecedenza, per molti anni, caratterizzati da radicali controversie interpretative sulla genuinità del reperto e sulla sua origine e provenienza, si era passati dal considerare quale origine del P. Artemid prima un insieme generico di papiri denominato Konglomerat e poi a considerare una maschera in cartonnage. Il papiro sarebbe appartenuto al collezionista del tardo Ottocento Khashaba Pasha. Da qui poi ai vari passaggi, ipotizzati, verso l’Italia. Il prof. F. Condello, a p. 224 del saggio Artemidoro 2006-2011: l’ultima vita, in breve asserisce: “... la fotografia si rivela inequivocabilmente frutto di un fotomontaggio: in essa mancano tutti gli effetti di deformazione prospettica che è ob-


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bligato attendersi da uno scatto di tal genere. In altri termini, le aree della fotografia che corrispondono a sezioni riconoscibili (testo e immagini) del papiro successivamente svolto risultano perfettamente sovrapponibili a tali sezioni: il che è del tutto impossibile. Se ne ricava, dunque, che ampie porzioni della fotografia sono state tratte meccanicamente da dettagli di immagini del papiro già restaurato e disteso. La fotografia del Konvolut è dunque un falso”. In tale senso anche le tesi di studiosi come L. Bossina, L. Canfora, S. Ronchey. Altri studi effettuati sulla grana della fotografia e un esame autoptico della stampa fotografica (è stampata su carta Fujicolor prodotta solo dagli anni 1988 al 1994) fanno risalire la data di effettuazione della fotografia al dopo restauro del papiro. Nel 2011 il G. Bottiroli evidenziò come la scrittura nella foto del Konvolut appaia del tutto indifferente alle difformità del supporto che dovrebbe contenerla, come “il tratto inchiostrato delle scritture presenta in molte parti una densità che non appare propriamente compatibile con l’elevato potere coprente che si deve attribuire all’inchiostro a base di nerofumo con cui si ritiene sia stato vergato il papiro”. Non va sottaciuto come Simonian sostenne di aver fatto solo uno scatto all’interno di una sequenza con altre foto di carattere privato, ma di queste foto non si ha traccia. Grazie alla serrata analisi filologica del contenuto del P. Artemid, comparata con le risultanze ed interpretazioni sulle immagini fotografiche diffuse da Settis e Gallazzi, il prof. Condello sintetizza; “... è un oggetto misterioso, ancora in attesa di spiegazioni convincenti, nelle sue singole sezioni (testi, mappa, disegni) e nel suo insieme ... il testo proemiale non è di Artemidoro e la sua natura resta incomprensibile; lo stesso Artedimoro della c. IV (con le colonne seguenti) sarebbe Artedimoro per modo di dire: estratto, manipolato, sfigurato o copiato male, nelle migliori delle ipotesi; la mappa non si intende in nessun modo, e i disegni separatamente disseminati sul recto e sul verso si giudicano e si classificano come a ciascuno piace; in generale, che cosa il papiro sia, chi l’abbia voluto o ridotto così, per quali ragioni e in quante fasi, nessuno osa dire. Come se non bastasse, le fotografie a corredo e a sostegno del papiro – non solo quella del famigerato Konvolut – continuano a risultare sospette o manifestamente inverosimili ...” 17. Non sono mancati studiosi che hanno individuato singolari somiglianze, in particolar modo con riferimenti ai disegni di mani e piedi, ai tratti e disegni desunti dall’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert. L’indagine della Procura di Torino ha fornito elementi documentali e testimonianze anche circa le fasi di esportazione del papiro dall’Egitto alla Germania e poi dalla Germania all’Italia. La non documentata provenienza certa del papiro (non vi è attestazione da parte di un Museo o Ministero circa la provenienza, ma solo autodichiarazioni assertive e non provate), la non sicura datazione del trasferimento e pure le mancate conferme o 17

Osservazioni avanzate da F. CONDELLO, P. Artemid e i soi avvocati, in Eikasmos, XXIX (2018), Quaderni Bolognesi di Filologia Classica, Bologna, dicembre 2018, p. 533.


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anomalie dei protagonisti dei passaggi (il fratello e un amico dell’indagato), i dubbi circa l’appartenenza del papiro al Konvolut di cui si fa cenno solo ad una certa data dello sviluppo della vicenda (nel 2008), l’incognita circa il laboratorio di Stoccarda, l’arrivo in Italia senza un percorso precedente certo di provenienza di transito, sono tutte circostanze da declinare con rigore alla luce della Convenzione Unesco di Parigi del 1970 e del Codice etico-professionale per i musei approvato in sede ICOM di Buenos Aires del 1986.

