Zhang Dali. The forbidden fascination of new China

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ZHANG DALI

ZHANG DALI IL FASCINO PROIBITO DELLA NUOVA CINA

THE FORBIDDEN FASCINATION OF NEW CHINA

A CURA DI MARINA PIZZIOLO E ROMANO RAVASIO

EDITED BY MARINA PIZZIOLO AND ROMANO RAVASIO

Palazzo Inghilterra. Torino - corso Inghilterra 7 3 novembre - 3 dicembre 2009

Palazzo Inghilterra. Corso Inghilterra 7, Turin 3 November - 3 December 2009

con il contributo di Manuela Lietti

with the contribution of Manuela Lietti

Un progetto dell’Area Relazioni e Comunicazione e del Servizio Programmazione e Gestione Beni e Attività Culturali della Provincia di Torino.

A project of the Relations and Communication Area and the Planning and Management of Cultural Heritage and Activities Service of the Provincial Authority of Turin.

presidente Antonio Saitta assessore alla Cultura e Turismo Ugo Perone

president Antonio Saitta councillor with responsibility for culture and Tourism Ugo Perone

www.provincia.torino.it

www.provincia.torino.it

coordinamento Laura Melis allestimento Angelo Cucchi fotografie Guo Gang, Studio Zhang Dali traduzione video Ilde Montagna progetto grafico e impaginazione Elisa Paola Lombardo assicurazione Generali Assicurazioni trasporti Fabrizio Musso

oordination Laura Melis exhibition design Angelo Cucchi photographs Guo Gang, Studio Zhang Dali video translation Ilde Montagna graphic project and pagination Elisa Paola Lombardo insurance Generali Assicurazioni transport Fabrizio Musso

Un particolare ringraziamento per la preziosa collaborazione a Elisa Canossa Patrizia Galli Zhang Romano Girardi

For their precious contribution, particular thanks go to Elisa Canossa Patrizia Galli Zhang Romano Girardi

© Gli autori per i loro testi, 2009 © Argo, 2009

© The authors for their texts, 2009 © Argo, 2009

L’editore è a disposizione degli eventuali detentori di diritti che non sia stato possibile rintracciare.

The publisher is at the disposal of any holders of rights that it has not been possible to trace.

Finito di stampare presso Tipolito Moderngraf nel mese di ottobre 2009.

Printing completed at Tipolito Moderngraf in the month of October 2009.

IN PRIMA DI COPERTINA: FORBIDDEN CYTY

ON THE COVER: FORBIDDEN CYTY 1998,

1998,

FROM CYCLE DEMOLITION. PROCESSED PHOTOGRAPH 1/10. 150X100 CM.

DEMOLITION. PARTICOLARE BORATO. FOTOGRAFIA 1/10. 150X100 CM. DAL CICLO

ELA-

DETAIL.


SOMMARIO SUMMARY

pagina

Antonio Saitta e Ugo Perone

REWIND. Marina Pizziolo & Romano Ravasio,

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BREVE CONVERSAZIONE TRA ZHANG DALI E MANUELA LIETTI SHORT CONVERSATION BETWEEN ZHANG AND MANUELA LIETTI

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NOTE BIOGRAFICHE BIOGRAPHICAL NOTES

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE MAIN REFERENCES

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MOSTRE PERSONALI INDIVIDUAL EXIHIBITIONS

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PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE

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MAJOR COLLECTIVE EXIHIBITIONS


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«Salutiamo con interesse e soddisfazione l'intervento della Cina negli scenari di crisi, a sostegno di assetti di pace o nella ricerca di soluzioni equilibrate e negoziate ai problemi del mondo, con crescente attenzione al tema dei diritti umani, e con particolare sostegno ai paesi più poveri e alle aree più diseredate del pianeta». Con queste parole, il Presidente Giorgio Napolitano salutava, il 6 luglio 2009, il Capo di Stato della Repubblica Popolare Cinese in visita in Italia, e poneva l’accento sulla necessità che - nel suo processo di riforme economiche e sociali - la Cina contemporanea non trascuri la definitiva affermazione dei diritti individuali. L’esposizione di alcune opere di Zhang Dali nel programma di “Contemporary Arts Torino Piemonte 2009” testimonia l’impegno della Provincia di Torino nell’opera di sensibilizzazione sul tema dei diritti, attraverso una mostra che, nell’astrazione scultorea, racconta in modo diretto e inequivoco la sofferenza degli esseri umani che vivono soggetti a regimi politici non democratici. L'impegno che Zhang Dali mette in atto nei suoi lavori, e nelle azioni che li creano, tocca con forza temi urgenti della contemporaneità, lo sviluppo delle città, la cancellazione della tradizione, la perdita dei diritti, l'insicurezza del lavoro e la precarietà della vita, cercando di riscattare, restituire presenza agli uomini e alle donne ridotti in massa seriale. La mostra si presenta come occasione per conoscere l'opera di questo grande artista cinese, che ha scelto l'Italia come sua seconda patria, e per comprendere le trasformazioni in atto nella Repubblica Popolare Cinese.

Antonio Saitta Presidente della Provincia di Torino

Ugo Perone Assessore alla Cultura e Turismo

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“We welcome with interest and satisfaction the intervention of China in situations of crisis, to support peaceful outcomes or to seek balanced and negotiated solutions to the world’s problems, with increasing attention devoted to the theme of human rights, and with particular support for the poorest countries and the most disinherited areas of the planet”. With these words, on 6 July 2009, President Giorgio Napolitano welcomed the Head of State of the People’s Republic of China who was visiting Italy, and accentuated the need for contemporary China not to neglect the definitive affirmation of individual rights in conducting its process of economic and social reform. The exhibition of some works by Zhang Dali in the programme of ‘Contemporary Arts Torino Piemonte 2009’ testifies to the commitment of the Provincial Authority of Turin in the work of awareness creation on the issue of rights, through an exhibition that, in sculptural abstraction, tells directly and unambiguously of the suffering of human beings who live subject to undemocratic political systems. The commitment that Zhang Dali displays in his works, and in the actions that create them, touches powerfully pressing themes of the contemporary world, the development of cities, the abandonment of tradition, the loss of rights, the lack of safety in the workplace and the precarious nature of life, seeking to restore, to reinstate, the presence of men and women who have been reduced to being like a mass-produced series. The exhibition offers the opportunity to get to know the work of this great Chinese artist, who has chosen Italy as his second home, and to understand the transformations that are under way in the People’s Republic of China.

