Il restauro della caduta dei giganti

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il restauro della caduta dei giganti

ISBN 978-88-569-0515-1

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ad Augusto de Luzenberger



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il restauro della caduta dei giganti




coordinamento editoriale maria sapio art director enrica d’aguanno grafica chiara del luongo

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direttore Sylvain Bellenger direzione restauro Marina Santucci restauratori Antonio de Riggi, Antonio Tosini del Museo di Capodimonte Ondina Del Pezzo

coordinamento scientifico Paola Giusti Linda Martino Patrizia Piscitello Marina Santucci Mariella Utili con Stefania Albinni referenze fotografiche Luciano Basagni, Roberto De Simone del Polo Museale della Campania documentazione fotografica Museo di Capodimonte Alessio Cuccaro Antonio Tosini progettazione Lucia Anna Iovieno allestimento Amedeo Andreozzi s.r.l. D e G s.r.l.s. arte’m è un marchio registrato prismi editrice politecnica napoli srl certificazioni qualità ISO 9001: 2008 www.arte-m.net © copyright 2015 by amici di capodimonte onlus prismi editrice politecnica napoli srl tutti i diritti riservati all rights reserved

si ringraziano per la collaborazione: Ornella Agrillo Francesca Arduini Angela Cerasuolo Brigitte Daprà Giuseppe Esposito Sergio Liguori Vincenzo Paciello Maria Tamajo Contarini si ringraziano per i preziosi suggerimenti: Renata Caragliano Paola Milone Claudio Novelli un ringraziamento particolare a Carmine Napoli

presidente Errico di Lorenzo organizzazione e coordinamento Stefania Albinni restauro realizzato grazie al contributo di


Sommario

Presentazioni 9 Sylvain Bellenger 11 Errico di Lorenzo 13 La Caduta dei Giganti di Filippo Tagliolini. Un dessert per il Re Patrizia Piscitello 23 Relazione di restauro Ondina Del Pezzo, Antonio Tosini 29 Leggenda di Capodimonte Matilde Serao



Presentazione Sylvain Bellenger Direttore del Museo e del Bosco di Capodimonte

Alcune opere d‘arte nella loro vita spesso più tumultuosa di quanto potrebbe lasciar credere la loro apparente immobilità, si caricano di valori nuovi che si aggiungono alla loro bellezza e raccontano un’altra storia rispetto alla storia dell’arte. Questo è certamente il caso de La Caduta dei Giganti di Tagliolini: un capolavoro della Real Fabbrica di Napoli, ma anche il più complesso, il più ambizioso, la più monumentale delle opere mai realizzate in porcellana. La simbologia è già nell’oggetto: la forza e la potenza di Giove che “fulmina” il disordine, tradotta però nel materiale più fragile, la porcellana. Anche le barbarie: i Giganti, simili alla “caduta degli angeli ribelli”, scolpiti nel più raffinato prodotto, il biscuit. Nella poesia onirica di Matilde Serao i Giganti vendicano la fragilità maltrattata di una giovane ragazza di porcellana schiacciata dal suo sfortunato amante accecato dalla perfezione della sua perfetta materia. Questa impresa della manifattura ferdinandea è anche un simbolo del Museo di Capodimonte. È l’opera che i visitatori scoprono subito prima di entrare nelle gallerie; un’opera che riassume l’arte e l’eccellenza dello splendore della corte napoletana al tempo dei Borbone. Grazie alla generosità e al senso civico degli Amici di Capodimonte ed al contributo di BPER Banca e della Seda, che ringrazio vivamente, la Caduta dei Giganti ha oggi riacquistato il suo splendore. Assieme ai curatori scommetto che questa rinascita sia la metafora del futuro che ci aspetta.

SYLVAIN BELLENGER

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Presentazione Errico di Lorenzo Presidente Amici di Capodimonte onlus

In occasione del suo decennale, l’Associazione Amici di Capodimonte ha voluto promuovere, insieme al Museo di Capodimonte, la realizzazione di un importante restauro dedicato alla memoria di Augusto de Luzenberger, che ha offerto, come nessun altro, il più nobile esempio di impegno civile e culturale al servizio del patrimonio museale napoletano, dedicando gli ultimi anni della sua vita, e fino all’ultimo giorno, agli Amici di Capodimonte. Il restauro del grandioso gruppo in biscuit di Filippo Tagliolini raffigurante la Caduta dei Giganti, capolavoro della Real Fabbrica di Ferdinando IV e la realizzazione della nuova vetrina, sono stati resi possibili grazie all’impegno dei restauratori del Museo e all’intervento di chi si è reso disponibile a sostenerne i costi. Sono molto grato pertanto alla BPER Banca, ed in particolare al dottore Antonio Rosignoli, direttore territoriale della Banca ed alla Seda International Packaging, ovvero agli amici dottori Antonio e Gianfranco D’Amato, per la disponibilità con cui hanno immediatamente aderito alla mia richiesta di sostegno. Il restauro del Tagliolini è l’ultima, in ordine di tempo, di una variegata serie di iniziative intraprese dalla Associazione nel suo primo decennio di vita: mostre, progetti per i giovani, donazioni, pubblicazioni scientifiche, borse di studio, laboratori di disegno, acquisizioni, restauri, per citarne solo alcune. Nata per sostenere il Museo di Capodimonte e gli altri compresi in quello che era il Polo museale napoletano, l’Associazione ha cercato di interpretare al meglio il suo ruolo affiancando costantemente l’Istituzione offrendo, quando richiesta, la propria collaborazione. L’apprezzamento ricevuto è la migliore prova che si è operato bene e la più gradita gratificazione per chi ci ha lavorato. La relazione che accompagna il decreto del 23 dicembre 2014 (cosiddetta legge Franceschini) tiene a sottolineare che con la riforma l’Italia volta pagina. Ci auguriamo tutti che sia veramente così ed in questo “nuovo corso” gli Amici di Capodimonte sono pronti a fare la loro parte.

ERRICO DI LORENZO

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La Caduta dei Giganti di Filippo Tagliolini. Un dessert per il Re Patrizia Piscitello

