Di-versi In-versi. Uno sguardo (tra poesia e prosa). Inganno. Ero cieco, ma mi hai aperto gli occhi, mi hai teso una mano e con inganno ti sei fatta amare. Una luce illuminava il tuo viso, sembravi un angelo. Eri bella, ma in te qualcosa mi spaventava, non ho saputo capire cosa, e avevo paura, e ti desideravo. Il tuo sorriso mi ha condotto in un prato, era triste, solo una Rosa Bianca e una Rosa Nera, colmavano il vuoto di quella primavera. Non ne capivo il senso, ma mi hai chiesto di scegliere, e l'ho fatto. Senza pensarci ho raccolto la Rosa Nera, e mi sono punto. Tu sorridevi, eri contenta come un bambino che ha ottenuto il suo tanto agognato giocattolo. Eri tu quella Rosa Nera? Poi sei andata via, lasciandomi solo, lì nel mio pianto, lasciando di te solo un biglietto: "Ora che mi hai seguito farò sempre parte di te, io sarò la tua amica del cuore. Tutti i tuoi segreti saranno i miei, tutte le tue paure le vivrai con me, tutte le tue speranze si esauriranno in me. Tua per sempre: Droga." L'uomo invisibile. Tu sei il dolore, tu sei la paura, tu sei la pace che non riesce a raggiungere il cuore di chi odia, tu sei l'amore, tu sei la gioia, tu sei me, ciò che il mondo ha rifiutato vendendomi alla morte. Tu sei ciò che ogni persona decide chi tu debba essere. Tu sei questo, Uomo Invisibile. Paura di amare.
Il tuo amore mi ha reso malefico, soffro al pensiero di incontrarti. Ma adoro il mio amore, perché è nero per il dolore, e odio il tuo cuore, perché è pallido d'amore. Non vedo la sofferenza, ma mi appartiene. Ti sento scorrere nelle mie vene, sei il desiderio che mi accende d'ira. Ho paura di pensarti, perché so di amarti, e mi nascondo nelle tenebre del mio cuore. Cammino con la Luna, perché tu sei il Sole; eppure nella notte cerco il giorno; perché ti amo e voglio conoscere il tuo viso. Cipressi. Lungo i cipressi della notte, troverai la vita eterna. La Luce che ci circonda, non vede il Buio che ci insegue. Circondato da tanti misteri, non riesci a fuggire dalle lacrime del Gigante, che piange per l'odio di molti e per l'amore di pochi. Un fuoco chiamato Amore. Non ti riconosco come mio figlio, sei l'anima distruttrice della vita. Insegui la tua preda! Non hai alcuna pietà, neanche della più piccola goccia della pioggia. Sei la vendetta e incuti paura, ma piangi dinanzi alla Grandezza di ogni cosa. Ora che non ci sei più, ti accingi a tornare, aspettando un piccolo segno. Ma io tuo Padre, calmo la tua ira. Sei il fuoco, sei la passione dentro me,
bruci forte, ti respingo, ma c'è il Sole che ti alimenta. Non posso nulla contro di te, se non oscurarti con il mio odio. Sei il fuoco, sei la passione che brucia nel mio cuore. Immensità celeste. Oggi piangi, ti capisco, sei triste per qualcosa che ancora non conosci. Eppure non riesco a capire, come puoi risplendere dopo una tempesta? Sorridi a quei giorni, che sono bui e violenti. Sei immenso! Con i tuoi raggi ti scagli contro noi, e con un soffio di venti ci spazzi via, vediamo il tuo dolore scatenarsi, ma non scappiamo, perché noi siamo i tuoi spettatori inermi. Un' immagine in una foto. Pochi sono stati gli anni che ti hanno legato a noi, con quel tuo sorriso sei rimasto nei nostri pensieri. Con non molti preavvisi sei stato costretto ad abbandonarci. Abbiamo pianto, ma tu ci sorridevi, perché era un nuovo giorno. Con la forza che ti abbandonava, hai combattuto il dolore fino all'estremo. In pochi ti hanno conosciuto, ma in tanti ti hanno amato. Per chi non ti ha conosciuto, sei solo un'immagine in una foto; ma per chi ti ha amato, sei il ricordo di una vita piena di forza e di amore. Zio! Ricordi. Tutto ciò che ci circonda,
non fa altro che spaventarci. Tanti sono i ricordi che mi legano a te nel passato, ma non ho niente di te a cui aggrapparmi nel futuro. Non vivo il presente, me ne manca il coraggio; è troppo bello perché io possa viverlo con la paura che finisca. Di te non voglio i ricordi, voglio te! Non andare via solo perché te lo ha chiesto Dio, ma vivi, perché te lo chiedo Io! I ricordi non mi permettono di baciarti, accarezzarti, abbracciarti, di festeggiare con te ancora un'ultima volta. I ricordi mi ricordano tutto ciò, tutto quello che non potrò più fare. Piccoli Angeli. Con gli occhi del Sole, o Luna, tu illumini la notte oscura, ma invano cerchi di risplendere l'oscurità del nostro cuore. Calmare tu vuoi il nostro dolore, ma la perdita dell'Amore invade i nostri sensi, tu ci conosci, noi siamo mortali, ma immortali ci rendiamo dinanzi all'odio. Creati da quella Natura che tanto odiamo, perché ci ha tolto ciò che ci apparteneva. O Luna, tendi le tue mani per sollevare da Terra quei Piccoli Angeli, e cerchi di donare la Speranza alle persone che hanno dovuto abbandonare un pezzo del loro cuore. 31-10-2002. Un vivere per tempo. Quando si è piccoli, si desidera tanto crescere, per far ascoltare la propria voce, per poter cambiare il mondo, per dare ad esso quell'amore
che adesso manca. Quando si è grandi, si desidera tanto invecchiare, per diventare più saggi, per non temere giudizi sulle proprie scelte, per essere amati e coccolati come quando si è piccoli. Quando si è anziani, si capisce che non bisogna aver fretta di crescere; perché la fanciullezza ci dà la dolcezza che tanto si desidera avere, perché ci dà spensieratezza, si vive come in una favola; da adulti si può davvero cambiare il mondo, ci è permesso di vivere liberamente. L'essere anziani, è sì essere più saggi, ma ci si sente abbandonati, o addirittura dimenticati, da chi ci ama, e la propria voce si perde nel vuoto. Quella lettera sul ponte. Ho trovato la tua lettera, su quel ponte pieno di ricordi. Una lettera che piangeva, e conteneva parole che alludevano all'amore. Ho letto la tua lettera, ma non era destinata a me. È stata più volte calpestata, dalla gente che cammina con lo sguardo rivolto al cielo, e non si ferma a pensare. Ho riscritto la tua lettera, affinché possa essere letta, da chi come me vuole ancora ricordare. Un sogno chiamato pace. Tutti urlano con gioia; è il trionfo della felicità. Sono ormai finiti i giorni in cui regnavano la paura, l'orrore, le lacrime; il cielo di nuovo ride su di noi,
e in ogni frase riecheggia quella piccola parola, che tanto spaventava chi non la pronunciava. Ma è solo un sogno tutto ciò che ritorna alla mia mente. Non c'è pace per chi crede ancora, che una guerra sia una soluzione. Un mondo così. Sapessi quando è difficile, dirti ti amo davanti al mondo. Questo mondo che mi ha tanto voluto, perché non mi conosceva ancora, e che adesso mi respinge, fuori da sé, perché ha visto chi sono. In fondo cos'è la diversità, se non qualcosa che ci rende uguali a tutto ciò che il mondo stesso ha creato, e rifiutato poi. Vita! Una semplice parolina, ma con un difficile significato, e con molteplici sinonimi. L'amore, la tristezza, la felicità, l'odio. Non è diverso chi ama, eppure la paura lo rende tale. Ma se così fosse, se c'è un amore diverso, allora tutto l'amore deve essere diverso! L'amore ha un solo significato, ma vive in un mondo contraddittorio, accetta e rifiuta allo stesso tempo. A una bimba senza futuro. Mary dorme! Mary corre in mezzo al prato, di colore verde; è il colore della felicità. Imprigionata da mille fiori colorati, prende il volo, guidata dalle farfalle, che tanto la fanno sognare. Oh, se tu fossi una farfalla, potresti volare lontano, lontano dal dolore, dalla paura di dover crescere. Vola Mary, sempre più in alto, nel cielo azzurro che ti accoglierà a braccia aperte,
e non vorrà più lasciarti andar via. È felice Mary, perché ritorna da chi l'ama davvero. Sorride Mary, perché si sente al sicuro. Sogna Mary una vita che le è stata tolta, ancor prima che fosse sua, perché così hanno deciso di lei. Crudele la notte. Corri notte, il dì ti rincorre! Spaventata, la Luna si nasconde dietro il Sole. Credi sia protezione, ma è solo Vendetta! Da dolce a crudele, da sorridente a piangente, quattro sono i volti della Luna; ma non possono niente contro il Sole indignato. Vigliacche le Stelle, ché promettono lealtà, ma che ci danno in pasto a quei raggi che sono solo illusione, riflessi. Sola rimarrai, oh Luna! Più nessuna luce ti si offrirà. Crudele è la Notte, ché si è venduta, e mi ha ingannato. Piume Bianche. Piange un bimbo, su quel cuscino che più non risponde. Ma sul letto, una piuma bianca è caduta dal cielo. Piange una donna, che lacrime più non ha, per il soave dormiente. Ma tra le mani stringe, una piuma bianca, strappata dalle ali di una Dama. Piange un uomo, che con le sue ali, cerca di raggiungere il suo angelo. Ma riesce ad afferrare solo, una piuma volteggiante nel cielo.