Antonio Saitta President of the Provincial Authority of Turin

Ugo Perone Councillor with Responsibility for Culture and Tourism

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REWIND di Marina Pizziolo & Romano Ravasio

Pechino, o meglio Beijing, come ormai stiamo imparando a dire, è una specie di sasso enorme lanciato in uno stagno ancora più grande. Un’onda urbanistica inarrestabile si propaga dal centro, allargando i nuovi raccordi anulari, i Rings vere e proprie autostrade fino a dodici corsie - in cerchi sempre più ampi. Anno dopo anno. Un’onda di cemento e vetro, alta decine di metri, che ha spazzato via il reticolo storico degli hutong, i vicoli che correvano tra le tradizionali case a corte, e dilaga in quella che una volta era campagna, per una superficie grande ormai come il Lazio. «A Beijing i cambiamenti sono troppo rapidi», ha scritto Zhang Dali. «Talvolta è impossibile dare un giudizio alle cose che accadono intorno a noi. Ma intanto queste cose influenzano il nostro vivere, offuscano la nostra vista, corrompono la nostra anima. Nella nuova era la realtà è nascosta sotto un magnifico mantello. Allora pungo la mia anima anestetizzata, cercando di vedere con gli occhi dell’anima la realtà dietro le apparenze»1. Il pensiero della realtà è l’asse concettuale dell’opera di Zhang Dali. La rapida mutazione delle città, come della vita che si svolge in quelle città, impedisce un’esatta percezione delle cose. Tutto accade troppo in fretta, come in un video accelerato.

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REWIND by Marina Pizziolo & Romano Ravasio

Beijing is a kind of enormous stone tossed into an even bigger pond. An unstoppable urbanistic wave is spreading outwards from the centre, broadening out the new ring roads, known as Rings - full-blown motorways with up to twelve lanes - in ever wider circles. Year after year. A wave of concrete and glass dozens of metres high has swept away the historical grid of the hutongs, the alleys that ran between the traditional courtyarded houses, and is spreading into what was once countryside, over an area now as large as Lazio. “In Beijing the changes are taking place too fast”, Zhang Dali has written. “Sometimes it is impossible to make a judgement about things that are going on around us. Yet in the meantime these things influence our lives, they obscure our vision, they contaminate our souls. In the new age reality is concealed beneath a magnificent mantle. So I pinch my anaesthetised soul, trying to see the reality behind appearances with the eyes of the soul”1. Thought on reality is the conceptual axis of Zhang Dali’s work. The rapidly changing cities, along with the lives being lived in these cities, prevent an exact perception of things. Everything is happening too much in a hurry, like in a speeded-up video.

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Immaginate il rumore assordante delle demolizioni. La polvere ovunque. La costruzione continua di nuovi edifici, di nuove forme. Immaginate l’apparire di simboli del tutto estranei alla cultura cinese, fino a pochi anni fa: enormi insegne pubblicitarie, scritte in caratteri occidentali. Immaginate gli artefici di tutto ciò. Quegli operai, uomini e donne, strappati alla campagna da un sogno e sbalzati in alto, in bilico su quelle assurde impalcature di bambù, a costruire un mondo che non abiteranno. E poi giù, in abitazioni improbabili, a trascinare un’esistenza ancora più in bilico, sospesi tra passato e futuro. E improvvisamente poter fare, ma anche dovere decidere cosa fare. E il mondo attorno, che guarda e giudica. Un mondo dove ora si può andare. E le sue Sirene. E poi google. E tutto il caraibico mare internettiano. «È come il paesaggio del Kosovo dopo i bombardamenti dei B-52. Molte volte passo di fretta per strade piene di polvere e gas di scarico e provo la stessa ansietà descritta nei film di guerra. Frammenti delle macerie mosse dai bulldozer mi arrivano in faccia e un pensiero è chiaro nella mia mente: questa è la realtà in cui sto vivendo, questa è la città che sento così familiare e così estranea allo stesso tempo». Così scriveva Zhang Dali nel 2003. Solo sei anni fa. Ma quanti Rings fa? «Sento questa mia nuova vita passiva e silenziosa. Davanti alla creazione del mio futuro da parte di altri rimango senza parole, perché so che hanno il potere assoluto di costruire questo nuovo, magnifico futuro. Non posso rifiutare, non ho alcun diritto di rifiutare, posso solo accettare passivamente»2. Nasce da quest’ansia, da questa inesorabile perdita di realtà, di storia, il ciclo Demolition and Dialogue. Per anni Zhang Dali, di notte, si aggira tra le rovine delle case semidistrutte dall’onda devastante della crescita urbana. La demolizione è inarrestabile: Zhang Dali lo sa. Sa che la notte dopo quelle case non ci saranno più. E cerca un modo per rivendicare il suo diritto alla ribellione. Il suo rifiuto di quel futuro preconfezionato, pagato con la distruzione della storia della città antica. Inizia così a tracciare su quegli interni impietosamente svelati, su quei muri violati, il profilo caricaturale della sua testa, servendosi di bombolette spray. «Io non sono un vero writer. Haring e Basquiat erano dei writer, perché finirono intossicati dal linguaggio estetico dei graffiti. Io uso i graffiti come un’arma. Uso i graffiti per dire cosa voglio dire»3. Quello di Zhang Dali è un graffito rapidissimo, segnale in codice di una sortita clandestina. Un gesto fluido, che dura due o tre secondi, ripetuto identico migliaia di volte. La scelta del graffito non ubbidisce, d’altra parte, solo alla logica della clandestinità. Il graffito è strettamente correlato al vandalismo. E, anche se nel

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Imagine the deafening noise of demolitions. Dust everywhere. The continuous construction of new buildings, of new forms. Imagine the appearance of symbols that were entirely extraneous to Chinese culture until just a few years ago: enormous advertising hoardings, written in Western characters. Imagine the builders of all this. Those workers, men and women, torn away from the countryside by a dream and thrown up there, balanced on that absurd bamboo scaffolding, to construct a world they will not inhabit. And then down there in their unlikely dwellings, dragged into an even more precarious existence, poised between past and future. And suddenly being able to do, yet also having to decide what to do. And with the world around looking on and judging. A world where you can now go. With all its Siren calls. And then Google. And that whole enticing Caribbean Sea of the Internet. “It is like the landscape of Kosovo after it was bombed by B-52s. I often hurry along streets filled with dust and exhaust fumes and I feel the same anxiety that is usually described in war films. Fragments of rubble shifted by the bulldozers batter my face and one thought is clear in my mind: this is the reality in which I’m living, this is the city that I feel is so familiar and yet so extraneous at the same time”. This is what Zhang Dali wrote in 2003. Only six years ago. But how many Rings ago? “I feel this new life of mine is passive and silent. Faced with the creation of my future by others, I remain speechless, because I know they have the absolute power to build this magnificent new future. I cannot refuse, I have no right to refuse, I can only passively accept”2. It is from this anxiety, from this inexorable loss of reality, of history, that the Demolition and Dialogue cycle came about. For years Zhang Dali has wandered around at night amid the ruins of houses semi-destroyed by the devastating wave of urban growth. The demolition is unstoppable: Zhang Dali knows that. He knows that the following night those houses will no longer be there. And he seeks a way to claim his right to rebellion. His rejection of that pre-packaged future, paid for with the destruction of the history of the ancient city. He therefore begins to trace on those interiors so immodestly revealed, on those violated walls, the caricature profile of his own head, using spray paint. “I’m not a real writer. Haring and Basquiat were writers, because they ended up intoxicated by the aesthetic language of graffiti.I use graffiti as a weapon. I use graffiti to say what I want to say”3. Zhang Dali’s is a quick graffiti, a coded signal of a clandestine sortie. A fluid gesture, lasting two or three seconds, repeated identically thousands of times. On the other hand, the choice of graffiti does not only obey the logic of clandestinity.