Il restauro della Caduta dei Giganti di Filippo Tagliolini ha presentato una grande opportunità per rileggere l’opera in una visione ravvicinata e alleggerita dalle sovrapposizioni dovute al tempo e ai precedenti interventi che avevano velato dettagli ora riportati alla luce: il modellato curato, l’attenta resa anatomica, l’ariosità della composizione. Il riferimento più antico al grande gruppo scultoreo si trova in una lettera del 16 luglio del 1787 a firma del marchese Caracciolo, Ministro della Real Casa, nella quale si trasmette al direttore della manifattura di porcellana, Domenico Venuti, l’ordine del re Ferdinando IV di interrompere la produzione del ‘Servizio di Porcellana sullo stile di Ercolano già incominciato per uso di S.M […]che si continui solo il Gruppo già mezzo modellato, rappresentante la Caduta de’ giganti’1. Il Gruppo già mezzo modellato a cui si faceva riferimento era il dessert di un servito, sullo stile del celebre servizio Ercolanese, realizzato dalla manifattura a partire dal 1780, per essere inviato in dono a Carlo III a Madrid, nel 1782.2 Per il grandioso dessert del servizio sullo stile di Ercolano si scelse un soggetto ardito, che doveva stupire, intimamente legato alla mitologia e alla storia del territorio, in linea con quanto espresso dal cavaliere Della Torre di Rezzonico sul ‘significato sempre istruttivo della mitologia’3. Già nel II secolo a.C. il geografo greco Strabone aveva collegato la guerra tra Giove e i Giganti ai Campi Flegrei, luogo topico degli itinerari settecenteschi del Grand Tour, inoltre la Gigantomachia, nella cultura greca ed ellenistica, rappresentava la lotta dell’ordine (Giove) contro la barbarie (i giganti), quindi il rapporto con il territorio ed il significato allegorico ne fissavano il tema in linea con il programma di promozione e valorizzazione delle bellezze del Regno demandato alla manifattura protetta4. La Guerra di Giove con i Giganti è anche il soggetto di un bozzetto per una macchina pirotecnica conservato alla Società Napoletana di Storia Patria (inv.10873), firmato dal regio ingegnere Nicola Fiore e databile all’ultimo quarto del Settecento. E’ interessante ricordarlo in questa sede perché lo stesso tema ricorre in due opere coeve legate alla corte, entrambe pensate per figurare in feste ufficiali o pubbliche5, con la funzione di divulgare concetti graditi

ai governanti sotto la metafora della rappresentazione. La Caduta dei Giganti è unanimemente ascritta a Filippo Tagliolini e testimonia l’altissimo livello tecnico e virtuosistico a cui era pervenuta la giovane manifattura6. La gestazione dell’opera fu lunga e complessa come si evince scorrendo i documenti: nel 1789 è ancora citata tra i ‘crudi’ ‘nella stanza di mezzo ai magazzini’; nel 1792 era smontata e venivano fatti dei fori ad alcune figure e al gruppo di Giove con l’aquila, forse per creare alloggiamenti per perni di raccordo in vista del montaggio; nel 1807, all’atto della vendita della manifattura, giace nei magazzini con alcune figure ‘mutilate nella estremità’7. Pertanto è stato ipotizzato che ci si trovi davanti ad un’opera non finita8, ipotesi oggi forse confermata dal ritrovamento di fori sulla base, possibili alloggiamenti per altre figure (cfr. relazione di restauro). Non essendo stati ancora rinvenuti disegni che documentino l’idea del capo modellatore o le fasi di progettazione del manufatto, può essere utile confrontare il nostro dessert con un’opera analoga, realizzata nella stessa manifattura, a stretto giro di anni: il dessert per il Servizio Etrusco offerto in dono a Giorgio III d’Inghilterra9. Purtroppo il manufatto è perduto, ma ne conosciamo il disegno attraverso un’incisione. L’imponente centrotavola raffigurava Tarconte, re degli Etruschi, mentre assisteva ai giochi gladiatori: il fuoco visivo dell’opera coincide con la parte centrale, di forma piramidale, sulla cui sommità siede il re in trono. Confrontando le due composizioni si può ipotizzare che la struttura architettonica ideata per il dessert Etrusco sia il pensiero da cui Tagliolini prende le mosse per la Caduta dei Giganti: un tronco di piramide sulla cui sommità è il protagonista della scena. Ma la Caduta dei Giganti creerà molti problemi di statica, essendo il gruppo costituito solo dagli elementi essenziali: i Giganti, i massi e Giove in ‘chiave di volta’. Era necessario, quindi, studiare una struttura portante che non alterasse l’impatto scenico, per questo Tagliolini strutturò il basamento con quattro giganti/telamoni sui quali insiste un arco di biscuit, al quale sono vincolati i massi e le figure; per enfatizzare l’effetto grandioso di sotto in su diminuì l’altezza delle

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1. Caduta dei giganti, particolare 2. Testa di Zeus detta di Otricoli, Roma, Museo Pio-Clementino

statuine man mano che queste si inerpicavano sul monte10. I riferimenti culturali impiegati nella costruzione di questa macchina sono molteplici, orientati al barocco romano, come è stato evidenziato a più riprese: Borrelli mette in relazione il disegno complessivo con un’incisione di Salvator Rosa dal medesimo soggetto11, per González-Palacios invece dipende da una calcografia di Bartolomeo Coriolano (1641) tratta da Guido Reni e lo stesso collega il gruppo apicale Giove con l’aquila al bronzo di Alessandro Algardi realizzato per un alare di camino (1655 – 1680 ca., Parigi, Louvre)12 e la figura di gigante seduto che si copre il capo sul lato est è stata confrontata dalla Romano all’allegoria del Nilo della Fontana dei quattro fiumi di Gian Lorenzo Bernini, del 165113. Durante il restauro è stato possibile ristudiare l’opera, ampliare il complesso panorama di riferimenti culturali e proporre nuovi confronti. La Caduta dei giganti è un insieme nel quale Tagliolini coniuga elementi eterogenei, messi in campo con grande libertà ed efficacia attraverso l’utiliz-

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zo di modelli e repertori antichi e moderni: le trascrizioni dall’antico, gli studi condotti a Roma durante il periodo di apprendistato all’Accademia del Nudo e la ripresa dei motivi pompeiani e ercolanesi condotta negli anni napoletani. I suoi anni di formazione a Roma dovevano essere stati segnati da un attento studio dell’antico che si ritrova, in una citazione quasi palmare, della Testa di Zeus detta di Otricoli (Roma, Museo Pio-Clementino, Musei Vaticani, fig. 2) nella realizzazione del volto del gigante che cade di schiena (fig.1) Un momento fondamentale della formazione accademica di Tagliolini dovette essere lo studio delle opere romane dei Carracci, come si evidenzia dall’ampio utilizzo delle incisioni sia della raccolta di Luca Ciamberlano, Scuola perfetta Per imparare a Disegnare tutto il corpo Humano Cavata dallo studio, e disegni de Carracci, data alle stampe nel 1626 a Roma da Pietro Stefanoni14, che di quelle che traducono gli affreschi e l’allestimento della galleria Farnese. La Scuola perfetta è un catalogo di modelli per disegnare le


