Anno XII°
N°47
Gennaio Marzo 2023
N°47
Gennaio Marzo 2023
Ringraziamo tutti coloro che in questo anno appena conclusosi ci hanno scritto, ci hanno inviato articoli, hanno scaricato e letto Artemisia, ringraziamo tutti quelli che puntualmente ci chiedono le prossime uscite.
Grazie e Buon Anno a tutti.
Anche questo è un numero ricco di articoli!
La rubrica “forum” è ormai da qualche numero diventata una sorta di almanacco, ci piace quindi riportare in essa alcuni approfondimenti sulle varie festività o eventi previsti nel medio periodo, quindi in questo numero analizziamo il 2023 dal punto di vista numerologico, parliamo della Befana e del Carnevale, ma anche della Festa del Papà.
Abbiamo poi un “approfondimento” sulla Giornata della Memoria, su quella del Ricordo e non per ultima sulla Giornata della Memoria Pagana.
Nella rubrica “dossier” facciamo un viaggio alla scoperta delle Pietre della Fertilità, del “labirinto”, nei Trulli pugliesi e parleremo di Girolamo il pietrificatore.
Con “sophia” ci tuffiamo invece nei meandri ottagonali di Castel del Monte e nella astrologia medievale.
Ovviamente è sempre presenta la rubrica sulla Wicca, con approfondimenti sugli Esbat e i Sabba, in questo numero si parlerà anche di animali guida e divinazione.
Infine la rubrica “l’Angolo di Luce”, inaugurata lo scorso numero, davvero interessantissima, tra i vari articoli segnalo Guarire con gli Dei, l’Ojos de Dios, e poi qualcosa di più pratico con dei consigli utilissimi per creare il proprio Herbario.
Come nostra consuetudine la Rivista si chiude con dei Consigli per la Lettura e alcune Poesie del nostro carissimo amico Mario Gabassi.
Che dire, Artemisia si conferma una rivista ricca di articoli e approfondimenti, a voi scoprire questo numero!
Grazie ancora per il vostro affetto e interesse. Buona Lettura!
Informiamo tutti che è possibile contribuire alla stesura di Artemisia. I lettori potranno inviare articoli scrivendo alla E-mail: italus.info@gmail.com
Tommaso Dorhe Direttore di Artemisia
Un particolare ringraziamento va al grafico impaginatore Francesco (VoxGraphic), a Sibilla e Claudia redattori della rivista, a Tommaso Dorhe direttore della Rivista, a Sabrina presidente dell’Associazione Italus. Un Grazie anche a tutti coloro che hanno contribuito a questo numero di Artemisia.
*Il 2023 in breve
*Le origini della Befana
*Il Carnevale
*Festa del papà
• Approfondimento
*Il Giorno della Memoria
*Il Giorno del Ricordo
*La Persecuzione Pagana
• DOSSIER
*Il segreto di Dedalo
*Gli scivoli della fertilità
*Girolamo il pietrificatore
*Segnali nel cielo
*Il mistero dell’ottagono
*Figli delle stelle
pag.3 pag.16 pag.16 pag.18 pag.21 pag.23 pag.24 pag.24 pag.27 pag.29 pag.36 pag.36 pag.39 pag.41 pag.43 pag.46 pag.46 pag.49
*L’animale guida
*Predire il futuro
*Esbat della Luna del Lupo
*Esbat della Luna del Ghiaccio
*Esbat della Luna del Seme
*Preparativi per Imbolc *Sabba di Imbolc – Februa *Preparativi di Primavera *Sabba di Primavera
*Filastrocca per gli Esbat
*Guarire con gli Dei – Athena
*Il mio primo Herbario *Ojos de Dios
pag.54 pag.54 pag.55 pag.56 pag.58 pag.60 pag.62 pag.62 pag.65 pag.67 pag.70 pag.70 pag.72 pag.75 pag.77 pag.78 pag 82
Artemisia è una rivista interattiva e ci tiene ad esserlo, il nostro intento è comunicare, per cui ognuno di voi si senta libero di scriverci. Saremo lieti, per quanto possibile, di esaudire le vostre richieste e pubblicare i vostri articoli. Siamo cnsapevoli che alcuni articoli sono tratti da internet, ma è responsabilità dei singoli autori, da parte nostra c’è la voglia di comuncare e informare nel modo più corretto e indipendente. Così come siamo consapevoli che molte immagini sono tratte da internet, in genere è nostra premura assicurarci che non siano protetti da Copyright, ma nel caso qualche autore ne riconoscesse la proprietà, ce lo comunichi, noi saremo disponibili a rettificare.
Eccoci in un nuovo anno!
Per noi l’anno appena conclusosi è stato l’anno della ripresa, nel vero senso della parola.
Dopo la pausa pandemica (anche se poi fermi non lo siamo mai stati realmente, siamo infatti restati attivi online), abbiamo ricominciato ad incontrarci ed a svolgere gli eventi dal vivo.
E’ stato un anno proficuo, pieno di eventi, ed è stato bellissimo incontrare tante persone, conoscervi e condividere con voi.
Emozionante è stato l’Italus Weekend 2022 ma anche la seconda edizione del Wicca Festival, due eventi molto partecipati, che ci hanno dato molta gratificazione.
Certo, non possiamo che non esprimere un pensiero per la situazione geopolitica attuale, con le varie guerre in corso, l’Ucraina, l’Iran, la lista sarebbe lunga… a questi si aggiungono poi le difficoltà sociali ed economiche, ma non fatevi travolgere dall’angoscia...
Siate positivi e propositivi sempre, abbiate Coraggio!
In questo nuovo anno abbiamo in programma molti eventi di cui parleremo nel corso dei mesi.
Sarà certamente un anno pieno di attività, alcuni di questi saranno i Circle Moon mensili, la XIII° Giornata della Memoria Pagana, l’Italus Weekend 2023, oltre che le varie celebrazioni dei Sabba.
Quello che possiamo Augurare a tutti voi per questo nuovo anno è di Essere Positivi, Propositivi e di avere Fiducia in Voi Stessi.
Nella speranza che in questo nuovo anno ognuno di voi possa cambiare per rendere questo mondo più equo e più sano, vi auguriamo un 2023 pieno di Gioia e Serenità!
Grazie di cuore a tutti voi.
Ogni bene a tutti quanti.
ITALUS Associazione Culturale Wicca www.italus.info italus.info@gmail.com
Con il “Laboratorio Italus” si viene a concretizzare, per Noi e per Voi, la possibilità di seguirci ed essere seguiti su tutto il territorio nazionale. Unire persone distanti ma vicine negli intenti e nei principi è l’obiettivo del Laboratorio.
Il LABORATORIO è uno spazio in cui la Italus darà la possibilità, a chi aderirà al progetto, di essere parte attiva alle attività associative. Grazie ad internet, al cosiddetto webinar, proprio come una sede reale, ci ritroveremo all’ora prestabilita a trattare di alcuni argomenti e in cui tutti i partecipanti avranno la possibilità di intervenire attivamente nel corso dell’evento, per porre domande o anche condividere idee. Useremo il gruppo Facebook “Laboratorio Italus”, per chi non è iscritto a Facebook useremo invece un gruppo WhatsApp
All’interno del Laboratorio saranno quindi trasmessi i nostri workshop, le nostre conferenze, alcune interviste e approfondimenti.
Il Laboratorio è una officina in cui ci si confronta e si affrontano determinate tematiche con l’intento di apprenderne l’essenza del tema trattato, cercando di demolire alcune speculazioni e mercificazioni. Con l’intento di creare comunità, trasmettere delle conoscenze, spingere ad un’elevazione delle coscienze e creare Cultura.
Contatti:
Blog Laboratorio Italus: www.laboratorioitalus.blogspot.com E-mail: italus.info@gmail.com
Le attività vengono svolti attraverso l’omonimo gruppo facebook.
Forte della nostra esperienza, il Progetto vuole essere una vera e propria “scuola”, composta da 3 gradi, ognuno dei quali prevede un ciclo annuale, con un programma teorico e pratico, con tanto valutazione finale ed eventuale ingresso al grado successivo.
Una realtà unica nel panorama italiano, fondata nel 2018 in occasione dei dieci anni della Coven wiccan del Quadrifoglio e del settennale della Italus Associazione.
L’Anno Accademico dell’Accademia Wicca Italiana ufficialmente inizia all’Equinozio d’Autunno e termina al Solstizio d’Estate.
Le Iscrizioni all’Accademia Riapriranno il 10 Settembre 2023, il percorso inizia sempre dal primo anno dell’Accademia, non importa se si è iniziati ad altre tradizioni wiccan.
* Per Iscriversi:
- bisogna aver compiuto i 18 anni di età;
- il richiedente dovrà rispondere ad un breve test e attendere il giudizio dell’Accademia; - se il giudizio è positivo bisognerà versare la quota annuale.
* La Quota annuale, non rimborsabile, può essere versata all’Associazione Italus nei seguenti modi:
- tramite PayPal con il seguente indirizzo mail italus.info@gmail.com ; - tramite PostePay chiedendo tramite mail il numero della carta, intestata al presidente della Italus Associazione;
* Costo di Iscrizione: la Quota Annuale varia a secondo gli anni: - l’Iscrizione al Primo Anno è di €uro 10,00 (dieci); - l’Iscrizione al Secondo Anno è di €uro 15,00 (quindici); - l’Iscrizione al Terzo Anno è di €uro 20 (venti).
* Per Seguire i Corsi: l’Accademia usa il social network di Facebook, essendo questo il più diffuso. Nel gruppo facebook “Accademia Wicca Italiana” Nel gruppo, per gli iscritti, saranno periodicamente pubblicati gli argomenti da studiare e vi sarà un tutoraggio.
I residenti nel comune di Roma avranno modo di usufruire di incontri (reali) periodici con i membri della Covend el Quadrifoglio.
* Tutte le Informazioni le trovate nel Blog: www.accademiawiccaitaliana.blogspot.com - email: italus.info@gmail.com
Il Centro Studi dell’Associazione italus (C.S.I.) riunisce tutte le persone interessate, sia professionisti e sia appassionati, che hanno un serio interesse per lo studio e l’approfondimento in varie e specifiche tematice: Storia - Cuture - Religioni - Patrimoni culturali - Ambiente - Filosofie - Wicca - Paganesimo - Progetti sociali ecc. www.centrostudi-italus.blogspot.com https://centrostudi-italus.blogspot.com/
Artemi S i A è una rivista d’informazione, legata all’Associazione Italus, una pubblicazione on-line gratuita e non cartacea. www.artemisia-rivista.blogspot.com http://artemisia-rivista.blogspot.com/
i tA lu S e dizioni è una casa editrice no-profit, nata a Roma nel 2012, con lo scopo di valorizzare il merito e le qualità di nuovi scrittori che intendono esprimere la propria creatività e le proprie aspirazioni sia nel campo della saggistica che della narrativa di ogni genere. www.italusedizioni.wordpress.com https://italusedizioni.wordpress.com/
La S PIRI tu A l Bene SS e R e è un progetto della Italus Associazione, che propone incontri, corsi, seminari, pratiche tutte concentrate al benessere spirituale/energetico. www.spiritualbenessere.blogspot.com http://spiritualbenessere.blogspot.com/ PA g A n Se Rv IC e S è una serie di servizi offerti dall’Associazione Italus e dalla Coven del Quadrifoglio per la “comunità” Wiccan Italiana. Pagan Services (servizi pagani), offre alla “comunità” wiccan, Cerimonie di Handfasting, Rituali di Benvenuto, Handparting, Cerimonia di Commemorazione. www.paganservices.blogspot.com http://paganservices.blogspot.com/
L’A CCA dem IA W ICCA ItA l IA n A è una vera e propria scuola on-line, il nome Accademia infatti è stato adottato non per caso. un percorso on-line dalla durata di 3 Anni in cui è possibile apprendere e comprendere la Wicca, in particolar modo la tradizione della Wica Italica.
www.accademiawiccaitaliana.blogspot.com https://accademiawiccaitaliana.blogspot.com/
A Rtem Ide A è l’e-commerce della Italus Associazione, che auto-finanzia le attività associative.
www.artemideashop.blogspot.com http://artemideashop.blogspot.com/
C IRC le m oon (circolo lunare) è un incontro mensile organizzato dalla Italus Associazione e dalla Coven wiccan del Quadrifoglio. un incontro serale che segue le fasi della Lunari, in cui ci si riunisce, si celebra e si pratica. www.italus.info/circle-moon https://italus.info/circle-moon/
Il W ICCA Fe S t I vA l è un’occasione per conoscere la storia e le sfaccettature della Wicca, per far chiarezza nella confusione del web, cercando di diffondere in modo serio e onesto il messaggio spirituale della Wicca. www.wiccafestival.blogspot.com https://wiccafestival.blogspot.com/
L’ItA lu S Weekend è un “ritiro spirituale” che la Italus Associazione organizza annualmente dal 2016. un Weekend dedicato al benessere spirituale, immersi nella natura, con svolgimento di pratiche sciamaniche, rituali di purificazioni wiccan e di ringraziamento, meditazioni, con momenti dedicati all’escursione e ad esercizi per il benessere fisico e spirituale. www.italusweekend.blogspot.com https://italusweekend.blogspot.com/
Il gI o R no PA g A no dell A m emo RIA è un’ evento annuale che vuole ricordare tutte le vittime innocenti, uccise o torturate, solo perché fedeli ad antichi culti pre-cristiani o ad ideali e filosofie diverse da quelle dominanti nei secoli scorsi. www.giornopaganodellamemoria.blogspot.com http://giornopaganodellamemoria.blogspot.com/
Il Sol S t I z I o d’eS tAte è un evento annuale dell’Associazione Italus, con la collaborazione della Coven Wica del Quadrifoglio, esso vuole condividere con chi lo vuole, i festeggiamenti del Solstizio d’estate. un modo per socializzare e conoscere la spiritualità Wicca.
www.solstizioestate.blogspot.com http://solstizioestate.blogspot.com/
So PHIA è un progetto del Centro Studi dell’Associazione Italus, con l’intento di riscoprire il pensiero di alcuni filosofi e non solo. www.progettosophia.blogspot.com http://progettosophia.blogspot.com/
Cl I o è un progetto del Centro Studi dell’Associazione Italus. l’intento è quello di commemorare i più importanti personaggi che hanno contribuito alla nascita del neopaganesimo e, più in generale, influenzato l’esoterismo moderno. www.clioprogetto.blogspot.com http://clioprogetto.blogspot.com/
Il Progetto S A k R o S è un progetto ambizioso che ha lo scopo di riconnettere l’uomo con la natura (il creato), tramite percorsi, simboli, piante, vogliamo sensibilizzare l’essere umano come essere vivente ad una maggiore connessione con l’ambiente naturale, con il Pianeta, il Creato e quindi il divino. Sakros è un giardino Alchemico. www.progettosakros.blogspot.com http://progettosakros.blogspot.com/
SITO INTERNET (ufficiale): http://www.italus.info
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Il Wicca Festival 2022 si è svolto domenica 30 ottobre 2022, ed è stato dedicato alla Memoria di Gerald Gardner, fondatore della Wicca.
La Seconda Edizione del Wicca Festival si è aperta con una Conferenza sulla Wicca presieduta dalla Italus Associazione, in seguito sono stati trasmessi i contributi video di alcuni sacerdoti o esponenti di alcune tradizioni wiccan italiane. Nel pomeriggio si sono svolti dei workshop, infine il Festival si è conclusa con una Conferenza su Samhain e il Rituale wiccan svolto dalla Coven del Quadrifoglio inerente a Samhain.
Sono intervenuti al Festival: Cristina Pandolfo sacerdotessa della Wicca Dianica; Alice Guarente vicepresidente del Circolo dei Trivi e Sacerdotessa Wicca della tradizione gardneriana / alexandriana; Lilithluna Marella Morosoli, Gran Sacerdotessa Wicca del Tempio Morrigan e Cernunnos Triskele; Arke’o guardiano del Tempio del Fuoco – gruppo di aggregazione spirituale; Angela Puca, antropologa, il suo intervento è stato relativo alla presenza della Comunità LGBTQI+ nella Wicca e nel Paganesimo in generale. Infine è stato presentato il Questionario Neopagano 2021, a cura di Luce (rivista Pimalaya), Leron (Italus associazione) e Sarah Bernini.
La Italus Ringrazia Anima Verde per la preziosa collaborazione, ma ringrazia gli amici che sono intervenuti alla Conferenza, che hanno reso il Festival esaustivo e completo, che potrete meglio conoscerli consultando la sezione “partnership 2022” del blog.
Ringraziamo inoltre l’attore Marco d’Ippolito che ha recitato tre monologhi sul “Matto – l’Eremita - l’Appeso” (scritti da Doriana Quartini) e l’artista Chiara Ruggeri che ha esposto i suoi quadri legati ai 4 elementi.
Si Ringraziano tutti coloro che hanno preso parte al Festival!
Nel blog del Wicca Festival www.wiccafestival.blogspot.com O nel Canale Youtube della Italus è possibile ascoltare gli interventi alla conferenza del Wicca Festival 2022.
Alla pagina accanto alcune foto del Wicca Festival 2022.
ITALUS WEEKEND 2023
26-27-28 maggio 2023
L’Italus Weekend 2023 si svolgerà in Umbria, dal 26 al 28 maggio, presso un casale sulle rive del fiume Nera, immersi nel verde. Come nostra consuetudine sarà un ritiro spirituale immersi nella Natura, incentrato su pratiche spirituali e per il benessere fisico.
*VENERDÌ 26 maggio 2023
ore 12:00 - Inizio Weekend e Arrivo nel Casale; ore 13:30 - Pranzo; ore 16:00 - Presentazione della Italus Associazione e delle Attività che verranno svolte; ore 16:30 - Rituale di Purificazione e Armonizzazione con i 4 Elementi, durante il quale ci sarà un’offerta al Genius Loci (genio del luogo) ore 17:00 – Connessione alla Terra - 1 chakra - il radicamento
- Connessione all’Aria - 5 chakra - la danza nel vento - Connessione al Fuoco - 3 chakra – accensione del braciere
- Connessione all’acqua – 2 e 4 chakra – purificazione in riva al fiume nera ore 18:30 – Connessione al Genius Loci – 6 e 7 chakra – Rituale Sciamanico per approcciare con il proprio spirito guida. ore 20:30 – Cena; ore 22:00 – Serata Esoterica (divinazione, sperimentazione, confronto su temi a scelta)
*SABATO 27 maggio 2023
ore 8:30 – Cinque Wiccan (esercizi fisici/spirituali) e Canto Armonico; ore 9:00 – Colazione; ore 10:30 – Workshop le Rune Wicca – percorso spirituale ed esperienziale ore 13:30 – Pranzo; ore 15:30 – Pomeriggio a scelta fra escursioni autonome o attività: rituale sciamanico con gli spiriti guida, silvoterapia, danza e disegno spirituale; ore 18.00 – Workshop su elementi di astrologia (i partecipanti dovranno indicare al momento dell’adesione data luogo e ora di nascita). ore 20:30 – Cena; ore 22:00 – Circle Moon – serata in onore della fase lunare in corso con chiacchiere astrologiche
*DOMENICA 28 maggio 2023
ore 8:30 – Cinque Wiccan (esercizi fisici/spirituali) e Canto Armonico; ore 9:00 – Colazione; ore 10:30 – Rituale di ringraziamento al Genius Loci (genio del luogo); ore 11:30 – Creazione del proprio strumento magico utilizzando i doni della natura; ore 12:30 – Fine del Weekend e rientro. *gli orari sono orientativi, soggetti a modifiche.