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caso di Zhang Dali non si può certo parlare di vandalismo, è comunque la scelta di un linguaggio estraneo all’ufficialità, di un linguaggio ad alto potenziale critico. Il profilo di Zhang Dali, in più, è un graffito irriverente. Un coraggioso sberleffo al potere politico, ma anche al potere economico. A quella nuova forma di tirannia, il capitalismo, che l’Occidente conosce bene, ma che la Cina promette ancora di riuscire a cavalcare: tutti insieme. Di giorno, Zhang Dali ritorna sugli stessi luoghi e fotografa le sue opere. A sera i graffiti non ci saranno più, ma ne resterà la memoria fotografica. Così come resterà memoria dello scempio commesso. Di quel cronocidio ingiusto e ingiustificabile. «Il National Grand Opera Theater [il grande uovo progettato da Paul Andreu] sorge sulla destra di piazza Tienanmen, è davvero un edificio splendido. La sua forma perfetta brilla sotto il cielo, come una grande nave spaziale atterrata in città, ma quando vieni a sapere che è stato costruito su un’area dove sorgevano le antiche siheyuan [le tradizionali abitazioni a corte] puoi ancora ammirarlo senza riserve?». E Zhang Dali continua: «Quale architetto europeo avrebbe accettato di demolire i vecchi palazzi di Firenze per costruire su quel terreno uno splendido teatro a cupola?»4. Il ciclo Demolition and dialogue è operazione concettuale e performance, tra fotografia e scultura. Accanto al profilo appaiono spesso due scritte: AK-47 oppure 18K. Sigle rispettivamente del Kalashnikov e dell’oro, simboli della violenza e del potere economico, condannati come timoni più o meno occulti del destino di tutti. A volte Zhang Dali non si limita a tracciare il suo profilo, ma sfonda il muro, fino a lasciare solo il negativo del profilo. In questo modo, apre una sorta di finestra ideale. La visione inquadrata è più di un frammento di paesaggio, il suo peso di realtà aumenta, perché l’operazione di Zhang Dali vale come sofisticata procedura di autenticazione. Il paesaggio incorniciato da quel varco anomalo viene strappato dalla banalità del quotidiano, dalla cecità che nasce dall’assuefazione a vedere e assurge a simbolo della violenza subita dalla città. È quello che accade, ad esempio, nella splendida Forbidden City, esposta in questa mostra: vera e propria icona della fotografia cinese contemporanea, finita tra l’altro sulla copertina di «Newsweek» con un titolo emblematico: Il nuovo volto della vecchia Asia. Lo squarcio aperto dal profilo grottesco di Zhang Dali rivela una pagoda splendida, illuminata dal sole. In primo piano, il grigio delle macerie. Il sangue versato dalla storia: vittima di un’insensata violenza. La storia, intesa come glorioso, o comunque, comune passato: unica radice di un possibile comune divenire. «Perché ciò che si salverà

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Graffiti is closely correlated with vandalism. And, even if in Zhang Dali’s case we certainly cannot talk of vandalism, it is nevertheless the choice of a language extraneous to officialdom, of a language with a high critical potential. What is more, Zhang Dali’s profile is a disrespectful piece of graffiti. A courageous thumbing of the nose at political power, but also at economic power. At that new form of tyranny - capitalism - which the West knows well, but which China still holds the promise of managing to tame; all together. In the daytime, Zhang Dali returns to the same places and photographs his works. In the evening the graffiti will no longer be there, but the photographic memory will remain. Just as the memory of the havoc caused will remain. Of that unfair and unjustifiable chronocide. “The National Grand Opera Theater [the large egg designed by Paul Andreu] stands on the right of Tiananmen Square; it is a truly splendid building. Its perfect form is resplendent under the sky, like a huge spaceship that has landed in the city. But when you find out that it has been built on an area where the ancient siheyuans [the traditional residences with courtyards] stood, can you admire it without reservations?” And Zhang Dali continues: “What European architect would have agreed to demolish the old palazzi in Florence in order to build a splendid domed theatre on that same land?”4. The Demolition and Dialogue cycle is conceptual operation and performance, between photography and sculpture. Two pieces of writing often appear beside the profile: AK-47 or 18K. Abbreviations for the Kalashnikov and gold respectively, symbols of violence and economic power, condemned as more or less concealed rudders steering the destinies of all. Sometimes Zhang Dali does not restrict himself to tracing his own profile, but breaks through the wall, leaving just the negative of the profile. In this way, he opens up a kind of ideal window. The framed view is more than a fragment of landscape; its weight as reality increases, because Zhang Dali’s operation has value as a sophisticated authentication procedure. The landscape framed by that anomalous opening is torn away from the banality of the everyday, from the blindness that comes from being too accustomed to seeing, and emerges as a symbol of the violence suffered by the city. This is what happens, for example, in the splendid Forbidden City, which is on display in this exhibition: a genuine icon of contemporary Chinese photography, which even ended up on the cover of “Newsweek”, with a symbolic title: The new face of old Asia. The hole opened up by Zhang Dali’s grotesque profile reveals a splendid pagoda, illuminated by the Sun. In the foreground is the grey

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non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perché ridiventasse se stesso in un tempo nuovo»5. Questo è il tradimento perpetrato ancora una volta dal potere cinese. Un tradimento che si è ripetuto nel secolo scorso in diverse direzioni, ma con identiche modalità. Continue e radicali inversioni di rotta che hanno creduto di fondare la propria forza sulla negazione del passato. Rivoluzione maoista, rivoluzione culturale. E ora questo capitalismo in corsa, per recuperare il tempo perduto. Ma che cos’è il futuro, senza la linfa del passato? Questa è la coraggiosa rivendicazione di Zhang Dali. Il pensiero della realtà non è solo l’asse concettuale dell’opera di Zhang Dali. È anche medium linguistico d’eccellenza. L’arte di Zhang Dali non è un percorso onanistico, autoreferenziale. Non si perde nei meandri dell’autoanalisi o dell’arrogante spaccio di un relativo assoluto, nell’invenzione di ordigni estetici fine a se stesso. Zhang Dali crede nella missione dell’artista come motore, o perlomeno, reagente sociale. Come severo strumento di analisi del tempo e costruzione della sua memoria. Il ciclo Chinese Offspring, esposto per la prima volta con grande successo a Londra, alla Saatchi Gallery, è potente espressione di questa fede nella supremazia del reale sulla sua rappresentazione simbolica. Chi sono i figli della Cina? Sono i mingong, quei paria perché esseri mutanti: non più contadini, di fatto operai, ma senza il riconoscimento giuridico e sociale del loro ruolo. Senza fissa dimora, senza assistenza medica, senza diritto di istruzione. Sembra siano almeno 120 milioni i cinesi in questa condizione, ma secondo alcune fonti sono addirittura 180 milioni. Ogni anno, a questa schiera di diseredati si aggiungono almeno altri dieci milioni di uomini e donne. Zhang Dali per raccontare la loro storia non si è servito di simboli. «Riguardo la relazione tra realtà e simboli, non posso indulgere in un simbolo di fantasia, ho a cuore la realtà. La descrizione della realtà è l’istanza fondamentale di tutte le mie opere»6. L’artista va per strada, dove si accalcano i mingong che hanno perso il lavoro. Sceglie un uomo o una donna. Poi li porta nel suo studio e, con i suoi assistenti, esegue il calco in gesso del loro corpo. Il procedimento dura circa venti minuti. La persona respira attraverso due cannule infilate nelle narici, il volto e il corpo bloccati dal gesso che rapidamente si indurisce. Un po’ come essere sepolti vivi. La reazione chimica genera un calore quasi insopportabile. «Ho avuto molta paura. Era terribilmente caldo. Ho urlato ma nessuno mi ha sentito, pensavo che sarei soffocata», dice la ragazza nel video girato dalla televisione tedesca ARD,