parti del corpo umano utilizzato da Tagliolini per la resa anatomica: dal torso del gigante che precipita, in basso sulla destra (fig. 3) ripreso dall’incisione n. 14 della serie (fig. 5), alla figura seduta sulla destra dell’altro lato (fig. 4) e l’incisione n. 11; le stesse stampe sono più volte messe in opera con delle varianti. Le grinte dei volti urlanti, con le bocche spalancate ed i denti in evidenza, sono in stretta parentela con il volto dell’illustrazione n. 34 e la plastica dei piedi, alcuni dei quali spuntano dalle rocce suggerendo figure sepolte dai massi in caduta, è tratta dagli studi di postura delle stampe nn. 24, 25 e 26. Per definire la statica del gruppo Tagliolini traduce in giganti/telamoni le figure monocrome realizzate da Annibale Carracci per impaginare le storie mitologiche della volta della Galleria Farnese; un riferimento iconografico in linea con le scelte figurative adottate dalla manifattura napoletana, era infatti presente nella fabbrica, tra i repertori ad uso dei pittori e dei modellatori, una raccolta di stampe della galleria Farnese. Si può ipotizzare che si trattasse della bellissima edizione incisa da Pietro Aquila e data alle stampe nel 1674 da Gian Giacomo de’ Rossi15, come documenta la ripresa di alcune statue farnesiane di scorcio nelle miniature del cavetto dei piatti del Servizio delle ‘Antichità’ della Real Fabbrica (fine sec. XVIII, Napoli, Museo Duca di Martina di Napoli). Si possono confrontare le figure sulla destra della scena con Giove e Giunone, stampa 5 della raccolta, il telamone sulla sinistra del riquadro con Diana e Atteone, stampa 7; alcuni telamoni, molto vicini a quelli modellati da Tagliolini (fig. 6 e 7), sono raffigurati, isolati dal contesto, nella stampa n. 15 (fig. 8), indice che la raccolta nasceva anche come repertorio di modelli. Altri confronti sono sullo studio delle posture dei personaggi, come il gigante che fugge, in basso a destra è una rilettura della figura di spalle nella scena di Polifemo, stampa 3 e il gigante che precipita in posizione supina (fig. 9) guarda al Prometeo della scena con Ercole e Prometeo (fig. 10). Testimonianza, infine, del costante dialogo con i modelli ritrovati ad Ercolano e Pompei, è la figura laterale di gigante semidisteso (fig.11), trascrizione, con varianti nella postura delle gambe, del Sileno con otre su pelle leonina (Napoli MANN, inv. 5628 fig. 12) proveniente dalla Villa dei Papiri e tradotto in calcografia nel secondo volume dei bronzi delle Antichità16. Riepilogando si può affermare che Tagliolini realizzò con questo dessert un ‘gruppo di invenzione’ di grande impatto visivo, che voleva essere ad un tempo un manifesto dell’alto livello tecnico cui era pervenuta la manifattura e delle sue personali capacità. Ma come si è accennato la messa in opera creò non poche difficoltà e al momento della cessione della fabbrica, nel 1807, il gruppo era ancora negli ambienti della manifattura e fu trasferito, con gli altri materiali, nel convento di Santa Maria della Vita alla Sanità, accordato come sede mani-

fatturiera ai nuovi concessionari17. La notizia si deduce da un elenco del 1841 in cui vengono elencati oggetti presenti al Palazzo Reale provenienti dal ‘Monistero della Vita’; in data 19 aprile del 1853 è registrato tra gli oggetti conservati nell’Officio della Real Salseria del Palazzo Reale18. Particolare interesse riveste in questa sede la notizia del restauro del gruppo affidato, in data 26 settembre 1861, a Giovine, che può essere identificato con quel Raffaele Giovine, noto per lo più come miniaturista, che aveva l’incarico della manutenzione degli argenti e del vasellame di Corte19; ed è possibile che siano ascrivibili a questo intervento le integrazioni in terracotta rinvenute durante quest’ultimo restauro. Nel 1862, a restauro ultimato, fu commissionata la base lignea per la Caduta dei Giganti e nel 1865 l’opera venne trasferita alla Reggia di Capodimonte20. Così inizia la fortuna museale dell’opera, individuata nelle guide come ‘gruppo capolavoro’, stimata cifre altissime negli inventari e celebre al punto di essere citata nel 1881 da Matilde Serao nel racconto Leggenda di Capodimonte 21. Il trasferimento della Caduta dei Giganti a Capodimonte si inserisce nell’ambito della politica di arricchimento delle raccolte artistiche del palazzo promossa, a partire dal 1863, da Annibale Sacco, direttore dell’Amministrazione della Casa Reale, volta alla formazione di una collezione con porcellane e biscuit provenienti dagli appartamenti delle residenze borboniche22. Viene registrato nell’inventario delle opere presenti al Palazzo di Capodimonte del 187423 e nella guida al museo dell’Alberti del 1876, viene definito ‘gruppo capolavoro’24. In quell’allestimento è posto in posizione centrale nella sala delle porcellane del primo piano, accanto al salottino di porcellana, che era stato montato nella saletta dove attualmente è la collezione Borgia25. Quando si sancisce la destinazione del Palazzo di Capodimonte a sede della Pinacoteca Nazionale e delle altre raccolte d’arte in esso contenute, il soprintendente Molajoli mantiene negli ambienti del lato orientale del piano nobile l'Appartamento Storico’ e nel 1957 - all’inaugurazione del museo – la Caduta dei Giganti venne collocata di fianco al salottino di porcellana, per l'occasione restaurato e allestito in un nuovo ambiente, che tuttora lo accoglie26. Un momento fondamentale per lo studio delle collezioni di porcellane del museo di Capodimonte sarà la mostra Civiltà del ‘700 a Napoli del 1979; il curatore della sezione di arti decorative, Alvar González-Palacios, gettò le basi, attraverso le ricerche d’archivio ed i nuclei di opere recuperate nei depositi e in collezioni private, per la più ampia ricostruzione del profilo dello scultore Filippo Tagliolini che sfociò nell’ampia monografia del 198827. Questi sono gli antefatti che hanno portato, durante il riallestimento del 1995 ideato da Nicola Spinosa, a collocare la Caduta dei Giganti di Tagliolini nell’atrio del museo, snodo fondamentale per l’accesso alle collezioni e alla loro storia.

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3. Caduta dei giganti, particolare 4. Caduta dei giganti, particolare

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5. Studio di nudo di schiena, da Luca Ciamberlano, Scuola perfetta…1626, tav. 14


6. Caduta dei giganti, particolare 7. Caduta dei giganti, particolare

8. Pietro Aquila, Telamone, da Galeriae farnesianae icones‌ 1674, tav. XV

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9. Caduta dei giganti, particolare