Piange una colomba nera, senza più le sue piume bianche, ormai nelle mani di chi ha perso l'amore. Vivere di altri. Non posso dire basta all'ipocrisia, vivo con essa e di essa; mi da forza e coraggio, e non lascia spazio alla paura. Non amo la mia vita, e la mia vita non ama me. Sono un sogno irrealizzabile, ed è per questo che realizzo i sogni di chi ha scelto di usare il mio corpo per farsi conoscere. Ogni volta, è la prima volta, prima sono un uomo, poi una donna, a volte piango come fossi un bambino, rido con la tristezza negli occhi. Sono me stesso solo quando non indosso le mie vesti. Vivo quando do vita agli altri. Controsenso. Triste! Ti cerco ovunque! In tutti quei luoghi in cui so di non trovarti. Fammi sentire che mi vuoi, mi basta un solo tuo gesto, e andrò via. Voglio averti per amarti; dimmi che ancora mi ami, anche se ne hai abbastanza di me. E se tu vuoi, ti farò conoscere quella parte di me che ti farà sognare. È un grido d'amore, il mio! Pazza! La mia voglia di te. Mi porta lontano nello spazio. Chiedo al tempo di non correre, ma veloce fugge via, e porta con se il mio cuore, che ho rubato da te. Triste! Ti cerco ovunque! In tutti quei luoghi in cui so che non ci sarai.
Trappola di cristallo. Sono qui, con la mia ricchezza, mi guardo intorno e vedo tesori che non mi appartengono più. Tanti specchi mi riflettono; la mia immagine è consumata, dai tanti occhi che parlano di invidia. Cerco di ritrovare me stesso, andando al di là di quelle immagini riflesse, ma incontro solo persone che come me si sono nelle loro immagini perse. Vivo in una trappola di cristallo, attorniato da beni che non mi danno ciò che voglio. Spogliato dei miei tanti preziosi, e nudo dinanzi agli occhi di chi non sa vedere oltre il mio abito dorato. Stanco di tanta ipocrisia e superficialità! Voglio ritornare in quel mondo in cui sono nato, ma che non mi riconosce più, e per questo mi rifiuta. Ritorno allora nella mia trappola di cristallo, che con ipocrita dolcezza mi riprende con sé. Un amore omicida. Non so più dove abbandonare il mio sguardo, ovunque mi volti c'è amore, e non sarebbe un problema se l'amore ricambiasse i miei sguardi; e invece mi accontento di vedere negli altri l'amore che vorrei anche io. Tutto si ridimensiona, di fronte alla sofferenza del mio tempo; ma il desiderio d'amore continua e preme su questo cuore, ormai atrofizzato, per la solitudine. Sono colpi soffocanti, i battiti del mio cuore; voglio delusione, voglio amarezza, chissà così forse avrò altro? Canto per non sentire il suo pianto, ma è più forte di me, spinge con rabbia contro il mio petto. Mi lascio abbandonare alla mia debolezza, e pretendo ciò che mi spetta di diritto, chiudere gli occhi, e fingere di vivere ancora.
Fuori strada. Ogni notte quella notte! Vivo di paure, vivo di speranze, per quella notte che non ha ancora trovato una sua fine. Cuori soli, che vivono in attesa di una risposta, lì, senza nessuno a proteggerli. Io ti cerco, cerco una luce per questi miei occhi, ma non per rendermi cieco, come tu spesso fai. Solitudine, arrivi inattesa, amica di mille incubi, e di sogni di realtà. Sei andato fuori strada! Urla una voce da lontano. Sono io quella voce, e vedo me in un cubo di latta. Ore dopo ore. Ogni attimo, ogni istante, ogni momento, è sottomesso all'impazienza del tempo. Ci sono anni, ci sono mesi, ci sono giorni, ma sono le ore che più contano per noi. Ore liete, ore insonni, ore strazianti, ore che non passano mai, e ore che scorrono velocemente, tanto da non darti neanche il tempo di pensare. Ore disorientanti, ore che ti dicono "è tardi, cosa aspetti, corri!". Ore imbarazzanti, che ti fanno tornare prima, dove non vorresti essere. Ore ingannevoli, ore credulone, ore instancabili, ore senza fine e ore già finite. Ogni attimo, ogni istante, ogni momento, è scandito dal tempo incoerente. Dove le ore sono le protagoniste! La voce del passato! Piangi, lì tutta sola, mentre la gente, gremita, deride della tua paura. Ma il tuo cuore già ardeva, non può bruciare tra le fiamme, dell'ipocrisia e dell'ignoranza.
Se tu dovessi chiamarmi, il mio tempo non mi sarà di ostacolo. Il tuo dolore colpisce il mio cuore, che non è sordo al richiamo dell'innocenza. Se potessi ti porterei con me, ma io non posso nulla, contro un tempo che non mi appartiene. Ma userò il mio tempo, per raccontare la tua storia, di chi è nata donna, in un mondo governato da bestie. In linea. Indifeso, spaventato dal mondo, uso uno specchio per nascondermi, solo la mia immagine si riflette, il mio cuore è al sicuro. Digito il mio nome, che non è il mio nome, ed entro in un mondo nuovo, dove tutti mi amano solo perché non mi conoscono. Siamo qui, ogni giorno alla stessa ora, io aspetto te e tu aspetti me. Parli con me, parli di te, e vuoi che io faccia lo stesso. Mi ami, me lo giuri, ma non mi conosci. Conosci il mio aspetto, così come io te l'ho voluto descrivere. Mi disconnetto! Ballata di una sera. Questa notte è la mia notte! Ti seguo, inconsapevole. Sono attimi, quelli che adesso vivo? Si, di delirio frenetico! Inebriante è questa musica, che suona nell'aria, e si fa respirare. Ora dolce e allietante, poi forte, è una ballata hardrock; tutto in un'alternarsi sinfonica, di note inesistenti. Ballano gli alberi, di quel vicino bosco, mi invitano a seguirli, e sono già dentro.
Indietreggio, poco alla volta per uscir fuori, ma sono trattenuto, non contro la mia forza. Ora dolce, ora forte, la musica che ancora echeggia. Seguo le note, salgo su una piattaforma piramidale, e cammino fino a raggiungere la cima. Ora cado, ma sono già a terra. Siamo noi i giovani! Ma come si fa a credere ancora nel tempo, quel tempo che non si accorge mai di noi? Ma come si fa a volare così in alto, senza ali a sostenerci? E se il cielo ci spingesse giù? Ma come si fa ad amare il mondo, quel mondo che chiude gli occhi per non vederci? Ma come si fa a non cadere, se non abbiamo gambe asostenerci? E se la terrà ci trattienesse a sé? E non c'è attimo per ridere, e non c'è attimo per piangere, siamo vita, e non ci fanno vivere, siamo corpi imbalsamati, siamo polvere, siamo aria, in un'era che ci ride in faccia. Noi siamo i peggiori. Ci dicono! Ma sappiamo amare, anche noi, pur se conosciamo solo il dolore. Desìo Testardo della propria convinzione, perché si desidera ciò che non si può avere, e ciò che si ha, non lo si vuole mai; certezza di un giurato amore. Di tanto amore il tuo cuore ne è pieno, ma ciò che vuoi è soddisfare un desiderio, che mai puoi appagare con il solo sesso. Circondato dalla bellezza più pura, ti volti altrove per cercare l'impossibile, o il possibile male del tuo vivere, inaccessibile e desiderabile. Scrivimi una canzone. Ascolto la tua voce,
che con dolce fermezza riesce a trasportarmi in un sogno, che ancora non hai iniziato a raccontare. Un sogno che parla di me, senza nessuno intorno; parla della mia solitudine, del mio vivere una realtà, decantata solo dalle parole di una canzone. Nel seguire la tua musica, mi sono ritrovato a volare, e a giungere su una nuvola, che danza con me, sulle note di una dolce melodia. Riesco adesso a vedere, attraverso i tuoi occhi, le parole del tuo testo, che compaiono e scompaiono, lasciando spazi vuoti, che solo con i battiti del cuore, i miei, riesci a riempire. Ora anche io avrò la mia canzone, Musa del tuo cuore. Favola Come in un sogno,vedo te, ti prendo e ti porto via, sembra una favola, la nostra vita. Cerco nei tuoi occhi i miei occhi, tra tante insidie e invidie, i nostri cuori non smettono di sognare, quella quotidianità che ogni giorno ci rende vivi. Oggi piccoli uomini e donne, domani grandi re e regine; agli occhi del mondo siamo solo due amanti, che come tanti altri vivono la loro storia d'amore. Di bianco vestita, resto ad ammirare la tua bellezza, mentre vedo i tuoi occhi cercarmi, timidi e sinceri, del tuo amore per me. Ora tu sei mia, sei sempre stata mia, e io per sempre sarò tuo, non come tu mi vuoi, ma superando ogni tua immaginazione. Non sarò per te un principe, ma sarò per te il tuo principe, e so che tu saprai essere la mia principessa, con la tua dolce bellezza e la tua sincera eleganza. Un lieto fine ci attende, non in questo giorno che segna solo un nuovo inizio, l'inizio di noi due insieme agli occhi di chi ci vede;
senza più attese e senza remore alcuna, io dico si, a te, davanti a Dio. Il raccoglitore di sogni. Scrivo su ogni pezzo di carta i miei sogni, quelli che mi fanno credere di vivere sempre in una fiaba, quelli che non so ricordare quando ogni mattina riapro gli occhi. Ma in questo magico giorno tutto è diverso, posso dare sfogo alla mia immaginazione, posso rivestire la realtà dei miei sogni. Tutto si colora di bianco, e tutto diventa più candido; sorrido ai sorrisi dei bimbi, che giocano a fare gli angeli, con i loro Angeli a proteggerli. Il mondo si riveste delle luci delle stelle, che una ad una spuntano come lucciole nelle calde notti; mentre nell'aria echeggiano le note del Natale, riempiendo il cuore dello Spirito giusto. Passeggiando tra le strade innevate, dove il freddo non è più un nemico, si confondono le diverse età, raccontate da piccoli particolari. L'innocenza del primo bacio, dato da una bambina al suo piccolo amichetto, la scoperta della passione di due giovani amanti, che non si curano di chi li circondano, la bellezza di chi non smette di cercarsi, consapevoli di non essersi mai persi, la dolcezza di chi cerca se stesso nell'altro, perché legati da una sola anima. Dolce è la magia del Natale, che incornicia tutto e tutti in un tempo che è solo suo; realizzando i sogni di chi sa chiudere gli occhi, e immaginare il suo destino così come lo ha costruito nel proprio cuore. Dolce è la magia del Natale, che allontana da noi ciò che non conosciamo, ciò che appartiene al domani, che sia certo o incerto; trasformando le nostre lacrime in soffici fiocchi di neve. L'iniziazione. "Non piangere, i veri uomini non piangono mai, e tu non devi farlo!", questa era l'unica buona notte che mio padre riusciva a darmi. Mai una carezza, mai un bacio; ma mi voleva bene, a suo modo mi voleva bene. Ed io non piangevo, non ho mai pianto, non potevo piangere; ma vedevo le mie lacrime nei loro occhi. Negli occhi di quelle persone, inconsapevolmente spaventate, senza neanche sapere per cosa. Sono solo un bambino, mi dicevo per non assumermi le mie colpe; ma ero inerme.