Le verifiche scientifiche compiute dall’ICPAL (Istituto Centrale per la patologia degli archivi e del libro) Il papiro è stato oggetto nel 2018 e 2019 di verifiche da parte del MIBACT, con il consenso attivo della Compagnia San Paolo di Torino, verifiche mirate ad accertare l’autenticità o falsità in tutti gli aspetti. Le analisi sono state affidate all’ICPAL (Istituto Centrale per la patologia degli archivi e del libro) di Roma. Gli accertamenti hanno mirato anche ad appurare la composizione chimica e la natura degli inchiostri utilizzati per realizzare sul tessuto vegetale le varie rappresentazioni di immagini e i vari scritti. Il papiro è approdato, altresì, all’ICPAL per i necessari trattamenti conservativi e di restauro, indispensabili e non rinviabili data la fragilità del supporto e le condizioni precarie di conservazione che lo avevano caratterizzato per decenni. Tutta l’attività svolta dall’ICPAL di Roma e dal MIBAC è stata narrata e documentata, fase per fase, con fotografie e schede analitiche, in una corposa pubblicazione curata da Maria Letizia Sebastiani e Patrizia Cavalieri, edita da Gangemi Editore International, con il titolo Il Papiro di Artemidoro. Studio, analisi, restauro, Roma 2020. La pubblicazione è stata poi illustrata con una conferenza stampa in diretta streaming su Facebook-ICPAL in occasione della Giornata della carta del 11 ottobre 2020. Alla conferenza hanno partecipato come relatori Maria Letizia Sebastiani, Luciano Canfora, Mario Capasso, Cecilia Hausmann 18. L’intervento ufficiale del Ministero, con i propri apparati tecnici, è certamente il frutto tangibile dell’impatto che l’indagine della Procura di Torino ha sortito: tentare di fornire una lettura univoca al P. Artemid, a superamento delle controversie fra studiosi. Nella relazione della Procura a chiusura dell’indagine e nel comunicatostampa diffuso dal dott. A. Spataro si fa cenno ad alcune evidenze preliminari che sembrano supportare la tesi del falso, più che quella dell’autenticità. La Procura 18 ICPAL

di Roma, Il papiro di Artemidoro. Studio, analisi, restauro, Gangemi Editore International, Roma, 2020.


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specifica che ci si “riferisce ad accertamenti svolti sulla composizione degli inchiostri usati per il P. Artemid che appare decisamente diversa da quella degli inchiostri usati nei papiri egiziani che coprono il periodo dal I al IV ec., sia ai frammenti scelti da ICRCPAL che sembrano far emergere l’ipotesi che il papiro sia stato posizionato su una rete metallica zincata e sottoposto ad azione di acidi, un trattamento che ha determinato il trasferimento dello zinco dalla rete metallica al papiro”. Ora, grazie alla pubblicazione edita dalla Gangemi Editore International che ha reso noto maggiori dettagli e risultati della ricerca compiuta dall’ICPAL di Roma, si può acquisire nuova precisa consapevolezza. Attingendo all’introduzione al volume, introduzione di Maria Letizia Sebastia19 ni Direttore dell’ICPAL, possiamo annotarci i passaggi e i risultati salienti del lavoro compiuto: a) il papiro di Artemidoro venne trasferito da Torino a Roma in una doppia teca di cristallo espositiva; la prima teca con due vetri multistrato, con due strati interni di pellicola plastica per impedire l’effetto frammentazione nell’ipotesi di rottura, ove venne collocato il papiro; la seconda teca con vetrina espositiva e ammortizzatori a pistoni a gas; b) il papiro presentava una forte disidratazione e danni meccanici causati dalla pressione dei vetri; c) venne riscontrato particolato atmosferico con funghi e batteri, presente all’interno della teca a causa dell’elettrostaticità dei due cristalli; d) evidenti impronte digitali degli operatori intervenuti nella fase di composizione delle teche di cristallo, possibili fattori causativi di danni biologici; e) il cedimento dei ponti di collegamento fra i diversi frammenti di papiro, con la collegata necessità di analizzare la carta e gli adesivi utilizzati nei precedenti restauri. Le operazioni di recupero del papiro hanno avuto i seguenti step: – il trasporto delicatissimo e prudente del papiro da Torino a Roma, con intervento di ditta specializzata nella movimentazione delle opere d’arte e con tutte le avvertenze imposte dalla fragilità del papiro; – collocazione ed apertura della teca in ambiente climatizzato con parametri microclimatici congrui presso l’ICPAL, primi riscontri oggettivi e fisici del manufatto e di ogni frammento, documentazione fotografica e filmica di ogni fase delle operazioni; – apertura della teca con l’eliminazione degli effetti del sottovuoto e della energia elettrostatica sui vari frammenti in stato molto precario; 19 Introduzione

di Maria Letizia Sebastiani, ICPAL Roma, Il papiro di Artemidoro. Studio, analisi, restauro, Gangemi Editore International, Roma, 2020, pp. IX-XI.