11. Caduta dei giganti, particolare

10. Pietro Aquila, Telamone, da Galeriae farnesianae icones… 1674, tav. VI

12. Sileno con otre su pelle leonina, da Antichità di Ercolano Esposte, Bronzi, 1771, tav. XLII

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La notizia viene riportata da Minieri Riccio, Delle porcellane della Real Fabbrica di Napoli, delle vendite fattene e delle loro tariffe, Napoli 1878d, p. 41 il quale, nel citare il documento, compie un errore di trascrizione riportando che si tratta di ‘un servizio di Porcellana sullo stile Etrusco (greco)’ e non come recita la lettera del Marchese Caracciolo, ‘sullo stile di Ercolano’ 2 Il servizio Ercolanese venne realizzato, su indicazione di Domenico Venuti, direttore della manifattura dal 1780, come dono encomiastico per Carlo III di Borbone, come è ben evidenziato nella Spiegazione che accompagnava il servizio: una sorta di captatio benevolentiae per mostrare al re di Spagna i progressi della manifattura di porcellana di Napoli e far sì che, con la sua ancora ampia influenza nel Regno, non creasse impedimenti per il prosieguo dei lavori della manifattura; si veda D. Venuti, Spiegazione d'un servizio da tavola dipinto e modellato in porcellana nella Real fabbrica di Sua Maestà il Re delle Sicilie, Napoli presso Vincenzo Flauto 1782, nella quale veniva ricordato il ruolo centrale di Carlo di Borbone nella riscoperta di Ercolano e Pompei, nella fondazione dell’Accademia Ercolanese del 1755 e veniva sottolineata l’intima adesione delle miniature sul vasellame e delle plastiche in biscuit alle calcografie che illustravano i volumi Le Antichità di Ercolano Esposte, in 8 volumi, realizzati dall'Accademia Ercolanese e dati alla stampe dalla Stamperia Reale dal 1757 al 1792, si segnalarono come l'opera di divulgazione di reperti archeologici più importante del XVIII secolo e contribuirono a plasmare il gusto delle corti europee tra la fine del Settecento e il primo quarto del secolo successivo; Domenico Venuti, archeologo e mente ordinatrice del ‘recupero dell’Antico’ nella fabbrica napoletana, era figlio di quel Marcello Venuti che, chiamato a Napoli da Carlo di Borbone a sovrintendere alla biblioteca e alle raccolte farnesiane, aveva in realtà seguito le prime, folgoranti tappe degli scavi di Ercolano. Domenico Venuti era direttore della Real Fabbrica della porcellana dal dicembre del 1779 e successivamente divenne nel 1785 soprintendente generale degli scavi del Regno e nel 1791 presidente della Giunta per i musei Reali cfr. P. Giusti, La porcellana della Real Fabbrica di Napoli: notizia e considerazioni, in Ricordi dall’Antico, cat. mostra Roma 2008, pp. 96 - 103; nota 23 e L. Ambrosio, La Real Fabbrica delle porcellane di Napoli in Sovrane Fragilità. Le Fabbriche Reali di Capodimonte e di Napoli, cat. mostra a cura di N. Spinosa, Torino 2007, pp. 53 - 62; per la ricostruzione del profilo biografico di Filippo Tagliolini è fondamentale la monografia sullo scultore di A. González-Palacios, Lo scultore Filippo Tagliolini e la porcellana di Napoli, Torino 1988; Filippo Tagliolini (Fogliano di Cascia, 20 settembre 1745 - Napoli, 6 gennaio 1809), artista di formazione romana, aveva studiato alla tradizionale scuola della Roma barocchetta della metà del XVIII secolo. Giovanissimo fu allievo all'Accademia del Nudo in Campidoglio, nel 1766 ottenne il primo premio del Concorso Clementino. La sua esperienza come modellatore in una manifattura di porcellana è documentata sin dal 1773 a Venezia; il passaggio successivo è quando viene registrato nel 1780 tra i collaboratori della Manifattura Imperiale di Vienna: il 28 dicembre di quell'anno viene inviato come ambasciatore presso la Real fabbrica di Napoli proprio per la sua abilità. Il resto è noto: rimarrà a Napoli per tutta la sua carriera, dove legherà il grande successo delle sue riduzioni ‘dall'antico' in biscuit al fortunato sodalizio con Domenico Venuti. 3 Sul recupero iconografico della cultura classica sul vasellame da tavola si ricorda quanto scritto dal cavaliere Della Torre di Rezzonico “bevendo eziandio il bruno cioccolatte, o l'amaro caffè, pascere la vista in una bella copia di un'ercolanese pittura, ed ammirarne la semplicità della composizione, l'ingegnoso pensiero, ed il significato sempre istruttivo della mitologia, o per gli usi di duemila anni fa” cfr. A. González-Palacios, Mecenatismo, ornato e addobbi alla corte di Napoli: 1734 - 1805, in Il Tempio del gusto. Le arti decorative in Italia fra classicismi e barocco, Milano 1984, tomi 2, I, pp. 289-341, p. 291, ripreso 1

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anche da E. Colle, Il Regno di Napoli: decorazioni d’interni e manifatture, in Il Neoclassicismo in Italia da Tiepolo a Canova, cat. mostra a cura di F. Mazzocca, Milano 2002, pp. 247-250, p. 248. 4 G. G. Borrelli, Aspetti della pittura di veduta dal naturalismo al “Secolo dei Lumi” in Iconografia della città in Campania. Napoli e i centri della provincia, a cura di C. de Seta e A. Buccaro, Napoli 2006, pp. 71-82; inoltre R. Muzii, Atmosfere mediterranee: i Campi Flegrei dei ‘dintorni di Napoli, in Campi Flegrei, mito storia realtà, cat. mostra Napoli 2006, pp. 18-27; per una ampia illustrazione delle iconografie adottate nella Real Fabbrica di Porcellana di Napoli si veda Le porcellane dei Borbone di Napoli. Capodimonte e Real Fabbrica Ferdinandea, 1743-1806, cat. mostra a cura di A. Caròla Perrotti, Napoli 1986, in particolare per il recupero dall’antico durante la direzione Venuti e la creazione del Servizio Ercolanese le pp. 327-345. 5 Per il disegno di Nicola Fiore cfr. la scheda di P. Piscitello in Capolavori in festa. Effimero barocco a Largo di Palazzo (1683-1759), cat. mostra a cura R. Lattuada, Napoli 1997, pp. 224-225, scheda 3.16 con bibliografia precedente. 6 González-Palacios cit. 1988, pp. 11-16; A. Caròla Perrotti in Museo Nazionale di Capodimonte. Ceramiche. Porcellane, biscuit, terraglie, maioliche, a cura di L. Martino, Napoli 2006, pp. 47-48. 7 Minieri Riccio cit., 1878d, pp. 47-48; A. Spinosa, Ancora sul laboratorio di Pietre Dure e sull’Arazzeria: i documenti dell’accademia di Belle Arti di Napoli, in Le arti figurative a Napoli nel Settecento. (Documenti e ricerche), a cura di N. Spinosa, Napoli 1979, p.351; González-Palacios, in Civiltà del 700 a Napoli, vol. II, p. 379, nel 1801 è documentato un pagamento ad Eustachio d’Emilio per uno spostamento interno ai locali della manifattura del gruppo dalla stanza a cantone nella stanza della porcellana in biscotto cfr. V. de Martini - A. GonzálezPalacios, Notizia sulla R. Fabbrica della porcellana. Postilla sugli acciai, in “Antologia di Belle Arti”, 1980, 5, pp. 77-87, p. 83. Nell’inventario allegato all’atto di vendita della manifattura del 1807, vengono riscontrate ‘Forme di cinquantuno pezzi di giganti’; le statuine dei giganti erano realizzate in più pezzi - corpo e arti - successivamente giuntati (cfr. relazione di restauro), ma cinquantuno forme a fronte dei venti giganti che fanno attualmente parte del gruppo fa pensare che fossero state realizzate anche forme per figure che non furono mai messe in opera o che una volta ‘gettate’ non erano state ritenute soddisfacenti. 8 A. Gonzales Palacios, Un «deser» con i Templi di Paestum in Il Gusto dei Principi, 1993, voll. 2, vol. I, p. 328 9 Il Servizio Etrusco donato a Giorgio III d’Inghilterra fu portato a Londra da Filippo Tagliolini, era accompagnato da una spiegazione di Domenico Venuti, Interprétation des peintures dessinées sur un service de table travaillé d'après la bosse dans la royale Fabrique de Porcelaine par ordre de la Majesté le Roi des Deux Siciles, Napoli, Stamperia Reale, 1787; Il volume è corredato da 179 tavole che illustrano la morfologia dei singoli pezzi di vasellame, con una descrizione delle vignette dipinte; la tavola finale è dedicata al dessert, cfr. A. Caròla Perrotti cit. Napoli 1986, p. 348. 10 Le statuine dei giganti del livello più in basso sono alte circa 50 cm, man mano che si sale verso l'alto diminuiscono di 4/5 cm. La figura di Giove è sensibilmente più piccola, circa 35 cm, dovuta anche alla volontà di Tagliolini di marcare la differenza di taglia tra i giganti e il dio. 11 G. G. Borrelli, Le fortune di Salvator Rosa in Rosa-Rame: Salvator Rosa incisore nelle collezioni dell’Istituto nazionale per la grafica, cat mostra, Roma 2014, 93 - 106 con bibliografia precedente 12 A. González-Palacios, Souvenir de Rome, in Ricordi dall'Antico, cit., p. 48; Lo scultore Filippo Tagliolini e la porcellana di Napoli, Torino 1988, p. 14, è significativo che González-Palacios nella sua ampia biografia dedicata al Tagliolini ravvisi fin dalla sua prima opera nota, un rilievo Il Re Faraone assiso sul trono che riceve Giacobbe condotto da Giuseppe, in terracotta (Roma, Accademia di San Luca)