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of the rubble. The blood shed by history: victim of senseless violence. History, understood as glorious, or, in any case, as common past: the only root of a possible common future.“Because what will be saved will never be what we have kept sheltered from time, but what we have allowed to change, so it can become itself again at a new time”5. This is the betrayal perpetrated once more by Chinese power. A betrayal that was repeated in the last century, in various directions, but with identical methodologies. Continuous and radical reversals of direction, believing their power was to be founded upon a negation of the past. Maoist revolution, cultural revolution. And now this runaway capitalism, to make up for lost time. But what is the future, without the lifeblood of the past? That is the brave claim of Zhang Dali. Thought on reality is not just the conceptual axis of Zhang Dali's work. It is also an excellent linguistic medium. Zhang Dali's art does not follow an onanistic, self-referential path. It is not lost in the meanderings of self-analysis or the arrogant selling of a relative absolute, in the invention of aesthetic devices as ends in themselves. Zhang Dali believes in the artist's mission as a mover, or at least as a social reagent. As a sober instrument of analysis of time and construction of its memory. The cycle entitled Chinese Offspring, which was exhibited for the first time with great success at the Saatchi Gallery in London, is a powerful expression of this faith in the supremacy of reality over its symbolic representation. Who are the children of China? They are the mingongs, those seen as pariahs because they are mutant beings: peasants, de facto blue-collar workers, but without any legal and social recognition of their role. With no fixed abode, no medical assistance, no right to education. There are said to be at least 120 million Chinese in this condition, but according to some sources there are even as many as 180 million. At least a further ten million men and women are added to these ranks of the disinherited every year. Zhang Dali has not used symbols to tell their story. “Regarding the relationship between reality and symbols, I cannot indulge in a symbol of fantasy; I am too fond of reality. The description of reality is the fundamental requirement of all my works”6. The artist goes out into the street, where the mingongs who have lost their jobs hang around in groups. He chooses a man or a woman. He then takes them to his studio and, with his assistants, makes a plaster cast of their bodies. This procedure lasts around twenty minutes. The person breathes through two tubes inserted into their nostrils, with their face and body locked in by the hardening plaster. A little like being buried alive. The chemical reaction generates an almost unbea-

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riproposto in mostra. Una sofferenza - che Zhang Dali ha sperimentato per primo su se stesso - pagata bene però: duecento euro, l’equivalente di quattro, cinque mesi di lavoro. Le sculture in resina, derivanti da questi calchi, vengono poi siglate con il titolo, la data, un numero progressivo e la firma dell’artista. Un procedimento ambiguo che è sia autenticazione dell’opera d’arte, sia denuncia della condizione di questi contadini migranti, ridotti a cosa numerabile. I corpi sono poi appesi a testa in giù: immagine efficace dell’impossibilità di questi uomini e donne di modificare il proprio destino. Chinese offspring è una storia corale. Ma una storia in cui sono corpi veri a parlare. Un’altra volta, Zhang Dali esegue un potente fermo immagine sul flusso del reale. Un’operazione che è appropriazione del visibile, vittoria sul tempo, consegna dell’attimo alla storia. Un po’ come quando cogliamo un fiore e lo mettiamo a seccare tra le pagine di un libro. Slogan (B8), altro tassello di questa straordinaria antologia di opere, tutte provenienti da un’unica collezione privata torinese, documenta in modo perentorio un altro ciclo del lavoro di Zhang Dali. Sul primo piano di un ragazzo, ripreso dall’ingrandimento di una fototessera, l’artista ha ripetuto il testo di uno degli slogan governativi che oggi appaiono in ogni angolo delle città e delle campagne cinesi, invitando al decoro e all’educazione civica. “Edifichiamo un'immagine di civiltà. Mostriamo l'eleganza dei modi”: questo lo slogan che ricopre la superficie del dipinto. «Ci insegnano cosa dobbiamo fare, proprio come i genitori insegnano a un ragazzino», scrive Zhang Dali. «I genitori del popolo insegnano al popolo immaturo e sconsiderato»7. L’indagine è a questo punto sull’interazione, comunque inevitabile, tra gli slogan e le persone, bersaglio di questa battaglia mediatica. Il fatto di partire da una foto tessera, il cui uso è legato a un’identificazione forzatamente seriale, sottolinea la capillarità della provocazione burocratica. Lo slogan, ripetuto ossessivamente sul volto, sottoposto a enorme ingrandimento, è eloquente e critica misura di questa caparbia interazione: ennesimo tentativo di cancellazione dell’io da parte del potere. L’inversione di scala, tra slogan e fototessera, ribalta però il piano della comunicazione. L’individuo, finalmente, è proposto come protagonista. Ma per quanto tempo, nonostante tutto, continuerà a vedere il mondo attraverso il reticolo degli ideogrammi governativi? Infine, una scultura monumentale, potentemente evocativa. Man and Beast,

