Ai Weiwei LA COMMEDIA UMANA
MEMENTO MORIGIRO D'ITALIA: ROMA
Ame invece Roma piace moltissimo: una specie di giungla, tiepida, tranquilla, dove ci si può nascondere bene”. È Marcello a dirlo, ne La dolce vita, mentre parla con Madda lena. Poche parole intrecciate e così dense di energia evocativa. Una frase che mi riecheggia nella mente, da quando ho visto il film di Fellini e che nel tempo ha accompagnato la mia continua scoperta di questa città così difficile da trattare e da trat tenere. Da cui voler fuggire, giorno dopo giorno, e da cui non si può restare lontani. Roma la vivo a piedi. Sono ormai diversi anni che non uso la macchina. Mi piace perlustrarla,
EMILIA GIORGI [testo] & ALESSANDRO IMBRIACO [fotografie]osservarla, guardarla nei più piccoli particolari. A volte evitando la visione totale, che è una verti gine assoluta. In questo vagabondare, con o senza meta, mi trovo spesso a studiare il ruolo degli elementi vegetali (e animali), in relazione con il costruito. Marcello parla di giungla in senso figu rato, io inizio a pensare invece che lo sia davvero. Una giungla, specie di questi tempi in cui termini come boschi, foreste o giungle urbane sembrano parole d’ordine a volte vuote di significato. E in vece Roma è selvaggia davvero. La città è sempre sul punto di implodere, collassare su se stessa, diventare una immensa trappola di complessità, e nel mentre la natura si fa spazio, si riprende il suo ruolo, invade e mangia lo spazio artificiale. Gioca e ci provoca.
Una natura a volte spaventosa, se non altro spaesante. Densa di stupore. Eppure non se ne parla mai. Roma è tutta grande bellezza. Colosseo, Fori Imperiali, Appia Antica, Fontana di Trevi, mai natura. E invece basta leggere un libro, Roma Selvatica di Antonio Canu, per aprire altri scenari. Quante cose si possono comprendere di questa città-territorio, a partire da alcuni dati semplici e diretti: di 129mila ettari di estensione, 86mila sono aree verdi, tra giardini, parchi pubblici, ville storiche, riserve natu rali, aree archeologiche e agricole. Con un indice incredibile di biodiversità. Roma è abitata non solo da noi, ma da specie vegetali e animali spesso nascoste, invisibili, in continuità e coesistenza. Al cune straordinarie e sconosciute anche agli stessi romani, come la colonia di granchi di fiume che
da un tempo imprecisato – presumibilmente dall’antichità – vive indisturbata tra le acque che scor rono sotto la zona archeologica dei Fori Imperiali, tra i Mercati Traianei e la Basilica Ulpia. Basta sapere aspettare ed esercitare lo sguardo. Ovunque vi troviate, fate questo esercizio. Vedrete un’altra città. Spesso mi fermo a guardare le Mura Aureliane, ammantate da varie specie di piante, come quella del cappero che si moltiplica, una superfetazione organica, quasi una seconda archi tettura aggettante. Un processo di metamorfosi e coesistenza che maschera l’elemento architetto nico, lo trasforma, offrendo a Roma un tempo nuovo dove natura e cultura smettono di separarsi. Come accadeva alla fine del Settecento, prima delle grandi campagne di scavi e restauri
ottocenteschi. A chi veniva in quel periodo, il Colosseo si mostrava come un grande giardino, con orti, alberi di fico, olmi, ciliegi, olivi, e una grande varietà di piante che cresceva sull’intera struttura, con l’arena occupata da pecore al pascolo. Un ecosistema unico, anche per i molteplici usi nei secoli, in una città da sempre crocevia di culture e popolazioni, come ben raccontava la mostra Frondose arcate: il Colosseo prima dell’archeologia, curata nel 2000 da Italo Insolera e Alessandra Maria Sette. Anche per questa immagine, Roma ai miei occhi continua ad apparire come un laboratorio
misterioso, in cui la natura dialoga sempre con il costruito. Un unico corpo pulsante scolpito da piante capaci di sovrastare architettura e spazio urbano, fino a trasfigurarne l’aspetto. Una città che si presenta come un luogo sacro dedicato a flora e fauna, per interrompere il nostro ritmo svelto, disegnare silenzi, pause mentali e materiali. È così che la vedo. Un indefinito esperimento metamorfico che ci invita a mondeggiare altrimenti, come direbbe Donna Haraway.