Vedevo quei bambini, che mi guardavano, come atterriti da un invisibile uomo nero, e i loro occhi avevano una paura che io ancora non conoscevo. Mi temevano. Ma io non ero come loro, come i miei amici, come mio padre; io ero diverso, ma non ho saputo dimostrarlo. Era il giorno del mio dodicesimo compleanno, ed era il giorno della mia iniziazione; mia madre era impaziente per l'imminente festa, e mio padre impaziente di riconoscersi in me. Un'uniforme, la sua prima uniforme, era il suo regalo per me; aveva il colore della purezza, quella strana tunica con il cappello a punta, e l'odore delle lacrime. Ero spaventato, era un giorno importante per me, dovevo essere felice, stavo per diventare "un vero uomo", ma volevo solo fuggire via, andare a nascondermi per piangere senza poi provare vergogna. Tutto mi sembrava essere un incubo, vivevo in un mondo pieno di paure e di odio. Ma ad un tratto mia madre venne a prelevarmi per consegnarmi a mio padre; era giunto il momento dell'iniziazione. Ancora non sapevo di cosa si sarebbe trattato, ma non dovetti aspettare molto che la mia triste curiosità trovasse soddisfazione. Tutto cominciò ad essere più chiaro, e quelle favole avevano preso corpo, non erano più finzioni, ma solo esperienze addolcite per non spaventarmi, il cui scopo non aveva avuto effetto su di me. Tutti si aspettavano molto da me, dovevo dimostrare di poter entrare a fare parte di "una grande organizzazione, che aveva avuto i suoi alti e bassi, ma che si fortificava sempre più, anno dopo anno", mi sussurrava mio padre man mano che ci avvicinavamo al luogo dell'iniziazione. Sarei diventato, anche io come mio padre, e ancor prima mio nonno, e suo padre, e ancora suo nonno, ecc…, un "fiero" membro del KKK. Ma io non volevo, e ciò che volevo io poco importava, se non fosse coinciso con ciò che voleva mio padre. E mia madre? Era anche lei una vittima, oppure un'accesa sostenitrice? Era felice per quell'evento, o forse voleva apparire così, perché aveva paura. L'iniziazione prevedeva un'azione degna delle loro aspettative, e che mi avrebbe fatto apparire "grande" dinanzi ai loro occhi. D'un tratto vedo avvicinarsi due uomini, e con se trascinavano un ragazzino, che sembrava essere poco più piccolo di me. Mio padre, orgoglioso, si era inginocchiato per porgermi una clava, che apparteneva a mio nonno, e ancor prima al nonno di mio padre; era un oggetto che veniva ormai tramandato da generazione in generazione. "Strano modo per ricordare i miei avi" ripetevo tra me e me. Toccare quella clava mi aveva dato una sensazione orripilante; non si riusciva più a riconoscere il suo colore originario, era consumata, a causa delle tante volte che era stata utilizzata. E più volte è servita per raggiungere il suo scopo; "forse un segno ci sarà che farà capire a tutti che era quello un destino che non doveva appartenermi", pensavo e speravo. Ma era ancora efficace per raggiungere nuovi e tanti scopi. La mia mano tremava, nello stringere quella clava, ritornò in me quella voglia di piangere. In realtà non era mai andata via, ma adesso si sentiva più forte, come forte era la voglia di fuggire via. Ma non potevo. C'era tanta gente che non aspettava altro che vedermi all'opera. Ero l'ultimo "uomo" di una grande dinastia che militava nell'organizzazione. Ma io non potevo, non dovevo; "se avessi chiuso gli occhi, gli avrei fatto meno male", pensavo, ma così facendo ho fatto meno male solo a me, e al mio cuore. Io sono un bambino! Io sono un bambino, un bambino la cui età non mi è data di sapere, né conosco il mio nome, mi sono sempre sentito chiamare piccolo; mi è stato detto "crescendo capirai". Tacitamente acconsento, non posso fare altrimenti. Sono qui, alla fermata dell'autobus con mia madre; la
sento piangere, nasconde le sue lacrime, mi stringe forte, forte a sé; ciò mi fa sentire al sicuro, ma allo stesso tempo mi rattrista, perché posso sentire il suo dolore, ma non riesco a capire cosa possa farla star male, "ha me", mi dico. Qui non siamo soli, molte persone ci circondano, tutti con lo sguardo rivolto verso l'autobus che da lontano sta per raggiungere la nostra meta, ma mia madre no, lei rivolge il proprio sguardo nella parte opposta. Pieno di ansia, di speranza, ma soprattutto di attesa, il suo sguardo, io posso percepire il suo stato d'animo, sta aspettando qualcuno; è spaventata, teme che quel qualcuno possa non arrivare. Sento l'arrivo dell'autobus, "chissà se davvero è tutto blu?" mi domandavo, "come pochi giorni prima la mia mamma l'aveva descritto", il mio entusiasmo la spinge affinché mi faccia salire e mi porti a fare un giro, e al contempo la mia irrequietezza la frena, neanche so cosa mai possa essere; la mia mamma tentennante, si trascina, forzatamente, "da chi poi non l'ho capito ancora", è invasa da un senso di delusione, di sconfitta, ma decide di salire. Non appena l'autobus è ripartito mi è sembrato di sentire qualcuno che urlasse, pronunciando il nome di mia madre, ma mi son detto: "forse è stato il rumore del motore dell'autobus, sennò l'avrebbe sentito anche la mia mamma". Siamo andati a sederci in fondo all'autobus, quasi a nasconderci, come con la paura che qualcuno potesse riconoscerci; quello è il posto che mia madre più degli altri preferisce, nascosta da tutti, e poi "da laggiù si possono vedere tutte le persone che salgono e scendono, qua sopra c'è un mondo che vive", dice. Accanto a noi si è seduta una signora, molto dolce all'apparenza, ansiosa di raccontare tutta la sua vita, e mia mamma rapita da quei racconti; "che chiacchierona" ho pensato, ma in tal modo il tempo sarebbe trascorso più velocemente, e questo era un bene, perché vedevo la mia mamma sempre più pensierosa, fermata dopo fermata i battiti del suo cuore acceleravano sempre di più, e i suoi pensieri erano talmente tanti, che quasi non riuscivo più a percepirli. Intanto quella dolce signora, che sembrava un angelo, continuava a raccontarsi, ma mia madre non l'ascoltava più, ora i suoi pensieri avevano preso il sopravvento, mentre io cominciavo ad avvertire sempre di più quella paura che mi si era manifestata non appena salito sull'autobus. La prossima fermata sarebbe stata la nostra, la mia mamma si alzò, e mi prese con sé, per raggiungere la porta di uscita, al ché un ragazzo si avvicinò a mia madre e le sussurrò in un orecchio "l'amore che tanto cerchi lo hai già trovato in te, devi solo rendertene conto". Io non ho capito tali parole, ma la mia mamma lo fissò, per un lungo attimo, negli occhi e quasi si mise a piangere, e lo avrebbe fatto se l'autobus non avesse frenato così bruscamente, quasi da farci cadere tutti. L'insicurezza che aveva colpito la mia mamma prima di salire sull'autobus era ritornata allorquando arrivò il momento di scendere, ed io con ingenua non consapevolezza la spingerla, quasi ad incoraggiarla a scendere, dandole quella forza che sembrava le mancasse. Dopo essere scesi dall'autobus, mia madre ed io, con passo quasi sofferente, ma deciso, o così sembrava essere, ci incamminammo per duecento metri circa, fin quando arrivammo davanti ad una strana struttura, sembrava un ospedale; giunti lì davanti la mia mamma tirò un forte sospiro, quasi per darsi da sé coraggio, ed entrammo con un fare meno deciso. Era strana quella struttura, c'erano solo donne, tante, molte erano giovanissime, alcune con il viso coperto dalle lacrime, altre con un viso che sembrava esprimesse durezza, ma tutte con la paura di chi dovesse rinunciare a qualcosa, forzate da non saprei dire chi o cosa; insieme a quelle donne così tristi, apparentemente, c'erano tanti bambini, come me, e che come me erano diventati tutti d'un tratto molto tristi, senza un motivo, senza un perché. Ci sedemmo su una di quelle tante sedie colorate. La mia mamma era tutta tremolante! Ogni volta usciva da un stanza una donna con un vestito bianco, che chiamava una alla volta quelle ragazze con i loro figli che attendevano. Tutte le volte che una ragazza entrava in quella stanza, con il proprio figlio, ne usciva da sola, allora domandai alla mia mamma perché quei bimbi una volta entrati in quella stanza non uscivano più fuori; ma bastava ancora poco che me ne potessi accorgere da solo. Di nuovo quella signora con il vestito bianco uscì, da una
