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SIMONA DE RICCARDIS Candida Rosa Esperidi 2021 pp.264 €15,00 ISBN 9788855340755
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L’arte non ha tempo. Circoscriverla in un dato periodo è normale, eppure manifesta lungimiranza sfociando in anni senza età. Per l’arte bisogna avere occhio e anima. Su di essa si può abbattere l’incuria e l’indifferenza degli uomini, però appartiene a tutti, ma è cosa di pochi. Chi sa fare arte tramanda la sua bellezza in una trama fitta di genialità e talento. L’arte è come l’amore, più o meno. All’inizio, forse, non comprendi bene entrambe le cose. Anzi, sfuggi ai richiami dell’una e dell’altra meraviglia. Poi tutto ti è chiaro, almeno nella sua essenza. E ne sei catturato attraverso l’alito delle emozioni. Guardi, ammiri, subisci ed attendi. Intanto, nella mente viaggiano storie che costruisci con i sogni. Pensi che tutto possa succedere, almeno quello che vorresti ardentemente. Scopri, così, che le situazioni invece sono un po’ come i trafori della pietra scolpita. Essenziali e vuoti. In quel nulla c’è la trasparenza della conquista che passa attraverso i rifiuti per una libertà scarabocchiata in funzione di un guizzo di sole in corpo. In quei momenti senti la stretta decisa del cambiamento, vedi le cose in modo diverso e comprendi che l’arte è energia pura, è il corridoio che devi attraversare per frugare nelle stagioni delle domande. Le risposte le troverai strappando le condanne alla disperazione, amando. In Candida rosa di Simona De Riccardis punti gli occhi su una Lecce ancora da allargare nelle maglie dell’arte. È il 1619. Il giovane Cesare Penna lascia la sua famiglia per fare il garzone nella bottega di uno degli scultori più noti e stimati in Terra d’Otranto, Francescantonio Zimbalo. Il maestro è un vero talento e le sue opere sono dei capolavori in bellezza e raffinatezza. Accanto a Zimbalo, Cesare trascorre anni di formazione e dalla famiglia dello scultore è trattato come un figlio. Qualcuno però lo vede in modo diverso come lui vede con occhi dell’amore Ponzia, una giovane di cui non è alla sua altezza per mancanza di danaro e di casato. Cesare però ha il genio dell’arte, come il maestro Zimbalo. Entrambi sentiranno addosso l’ignoranza di chi si lascia condizionare da ciò che offusca la ragione per incapacità di una libera interpretazione delle parole e quindi dell’arte stessa. Il romanzo è meraviglioso, bellissimo. La scrittrice ha il dono della narrazione che si fa seta e tramontana. Lo stile sembra una pittura, ti lascia senza parole. Sorpreso. Il lettore raccoglie ogni singola parola del racconto, a volte se le ripete tra i denti per fissarle meglio in mente. La paura che possa sfuggirgli una storia costruita ad arte è tanta, ma sa che quell’inchiostro non lo tradirà.
OLIVIER BLEyS Il mercante di tulipani Piemme Editore 2008 pp.360 €18,50 ISBN 9788838488610 #ladevotalettrice | le recensioni di lucia accoto il mercante di tulipani di olivier Bleys
L’avidità oscura i sentimenti. Spesso non se ne tiene conto perché fanno marcire le cose belle per quell’ambizione malata di crearsi una realtà a propria immagine e somiglianza. Il tornaconto personale, per alcuni, vale più di qualsiasi assaggio di altruismo. Che farsene della gioia del bene comune quando la felicità di un successo individuale rinvigorisce anche la spavalderia. Cadere nella presunzione di essere essenziali ed insostituibili rende ciechi anche i più arguti. In un quadro del genere non si hanno amici, quelli che si definiscono tali sono solo i lacci della scarsella che si aprono e si chiudono per stringere alleanze a proprio favore o per fare il bello ed il cattivo tempo sui propri vizi e sull’esistenza altrui. L’avidità impoverisce l’animo, rende brutta ogni cosa e non ci sono danari che tengano per restituire dignità a ciò che ha perso forma in una sostanza fumosa e dorata. Gli avidi hanno sempre un prezzo troppo alto da pagare per qualcosa che neanche loro immaginano.
In Il mercante di tulipani di Olivier Bleys segui il destino di una famiglia in cerca di ricchezza e che finisce nella perdizione per un fiore. La sua bellezza, una volta sbocciato, è unica. Prima, però, da bulbo sembra una cipolla. Molti sarebbero pronti ad uccidere per averne uno. È il 1635. In Olanda pochi sono quelli che intuiscono le potenzialità dei tulipani. Coltivarli significa diventare ricchi, molto ricchi. Bisogna, però, essere scaltri, esperti, ed anche avidi. E il primogenito della famiglia Van Deruick lo impara presto ed a proprie spese senza badare a niente ed a nessuno. Il romanzo è avvincente. La scrittura è armoniosa, non difetta in nulla. La narrazione scatta sempre con slancio anche quando sembra che la storia sia inquadrata nella fluidità di emozioni e contrasti.