La quota complessiva del Weekend è di €uro 160, che andrà a coprire: colazione, pranzo, cena, pernottamento (in camere da 3 / 4 posti letto) e tutte le attività elencate. Non sono previste stanze singole. Per gli esterni il costo è di 20 euro a giornata.
* Il 10 Marzo 2023 è il Termine Ultimo per prenotare e versare la caparra di €uro 60,00. * Il rimborso della caparra è previsto solo ed esclusivamente nel caso la Italus dovesse annullare il Weekend.
Per maggiori informazioni scrivere alla mail italus.info@gmail.com e visitare il Blog: www.italusweekend.blogspot.com A fianco alcune foto del casale che ci ospiterà >>
Le date e maggiori informazioni saranno pubblicate all’interno del Sito Internet dell’Associazione e nelle Pagine Facebook, Twitter e Instagram www.italus.info
Per maggiori informazioni a riguardo scriveteci alla E-mail: italus.info@gmail.com
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Qui di seguito riportiamo i workshop e gli eventi in programma, i Workshop continueranno ad essere trasmessi anche online (all’interno del Laboratorio Italus).
* Gennaio - Il Potere della Luna -
* Febbraio - La Cromoterapia -
* Febbraio - XIII° Giornata della Memoria Pagana -
* Marzo - L’Elemento Aria -
* 19 Marzo - Celebrazione dell’Equinozio di Primavera -
Mensilmente saranno organizzati i Circle Moon
le date saranno pubblicate di volta in volta nelle nostre pagine social
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* Per saperne di più, sui Corsi che la Italus offre, potete farlo tramite il seguente link: www.spiritualbenessere.blogspot.it
Qui di seguito riportiamo gli indirizzi di posta elettronica dell’Associazione Italus, strumenti di contatto tra l’Associazione e il pubblico tesserato e non.
Sito internet dell’Associazione Italus: www.italus.info http://www.italus.info
Blog della Rivista Artemisia: www.artemisia-rivista.blogspot.com
E-mail per informazioni generiche sull’Associazione italus.info@gmail.com
E-mail del Presidente dell’Associazione e del Consiglio Direttivo dell’Associazione italus.info@gmail.com
E-mail della Rivista Artemisia, per collaborare e inviare articoli; per comunicare con la rivista o inoltrare suggerimenti italus.info@gmail.com
E-mail per il Centro Studi Italus italus.info@gmail.com
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ARTEMISIA
Anno XII°, N° 47 Gennaio / Marzo 2023
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DIRETTORE: Tommaso Dorhe
REDATTORI: Sabrina Lombardini (Sibilla) Tommaso Dore Leron (Francis Voice) Claudia G.
GRAFICO - Art Director: Fracesco - VoxGraphic http://www.voxgraphic.altervista.org/
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Questa rivista non rappresenta un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001, essendo strumento informativo interno all’Associazione Italus.
Il copyright degli articoli appartiene ai rispettivi autori.
Il Tempietto Altare è in legno decorato, con due ante mosse, al suo interno di possono inserire le immagini delle Divinità. La grandezza è di 13cm x 18cm chiuso - aperto è invece di 26cm x 18cm.
* Il Tempietto Altare Wicca - è con decorazioni che richiamano la natura, i cicli stagionali, infatti è fornito di 4 immagini di Divinità da alternare, inerenti proprio ai cicli stagionali.
Costo: €uro 40,00
* Puoi Acquistarlo effettuando il pagamento su PayPal attraverso l’indirizzo mail: italus.info@gmail.com – specificando il prodotto e l’indirizzo di recapito (spedizione). Scrivere a italus.info@gmail.com per ricevere maggiori info.
Blog: www.artemideashop.blogspot.it E-mail: italus.info@gmail.com
Sommando le cifre che compongono il 2023 (2+0+2+3) abbiamo come somma il 7. Nella numerologia il SETTE è il POTERE DELLA MAGIA
Secondo la nostra “previsione numerologica” il 2023 sarà un anno imprevedibile, dove tutto potrà accade.
Potremmo assistere all’acutizzarsi di guerre e rivoluzioni oppure alla loro risoluzione.
Sarà l’anno della completezza, ciò che accadrà in questo anno influenzerà i due anni successivi (almeno due anni, perché i cicli numerologici hanno la durata di 9 anni, nel 2025 si concluderà questo ciclo iniziato nel 2017).
Dovremmo aspettarci dei cambiamenti a livello sociale e geopolitico, sia in positivo che in negativo, non si escludono crisi di governo o di carattere amministrativo.
Sarà un anno dove più o meno tutti saranno investiti da un bisogno o desiderio di cambiamento. Come sarà questo cambiamento non è dato sape-
re, perché tutto dipende da come questa “energia” sarà indirizzata, da come gli eventi saranno affrontati, certamente quello che accadrà in questo 2023
avrà una sua influenza futura.
L’imprevedibilità è la grande forza del numero 7 ricalca quella della Magia, potente arte che solo se ben indirizzata può manifestarsi nella sua grandezza e potenza.
Un anno intenso!
Gli Eventi del 2023 (quelli principali).
1º gennaio: la Svezia assume la presidenza di turno dell’Unione europea. l’euro diventa la moneta ufficiale della Croazia. Dal 7 al 11 febbraio: settantatreesimo Festival di Sanremo. 28 marzo: l’Aeronautica Militare Italiana compie 100 anni. 8 Aprile: 50 anni dalla morte di Pablo Picasso
5 Maggio:
Eclissi Lunare di Penombra, visibile dall’Italia dalle ore 17:14 alle ore 19:22.
9, 11 e 13 maggio: Eurovision Song Contest 2023 a Liverpool, nel Regno Unito.
1º luglio: la Spagna assume la presidenza di turno dell’Unione europea. Dal 10 luglio al 20 agosto: IX° Campionato mondiale di calcio femminile in Australia e in Nuova Zelanda. Dall’ 8 settembre al 28 ottobre: X° Campionato mondiale di rugby in Francia.
16 Ottobre: 100 anni dalla fondazione di Disney Brothers
Studios.
18 Ottobre; Eclissi Lunare Parziale, visibile dall’Italia dalle ore 21:35 alle ore 22:14.
2 Dicembre: 100 anni dalla nascita di Maria Callas
9 dicembre: afelio della cometa di Halley a 35,1 UA, raggiungerà il punto più lontano dal sole per poi lentamente avvicinarsi rendendosi visibile dalla Terra nel 2061.
27 Dicembre: 100 anni dalla morte di Gustave Eiffel. Arved
La Befana, (termine che è una corruzione di Epifania, cioè manifestazione) nell’immaginario collettivo è un mitico personaggio con l’aspetto da vecchia che porta doni ai bambini buoni nella notte tra il 5 e il 6 gennaio.
La sua origine si perde nella notte dei tempi, discende da tradizioni magiche precristiane e, nella cultura popolare, si fonde con elementi folcloristici e cristiani: la Befana porta i doni in ricordo di quelli offerti a Gesù Bambino dai Magi.
L’iconografia è fissa: un gonnellone scuro ed ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle, un fazzoletto o un cappellaccio in testa, un paio di ciabatte consunte, il tutto vivacizzato da numerose toppe colorate. Vola sui tetti a cavallo di una scopa e compie innumerevoli prodigi. A volte, è vero, lascia un po’ di carbone (forse perché è nero come l’inferno o forse perché è simbolo dell’energia della terra), ma in fondo non è cattiva. Curioso personaggio, saldamente radicato nell’immaginario popolare e - seppure con una certa diffidenza - molto amato. Fata, maga, generosa e severa... ma chi è, alla fine? Bisogna tornare al tempo in cui si credeva che nelle dodici notti fantastiche figure femminili volassero sui campi appena seminati per propiziare i raccolti futuri. Gli antichi Romani pensavano che a guidarle fosse Diana, dea lunare legata alla vegetazione, altri invece una divinità misteriosa chiamata Satia (dal latino satiaetas, sazietà) o Abundia (da abundantia).
La Chiesa condannò con estremo rigore tali credenze, definendole frutto di influenze sataniche, ma il popolo non smise di essere convinto che tali vagabondaggi notturni avvenissero, solo li ritenne non più benefici, ma infernali. Tali sovrapposizioni diedero origine a molte personificazioni diverse che sfociarono, nel Medioevo, nella nostra Befana. C’è chi sostiene che è vecchia e brutta perché rappresenta la natura ormai spoglia che poi rinascerà e chi ne fa l’immagine dell’anno ormai consunto che porta il nuovo e poi svanisce. Il suo aspetto laido, rappresentazione di tutte le passate pene, assume cosi una funzione apotropaica e lei diventa figura sacrificale. E a questo può ricollegarsi l’usanza di
bruciarla.
Nella tradizione popolare però il termine Epifania, storpiato in Befana, ha assunto un significato diverso, andando a designare la figura di una vecchina particolare.
Come abbiamo avuto modo di vedere per le altre tradizioni italiane che si svolgono in tutto l’arco dell’anno, molte nostre festività hanno un’origine rurale, affondando le loro radici nel nostro passato agricolo. Così è anche per la Befana.
Anticamente, infatti, la dodicesima notte dopo il Natale, ossia dopo il solstizio invernale, si celebrava la morte e la rinascita della natura, attraverso la figura pagana di Madre Natura. La notte del 6 gennaio, infatti, Madre Natura, stanca per aver donato tutte le sue energie durante l’anno, appariva sotto forma di una vecchia e benevola strega, che volava per i cieli con una scopa. Oramai secca, Madre Natura era pronta ad essere bruciata come un ramo, per far sì che potesse rinascere dalle ceneri come giovinetta Natura, una luna nuova.
Prima di perire però, la vecchina passava a distribuire doni e dolci a tutti, in modo da piantare i semi che sarebbero nati durante l’anno successivo.
In molte regioni italiane infatti, in questo periodo, si eseguono diversi riti purificatori simili a quelli del Carnevale, in cui si scaccia il maligno dai campi grazie a pentoloni che fanno gran chiasso o si accendono imponenti fuochi, o addirittura in alcune regioni si costruiscono dei fantocci di paglia a forma di vecchia, che vengono bruciati durante la notte tra il 5 ed il 6 gennaio.
La Befana coincide quindi, in certe tradizioni, con la rappresentazione femminile dell’anno vecchio, pronta a sacrificarsi per far rinascere un nuovo periodo di prosperità.
Questa festa ha però assunto nel tempo, anche un significato lievemente diverso. Nella cultura italiana attuale, la Befana non è tanto vista come la simbolizzazione di un periodo di tempo ormai scaduto, quanto piuttosto come una sorta di Nonna buona che premia o punisce i bambini.
I bambini buoni riceveranno ottimi dolcetti e qualche regalino, ma quelli cattivi solo il temutissimo carbone, che simboleggia le malefatte dell’anno passato. Il potere psicologico della Befana sui bambini è quindi molto forte ed i suoi aspetti
pedagogici non vanno di certo trascurati.
In alcune regioni, come il Lazio, la Befana è una figura molto importante ed intorno alla sua festa si svolgono importanti fiere culinarie, ma è anche l’ultimo giorno di vera festa, l’ultimo in cui si tiene l’albero di Natale a casa. Addirittura, in molte regioni d’Italia, c’è l’usanza, anche tra gli adulti, di scambiarsi dei regali più modesti rispetto a quelli del 25 dicembre, oppure, soprattutto tra innamorati, cioccolatini e caramelle.
Secondo il racconto popolare, i Re Magi, diretti a Betlemme per portare i doni a Gesù Bambino, non riuscendo a trovare la strada, chiesero informazioni ad una vecchia.
Malgrado le loro insistenze, affinchè li seguisse per far visita al piccolo, la donna non uscì di casa per accompagnarli. In seguito, pentitasi di non essere andata con loro, dopo aver preparato un cesto di dolci, uscì di casa e si mise a cercarli, senza riuscirci.
Così si fermò ad ogni casa che trovava lungo il cammino, donando dolciumi ai bambini che incontrava, nella speranza che uno di essi fosse il piccolo Gesù.
Da allora girerebbe per il mondo, facendo regali a tutti i bambini, per farsi perdonare.
La Befana, tradizione tipicamente italiana, non ancora soppiantata dalla figura “straniera” di Babbo Natale, rappresentava anche l’occasione per integrare il magro bilancio familiare di molti che, indossati i panni della Vecchia, quella notte tra il 5 il 6 gennaio, passavano di casa in casa ricevendo doni, perlopiù in natura, in cambio di un augurio e di un sorriso.
Oggi, se si indossano gli abiti della Befana, lo si fa per rimpossessarsi del suo ruolo; dispensatrice di regali e di piccole ramanzine per gli inevitabili capricci di tutti. Dopo un periodo in cui era stata relegata nel dimenticatoio, ora la Befana sta vivendo una seconda giovinezza, legata alla riscoperta e alla valorizzazione delle antiche radici, tradizioni e dell’autentica identità culturale.
Nella tradizione cristiana i Re Magi sono magi. La parola ‘mago’ che si usa per indicare questi personaggi non va identificata con il significato che oggi noi diamo. Il vocabolo deriva dal greco ‘magoi’ e sta ad indicare in primo luogo i membri di una casta sacerdotale persiana (in seguito anche babilonese) che si interessava di astronomia e astrologia. Potremo meglio nominarli: studiosi dei fenomeni celesti.
Nell’antica tradizione persiana i Magi erano i più fedeli ed intimi discepoli di Zoroastro e custodi della sua dottrina che secondo il Vangelo di Matteo giunsero da oriente a Gerusalemme per adorare il bambino Gesù, ovvero il re dei Giudei che era nato. I Magi provenienti da oriente, ovvero dalla Persia, furono, quindi, le prime figure religiose ad adorare il Cristo, al quale presentano anche dei doni crismali.
“La stella, veduta dai Magi, secondo l’opinione più probabile, dedotta dalle sue caratteristiche, era una meteora straordinaria, formata da Dio espressamente per dare ai popoli il lieto annunzio della nascita del Salvatore”
Molto si è scritto su questa stella. Diverse sono state le ipotesi che possono riassumersi a tre: una cometa, una ‘stella nova’, una sovrapposizione di satelliti.
Non si può neppure pensare ad una ‘stella nova’,
bagliore prolungato emesso da corpi celesti invisibili al momento della loro esplosione. Infatti nell’area di Gerusalemme non ne comparve nessuna tra il 134 a.C. ed il 73 d.C.
La Grande Enciclopedia Illustrata della Bibbia sembra propendere per la terza ipotesi, già condivisa a suo tempo da Keplero: “Di tutte le spiegazioni possibili la più probabile rimane quella, in qualche modo accettabile sulle fonti, secondo cui si è trattato di un’insolita posizione di Giove, l’antica costellazione regale. L’astronomia antica si è occupata dettagliatamente della sua comparsa in un preciso punto dello zodiaco e l’ha identificata, sul grande sfondo di una religiosità mitologico-astrale molto diffusa, con la divinità più alta. Essa era importante soprattutto per gli avvenimenti della storia e del mondo, in quanto i movimenti di Saturno erano facilmente calcolabili. Saturno, il pianeta più lontano secondo gli antichi, era il simbolo del dio del tempo Crono e permetteva immediate deduzioni sul corso della storia. Una congiunzione di Giove e di Saturno in una precisa posizione dello zodiaco aveva certamente un significato tutto particolare. La ricerca più recente si lascia condurre dalla fondata convinzione che la triplice congiunzione Giove-Saturno dell’anno 6/7 a.C. ai confini dello zodiaco, al passaggio tra il segno dei Pesci e quello dell’Ariete, deve aver avuto un enorme valore. Essa risulta importante come una ‘grande’ congiunzione e, in vista della imminente era del messia (o anche età dell’oro), mise in allarme l’intero mondo antico”.
Il carnevale è una festa la cui tradizione si perde nella notte dei tempi. La sua storia nasce dall’ultimo banchetto che si era soliti allestire prima del periodo di Quaresima
Quest’anno la settimana di Carnevale inizia con giovedì grasso del 16 febbraio e termina con 21 febbraio, martedì grasso.
Il carnevale è senza dubbio la festa più pazza e variopinta dell’anno, dove tutto è permesso e dove il gioco, lo scherzo e la finzione diventano, per un po’, una regola. Si tratta di una delle ricorrenze più diffuse e popolari del mondo, basti pensare all’immensa notorietà di cui godono eventi come il Carnevale di Rio o quello di Venezia che non mancano di attirare milioni di turisti. Ma cos’è il Carnevale? Da dove nasce la sua tradizione?
Il termine “carnevale” deriva dalla locuzione latina carnem levare – ovvero, letteralmente, “privarsi della carne” – che si riferiva all’ultimo banchetto che tradizionalmente si teneva l’ultimo giorno prima di entrare nel periodo di Quaresima e quindi nel “martedì grasso” che precedeva il “mercoledì delle ceneri”. Il martedì grasso è da sempre l’occasione per gustare i dolci tipici del carnevale, come le chiacchere chiamate anche frappe o bugie, le frittelle o castagnole e tutte le golosità che cominciano a comparire sempre prima nelle pasticcerie e negli store.
Si tratta, dunque, di una festa tipica dei Paesi a tradizione cattolica anche se, come spesso accade, la sua saga è stata “rielaborata” a partire da pratiche ben più antiche. Per esempio nell’Antico Egitto erano soliti tenersi periodi di festa in onore della dea Iside durate i quali si registrava la presenza di gruppi mascherati; una consuetudine simile a quelle delle feste in onore del dio Dioniso in Grecia e dei “saturnali” romani, che avevano in comune, oltre che l’uso del travestimento, il fatto di rappresentare un temporaneo “rovesciamento dell’ordine precostituito”, da cui la pratica dello scherzo ed anche della dissolutezza.
Fu su questo substrato – peraltro comune anche ad altre civiltà assai diverse da quelle europee – che l’Europa cattolica rielaborò la festa del carnevale dandogli un significato all’interno del calendario cristiano. Le prime testimonianze dell’uso del termine nel significato con cui oggi lo conosciamo, risalgono al XIII secolo sia nella zona di Firenze che in quella di Roma. Ben presto divenne tradizione in quasi tutta la nostra penisola e si espanse in tutto il mondo cristiano del tempo.
Essendo legato all’inizio della Quaresima e quindi alla data della Pasqua, la collocazione precisa del carnevale nel calendario varia di anno in anno: nel 2014 il martedì grasso cade il 4 marzo. Potete consultare il calendario completo di carnevale qui.