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– puntuale ricognizione dello stato di conservazione; – sviluppo delle indagini diagnostiche, realizzate dai laboratori scientifici dell’ICPAL in collaborazione con la Sezione di Diagnostica dei Beni Culturali dei Laboratori Nazionali di Fisica Nucleare di Catania; le indagini hanno teso a verificare la caratterizzazione dei materiali costitutivi del supporto del manufatto, della natura e composizione degli inchiostri utilizzati nel comporre scritti e figure; le verifiche hanno permesso di analizzare lo stato di degrado delle fibre e dei vari depositi presenti sulla superficie del supporto; – il restauro, complesso e ottimamente riuscito data la problematicità di partenza, ha fatto ricorso a metodologie e prodotti mirati, a molte prudenze esecutive; il supporto è stato recuperato alla sua struttura portante, con consolidamento delle parti più offese e degradate; il papiro è stato riportato ad una completa leggibilità nei disegni e nei vari testi, superando le deformazioni indotte dal degrado e piegatura del supporto; – a restauro compiuto, è stata progettata una nuova teca conservativa; – il papiro oggi presenta il tessuto del supporto ricomposto, le sue fibre possiedono maggior consistenza e idratazione, sono allineate correttamente. Sempre attingendo al saggio edito da Gangemi, si riscontrano l’alta professionalità degli operatori e la rigorosa metodologia innovativa nelle indagini biologiche. Maria Carla Sclocchi, Piero Colaizzi, Flavia Pinzari dedicano pagine e immagini molto significative sulle ricerche compiute: microscopia elettronica sul particolato biologico presente (spore, batteri, frammenti di ife fungine, pollini e varie deiezioni di possibili insetti), osservazione in camera SEM e con microanalisi EDS, in alto vuoto HV; alcuni reperti e frammenti sono stati utilizzati per estrarre il DNA genomico; in collaborazione con i laboratori del BOKU di Vienna è stato realizzato anche uno studio archeobiologico del particolato rilevato sul papiro con utilizzo delle più moderne tecnologie biomolecolari 20. I rilievi e le indagini sono stati svolti sui due versanti del manufatto, sul lato recto e sul lato verso, con tempi diversi e metodologie accurate. Sono state pubblicate numerose tavole fotografiche riproducenti molte parti dell’intero papiro. Sono state analizzate le fibre vegetali del papiro, ma pure micro-oggetti rilevati come frutto di pregressi interventi di conservazione e restauro; sono state rinvenuti particelle di origine minerale, cristalli di Calcio, particelle metalliche di Bario; particelle di Ferro, Rame e Zinco sono state rinvenute adese alle fibre. Ancora vi è stato riscontro di particelle di Titanio e Potassio; di abbondanza di Silicio nei fitoliti delle fibre di papiro; di un consistente tappeto di spore e frammenti di ife appartenenti a specie diverse in ragione forse della conservazione dal 2005 ad oggi. È emerso come la contaminazione biologica abbia originato un autentico svi20 Relazione

di M. Carla Sclocchi, Piero Colaizzi, Flavia Pinzari in ICPAL Roma, Il papiro di Artemidoro. Studio, analisi, restauro, Gangemi Editore International, Roma, 2020, pp. 71-77.


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luppo di microorganismi e non semplice contaminazione dell’aria; come vi sia stata una consistente germinazione del particolato biologico, con dominanza del Penicillium rubrum fungo associato ad ambienti di conservazione o a manufatti cartacei. La relazione di Guadalupe Pinar, Maria Carla Sclocchi, Katja Sterflinger 21 illustra le risultanze della ricerca compiuta con la tecnologia di sequenziamento Nanopore, da poco applicata e con successo nelle diagnosi dei contaminanti microbici nel settore dei beni culturali e opere d’arte. Si sono confrontate le risultanze emerse dalle indagini con microscopia SEM e si sono effettuate le verifiche con sequenziamento Nanopore. È stata confermata una colonizzazione fungina massiva, dovuta principalmente alla specie del genere Penicillium, oltre che all’Aspergillus, processo probabilmente dovuto al sistema di conservazione utilizzato. Le indagini molto circostanziate sul supporto in papiro vegetale sono state illustrate da Daniele Ruggiero, Lorena Botti, Francesca Pascalicchio, Francesca Agresta, Piero Colaizzi 22.Il compito degli studiosi era individuare gli elementi distintivi della specie vegetale costituente il supporto e la composizione fibrosa della carta utilizzata nel precedente restauro compiuto dal dott. Claudio Gallazzi del Centro Papirologico dell’Università di Milano. Gli accertamenti sono stati compiuti con utilizzo di macroscopio e microscopio ottico, con microscopio elettronico a scansione SEM. Le analisi compiute sul frammento di papiro e sulle sue fibre hanno evidenziato la presenza degli elementi morfologici caratteristici della pianta. Il supporto ha natura papiracea. I frammenti di carta rinvenuti ed esaminati, attribuiti al restauro del 2005, appaiono traslucidi e presentano incollati frammenti di papiro; presentano una pasta chimica di conifera; le fibre presentano una elevata sfibrillatura che manifesta un processo di raffinazione spinto. L’effetto traslucido del campione e l’impasto con raffinazione spinta comprova che si sia in presenza di una carta da lucido grassa. Ancora Daniele Ruggiero, analizzando il nastro adesivo presente sul papiro, dopo utilizzo di spettrofotometro infrarossi e metodologie sofisticate, ha concluso per la presenza di un adesivo acrilico, mentre il supporto del nastro trattasi di acetato di cellulosa, trasparente e invisibile, molto resistente, non teme l’umidità, ha lunga durata e non ingiallisce con il tempo. Il tema cruciale della scrittura e dei disegni sul papiro di Artemidoro è stato affrontato, con dovizia e scientificità di indagine, nella relazione titolata “Artemidoro: segreti e scritture” di Marina Bicchieri, Paola Biocca, Claudia Cali21 Relazione di Guadalupe Pinar, Maria Carla Sclocchi, Katja Sterflinger in ICPAL Roma, Il papiro di Artemidoro. Studio, analisi, restauro, Gangemi Editore International, Roma, 2020, pp. 79-85. 22 Relazione di Daniele Ruggiero, Lorena Botti, Francesca Pascalicchio, Francesca Agresta, Piero Colaizzi in ICPAL Roma, Il papiro di Artemidoro. Studio, analisi, restauro, Gangemi Editore International, Roma, 2020, pp. 87-93.