presentato nel 1766 al Concorso Clementino e gli valse il primo premio, ravvisa la memoria di bassorilievi antichi ed informato al linguaggio barocco; sullo stesso bassorilievo si veda anche P. Giusti cit. in Roma 2008, nota 44, p. 103 . González-Palacios cit. 1988 p. 14 mette in evidenza il rapporto tra la figura di Giove e gli alari di camino realizzati da Alessandro Algardi. Una figura analoga al Giove con l’aquila che stringe in un artiglio le saette doveva essere stata realizzata da Tagliolini per l’orologio con i Quattro imperj del mondo, come descritto nella canzone che accompagnò la realizzazione dell'opera di D. Venuti, Sull’orologio rappresentante i quattro imperj del mondo fatto nella Real Fabrica della porcellana inventato, e diretto dal cav. Venuti. Canzone, s.n., s.l., p. 4: “E lieto intanto i generosi vanni/Il caro Angel di Giove,/che nel feroce artiglio/Porta i fulmini orrendi, al Ciel si eleva/In alto si solleva,/scorre le vie del Ciel, le nubi fende/E dove in alto ascende/Il Nume fulminante/Volava giulivo in placido sembiante/Poscia drizzando il volo”. 13 E. Romano, La porcellana di Capodimonte. Storia della manifattura borbonica , Napoli 1959, p. 226; sin dall’inventario del 1874 del Museo di Capodimonte il gruppo, registrato al n. 648 è detto realizzato ‘Sul bozzetto di Michelangelo'; questa indicazione è replicata anche negli inventari successivi del museo. 14 La raccolta, di cui ci sono più riedizioni successive, mi è stata segnalata da Lilia Rocco. 15 Nell’inventario di vendita del 1807 al n. 3154 sono registrate Ventisei stampe di Caraccio rappresentati la Galleria Farnesiana in Roma cfr. de Martini- González-Palacios cit. 1980, p. 239; la serie presente della manifattura potrebbe essere quella incisa da Pietro Aquila e data alle stampe a Roma nel 1674 da Gian Giacomo de' Rossi: Galeriae farnesianae icones Romae in Aedibus Sereniss. Ducis Parmensis ab Annibale Carraccio ad veterum aemulatione posterorumque admiratione coloribus expressae cum ipsarum monocromatibus et ornamentis a Petro Aquila delineatae incisae ... / Petrus Aquila Inv. et sculp. ; Carolus Marattus Inv. et delin, Romae : Io. Iacob de Rubeis formis, 1674.; si propone di identificare con questa raccolta quella presente nella manifattura perché dalla TABVLA VI della raccolta sono tratte le miniature di statue farnesiane, di cui una recuperata di scorcio, nel cavetto dei piatti del Servizio delle ‘Antichità' del Museo Duca di Martina di Napoli realizzato nella fabbrica napoletana verso la fine del XVIII secolo, cfr. P. Piscitello in Sovrane Fragilità, cit. pp. 63-68. 16 La stampa è raccolta nel secondo volume dei bronzi delle Antichità di Ercolano Esposte fu dato alle stampe nel 1771, e il Sileno ebbro è illustrato tav. XLII; la stessa scultura è stata da Tagliolini tradotta in biscuit come opera autonoma, un esemplare è conservato a Firenze, Museo degli Argenti cfr. Carola Perrotti in Napoli 1986, p.509; come è noto i volumi delle Antichità di Ercolano erano un testo guida per i pittori e i modellatori della manifattura di porcellana e nell'inventario di vendita del 1807 figurano - n. 3092 Due tomi de’ Bronzi dell’Ercolano, Statue, il primo tomo incompito essendone state staccate delle stampe per i modelli ai Pittori, il secondo tomo si trova compito e in buono stato” cfr. de Martini – González Palacios cit. 1980, p. 238 17 I documenti conservati all’Archivio di Stato di Napoli relativi alle vicissitudini della Caduta dei Giganti nel periodo che intercorre tra la chiusura della manifattura reale e l’arrivo al Museo di Capodimonte mi sono stati generosamente segnalati da Carmine Napoli, funzionario del centro di documentazione del Palazzo Reale di Napoli, che li aveva individuati durante una sua ricerca e di questo lo ringrazio. 18 ASN, Casa Reale Amministrativa, III inv., serie Protocolli e Pandette, busta 80, anno 1841: 1397 Gruppo di biscuit rappresentante Giove che fulmina i Giganti esistente già nel Monistero della Vita; ASN, Casa Reale Amministrativa, III inv., serie Inventari, busta 149, Inventario di tutti gli oggetti esistenti nell’Officio della Real Salseria in Napoli, f. e d. 19 aprile 1853//foglio 73//Un gran gruppo di porcellana dinotante Giove che fulmina i Titani situato su di altro Pancone;