Da segnalare anche la tradizione del carnevale Ambrosiano, la cui particolare durata – finisce infatti con il “sabato grasso” quattro giorni dopo rispetto al tradizionale martedì – sembra risalire ad un pellegrinaggio del vescovo Sant’Ambrogio che aveva annunciato il suo ritorno “In tempo per celebrare con i milanesi le ceneri”. A causa del suo ritardo, la popolazione posticipò il rito alla domenica successiva per attendere il suo Pastore, “modificando” la consuetudine carnevalesca.
Inutile dire che i festeggiamenti del carnevale, soprattutto in Italia, sono molteplici e affondano le loro radici nei secoli: Viareggio, Cento, Satriano, Acireale, Fano, Putignano, Verona, Striano sono solo alcune delle tradizionali rassegne carnevalesche oggi considerate fra le più importanti del mondo, ognuna con i suoi peculiari ed inimitabili riti.
Il Carnevale di Venezia, di gran lunga il più popolare nel mondo, è quello che possiede le origini più antiche: un documento originale datato 1094 fa menzione di un “pubblico spettacolo” nel periodo pre-quaresimale per le strade della città e la festa venne formalmente istituita dal Doge nel 1296. Dopo 800 anni di storia, il carnevale fu vietato da Napoleone nel 1797 dopo la sua occupazione armata della città perché giudicato “sovversivo” e fu “riportato alla luce” solo nel 1979.
Ad Ivrea, invece, il carnevale si celebra dal 1808 ed è caratterizzato dalla originalissima “Battaglia
delle Arance” che vede impegnate 9 squadre che rappresentano le diverse “contrade” della città, in stile Palio di Siena.
La festa del papà nasce nei primi decenni del XX secolo, complementare alla festa della mamma per festeggiare la paternità e i padri in generale.
La festa è celebrata in varie date in tutto il mondo, spesso è accompagnata dalla consegna di un regalo al proprio padre.
In molti Paesi la ricorrenza è fissata per la terza domenica di giugno, mentre in Italia viene festeggiata il 19 marzo.
La prima volta che fu festeggiata sembra essere il 5 luglio 1908 a Fairmont in West Virginia, presso la chiesa metodista locale. Fu la signora Sonora Smart Dodd la prima persona a sollecitare l’ufficializzazione della festa; senza essere a conoscenza dei festeggiamenti di Fairmont, ella organizzò la festa una prima volta il 19 giugno del 1910 a Spokane, Washington. La festa fu organizzata proprio nel mese di giugno perché in tale mese cadeva il compleanno del padre della signora Dodd, veterano della guerra di secessione americana.
Nei Paesi che seguono la tradizione statunitense, la festa si tiene la terza domenica di giugno. In molti Paesi di tradizione cattolica, la festa del papà viene festeggiata il giorno di san Giuseppe, padre putativo di Gesù, ovvero in corrispondenza con la Festa di San Giuseppe.
In alcuni Paesi la festa è associata ai padri nel loro ruolo nazionale, come in Russia, dove è celebrata come la festa dei difensori della patria, e in Thailandia, dove coincide con il compleanno dell’attuale sovrano Rama IX, venerato come padre della nazione.
Giulia OrsiniIl 27 gennaio ricorre l’annuale Giorno della Memoria, una ricorrenza internazionale celebrata ogni anno come giornata in commemorazione delle vittime dell’Olocausto.
Fu designata dalla risoluzione 60/7 delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005, fu stabilito di celebrare il Giorno della Memoria ogni 27 gennaio perché in quel giorno del 1945 le truppe dell’Armata Rossa, impegnate nella grande offensiva oltre la Vistola in direzione della Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz e la sua apertura mise alla luce tutti gli orrori perpetrati ai danni degli ebrei.
Con il termine Olocausto, parola coniata da Raphael Lemkin, venne utilizzata a partire dalla seconda metà del XX secolo, per indicare lo sterminio nazista verso tutte le categorie ritenute “indesiderabili”, e che causò circa 15 milioni di morti in pochi anni, tra cui 5-6 milioni di ebrei, di ogni sesso ed età.
Una storia raccontata non solo nei libri ma anche e soprattutto riportata visivamente nei documentari e numerosi e toccanti film che di questa si sono occupati.
Vite e storie narrate del museo sulla Shoah di Berlino. Passeggiando per le sale oscure si può vedere e ma non capire perché un popolo è stato sterminato per un’ideale di purità ariana, non solo per motivi di razza ma anche nascostamente e subdolamente economici e commerciali.
Un popolo che annoverava sia commercianti, che scienziati, che artisti, che persone qualunque che
avevano un fede, quella ebrarica e che per questa erano stati uccisi. Erano diventati numeri, quelli marchiati sulle loro braccia e che dovevano ricordare e capire perché, se chiamati (in tedesco) e non rispondevano, venivano picchiati.
Un popolo a cui è stata tolta la propria dignità. E’ la dignità che viene annullata dai genocidi. La dignità che divide l’umo dalla bestia.
Ricordare è necessario per non ricadere nello stresso dramma.
Qualche dato sulle vittime dell’Olocausto: Ebrei (42%) = 6 milioni Polacchi, Ucraini e Bielorussi (22%) = 4 milioni Prigionieri di guerra sovietici (20%) = 3 milioni Politici (10%) = 2 milioni (inclusi 150.000 massoni; 7.000 miliziani anti-franchisti spagnoli; ecc.)
Yugoslavi (3%): 350.000 serbi; 25.000 sloveni Rom (2%) = 300.000 Disabili (1%) = 270.000
Atri (1%): 5.000 omosessuali; 1.900 testimoni di Geova; altri piccoli gruppi di afro-europei; ecc.
L’Europa è nata, per evitare che nei suoi territori nascessero altre guerre simili.
Ed in effetti dopo la fine della seconda guerra mondiale nel ’43, l’Europa da allora vive un lungo periodo di pace.
Ma se l’Europa non è più agitata da guerre e genocidi dalla fine dell’infamante Seconda Guerra Mondiale, si può dire lo stesso di altrove, in altre
aree geografiche?
Abbiamo scelto di parlare su queste pagine anche di alteri genocidi, spesso invisibili perchè lontani, nonostante i mezzi di comunicazione e i giornalisti ce ne abbiano riportato l’eco.
I “Giovani Turchi” (ufficiali nazionalisti dell’Impero ottomano) ordinarono tra il 1915 e il 1923 vasti massacri contro la popolazione armena cristiana. Le successive deportazioni di massa porteranno il numero delle vittime a un milione e mezzo circa.
Nell’anno 1900, la rivolta dei “Boxer” causò oltre 30 mila morti, in gran parte cristiani. E sono almeno 48 milioni i cinesi caduti sotto il regime di Mao tra il “Grande salto in avanti”, le purghe, la rivoluzione culturale e i campi di lavoro forzato, dal 1949 al 1975.
DEI
Non meno di 20 milioni i russi eliminati durante gli anni del terrore comunista di Stalin (1924/1953). Esecuzioni di controrivoluzionari e di prigionieri, vittime del gulag o della fame.
Con l’avvento del nazismo di Hitler in Germania (1933/1945) viene avviato lo sterminio del popolo ebraico in Europa; le vittime di questo immane olocausto sono calcolate in oltre 6 milioni di persone, la gran parte di loro morta nei campi di sterminio.
DEI
Nel periodo 1965/67, quasi un milione di comunisti indonesiani sono stati deliberatamente eliminati dalle forze governative indonesiane, mentre tra il 1974 e il 1999 sono stati eliminate da gruppi
paramilitari filo-indonesiani 250 mila persone della popolazione di Timor-Est.
- GENOCIDIO
DEL POPOLO CAMBOGIANO
Un milione di cambogiani sono morti in soli quattro anni, tra il 1975 e il 1979, sotto il regime di terrore instaurato dai Khmer rossi di Pol Pot.
- GENOCIDIO
DEL POPOLO SUDANESE
Si stima che un milione e novecentomila cristiani e animisti siano morti a causa del blocco imposto dal governo di Khartum all’arrivo degli aiuti umanitari destinati al Sudan meridionale.
- GENOCIDIO
DEI POPOLI DEL RWANDA E DEL BURUNDI
Dal 94 ad oggi, 800 mila civili ruandesi sono stati massacrati nel conflitto scoppiato tra hutu e tutsi; un’analoga cifra è stimata per le vittime del vicino Burundi.
- GENOCIDIO
DEI POPOLI DELL’AMERICA LATINA
Dalla Rivoluzione messicana, ai “desaparecidos” delle dittature militari degli ultimi decenni del XX secolo, sono oltre un milione le vittime innocenti
della violenza di Stato dei regimi sudamericani. Inoltre solo in Amazzonia si calcola che quasi 800 mila indios sono morti in un secolo, per le angherie e i soprusi subiti.
Un organismo dell’ONU ha stimato nel 1998 in un milione di morti, tra cui 560 mila bambini, gli iracheni morti a causa dell’embargo internazionale e della politica di Saddam Hussein.
Non si hanno a tutt’oggi cifre sicure sulle vittime dei genocidi e delle “pulizie etniche” compiute nella ex-Yugoslavia, in Liberia, Sierra Leone, Angola, Congo, Libano, Corea del Nord, Sri Lanka, Haiti, Tibet … e l’elenco purtroppo si allunga ogni anno di più!
Nell’aprile del 1945 in tutta Italia si festeggia la fine della guerra. Ma nel Friuli Venezia Giulia, proprio in quei giorni, ha inizio un periodo di orrori che durerà a lungo e culminerà con la fuga di circa 350.000 persone, in seguito alle persecuzioni degli jugoslavi di Tito.
Le vittime dei massacri furono fascisti, collaborazionisti del governo italiano, spie, ma anche membri del CLN (Comitato di liberazione nazionale) e partigiani. L’eccidio fu, di fatto, una pulizia etnica tesa ad annullare l’identità italiana sul territorio jugoslavo.
Migliaia furono le vittime di Tito gettate nelle foibe. Queste ultime, il cui nome deriva dal latino fovĕa (“fossa”), sono voragini rocciose di origine carsica assai numerose nell’Istria, dove se ne contano oltre 1500.
Solo nel 2005, gli italiani furono chiamati per la prima volta a celebrare, il 10 febbraio, il «Giorno del Ricordo», in memoria dei quasi ventimila italiani torturati, assassinati e gettati nelle foibe.
Nel 1943, dopo tre anni di guerra, le cose si erano messe male per l’Italia. Il regime fascista di Mussolini aveva decretato il proprio fallimento con la storica riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943. Ne erano seguiti lo scioglimento del Partito fascista, la resa dell’8 settembre, lo sfaldamento delle nostre Forze Armate.
Nei Balcani, e particolarmente in Croazia e Slovenia, le due regioni balcaniche confinanti con l’Italia, il crollo dell’esercito italiano aveva fatalmente coinvolto le due capitali, Zagabria (Croazia) e Lubiana (Slovenia). Qui avevano avuto il sopravvento le forze politiche comuniste guidate da Josip Broz, nome di battaglia «Tito», che avevano finalmente sconfitto i famigerati “ustascia” (i fascisti croati agli ordini del dittatore Ante Pavelic che si erano macchiati di crimini), e i non meno odiati “domobranzi”, che non erano fascisti, ma semplicemente ragazzi di leva sloveni, chiamati alle armi da Lubiana a partire dal 1940, allorché la Slovenia era stata incorporata nell’Italia divenendone una
provincia autonoma.
La prima ondata di violenza esplose proprio dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi di Tito si vendicarono contro i fascisti che, nell’intervallo tra le due guerre, avevano amministrato questi territori con durezza, imponendo un’italianizzazione forzata e reprimendo e osteggiando le popolazioni slave locali.
Con il crollo del regime - siamo ancora alla fine del 1943 - i fascisti e tutti gli italiani non comunisti vennero considerati nemici del popolo, prima torturati e poi gettati nelle foibe. Morirono, si stima, circa un migliaio di persone. Le prime vittime di una lunga scia di sangue.
Tito e i suoi uomini, fedelissimi di Mosca, iniziarono la loro battaglia di (ri)conquista di Slovenia e Croazia - di fatto annesse al Terzo Reich - senza fare mistero di volersi impadronire non solo della Dalmazia e della penisola d’Istria (dove c’erano borghi e città con comunità italiane sin dai tempi della Repubblica di Venezia), ma di tutto il Veneto, fino all’Isonzo. Nella primavera del 1945 l’esercito jugoslavo occupò l’Istria (fino ad allora territorio italiano, e dal ‘43 della Repubblica Sociale Italiana) e puntò verso Trieste, per riconquistare i territori che, alla fine della prima guerra mondiale, erano stati negati alla Jugoslavia.
Non aveva fatto i conti, però, con le truppe alleate che avanzavano dal Sud della nostra penisola, dopo avere superato la Linea Gotica. La prima formazione alleata a liberare Venezia e poi Trieste fu la Divisione Neozelandese del generale Freyberg, l’eroe della battaglia di Cassino, appartenente all’Ottava Armata britannica. Fu una vera e propria gara di velocità.
Gli jugoslavi si impadronirono di Fiume e di tutta l’Istria interna, dando subito inizio a feroci esecuzioni contro gli italiani. Ma non riuscirono ad assicurarsi la preda più ambita: la città, il porto e le fabbriche di Trieste.
Infatti, la Divisione Neozelandese del generale Freyberg entrò nei sobborghi occidentali di Trieste
nel tardo pomeriggio del 1° maggio 1945, mentre la città era ancora formalmente in mano ai tedeschi che, asserragliati nella fortezza di San Giusto, si arresero il 2, impedendo in tal modo a Tito di sostenere di aver «preso» Trieste.
La rabbia degli uomini di Tito si scatenò allora contro persone inermi in una saga di sangue degna degli orrori rivoluzionari della Russia del periodo 1917-1919.
Tra il maggio e il giugno del 1945 migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare la loro terra. Altri furono uccisi dai partigiani di Tito, gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati. Secondo alcune fonti le vittime di quei pochi mesi furono tra le quattromila e le seimila, per altre diecimila.
Fin dal dicembre 1945 il premier italiano Alcide De Gasperi presentò agli Alleati «una lista di nomi di 2.500 deportati dalle truppe jugoslave nella Venezia Giulia» ed indicò «in almeno 7.500 il numero degli scomparsi».
In realtà, il numero degli infoibati e dei massacrati nei lager di Tito fu ben superiore a quello temuto da De Gasperi. Le uccisioni di italiani - nel periodo tra il 1943 e il 1947 - furono almeno 20mila; gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case almeno 250mila.
A Fiume, l’orrore fu tale che la città si spopolò. Interi nuclei familiari raggiunsero l’Italia ben prima che si concludessero le vicende della Conferenza della pace di Parigi (1947), alla quale - come dichiarò Churchill - erano legate le sorti dell’Istria
e della Venezia Giulia. Fu una fuga di massa. Entro la fine del 1946, 20.000 persone avevano lasciato la città, abbandonando case, averi, terreni.
Il dramma delle terre italiane dell’Est si concluse con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947. Alla conferenza di Parigi venne deciso che per il confine si sarebbe seguita la linea francese: l’Italia consegnò alla Jugoslavia numerose città e borghi a maggioranza italiana rinunciando per sempre a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia.
Il trattato di pace di Parigi di fatto regalò alla Jugoslavia il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani, con l’accordo che sarebbero poi stati indennizzati dal governo di Roma.
Questo causò due ingiustizie. Prima di tutto l’esodo forzato delle popolazioni italiane istriane e giuliane che fuggivano a decine di migliaia, abbandonando le loro case e ammassando sui carri trainati dai cavalli le poche masserizie che potevano portare con sé. E, in seguito, il mancato risarcimento.
La stragrande maggioranza degli esuli emigrò in varie parti del mondo cercando una nuova patria: chi in Sud America, chi in Australia, chi in Canada, chi negli Stati Uniti.
I primi a finire in foiba nel 1945 furono carabinieri, poliziotti e guardie di finanza, nonché i pochi militari fascisti della RSI e i collaborazionisti che non erano riusciti a scappare per tempo (in mancanza di questi, si prendevano le mogli, i figli o i genitori).
Le uccisioni erano crudeli. I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili.
Soltanto nella zona triestina, tremila persone furono gettati nella foiba di Basovizza e nelle altre foibe del Carso.
Valeria DosaIntorno al III° secolo d.C., a causa dell’affermarsi del Cristianesimo e di altre religioni di tendenza enoteistiche, iniziò il lento declino delle religioni pagane, declino inizialmente circoscritto all’interno dell’Impero Romano.
Fu Galerio il primo imperatore romano a emanare un editto di tolleranza per tutte le religioni, ma sarà Costantino a agevolare l’ascesa del Cristianesimo e il declino del paganesimo.
Nel 313 l’imperatore Costantino emanò l’Editto di Milano. L’Editto di Milano stabiliva, giustamente, la libertà di culto per tutte le religioni e pose fine alle persecuzioni contro i cristiani. L’errore fu che da questo momento la posizione del Cristianesimo come religione di stato si andò a consolidarsi sempre di più, a scapito delle religioni pagane.
Nel III secolo l’impero era in profonda crisi, e all’imperatore Costantino serviva l’oro per sistemare le casse dell’impero. Essendo il Paganesimo una religione molto ricca, all’interno dei templi erano infatti custodite enormi quantità di oro, offerte sacre fatte dai fedeli, tutti questi beni erano indispensabili per l’imperatore Costantino.
In questa situazione a Costantino era diventata molto utile per la salvezza economica dell’Impero la diffusione del Cristianesimo, per via del loro “comandamento della carità” e di un approccio alla vita terrena più remissivo.
Ben presto il Cristianesimo si pose in rivalità con le esistenti religioni pagane, specie quando l’imperatore Costantino si convertì alla nuova religione. Intorno al 320 un nuovo editto, sempre emanato da Costantino, proibì i sacrifici e le pratiche divinatorie private. Con Costantino convertito al Cristianesimo anche i suoi figli ne furono influenzati, è il caso di Costanzo II. Nel 341 fu emanato un editto che proibiva i sacrifici pagani, anche in pubblico, e stabiliva che tutti i templi pagani dovevano essere chiusi. Ma la reazione fu di totale disaccordo, tanto che Costanzo II e suo fratello Costante emanarono nuovi leggi che preservavano i templi e stabiliva multe contro i vandalismi rivolti a tombe e monumenti, ponendoli quest’ultimi sotto la custodia dei
sacerdoti pagani. Nel 356 venne emanato un editto che puniva con la morte i trasgressori delle precedenti legislazioni.
