Una mattina come tante ero distesa nella penombra del giaciglio e notai che Adamo non era al mio fianco. Allora mi alzai anch’io per bagnarmi al lago, ma non lo trovai né là né sul prato, dov’era solito passeggiare in solitudine. “Che strano” pensai. Fu quando m’inoltrai nell’oscurità del bosco che fui testimone di una scena inattesa, che avrebbe smascherato la realtà illuminandola di una luce più autentica. Vidi Adamo dritto su un tronco, immobile, che si lasciava percorrere da quel corpo sinuoso. Strisciò viscido fino alle spalle, poi i due si unirono. Il serpente avvolgeva le sue braccia in morbide spirali. In quel momento anche Adamo iniziò a muoversi, guidato da quel vortice di squame. Ebbe inizio una danza simbiotica, ma d’improvviso la testa del serpente si annidò nel suo collo, quattro grossi denti affilati scintillarono nell’oscurità e si piantarono nella carne fresca e compatta. “No!” urlai, mentre Adamo cadeva emettendo un flebile lamento. Il serpente sfumò come un’apparizione e io mi precipitai su quel corpo abbandonato. Vedendo quel candore di perla macchiarsi di rosso, “Sanerò io questo male” pensai e ne bevvi il sangue sgorgante, finché la ferita non si fu rimarginata e non ne restò traccia. Non parlammo mai di ciò che era accaduto quel mattino nel bosco, sentivo che Adamo provava per me un misto di disprezzo e gratitudine e non osai infrangere quel silenzio. Ma forse mi sbagliavo.
Estratto dal racconto Fuori dall’Eden
© Giovanna Gagliardi