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ri, Barbara Capone, Pietro Corsi, Carlo Meneghini, Francesco Paolo Romano 23. Il contributo illustra meticolosamente le tecniche e i canoni utilizzati nella ricerca e nella lettura del papiro, gli accorgimenti di intervento e le peculiarità dei singoli frammenti, nella duplice stesura a recto e a verso. Lo studio si è prefissato di andare oltre alle prime risultanze del 2004 che avrebbero accertato solo che gli inchiostri presenti nel papiro fossero a base di nerofumo, senza analizzare gli spettri raccolti e le variazioni fra zone di inchiostro e ombreggiature. L’ICPAL si è imposto una indagine molto più dettagliata e rigorosa, con esame di un campione significativo di inchiostri, della loro formulazione e del loro effetto grafico nell’impiego sul supporto, proprio per giungere alla definizione del mistero delle possibili tre vite del papiro di Artemidoro, con scritture apposte in epoche successive. I ricercatori hanno acquisito un numero significativo di spettri Raman sugli inchiostri in differenti spazi e regioni del papiro, hanno misurato la presenza di carbonio nei vari inchiostri e raffrontato le risultanze con una vasta gamma di inchiostri possibili di provenienza. Gli esami hanno permesso di confinare l’attenzione agli spettri a base di nerofumo, con eliminazione degli inchiostri di origine granitica e bituminosa. I metodi e gli strumenti utilizzati sono stati: spettroscopie FTIR e Raman, analisi a componenti principali degli spettri Raman (PCA), tecnica MA-XRF (MacroXRF). Dalle molte pagine di relazione, dai grafici e tavole di raffronto, emerge come il papiro non sia affatto stato scritto con un unico inchiostro; come all’esame dei vari inchiostri rinvenuti, sono possibili ben sette famiglie di inchiostri con origine e composizione varia. Si hanno tre famiglie attribuibili a materiali naturali come legni, grassi, composti organici, carboni bituminosi sottoposti a combustione o a forte riscaldamento; altre quattro famiglie contengono siti sp di diamante esagonale. In natura, il diamante esagonale si trova solo nel minerale Londsdaleite in alcuni sedimenti terrestri, risultato di meteoriti, ma pure potrebbe rinvenirsi nei moderni metodi di fabbricazione del Carbon black. Mentre i pigmenti da nerofumo di origine cinese erano impuri e si differenziavano molto nella loro composizione dai Carbon black, solo nel 1740 negli Stati Uniti si iniziò la produzione di nuovi nerofumo che si chiamarono Lampblack. Il termine Carbon black ebbe origine solo nel 1870, per indicare un pigmento originato con grandi forni, con combustione di olio o gas. I ricercatori sottolineano la particolare rilevanza della mappa dello zinco sui tre frammenti esaminati. Lo zinco è distribuito e crea una griglia a losanghe ripe23 Relazione di Marina Bichieri, Paola Biocca, Claudia Caliri, Barbara Capone, Pietro Corsi, Carlo Meneghini, Francesco Paolo Romano in ICPAL Roma, Il papiro di Artemidoro. Studio, analisi, restauro, Gangemi Editore International, Roma, 2020, pp. 99-117.