In seguito ai privilegi concessi al Cristianesimo si assistette, spesso da gruppi di fanatici, a vari episodi di distruzione di sculture di divinità e luoghi di culto pagani, con la scusante della credenza che questi luoghi o sculture fossero le dimore di demoni. Il 27 febbraio 380 i tre imperatori Graziano, Valetiniano II e Teodosio I promulgarono l’editto di Tessalonica. Con questo editto la religione Cristiana divenne ufficialmente religione di stato. Nel 381 fu proibita nuovamente la partecipazione a tutti i riti pagani, stabilendo che coloro che da cristiani si fossero convertiti ala religione pagana perdessero il diritto di fare testamento legale. Nel 382 fu emanato un emendamento il quale sanciva la conservazione degli oggetti pagani di valore artistico. Nel 383 il giorno di riposo, il dies solis, fu rinominato dies dominicus divenendo obbligatorio (nacque la domenica). In seguito a questi emendamenti vi furono varie rivolte, da parte dei pagani. Come reazione Teodosio irrigidì ulteriormente la sua politica religiosa e tra il 391 e il 392, furono emanate i decreti teodosiani, che attuavano in pieno l’editto di Tessalonica. Vennero interdetti gli accessi ai templi pagani e ribadita la proibizione di qualsiasi forma di culto, inasprendo ulteriormente le pene amministrative per i cristiani che si convertissero al paganesimo.
L’inasprimento della legislazione “anti-pagana”, alimentò l’atteggiamento ostile e barbarico dei cristiani, molti templi pagani furono distrutti e provocarono varie rivolte da parte della comunità pagana. A partire dal 391 Teodosio I proibì il mantenimento di qualunque culto pagano e il sacro fuoco nel tempio di Vesta (che da secoli ardeva ininterrotto) venne spento, decretando la fine dell’ordine delle Vestali. L’ultima gran sacerdotessa di Vesta fu Celia Concordia (384). I successori di Teodosio I, Arcadio in oriente e Onorio in occidente, ribadirono la proibizione di tutti i culti pagani. Un decreto
del 408 sanciva che i templi erano edifici pubblici e come tali andavano conservati, eliminandone gli elementi del culto pagano. Nel 415 ad Alessandria d’Egitto, il vescovo Cirillo di Alessandria (oggi Santo per la chiesa cristiana) fu responsabile del martirio della filosofa Ipazia. Le fonti ci narrano che fu presa da una banda di fanatici cristiani (guidati dal vescovo Cirillo) e trascinata in una chiesa dove fu fatta a pezzi e poi bruciata. Nel 435 Teodosio II ordinò la distruzione di tutti i templi pagani rurali sopravvissuti.
Durante il V secolo l’atteggiamento verso i templi cambiò, quelli che non furono distrutti vennero trasformati in chiese. La motivazione ufficiale fu la volontà di esorcizzare quei luoghi, in realtà il motivo era prettamente economico, era meno dispendioso riutilizzare un tempio che costruire una
chiesa ex novo. Inoltre riadattando i templi per il nuovo culto si sperava di attenuare la forte ostilità esistente tra i due gruppi religiosi dei pagani e dei cristiani. Nella sua diffusione, il Cristianesimo lentamente riuscì a distruggere la paganità dell’occidente, privandone i miti del loro significato esoterico/allegorico, schiacciandone le ideologie, abbattendo i suoi luoghi di culto, le accademie e le filosofie, eliminando fisicamente sacerdoti, filosofi ed intellettuali. La repressione venne attuata anche (specialmente) con la conversione di simboli, figure, divinità pagane in elementi accomunati alla figura di Satana, e quando questi simboli erano molto sentiti dalla popolazione diventavano simboli legati alla vita del Cristo (un esempio è la croce, simbolo per eccellenza solare). Tra il IX e il X secolo molti altri luoghi pagani, legati alla sacralità del territorio, furono recuperati e riutilizzati dagli
eremiti per costruirvi eremi e monasteri.
A partire dal II millennio il termine “pagano” venne usato per identificare gli appartenenti a religioni non cristiane, spesso con una valenza dispregiativa, sinonimo di arretratezza e ignoranza. Più tardi venne adottato il termine “eretico” per identificare quegli uomini con idee o filosofie diverse o contrastante alla teologia Cristiana.
Nel 1184 Papa Lucio III, durante il Concilio di Verona (presieduto anche dall’imperatore Federico Barbarossa), con la stipula “Ad abolendam diversa rum haeresum pravitatem” costituì l’Inquisizione.
L’Inquisizione (o Santa Inquisizione) fu quell’istituzione ecclesiastica atta ad indagare, a reprimere il movimento cataro e controllare i diversi movimenti spirituali e pauperistici e all’occorrenza punire, mediante apposito tribunale, i sostenitori di teorie o filosofie considerati contrarie o pericolose per l’ortodossia cattolica. L’intento ufficiale era quello di riportare gli eretici nella via della “vera fede”. Questo degenerò in una serie di condanne spesso ingiuste e infondate, dando vita alla (delirante) “Caccia alle Streghe”.
Per Stregoneria si indica un insieme di pratiche magiche e rituali, spesso di derivazione pagana. La figura della strega ha radici pre-cristiane, ed è presente in quasi tutte le culture, una figura a metà strada tra lo sciamano e l’uomo dotato di poteri occulti. La strega (stregone al maschile) è quindi esperta in varie discipline o comunque ne è a conoscenza di esse, tra le discipline più note vi sono l’uso medico delle erbe, dei cristalli, delle pietre e la conoscenza delle “arte” divinatorie. L’alone demoniaco gli fu attribuito quando l’Inquisizione iniziò a dargli la “caccia”. Lo stesso Paracelso affermava di aver imparato di più da una strega che dai filosofi e dai medici del suo tempo. La Caccia alle Streghe fu avvalorata anche dal passo 22,12 del libro dell’Esodo, venne tradotto in: “Non lascerai vivere chi pratica magia”; in realtà l’espressione originale in ebraico intendeva: “... qualcuno che opera nell’oscurità e blatera”.
Da specificare che con il termine “strega” o “eretico” venivano accusati tutti coloro che si distaccavano dal credo dell’ortodossia cristiana (spesso infatti non erano persone dediti ai culti magici/
esoterici, ma persone che si ribellavano ad alcuni dogmi imposti).
L’imperatore tedesco Frederik II, nel 1224 emanò una legge con il quale ordinava che tutti i colpevoli di eresia venissero condannati al rogo. Nel 1252 Papa Innocenzo IV emanò la bolla “Ad extirpanda” con cui autorizzò l’uso della tortura, il successore Giovanni XXII estese i poteri dell’Inquisizione anche nella lotta contro la stregoneria. La prima strega della quale abbiamo notizie storiche certe, si chiamava Angele e venne condannata al rogo, a Tolone (Francia) nel 1274. Su richiesta dei sovrani di Spagna, Ferdinando e Isabella, Papa Sisto IV nel 1478 estese l’Inquisizione nelle terre di Spagna, con l’iniziale intento di debellare l’islam e successivamente (con la scoperta dell’America e l’inizio del colonialismo) fu estesa alle colonie dell’America centromeridionale e nel vice-regno di Sicilia, questa oggi viene conosciuta come l’Inquisizione Spagnola.
In Italia la prima condanna di stregoneria, di cui si hanno notizie, risale al 20 marzo 1428 giorno in cui venne messa al rogo Matteuccia Di Francesco, essa fu condannata dal tribunale laico della sua città di Todi (Umbria, Perugia).
La “Caccia alle Streghe” si concentrò soprattutto tra la fine del 1400 e la prima metà del 1600 e conobbe due ondate: la prima che andò dal 1480 al 1520 e la seconda dal 1560 al 1650.
Molte delle presunte streghe vennero torturate e bruciate vive, le motivazioni ufficiali erano varie, spesso erano mosse da accuse per ragioni futili. Spesso venivano accusate di stregoneria le balie, bastava che il bambino nascesse morto per riversare la delusione e il dolore emotivo verso colei che aveva assistito al parto. Macabramente furono accusati, torturati e in alcuni casi giustiziati anche bambini, di 17 anni, accusati di essere posseduti o di aver partecipato ai Sabba delle streghe. Durante le torture in cambio della riduzione dei tormenti, si invitava la strega o stregone di fare il nome di presunti complici, spesso si invitava di accusare qualche benestante del luogo, allo scopo di poter istituire il processo successivo, che consisteva alla confisca dei beni.
In Europa l’ultima strega condannata a morte fu
Anna Göldi, uccisa nel 1782 a Glarona, in Svizzera. Solo nel 2008 il parlamento Cantonale ha riabilitato la sua figura.
Durante l’Ottocento la maggior parte degli Stati europei soppressero i tribunali dell’Inquisizione, pur mantenendo leggi che continuavano a condannare questa “pratica”.
L’unico stato che ha mantenuto l’Inquisizione fu lo Stato Pontificio. Nel 1908 Papa Pio X cambiò il nome al Tribunale dell’Inquisizione, denominandolo Sacra Congregazione del Santo Offizio. Nel Concilio Vaticano II durante il pontificato di Paolo VI, nel 1965, il Santo Offizio assunse il nome di Congregazione per la Dottrina della Fede (in latino Congregatio pro Doctrina Fidei), fin ad oggi ancora attivo.
Ma si sa, il pregiudizio tarda a morire!
Nel 1944 Helen Duncan fu imprigionata per nove mesi credendola colpevole di aver usato la stregoneria per affondare la nave in cui era morto il proprio marito. Solamente il 2 febbraio del 1998 lo Stato chiese scusa.
Nel 1951 in Gran Bretagna furono abrogate le ultime leggi contro la Stregoneria, questo permise a Gerald Gardner di pubblicare “Witchcraft Today” (stregoneria oggi), sancendo la diffusione della Wicca e quindi in un certo senso anche dello stesso Neopaganesimo.
Nel 1985, una donna a San Diego perse il lavoro perché accusata di essere una strega.
Nel 1999, negli Stati Uniti si istituì un gruppo di cristiani conservatori, su iniziativa di Bob Barr, in risposta al crescente fenomeno degli incontri per celebrare riti wiccan nelle basi militari. Il gruppo invitò i cittadini americani a una revisione dei diritti di libertà religiosa alla luce della morale cristiana. Barr sosteneva (e sostiene) che il Neopaganesimo fosse un prodotto di eccessiva libertà e che per sopprimerlo bisognasse irrigidire e limitarne tale concetto.
Il 12 marzo 2000, nel corso di una celebrazione in Vaticano, per l’occasione del Giubileo, il Papa Giovanni Paolo II chiese «scusa», in mondovisione, per le colpe passate della Chiesa. Durante l’omelia chiese perdono per “… l’uso della violen-
za che alcuni di essi hanno fatto … per gli atteggiamenti di diffidenza e di ostilità assunti nei confronti dei seguaci di altre religioni”, sottolineando che si chiede perdono per aver adottato “… i mezzi dubbi per i fini giusti …” (era un fine giusto quello di bruciare le streghe?). Un perdono chiesto a Dio (non alle vittime). Un perdono chiesto per i figli della Chiesa (la comunità battezzata) e non per la Chiesa-istituzione. Purtroppo nessun nome di colpevole fu pronunciato e tutto si mantenne generico. Ci si riferì semplicisticamente al regime nazista come “pagano” tacendo sulle prese di posizione a suo favore dei vescovi tedeschi. I peccati a cui si riferiva il perdono vennero collocati a quelli commessi nel secondo millennio, forse perché i pagani massacrati precedentemente non meritavano scuse?
Resta comunque coraggiosa e lodevole la scelta della Chiesa Cattolica di chiedere scusa, anche perché nessuna religione ha finora chiesto scusa per errori commessi, considerando che religioni come l’Islam risultano ancora oggi molto ostili nei confronti dei culti pagani.
Per il musulmano il proselitismo verso il paganesimo è un obbligo morale, meno invece verso i fedeli delle religioni monoteiste. Secondo l’Islam i fedeli alle religioni monoteiste posseggono già una “rivelazione” tramite l’uso delle Sacre Scritture, pur essendo corrotte e incomplete dalla manipolazione umana, mentre invece il pagano è un’idolatra, una blasfemo.
Ancora oggi nella maggior parte dei paesi islamici vi è il divieto di fare proselitismo per i non musulmani, in alcune località i luoghi di culto non islamici sono obbligati a pagare la jizya (una tassa per essere tutelati e protetti dallo stato, preservandoli da eventuali attacchi violenti). Tutt’oggi il tasso di violenza nei confronti degli islamici che si convertono ad altri credi è molto alto.
Solo nel 2011 in Arabia Saudita (paese islamico per antonomasia) i processi terminati con pena di morte contro la stregoneria sono stati circa 73, tra cui molte donne, come Amina Bent Abdellhalim Nassar decapitata in modo cruento, secondo Amnesty sarebbero 140 le persone che aspettano il boia per accuse simili.
Oggi, in Occidente il paganesimo si è ripreso e
inizia a diffondersi velocemente, in Asia e in Africa è invece ancora in atto, da parte dei cristiani (ma anche islamici), un tentativo di sradicare il paganesimo.
Nel 2006 è stato ideato il “Giorno Pagano della Memoria”.
L’idea della celebrazione di un Giorno Pagano Europeo della Memoria è nata nel 2006, per stabilire un momento ufficiale in cui ricordare le radici del passato pagano a cui tutti i pagani odierni, chi più e chi meno, si riallacciano e ricordare anche le cause e gli avvenimenti della frattura tra noi e quelle radici. E’ proprio quel distacco infatti che spinge i pagani di oggi a definirsi in questo modo, nobilitando una parola nata come insulto.
Come giornata della celebrazione è stato scelto, con un sondaggio tra pagani di diversa provenienza, il 24 febbraio: in questa data, nel 391 e.v., Teodosio emanò un editto di condanna delle pratiche pagane, in seguito al quale il fuoco di Vesta che doveva bruciare eternamente a Roma fu spento. Data la sacralità del fuoco in tutte le religioni cosiddette pagane, è stato scelto questo evento come simbolo dell’inizio dei tentativi di eliminazione delle religioni pagane.
Noi ITALUS Associazione Culturale Wicca abbiamo fin da subito aderito a questo progetto, ormai ogni anno noi celebriamo il nostro “Giorno della Memoria Pagana”, che celebreremo anche quest’anno.
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Alcune leggende sbocciano, quasi identiche, in culture, età e terre molto distanti fra loro; talvolta fra popoli che non potevano conoscersi, nemmeno per mediazione di altre civiltà. È il caso del labirinto, che a noi europei richiama subito alla memoria la leggenda di Icaro e Dedalo, di Teseo e del Minotauro. Ma non dobbiamo credere che furono i Cretesi a inventarlo, e tantomeno il leggendario re Minosse: l’Asia, l’Africa, le Americhe, l’Australia hanno tutte i loro labirinti, incisi sulle pareti delle grotte da genti primitive e dunque al centro di miti antichissimi. In certi casi il tracciato del misterioso percorso è non solo simile, ma addirittura identico a quello tramandatoci dal mondo classico. Un racconto che si perde nella notte dei tempi e che, come vedremo, già all’epoca dell’antica Grecia si era alterato a tal punto da da mostrare caratteri paradossali. Prima di tutto, che cos’è un labirinto? Verrebbe da rispondere: un percorso creato appositamente per rendere difficile a chi vi entri trovarne l’uscita.
Questo, infatti, è ciò che ci narra la complessa vicenda del Labirinto di Cnosso, che Minosse fece costruire da Dedalo per rinchiudere il feroce Minotauro, figlio mostruoso dell’unione fra la moglie Pasifae e il sacro Toro di Creta. La vicenda era popolarissima nel mondo mediterraneo, tanto che la troviamo illustrata in infiniti mosaici, monete e opere d’arte.
E qui arriva la sorpresa: se andiamo a controllare la struttura del labirinto riprodotta dagli artisti, notiamo subito che non si tratta affatto di un intreccio di viottoli creati per disorientare chi lo percorra, come si potrebbe immaginare. Il Minotauro si trova invece al centro di un quadrato o di un cerchio formato dal ripiegamento di un unico sentiero che
non si biforca mai, limitandosi a creare anse su anse che sembrano voler respingere indietro chi tenti di violarlo. Nessuno potrebbe mai perdersi in un labirinto simile ma la strada da affrontare è molto lunga, e forse si smarrisce chi non ha la costanza di percorrerla tutta e si dispera.
Dunque il tracciato non si accorda con la leggenda del Minotauro, ma non è nemmeno frutto dell’estro di qualche artista. Si ispira invece ai labirinti più antichi, quelli che ritroviamo un po’ in tutte le culture del mondo e che potremmo definire come i “percorsi più lunghi per raggiungere il centro”. È facile capire che si tratta di cammini misterici, le cui forme ricordano, forse non a caso, le complesse circonvoluzioni del cervello umano. Se nelle raffigurazioni greche e romane, a partire dalle monete cretesi del V sec. a.C., il Labirinto di Cnosso viene raffigurato in tal modo è perché due miti differenti si sono sovrapposti: quello del Minotauro, rinchiuso in una prigione così complicata da non poterne ritrovare l’uscita, e quello dei misteri legati al labirinto arcaico, in cui una strada lunghissima e ripiegata su se stessa conduce inevitabilmente al cuore del tracciato. I matematici riservano il termine “labirinto” a quest’ultimo modello, mentre chiamano l’altro tipo “dedalo” oppure “labirinto multicorsale”.
L’iconografia del labirinto in area mediterranea, così ricca di testimonianze per quasi mille anni, si interrompe a partire, più o meno, dal IV secolo d.C. Le invasioni barbariche, l’impoverimento culturale e l’azione innovatrice del cristianesimo sembrano cancellare ogni traccia del mito del Minotauro, di Teseo e Arianna e dei molti altri labirinti dell’età classica. Infatti, esistevano anche miti che riportavano l’esistenza di dedali in Egitto, sull’isola gre-
ca di Lemno e a Chiusi, in terra etrusca. Qui, rinchiuso dentro un carro trainato da 4 cavalli d’oro, con un sarcofago anch’esso d’oro e una chioccia con 5.000 pulcini d’oro, giacerebbe il feretro di re Porsenna. Come racconta lo storico Plinio il Vecchio, egli «fu sepolto sotto la città di Chiusi, nel qual luogo lasciò un monumento quadrato in pietra squadrata, ciascun lato largo 300 piedi [circa 89 m] e lato 50 [circa 15 m]. In questa base quadrata c’è all’interno un labirinto inestricabile, dove se qualcuno vi entrasse senza un gomitolo di lino, non potrebbe trovare l’uscita». Come dicevamo, i labirinti spariscono con la diffusione del cristianesimo. Nel Medioevo maturo, tuttavia, più o meno all’epoca delle Crociate, ossia dalla fine dell’XI secolo, ecco rispuntare il labirinto più florido ed enigmatico che mai. Si tratta sempre del medesimo tipo classico, quello a percorso univoco, che ora diviene simbolo religioso e appare davanti o perfino dentro le cattedrali, tra Tre e Quattrocento. Famoso è il caso della cattedrale di Chartres, la cui nava ta centrale ospita un gigantesco labirinto pavimentale che sviluppa un percorso lungo oltre 261 m. Anche il duomo di Siena conserva un labirinto simile e, fino a non molto tempo fa, era abitudine dei fedeli percorrerlo
in ginocchio, come una sorta di pellegrinaggio in miniatura, soprattutto durante il periodo pasquale. Il duomo di San Martino, a Lucca, riporta invece un labirinto inciso nella pietra all’ingresso. Recentemente è stato ritrovato ad Alatri, presso Frosinone, un affresco raffigurante il medesimo disegno, al cui centro spicca il Cristo, che va così a sostituire il Minotauro o l’Ercole dei labirinti classici. Il labirinto compare in diversi trattati e manuali per agevolare l’esatto computo della Pasqua, forse come simbolo della complicazione del calcolo, oppure come riferimento al percorso tortuoso della redenzione dal peccato.