questo documento era già stato reso noto da A. Caròla Perrotti in Napoli 2006, pp. 47-48; ancora nella Real Salseria nel 1858: ASN, Casa Reale Amministrativa, III inv., serie Inventari, busta 148, Inventario di tutti gli oggetti esistenti nell’Officio della Real Salseria in Napoli, f. e d. 8 agosto 1858, f. 73; 19 ASN, Casa Reale Amministrativa, III Inventario, serie Protocolli e Pandette, fascio 304, anno 1861, n. 587, 26 settembre -Gruppo dei Giganti da restaurare da Giovine; G. Novi, La fabbricazione della porcellana in Napoli e dei prodotti ceramici affini, Napoli 1878, p. 249; inoltre cfr. L. Arbace, ad vocem Raffaele Giovine in Civiltà dell'Ottocento a Napoli, cat. mostra, Napoli 1997, p. 608; inoltre A. Caròla Perrotti, Le porcellane estere decorate a Napoli in Napoli 2006, pp. 108 - 110 con bibliografia precedente 20 ASN, Casa Reale Amministrativa, III Inventario, serie Protocollo, fascio 317, anno 1862, 13 ottobre 1862, n. ordine 5546, protocollo 2070, Piedistallo per il Gruppo di biscuit La Caduta dei Giganti ed infine nel 1865 si ritrova ASN., Casa Reale Amministrativa, III Inventario, serie Protocolli e Pandette, fascio 341, anno 1865: Spese per il trasporto e l’imballaggio del gruppo di porcellana r. La Caduta dei Giganti dal salone dell’Ufficio di Vassella nella Reggia di Napoli alla Pinacoteca di Capodimonte. 21 M. Serao, Leggende napoletane, Napoli 1881 22 M. Lucà Dazio, Gli allestimenti 1734-1985 in Capodimonte da Reggia a Museo, a cura di M. Lucà Dazio e U. Bile, Napoli 1995, p. 71 23 Inventario OA 1874, n. 648, fol. 67: “Biscuits dell’antica R. Fabbrica di Capodimonte//Un gruppo colossale di Titani fulminati da Giove (Sul bozzetto di Michelangelo) composto di 22 figure dell’altezza di centimetri 59 ciascuna, sopra piedistallo di legno dipinto a marmo circondato da ringhiera di ferro con quattro pomi d’ottone. Autore Pietro Tagliolini”[sic!]//valore 80.000; le figure che compongono il gruppo vengono indicate nel numero di 22, a fronte delle 21 totali, comprensiva di Giove, da cui è composto oggi; la stima di 80.000 lire è altissima se confrontata a quella di altre opere di grande importanza: il gruppo del Carro di Aurora in biscuit è stimato 8.000 lire e il valore della grande tela di Angelika Kauffmann, Ritratto della famiglia di Ferdinando IV (cm. 310×426) è stimato 12.000 lire. La differenza numerica delle statuine non deve stupire - tra le 22 indicate nel 1874 e le attuali 21 - perché evidentemente si sono fatti degli errori di conteggio, come sembra confermare l'inventario I.C. (1970 circa), n. 4437 che indica il gruppo composto di 25 figure. 24 A. Alberti, Guida Illustrativa del Real Museo di Capodimonte per Alberto Alberti, Napoli 1876, p. 57 25 M. Lucà Dazio e U. Bile cit., p. 62, fig. 47. Pianta del piano nobile 1860-1920. 26 R. Causa, Le collezioni del Museo di Capodimonte – Napoli, Milano 1982, pp. 13 e 29. 27 V. de Martini – A.González-Palacios in Civiltà del '700 a Napoli 1734 - 1799, cat. Mostra Napoli 1979 – 80, voll. 2, vol. II, p. 142 – 143; indispensabile ricordare in questa sede la ricchissima monografia di A. Caròla-Perrotti, La porcellana della real fabbrica Ferdinandea: (17711806), Napoli 1978 e il catalogo della mostra da lei curata Le porcellane dei Borbone di Napoli: Capodimonte e la Real Fabbrica Ferdinandea, 1743-1806, Napoli, Museo Nazionale Archeologico, cat. mostra a cura di Angela Caròla-Perrotti, Napoli, 1986.

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Real Fabbrica della porcellana di Napoli (1771-1806) Filippo Tagliolini (Fogliano di Cascia, 20 settembre 1745 - Napoli, 6 gennaio 1809) Caduta dei Giganti ante 1787 - 1799 biscuit, h cm 162, inv. 515

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Relazione di restauro Ondina Del Pezzo, Antonio Tosini

La Caduta dei Giganti di Filippo Tagliolini di forma piramidale, si compone di venti figure di giganti con alla sommità il gruppo di Giove saettante con l’aquila che stringe i fulmini tra gli artigli tenute insieme da diversi massi in biscuit, resi solidali, tra loro attraverso staffe, rese invisibili da un’incamiciatura di malta cementizia e gesso. Lo sviluppo verticale della scultura è reso possibile dal metodo di esecuzione dell’opera: molte figure sono state realizzate in singole parti – testa e busto, gambe, braccia – modellate autonomamente e successivamente montate a secondo delle necessità della composizione; le statuine assemblate sono individuabili in quelle ricoperte da panneggi pensati proprio per mascherare i punti di giuntura. Questo sistema consentiva di realizzare con più libertà le ardite posizioni delle figure e nello stesso tempo garantiva la stabilità dell’insieme. L’opera presentava un cattivo stato di conservazione: l’intera superficie era ricoperta da uno spesso strato di polveri grasse e di depositi incoerenti, numerose stuccature eseguite in precedenti interventi di restauro appesantivano il carattere dell’insieme. La superficie dell’opera è risultata ricoperta da uno strato di colore grigio chiaro applicato in occasione di precedenti interventi conservativi, la stesura di colore era stata usata per mascherare le molteplici fratture e per uniformare le integrazioni che interessavano soprattutto gli arti dei giganti. L’impiego del colore tuttavia, risultava inadeguato sia dal punto di vista strutturale, perché applicato ad un materiale poroso come il biscuit, sia dal punto di vista estetico; inoltre la scelta di una tonalità grigiastra, al fine di ottenere una mimesi completa delle rime di frattura e delle integrazioni con le parti originali, rinnegava il peculiare biancore di un’opera in biscuit, conferendo una tonalità grigio chiaro a tutta la scultura. In molti casi i giganti presentavano fratture e lacune nelle parti fortemente aggettanti: le dita delle mani, i polsi, le gambe. La prima fase del restauro ha previsto una pulitura con

pennelli a setole morbide e micro aspiratori per eliminare lo strato superficiale di polveri. Si è proceduto ad una documentazione fotografica e alla elaborazione di grafici per determinare puntualmente lo stato di conservazione: è risultata evidente la precaria tenuta strutturale di alcune parti dell’opera, in particolare di due giganti e degli arti inferiori di una terza figura posizionata alla base del gruppo scultoreo. All’atto della rimozione di una delle due figure poste sulla base, è emersa la presenza di un perno in ferro lungo circa 10 cm che, in passato, assicurava la tenuta strutturale della figura al supporto. Il perno era stato segato in occasione di un precedente smontaggio dell’opera e dunque non assolveva più la sua funzione; a causa dell’avanzato stato di ossidazione del ferro, l’ancoraggio aveva determinato la frattura dell’area circostante e la parte di biscuit a contatto con il metallo presentava consistenti residui di ossidazione di colore marrone. Questa prima fase dell’intervento ha messo in evidenza alcuni passaggi storici fondamentali della vita conservativa dell’opera. Nel corso dei secoli il gruppo scultoreo è stato più volte smontato e rimontato, così come documentato dall’errata posizione di alcuni arti. Inoltre, in alcuni parti l’opera presenta fori di ancoraggio, probabili alloggiamenti per figure progettate ma non realizzate. I blocchi scultorei, probabilmente in seguito ad uno smontaggio dell’opera, avevano perso la loro originaria stabilità, pertanto, in occasione di un restauro precedente, erano stati ancorati ad altre parti della struttura mediante fili di ferro. Anche questi vincoli impropri sono stati rimossi durante l’attuale restauro e le cause di instabilità risolte nell’intervento di consolidamento. Il gruppo di Giove con l’aquila , posto alla sommità, è risultato amovibile. Un lungo perno metallico infatti attraversa l’intera struttura in biscuit, collegando la base lignea di supporto alle figure sulla sommità. Prima di procedere alla pulitura sistematica dell’opera sono stati effettuati dei saggi su alcune parti del manufatto che hanno permesso di stabilire i prodotti da utilizzare, la tecnica più adatta e i tempi necessari per raggiungere un adeguato livello di pulitura.