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tute e regolari; molto probabilmente il papiro è stato posizionato su una rete zincata e sottoposto ad azione di acidi; lo zinco metallico si è ossidato e trasferito sul papiro. Gli inchiostri sono stati dunque caratterizzati, tutti sono a base di carbonio, ma creati da materie prime differenti e distribuiti in vario modo e casuale sul papiro. Secondo i ricercatori, queste evidenze permettono di “confutare l’ipotesi della scrittura/disegno del papiro in tre vite separate, cronologicamente distinguibili e attribuibili a specifiche aree del papiro”. Nella rosa di possibili inchiostri, sono stati inseriti anche due pigmenti di sintesi moderna: Carbon black (1870 circa) e Lampblach (1740 circa). È data pure la possibilità che più pigmenti siano presenti mescolati nei vari inchiostri. Per i ricercatori, l’assenza di impurezze negli inchiostri non pare verosimile e plausibile in utilizzi artigianali per operazioni di grafica e disegno. La relazione titolata “Lo strano caso del papiro di Artemidoro” di Cecilia Hausmann 24 offre una sintesi metodologica e un approdo possibile alla complessa vicenda. La Hausmann richiama, in esordio, una serie di nozioni aggiornate e puntuali sulle caratteristiche della pianta del papiro, sulla sua diffusione ed utilizzo nella storia dei popoli dell’Asia, dell’Africa e nel Mediterraneo; sulla sua progressiva estinzione di vita naturale, sul ruolo importantissimo quale supporto scrittorio fino al secolo XI, sulla tecnica cartonnage o konvolut in ambito funerario. Sul caso papiro di Artemidoro, la ricercatrice ricostruisce l’iter della vita del papiro dall’arrivo in Italia del manufatto, le sue esposizioni a Torino, Berlino e Monaco, il suo restauro a Milano, il trasferimento all’ICPAL, i rilievi fotografici e grafici, la compilazione della scheda conservativa effettuata da Chiara Argentino, lo smontaggio e le varie indagini diagnostiche compiute, la collaborazione vincente fra papirologi e restauratori, le operazione di conservazione e di restauro (curato da Chiara Argentino e Lucilla Nuccetelli), le prove di solubilità degli inchiostri (tutti gli inchiostri esaminati sono risultati insolubili sia all’acqua deionizzata e sia in alcool etilico), il riposizionamento e consolidamento, il progetto di nuovo montaggio conservativo ed espositivo. La Hausmann evidenzia come nella fase di restauro siano emerse alcune particolarità di significato utile: “– sono presenti moltissime fibre incoerenti con il papiro; – non solo la giustapposizione dei grandi frammenti sembra decisa aprioristicamente, ma la stessa cosa accade anche per sezioni di dimensioni minori; – sono stati osservati casi in cui sembra che il ductus della linea di alcuni disegni non sia interrotto dalle lacerazioni; 24 Relazione

di Cecilia Hausmann in ICPAL Roma, Il papiro di Artemidoro. Studio, analisi, restauro, Gangemi Editore International, Roma, 2020, pp. 119-147.


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– in un caso è possibile notare come, sul recto, ci sia presenza di inchiostro su una sezione che presenta solo il subtenem, lo strato appartiene al lato del verso”. Per la Hausmann si è raggiunto il duplice obiettivo del miglioramento del supporto scrittorio papiraceo e della lettura agevole dei media grafica presenti sul papiro; la ricercatrice ringrazia per la collaborazione storica e antichistica il prof. Luciano Canfora e quella papirologica del prof. Mario Capasso. Il saggio editato da Gangemi raccoglie le varie relazioni e interventi, tutti descrittivi delle ricerche, compiute dall’ICPAL di Roma, sul manufatto di supporto scrittorio papiraceo denominato oggi papiro di Artemidoro. Nelle relazioni non si sviluppano ragionamenti o ipotesi filologiche, antichistiche e storiche di contesto; né vengono sviluppate ricostruzioni fattuali, temporali e giuridiche di come il papiro osservato sia giunto in Italia. Le relazioni ci offrono punti fermi oggettivi, materiali e fisici, prima non noti e documentati. Ad oggi, gli accertamenti compiuti dall’ICPAL di Roma ci offrono la lettura scientifica più completa del papiro denominato di Artemidoro.

Anomalie, conferme e interrogativi aperti A conclusione delle indagini, nella richiesta al GIP di archiviazione per intervenuta prescrizione del reato, la Procura di Torino non ha mancato di sintetizzare in ben 33 pagine l’attività svolta e le risultanze emerse. A chiosa, la Procura osserva ed evidenzia: “... in questo contesto, la certezza del falso è abbondantemente provata, quanto meno sulla base di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti ... è dunque inutile disporre una consulenza, tanto più che i costi di questa non potrebbero essere giustificati, considerata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Del resto, come sta avvenendo, compete al Ministero provvedervi per complementari finalità storicoscientifiche differenti da quella dell’accertamento del reato ... ferma restando l’opacità assoluta dell’intera vicenda/trappola in cui la Fondazione stessa è incorsa e che sarebbe stata verosimilmente evitabile attraverso accertamenti, studi e consulenze affidabili da effettuarsi prima dell’acquisto del papiro Artemidoro o attraverso la richiesta al venditore qui indagato di attestazioni inconfutabili sull’autenticità e/o regolare provenienza del reperto ...”.

L’assunto della Procura è chiaro, anche se non siamo di fronte ad un pronunciamento a seguito di dibattimento, ma a risultanze di indagine ritenute sufficientemente provate o indiziate. Ora, queste risultanze si accompagnano alle altrettanto chiare risultanze e tesi che a livello scientifico ed accademico propendono per l’inautenticità del papiro e per la misteriosa e non provata provenienza del medesimo.