porta di vetro colorato, chiamò la mia mamma e ci accompagnò in quella stanza, e tutto d'un tratto, tra le lacrime della mia mamma, io non c'ero più. Solo dopo ho riconosciuto quel luogo, ma non riesco ancora a capire perché la mia mamma, come tante altre ragazze, abbia pianto tutto il tempo. Non ho dovuto aspettare che crescessi per capire perché non conoscessi la mia età, o il mio nome; non li avevo, e non mi è stata data una possibilità di averceli! Forse prima di salire sull'autobus la mia mamma aspettava che arrivasse il mio papà, per darle quella forza che da sola non è riuscita a trovare, e forse quella voce che ho sentito, e che pensavo fosse il rumore del motore dell'autobus, era il mio papà che cercava di fermare l'autobus. Chissà se la mia mamma se avesse saputo il grande uomo che sarei potuto diventare mi avrebbe accettato, forse si, o almeno lo spero. Ma adesso tutto ciò ha poca importanza, perché non mi ha voluto. Forse se le avrei fatto sentire più forte il mio amore ci sarebbe stata una possibilità anche per me. Un viaggio fantastico. È un viaggio fantastico, quello che vivrò; un viaggio tra sogno e realtà. Un bambino mi accompagnerà, e sarà lui a guidarmi. Un bambino che non sa cosa significa ridere, perché allontanato da ogni sorriso di spensieratezza. Sarà lui che io seguirò! I suoi sogni, popolati di strani personaggi, mitici e irreali, ma reali, anche se con magici sogni. Eccomi, con la mia valigia pronta, ed io con lei pronto, per seguirti in questo tuo viaggio che ci porterà aldilà dei tuoi sogni. Strette, l'una nell'altra, le nostre mani, sono impazienti di iniziare questo lungo viaggio, di colori e di avventura; mentre i nostri cuori, lontani da noi, ma con noi a soffrire e a gioire, vegliano sul nostro cammino, ancora più grande del nostro viaggio. Incuriosito, e impaziente, cerchi di aprire la mia valigia, buffa, vecchia e molto grande, che "potrebbe entrarci un'intera casa", dici sorridendo; ma è una sorpresa (!?), il contenuto della valigia, e accigliato ti dirigi verso la porta per aprirla. Varcata la soglia, il nostro viaggio ha inizio! Uno ad uno quei mitici personaggi si prostrano a noi, con i loro sogni, quelli realizzati, che vivono di amore, realizzando i desideri, i sogni di tutti i bambini, almeno di quelli che i sogni li possono realizzare per davvero. Uno ad uno quei mitici personaggi ci raccontano la loro storia. C'è quello coraggioso; con il coraggio di un leone; "volevo crescere forte, coraggioso, e allo stesso tempo essere libero, di dire la mia, di andare in ogni parte, di rincorrere la lealtà, e punire la stupidità, e anche l'ignoranza", sognante diceva, "e ci sono riuscito sono caparbio, ricerco il giusto e vivo con il rispetto della vita, e faccio in modo che essa venga rispettata da tutti". C'è l'angelo dei bambini, una donna che assomiglia ad una coccinella, con tutte le sue lentiggini, e ha con se la sua grande voglia di realizzare ciò che il suo cuore promette, una vita libera dal dolore, quello fisico, quello reale; "con le mie mani posso permettere agli altri di poter volare, con i loro sogni, liberi nel cielo. Ma ancor più permetto loro di continuare a sognare". C'è il più strano di quei personaggi mitici; vede tutto, nulla gli sfugge, è molto attento ai particolari, ma tutto ciò lo fa da lontano perché "ho paura che qualcuno possa vedermi, ho paura di essere giudicato", dice, e vive attraverso gli altri, in modo che nessuno possa giudicarlo, non lui, e fa vivere i suoi personaggi mettendoli alla mercè di tutti. C'è la ballerina ammaliatrice, sensuale e di una eleganza mai vista, sembra una pantera, o forse una gazzella, perché salta come se il vento fosse stato creato per lei, e che non è inerme di fronte alla sua inconfondibile bellezza, "volevo volare da piccola, trasportata dal vento, per girare il mondo, per conoscere chi meritava di essere conosciuto, e adesso ballo", sorridendo diceva, "ho realizzato il mio sogno!" Forte stringi le mie mani; posso vedere i tuoi sogni nei tuoi
occhi, assomigliano ai sogni di ognuno di quei personaggi. Ora sei stanco, posso vedere anche questo nei tuoi occhi! Se potessi anche io avere delle ali, le userei, per non vederti stanco mentre accenni un sorriso forzato; ma non le possiedo. Io distratto, e tu curioso di scoprire il contenuto della mia valigia, ti riavvicini per aprirla, ed io ancora una volta, spaventato per il suo ambiguo contenuto, la porto a me, allontanandola da te, e tu con ipocrita indifferenza, che nasconde occhi delusi, ti allontani; è presto ancora! Lì ci sono i sogni di una donna, e del suo futuro, che non includono te; lì c'è un mondo dove i tuoi sogni non esistono, e non possono esistere, perché così è stato deciso per te, e contro di me. Ma ora, contro il mio volere è arrivato il tempo, quello della valigia, quel tempo che tanto ci rincorre, per prenderti e portarti via da me, e io non posso arrestarlo; potessi io farlo lo avrei già fatto, ma non posso. La valigia si apre, non da sola, ho dovuto farlo io, perché così è stato deciso per te, e contro di me; mille farfalle colorate sono uscite dalla mia valigia, che mia non era, tutte colorate, le loro ali, che tanto desideravi possedere, per poter volare. Ti prendono, e da terra ti sollevano, per portarti via da me, lontano da un mondo che mai ti conoscerà, e che tu non dovrai conoscere mai, perché ti ha rifiutato. Le mie lacrime, solo esse, vedono te mentre ti allontani, finché le luci del giorno, che irrompono dalla mia finestra, mi costringono ad aprire gli occhi. Notte dopo notte, attendo! Attendo che tu viva, e con me, quella vita che non ti è stato permesso di vivere. Il mio riflesso lontano da me. "Qualcuno preme sul mio petto, non riesco a respirare, il mio cuore batte all'impazzata, sembra che mi stia per scoppiare; faccio sempre più fatica a respirare, il mio petto sembra comprimersi sempre di più. Ho paura di aprire gli occhi, ho paura di ricordare, "non voglio ricordare!", ho paura di non essere solo. Ho paura!". Lentamente riapro gli occhi, non vedo nessuno attorno a me, è buio, molto buio, non vedo nessuno ma sento respirare, un respiro che non riconosco essere il mio, adesso ne sento due, ma non riesco a sentirne il mio, eppure respiro, lo so, altrimenti come potrei fare questi pensieri; ma forse non sto pensando! Mi giro sulla mia destra e riconosco Marco, mi stringe il polso della mano destra, e sul mio petto, la forte pressione che avvertivo, c'è distesa Angela, che dorme profondamente, compiaciuta nel suo sonno, o forse sta sognando. Non so come muovermi, mi sembra di essere incatenato, ma riesco comunque a divincolarmi, non so come, ma ci riesco ugualmente; mi siedo su quel letto enorme, che nonostante la sua grandezza sembra essere troppo piccolo perché possa contenere tre corpi, anche se inermi. Cerco di scrutare ogni piccolo particolare, per poter ricordare, adesso, cosa è successo, in quella camera, che emana un odore snervante. Posso sentire l'odore del sesso che imperversa in tutta la camera; lo sento sul mio corpo, su quel letto che ancora mi trattiene, e da cui non riesco ad allontanarmi, non so se le gambe riusciranno a sorreggermi, sento quell'odore sui muri, che mi circondano e mi sovrastano. Nella mia mente c'è come una nebbia, che pian piano si dissolve, e i miei pensieri, i miei ricordi diventano sempre più nitidi, si riaccende in me quella paura, che pocanzi mi aveva svegliato, e ad essa si aggiunge un senso di disgusto e di orrido, che mi fa venir voglia di fuggire via, e non da quel luogo ma dal mio stesso corpo, insulso e contaminato dal desiderio degli altri. Scendo dal letto, incurante della mia immobilità, cado ma cerco in ogni modo di rialzarmi, e a piccoli passi riesco a raggiungere il tavolino sui cui si trova il mio telefonino, sento il mio viso umido, senza accorgermene dello sgorgare delle lacrime, non riesco a percepire nessuna sensibilità; afferro il telefonino, e come un automa compongo il numero di Giulia, che a
distanza di anni lo ricordo ancora, impresso nella mia memoria, e che, con mia grande sorpresa e speranza, sembra essere ancora attivo. Non riconosco subito la sua voce, ma è lei, lo so, piagnucolando, nel mio stato confusionale, riesco solo a spiaccicare poche parole: "Aiutami. Ti prego. Perdonami. Aiutami Giulia!" Involontariamente spengo il telefonino, temendo che Marco e Angela si possano essere svegliati, ma è solo la mia mente che accresce questa paura, pallida più del mio corpo, a sfregiarsi di me; il telefonino squilla, è Giulia che mi chiede dove mi trovo. Avevo spento il telefonino senza neanche darle indicazioni di dove mi potesse raggiungere, le do l'indirizzo, e su come fare a raggiungermi, almeno quello che riesco a ricordare, e riattacco il telefonino. Inerme l'attendo, restando immobile su me stesso, in quella stanza buia, senza anima. Il campanello suona, e rimbomba in quella stanza che sembra vuota, e nella mia testa; "non può essere Giulia", penso tra me e me, "sono trascorsi solo pochi minuti, ma chi potrà mai essere, se non lei, forse qualcuno sa che sono qui, e forse sa che non sono solo, ma chi potrebbe mai saperlo, forse Anna Luce, forse Marcello oppure Diego?", e mentre continuo a cercare di capire chi potesse essere, mi alzo dal letto e mi dirigo verso la porta, e mi