Alessandro Imbriaco, Roma 2018-21. Courtesy l’autoreSTUDIO VISIT GIULIANA ROSSO
Ci si può avvicinare alla pratica artistica di Giu liana Rosso passando per un doppio ingresso. Sogno da una parte e tormento dall’altra: sono le insegne che campeggiano sopra queste porte immaginarie. Ma, una volta varcata una delle due so glie, ci si accorgerebbe di una strana convergenza. I due ingressi finiscono infatti per comunicare in un unico corridoio: un imbuto che porta dritti in un mondo popolato da figure oscure e vitali, un microco smo incantato e insieme infestato, cupo e sfavillante. I protagonisti delle opere di Giuliana Rosso sono quasi sempre ragazzini, colti in quella strana terra di mezzo tra infanzia e adolescenza: un limbo che rende i sog getti sfuggenti, difficili da inquadrare, teneri e inquie tanti. D’altra parte si tratta per definizione di un mo mento di passaggio fatto di scoperte e traumi, desideri e inquietudini; stati d’animo ai quali Rosso dà forma attraverso dipinti dal carattere fortemente narrativo – in cui la matrice espressionista si contamina con uno stile dal tratto “cartoonesco” – che spesso si espandono sulle tre dimensioni. Mi piace pensare alle opere dell’artista come a delle fiabe nere.
Ho avuto modo di seguire il tuo lavoro nell’arco de gli ultimi anni e non posso fare a meno di notare la tua ossessione per figure colte in quella fase di pas saggio che è la pubertà. Da dove deriva quest’attra zione irriducibile?
Può essere che derivi dalle fiabe come dici, o magari da un loro sequel immaginario – in effetti le fiabe ge neralmente hanno protagonisti più vicini all’infanzia o all’adolescenza. Mi interessa anche un discorso sui periodi di vita non vis suti o sulle sensazioni fuori luogo. Le persone adolescenti sono l’emblema simbolico dell’indefinitezza: è il mo mento in cui ci si confronta con un certo tipo di percezione, che è quella di un tempo e di un pensiero che sem brano non avere un limite preciso. Lo spazio dell’adolescente è complesso e impenetrabile e irrompe verso l’e sterno o implode in sé (anche se non per forza solo in quella fase biologica della vita). Riguarda anche il rapporto tra impermeabilità e dissociazione nell’affrontare il momento di difficoltà o, al contrario, la capacità senza filtri di essere in relazione con il presente e la vita e l’empatia in modo più autentico.
È senz’altro come dici: l’infanzia e le fasi immediatamente successive sono delicatissime. Alla fanciullezza viene spesso associata la spensiera tezza, quasi si trattasse di un’età dell’oro; la verità è che si tratta di un
Lo spazio dell’adolescente è complesso e impenetrabile e irrompe verso l’esterno o implode in sé.
periodo complesso, fatto di scoperte, ma anche di traumi capaci di accompagnare le persone per tutta la loro vita. Mi rendo conto che si tratta di una domanda a cui è difficile rispondere ora, ma credi che quest’attenzione rivolta alla giovinezza ti ac compagnerà ancora a lungo?
Direi di sì. A livello iconografico l’adolescenza penso possa lasciare aperti più canali interpretativi, e que sto aspetto mi piace molto, mentre la rappresenta zione di altre età forse tende a creare discorsi più in centrati su temi specifici. Alla fase dell’adolescenza non attribuisco un’accezione nostalgica (un paradiso o inferno perduti): questa è una componente molto secondaria del mio lavoro. Piuttosto, sono concen trata sulla fragilità e sulla transizione incerta che que sta fase della vita porta con sé.
In che senso?