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Certamente la querelle fra i sostenitori dell’autenticità e i sostenitori della falsificazione del papiro e della sua incerta e nebulosa provenienza ed esportazione non si spegnerà presto, stante l’impatto pubblico della vicenda e i correlati effetti nella stima ed immagine scientifica dei protagonisti in gioco. Da non sottacere pure il risvolto economico finanziario dell’operazione di acquisto e la ferita alla credibilità di istituzioni e del mercato dell’arte nel suo insieme. Il P. Artemid ha ormai coinvolto studiosi, papirologi, filologi non solo italiani, ma espressioni di altre scuole ed università europee e non solo. Per un aggiornamento ad oggi sul tema, non ci si deve limitare alle prese di posizioni note tramite i mass media, ma è bene attingere alla pubblicistica specialistica degli esperti. Merita attenzione, per profondità di analisi e per compiutezza-chiarezza espositiva, il saggio Artemidoro 2006-2011: l’ultima vita, in breve del prof. Federico Condello, pubblicato in “Quaderni di Storia”, 74, 2011; come pure, sempre di Condello, il saggio P. Artemid. e i suoi avvocati pubblicato in Eikasmos XXIX (2018) – Recensioni nel dicembre 2018. Già sono stati citati i ripetuti ed autorevoli contributi del prof. Luciano Canfora, come pure tutti gli studi di segno avverso sulla scia delle attribuzioni originali di Settis, Kramer e Gallazzi. L’incursione del diritto nel mondo dell’arte, dei beni culturali e del suo mercato, ha prodotto uno squarcio di verità e di attenzione massima: in quest’ambito si annidano sofisticate tecniche e procedure negoziali per nulla limpide e talvolta truffaldine. La Procura di Torino parla di vicenda-trappola di cui è stata vittima la Fondazione per l’Arte della Compagnia San Paolo di Torino, evidente parte lesa. L’indagine ha fatto emergere alcune assodate anomalie e incongruenze, qualche verità fattuale ed alcuni significativi interrogativi aperti. I tre vari elementi si intrecciano e costituiscono oggi un reticolo incompreso ed allarmante, per gli specialisti e per il comune cittadino che voglia apprezzare l’arte, i beni culturali e la loro storia. Abbiamo anomalie, parziali verità fattuali ed interrogativi aperti così declinabili: • Perché nei primi anni di esame e analisi del papiro e della sua attribuzione non emerse mai la versione di provenienza dal Konvolut, ma tale tesi si affermò solo nel 2008, nella fase post negoziazione e vendita del reperto alla Compagnia San Paolo? • Perché il prof. Settis, direttore del Getty Museeum di Los Angeles negli anni ’90, impegnato a trattare l’eventuale acquisto del papiro già allora, non rese subito pubbliche tutte le notizie e fotografie raccolte attorno all’origine e trasferimento del P. Artemid dall’Egitto all’Europa? • Perché ad oggi non risultano acquisite attestazioni di Musei che affermano e documentano la genesi e la provenienza dello specifico P. Artemid e non di un insieme di reperti generici e indistinti? • Perché ad oggi non si possiede alcuna puntuale verbalizzazione e antologia


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fotografica del primo svolgimento del Konvolut e dei successivi trattamenti di primo restauro a Stoccarda, con indicazioni dei tempi, dei soggetti e delle metodiche? • Perché solo in vista della negoziazione con la Compagnia San Paolo di Torino si rese noto un iter, impreciso e lacunoso, di provenienza del reperto dall’Egitto verso la Germania e poi dalla Germania all’Italia, sulla base di una dichiarazione del fratello di Simonian e del prof. Gallazzi, consulente del venditore? • Perché, prima dell’acquisto del papiro non vennero esplorate l’entourage e le esperienze precedenti del venditore Simonian per verificare la credibilità professionale in vista di una operazione ad evidente e forte impatto pubblico? • Perché non vennero sviluppate le incognite segnalate dalla direttrice del Museo Egizio dott. Vassilika attorno al nome di Simonian e non venne coltivato il rapporto con Zahi Hawass, alto dirigente del Ministero egiziano preposto alle antichità egizie? • Perché, pur in presenza di dubbi sull’autenticità emersi dalla comunità scientifica e le cautele assunte anche nelle varie didascalie e brossure accompagnatorie nelle mostre, non si effettuò con immediatezza un’analisi profonda e radicale sul tessuto vegetale di supporto e sugli inchiostri utilizzati nella redazione del papiro, anche nel versus del medesimo, ma ci si limitò solo ad alcune analisi parziali e non chimiche che diedero già riscontri dubbi? • Perché non venne correttamente interpretata, operazione oggettiva e semplice, la lettera del Delegato del Governo Federale tedesco dott. Rosa SchmittNeubauer del 2 marzo 2004 che espresse: “... non essere necessaria alcuna autorizzazione all’esportazione del papiro da parte del Governo ... che il documento non appartiene ai beni artistici di valore per la storia tedesca da registrare nell’elenco completo dei beni artistici nazionali di valore ...”? • Perché non venne colto anzi, si travisò forse intenzionalmente il senso della dichiarazione che verteva il trasferimento del bene dalla Germania all’Italia, ma nulla si diceva ed affermava circa il precedente trasferimento del reperto dall’Egitto alla Germania? • Perché nella fase di contrattazione non venne effettuata una due diligence, approfondita dal punto di vista scientifico e filologico, ma ci si limitò a dichiarazioni accertative di parte e insufficienti, alla dichiarazione di autenticità resa dallo stesso prof. Gallazzi, consulente del venditore anche se insigne papirologo? • Perché non venne svolta adeguata riflessione, con ricerca di prove e documenti, circa le condotte assunte dai vari protagonisti alla luce della normativa della Convenzione Unesco 1970 e del Codice Etico per i Musei dell’ICOM del 1986, normativa che avrebbe dovuto ispirare la Fondazione e gli interlocutori, proprio in vista della destinazione al Museo Egizio di Torino e per la natura di Fondazione a partecipazione mixata pubblica e privata?