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rable heat. “I was afraid. It was terribly hot. I cried out, but nobody heard me; I thought I would suffocate”, says the girl in the video filmed by German TV channel ARD, which can be viewed in the exhibition. A suffering - which Zhang Dali experimented with on himself first - for which they are nevertheless paid very well: two hundred euros, the equivalent of four or five months’ work. The resin sculptures that result from these casts are then labelled with the title, the date, a progressive number and the artist's signature is added. An ambiguous procedure that is both an authentication of the work of art and a denunciation of the conditions of these migrant farmers, reduced to being something numerical. The bodies are then hung upside-down: an effective image of the inability of these men and women to change their destiny. Chinese Offspring is a choral story. But a story in which it is real bodies that speak. Once again Zhang Dali creates a powerful still image of the flow of reality. An operation that is appropriation of the visible, victory over time, consigning of the instant to history. A little like when we pick a flower and press it between the pages of a book. Slogan (B8), another piece in this extraordinary anthology of works, all coming from a single private Turinese collection, documents with insistence another cycle of Zhang Dali's work. Over the close-up of a youngster, taken from the enlargement of a passport photo, the artist has repeated the text of one of the government slogans that today appear in every corner of Chinese cities and countryside, encouraging dignified behaviour and good citizenship. ‘Let us build an image of civilisation. Let us show the elegance of our manners’: this the slogan that covers the surface of the painting. “They teach us what we have to do, just like parents teach a little child”, writes Zhang Dali. “The people’s parents teach the immature and thoughtless people”7. At this point the investigation is into the inevitable interaction between the slogans and the people, the target of this media battle. The fact of starting from a passport photo, the use of which is associated with a necessarily series identification, highlights the comprehensive nature of bureaucratic provocation. The slogan that is repeated obsessively on the face, which has undergone enormous enlargement, is the eloquent and critical measure of this stubborn interaction: the umpteenth attempt by power to cancel out the self. Yet the inversion of scale between slogan and passport photo overturns the plane of communication. At last, the individual is proposed as the protagonist. But for how long, in spite of everything, will he continue to see the world through the grid of go-

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l’uomo e la bestia. Questa volta il binario della realtà viene divelto dalla favola. La monumentalità e l’alterazione delle proporzioni tra volto umano e asino valgono come potenti strumenti comunicativi di un messaggio d’allarme. Il tono non è esopico, non c’è alcun ottimismo della morale. Tra uomo e bestia è in atto una lotta che non possiamo registrare come atto primo o finale. La sequenza è quella di una nascita o di una morte? L’asino sta per essere inghiottito o sta per uscire dalla bocca dell’uomo? Proprio questa ambiguità di senso sospende il giudizio sulla rappresentazione, che vale dunque come istantanea di una convivenza inevitabile, senza la possibilità di esprimere alcun pronostico di vittoria tra uomo e animale. Micidiale affondo su un quesito che attraversa la storia dell’uomo. Anche dell’uomo che ha imparato a surfare nel mare di Internet, ma comunque deve fare i conti con quel pezzo di notte che si porta nel cuore.

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J. Colman, Zhang Dali. Zhang Dali Headlines, Chinese Contemporary. Londra 2002.

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Zhang Dali, A garden home among the ruins and the future new life, 24 dicembre 2003.

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4

Zhang Dali. Demolition! Demolition! Demolition! Demolition!. In “Soho Newsletter”, Beijing, 20

dicembre 2004, pp. 11-13. 5

A. Baricco. I Barbari - Saggio sulla mutazione. Feltrinelli, Milano 2008.

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Zhang Dali. The “Slogan” painting series. Artist’s Statement, Beijing. aprile 2008.

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vernment ideograms? Finally, a monumental, powerfully evocative sculpture. Man and Beast. This time the platform of reality is detached from the fable. The monumentality and alteration of proportions between human face and donkey serve as powerful instruments to communicate a message of alarm. The tone is not Aesopic; there is no optimism in this moral. A struggle is under way between man and beast; a struggle that we find it impossible to register as the first or final act. Is the sequence that of a birth or a death? Is the donkey about to be swallowed or about to come out of the man’s mouth? It is precisely this ambiguity of meaning that suspends the judgement on the representation, which therefore serves as a snapshot of an inevitable coexistence, without the possibility of expressing any prognostication of victory between man and beast. A deadly lunge into a question that has pervaded man’s history. Man who has learned to surf on the sea of the Internet, yet must still come to terms with that piece of night that he holds in his heart.

1

J. Colman, Zhang Dali. Zhang Dali Headlines. Chinese Contemporary, London 2002.

2

Zhang Dali. A garden home among the ruins and the future new life. 24 December 2003.

3

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4

Zhang Dali. Demolition! Demolition! Demolition! Demolition!. In “Soho Newsletter”, Beijing, 20

December 2004, pp. 11-13.

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5

A. Baricco, I Barbari - Saggio sulla mutazione. Feltrinelli, Milan 2008.

6

Zhang Dali. The “Slogan” painting series. Artist’s Statement, Beijing, April 2008

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BREVE CONVERSAZIONE TRA ZHANG DALI E MANUELA LIETTI

Manuela Lietti: “Corpo sono, in tutto e per tutto” è un’espressione usata in Così parlò Zarathustra che mi pare lecito accostare all’intero percorso del tuo lavoro. La figura umana e la sua rappresentazione in tutta la sua fisicità, accettata o negata, dominata dall’istinto animalesco o dalla fredda ragione, si fa veicolo del sentire e dell’agire ed è da sempre un tuo leitmotif. Dagli autoritratti della serie Demolition and Dialogue, alla serie One Hundred Chinese, dagli specimen di Chinese Offspring fino alla serie AK-47, passando per l’esperimento di carattere storico A Second History. Le opere in mostra sono un ulteriore esempio. Zhang Dali: Tutte le mie opere hanno una stretta relazione con la realtà che mi circonda. Da Demolition and Dialogue, legata all’ambiente fisico abitato dalle persone fisiche, fino al 2000, quando la

mia attenzione si sposta maggiormente sulle persone: sono le persone fisiche e concrete a creare l’ambiente ed è l’ambiente a cambiare le persone. Nel 2001 la serie One Hundred Chinese è volta a documentare la fisionomia delle persone di quel particolare periodo, volendo rappresentarle in quanto prodotto della loro epoca. È l’epoca a definire le espressioni delle persone e la loro fisionomia, anche se non è solamente l’ambiente esterno a svolgere un ruolo determinante: l’economia, la politica e il modo di pensare, sono tutti agenti che modificano il corpo fisico e psicologico. Nel 2003, ispirato dal fatto che è il corpo nella sua interezza e non solo il volto a essere espressione della persona, inizio a lavorare a Chinese Offspring. Anche se coperto dagli abiti, il corpo e i suoi movimenti sono più importanti del volto, poiché esprimono lo stato d’animo e la mentalità dell’indivi-

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SHORT CONVERSATION BETWEEN ZHANG DALI AND MANUELA LIETTI

Manuela Lietti: “Body am I entirely, and nothing else” is an expression used in Thus Spake Zarathustra that it seems to me to be permissible to place beside the entire course of your work. The human figure and its representation in all its physicality, whether accepted or denied, dominated by the animal instinct or by cold reason, becomes a vehicle of the feelings and actions and has long been a leitmotif of yours. From the self-portraits of the Demolition and Dialogue series to the One Hundred Chinese series, from the specimens of Chinese Offspring to the AK-47 series, through the experiment of a historical nature, A Second History. The works on display are a further example. Zhang Dali: All my works have a close relationship with the reality that surrounds me. From Demolition and Dialogue, associated with the physical environment inhabited by physical people, until 2000,