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La Caduta dei Giganti durante il restauro, particolari

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Sono stati applicati sulla superficie del gruppo scultoreo impacchi di carta giapponese e cotone idrofilo imbevuti di tensioattivo e acqua deionizzata, mantenuti in loco per il tempo necessario per ammorbidire lo strato di depositi. La rimozione degli impacchi ha evidenziato la persistenza dei depositi incoerenti, rendendo necessario eseguire risciacqui con acqua deionizzata e spazzolini morbidi sull’intera superficie già trattata. Durante i precedenti interventi di restauro, per garantire il consolidamento della struttura, diverse parti dell’opera erano state parzialmente ricoperte da malta cementizia e gesso; durante l’attuale intervento si è proceduto alla rimozione meccanica del materiale in eccesso, mediante l’utilizzo di bisturi, al fine di far riemergere la superficie originale. In questa fase sono emersi segmenti di cordino in canapa – anche essi puliti e consolidati - che

con ogni probabilità assicuravano le figure alla struttura di sostegno centrale. Nel caso delle lacune di dita e falangi si è proceduto con l’integrazione delle parti che sono state modellate in gesso e ottenute da calchi in gomma siliconica e poi ricomposte. Alcune dita, che erano state ricostruite in terracotta in occasione di un antico restauro, probabilmente databile alla metà dell’Ottocento, sono state consolidate e conservate nelle loro originarie posizioni, rivestendole con un sottile strato di gesso per uniformare il colore. Al termine del restauro si è riusciti a restituire all’opera la straordinaria plasticità del modellato e quasi del tutto il candore del biscuit.

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Leggenda di Capodimonte Matilde Serao

Lassú, sul colle, vive il bosco verdeggiante dalle fresche ombrie. I sentieri si allungano a perdita d’occhio sotto i grandi alberi; sulla terra scricchiolano lievemente le foglie morte. La vegetazione sbuca possente dal suolo, s’ingrossa nei tronchi nodosi, si espande nei rami che si intrecciano, nelle innumerevoli foglie lucide e brune; ai piedi degli alberi cresce l’erba morbida e minuta, dalle foglioline piccine. Nelle siepi fiorisce l’anemone, e sfoglia al suolo i suoi petali la rosa selvaggia. Schizzano, sfilano le lucertoline grigio-verde, dalla testolina mobile ed intelligente, dalla coda nervosa. Sotto gli archi dei grandi. alberi: penetra temperata la luce; tra foglia e foglia il sole getta, sulla terra dei cerchielli ridenti e luminosi; raggi sottili e biondi passano tra i rami. Il silenzio è profondo; è lontana, lontana la rumorosa città. Un profumo vivificante si espande; ogni tanto il garrito allegro di un uccello fa ondeggiare le conche rosee dell’aria. Non è, non è la piccioletta e magra natura dei giardini tagliati ad angoli retti, squadrati, polverosi e malinconici; non sono le aiuole di fiorellini variopinti che non dànno freschezza, non dànno ombra, tirati su con cure infinite; non è la natura corretta e riveduta, sfacciata e pomposa che si stende al sole senza vergogna, riarsa, secca. È la forte e possente natura che irrompe dalla terra vera, e allaga, e inonda la campagna come oceano di verdura; è la natura pudica e grande del bosco, che si ammanta di foglie, che vela il volto divino, che molce la passione delle sue nozze nell’ombre discrete nei placidi silenzi, nei recessi ignoti. È nell’immenso bosco che si sogna; nei quadrivi lontani trapassa rapidissimo un lieve fantasma; nei bruni tronchi apparisce qualche leggiadro volto di donna; la foglia che cade sembra il rumore di un bacio scoccato. È nel discreto e amabile bosco che s’ama… Egli errava nei viali, solo, pallido e triste. La città lo stancava; era incurabile la malattia che gli corrompeva l’anima. L’occhio vitreo s’affisava sopra ogni cosa bella senza piacere, senza dolore; né festa di colori, né capolavoro d’arte, né donna bellissima valevano a trargli un sorriso sulle labbra. Nella città una fanciulla sottile e pensosa si struggeva lentamente per lui d’amore: egli non l’amava. Altrove, altrove era il suo amore. Lassù, forse nelle incomparabili e lucide stelle, gioielli glaciali del cielo; laggiù, forse nelle bianche e verdi onde, il cui fragore rassomiglia al metro di una poesia monotona ed uniforme; al polo, forse, negli albori nevosi, nelle atmosfere frigide, dove il sole non riscalda e non illumina; nella nera ed orrenda Africa, forse, fra le liane rosse e gigantesche e fra i serpenti azzurri dagli occhi ammaliatori. Egli amava lontano in un punto indefinito, in un paese sconosciuto, con un amore sconfinato ed ignoto, una creatura misteriosa che egli aveva creata. Non la chiamava, non la voleva, non la desiderava: l’anima sua nulla sapeva di volontà e di desideri. Amava. Il suo palazzo rimaneva vuoto, la madre si desolava nella solitudine, i servi dormivano nelle anticamere, i nobili cavalli scalpitavano invano nelle vaste scuderie. Egli non si ricordava più di tutto questo. Trascinava la sua vita vagando nelle viottole di campagna, vagando nei viali del bosco, dove ritrovava la pace; trascinava la lenta