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• Perché non vi è ad oggi certezza sulle modalità di pervenimento e di consegna dei 25 papiri documentari che accompagnavano il P. Artemid nel Konvolut? Perché alcuni testi affermano che vennero acquistati con il P. Artemid, altri che sono di proprietà di Simonian e solo consegnati in esame e in deposito al prof. Gallazzi? Perché questa discrasia di versioni? • Perché non sono state circostanziate le ragioni della mancata conclusione delle trattative di vendita del papiro al Getty Museum di Los Angeles, trattativa seguita dal prof. Settis, a fronte di una proposta economica di offerta del museo molto al di sotto della somma poi definita con la Compagnia San Paolo di Torino? • Perché, in presenza di una ricorrente e fondata ipotesi di attribuzione della falsificazione del P. Artemid al noto falsario ottocentesco Costantino Simonidis a fronte, invece, dell’altra ipotesi di un papiro integralmente artemidoreo, non si è sviluppata ed acquisita una verifica autorevole e condivisa a livello scientifico su questo rebus?

Una chiosa Il significato storico e documentale del P. Artemid, se ritenuto e verificato come bene autentico, sarebbe indiscusso; grazie a questo reperto forse avremmo nuove testimonianze nella qualità e contenuto dei disegni, mappe geografiche e scritti correlati ad un periodo poco noto. Se, invece, come pare ormai sia plausibilmente fondato, si è in presenza di un prodotto del falsario Costantino Simonidis, ovvero di un prodotto frutto di diverse e susseguitesi falsificazioni, da Simonidis fino a possibili interventi negli anni a seguire, per giungere alla sua apparizione ed acquisto, dobbiamo chiederci: perché la comunità scientifica accademica per decenni ha coltivato e coltiva ancora oggi una controversia senza approdare ad una verità condivisa; non solo, come sia stato possibile, in presenza di studiosi autorevoli messi in campo, architettare una vicenda-trappola, come definita dalla Procura di Torino, che ha coinvolto in modo fraudolento una Fondazione bancaria come parte lesa? A livello filologico, come bene ha sempre e anche recentemente osservato il prof. Luciano Canfora, come mai nessuna delle parole “nuove” attestate dal cosiddetto papiro di Artemidoro è stata accolta nelle stampe rinnovate dei correnti Lessici greci, mentre invece, quando emergono novità che arricchiscono il lessico greco, con termini prima non attestati, prontamente vengono registrati? Segue una breve antologia fotografica dell’intervento dell’ICPAL di Roma, in alcune sue fasi, con immagini del papiro di Artemidoro restaurato. Si ringrazia per la cortese collaborazione il dott. Mario Turetta, Direttore presso il Ministero della Cultura e la restauratrice Lucilla Nuccetelli.


Il Papiro di Artemidoro caso emblematico

Frammenti del papiro di Artemidoro come ricevuti, analizzati dai laboratori dell’ICPAL di Roma. Immagini concesse e autorizzate dalla Direzione ICPAL-MIC di Roma

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Il Papiro di Artemidoro caso emblematico

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Fasi di ricerca diagnostica e intervento di restauro su frammenti di papiro di Artemidoro con personale specializzato nei laboratori ICPAL di Roma. Immagini concesse e autorizzate dalla Direzione ICPAL-MIC di Roma


Capitolo 12

Un paradigma di avvertenze Il dipinto, la scultura, la grafica, il pezzo di ebanisteria, il gioiello valenzano di pietre rare, l’orologio di metà ottocento, la ceramica di scuola antica, la suppellettile in argento inglese, il papiro egiziano, la fotografia e scatto d’artista, il reperto archeologico, il libro antico e lo spartito originale, hanno tutti differenti specificità per l’attribuzione temporale, per la stima di valore economico, per l’autenticità e la provenienza, per lo stato di conservazione. Proprio le peculiarità evidenziate e le patologie di alcune diffuse condotte, devono imporre di adottare sempre delle avvertenze minime quando ci si accosta al mercato dell’arte e si vogliono effettuare acquisti o investimenti. Non è agevole redarre una sommatoria di regole, efficace e garantista, per tutti gli acquisti possibili di opere d’arte. Vi sono, tuttavia, delle avvertenze e delle tutele giuridiche che si possono benissimo assumere per le tipologie più diffuse di acquisto di opere d’arte o beni culturali. Il Comando Carabinieri TPC di Roma, in una sezione specifica del sito www.carabineri.it, ha inserito alcuni consigli nel caso di acquisto di beni di interesse culturale. Altre avvertenze sono esposte in pubblicazioni varie, guide specifiche. Nell’intricata giungla del mercato dell’arte, può soccorrerci “un paradigma minimo di garanzia” qui proposto dopo anni di frequentazione dell’argomento: • Sondare a fondo i propri gusti artistici, le preferenze nelle tecniche rappresentative; chiarire la finalizzazione dell’acquisto; chiarire se si vuole compiere un investimento emotivo, un investimento economico o un acquisto di ragionato valore; operare convintamente la propria scelta dell’autore, del periodo artistico, del movimento d’appartenenza, dare un imprint alla propria collezione o alla mostra che si intende allestire. • Avere consapevolezza che l’opera d’arte è un unicum, non è un prodotto standard; ha una paternità artistica; ha una provenienza ed una storia; ha una tecnica