volto verso il letto, sperando che Angela e Marco non si siano svegliati, ma i loro corpi sono immobili, sprofondati in quel sonno che mi ha risparmiato, o rifiutato. Apro la porta, senza vedere prima chi fosse, e mi ritrovo davanti Giulia, accigliata, ma sbalordita e quasi spaventata nel vedermi. "Sei già qui?", e l'abbraccio incurante della sua espressione. "Come (già?), è trascorsa un'ora da quando mi hai chiamata", "un'ora? Pensavo fossero trascorsi solo pochi minuti e invece…" "… e invece ti sbagli. Ma cosa è successo? Perché sei nudo? E perché stai tremando?" Infatti non mi ero reso conto della mia nudità, con il caldo soffocante di quella stanza, ma non riuscivo a risponderle, non riuscivo a dirle neanche un parola, ero fin troppo contento di poter rivederla, dopo tre anni, quattro mesi e quindici giorni, che ormai non ci vedevamo più, ne ci sentivamo, e allo stesso tempo spaventato per ciò che i suoi occhi avrebbero potuto vedere e di fatto avevano visto, non me! Il tempo sembra essersi fermato, per tutti questi anni, c'eravamo di nuovo noi, l'uno di fronte all'altra, come una volta, quando non riuscivamo a stare lontani neanche per il tempo di un pasto; di nuovo insieme. Giulia prese i miei vestiti e mi aiutò a indossarli, quasi meccanicamente; non feci molto caso al suo aspetto fisico, ma era diventata davvero molto bella, non che prima non lo fosse, ma adesso era diventata una donna "vera", come lei amava definire quelle ragazze, che spesso e volentieri amavano mandarmi segnali inequivocabili, facendola ingelosire non poco. Ma non mi guardava più con quei suoi occhi sornioni, verde-grigio e luccicanti, sempre pieni di ammirazione, anzi sviava ogni mio sguardo, e in fin dei conti come potevo non capirla, ero diverso e ero cambiato in modo negativo, e nei modi peggiori che una persona possa cambiare. Seduto su quel letto, fermo nella mia immobilità, mentre lei continuava a vestirmi, sento riaffiorare il ricordo di una vita che avevo dimenticato, anzi che avevo voluto dimenticare, ma con prepotenza si ripresentava nella mia mente, davanti ai miei occhi, causa il suo profumo, che negli anni in cui era anche "mia" indossava, e che ancora adesso lo indossava, come un vestito; sento crescere in me la voglia di toccarla, di abbracciarla, di sentirla ancora mia, amica, e tutto ciò si fa largo tra i miei pensieri, cingendola con le mie braccia. Il suo corpo non mi respinge, ma rabbrividisco dinanzi alla sua freddezza, in netto contrasto con il calore del suo corpo.
Usciamo da quell'appartamento, così velocemente da non renderci conto del fatto che anche Marco in quell'istante si era svegliato, e cercando di afferrarmi per il braccio mi strappa il braccialetto, graffiandomi sulla mano. Non riesce a fermarmi, rieco a scappare, incurante della sua delusione e disapprovazione. Giulia sale nella sua macchina, una Lancia Ypsilon color giallo ocra, il suo colore preferito, parcheggiata davanti al portone dello stabile, dove si trova l'appartamento di Angela, mette in moto mentre io ancora non l'ho raggiunt. Ancora immobile riesco leggermente a voltarmi su me stesso e a dirigere lo sguardo verso l'alto, in direzione della camera di Angela, e vedo lei abbracciata a Marco, e i loro sguardi che penetrano nei miei occhi, e allo stesso tempo percepisco su di me lo sguardo inquisitore di Giulia, come a intimarmi di salire in macchina. Percepisce la mia tensione e segue il mio sguardo verso l'alto, dove due figure, per lei estranee, mi sorridono fameliche. Quando finalmente riesco a salire in macchina tutto sembra allontanarsi da me, e non solo fisicamente e/o visivamentem ma soprattutto emotivamente. Attraversiamo gran parte di Roma, bella e sognante nella notte che la circonda, che con le sue luci illumina ogni sua piccola parte, e in quel silenzio, che ormai sembra assordante, mi abbandono a un sonno che mi ha d tanto attratto. I ricordi di quest'ultima notte, confusi ancor più nella loro assurda chiarezza, si litigano i miei sogni, e come un pugno in uno stomaco mi costringono a ritornare a vivere questa realtà, che non mi abbandona. Mi sembra di aver dormito per ore, tra quei pensieri allucinanti, e allucinati, ma invece solo quindici minuti hanno separato il sonno dalla veglia. Con un po' più di attenzione posso sentire i pensieri di Giulia, più inquisitori dei miei; posso vedere nella sua espressione diffidenza, mentre il silenzio diventa sempre più pesante. "Scusa, Giulia, mi dispiace di averti chiamata, e a quest'ora della notte, ma non sapevo cosa fare, chi chiamare", le rivolgo un sorriso forzato, dettato dalla convenienza, "sei stata la prima persona a cui ho pensato, e che so che non mi avrebbe negato il suo aiuto", dall'altra parte regna sempre il silenzio, ma con più attenzione prestata alle mie parole, così continuo nel mio intento, "so, e ho sempre saputo di poter contare su di te, come tu su di me" a tal punto mi rivolge uno sguardo di incredulità, forse ho esagerato, forse sono andato oltre, in quel momento poco adatto, forse...non so più cosa pensare, non so più decifrare i suoi sguardi, cosa che un tempo non avevo difficoltà a fare, quando ancora vivevamo in simbiosi. Le chiedo di fermarsi, "guarda, il Colosseo, noi due, piccoli, ai piedi di questa enormità, noi due, soli, nel buio della notte, con tante luci, noi due, qui, insieme". Le chiedo di posteggiare l'auto, e di scendere con me, e così ci avviciniamo ai piedi del Colosseo, come la nostra prima notte a Roma, quando, come da promessa, andammo a visitare il Colosseo, seppur contro ogni legalità. Per la prima volta, quella sera, ho potuto vedere il suo sorriso, perso tra i bei ricordi, e le stringo la mano, ma lei prontamente, ancora persa tra i ricordi, misti alla diffidenza nei miei confronti, si volta e si dirige verso l'auto, e con tono severo mi invia a risalire in macchina. "È già molto tardi, e dobbiamo andare". Quella notte, se ancora notte la si poteva chiamare, non riuscii a chiudere occhio, avevo paura di ricordare quello che era successo pocanzi, prima che chiamassi Giulia, e l'unico modo per non pensarci, era quello di riportare alla mia mente quei ricordi, che più mi allietavano, quelli a cui ricorrevo quando volevo, e dovevo, sentirmi meglio, quelli a cui non ho mai permesso di abbandonarmi, quelli belli. La notte, o quella che di essa era rimasta, non tardò molto ad andarsene via, ora anche il sole la reclamava; la notte insonne, tra ricordi, paure e il bisbigliare quasi assordante di Giulia e il suo ragazzo, non mi hanno dato tregua. Sarò riuscito a dormire non più di mezz'ora. Non
riuscivo più a restare nel letto, alzandomi mi sono reso conto di quanto fosse ancora presto, e intanto Giulia già mi aspettava in cucina davanti a una tazza bollente di caffè. Tante cose erano cambiate, Giulia fidanzata che conviveva con il suo fidanzato, Giulia con in mano una tazza di caffè americano, e lei odiava tutto ciò che aveva sapore di America, Giulia che si alzava così presto la mattina, lei che odiava la scuola solo per il fatto che era costretta ad alzarsi presto, e per lei ogni ora era troppo presto. Lo sguardo di Giulia era diverso, non più inquisitorio; i suoi occhi erano più dolci nei miei confronti. Era di nuovo Giulia, la mia Giulia, la mia amica che mi perdonava tutto. Anche il suo tono di voce era diventato più accomodante, non più severo; la notte le avrà portato consiglio, l'aver parlato tutta la notte con il suo ragazzo le avrà fatto bene. Sarei tanto curioso di conoscere quel ragazzo, da poterlo ringraziare per avermi restituito la mia amica, dolce e comprensiva. Quando le chiedo del suo ragazzo Giulia assume di nuovo uno sguardo inquisitorio come a chiedersi di quale ragazzo io stessi parlare. Le spiego che tra veglia e sonno l'avevo sentita parlare con un ragazzo, e che avevo dato per scontato che fosse il suo di ragazzo, data la tarda ora, inusuale. Giulia mi interrompe e con lo sguardo basso e rivolto verso la tazza del suo caffè americano mi dice che non era il suo ragazzo la persona con cui aveva discusso la scorsa notte. Mentre mi avvicino al tavolo per prendere di caffè che Giulia aveva versato nella tazza le gambe cominciano a tremarmi, come anche le mani, poggio la tazza di nuovo sul tavolo, per non rischiare di farla cadere, mi avvicini a Giulia mentre tiene ancora lo sguardo basso, e con la voce tremante le sussurro il nome del dottor Lombrichi. "Era lui questa notte, vero? Adesso ricordo anche quello che vi siete detti, ricordo ogni vostro bisbigliare, ricordo di me" "non ti agitare Manuel, respira, siediti e parliamone con calma;non avere paura." "Come faccio a non aver paura, sono qui e non dovrei esserci, e ripensando a questa notte tu sembravi già preparata a tutto questo, e che ci faceva il dottor Lombrichi