Non sappiamo con precisione quali fossero i miti connessi al percorso labirintico arcaico, ma certo dovevano avere a che fare con la pazienza, la capacità di accettazione di un destino che talvolta sembra allontanare dalla luce (il cuore del percorso), ma che invece non può che ricondurre a essa chiunque abbia la perseveranza di continuare con fiducia e abnegazione. Con il Rinascimento e l’Umanesimo, i miti della classicità tornano a fiorire e con essi l’affascinante leggenda del Minotauro. Rispuntano così i labirinti classici e anche diverse elaborazioni artistiche che, seguendo il senso della
leggenda, donano alla prigione del Minotauro quel carattere intricato di “dedalo” che tutti conosciamo e la infarciscono di significati esoterici e alchemici. Il primo a disegnare questi intrecci, che oggi ritroviamo in tutti i giornali di enigmistica, fu il padovano Francesco Segala a metà del Cinquecento. In questa pagina è rappresentato un suo cavaliere che leva il calice al cielo e che potrebbe benissimo comparire in una moderna pubblicazione di enigmistica. Il labirinto, insomma, smette di essere elemento di religiosità popolare per trasformarsi in oggetto di studi intellettualistici e filosofici, o addirittura in scherzo o gioco. Più che al cuore, parla ormai al cervello, le cui circonvoluzioni sembrano riprodurre proprio quelle di un complicatissimo dedalo tridimensionale. E, secondo la mentalità dell’epoca, quest’analogia non può essere frutto del semplice caso, bensì indizio di una sostanziale comunanza tra cervello umano (e quindi pensiero) e simbolo labirintico.
Poco tempo dopo vediamo ricomparire questi meandri in forma di giardini amorosi: luoghi freschi e ameni, che caratterizzano alcune ville imponenti e in cui è bello passeggiare e perdersi tra innamorati. Questa tipologia ha le sue radici in Inghilterra,
dove i labirinti di pietra scarseggiavano ed erano sostituiti dal cosiddetto maze, ossia un labirinto tracciato sul prato e, più tardi, delimitato da siepi e arbusti. Nei Paesi scandinavi, invece, era abbastanza comune una forma di tracciato creato con i sassi davanti alle chiese, sempre a scopo di pellegrinaggio espiatorio ridotto ai minimi termini. Il labirinto verde diventa piuttosto comune nei giardini rinascimentali, e ne esistono ancora numerose realizzazioni, alcune delle quali in Italia. Il loro potere suggestivo è tale che Stanley Kubrick ne fece un elemento basilare del suo capolavoro orrorifico Shining. Da percorso amoroso a luogo di angoscia: dopo millenni di misteri e rappresentazioni, la forza mitica del labirinto non smette di suscitare le emozioni più forti e disparate.
A Capo di Ponte, la località più ricca di testimonianze del misterioso popolo dei Camuni, si possono ammirare rocce che non mostrano i tipici petroglifi (simboli incisi nella pietra) di questa civiltà, ma una serie di avvallamenti inusuali: canali scavati profondamente nella roccia. I geologi hanno escluso che siano tracce provocate dall’erosione dell’acqua, assicurando che si tratta di opere realizzate dall’uomo. L’ipotesi più probabile è che siano “scivoli della fertilità”, cioè strumenti lungo cui le donne di migliaia di anni fa si lasciavano cadere, come parte di un rito che avrebbe aumentato la loro fecondità. Quello dei Camuni non è un caso isolato, perché sono molte le società neolitiche che ci hanno lasciato tracce di pietre o di scivoli legati alla fertilità femminile. Questo genere di riti aveva una forte connotazione simbolica e in qualche modo voleva mettere in scena, in maniera rievocativa, l’atto sessuale, così come l’uscita del nascituro dal grembo materno. La scelta della roccia, oltre a richiamare la potenza e l’immutabilità della divinità, ricordava la durezza del membro virile. Il rito, dunque, voleva ricreare la vicinanza tra l’organo
maschile e quello femminile, e la scivolata lungo la roccia generava un contatto prolungato tra le parti intime e il metaforico membro di pietra.
I Camuni erano una popolazione italica che, a partire dal I millennio a.C., si stanziò nell’attuale Valcamonica. L’origine di questo popolo di cacciatori e pastori seminomadi è ancora controversa: secondo alcuni sarebbe da associare ai Liguri, mentre per altri si trattava di tribù imparentate a quelle protoceltiche dell’Europa centrale. Nel corso della loro storia, i Camuni entrarono in contatto anche con gli Etruschi, da cui pare derivi il loro peculiare alfabeto. Sappiamo che erano noti ai Romani sotto il nome latino di Camunni e che, a partire dal I secolo d.C., furono sottoposti al dominio dell’Urbe. Nel giro di qualche centinaio d’anni Roma li sottopose al processo di latinizzazione a cui erano destinati tutti i popoli assoggettati, facendo perdere loro molte delle caratteristiche che li avevano distinti come popolo. Caratteristiche che risultavano estremamente omogenee in tutta la zona a causa del relativo isolamento della Valcamonica, che si protrasse fino alla conquista romana. Nel 1908,
Walther Laeng, sulla rivista del Touring Club Italiano, segnalò per la prima volta due massi incisi che aveva scoperto dalle parti di Cemmo, presso Breno. Era solo l’inizio di quella che si sarebbe rivelata una scoperta archeologica di portata straordinaria. Fino agli anni Venti del Novecento, nessuno si occupò seriamente delle figure che sempre più spesso venivano segnalate tra i monti della Valcamonica. Fu allora che, grazie al contributo di studiosi come Giovanni Bonafini, Giovanni Marro, Paolo Graziosi e Senofonte Squinabol, si iniziò a interessarsi seriamente alle tracce lasciate dai Camuni nella loro storia millenaria. Immediatamente, questi reperti si conquistarono la notorietà internazionale, tanto che negli anni Trenta furono oggetto degli studi di diverse spedizioni provenienti dall’estero (perfino dalla Germania nazista, che inviò alcuni studiosi delle SS per accertare le origini “nordiche” dei Camuni). Dopo la pausa dovuta alla Seconda guerra mondiale, le ricerche ricominciarono con nuovo slancio grazie all’istituzione del Parco nazionale delle incisioni rupestri di Naquane, a Capo di Ponte. Fu il primo tentativo di racchiudere le vestigia camune all’interno di parchi protetti anche dal punto di vista naturalistico, a cui, nell’arco dei decenni, fecero seguito altre istituzioni, come la riserva naturale di incisioni rupestri di Ceto, Cimbergo e Paspardo.
Oggi che i petroglifi del popolo camuno sono stati riconosciuti dall’Unesco “patrimonio dell’umanità”, è stata accertata l’esistenza di un numero variabile tra le 200 e le 300 mila incisioni catalogate, sparse in una zona che comprende principalmente i Comuni di Capo di Ponte, Nardo, Cimbergo e Paspardo, tutti in provincia di Brescia. Questo vastissimo patrimonio sarebbe stato realizzato interamente dai Camuni in un lasso di tempo di circa 8.000 anni, dal Neolitico all’epoca della dominazione romana, e forse anche oltre, fino all’alto Medioevo. La tipologia delle situazioni rappresentate varia molto: si va da semplici oggetti di uso comune a complesse scene di vita quotidiana e di caccia.
Che cosa spinse il giovane italiano Girolamo Segato a farsi calare dentro la piramide di Saqqara, in Egitto, e a rimanervi per ben tre giorni? E che cosa vi trovò? All’epoca Segato non aveva ancora compiuto 30 anni, ma aveva già avuto modo di guadagnarsi la fama di giovane intelligente, benché versatile e irrequieto. Nato a Sospirolo, in provincia di Belluno, aveva studiato scienze per poi darsi al lavoro di contabile e, a partire dal 1818, aveva partecipato ad alcune spedizioni in Egitto in veste di archeologo.
Fu nel corso di uno di questi viaggi che ebbe luogo la sua strana avventura nelle viscere della piramide. Probabilmente, alla base di quella strana impresa c’era l’interesse di Segato per le tecniche di mummificazione, di cui gli antichi Egizi erano stati maestri. Quando, nel 1823, Girolamo fece ritorno in Italia, si trasferì a Firenze e s’impegnò a mettere a punto una particolare tecnica di conservazione dei tessuti morti. Più che di imbalsamazione o mummificazione, nel suo caso si dovrebbe parlare di “pietrificazione”: i reperti che ci ha lasciato si presentano come se fossero stati mineralizzati, diventando in questo modo immuni ai normali processi di decomposizione. Non solo: i tessuti trattati conservavano sia i colori sia l’elasticità naturale, e
risultavano quindi simili a quelli vivi. Per questo, l’Università degli Studi di Firenze li ha conservati con cura fino a oggi nel suo Museo di Anatomia, e alcuni esemplari si possono trovare anche nella Reggia di Caserta. Il metodo di mineralizzazione applicato da Segato è tuttora sconosciuto. Molti ricercatori hanno provato a replicare i formidabili risultati raggiunti, ma con scarsi risultati. Per alcuni, l’unica risposta “plausibile” sarebbe quella meno probabile: il “Pietrificatore” (così era stato soprannominato Segato) doveva aver imparato qualche procedimento magico durante la sua misteriosa permanenza nella piramide. Curiosamente, a difendere il suo lavoro fu il papa, Gregorio XVI, che in teoria avrebbe dovuto censurare un’attività che per molti versi appariva sacrilega se non addirittura immonda. A ispirare questa strana simpatia, forse, concorreva il fatto che anche il pontefice era bellunese.
In ogni caso, evidentemente la fortuna non dovette arridere allo studioso, che a un certo punto decise di distruggere i suoi appunti e di mantenere il segreto sulle procedure che aveva messo a punto. Forse sarebbe tornato sui suoi passi se la morte non l’avesse colto all’improvviso, ad appena 44 anni. All’inizio del 1836 aveva ottenuto da Gregorio XVI il permesso di continuare gli studi a Roma, e sembra che si fosse deciso a rivelare i suoi segreti ad almeno una persona di sua fiducia, l’amico Pellegrini. Purtroppo, però, Segato si ammalò di polmonite e il 3 febbraio di quello stesso anno morì.
Ancora oggi, il segreto di Girolamo Segato sembra essere al sicuro. Nonostante le analisi a cui sono stati sottoposti i reperti disponibili, cioè quelli che sono stati risparmiati dall’alluvione del 1966, gli studiosi non sono ancora riusciti a individuare con precisione la formula impiegata: a rimanere sconosciute sono le proporzioni dei singoli componenti e il metodo di applicazione. Perché Segato decise di distruggere tutti i suoi appunti e di tenere per sé il segreto della pietrificazione? Secondo alcuni storici, alla base della decisione ci sarebbe stata la
delusione per il rifiuto del granduca di Toscana di finanziare le sue ricerche: per convincere il nobile, lo studioso gli aveva addirittura offerto un tavolo di carne pietrificata. Altri, invece, ritengono che si sia trattato di un attacco di paranoia: Segato aveva paura che qualcuno volesse appropriarsi del suo segreto, e un tentativo di scasso del laboratorio potrebbe averlo spinto a quel clamoroso gesto. Anche se la sua formula sembra destinata a rimanere un mistero, la genialità di Segato è stata ufficialmente riconosciuta: in occasione del centenario della sua morte, presso la Certosa di Vedana, il municipio di Belluno ha fatto apporre una lapide che lo celebra come «uno dei più animosi investigatori delle antichità egiziane, cartografo, chimico, naturalista, contese alla corruzione i tessuti animali, contristato, non domo dell’avversa fortuna».
Pochi edifici risultano così immediatamente riconoscibili come i trulli pugliesi. Si tratta di costruzioni in pietra per lo più di forma conica, erette utilizzando la tecnica “a secco”. Tipicamente, la loro destinazione era quella di rifugio per i lavoratori delle campagne, ma spesso finivano per essere adibite ad abitazioni permanenti. È il caso dei trulli fatti erigere da Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona, conte di Conversano (1600-1665), per ospitare i suoi contadini: si dice che costui abbia favorito questo tipo di struttura in quanto facile da demolire in caso d’ispezione da parte delle autorità spagnole, le quali avevano imposto tasse su ogni nuova costruzione. Pur così semplici e anonimi all’apparenza, però, i trulli rappresentano una sfida per i cacciatori di misteri.
I trulli più antichi visitabili ancora oggi risalgono al Settecento: dunque non si tratta di costruzioni particolarmente antiche, nonostante le apparenze. Ciò si spiega con il fatto che, data la relativa facilità con la quale potevano essere costruiti, era più conveniente abbattere quelli più vecchi e ricostruirli piuttosto che ripararli. In effetti, quello del trullo è un modello architettonico decisamente antico:
viene fatto risalire alle costruzioni a cupola, come il tholos greco, tipiche dell’Età del bronzo e rinvenute in diverse aree del bacino mediterraneo. Addirittura, secondo alcune teorie che però non sono accreditate dall’archeologia tradizionale, si può individuare il modello originale nelle abitazioni dei Sabei, una popolazione che abitava la Penisola Arabica fin dall’inizio del I millennio a.C.; altri, invece, ritengono che siano stato importati in Italia secondo modelli ittiti, quindi originari dell’Asia Minore. In ogni caso, è facile individuare analogie con modelli di costruzione tipici di altre aree, come i nuraghi sardi e i talajots delle civiltà minorchine e maiorchine. Ciò ha spinto lo storico dell’arte Emile Bertaux a definire il trullo «il più antico tipo di costruzione, quello che nei Paesi ricchi di materiale pietroso ha preso il posto della capanna di fango».
Al di là di quello sulla loro origine, il vero mistero dei trulli è rappresentato dalle strane iscrizioni che ancora oggi ne adornano i tetti, in particolare i pinnacoli (“cucurnei” o “tintinule”), che svettano sulla sommità e rappresentano l’unica nota decorativa di una costruzione altrimenti essenziale e improntata alla massima funzionalità. Si tratterebbe di simbo-
li apotropaici, ossia apposti per tenere lontane le influenze maligne. Alcuni di essi si rifarebbero ad antichi sistemi zodiacali e sarebbero quindi ispirati a credenze pagane; altri, invece, fanno sicuramente riferimento alla simbologia cristiana, oppure svolgono una mera funzione ornamentale. In ogni caso, la loro presenza sembra essere intimamente legata alla tradizione contadina. Mentre nelle zone rurali, quando un trullo veniva abbattuto i simboli che lo adornavano erano riprodotti fedelmente su quello che ne prendeva il posto, all’interno dei paesi essi tendevano a scomparire. In quest’ultimo caso, il loro successivo ripristino è quindi frutto dell’iniziativa delle autorità locali, che nel corso del Novecento si sono adoperate per riportare in auge una tradizione tanto misteriosa quanto affascinante.
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Corona di pietra assisa su una collina, maniero che domina la Puglia, severo fortilizio e insieme raffinata reggia: Castel del Monte vive la sua meravigliosa originalità, in un’ubicazione apparentemente remota, come un privilegio ma anche come una condanna. Da un lato ammaliava il viandante medievale proprio come incanta il turista moderno; dall’altro, le sue peculiarità, più uniche che rare, non smettono di attrarre l’interesse di una torma di “indagatori del mistero” che, cercando di risolvere enigmi, finiscono per intorbidire ancor di più le acque. D’altronde, questo castello dell’Alta Murgia, eretto a circa 18 km da Andria, fu considerato atipico fin dalla sua edificazione, nel XIII secolo. Il suo mito affonda le radici e si intreccia con un altro, quello del suo committente e, forse, progettista: Federico II di Svevia. Lo “Stupor mundi”, nipote del Barbarossa, sovrano illuminato e coltissimo. Nel corso del tempo se ne esagerarono le qualità morali e intellettuali, fino a farne un precursore del Rinascimento oltreché un esempio di perfetta tolleranza religiosa. Così, si è preferito immaginarlo intento a passeggiare nel suo “tempio ottagonale” alla testa di un manipolo di dotti, discettando di matematica, astrologia, scienze occulte e percorsi iniziatici, piuttosto che indagare sulla realtà storica di quel curioso castello.
Sappiamo con certezza chi lo ha fortemente voluto: lo testimonia una missiva fatta spedire dallo svevo il 29 gennaio 1240 da Gubbio, una delle tappe del lento ritorno verso il suo regno del Sud, dopo la campagna contro la seconda Lega Lombarda. Destinatario era il giustiziere di Capitanata, Riccardo di Montefuscolo, a cui viene ordinata la costruzione dell’edificio, più precisamente un
castrum, presso S. Maria del Monte. Perché, per quanto ne dicano i sostenitori del “mistero”, il maniero non è stato edificato in un luogo sperduto, lontano dalle vie di comunicazione e dalle attività economiche. In zona esisteva il monastero benedettino maschile di S. Maria del Monte, la cui prima annotazione storica risale al 1120, che altre fonti dipingono come fiorente e quindi contornato da tutte quelle attività che storicamente afferivano ai monasteri, a partire dalle famiglie di coloni che lavoravano i terreni. Non solo, a corroborare la scelta del sito (che alcuni insistono a considerare eccentrica) c’è anche un altro documento coevo, che indicherebbe l’esistenza nello stesso luogo, poi occupato dalla nuova e imponente struttura federiciana, di un edificio fortificato normanno, già in rovina all’inizio del XIII secolo. Sciolto il primo enigma, possiamo ora affrontare il resto del mito sorto negli anni intorno al castello svevo. Per farlo, però, occorre indagare sulle insolite caratteristiche del maniero. L’edificio ha pianta ottagonale: ogni lato esterno misura 10,30 m per un diametro totale di 56 m (il diametro del cortile interno misura 17,86 m). Cinque delle otto torri, alte 24 m, erano un tempo sormontate da cisterne, mentre le altre tre erano destinate a ospitare armigeri e falconieri. All’interno, la costruzione si articola su due piani molto alti (sono rialzati, rispetto al piazzale, di 3 e 9,5 m) ed è ricoperta utilizzando un complesso sistema di volte a crociera alternate a volte a botte. I piani comunicano attraverso tre scale a chiocciola che si sviluppano in senso antiorario e sono formate da 44 gradini trapezoidali, ognuno ricavato da un unico blocco di pietra, che si dipartono da una colonna centrale del diametro di 22 cm Al piano
superiore si aprono finestre bifore e, nel solo lato che guarda verso Andria, una trifora. Ogni finestra è dotata, all’interno, di gradini e sedili per soffermarsi ad apprezzare il panorama. Molto interessante è infine la macchina che regolava la saracinesca di chiusura del portale principale, ancora oggi perfettamente apprezzabile in tutti i dettagli. Molti, nel tempo, hanno sostenuto che la definizione di “castello” fosse impropria per questo edificio, e ciò nonostante il fatto che, come si è detto, fosse proprio Federico a definirlo tale.