Avvicinarmi all’adolescenza equivale per me a esplo rare qualcosa di indefinito e indefinibile, una condi zione che riguarda tutta l’umanità. La figura simbo lica del teenager mi permette di avere una comunicazione più diretta e profonda con chi guarda, magari “liberandolo” per qualche istante dall’idea di comunicazione funzionale/razionale secondo la pa rola e il senso compiuto di un’idea o un’azione. È an che un tentativo di indagare l’animo umano in un’ac cezione più simbolica e potenzialmente condivisa, provando a rendere tattile un’emozione che in genere rimane un’esperienza solitaria, come succede a volte quando si guarda un’opera.
Giuliana Rosso è nata a Chivasso (Torino) nel 1992. Si è formata all’Accademia Albertina di Torino, dove attualmente vive. La sua ricerca si muove tra pittura e disegno, con contamina zioni tridimensionali, che pone in stretta rela zione con lo spazio reale. Il suo lavoro indaga una condizione umana di inquietudine co stante, intrisa di sentimenti contrapposti dove l’infanzia e l’adolescenza ne diventano meta fora. Con il suo lavoro vuole mettere in luce una costellazione di sensazioni e stati d’a nimo meno visibili.
Tra le mostre più recenti: La Collezione Imperma nente #3.0, GAMeC, Bergamo (2022); But I doubt, I tremble, I see (shaking edges) and the wild thorn tree, Giuliana Rosso & Rory Pilgrim, Pina, Vienna (2021); Espressioni. La proposizione, Ca stello di Rivoli (2020); He Heard With His Dead Ear, Almanac Inn, Torino (2019); Soltanto ora, perdute, mi diventano vere, VEDA, Firenze (2019); Capriccio 2000, Fondazione Sandretto Re Re baudengo, Torino (2019); Expanded Painting, Gal leria Massimo Minini, Brescia (2019).
giuliana_rossobioLa fruizione dell’arte è spesso un’e sperienza solitaria: penso anche alla dimensione “virtuale”, perlopiù ba sata sullo scorrimento compulsivo di immagini e profili attraverso i social network. Il tuo lavoro, come quello di quasi tutta la generazione di artisti nata dopo il 1990, è emerso negli anni dell’esplosione di Instagram. Credi che in qualche modo questo fatto ab bia orientato la tua pratica?
Instagram è sicuramente un luogo vir tuale dove trovare una fonte inesauribile di immagini, nuove iconografie ed esteti che. Penso sia davvero bello scorrere im magini e poter scoprire realtà geografica mente lontane e nuove. Forse questi continui cambiamenti di immagini, spesso anche molto diverse tra loro, hanno influenzato il mio modo di guar dare, l’idea di trovare connessioni tra elementi diversi e rimandi ha a che ve dere con questo tipo di ritmo, in genere velocissimo. Quindi il creare “isole” cata lizzatrici – per esempio in alcuni lavori
STUDIO VISIT
Giuliana Rosso, Danza sull’erba , 2018, tecnica mista su carta, dimensioni variabili. Courtesy l’artista & Bite the Saurus. Photo Danilo Donzellipiù installativi, come nella mostra Noble Experiment (2022) da spazio Massimo a Milano o nell’installazione al Castello di Rivoli (Finché quel che fantastichiamo è stato, 2020) – è un tipo di pratica che po trebbe far seguito a questo modo di guar dare quotidiano che slitta tra un contra sto e l’altro e diverse situazioni che si rimbalzano a vicenda. Ma in generale il web, in tutte le sue ramificazioni, e l’uti lizzo di dispositivi tecnologici nel quoti diano, anche al di fuori dei social, contri buiscono a questa dispersione del pensiero, che va verso punti di vista mul tipli. Mi accorgo che tutto questo ritorna un po’ anche nel mio lavoro.
Torniamo alle tue opere e all’esperienza fisica, a mio avviso fondamentale, che esse presuppongono. Hai un modo pecu liare di installare – presentando le opere ad angolo oppure in punti interstiziali –, quasi cercassi di dare un corpo a un sup porto tradizionalmente “bidimensio nale” come la carta.