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when my attention shifted more towards people: it is physical and concrete people that create the environment and it is the environment that changes people. In 2001 the series One Hundred Chinese was intended to document the features of the people of that particular period, aiming to represent them as a product of their time. It is the age that defines the expressions of people and their features, even if it is not just the external environment that plays a decisive role: the economy, politics and the way of thinking are all agents that modify the physical and psychological body. In 2003, inspired by the fact that it is the body in its entirety and not just the face that is the expression of the person, I began to work on Chinese Offspring. Even if covered by clothes, the body and its movements are more important than the face, since they express the individual’s state of mind and mentality. Observing the expressions of


duo. Osservando le espressioni dei corpi e dei volti della serie, sappiamo che i cinesi di questo particolare periodo sono diversi da quelli delle epoche passate e future. Il loro destino appartiene a quest’epoca specifica. La tecnica usata, quella del calco corporeo e non della scultura tradizionale, conferma che questi corpi sono specimen di un’epoca. Con questa serie, non solo documento il corpo dei protagonisti, ma anche lo spirito di un’epoca, spirito che forma e controlla il processo di trasformazione/formazione degli stessi corpi. Manuela Lietti: Uno dei pezzi più emblematici in mostra è Man and Beast, un lavoro dall’iconografia esasperata: un’enorme testa umana - non identificabile come cinese - colta nel momento di massimo sforzo mentre rigurgita/partorisce un asino. Si tratta di un’immagine che abolisce definitivamente la presunta sovranità dell’uomo in quanto essere razionale sull’animale, rendendo natura e cultura l’una complice dell’altra in un medesimo destino di precarietà. Come sei giunto a una simile soluzione formale? Zhang Dali: L’uomo è per metà angelo, per metà bestia. Nella serie Man and Beast indago l’interazione dell’aspetto umano con quello animale. Umanità non è solamente sinonimo di bontà, uguaglianza e amore; è anche cattiveria, crudeltà, violenza, barbarie e odio. È questa bi-polarità a determinare la forma mentis e l’atteggiamento dell’uomo. La bestia nei miei lavori assume una valenza simbolica, non critico l’animale in sé, perché non sarebbe giusto nei suoi confronti, dato che se paragonate a tutto il creato, uomini compresi, le bestie sono più magnanime. I loro attacchi sono

frutto della loro natura e non della ragione. La psicologia umana, invece, è più complessa. L’impossibilità di realizzare i propri desideri di lussuria, invidia e potere; il prevalere delle ambizioni personali che obliterano il bene comune; la tendenza a considerare i deboli un ostacolo alla realizzazione personale dei forti sono tutte fonti di odio. Ma secondo il detto cinese, colui che è poco tollerante non è né un gentiluomo, né un grande uomo. Manuela Lietti: Nel tuo modus operandi si riconosce la volontà di superare i limiti dell’esperienza microscopica cinese e dell’autoreferenzialità, pur partendo da questa. Zhang Dali: Certo. Penso che tutte le opere d’arte siano relazionate all’umanità intera, sono riflessioni sulla condizione umana. Anche se un pensiero o un’opera descrivono una particolare popolazione o periodo storico, l’opera d’arte si confronta sempre con l’umanità nel suo complesso, sia sincronico sia diacronico. Uomini dalla diversa appartenenza etnica, religiosa e ideologica condividono un substrato comune, scavando sotto la superfie di queste differenze, i sentimenti e l’animo umano sono i medesimi. Il nostro mondo spirituale è comune e comunicabile. Nulla impedisce la comunicazione tra gli uomini. Su questo pianeta viviamo tutti sotto lo stesso sole, respiriamo la stessa aria.

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the bodies and faces of the series, we know that the Chinese of this particular period are different from those of the past and the future. Their destiny belongs to this specific time. The technique used, that of body plaster casts rather than traditional sculpture, confirms that these bodies are specimens of an age. With this series, I not only document the bodies of the protagonists, but also the spirit of an age, a spirit that forms and controls the process of transformation / formation of the bodies themselves. Manuela Lietti: One of the most emblematic pieces in the exhibition is Man and Beast, a work with an extreme iconography: an enormous human head - not identifiable as Chinese - captured at the moment of maximum effort while regurgitating / giving birth to a donkey. It is an image that definitively abolishes the presumed sovereignty of man as a rational being over the animal, making nature and culture complicit with each other in the same destiny of precariousness. How did you arrive at such a formal solution? Zhang Dali:Man is half angel, half beast. In the Man and Beast series I investigate the interaction of the human aspect with the animal. Humanity is not only synonymous with goodness, equality and love; it is also wickedness, cruelty, violence, barbarity and hatred. It is this bipolarity that determined the forma mentis and attitude of mankind. The beast in my works takes on a symbolic value; I do not criticise the beast in itself, because that would not be fair to it, since if you compare all creation, including men, animals are more magnanimous. Their attacks are the result of their nature and not of reason. Human psychology is more complex. The im-

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possibility of fulfilling his desires of lust, envy and power; the prevalence of personal ambitions that obliterate the common good; the tendency to consider the weak an obstacle in the way of the personal ambitions of the strong, these are all sources of hatred. But according to a Chinese proverb, he who is not tolerant is neither a gentleman nor a great man. Manuela Lietti: In your way of working we can recognise the desire to go beyond the limits of the Chinese microscopic experience and self-referentiality, though starting from this. Zhang Dali: Of course. I think all works of art are related to the whole of humanity; they are reflections on the human condition. Even if a thought or a work describes a particular population or historical period, the work of art always comes to grips with humanity as a whole, both synchronically and diachronically. Men of different ethnic, religious and ideological affiliation share a common substratum; if we dig beneath the surface of these differences, human feelings and the human mind are the same. Our spiritual world is common and communicable. Nothing prevents communication between men. On this planet we all live under the same sun; we breathe the same air.


MAN AND BEAST 2008 RESINA, POLIESTERE E FIBRA DI VETRO POLYESTER RESIN AND FIBREGLASS 1/3, 250X280X200 CM

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CHINESE OFFSPRING N. 58 2005 RESINA, POLIESTERE E FIBRA DI VETRO CALCO DI CORPO UMANO POLYESTER RESIN AND FIBREGLASS PLASTER CAST OF HUMAN BODY

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CHINESE OFFSPRING N. 125 2005 RESINA, POLIESTERE E FIBRA DI VETRO. CALCO DI CORPO UMANO POLYESTER RESIN AND FIBREGLASS PLASTER CAST OF HUMAN BODY

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SLOGAN (B8) 2008 ACRILICO SU PVC ACRILIC ON PVC 223X182 CM

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FORBIDDEN CYTY 1998 DAL CICLO DEMOLITION FOTOGRAFIA 1/10 FROM CYCLE DEMOLITION PHOTOGRAPH 1/10 150X100 CM

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DRUM TOWER, BEIJING 1996 DAL CICLO DIALOGUE FOTOGRAFIA 1/10 FROM CYCLE DIALOGUE PHOTOGRAPH 1/10 150X100 CM

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BOLOGNA 1994 DAL CICLO DIALOGUE FOTOGRAFIA 1/10 FROM CYCLE DIALOGUE PHOTOGRAPH 1/10 60X90 CM

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NOTE BIOGRAFICHE

COPERTINA DI NEWSWEEK CON FOTO DI ZHANG DALI. 17 GENNAIO 2000. COVER OF NEWSWEEK WITH PHOTOGRAPH

ZHANG DALI. 17 JANUARY 2000.