Gli argomenti addotti dagli scettici sono numerosi: non sarebbe un castello perché sprovvisto di fossato e ponte levatoio, perché scarsamente fortificato e fondamentalmente lontano dalle importanti vie di comunicazione che rendono un presidio militare coerente con il suo scopo. E ancora: le finestre sono troppo ampie per offrire protezione, mentre, al contrario, le feritoie appaiono così strette da impedire una difesa efficace. Soprattutto, le scale a chiocciola, sviluppate in senso antiorario, sfavorirebbero gli assediati, lasciando ai nemici il favore di risalirle con il braccio destro libero di brandeggiare la pada. Tutti elementi che, se ascrivibili soltanto a Castel del Monte, avrebbero una loro coerenza capace di giustificare una diversa destinazione della struttura. Ma dopo un’analisi di
altri castelli federiciani, e numerosi manieri eretti nel resto d’Italia e d’Europa, si può rintracciare lo stesso tipo di “carenze”: non in tutti, nemmeno in quelli più vocati alla difesa, compaiono necessariamente fossati e ponti levatoi, e perfino le scale a chiocciola antiorarie non sono un’esclusiva di Castel del Monte. Per non dire che esistono testimonianze di un’ulteriore struttura muraria difensiva esterna al castello, entro la quale avrebbero potuto trovare posto anche quelle scuderie la cui assenza è, per alcuni, l’ennesima dimostrazione dell’impossibilità del maniero di accogliere una guarnigione.
Più realisticamente, bisogna ammettere che il castello svevo con la sua imponente struttura, coronata ai vertici della pianta ottagonale da altrettante torri svettanti (in origine probabilmente 5 m più alte rispetto alle attuali), dominava un ampio territorio di colline digradanti verso il mare, solcato da vie di comunicazione tutt’altro che secondarie. Castel del Monte rispondeva anche a un compito simbolico, importante per ogni castello: indurre con la sua mole timore e rispetto, offrendo la rappresentazione di un potere forte e vigile. Si spiega facilmente, così, il suo profilo poderoso e superbo. Eppure, gli appassionati del mistero vi vedono qualcosa di diverso: una costruzione più vicina alle piramidi
egizie che a un castello medievale, un tempio laico, un osservatorio astronomico; in ultima analisi, l’enigmatico lascito di un sovrano erudito, depositario di una sapienza esoterica tramandata non attraverso un trattato, bensì grazie alle particolari forme e misure di uno scrigno di pietra. A partire dal simbolo tra i simboli, l’ottagono, intorno a cui sono cresciute le teorie più ardite e attraverso il quale è possibile interpretare l’opera voluta da Federico. Un simbolo, questo sì, ma per nulla arcano o esoterico. Scegliendolo, lo svevo volle davvero lanciare un messaggio, ma direttamente ai suoi contemporanei; i quali, non dimentichiamolo, erano uomini medievali intrisi di simbolismo e perfettamente in grado di decifrarlo. Tutto ciò è stato messo bene in luce dagli studi di Raffaele Licinio e dei suoi allievi (tra cui Massimiliano Ambruoso) all’Università di Bari, così come da Franco Cardini. La pianta ottagonale e il numero 8 che si ripete richiamano, contemporaneamente, due simbologie: una laica, legata all’ideologia imperiale, e una sacra, inerente la valenza che ha per i cristiani l’ottagono, simbolo di Gesù e punto d’incontro del cerchio (forma divina) e del quadrato (forma uma-
na). Così, Federico II, al culmine dello scontro con il papato, mette in rilievo la progressiva sacralizzazione della sua figura d’imperatore, sempre più identificata con quella di Cristo. D’altro canto, ha pianta ottagonale anche la moschea di Omar, eretta a Gerusalemme sulla spianata dove sorgeva l’antico Tempio di Salomone, e ritenuta dai cristiani il “Templum Domini”, che lo svevo visitò nel 1229. E ottagonale è la Cappella Palatina ad Aquisgrana, voluta da Carlo Magno in tale forma sulla base dei resoconti dei pellegrini. Ottagonale è anche il grande lampadario donato alla stessa Cappella Palatina da Federico Barbarossa, come una Gerusalemme Celeste che, nelle funzioni più solenni, veniva calato fino a unirsi idealmente con la Gerusalemme terrena. Infine, per chiudere il cerchio simbolico, è ottagonale la stessa corona imperiale che i sovrani svevi cingevano, a simboleggiare il loro essere soggetti solo a Dio e per questo (come già asseriva il Barbarossa, nonno di Federico II) non inferiori al papa. Castel del Monte è quindi un monumento all’autorità imperiale, custode oggi di un unico mistero: quello, insondabile, della bellezza e dell’armonia.
Oggi è quasi impossibile convincere astronomi e astrologi a sedersi sullo stesso divano, a meno che non si voglia accendere un dibattito infuocato che opponga scienza e superstizione, libero arbitrio e destino. Ma si tratterebbe di una discussione sterile, perché i punti di partenza sono inconciliabili. Eppure, anche se a nessuno piace ricordarlo, pochi secoli fa quel divano sarebbe stato occupato da una persona sola, visto che astrologia e astronomia erano tutt’uno. Non serve andare molto indietro nel tempo: entrambi gli inventori del metodo scientifico, Galileo e Newton, stilavano ancora oroscopi e si impegnavano a comprendere l’influenza dei pianeti sulla vita degli uomini. Nel Medioevo, poi, astronomia e astrologia erano addirittura sinonimi. Come si sa, lo studio delle stelle nacque in epoca antichissima, in Estremo e Medio Oriente, e comprendeva sia la notazione dei movimenti celesti, sia l’interpretazione del loro impatto sulla vita de-
gli uomini. L’idea che i transiti planetari (il termine pianeta viene dal greco e significa “vagabondo”) influissero sulle cose del mondo sembrava ovvia, visto che i grandi mutamenti stagionali coincidevano perfettamente con il cammino del Sole lungo la fascia zodiacale. Se gli astri agivano sui raccolti, il clima, le migrazioni degli uccelli e la fioritura delle piante, perché mai non avrebbero dovuto influenzare i regni o i singoli individui? Poiché quest’idea fu sposata anche da Aristotele, il padre della filosofia della scienza, essa non venne rimessa in discussione per quasi duemila anni. Siamo schiavi degli astri? Con la diffusione del cristianesimo, però, si aprì un problema filosofico: come poteva il libero arbitrio, cioè la facoltà propria dell’uomo di poter scegliere il bene e il male, conciliarsi con l’idea degli influssi astrali, che sembravano invece predestinare ogni sua mossa? Il dilemma venne risolto concedendo ai pianeti la capacità di regolare i
ritmi della natura, compresi gli istinti e le pulsioni umane, ma non le azioni dell’anima, che sfuggiva ai loro influssi in quanto divina e dunque regolata da un cielo più alto e più vicino a Dio, quello delle stelle immobili. In questo modo si salvava capra e cavoli, la Bibbia e l’intoccabile figura di Aristotele. Il filosofo Isidoro di Siviglia (560-636) distinse tra un’astrologia naturale, meritevole di essere studiata, e una superstiziosa, proveniente dal passato pagano e che andava rigettata. Lungo i secoli, l’astronomia venne perlopiù tollerata dalla Chiesa, ma sempre con prudenza e sospetto. Al pari di molte altre scienze, il recupero del sapere antico avvenne per tramite degli studiosi islamici, come il persiano Albumasar (787-886), i cui lavori vennero tradotti in latino nella Spagna musulmana, e da lì si diffusero nella Cristianità. Gli arabi non si limitarono a recuperare nozioni e testi di età ellenistica, ma svilupparono nuove teorie, perfezionarono le misurazioni tramite strumenti nuovi, come l’astrolabio, e si dedicarono ai calcoli delle orbite planetarie e allo studio di singoli corpi celesti: ancora oggi, il vocabolario del cielo è popolato perlopiù di nomi arabi, da Aldebaran allo zenit. Quando le Crociate portarono i cristiani a stretto contatto con la cultura islamica, l’astrologia conobbe una nuova fioritura, che raggiunse l’apice nel Duecento, tramite la diffusione di due testi fondamentali: il manuale universitario parigino Tractatus de sphaera mundi (1240 ca.), e lo Speculum astronomiae, attribuito al domenicano tedesco Alberto Magno (1206-1280). Questi affermava che «sotto il nome di astronomia sono comprese due grandi sapienze»: la prima è lo studio del cielo, l’altra è «la scienza dei giudizi degli astri, che costituisce il raccordo fra la filosofia naturale e la metafisica». Per “filosofia naturale”, intendeva quella che oggi chiameremmo magia, almeno nella sua forma più alta e più colta.
Le efemeridi islamiche, tavole che predicevano il movimento dei pianeti, facilitarono lo studio del rapporto fra i passaggi celesti e la diffusione di gravi malattie, come le pestilenze. La medicina fu dunque il più importante campo di applicazione dell’astrologia, ma con l’andare del tempo si formularono previsioni sempre più varie e approfondite, fino alla compilazione di veri e propri oroscopi che pretendevano di predire, per filo e per segno, ciò che sarebbe accaduto a una tale persona
o a un tale Stato. Confortati dal giudizio del grande filosofo Tommaso d’Aquino (1225-1274), gli astronomi eludevano i dubbi della Chiesa, affermando che «gli astri inclinano, ma non obbligano» l’uomo a compiere determinate azioni. L’imperatore Federico II di Svevia (1194- 1250), monarca di vastissima cultura e attorniato da saggi di tutt’e tre le religioni monoteiste, riponeva la massima fiducia negli astrologi, tanto da richiedere un consulto prima di sposare Isabella d’Inghilterra, così come faceva in vista di ogni campagna militare. Alla fine, il papa volle porre un freno a questa pratica, che puzzava sempre più di paganesimo, Islam, cabala ebraica e predestinazione. Emanò pertanto due condanne, nel 1270 e 1277, che censuravano il determinismo degli astri e miravano a riportare l’insegnamento accademico nel solco della dottrina cristiana. D’altra parte, anche nei momenti d’oro dell’astrologia non mancarono studiosi che ne contestarono le facoltà divinatorie. Ma era una battaglia persa, perché gli oroscopi stavano diventando sempre più popolari, specie nelle classi colte e ricche. Dante Alighieri vedeva nello studio degli astri una straordinaria occasione per interpretare le sfere celesti, cioè la gerarchia delle intelligenze angeliche più vicine a Dio. Nei secoli successivi, il diffondersi dell’Umanesimo iniettò nuove dosi di pensiero “magico” nella cultura europea, recuperandolo dai filosofi tardo-antichi che ora venivano tradotti direttamente dal greco. A differenza di magia e alchimia, anch’esse discipline in pieno rigoglio, l’astronomia godeva del grande vantaggio di essere insegnata nelle università. Parte della pittura di corte italiana del Quattrocento è talmente intrisa di simbolismi zodiacali che la sua interpretazione richiede una chiave astrologica. Per esempio, il Capricorno appare molto spesso in dipinti e sculture della corte medicea di Firenze, a partire da Cosimo (1389-1464). Giorgio Vasari ce ne spiega la ragione: «Segno appropriato dalli Astrologi alla grandezze de’ Principi illustri e ascendente loro; come fu di Augusto; come è ancora del Duca Cosimo nostro». Non solo oroscopi Ciascuna delle signorie italiane contava sul consiglio del suo bravo astrologo, a cui erano affidati compiti precisi. Anzitutto doveva prevedere le catastrofi e i pericoli per lo Stato, tenendo d’occhio i transiti dei pianeti più nefasti, specialmente Marte e Saturno. Gli era richiesto anche di calcolare il momento più fa-
vorevole ad alleanze, guerre, inaugurazioni, feste, fidanzamenti e matrimoni, per intraprendere i quali si attendeva il verificarsi di una certa posizione astrale, ritenuta particolarmente favorevole. Inoltre, doveva redigere gli oroscopi, valutando il tema natale dei neonati, o quello della pretendente alla mano dell’erede al trono, da comparare con l’oroscopo del principe per valutarne le affinità. Infine, veniva consultato per capire la natura delle malattie e suggerire i rimedi più adatti, in virtù dello stretto legame che si credeva esistere fra astronomia e fisiologia umana. Infatti, segni zodiacali e pianeti erano distribuiti nei quattro elementi (Fuoco, Aria, Terra, Acqua), il cui equilibrio garantiva la sanità del corpo e della mente, secondo un principio ancora comune a molte “medicine tradizionali” oggi in voga, come l’ayurvedica o la cinese. Insomma, le stelle dettavano legge in quasi tutte le attività, e ciò garantiva prestigio alla scienza astrologica. Ma c’era anche l’altra faccia della medaglia: una previsione errata poteva costare il discredito e, qualche volta, perfino la vita all’imprudente profeta della volta celeste.
Riequilibrando la propria vita e ascoltando il silenzio della Natura, è possibile dopo breve tempo ricevere dei veri e propri messaggi da parte di animali che indicano la necessità di un cambiamento. Ogni animale comunica, quando si avvicina a noi in circostanze insolite e propizie, qualcosa che sta a noi comprendere, con l’aiuto dell’intuito e dell’attenzione.
Per capire quale animale scegliere come protettore e consigliere nel vostro cammino di streghe, dovete affidarvi completamente all’istinto. Nessuno vi può dire quale animale rappresenta la vostra personalità e il vostro essere e quale può aiutarvi e infondervi coraggio nei momenti difficili dell’esistenza. La cosa più probabile è che sia l’animale a scegliere voi, com’è capitato a me in quella notte d’inverno in una baita isolata e a molte altre streghe.
Una volta entrati in sintonia, la cosa migliore sarebbe averlo sempre con sé sotto forma di gioiello e tenere qualche soprammobile che lo rappresenti in casa come “custode” magico.
Potete incontrare il vostro animale totemico, con un poco di pratica, nelle vostre passeggiate solitarie nei boschi, oppure nei viaggi sciamanici (viaggi interiori attraverso i quali si ricerca la “visione”; per approfondire l’argomento, potreste leggere un buon libro sullo sciamanesimo), durante i quali potrà darvi le risposte che cercate, dissipare dubbi, guidarvi verso il vostro io. Potrebbe anche succedervi, in questi viaggi, di incontrare altri animali, che cammineranno con voi nel sentiero della vita, magari solo per poco tempo diventando nuovi consiglieri. L’animale guida vi donerà la forza e la saggezza necessarie per il vostro cammino magico,
ma anche per risolvere piccoli problemi quotidiani. Se volete tenere lontano il malocchio, quando avete incontrato il vostro animale guida, ma non avete la possibilità di indossarlo sotto forma di gioiello, appendete sulla porta di casa una sua effigie in terracotta, che terrà lontane le influenze negative.
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il seguente:
Rosso: amore Nero: negatività
Azzurro: protezione Verde: realizzazione Giallo: tradimento di varia natura (amore, amicizia, famiglia) Viola: sofferenze Bianco: serenità.
Disponete della sabbia o della terra in un vassoio che appoggerete su una superficie piana.
Ci sono svariati metodi di divinazione, tra questi i tarocchi, i fondi del tè e del caffè, la let#tura della mano, della terra, dell’acqua, la sfera di cristallo, le rune, il pendolino e molti al#tri ancora. Abbiamo bisogno di utilizzare un sistema esterno per ispirarci e creare la dispo#sizione d’animo, in modo da diventare ricettivi.
Ecco due tipi di divinazione originali:
Ponete su di un tavolo una candela accesa, dopo aver sparso delle pietre preziose o in alter#nativa dei pezzi di vetro colorato. Oscurate la stanza e, seduti di fronte alla candela, chiu#dete gli occhi e concentratevi, riapriteli e osservate il colore della luce riflessa che per pri#ma arriverà ai vostri occhi da una delle pietre.
In base al colore che avrete visto, il responso sarà
Sedete davanti al vassoio, chiudete gli occhi e appoggiate la mano sinistra sul bordo del vas#soio, impugnando un bastoncino o una matita che sfiori la superficie della terra. Rilassatevi e non pensate a nulla. Le naturali oscillazioni della mano formeranno dei segni che voi po#trete interpretare così: Anello: Realizzazione Cane: Un amico vi aiuterà Aquila: Novità Casa: Stabilità Catena: Nuovo legame in vista Croce: Risveglio dei sentimenti Piccole croci: Litigiosità Drago: Avversità Ferro di cavallo: Fortuna Fiore: Avvenimenti importanti in vista Gatto: Falsità Linea: Viaggio, novità
Più linee: Persona dal passato Montagna: Evoluzione
Pugnale: La lama alta indica vittoria, quella bassa sconfitta
Uccelli: Novità Uncino: Attenzione ai nemici
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Questa Luna Piena viene denominata “del Lupo”, il nome si riferisce agli animali che in questo periodo dell’anno, più che negli altri, sono alla ricerca di cibo, visto che per via dell’Inverno il cibo e le provviste iniziano a scarseggiare. Viene denominata del lupo proprio perché in questo periodo la selvaggina scarseggia e il lupo, anticamente, si avvicinava, spinto dalla fame, vicino ai centri abitati. Il nome di questa lunazione è “del Sonno”, in quanto alcuni animali riposano in letargo, e la stessa natura ci appare addormentata, ferma.
Il Plenilunio avverrà sabato 7 gennaio alle ore 00:07 am.
Questa è la X° Lunazione del 2022, iniziata col Novilunio del 26 dicembre 2019. Pur essendo conclusosi il 2022 la numerazione delle lunazioni segue quella dell’anno appena finito, perché per antica tradizione agraria le lunazioni vengono numerate dal primo Novilunio dopo l’Equinozio di Primavera.
La terra di Gennaio è spoglia, gli animali sono per lo più in letargo e la vegetazione appare avvolta in un sonno profondo, rivestita per buona parte del tempo, da una patina di ghiaccio che dà l’idea d’una grande immobilità. In realtà in natura, come nell’uomo, questo è un tempo dove le energie non sono realmente sopite, ma piuttosto rivolte all’interno, in una concentrazione che manifesterà i suoi frutti in seguito, con l’avvento della primavera.
Questo è un Esbat di inizi, l’energia ed il potere scorrono pigramente.
Si ritiene sempre opportuno in questo periodo conservare l’energia lavorando in gruppo con scopi comuni, ed aiutare chi all’interno del proprio “gruppo” (familiare o di amicizie) si trovi in difficoltà.
La natura in questo mese affronta il momento più
freddo e più duro del ciclo annuale.
Con il Solstizio il Sole ha segnato il punto di svolta del suo ritorno, ma il tempo dalla piena espressione della sua forza e del suo calore è ancora lontano.
È un Esbat di preparazione per accogliere la rinascita di Primavera che si avvia con il Sabba di Imbolc o Februa (1 febbraio).
Piccolo consiglio è quello di meditare, quindi dedicarsi ad un viaggio interiore, perché solo conoscendosi si può migliorare la propria vita.