Mi interessa indagare il superamento della bidimensionalità e dell’idea di pe rimetro. Lavoro quindi su processi di sovrapposizioni, sui rapporti dell’opera
VISIT
con lo spazio, sui rimandi tra elementi dello stesso lavoro o tra diversi, anche se realizzati su supporti e con materiali differenti, ma posti nello stesso spazio, in un dialogo che conduca in un certo senso a una sorta di realtà aumentata, ottenuta però con un supporto non tec nologico. Pittura, carta, disegno, scul tura, oggetti: lascio che evolvano e li se guo verso una dimensione fluida, più emotiva, che spero possa avvicinare anche chi guarda a diverse letture. L’i dea di espansione per me ha anche sempre a che fare con la fragilità, vista secondo un rapporto tra immediatezza e deperibilità. L’angolo e quelli che hai definito “punti interstiziali” rappre sentano un po’ una sintesi di tutto que sto. L’angolo in particolare, inteso come il luogo dove si incontrano due super fici, è il punto d’origine; a partire da qua la pittura/disegno diventa come un li bro che si apre al racconto. La carta la vedo come una “pelle” che si espande dal luogo di origine, si dilata, si fa forma, esce dal supporto e ritorna bidi mensionale.
Per la seconda copertina del progetto Fragile Surface, IED ha invitato Andrea Crespi, Alunno dei corsi di Pro duct Design e Art Direction adesso approdato al mondo dell’arte.
Andrea Crespi, artista che rispec chia il nostro tempo in ogni sua sfaccettatura, con grande coraggio di volta in volta sfida le regole e le nozioni prevalenti nell’arte. In questa occasione ha scelto di rea lizzare un’opera di impatto imme diato che supera il mero concetto artistico, lanciando una vera e propria provocazione verso il si stema dell’arte contemporanea. Stop Making Boring Art è un’ope ra-manifesto che invita a riflet tere sul senso dell’arte in un mondo dove tutto è già stato cre ato, ma soprattutto un grande stop contro le regole di mercato, ribaltando ogni logica. Crespi prende le distanze da tutto ciò che viene considerato tradizionale e conservativo, adottando un’este tica e un’etica anticonvenzionali e portando avanti messaggi diretti, immediati e virali.
La sua è una frase che invita al rinnovamento, all’ideazione e creazione consapevole, alla ricerca e alla sperimenta zione continua. Solo avendo coraggio e mettendosi sempre in gioco, andando oltre la zona artistica di comfort, il risul tato della produzione non potrà mai essere noioso, pur re stando squisitamente soggettivo.
ALISIA VIOLAIED x ARTRIBUNE
Il progetto Fragile Surface si propone di raccontare, attra verso immagini e contenuti multimediali realizzati da studenti e Alumni dell’Istituto, i temi centrali della con temporaneità: i labili confini tra le discipline artistiche, la contaminazione fra arte e tecnologia, il rapporto uomo/ natura, l’intersezione tra reale e virtuale.
I progetti dei corsi della scuola di Arti Visive, Computer Generated Animation, Graphic Design, Fotografia, Illustra zione e Animazione, Sound Design, Video Design daranno vita a un percorso in cui il lettore potrà approfondire gli aspetti artistici, tecnici e relazionali alla base di ogni im magine scelta per la copertina. Vi basterà inquadrare il QR qui a fianco.
Le copertine, realizzate in esclusiva per Artribune, saranno quindi il simbolo della soglia da attraversare per immer gersi nella complessità e nella poliedricità di ogni pro getto. La fragile superficie da rompere per potersi avven turare nell’immaginazione iperconnessa dei designer.