OF

ZHANG DALI E MAN AND BEAST. BEIJING 2009. ZHANG DALI AND MAN AND BEAST. BEIJING 2009. ZHANG DALI, NEL SUO STUDIO A BEIJING. ZHANG DALI, IN HIS STUDIO IN BEIJING. CHINESE OFFSPRING, NELLO STUZHANG DALI. BEIJING 2009. CHINESE OFFSPRING, IN ZHANG DALI’S STUDIO. BEIJING 2009. DIO DI

ZHANG DALI ESEGUE IL CALCO DI UNA DONNA. ZHANG DALI MAKING THE PLASTER CAST OF A WOMAN.

Zhang Dali è nato nel 1963, a Harbin, nel nord della Repubblica Popolare Cinese. Dopo la laurea, conseguita all’Accademia Centrale di Belle Arti e Design di Pechino, rimane nella capitale come artista indipendente, rifiutando un posto di insegnante che gli era stato assegnato dal governo. Il clima di relativa apertura permette a Zhang Dali di realizzare le sue prime mostre in spazi pubblici: alla fine degli anni ottanta, infatti, in Cina non esistevano ancora gallerie o fondazioni private. Nel 1989, dopo la strage di Piazza Tienanmen, si stabilisce in Italia, a Bologna, dove vive per sei anni. Resta in contatto con altri artisti cinesi che come lui sono emigrati in Europa. Continua a dipingere su carta di riso e inizia a dipingere su tela. Un autoritratto del 1992 propone per la prima volta quella testa che apparirà stilizzata nei successivi graffiti. Nel 1995, ritorna a Pechino e inizia il progetto, tra performance e fotografia, Demolition and Dialogue (1995-2005). In lunghe sortite notturne, l’artista traccia, con una bomboletta spray, il profilo caricaturale della sua testa. Questo profilo viene ripetuto identico, migliaia di volte, sulle mura degli hutong, i vicoli degli storici quartieri di Pechino, che il piano urbanistico della nuova metropoli ha condannato alla demolizione. Di giorno, ritorna sugli stessi luoghi e fotografa le sue opere. Solo dopo tre anni deciderà di svelare l’identità del misterioso personaggio di cui la stampa ormai parla spesso. Rilascia interviste che accendono un vivace dibattito tra i sostenitori dei graffiti come forma artistica ed elemento caratterizzante di una me-

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BIOGRAPHICAL NOTES

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Zhang Dali was born in 1963 in Harbin, in the north of the People’s Republic of China. After graduating from the Central Academy of Fine Arts and Design in Beijing, he remained in the capital as an independent artist, turning down the position as a teacher that had been assigned to him by the government. The climate of relative openness enabled Zhang Dali to hold his first exhibitions in public spaces: at the end of the 1980s, in fact, private galleries or foundations did not exist yet in China. In 1989, after the massacre in Tiananmen Square, he settled in Italy, in Bologna, where he lived for six years. He remained in contact with other Chinese artists who, like him, had migrated to Europe. He continued to paint on rice paper and also began to paint on canvas. A self-portrait from 1992 presented for the first time that head that was to appear in stylised form in the subsequent graffiti. In 1995 he returned to Beijing and began the project, part performance and part photography, entitled Demolition and Dialogue (1995-2005). In lengthy nocturnal sorties, the artist would trace the caricature profile of his own head with spray paint. This profile was repeated identically thousands of times on the walls of the hutongs, the alleys of the historic quarters of Beijing, that the urban planning schemes of the new metropolis have condemned to be demolished. In the daytime he would return to the same places to photograph his works. Only after three years did he decide to reveal the identity of the mysterious

PERFORMANCE THE WORLD IS YOURS, DESIGN MUSEUM. BEIJING, 1999. PERFORMANCE THE WORLD IS YOURS, DESIGN MUSEUM. BEIJING, 1999. INSTALLAZIONE. WIND HORSE FLAG, REALIZZATA ALLA

RED STAR GALLERY. BEIJING, 2 AGOSTO 2008 WIND HORSE FLAG. INSTALLATION, CREATED IN THE

RED STAR GALLERY, BEIJING, 2 AUGUST 2008. DISEGNO MURALE CICLO DIALOGUE. WALL DRAWING FROM CYCLE DIALOGUE. DAL

L’ARTISTA. THE ARTIST. UNO SLOGAN POLITICO A BEIJING. A POLITICAL SLOGAN IN BEIJING.


tropoli moderna e chi invece li considera solo un vandalismo, un disturbo alla quiete pubblica o, addirittura, alla stabilità psicologica. Il dibattito sulla trasformazione urbana, la violenza che implica e i profitti che genera, si allarga ai circoli accademici e alla stampa internazionale. Tra il 1995 e il 2005, Zhang Dali lavora ad altri cicli, esegue installazioni e performance, in Cina e all’estero. Una di queste è Tritacarne Made in China. Con un tritacarne riduce in poltiglia chili e chili di carne di maiale. Dopo aver bollito la carne e aver preparato della gelatina, usando degli stampi sforma delle teste d’uomo, che poi mangerà in un surreale cerimoniale pubblico. Nel 2003 inizia il ciclo Chinese Offspring: esposto per la prima volta a Londra, con grande successo, alla Saatchi Gallery. La sconvolgente crescita edilizia delle città cinesi si nutre del sacrificio di milioni di contadini migrati nelle città, dove vivono in condizioni di disperato degrado. Zhang Dali crea delle sculture in resina, partendo dai calchi dei loro corpi, con una tecnica che viene mostrata in un video, riproposto in mostra, girato nel 2005 dalla televisione tedesca ARD. Nel 2000 prende vita il progetto AK-47. Partendo da minuscole fototessera, raccolte nei mercati delle pulci, dipinge grandi ritratti interamente ricoperti dalla sigla del Kalashnikov, AK-47, riprodotta in varie sfumature di colore. A partire dal 2007, tale sigla viene sostituita, come accade nel grande ritratto in mostra, dai caratteri degli slogan di propaganda governativa invitanti al decoro e all’educazione

civica. Slogan che oggi appaiono in ogni angolo delle città e delle campagne cinesi. È poi la volta di The Second History, il titolo di un lavoro di ricerca negli archivi delle principali riviste governative, per trovare gli originali delle fotografie che sono state modificate per ragioni estetiche o per eliminare personaggi non graditi al regime. Il risultato sono 160 coppie di immagini, dove l’originale e le copie modificate sono mostrate una a fianco dell’altra, mettendo a nudo l’operazione di tradimento della storia svolta dal regime. Tra il 2007 e il 2008 Zhang Dali produce la serie Man and Beast, sculture in bronzo e in resina che propongono una figura umana e un animale. L’eterna lotta tra uomo e animale diventa saga dell’uomo in lotta con la parte bestiale di se stesso. Del 2008, infine, è il monumentale gruppo di sculture intitolato Wing Horse Flag. Diciotto cavalli imbalsamati, montati da statue in cera di contadini che sventolano una bandiera rossa. Rivendicata riscossa di quell’enorme parte della popolazione cinese il cui sacrificio nutre il sogno capitalista di pochi. Le opere di Zhang Dali sono state acquisite da importanti musei in Asia, in Europa e negli USA. Tra tutti ricordiamo il MOMA, Museum of Modern Art di New York.