DELLA LUNA DEL LUPO:
Piante: maggiorana, cardo selvatico, noci, pigne
Colori: bianco brillante, blu-violetto, nero Fiori: bucaneve
Profumi: muschio, mimosa
Pietre: granato, onice, giaietto, crisopazio
Alberi: betulla
Animali: lupo, volpe, coyote
Siate come il Lupo, persone capaci di vivere sia in gruppo che in solitaria, persone che non perdono la propria identità e individualità, il Lupo ha molto da insegnare a noi umani….
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Questa Luna Piena è detta “del Ghiaccio”, il nome si riferisce agli ultimi freddi, alle ultime gelate, primo dell’arrivo della bella stagione. Nell’aria infatti, al di là del freddo si incomincia a presagire che i giorni bui stanno per lasciarci!
Il nome di questa lunazione è “del Sogno”, si riferisce al fatto che in questo periodo tutta la campagna continua a sembrare caduta in un profondo letargo. La terra è spoglia, gli animali sono per lo più in letargo e la vegetazione appare avvolta in un sonno profondo, rivestita per buona parte del tempo, da una patina di ghiaccio che dà l’idea d’una grande immobilità.
La Luna sarà Piena domenica 5 Febbraio alle ore 19:28 pm.
Siamo nella XI° Lunazione “del 2022”, iniziata con la Luna Nuova del 21 gennaio 2023.
Questo Esbat è un momento di guarigione, di ricarica interiore.
Invita all’analisi della propria individualità per potersi migliorare in futuro.
“L’analisi introspettiva” va effettuata con grande attenzione ed onestà, poiché sarà fondamentale per prepararsi all’Esbat successivo e all’arrivo della Primavera.
Pur essendo ancora inverno, ormai le giornate si stanno allungando, anche se persiste il freddo. In natura iniziano ad apparire i primi segni della nuova vita. Specie nelle regioni dove l’inverno e più mite si possono scorgere in questo periodo le prime gemme.
La natura si prepara alla rinascita, anche noi in questo periodo, approfittando dell’Esbat della Luna del Ghiaccio, dobbiamo prepararci a chiudere con il vecchio e rinnovarci, pronti per affrontare un nuovo ciclo stagionale.
Questo periodo e questo Esbat è molto adatto alla purificazione; infatti i riti legati a questo Esbat sono di carattere purificatorio e protettivo.
DELLA LUNA DEL GHIACCIO:
Piante: salvia
Colore: blu chiaro, violetto
Fiori: primule
Profumi: glicine
Pietre: ametista, diaspro, cristallo di rocca
Alberi: sorbo, alloro, cedro
Animali: lontra
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Quest’anno la Luna Piena è anche definita “superluna”, questo perché si trova molto vicino alla Terra per cui ci appare più luminosa e leggermente più grande, un evento molto comune che non ha niente di eccezionale.
. Il Plenilunio avverrà martedì 7 marzo alle ore 13:40 pm.
Questa è la Luna Piena denominata del Seme, il plenilunio della XII° è ultima Lunazione del 2022 (lunazione iniziata con il novilunio del 20 febbraio), denominata “dell’occhio che si chiude”, il nome allude al “ciclo del periodo invernale” che va a chiudersi.
Essendo l’ultima lunazione riveste di notevole importanza, poiché segna il passaggio che porta dalla letargia invernale al completo risveglio primaverile. Chiude così il ciclo oscuro e ci si approssima a quello luminoso.
Per la sua forza energetica e quindi propizia a meditazioni, viaggi sciamanici e per attività di preparazioni per nuovi inizi.
Questa Luna Piena prende il nome di “Luna del Seme”.
Il nome, Luna del Seme, è assimilato alla preparazione dei campi che vengono coltivati, tramite la semina, per essere produttivi nei prossimi mesi.
La giovane Dea Terra si prepara a dismettere il suo sobrio abito invernale, per ricoprirsi di fiori e colori. Anche la luce del sole continua a crescere, durante l’equinozio ha raggiunto il punto di parità perfetta con il buio.
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È un Esbat che segna il periodo di cambiamenti e di nuove opportunità, così come i semi che danno nuove piante, visto l’approssimarsi di una nuova stagione. È quindi una Luna dedicata ai nuovi inizi e ai cambiamenti.
In questa fase di equilibrio equinoziale le due polarità, fuori e dentro di noi, si attraggono e si cercano l’un l’altro, e possiamo vederlo nella natura che risponde al richiamo: gli uccelli nidificano, gli animali di terra si accoppiano, le prime farfalle fecondano i fiori ed anche i primi uccelli migratori fanno ritorno.
Questo è un Esbat ideale per sgomberare la nostra mente, dai problemi e dalla pesantezza dei mesi passati, in modo da accogliere nel modo migliore la parte luminosa dell’anno.
Quindi approfittiamo per meditare e cercare di liberarci del vecchio, perché conoscere se stessi vuol dire essere più sereni e aperti a nuovi inizi. .
DELLA LUNA DEL SEME:
Piante: ginestra, muschio Colori: verdino, rosso-viola Fiori: narciso selvatico, violetta Profumi: caprifoglio, fiore di melo Pietre: acquamarina, eliotropia Alberi: ontano, corniolo Animali: puma, porcospino .
Ogni Bene a tutti, approfittiamone per meditare un po’, rilassarci e liberare la mente dalle tante ansie che purtroppo in questo periodo ci stanno assalendo.
Forza e coraggio, responsabilità e precauzioni e ce la faremo!
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Imbolc o Februa è la festa della luce, che i cristiani hanno trasformato nella loro festa della candelora.
La pianta sacra di Imbolc è il bucaneve, bianco e puro come la Dea. Periodo più adatto per guardare al futuro con fiducia e ottimismo, Imbolc ci invita a prendere coraggio per rifiorire lentamente nei mesi successivi. Per eliminare le tensioni e gli aspetti della nostra vita che non ci piacciono, possiamo accendere una candela bianca e pregare la Dea di purificarci. La Scopa è uno strumento importante in questa festa, perché “spazza” dalla nostra casa tutte le negatività accumulate nell’inverno passato.
Piccoli consigli per vivere in pieno questo Sabba: Cercate di rifornirvi di candele perché questa festa è propizio per benedirle e purificarle, poiché per tradizione se vengono fatte in questo sabba hanno più valore sacrale.
Adornate la casa con fiori bianchi, rami di edere e candele bianche.
Procuratevi alcuni rametti di edera e legateli tra loro con del filo di lana bianco, formando una sorta di fiocco. Attaccate alla lana qualche campanellino e delle conchiglie forate, oppure monetine, sempre forate, color argento. Tenete il Talismano nella vostra stanza da letto.
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Considerato un Sabba Maggiore, tradizionalmente si celebra il 1 Febbraio, da noi Coven del Quadrifoglio viene denominato Februa ma è conosciuto come Imbolc.
Questo Sabba è la “festa della luce”, che i cristiani hanno poi trasformato nella loro festa della Candelora (celebrata il 2 febbraio).
Anticamente i celti vedevano questo periodo come “uno sparti acque” tra la fine del periodo freddo/oscuro e l’inizio della bella stagione (del periodo di luce).
Nel calendario romano febbraio coincideva invece con un periodo di riti di purificazione, rituali tenuti in onore del dio etrusco Februus e della dea romana Febris, successivamente anche in onore a Giunone (Iuno Februata) dea della fertilità (februata nel senso di purificata e pronta a essere di nuovo madre). Da qui l’epiteto “februa” “februare”, che significa “purificare”.
Questi rituali di purificazione avevano il loro culmine intorno al 14 febbraio. Per purificare la città era usanza che le donne girassero per le strade portando delle fiaccole accese, festa antesignana della Candelora Cristiana che venne introdotta nel VII secolo.
Questo è la parte centrale del periodo oscuro dell’anno, ci troviamo quindi a metà strada tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera.
Il sole riprende forza. Per questo è considerata una festa di luce, perché ormai l’inverno è al terminare e cede il posto alla bella stagione.
È il momento giusto per sbarazzarsi delle cose vecchie, per iniziare il nuovo.
In questo giorno celebriamo il lento risveglio della Natura e l’arrivo della Luce (la Dea che si riprende dopo aver generato, manifestandosi come fanciulla).
Questo è anche il primo Sabba del nuovo anno civile, quindi è idoneo per rituale di purificazione.
Siccome è una festa di purificazione è tradizione che in questo giorno, si purificano le candele che andremo ad utilizzare durante l’anno.
Si crede che le candele purificate e benedette durante questo Sabba siano quelle con maggiore carica di energie, quindi prendete più candele che potete e beneditele per poi usarle durante le varie festività.
Si usa addobbarlo con candele. Il colore è il marrone.
Ogni Bene!
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Momento perfetto per uscire all’aria aperta e fare attività fisica, simboleggia il risveglio definitivo della Natura. Per propiziare un anno positivo, potete piantare dei semi, nell’orto o in un vaso, offrendoli al sole. Si possono accendere delle candele gialle, per l’occasione, celebrando il risveglio della vegetazione. Profumate gli armadi e i cassetti con essenze fiorite e accendete incensi stimolanti per caricarvi di energia.
Nell’Equinozio di Primavera il giorno e la notte hanno la stessa durata. La natura si risveglia dal lungo sonno invernale, quasi dappertutto è già spuntata l’erba e i prati cominciano a ricoprirsi di fiori.
Gli uccelli preparano i nidi e la maggior parte degli animali sente il richiamo della stagione degli amori.
Come prepararsi ad accogliere la primavera in noi: una ciotola piena di uova decorate, fiori di campo, primule in vasetto, pupazzetti di cuccioli, uccelli, pulcini o coniglietti.
TALISMANO DI PRIMAVERA: Cercate un grosso uovo: l’ideale sarebbe un uovo
di oca, se non proprio di struzzo. Fate un buchetto sul fondo in modo da far uscire il contenuto, poi con un coltellino molto affilato praticate un’incisione netta, cercando di non rompere il guscio. Dovrete ottenere due metà. Posatele in una ciotola contenente della sabbia e riempitele di terra fertile da giardino. Mettete delicatamente sulla terra alcuni semi di grano, fieno o miglio (o altri a vostra scelta) pensando a ciò che desiderate e che esso possa realizzarsi, innaffiate il tutto delicatamente. Presto il vostro uovo fiorirà, portando ve lo auguro armonia e gioia di vivere.
L’Equinozio di Primavera avrà luogo lunedì 20 marzo alle ore 22:24 pm.
Coven del Quadrifoglio www.wicaitalica.blogspot.it
L’Equinozio di Primavera cade lunedì 20 marzo alle ore 22:24 pm.
Dai più è conosciuto col nome di Ostara, da noi Coven del Quadrifoglio è denominata Ver Sacrum. Il nome Ostara deriva dalla Dea germanica Eostre, patrona della fertilità.
Da noi è denominato Ver Sacrum. Il Ver Sacrum (primavera sacra) anticamente era una pratica rituale Italica che veniva svolta come buon auspicio per varie occasioni; sia in caso di mancanza di nascite ma anche per fondare nuove città o colonie o per favorire le emigrazioni delle popolazioni verso le nuove terre. Il Ver Sacrum era prettamente un rito di nuovo inizio e di buon auspicio (ideale quindi per l’Equinozio di Primavera).
A livello spirituale in questo Sabba si celebra il Dio, cresciuto nel fiore della sua giovinezza, e la Dea, rigogliosa come la Terra, che si avviano verso il massimo della loro vitalità.
Tutto infatti si risveglia, le piante fioriscono, gli animali ritrovano nuova energia, e luce e oscurità si trovano in equilibrio.
Si celebra la vita, l’allungarsi delle giornate e l’arrivo di nuove gemme sulle piante.
Per i neopagani questo Sabba rappresenta la gioia di rivivere dopo il freddo e il buio dell’inverno.
Questo Sabba segna un nuovo inizio, come tutti gli inizi è propizio perché rappresenta il momento giusto per sbarazzarsi delle cose vecchie per iniziare il nuovo.
E’ un giorno di Equilibrio Energetico, dove le polarità del Dio e della Dea, del maschile e del femminile o anche della morte e della vita, sono in perfetto equilibrio.
L’Altare si usa addobbarlo con uova (simboli di fertilità e rinascita), fiori di campo e primule. Il colore è il verde chiaro.
Ogni Bene!
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Mi chiamo Luce e sono un sacerdote guaritore, una portatrice di Chanupa, una sacerdotessa di Athena, una custode di preghiere e un’attivista nel mondo pagano.
Ma prima di tutto questo sono una persona che ama profondamente il Sacro e si ritiene immensamente fortunata. Questo cammino è un dono che rende meravigliosa la mia vita, nella bellezza e nel dolore so di essere sempre a casa.
Canale youtube: https://youtube.com/channel/UCpfz7ZLvfECjH3rZ91tW3WQ
E-mail: luce_ale@yahoo.it
La filastrocca che state per leggere è stata composta molti anni or sono da una persona straordinaria che non è più fra noi. Inizialmente mi è stata inviata per includerla in un numero speciale della rivista pagana Pimalaya ma, dopo la sua morte, mi sono ritrovata ad includerla in tutti i miei progetti legati ai bambini.
Credo sia importante far brillare la memoria di chi ha camminato con noi. E ancora di più lo è per i piccoli di casa.
Onorare la vita (e la morte) di chi ha lasciato il corpo non è riattivare il dolore e la pena ma far sapere che nessuno verrà dimenticato, che gli insegnamenti hanno lasciato il segno in noi e che siamo profondamente grati per ogni ricordo che portiamo nel cuore.
Spero che queste parole possano toccarvi, che la vogliate insegnare ai vostri bambini e che sia parte delle vostre vite come è parte della mia.
A Gennaio la luna sorge per i Lupi La Tempesta di Febbraio promette tempi cupi A Marzo con la neve la luna è ancora Bianca E la Lepre ad Aprile di saltare non è stanca Le Coppie di Maggio sotto la luna stanno ad amoreggiare E a Giugno il Miele trabocca dall’alveare Nei campi le Erbe a Luglio raccogliamo Le Granaglie di Agosto allegri falciamo Con Bacco a Settembre il Vino non langue La luna di Ottobre si tinge di Sangue Novembre spande il suo manto di Neve E la luna di Quercia a Dicembre sovviene Se in un mese due volte la luna appare È detta la Blu e tredici Esbat puoi contare
Questo è il primo articolo di una serie incentrata sulle divinità e sul loro potere di guarigione. Ovviamente tutte le divinità legate all’ambito pagano (o comunque politeista) contengono moltitudini, universi interi di grandezza, semi di guarigione così come di veleno. Entrambi i poli sono esattamente ciò che devono essere. Tutta l’evoluzione si basa su opposti che interagiscono e si alternano in una danza a volte gioiosa altre macabra.
La visione pagana, non contemplando né il male né il bene assoluto, è agevolata nel riconoscere sacralità in entrambi questi aspetti.
E se in questi articoli ci soffermeremo a parlare principalmente della guarigione che loro ci possono portare ciò non significa che ogni divinità non sia - allo stesso tempo - foriera di energie tutt’altro che edificanti.
Condividere con loro la magia della guarigione significa anche condividere le loro ossessioni, la loro visione distorta delle cose o, semplicemente, i loro limiti.
Adoro la visione di Jung - così alternativa rispetto a quella comune - che ci ricorda che anche gli Dèi hanno bisogno di guarigione e che il nostro compito è sicuramente quello di aiutarli a far questo.
Immaginare che la guarigione possa trasformarsi in un cerchio che dal Sacro giunge a noi e che da noi torna al Sacro, mi emoziona ogni volta.
Andando però sul pratico, che cosa occorre fare
per guarire con gli dèi? Semplicemente entrare in relazione con loro, portarli nelle nostre vite, approfondire i loro miti cercando di comprenderli, chiamarli nei nostri cerchi, creare per loro un altare di studio o, ancora, usare l’arte e la creatività per dar loro una forma (come creare dei tarocchi, degli oracoli, delle statuette, dei collage, ecc…) o ancora scrivere loro delle lettere.
Se sapremo ascoltare, il modo giusto arriverà a noi naturalmente.
Questi miei articoli si propongono invece di analizzare - con uno sguardo guaritorio - le varie divinità. Ho deciso di cominciare da Athena perché è la mia dea e non passa giorno in cui non cerchi di servirla al meglio delle mie potenzialità. Essere una sua sacerdotessa ma soprattutto una sua figlia, mi rende ben consapevole dei suoi punti di forza e delle sue fragilità perché quasi sempre sono anche le mie.
E va bene così.
Amare una divinità non significa scorporare le sue ombre dalla sua maestosità.
Semmai portarle in noi per vederle e farle fruttare in sapienza e conoscenza.
E questo è forse il primo dono che Athena ci può portare. Lei ci sprona a non accontentarci delle risposte comuni alle domande della vita. Non c’è nulla che non possa e non debba essere messo in
discussione. Ogni dato va analizzato, vagliato e ponderato in un’ottica di comprensione. Con lei possiamo, non solo acquisire conoscenza ma - anche e soprattutto - trasformarla in saggezza.
Per far questo occorre abolire i dogmi, le consuetudini con cui si guarda alla realtà circostante; non si può e non si vuole accogliere altra verità che quella che giunge a noi dopo un viaggio profondo e intimo.
Non si accetta di venir manipolati dagli altri né che chi ci sta attorno decida ciò che noi dobbiamo pensare, provare, capire, conoscere o sperimentare.
Athena è la dea della vera libertà interiore, che può contemporaneamente farci filosofeggiare con la vita per ore e concludere che non esistano verità granitiche subito dopo.
Ed è per questo che la considero anche la dea più atea che esista, capace di mettere in discussione anche la sua stessa esistenza.
Credo che le sue figlie/i suoi figli siano - in assoluto - le meno/i meno devote/i al culto divino ma contemporaneamente anche coloro che lo sono di più perché non vincolati a degli assiomi che possono venir messi in discussione.
In una società come la nostra in cui si coltivano pecore, forgiare noi stessi come liberi pensatori è una ricchezza senza eguali.
Ma non è semplice e non è senza prezzo.
Athena però ci porta un altro dono che mi piace descrivere così: il coraggio di fare la cosa giusta anche quando è a nostro svantaggio.
Non si tratta di ardimento violento, di culto del superuomo, di aggressività marziale ma semmai si avvicina di più alla figura del samurai antico.
Una persona che passa la vita a forgiare la sua mente prima che il suo corpo affinché le sue azioni siano piene di onore, di coraggio quotidiano, di fare ciò che sentiamo essere etico invece di ciò che sarebbe a nostro vantaggio. Forse anche di accettare - senza tanti sentimentalismi - ciò che la vita ci riserva, conoscere il nostro valore e la nostra dignità perché combattiamo, noi per primi, per rispettarla ogni giorno.
Conoscere i nostri valori e ciò che riteniamo giusto per noi ci permette di non farci soggiogare dai premi del mondo, dai cinque minuti di popolarità
e di saper distinguere fra vanagloria e vero potere personale.
E forse anche ci conduce fuori da qualsiasi palude del vittimismo. Non possiamo prenderci in giro, siamo responsabili delle nostre scelte e delle nostre non scelte. Tutto si traduce nell’avere o meno il coraggio di rispettare il nostro onore.