qui in casa tua, quante volte è successo tutto questo?" "Adesso puo' sembrarti tutto strano, Manuel, ma vedrai che tutto si sistemerà; il dottor Lombrichi ha preferito che tu stanotte rimanessi qui, per evitare di farti vivere un altro trauma, ma se vuoi ritornare in struttura io lo posso chiamare e lo faccio venire qui." "Non voglio pensare adesso, non voglio fare niente, voglio il silenzio." Tutto sembrava così strano, inverosimile, eppure era tutto così reale, tutto sembrava reale. La casa di Angela, lei e Marco che dormivano su di me, sul mio corpo nudo, premevano sul mio petto, sui miei pensieri allucinanti e allucinati. Ogni volta vivevo quelle sensazioni, quelle emozioni, quegli avvenimenti realmente accaduti ma che non facevano più parte del mio presente. Marco e Angela non c'erano più, ma eranoormai i iventati parte di me. Non mi hanno più abbandonato, o forse ero io che non permettevo di abbandonarmi; ero responsabile della loro morte, anche se la legge mi ha dichiarato estraneo ai fatti. Io ero lì, con loro, ero uno di loro, ero parte di loro e adesso non posso mandarli via; più di me loro vogliono vivere, e la mia redenzione è farli vivere attraverso di me. Mentre ritorno ad essere il nuovo io sento Giulia tra le lacrime che mi supplica di non andare, di non spegnermi, di rimanere con lei, di rimanere lucido, quindi di ritornare colpevole, triste e assuefatto dai miei tanti sensi di colpa, imprigionato nella mia mente che mi deride e mi giudica, e mi mostra i miei demoni fuori da me, distinti da me. Io, quei demoni, non li so vincere, non li so combattere, e allora li abbraccio, li tengo stretti a me; ormai mi completano. Adesso vedo Giulia che mi fissa, ed è proprio quello lo sguardo che io cerco di fuggire, lo sguardo di chi ginge di aver capito tutto, di aver capito me, ma non mi vede. Io esisto, io
sono, ma solo per me stesso; solo per me stesso io sono me stesso. Per gli altri sono solo un malato di mente, bisognoso di cure. Per Giulia sono un amico che ha bisogno di aiuto, forse del suo aiuto. Per mia madre sono un figlio che si è perso e non riesce più a ritrovarsi, e lei lo sa che solo da solo potrò riuscirci. Per Marco e Angela sono il fisico involucro dei loro ricordi. Quel giorno alla fermata dell'autobus. "Sono qui, distesa sul mio letto grande, ma troppo stretto per contenermi; fisso un corpo, il suo corpo nudo, disteso accanto a me, e rivestito solo del mio desiderio. Lo ammiro estasiata, ammaliata e catturata dalla sua estrema bellezza, rapisce tutti i miei sensi, mentre diventano indifesi. Stendo la mia mano, quasi a voler toccare il suo corpo, ma si discosta e non si lascia sfiorare. Il mio corpo imita ogni suo gesto…" Sono le 19:00 e l'autobus, come al suo solito, non è ancora arrivato; sono ancora bloccata qui all'università. Mi guardo intorno e fantastico sui pensieri degli altri; li descrivo nella mia testa, e prendono vita anche se non sono reali. Questo mi aiuta ad occupare il tempo di attesa, e soprattutto aiuta a calmarmi; Stefania, la mia più cara amica, è accanto a me, e dalla mia espressione riesce a capire subito le mie intenzioni. Stefania è una ragazza unica, simpaticissima, e nonostante la sua freddezza apparente non si risparmia ad aiutare gli altri; è un'amica che bisognerebbe crearsela laddove non ci fosse. Dopo il suo primo tentennamento si aggiunge a me, quasi più divertita di me, e iniziamo il nostro gioco, che nella sua stranezza, è assolutamente innocuo. La nostra attenzione si focalizza subito su un ragazzo seduto di fronte a noi, io non faccio subito caso alla sua presenza, ma Stefania, con pochissima nonchalance me lo indica, invitando il mio sguardo a seguire il suo dito indice. "Guarda è proprio davanti a noi, seduto su quella panchina, immerso nella lettura di un libro", "si, adesso lo vedo, ma non indicarlo, sembra poco delicato", "ma tanto non si è neanche accorto di noi". Per un attimo alza gli occhi, come se avesse avuto sentore che qualcuno stesse parlando di lui, si guarda intorno e poi immerge di nuovo la testa in quel suo libro, quasi come fosse imbarazzato, che sembra averlo rapito del tutto. In quell'attimo ho potuto vedere i suoi occhi, aprendo un varco nel mio cuore; non credo mi abbia vista, ma mi è bastato vederlo per capire fin da subito che io gli appartengo, e che lui deve appartenere a me. Si accinge a prendere l'autobus. Lo rivedrò, ne sono certa, anche perché deve ancora accorgersi di me. "Stella il pullman", è Stefania che mi riporta alla realtà. Ci sediamo con me vicino al finestrino, come sempre, ma questa volta per un motivo in più, riuscire ancora a vedere quel ragazzo dagli occhi color del mare, prima che il suo o il mio autobus riparta. Anche lui è seduto vicino al finestrino, lo posso vedere, mentre parla con una ragazza a suo fianco, che mi sembra di conoscere, ma non mi curo più di tanto di lei. Mentre Stefania continuava a prendersi gioco della mia infatuazione, io arrossendo più che mai mi accorgo che quel ragazzo mi stava fissando, anche lui guardava me, ma il suo sguardo
sembrava severo. Intanto entrambi gli autobus erano ripartiti, adesso con mio rammarico, perché non sapendo quando avrei avuto di nuovo l'occasione di poterlo rivedere, potevo solo sperare di sognarlo. È già buio da tanto, ma il sonno non accenna ad arrivare, forse per la troppa stanchezza. I miei pensieri ora mi stordiscono, e sono così forti da attirare l'attenzione di Morfeo, sorpreso di vedermi ancora sveglia; corre da me, Morfeo, e mi cinge con le sue grandi braccia, tirandomi verso il suo petto, soffice e caldo. L'aurora mi sveglia, sono le 5:55, e tra cinque minuti la sveglia mi ricorderà di alzarmi, ma sono felice di farlo, questa mattina si! Dopo essere uscita dal bagno chiamo Stefania, mi tocca riprovare tre o quattro volte prima che mi risponda, ancora assonnata, riattacca, ma conoscendola la richiamo, questa volta mi risponde subito, o quasi, segno che si è per davvero svegliata. Alle 7:15 c'è l'autobus che ci porta direttamente all'università, tre fermate dopo la mia c'è quella di Stefania, e riesco già a vederla, con il suo solito cornetto in mano. Con la mia voce timida la chiamo, e lei, con il suo sorriso, si siede accanto a me, nel posto che le avevo conservato, non senza battibeccare con una qualcuna di turno; "oggi inizia la ricerca, dovessimo tornare a casa tardi, ma dobbiamo trovarlo". Per un attimo avevo fatto finta di non aver capito, lei mi strattona leggermente, vedendo il mio arrossimento, in realtà speravo in quelle sue intenzioni, ma in quella prima giornata di ricerche niente era successo. Il giorno successivo non riuscimmo ad andare all'università, a causa dello sciopero degli autobus, che ha creato non pochi problemi, ma non mi sono data per vinta, non con Stefania in mia compagnia. Gli esami sono alle porte, e di certo noi due non ce ne preoccupiamo, anzi approfittando di questa mini vacanza forzata, e del fatto che siamo nel pieno della stagione dei saldi invernali, ci dedichiamo in tutto e per tutto allo shopping. Ovviamente non si poteva non parlare di quel ragazzo. Già, quel ragazzo che ha sconvolto la mia vita, e in soli tre giorni; Stefania, lo chiamerebbe colpo di fulmine, ma anche in tal caso il mio è un comportamento sopra le righe, certo non mi da fastidio, non mi dispiace, anzi mi piace tanto, perdere la testa per un ragazzo, oltretutto sconosciuto. La settimana dopo riprendiamo ad andare all'università, il week end lungo ci ha fatto rilassare molto, anche se ho trascorso il sabato e la domenica con in testa solo quel ragazzo, e con Stefania ad organizzare tutta la settimana, e alla sua ricerca. Arrivati all'università saltiamo la prima lezione, ci dirigiamo al bar dell'università dove ci aspettava una coda infinita, ma non potevamo certo rinunciare al nostro caffè, ed eccolo, con due caffè in mano, aveva bisogno che qualcuno gli aprisse la porta, aveva bisogno di noi, di me e Stefania; aveva bisogno di me, che spero di diventare la sua Stella. Stefania mi spinge verso di lui, io gli apro la porta e lui, con il suo immenso sorriso mi ringrazia, e come me non riesce a distogliere il suo sguardo, celestiale, dal mio, lo sento, anche io appartengo a lui. Da lontano sento la voce dell'assistente che si rivolge al prof indicando i caffè, "ecco il mio fratellino con i nostri caffè", "scusa ma mi aspettano, anzi aspettano i caffè", si scusa con me, dolcemente, e io già lo amo. "Non mi cascare a terra, adesso che ti ha alitato in faccia", soggiunge Stefania, con non molta delicatezza, "ma come alitando, smettila, hai sentito anche tu, l'assistente ha detto fratellino, l'assistente è sua sorella, e lui è suo fratello", "e tu sei quella che gli sbava dietro", "ma smettila, andiamo a sederci, ok?", "Ok, ok!".