VALENTINA SILVESTRINI L C’è anche l’a scensore in vetro Lift 109 fra le attra zioni della “rinata” Battersea Power Station di Londra, dismessa nel 1983. L’iconica centrale termoelettrica, scelta dai Pink Floyd per la copertina di Animals (1977), è stata riaperta dopo l’intervento di restauro e riqualifica zione dello studio WilkinsonEyre. Un tempo in grado di fornire fino a un quinto dell’elettricità necessaria alla capitale inglese, ospita oggi un hub commerciale, con decine di negozi e ri storanti, spazi per il benessere, il tempo libero e la cultura. Al suo interno si vive (254 le residenze, di varie metra ture, realizzate) e si lavora: il nuovo Ap ple Campus occupa oltre 46mila mq ed è affiancato da altri uffici. Trattandosi di un ex complesso industriale di inte resse storico culturale, gli architetti hanno operato per tutelarne riconosci bilità e integrità. Per non tradire l’iden tità storica del sito, hanno dichiarato di essersi ispirati a Sir Giles Gilbert Scott, che negli Anni Trenta del XX secolo ne disegnò il primo nucleo.
GIULIA GIAUME L L’arte contemporanea fiorisce in uno dei luoghi simbolo della cul tura italiana. A Casa Leopardi, nella Recanati del celebre poeta che rivoluzionò il dibattito tra Classicismo e Romanticismo, l’amata Biblioteca diventa infatti spazio espositivo per la mostra collettiva Io nel pensier mi fingo, dal verso dell’immortale poesia L’infinito (1819). Si tratta della prima mostra del ciclo di arte con temporanea InterValli, progetto che va a unirsi alle celebrazioni iniziate nel 2019 per i 200 anni della poesia più famosa di Giacomo Leopardi, tra le più belle mai scritte. Partendo proprio da L’infinito, la mostra visi tabile fino al 30 gennaio propone un itinerario intergenerazionale e in ternazionale all’interno della biblio teca della casa (aperta al pubblico insieme al museo e all’abitazione vera e propria) con le opere di un gruppo di artisti nati tra gli Anni Trenta e Novanta del secolo scorso. Nata da un’idea di Olimpia Leopardi, curata da Antonello Tolve e realizzata con il supporto del Co mitato Nazionale per le Celebrazioni del Bicentenario della Composizione de L’infi nito, l’esposizione presenta una selezione di opere di Tomaso Binga, Jeanne Gai gher, H.H. Lim, Maurizio Mochetti, Melissa Lohman, Patrizia Molinari, Adrian Tranquilli e Narda Zapata, che sono andati a confrontarsi con la figura di Leopardi e i luoghi che hanno animato il suo itinerario intellettuale. “Gli spazi della Biblioteca Leopardi sono luoghi vivi soprattutto perché hanno continuato a produrre cultura nel rispetto dello spirito che li ha visti nascere”, ha dichiarato la contessa Leopardi.
Casa Leopardi apre all’arte contemporanea con una mostra nella Biblioteca del genio
Massimiliano Tonelli
DIREZIONE
Marco Enrico Giacomelli [vice]
Santa Nastro [caporedattrice]
Arianna Testino [Grandi Mostre]
REDAZIONE
Irene Fanizza | Giulia Giaume
Claudia Giraud | Desirée Maida
Livia Montagnoli | Roberta Pisa
Giulia Ronchi | Valentina Silvestrini Alex Urso
PROGETTI SPECIALI
Margherita Cuccia
PROGETTO GRAFICO Alessandro Naldi
PUBBLICITÀ
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COPERTINA ARTRIBUNE
Andrea Crespi, Stop Making Boring Art, 2022. Courtesy l’artista & IED Istituto Europeo di Design
COPERTINA GRANDI MOSTRE
Max Ernst, Nascita di una galassia, 1969, olio su tela, 92x73x2 cm. Fondation Beyeler, Riehen/Basel, Beyeler Collection © Max Ernst by SIAE 2022
STAMPA
CSQ — Centro Stampa Quotidiani via dell’Industria 52 — Erbusco (BS)
DIRETTORE RESPONSABILE Paolo Cuccia
EDITORE & REDAZIONE Artribune s.r.l. Via Ottavio Gasparri 13/17 — Roma redazione@artribune.com
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Chiuso in redazione il 25 ottobre 2022 PEFC/18-31-992
RiciclatoPEFC Questoprodottoè realizzatoconmateria primariciclata www.pefc.it
NUOVI SPAZI
REPETTO GALLERY Lugano
Da Londra a Lugano il passo è breve, soprattutto se di mezzo c’è la Brexit. Intervista con Carlo Repetto all’indomani del trasloco della galleria.