Athena sicuramente ci aiuta anche ad essere equilibrati, a ponderare le varie questioni fino a trovare la strada migliore, ad essere autonomi non solo nel pensiero ma anche nelle azioni (solo così possiamo allegare i nostri muscoli interiori). Ci permette di avere resistenza di fronte alle avversità; tutto può essere infatti messo in prospettiva e guardato da un’angolazione diversa. Anche i più grandi traumi, per chi cammina con Athena, vengono trasformati in forza.
Ci invita anche a mettere in ordine la nostra vita, i nostri pensieri e le nostre relazioni.
La confusione e il caos ci allontanano dal pensiero logico, razionale, pulito e capace di arrivare a soluzioni intelligenti ed utili.
Molti non vedono la capacità di giudicare in maniera quasi asettica e priva di emozioni, come un vantaggio. Personalmente penso che la nostra società giochi troppo sui sentimenti, manipoli attraverso i bisogni primari e “trasformi” gli esseri umani in meri consumatori.
Anche la comunicazione è distorta. Il contenuto del messaggio ha meno importanza della sua forma. Il tono è visto come centrale rispetto ad un pensiero logico che parta da A per finire con Z.
Mi piace l’espressione buddista che parla di far riposare i sentimenti. Proprio in quest’ottica di abuso quotidiano, la razionalità di Athena è un balsamo per l’anima.
Di contro, i veleni di Athena sono davvero tanti.
Mi diverte ricordare come spesso - a titolo di critica - ci venga contestato di essere troppo forti. Siamo testarde/i ed arroganti, siamo convinte/i della nostra analisi, poco propense/i ad interessarci dell’emotività altrui (specialmente durante una discussione che per forza di cose dovrebbe basarsi su dati oggettivi, ricerche accademiche, ecc…). Non perdoniamo quasi mai offese alla nostra dignità e
non torniamo indietro sulle nostre decisioni. Un lavoro deve venir fatto bene (non esiste “ho fatto del mio meglio”), siamo perfezioniste con noi e con gli altri, esigenti e precise con normative e strutture. Siamo poco flessibili e la creatività deve venir assoggettata all’obiettivo così da poter essere funzionale. Se ci facciamo un’opinione su di una persona valutiamo le singole sfumature, le parole che quattro anni prima ci hanno detto, il modo in cui tengono la penna e l’errore grammaticale che hanno fatto sulla tesi sette anni prima. Di conseguenza, quando arriviamo a questa valutazione difficilmente la cambiamo. Non offriamo seconde possibilità e non investiamo sul margine di miglioramento delle persone. Le abbiamo catalogate e lì rimangono.
Essere guerriere ci fa comprendere poco le fragilità degli altri (e anche di più le nostre) perché semplicemente forgiamo noi stesse/i all’eccellenza e non accettiamo scuse.
Facciamo fatica a consolare le persone perché se noi siamo in grado di accettare la verità, diamo per scontato che anche gli altri lo sappiano fare. E’ rispettoso per noi trattare gli altri come se fossero forti, valorosi e coraggiosi come noi.
E sicuramente i sentimenti sono il nostro tallone d’Achille. Essere vittime di passioni e ossessioni è totalmente fuori dalla nostra zona di comfort. Facciamo fatica ad apprezzare lo scombussolamento che le emozioni forti provocano e diventiamo molto abili nell’infilare la nostra emotività sotto al tappeto. E, dulcis in fundo, siamo davvero troppo maniache con l’ordine. Io, per esempio, devo avere la biancheria suddivisa per tipologia, i maglioni suddivisi per colore, le polveri in un posto diverso dagli incensi, i documenti catalogati per anno e per genere, la dispensa messa in ordine di utilizzo e così via. Accumuliamo anche un sacco di libri che non leggeremo mai neppure in sette vite e questa rivista che parla delle orme dei dinosauri perché non si sa mai che possa tornarci utile.
Spero di aver fatto un quadro abbastanza esaustivo degli aspetti in cui Athena può davvero esserci d’aiuto per guarire alcuni lati di noi ma al tempo stesso non celare le sue ombre e i suoi margini di miglioramento.
Felice continuazione!
Porto in me un ricordo vivido del mio primo herbario. Ero in gita con la scuola e il nostro insegnante di scienze ci trascinava da un luogo all’altro della foresta declamando i vari nomi degli alberi e obbligando noi poveri studenti ad appuntare le forme delle foglie, il diametro del tronco, la struttura della corteccia e cose del genere.
Successivamente ho riscoperto l’arte degli herbari con un’insegnate di “erbe” che ci ha portato a scorrazzare per le campagne in cerca di trifogli dei prati, achillea, bardana e molte altre “maestre”.
Paragono entrambe queste esperienze perché le trovo – pur nella loro similitudine di fondo – molto diverse fra loro. Un herbario intriso di scienza e di nomi botanici e un altro farcito di leggende, risate e storie che si sono impresse a fuoco dentro di me.
Ed è proprio questo il mio primo consiglio: rendete viva e magica l’esperienza di creare un herbario!
I vostri bambini non lo dimenticheranno mai. Non pensate a ciò che apprendono ma a ciò che sperimentano. Infarcite i vostri racconti di sole e di gioia, create per loro una rete di immaginazione e di potere, non indicate ma mostrate al bambino attraverso il vostro esempio.
Camminate sulla Madre con estrema devozione e quiete attiva. Rispettate questo elemento e tutti coloro che ci abitano. Lasciate sempre offerte per ogni fiore o foglia che i vostri bambini prelevano. Armatevi di sacchetti di carta dove scrivere (o far scrivere, se i bimbi sono grandicelli) il nome della pianta e delle parole chiave riferite alla sua magia.
Non cercate troppe erbe in un giorno solo ma consolidate le conoscenze. Create dei momenti ludici in cui vince chi trova prima 5 piante di tarassaco, chi pensa ad una ricetta da fare con i fiori di sambuco e così via. O ancora uscite solo per cercare un’unica erba. Se prendiamo ad esempio la lavanda il bimbo potrà aiutarvi a fare dei sacchettini con la lavanda per riposare bene di notte. Insomma non lasciate che tutto si riduca a incollare una foglia su di un quaderno ma che tutto vibri di quella essenza.
Un altro consiglio che posso darvi è legato al rispetto e all’equilibrio. Oltre alle offerte potete far prelevare una sola fogliolina da ogni albero e non di più, inse-
gnate ai bimbi a chiedere il permesso prima di farlo e di ringraziare subito dopo per il dono che l’albero ha fatto loro.
Ovviamente l’herbario può essere concepito anche solamente come fotografico così da non togliere nulla alla Madre Terra (o ancora aggiungere delle foto per ricordare poi domani come riconoscerle facilmente) ma io personalmente non credo che guardare coinvolga nell’apprendimento come lo scambio.
Detto questo ognuno agisca in base al proprio sentire.
Un herbario è anche un’attività da non relegare solo alla primavera. E’ un portale verso il tocco delicato della Madre e lei, almeno in Italia, ha quattro stagioni.
Con le dovute accortezze legate alle temperature e alla protezione della prole, fate che l’herbario si sviluppi anche nel tempo, che possa rispettare il ritmo antico del tempo.
Aggiungo anche di non pensare affatto all’estetica. L’herbario prima di tutto è uno strumento del bimbo volto a imparare, non una foto da mettere su instagram.
Non stressatelo con la palette giusta dei colori ma coinvolgetelo/i semmai a fare un disegno per ogni storia che gli avrete raccontato sull’edera o sulla magia delle rose.
Lasciate completamente libera la sua creatività così che possa esprimersi.
E’ sicuramente bellissima anche l’idea di un herbario di famiglia a cui aggiungere oltre alle vostre conoscenze i contributi di vostro figlio/a che andrà poi regalato quando diventeranno grandicelli ma ciò che conta è il senso. Poter rivedere fra 15 anni l’herbario che proprio lui/lei ha creato con la sua mamma/papà significherà un tuffo al cuore e tanto amore reso visibile.
La differenza con un libro preso in libreria sarà proprio quell’impronta di terra, sarà la sbavatura, la foglia messa storta, il disegno privo di proporzioni e il ricordo di quel pomeriggio passato a raccogliere l’iperico.
Ultimissimo consiglio. Se optate per l’herbario di famiglia non lesinate sul libro/quaderno di partenza. Scegliete qualcosa che possa durare per moltissimi anni con delle pagine importanti che al bambino parranno piene di magia. Riempite il libro di incanti legati all’armonia e alla pace familiare. Seguiranno il bimbo/a an-
che quando sarà lui/lei ad essere il genitore e a sfogliare questo herbario con il vostro nipotino.
Concludo ricordandovi che non esiste un giusto ed uno sbagliato con gli herbari. Se hanno un cuore, andranno sempre bene.
Felice SperimentazioneQuesti piccoli affari colorati mi hanno sempre incuriosita, specialmente nella loro versione più sciamanica in cui ogni gesto è profondamente sacro. Sono solo legno e lana ma la loro potenza è spettacolare. Nascono in Messico come amuleti che i genitori creavano per i loro bambini per assicurare loro protezione e prosperità. La tradizione vuole che il padre del bimbo crei il primo giro di tessitura e che ne aggiunga uno per ogni anno fino a quando il bambino/a avrà cinque anni.
La sua struttura è mandalica; con il supporto di due legnetti (io uso quelli degli spiedini) legati fra loro con un po’ di lana o cotone e girati poi a formare una croce. Si sceglie un colore e poi ci si immerge nell’atto di girare il filo fino a creare l’amuleto. Durante un corso che ho fatto per apprendere come crearli (ma la tecnica base è davvero semplicissima) il focus veniva posto sulla nostra capacità di tessere i nostri intenti e di dare forma alla nostra magia più profonda. Ed è attraverso questa magia che noi possiamo proteggere chi amiamo. Ogni colore e ogni forma (la più semplice è a due bastoncini ma se ne possono aggiungere fino a creare forme molto più complesse) crea una preghiera diversa. Si tratta di un tipo di arte profondamente spirituale che può venire dal nostro sentire o dalla tradizione che scegliamo come riferimento (quella da cui si originano questi “Ojos” sembra essere quella Wixarika che usa tradizionalmente solo sette colori iniziando sempre con il giallo). Ciò che mi affascina è la vibrazione magica che si avverte sia mentre li si costruisce sia mentre svolazzano al vento. Incantano lo sguardo e rinnovano la loro magia ad ogni giro su sé stessi.
Personalmente preferisco quelli semplicissimi a soli due bastoncini in quanto mi paiono più aderenti alla tradizione e meno dispersivi. Sembrano davvero un occhio divino che protegge ciò che ci è più caro.
Adoro mettermi fuori in giardino in primavera con una tisana e combattere con i gatti per non farmi rubare la lana. É profondamente rilassante (se vinco io contro di loro) e meditativo. Non penso a nulla se non a ciò che sto facendo e al valore magico che voglio trasmettere. Sono concentrata solo sul mio intento e ascolto i messaggi che lo stesso Ojo mi trasmette.
Ho anche le mie piccole abitudini che sento giuste per me: inizio sempre nel lato opposto a dove finisco il filo del colore precedente, giro sempre in senso antiorario con la tessitura, uso solo lana e se li creo per altri li faccio solo durante delle giornate di sole affinché solo gioia e bellezza possa entrare in questi amuleti; se invece sono per me durante per le notti di luna piena per assorbire tutta quella magia e potere.
Si possono regalare come dono durante le cerimonie di benvenuto alla vita (che grande magia poter vedere tanti Ojos che proteggono i bimbi…), appendere nella stanza dove riposano i nostri pupi (e allargo il concetto anche ai nostri bambini pelosi) così come utilizzarli a protezione di oggetti sacri o di luoghi carichi di potere benefico.
Qui posto alcuni dei miei ojos ma non esitate a condividere con noi i vostri.
E ricordate “ogni occhio è un dio od una dea che ci onora della sua presenza”.
Buona sperimentazione!
Alle soglie dei 40 anni di esperienza con le pratiche divinatorie e le discipline olistiche ho voluto condividere con voi le mie rune, le Rune Wicca. Il mio percorso divinatorio inizia 40 anni fa ed è proseguito fino ai giorni nostri attraverso l’utilizzo di svariati metodi e strumenti: tarocchi, astrologia, pendolino, caffeomanzia, lettura con il lancio delle conchiglie e persino essere diventata prima operatrice, e poi Master Reiki.
Le RUNE WICCA non hanno nulla in comune con le Rune Norrene, e non sono neanche le Rune delle Streghe.
Sono Rune che nascono all’interno della Wicca, nello specifico nella tradizione della Wica Italica.
Sono 31 Glifi: alcuni associati agli 8 Sabba, altri alle Divinità, agli Elementi e infine agli Esbat. Uno strumento divinatorio innovativo, molto spirituale...
Autore: Sibilla Astro
ISBN: 978-88-946345-1-8 Pagine 120 €uro 20,00
Edito dalla ITALUS Edizioni www.italusedizioni.wordpress.com https://italusedizioni.wordpress.com/
La presente ricerca approfondisce tematiche inerenti alla coltivazione, trasformazione ed usi della canapa (cannabis sativa) nella Valle del fiume Nera in Bassa Umbria, dalla prima Età Moderna al XX secolo. Il repertorio documentale raccolto – da quello archivistico-bibliografico ed orale-informativo, a quello degli esempi tangibili di antiche tele di canapa conservate nelle collezioni casalinghe – ha sollecitato a valutare meglio l’interrelazione che in passato legava la coltivazione della pianta tessile al territorio e alle produzioni, i contesti umani ai commerci e ai sistemi giuridici; a riflettere sulla gradevole compatibilità naturale di questa fibra vegetale. Gli innumerevoli utilizzi delle tele di canapa nella quotidianità del lavoro, ell’abbigliamento, dell’arredo e perfino nel mondo artistico, hanno definito la vastità e l’importanza del tema economico di una fibra tanto “popolare” e altrettanto apprezzata commercialmente. I dati emersi, dalle leggi statutarie alle attestazioni delle fonti orali, dai catasti agli inventari dei beni allegati agli atti civili o ai testamenti conservati nei protocolli notarili in una rarefatta assenza di tempo, di identità e di privacy, hanno permesso di fare della storia una narrazione concreta e reale, di “invenire” e quasi toccare con mano la magia del lavoro di tanti uomini e donne addetti alle molteplici trasformazioni di una fibra utilizzata e tessuta fino ad un passato assai prossimo. A conclusione della ricerca storica, sono stati proposte alcune testimonianze di antiche tele di canapa conservate nei corredi femminili allo stato grezzo, o anche elaborate dall’inventiva e dalla cultura dell’artigianato in tempi relativamente recenti.
Autore: Cristina Sabina
ISBN: 978-88-946345-4-9
Pagine 200 €uro 18,00
Edito dalla ITALUS Edizioni www.italusedizioni.wordpress.com https://italusedizioni.wordpress.com/
Seconda metà degli anni Settanta: sono gli anni della Saturday Night Fever, del divertimento folle, delle discoteche celebri. Lo “Sudio 54” a New Yotk, il “Palace” a Parigi e l’ “Easy Going” a Roma.
I Bee Gees… imperversano con la loro musica. Ma sono anche i cosiddetti “Anni di piombo”, anni di terrorismo e violenza.
Alessio è un giovane studente appassionato di arte che si trasferisce a Roma e non vuole rinunciare alla spensieratezza e alla gioia di vivere. Tanti gli incontri che lasceranno traccia. Un viaggio di formazione sempre in bilico tra entusiasmo e solitudine.
Autore: Roberto Caforio ISBN: 978-88-946345-8-7 Pagine 200 €uro 16,00
Edito dalla ITALUS Edizioni www.italusedizioni.wordpress.com https://italusedizioni.wordpress.com/
L’intento di questo libro è quello di tramandare le tradizioni del passato stabilendo quale sia, oggi, l’utilizzo degli amuleti e dei talismani. Il libro vi guida in un complesso percorso parlando di pietre, di cristalli, di influssi astrali, di astrologia, di erbe e cercheremo insieme di trovare il modo di riprendere possesso di queste conoscenze spesso dimenticate.
Gli argomenti trattati potrebbero sembrare obsoleti, carichi di tematiche provenienti da un ormai dimenticato passato, vuoto di contenuti utili per noi che viviamo nell’epoca moderna.
La parte migliore del viaggio è la progettualità, in cui si pensa a come raggiungere un obiettivo, in cui si nutre il progetto con il migliore dei concimi: il credere che ciò sarà possibile.
Il pensiero crea e la fede solidifica, giungendo così alla realizzazione, al potere del creare.
Non vi si chiede di credere ciecamente, ma di mettere forza ed energia nel lavoro che andrete a svolgere, vi si chiede di essere responsabili nel padroneggiare il vostro destino.
Certe credenze non vanno considerate inutili superstizioni, vanno sperimentate prima di esprimere un giudizio.
“Amuleti - talismani - pietre magiche - cimarutamandragola - vischio - anelli magici - vegvísir - pentacoli – tetragrammaton - essenze - parole magiche - nella tradizione popolare e nella wicca, sono solo alcuni degli argomenti trattati in questo libro…”
Autore: Sibilla Astro
ISBN: 9788894634525
Pagine 188 €uro 15,00
Edito dalla ITALUS Edizioni www.italusedizioni.wordpress.com https://italusedizioni.wordpress.com/
Riportiamo alcune poesie dello scrittore Mario Gabassi, autore di molti libri editi dalla Italus Edizioni, come: “Due Mondi”, “Torre Maggiore e l’Albero Cosmico”, “Racconti”, “A Federico II di Svevia”, “A Pablo Neruda”, “Gaudio Magno”, “Rose di Primavera” ecc…
Diario. Albe fiammeggianti. Meriggi torridi. Tramonti colorati. Notti oscure.
Amore Fantasia dell’approccio. Tremore dei primi contatti. Sconvolgimento della passione. Tristezza dell’abitudine. Natura Germoglio del seme. Sviluppo del virgulto. Fioritura esplosiva. Disseccazione. Polvere dispersa dal vento. … e la chiamano Vita!
1
È l’alba. In piedi sul mio balcone attendo il sorgere del sole. Cielo e mare ancora si confondono avvolti dal manto buio della notte. Un vento fresco, leggero, preannunzia l’evento.
Ricordi? Vivemmo noi due un momento uguale. Eravamo sulla veranda della casetta, i piedi scalzi; davanti a noi la sabbia e il mare tranquillo.
Agili corremmo verso l’acqua: l’onda tiepida ci accarezzò le caviglie. Ricordi? Restammo immoti, in attesa.
Poi (ricordi?), dopo i meravigliosi preliminari, il sole, lentamente, iniziò a sorgere, rosso, tra fiamme di fuoco, colorando i nostri corpi. Eravamo immersi nella natura: terra, acqua, luce, amore! Ricordi?
Esàltati ci sorridemmo e ti presi per mano; poi, vòlti verso la casetta, corremmo felici per godere fino in fondo la malia, il fascino irresistibile di quell’istante.
Aprile 2023 (trimestrale dell’Associazione Italus) *** *** ***
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