"Zitta, che il professore ha preso il microfono, e sai come reagisce quando sente bisbigliare, come minimo ci sbatte fuori dall'aula", "e sarebbe un peccato, no?". "Ragazzi, vi ho già presentato e parlato, la scorsa settimana, del tenente Silvio Galimberti, il fratello della mia assistente. E vi ho già parlato di quanto importanti siano queste due giornate che ho voluto dedicare al tema de "I giovani e la guerra", quindi ringrazio con grande entusiasmo la mia assistente che è riuscita a convincere il tenente, a dedicarci due ore del suo tempo, molto prezioso, nel raccontarci la vita al fronte. Molti di voi si saranno chiesti, e si chiederanno, quanto attinente possa essere questo tema con la materia del mio corso, forse poco, forse tanto, lascio a voi scoprirlo; adesso è con estremo piacere che lascio la parola al tenente Galimberti". "Ha detto tenente, in congedo spero; Stefania, e se dovesse lasciarmi, e se dovesse succedergli qualcosa", "ti fai già mille paranoie e ancora non vi siete conosciuti, quindi smettila!". "Ragazzi buongiorno, vi dico fin da subito che non sono per niente preparato a tenere dei discorsi, oltretutto a dei ragazzi che hanno la mia stessa età, con tanta curiosità, voglia di conoscere e capire, ed è molto difficile parlare di certi argomenti, delicati, a chi non li vive in prima persona, e non sto qui a farvene una colpa, ovvio, cerco solo di dire che se certe emozioni non li si vive in prima persona è molto difficile capirne i singoli stati emotivi", "come si fa a non amarlo, Stef, parla con tutto se stesso, non solo con la sua bocca, ma con le sue mani, il suo corpo, i suoi occhi", "chiedo scusa", si rivolge verso me e Stefania, il mio cuore batte all'impazzata, "se volete chiedermi qualcosa, sarò ben felice di farlo, preferisco rispondere di più a domande e curiosità, piuttosto che parlare in modo unidirezionale; saranno ben accetti i vari punti di vista e i confronti, d'altronde, come dicevo prima, siamo tutti, o quasi, coetanei". Io non sapevo cosa dire, avrei di sicuro fatto una bella figuraccia, con i miei soli complimenti per quanto fosse bello, per mia fortuna, come sempre, è intervenuta Stefania con le sue domande, a cui seguirono quelle degli altri studenti. Le due ore trascorsero velocemente, tutti nell'aula eravamo come inebriati dalle parole di Silvio, di come raccontava alcuni aneddoti della vita al fronte, di quanto nonostante le difficoltà che ogni giorno i soldati affrontavano, lontani dalle proprie case, dalle proprie famiglie, dai propri amici, riuscivano a sorridere, "perché tra gli orrori delle guerre ci sono molti bambini che sognano la felicità", è stata la frase che più mi ha colpito, e che mi ha fatto pensare. Erano le 11:10, tra circa venti minuti sarebbe iniziato il corso di Psicologia sociale, quindi ci affrettiamo a lasciare l'aula del professore Lambertucci quando Silvio blocca Stefania che sta alle mie spalle, e lei frena me. "Ciao ragazze, spero vi sia piaciuto il mio intervento, soprattutto vedendo che non siete di questo corso…", "e tu come fai a saperlo", interviene tempestivamente Stefania, "…dal fatto che nonostante nessuno abbia preso appunti, tutti avevano davanti a se un quaderno e una penna, mentre voi due no, e ho dedotto che non siete studentesse del professor Lambertucci, spero di aver dedotto bene, mi piacciono le deduzioni.". "Hai dedotto bene, bravo, ma adesso dobbiamo andare, scusaci, siamo in ritardo con il nostro corso, andiamo Stella", "perché non rimanete, invece, magari ci prendiamo qualcosa al bar", Stefania mi guarda come a cercare approvazione, che arriva velocemente "ok, andiamo. Hai già visitato l'università?", "certo che si, mia sorella mi ha fatto visitare tutta l'università la settimana scorsa", "e ci sei venuto spesso in questi giorni?",
"in realtà si, mi affascina molto, avendo fatto altre scelte nella vita, l'università è qualcosa che un giorno vorrò fare, intendo studiarci ovviamente", "e cosa facevi mentre tua sorella teneva i suoi corsi, tutto soletto?", "nell'attesa osservavo la gente, facendo finta di leggere, perché molta gente non ama essere osservata, altra gente invece si, stranamente, e a me piace tanto farlo, senza però invadere più di tanto l'intimità altrui, in realtà è anche molto divertente, vero Stella?"; lo sguardo divertito, e a dir poco snervante, di Stefania, confermava il dubbio, neanche tanto celato, che quel giorno alla fermata anche lui si fosse accorto di tutto. Io ordino un caffè, quasi intimidita, anche dal fatto che lui non la smetteva di guardarmi, furtivamente e mentre fingeva di interessarsi a ciò che Stefania diceva, lui disse: "allora, ce l'hai anche tu una voce!", "certo, ed è anche molto bella", risposi mentre arrossivo, "si è vero, è molto bella", aggiunse lui. Stefania sorrideva divertita della situazione che si era venuta a creare, anche io ero molto contenta, mentre io avevo così tanto pensato a lui, anche lui aveva, anche solo per pochi momenti, pensato a me; lo volevo, e adesso so che anche lui voleva me, forse. Pranziamo insieme, ovviamente tutto offerto carinamente da lui, e durante il pranzo, sia io che Stefania gli chiediamo di parlarci ancora della sua esperienza come soldato in missione; mi sono resa conto di quanto potesse incantare con i suoi aneddoti. Il resto della giornata è trascorsa tra tante chiacchiere, e si è conclusa con un appuntamento all'indomani per un giro in centro, ovviamente ha combinato tutto Stefania per conto mio, dopo essersene tirata fuori, con la promessa che mi avrebbe comunque accompagnata. Il giorno dopo decidiamo di non andare all'università, e non a causa dell'appuntamento del pomeriggio, anche se in cuor mio sapevo che era quello il reale motivo. Arrivate all'appuntamento Stefania mi lascia sola con Silvio, che già mi stava aspettando, e spero da non molto tempo, mentre lei se ne sarebbe andata all'università per prendere dei libri, con la promessa che ci saremmo sentite così da informarla di come era andata la serata. "Finalmente", esordisce Silvio sorridendo, mentre Stefania lo saluta con un colpo di clacson; Silvio mi tende la sua mano e io gliela stringo come se ci fosse tra noi quella confidenza che lega due persone da tantissimo tempo, lui si accorge del mio imbarazzo e allo stesso modo stringe la mia mano. Camminiamo tanto, tra i negozi, sul lungo mare, che d'inverno è qualcosa di poetico; parliamo tanto, ci conosciamo, ci raccontiamo, gli parlo della prima volta che l'ho visto, di come mi sono sentita, non poco imbarazzata, ovviamente, cerco di distogliere lo sguardo dai suoi occhi, temendo di non riuscire più a parlare, e non potevo certo fare la figura di una stupida proprio quella prima sera. Dopo qualche ora insieme non ero più imbarazzata, o almeno era quello che volevo far credere a me stessa, ma sono incantata dalle sue parole, dalla sua bocca, e ora anche dalle sue braccia con cui cinge la mia vita, si avvicina alla mia bocca, e tenta di baciarmi, lentamente, dolcemente, aspettando un mio gesto, aspettando una mia risposta, ma io non pensavo, e senza neanche accorgermene ho risposto al suo bacio, mentre i suoi occhi mi coprivano di bellezza. Era tutto così strano, così veloce, così bello. Quella sera, tornata a casa, accompagnata da lui, il mio lui, il mio Silvio, chiamai Stefania, e le raccontai tutto, fin nei minimi particolari, le mie emozioni, le mie mille e più emozioni. I giorni successivi sono stati spesi tutti per Silvio, solo io e lui, e ovviamente Stefania, mia inseparabile amica, anche se sapeva bene quando lasciarci soli. Giorno dopo giorno mi affezionavo sempre di più a Silvio, e lui a me, lo sentivo; il giorno di San Valentino, eravamo a casa sua, mi prese le mani e mi portò in camera sua, voleva che ascoltassi con attenzione le sue parole, senza alcuna distrazione, io avevo paura, sapevo di cosa volesse parlarmi.