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realizzativa, ma possiede una valenza simbolica, espressiva; deve essere fruita in esclusiva, ma può anche essere trasmessa ad altri; deve essere sempre individuabile e riconoscibile, riconducibile. • Verificare innanzitutto l’autenticità e l’attribuzione dell’opera, consultando il catalogo ragionato dell’artista, l’archivio ufficiale delle opere, le bibliografie dedicate, se esistono. In caso diverso, è bene acquisire un circostanziato parere di un esperto indipendente, o di più esperti. Esigere le dichiarazioni e certificazioni di autenticità, come normato da legge. Una perizia completa, oltre al valore di stima, dovrebbe sempre includere un’inequivocabile documentazione fotografica, le dimensioni dell’opera (cornice a parte), la tecnica, l’individuazione esatta di sottoscrizioni e firme, la provenienza, le condizioni di conservazione, l’elenco dei fattori e fonti utilizzati per l’elaborazione della perizia. • Effettuare un’analisi scientifica e tecnica dell’opera, anche attraverso sistemi di esplorazione e diagnostica per immagini, di analisi chimica, per accertare l’attribuzione temporale e l’integrità dell’opera, le peculiarità materiche realizzative. Una particolare attenzione deve essere riposta verso le opere di grafica degli autori contemporanei, in presenza di tecniche sofisticate di imitazione e di eccessiva riproduzione. Pari attenzione verso reperti archeologici o di ceramica antica, verso reperti papirologici, settore ove recentemente si sono visti operare laboratori super attrezzati di sofisticazione e antichizzazione. • Verificare la provenienza, escludendo l’inserimento dell’opera nei registri e banche dati di opere rubate e nell’archivio ormai allestito dai vari corpi di Polizia che indagano in Europa e nel mondo sulle anomalie del mercato, tramite la consultazione dei siti ufficiali e interpelli mirati; accertarsi della veridicità della documentazione che illustra il percorso proprietario dell’opera, risalendo ad una dettagliata tracciabilità. • Ponderare bene il prezzo di stima, consultando i parametri medi ottenuti nelle ultime aste ed i pareri autorevoli di esperti indipendenti; evitare una valutazione meramente finanziaria, indotta da speculazioni di tendenza, ma considerare il fattore tempo come condizione essenziale per stimare un valore congruo. • Richiedere sempre il condition report sullo stato di conservazione dell’opera; deve essere completo, dettagliato ed illustrante ogni intervento di restauro subito, con le antologie fotografiche e radiologiche correlate. • Accertare l’esclusiva ed effettiva proprietà del bene. Il venditore, nel contratto, deve dare garanzia sul titolo esclusivo e certificare


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come l’opera non abbia alcun vincolo che possa limitare la possibilità di esportazione e vendita in Europa o nel mondo. • Formalizzare tutte le garanzie con un contratto scritto. Nel caso di condizioni inesatte, si può richiedere l’annullamento del contratto. Il contratto deve normare tempi e modi di trasferimento della proprietà, le forme di pagamento, l’accompagnamento delle necessarie certificazioni ed expertise. • Far riscontrare il pagamento del prezzo e l’eventuale diritto di seguito in modo certificato e non contestabile, con relativa documentazione contabile e fiscale. Questa attenzione è un’efficace tutela contro rivendicazioni successive e possibili da parte di terzi o di istituzioni di vigilanza. • Osservare scrupolosamente, dopo averne presa visione in antecedenza e chiesto eventuali chiarimenti su di esse, tutte le regole di compravendita predisposte per gli acquisti in gallerie, case d’asta, ovvero presso mercanti d’arte, presso privati. Nel caso di acquisto diretto dall’autore, accertarsi comunque che l’opera venga firmata, datata e certificata come previsto da norme specifiche. Ogni opera ha un’origine, ha una storia e può avere un futuro, con diversi proprietari e diverse collocazioni. Da qui l’esigenza che l’opera sia sempre attribuibile ed individuabile, per la sua appartenenza temporale ed artistica. • È bene catalogare l’opera, con descrizione analitica e con dovizia di particolari, qualitativi e quantitativi, con annessa fotografia e registrazione delle autentiche. La corretta catalogazione permette di possedere tutti gli elementi di rintracciabilità per rivendicare l’opera in caso di furto o di contenzioso, per munirci di adeguate coperture assicurative. È consigliabile redarre “Il documento dell’opera d’arte – Object ID” modulo predisposto su indicazione dell’UNESCO.


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