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character of which the press was now speaking so often. He gave interviews that sparked a lively debate between the supporters of graffiti as an art form and as characterising elements of a modern metropolis and those who only consider them to be acts of vandalism, a disruption of public order or even of psychological stability. The debate on the urban transformation, the violence it implies and the profits it generates, was extended to academic circles and the international press. Between 1995 and 2005, Zhang Dali worked on other cycles, created installations and performances, both in China and abroad. One of these was Meat Grinder Made in China. With a meat grinder he reduced kilos and kilos of pig meat to pulp. After boiling the pork and preparing gelatin, using moulds he deformed human heads, which he then ate in a kind of surreal public ceremony. In 2003 he began the Chinese Offspring cycle: exhibited for the first time very successfully at the Saatchi Gallery in London. The disturbing increase in building in Chinese cities has been fed by the sacrifice of millions of farmers who migrated to the cities, where they lived in desperately poor conditions. Zhang Dali created resin sculptures, starting with plaster casts of their bodies, using a technique that is shown in a video; this video, which was filmed in 2005 by German TV channel ARD, is available to view in the exhibition. In 2000 the AK-47 project came into being. Starting with small passport photos collected at flea markets, he painted large portraits entirely covered with the name of a Kalash-

nikov, AK-47, reproduced in various colour shades. Starting from 2007, that brand name was replaced, as happens in the large portrait in the exhibition, by the characters of the government propaganda slogans encouraging dignified behaviour and good citizenship. Today these slogans appear in every corner of Chinese cities and in the countryside. Then it was the turn of The Second History, the title of a work of research into the archives of the main government magazines, to find the originals of the photographs that were amended for aesthetic reasons or in order to eliminate figures of whom the system did not approve. The result is 160 pairs of images, where the originals and the amended copies are shown alongside each other, revealing the operation of betrayal of history performed by the system. Between 2007 and 2008 Zhang Dali produced the series Man and Beast, bronze and resin sculptures presenting a human figure and an animal. The eternal struggle between man and beast becomes the saga of man struggling with the bestial part of himself. Finally, in 2008 came the monumental group of sculptures entitled Wing Horse Flag. Eighteen embalmed horses mounted by wax statues of peasants waving red flags. The demand for that enormous part of the Chinese population whose sacrifice fed the capitalist dream of the few to rise up. Zhang Dali’s works have been acquired by major museums in Asia, Europe and the USA. In particular, we must mention the MOMA, the Museum of Modern Art in New York.


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MOSTRE PERSONALI INDIVIDUAL EXHIBITIONS 1989 Beijing, Gallery of the National. Academy of Fine Arts 1993 Bologna, Galleria Studio 5 1994 Bologna, Galleria Studio 5 1999 Beijing, The Courtyard Gallery Londra, Chinese Contemporary Gallery 2000 Beijing, The Courtyard Gallery, AK-47 2002 Londra, Chinese Contemporary Gallery Tokyo, Base Gallery 2003 Milano, Galleria Gariboldi Venezia, Galleria Il Traghetto 2004 Londra, Chinese Contemporary Gallery 2005 Beijing, Beijing Commune Gallery, Sublimation 2007 New York, Chinese Contemporary Gallery, Chinese Offspring 2008 Beijing, Red Star Gallery, The Road to Freedom Atlanta, USA, Kiang Gallery, Slogans 2009 ShenZhen, He Xiangning Art Museum, Pervasion

PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE MAJOR COLLECTIVE EXHIBITIONS 1998 Tokyo, The Japan Foundation Asia Center, Serendipity Beijing, Club Vogue, Food as Art Beijing, Dongsi 8 Tiao, performance, Thought Brand Meat Mincer Aix-en-Provence, France, Musee des Tapis-

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series, Artistes contemporains chinois Shanghai, Eastlink Gallery, Fuck Off 1999 Beijing, Design Museum Performance, The world is yours! Londra, ICA, Beijing in London Eindhoven, Holland, Food for Thought 2001 Oslo, Kunstnernes Hus, Hot Pot Helsinki, Finland Museum of Photography, Contemporary, Chinese Photography Singapore, Singapore Art Museum, China Art Now 2002 Guangzhou, China, Guangdong Museum of Art, The First Guangzhou Triennial Beijing, The Courtyard Gallery, New Photography From China 2003 Roma, L’Officina-Arte del Borghetto, Festival Internazionale di Roma Beijing, Factory 798, China-Germany Art Denver, USA, Denver Art Museum, The Logan Collection 2004 Beijing, The Courtyard Gallery, Me! Me! Me! New York, ICP, Between Past and Future 2005 Holland, Museum Beelden aan Zee, Chinese Contemporary Sculpture Exhibition Beijing, Beijing Commune Gallery, The Game of Realism Beijing, Beijing Commune Gallery, Mayfly Beijing, Millennium Museum, Wall Londra, Victoria and Albert Museum, New Photography and Video from China 2006 New York, Max Protetch, Great Performance Chicago, Walsh Gallery, Zhang Dali: a Second History Gwangju, South Korea, Gwangju. Biennale 6th Edition, Fever Variations Vienna, Klosterneuburg Museum. Sammlung Essl, China Now

2007 Shanghai, Oriental Vista Art Collections, Past forward Palermo, Mediterranea Gallery, La Cina è vicina Shanghai, DDM, Three Unitary Houston, USA, Houston Museum of Fine Arts, Red Ho Amsterdam, Netherlands, Cobra Museum of Modern Art, China Now Beijing, Ku Art Center, Unexpected – Out of Control Lünenburg, Germany, Kunstraum der Universität, All our Tomorrows: The Culture of Camuflage 2008 Berlino, House of World Cultures, Re-Imagining Asian: Asian Coordinates Groninger, Netherlands, Groninger Museum, Go China - Writing on the Wall Parigi, Musee Maillol, China Gold San Francisco, USA, San Francisco MOMA, Logan Collection Beijing, Michael Schultz Gallery, Guang Hua Road Beijing, UCCA, Christian Dior & Chinese Artists Londra, Saatchi Gallery, The Revolution Continues: New Art from China New York, Eli Klein Fine Art, Slogan 2009 Kansas City, Art Center, Stairway to Heaven: From Chinese Streets to Monuments and Skyscrapers Walsall, UK, The New Art Gallery, Reimaging Asia Beijing, Wall Art Museum, The very Condition Shenzhen, China, Shenzhen, Art Museum, Images from History Denver, USA, Victoria H. Myhren Gallery, University of Denver, Transforming Traditions


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