"In questo periodo credo di essermi innamorato di te, ci conosciamo da appena poche settimane, ma è come se ti conoscessi da sempre, non voglio perderti, e non voglio che tu abbia paura di perdermi, perché ciò non accadrà. La mia situazione è quella di cui ti ho già parlato, sono un soldato, e sono in congedo ordinario per motivi di salute, che durerà fino al 28 marzo, quindi tra poco meno di due mesi; è difficile separarmi da te, so che ciò deve essere normale routine per me, e so che tu sei preparata a ciò, ma non so se sono preparato io, ed è per questo che voglio farti una promessa d'amore, che spero mi legherà per sempre a te, mi occuperò di te e del tempo che abbiamo a disposizione, e che saprò bene amministrare per noi. Io ti amo!". "Non so che dirti, so cosa penso, ma non voglio rovinare tutto con le mie parole banali, dopo quello che mi hai detto, tutto è passato in secondo piano, anche io non sono preparata, non so se sarò capace di esserlo, e non so se vorrò esserlo. Anche io ti amo, ti ho sempre amato, fin dalla prima volta che ti ho visto…", interrompendo con un bacio le mie parole, mi abbandono tra le sue braccia. Tutto è come nelle favole! Velocemente scorrono via le settimane, con la paura di doversi dire addio, e di non volerlo fare. Stefania vive tutto con me, le mie paure, le mie difficoltà, i miei momenti più felici, il mio entusiasmo, per mia fortuna non anche il mio ragazzo; è molta affezionata a Silvio, e sono molto contenta di questo, la mia migliore amica e il mio ragazzo. Purtroppo tutto ciò non cancella il fatto che tra meno di un mese lui dovrà ritornare in Afghanistan, e sono così arrabbiata che a volte non riesco a godermi quei momenti che trascorro con Silvio, e quando Silvio se ne accorge, fa l'impossibile per distrarmi e inventare mille svaghi, lui sa bene come la penso in riguardo alla guerra, ovviamente non la pensa come me, ma ciò non ci allontana, anzi ci aiuta a confrontarci, e mi aiuta a capire la sua scelta. "Sai, non è semplice capire il perché della tua scelta, e di tanti come te, non metto in dubbio la volontà vostra di agire per gli altri, di dare tutto voi stessi per aiutare chi ha bisogno di voi, ciò che non capisco è il bisogno di doverlo farlo in nome di una pace, dietro cui si nascondono tanti interessi. Chi decide manda gli altri allo sbaraglio, armati dei più buoni propositi, ma rimanendo sulle proprie poltrone, credo che chiunque voglia la pace non vuole la guerra, e non è una cosa ovvia, come dovrebbe essere. Chi vuole la pace agisce con ciò che ha nel cuore, senza la violenza e penso che già per il fatto di mostrarsi con delle armi si mandi un messaggio contraddittorio, su ciò che si dovrebbe intendere con il significato di pace.". "Hai ragione Stella, in tutto quello che dici, ma prova a pensare con il cuore e non con la testa, e imparerai a capire quanto importante sia, non per noi, ma per chi vuole semplicemente vivere, il dovere nostro di dover proteggere chi non ha gli strumenti per poterlo fare da solo.". È difficile parlare di ciò che non si conosce e di cui si ha paura, soprattutto paura di affrontare la realtà che ci circonda. Oggi è primavera, il cielo è soleggiato, decidiamo di andare a fare una sorta di picnic, approfittiamo della bella giornata, e invitiamo con noi anche Stefania, la sorella di Silvio, Giulia, che è molto più simpatica lontana dalle vesti istituzionali di quanto potessi immaginare, il fidanzato di Giulia, e altri due amici di Silvio, amici/colleghi, con cui partirà la prossima settimana, e che conosco poco, ma su cui Stefania ha messo già le sue grinfie, e mi riferisco a entrambi, non sapendo lei scegliere chi tra i due è più carino. Mentre la giornata trascorre tra risa e divertimento, Silvio mi prende per mano, e mi trascina lontana dal gruppo, mi fa sedere su di una panchina e lui si posiziona davanti a me, inginocchiato e con un pacchettino tra le mani che mi porge. "Non vorrai mica chiedermi di sposarti?",
"perché, non accetteresti?", "ovvio che accetterei, ma non so se ti converrebbe", "certo che mi converrebbe, ma non voglio farti nessuna proposta, non ancora, anche se gli somiglia non poco. Questo anello apparteneva a mia madre, ha un anello gemello che mia madre ha regalato a Giulia, cambia solo nel colore, questo ha i riflessi turchese, mentre quello di Giulia ha i riflessi di colore glicine; voglio che lo tenga tu per me, fino a quando non tornerò, e solo allora potrò chiederti di sposarmi. Se tu lo accetterai saprò che, al mio ritorno, il tuo sarà assolutamente un si, e non voglio vivere nell'incertezza che qualcosa possa cambiare, o che possa farti cambiare idea, prendilo come un anticipo. Può sembrare molto egoistico, volerti per me, sola per me, ma tu sei diventata tutto per me, e non posso fare altrimenti.". "Il mio è senza alcun dubbio un si, e sarà un si anche al tuo ritorno, costi quel che costi, e si, lo accetto volentieri il tuo anticipo di proposta, ma lo indosserà al collo, solo quando tornerai, e mi farai una proposta come si deve, me lo farò infilare al dito, fino ad allora lo porterò vicino al mio cuore.". "Custodiscilo per me nel tuo cuore, come io custodirò nel mio cuore il nostro amore. Ti amo, mia piccola Stella.". "Ti amo!". La settimana dopo è strascorsa più veloce di quanto mi aspettassi, più di quanto sperassi, la primavera era appena iniziata, ma il cielo piangeva con me, senza sforzarsi di consolarmi; non ci sarebbe comunque riuscito. Da dietro la grande finestra dell'aeroporto vedevo l'aereo che era ormai decollato, e non riuscivo più a vederlo, non riuscivo più a vedere il mio Silvio; il mio cuore si strinse come in una morsa, non riuscivo a smettere di piangere, e con me Stefania e Giulia. "Ci siamo separati da poco più di quindici minuti e già sento nel mio cuore la tristezza; mi manchi, mi sei sempre mancata, prima di conoscerti perché il mio cuore sapeva già che sarei stato completo solo con te, e anche dopo averti conosciuta perché già immaginavo, seppur nella paura, che avrei dovuto vivere momenti senza di te. L'aereo sta per decollare, e in un istante tutto il tempo sembra essersi fermato; dai miei occhi sgorgano le lacrime, come se fosse pioggia, di chi, come noi, è costretto a salutare il proprio amore. Posso ancora vederti, seppur in lontananza, e rispondere al timido saluto del tuo sorriso incerto, anche se so che non puoi vedermi. Mille emozioni hanno accompagnato queste poche settimane, che ci hanno saputo tenere stretti; non te l'ho mai detto, ma anche il mio primo ricordo di te è stato quel giorno alla fermata dell'autobus, dove tutto per te è iniziato, ma anche per me. Ricordo quando ho cercato di fingere indifferenza, ed è stato difficile poterti guardare, mentre i tuoi occhi, dolcemente insistenti, non si staccavano da me; ho tante volte ringraziato il mio libro, ancora da leggere, che ha saputo celare il mio sguardo timido e colpevole. Ho visto nei tuoi occhi tutto l'amore che avrei mai potuto desiderare, e tu hai saputo non soffermarti solo sul mio aspetto fisico, ma ti sei innamorata di me, del mio cuore, di come sono io. Ho vissuto con te la mia prima intimità, e non parlo di quella fisica. Ho saputo viverti, ma ancor più difficile ho saputo fare in modo che tu mi vivessi, quando tutto dentro di me stava cominciando a spegnersi. So cosa pensi della guerra, so che sei contro di essa, lo sono anche io, ed è per questo che porto avanti il mio lavoro, e lo faccio con i miei continui ripensamenti, dettati dalla mia voglia di fuggire ogni volta da questi orrori, ma poi vedo gli occhi di quei bambini, e di tanti ragazzi, accendersi di vera speranza; loro ci vengono incontro, e non vedono le armi su di noi, ma solo il coraggio di cui siamo investiti, e grazie al quale cerchiamo di proteggerli. Conosco la tua paura, che tu confondi con il rifiuto, ma è solo paura, la stessa paura che appartiene anche a me, e che lascio mi accompagni in ogni mia missione. Ora ci sei anche tu ad attendermi, sarai il mio traguardo, sempre, e io, dovessi attraversare mondi
diversi, non smetterò mai di raggiungerti. Ti amo, mia piccola Stella, e non piangere per ciò che sto per dirti: ci hanno insegnato a vivere e ad agire con la speranza nel cuore, a porci degli obiettivi personali, e a raggiungerli ad ogni costo, a credere nella libertà e nella pace, e io ci credo con tutto me stesso, ma nel mio cuore, anche, c'è paura, di un domani che non mi è dato di conoscere, di un domani incerto, che potrò non conoscere mai. Ti prometto che ogni volta che potrò ti scriverò, di me, delle mie mille e più emozioni, di tutto ciò che accade intorno a me, ti chiedo solo di non smettere mai di amarmi e saprò che ci sarai sempre. Ti amo, mia piccola Stella, e guarderò in cielo e penserò a te, affinché i miei pensieri dal cielo possano giungere fino a te. Spedirò questa lettera non appena l'aereo atterrerà, e spero ti arrivi quanto prima. Ricordalo sempre, io ti amo, mia piccola Stella, non smetterò mai di dirtelo.". Ogni volta che leggo questa lettera è un duro colpo all'anima, sapere che il mio Silvio non c'è più mi spezza il cuore; ora c'è il mio piccolo Silvio Valentino che mi allieta le giornate, ed è l'unica cosa che mi rimane di Silvio. Piango al pensiero che il mio piccolino non potrà mai conoscere il suo papà, di quanto fosse importante; ma lo conoscerà, ogni volta che gli leggerò la sua lettera, come adesso mentre gioca con il mio anello, quell'anello che aspetta ancora la sua proposta. Ricordo ancora quel pomeriggio quando Giulia e Stefania vennero a casa mia per darmi l'orribile notizia, i loro occhi parlavano per loro; volevo fuggire da questo mondo, da questa vita, che mi ha dato la cosa più importante, ma che allo stesso tempo me lo aveva tolto senza chiedermelo, volevo decidere io cosa farmene della mia vita, non come è successo con Silvio, che qualcuno ha voluto decidere per lui, ma non potevo, non più. La vita mi aveva già dato altro a cui pensare, mi aveva dato quell'amore che Silvio sperava non morisse in me. Una settimana dopo mi arrivò la sua lettera, la sua unica lettera, la sua eredità più grande, un messaggio d'amore gridato a tutto il mondo. "…è uno specchio di ricordi, quello che vive davanti a me. Assaggio ogni molecola d'aria, mentre il ricordo del suo profumo, si posa sul mio petto, là dove un tempo c'era la sua mano, a riscaldare il mio cuore. Mi addormento, accarezzando il frutto del nostro amore, mentre con i suoi occhi dolci mi guarda, e sorride alle mie lacrime."