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vita consumandosi nell’amore. Il corpo s’illanguidiva, le gote scarne avevano il colore della morte, non mandavano più lampi di vitalità le pupille. È questa la funesta malattia che uccide gli umani; è il fatale ed insanabile amore dell’ideale. Nella nebulosità di un viale, dove si elevava un velo opalino ed iridescente, in un mattino d’inverno, egli la vide. Era una forma snella, senza contorni, fatta d’aria, ondeggiante; fu un balenìo lieve, un luccicare, un istante solo di luce. Egli corse, ansioso, rinvigorito; nulla ritrovò, la forma gentile era scomparsa. Ma come il suo cuore si pose a desiderare ardentemente di rivedere il fuggevole fantasma, con la possanza della volontà lo evocò di nuovo. Sempre lontano, sempre un’ombra vana. Qualche cosa di bianco e di lucido che tremolava, che non toccava il suolo, che si dileguava nelle linee indefinite dell’aria. Quello, quello era il suo amore: giunto sul punto dove gli era apparso, egli s’inginocchiava e baciava la terra, adorando così la immagine fuggitiva. Ogni giorno la divina creatura si concedeva sempre più: gli appariva meno lontana, distinta, più chiara. Era una creatura celestiale, una fanciulla bianca bianca, le cui forme quasi infantili si velavano in un abito candido. Ella compariva e nel volto circonfuso di luce, gli sorrideva; agitando il capo, lo salutava. Poi cominciava a camminare, e lui la seguiva con gli occhi intenti, movendo i passi macchinalmente, concentrato tutto nell’attenzione; ella radeva appena la terra, abbandonava i sentieri noti, penetrava tra gli alberi, appariva e scompariva, voltandosi a sorridere, lasciando che il lembo bianco del suo abito radesse l’erba, con un piccolo e lusinghiero mormorìo. Egli non osava parlarle, tremava, la voce gli moriva nella gola; bastava alla sua felicità contemplare ardentemente, con la fissità della follia, con gli occhi aridi che gli bruciavano, il suo amore che fuggiva dinanzi a lui. Ella girava, girava pel bosco, arrestandosi soltanto un minuto, chinandosi a carezzare i fiori, ma non cogliendoli, non lasciando traccia sull’erbetta calpestata; appena egli la raggiungeva, ella riprendeva la sua corsa. Lui dietro, senza sentire la stanchezza delle sue gambe che diventavano pesanti come il piombo; lui dietro, sostenuto dall’indomita volontà, eccitato, esaltato, sospinto all’ultima e più acuta vibrazione dei nervi. Fino a che, approssimandosi al castello, il celeste fantasma cessava di sorridere, ed una malinconia si effondeva dal volto gentile; poi, entrato nel cupo androne, volgevasi per l’ultima volta, salutava, agitando la mano, e scompariva. Lui non osava gridarle: rimani, rimani! e s’abbandonava sopra un banco, spossato, abbattuto, morto. – Perché non siedi a me daccanto, o dolce amor mio? Perché non mi ti accosti? Non temere, non mi appresserò troppo. Sai che t’amo, so che m’ami; so che dobbiamo troppo avvicinarci. E neppure puoi parlarmi: così vuole il destino. Ma io t’amo; tu sei il mio cuore. L’anima mia è fatta di te; non sono io, sono te; se io muoio, tu morrai; se tu muori, io muoio. Come sei bianca, o divina fanciulla! I tuoi occhi sono trasparenti e chiari, non mi guardano; le tue guance hanno appena una trasparenza rosea, le tue labbra sono pallide pallide, le tue mani sono candide come la neve, ed un fiocco di neve è il tuo manto. Hai tu freddo, cuor mio? Non sai che io ho la febbre, che il sangue schiuma e bolle nelle mie vene, come un’onda impetuosa? Sorridi? Puoi calmarmi così. Quest’ardor che m’infiamma, questo incendio che divampa in me, solo la carezza della tua gelida mano potrebbe domarlo, solo il tocco delle tue gelide labbra potrebbe assopirlo. No! Non allontanarti, resta, resta per pietà di chi t’ama. Non ti chiederò più nulla, creatura bianca ed innocente. Tu leggi in me, vedi che sono puro, che il mio cuore è candido come la tua veste, che non lo macchia desiderio di fango. Non fuggirmi, non rivolgere il volto celestiale; quando tu m’abbandoni, ecco, la vita declina, in me: tutto diventa buio, tutto diventa muto, ed io piango sul mio sogno distrutto, sul mio cuore desolato. Donde vieni tu? Dove vai, quando mi lasci? E perché mi lasci? T’amo, non lasciarmi. Non parlava la fanciulla nei colloqui i d’amore. Ella ascoltava immobile, bianca, pronta sempre a partire; ogni tanto un sorriso indefinito le sfiorava le labbra, una mestizia le compariva in volto; ma sorriso e mestizia erano spostamento di linee, non corrugamen-

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LEGGENDA DI CAPODIMONTE


to di fronte o espansione di labbra; era espressione, luce interna, quasi una lampada soave s’accendesse dietro un velo. Non parlava la fanciulla, ma ogni giorno ella restava più a lungo con colui che l’amava. Egli le parlava lungamente, poi stanco, la voce gli si abbassava a poco a poco, poi taceva. La contemplava, estatico. Ella si muoveva per andarsene. – Non partire, non partire! – supplicava lui. Ella restava ferma innanzi a lui, i piedini bianchi come ale di colombo, appena posati a terra, coi capelli vagamente adorni di rose bianche, con un lembo di abito sostenuto da rose bianche. – Siedi, siedi accanto a me! Ella non sedeva, immota, guardando dinanzi a sé coi grandi occhi senza pupilla. – Parlami, parlami – mormorava lui. Ella non aveva voce, non si muovevano le labbra. Invano egli la pregava, la scongiurava, s’inginocchiava, ella non gli rispondeva. Era inflessibile e serena. Ma in un crepuscolo d’autunno, egli trovò le frasi più eloquenti per esprimere la propria disperazione: batté la fronte a terra, sparse le lagrime più cocenti, adorò la fanciulla. Ella parea si trasformasse; dietro il candore della pelle pareva che cominciasse a correre il sangue. Egli, folle, morente di amore, le offerse la sua vita per una parola. – M’ami? – Sì – parve un sussurrìo. Allora, in un impeto di passione, egli l’abbracciò. Un orribile scricchiolìo s’intese e la divina fanciulla cadde al suolo, frantumata in tanti cocci di porcellana candida. Nella notte profonda, quando i custodi dormivano, nella deserta sala delle porcellane cominciò un mormorìo, un bisbiglio, un’agitazione. Correvano fremiti da una scansia all’altra, attraverso i cristalli; voci irose e sommesse si urtavano, fieri propositi, progetti di vendetta cozzavan l’un contro l’altro. Poco a poco la calma si ristabilì: tutto era deciso. La sfilata cominciò. Prima fu l’Aurora bianca sul suo carro tirato da quattro cavalli candidi; e discesa nel giardino dove lui giaceva svenuto accanto al suo idolo infranto, maledisse per sempre le sue albe; la seguirono le ventiquattro fanciulle che sono le Ore, e sfogliarono rose avvelenate sullo svenuto; dopo vennero gli Amorini, e gli conficcarono nel cuore i dardi acuti e dolorosi. Il gruppo passò. Secondi vennero i sette re di Francia, bianchi, sui cavalli bianchi, Carlomagno, S. Luigi, Francesco I, Enrico II, Enrico IV, Luigi XIII, Luigi XIV; galoppando pei viali, toccarono con lo scettro, con la spada l’infelice, ed ogni colpo gli rintronò nel cervello. Poi ogni statuina s’avviò, gli sputò in viso, lo insultò, lo calpestò; ogni tazza fu piena per lui di cicuta, ogni vassoio di cenere, ogni coppa da fiori contenne per lui fiori malefici e crudeli. Ed infine si mosse il grande gruppo dei Titani che vogliono scalare l’Olimpo: Giove, seduto sull’aquila, fulminò il moribondo, ed i Titani lo seppellirono sotto enorme sepolcro di massi. Poi ognuno riprese la sua via, i gruppi rientrarono nelle scansie e vi rimasero immobili. Fu questa la vendetta della fredda e candida porcellana su colui che aveva frantumata la fanciulla immortale. È questa la storia eterna e fatale. L’ideale raggiunto, toccato, va in pezzi – l’arte si vendica sulla vita - e l’anima muore sotto un immane sepolcro. da Matilde Serao, Leggende napoletane, 1881

LEGGENDA DI CAPODIMONTE

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finito di stampare nel novembre 2015 per conto di prismi editrice politecnica napoli srl stampa e allestimento officine grafiche francesco giannini & figli, napoli


DPLFL GL &DSRGLPRQWH _

il restauro della caduta dei giganti

ISBN 978-88-569-0515-1

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788856 905151


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