Perché avete traslocato?
Viviamo a Lugano da molti anni e ave vamo aperto a Londra per avere l’atti vità all’interno della Comunità Euro pea. Dopo la Brexit, non aveva più senso avere la galleria in UK e vivere in Svizzera.
Cosa farete nella nuova sede?
Proseguiremo la tradizione della galle ria puntando sugli artisti che da sem pre ne caratterizzano l’attività. Intendo i protagonisti dell’Arte Povera, della Land Art, oltre agli storici, Fontana e Melotti, e alcuni giovani che lavorano nello spirito e in continuità con gli ar tisti concettuali, come Arcangelo Sas solino e Alessandro Piangiamore, po tendo dedicare loro uno spazio ade guato e valorizzando al meglio le loro installazioni e i loro grandi dipinti.
Brevissima storia del vostro rap porto con l’arte.
Siamo galleristi per tradizione. Nel 1967 fu mio papà Aurelio a fondare la galleria ad Acqui Terme. Io aprii poi, sempre ad Acqui, nel 2007, un grande spazio con mia moglie Anna Maria, per spostarmi nel 2012 a Milano e trasfe rirmi nel 2014 a Londra, in Mayfair, con i miei fratelli Saverio e Paolo.
Su quale tipologia di pubblico pun tate? E su quale rapporto con il ter ritorio?
Non c’è un pubblico specifico a cui fare riferimento, tutti gli amanti dell’arte sono i benvenuti. L’idea è quella di coinvolgere il territorio di riferimento, magari promuovendo iniziative con le
istituzioni e con i musei, cercando, quanto più possibile, di inserirci nel tessuto culturale della città.
Un cenno ai vostri spazi espositivi.
La nuova galleria, a breve distanza dal LAC, in zona di passaggio in entrata e uscita dalla città, si sviluppa su un open space di 300 mq. È presente una private room per offrire ad amici, clienti e visitatori un’ambiente rilas sante e accogliente, con un’importante libreria d’arte di circa 2mila volumi. Prima era la sede di uno showroom di illuminazione di design.
Come avete inaugurato?
Abbiamo scelto di dedicare la mostra inaugurale a Melotti e Fontana (in corso fino al 25 novembre). Un omag gio a due figure determinanti nella ri voluzione artistica degli Anni Sessanta che, con il loro pensiero e le loro opere, hanno influenzato gli artisti dell’Arte Povera, da noi tanto amati. Con questa prima esposizione, la galleria vuole mettere le basi del programma esposi tivo che, partendo da questi due mae stri, condurrà, attraverso alcuni dei protagonisti dell’Arte Povera e Concet tuale, agli autori contemporanei eredi del loro spirito.
Maiv a r a ini
ViaAntonio Adamini Riva Antonio CacciaLugano Via Maraini 24 +41 766858855
info@repettogallery.com repettogallery.com
Chiesa di Santa Maria di Loreto DIRETTOREChiude i battenti il Teatro Nuovo di Milano. Fine di una storia che rischia di essere dimenticata
GIULIA RONCHI L A Milano chiude una sala storica, quella del Teatro Nuovo, che si affaccia su piazza San Babila. Partito nel 1938 con i fratelli De Filippo e vari spettacoli antifascisti che all’e poca causarono l’esilio del direttore, ha ospitato in quasi un secolo personaggi del calibro di Paolo Stoppa, Totò, Wanda Osiris, Anna Magnani, To gnazzi, Sordi, Chiari, Gassman, Julio lglesias, Johnny Dorelli, Carla Fracci, Carmelo Bene, Mariangela Melato. Verrà rimpiazzato da un’attività com merciale, impoverendo un centro sto rico che vive in orario uffici e si spopola notevolmente di sera, la cui vita not turna è relegata in pochi locali di ten denza. Ma, soprattutto, lascia la città orfana di un luogo di produzione cultu rale, che ha attraversato la storia del Novecento e che chiude i battenti in si lenzio, nell’indifferenza generale e senza alcun proclama.
teatronuovo.it
GIULIA RONCHI L Dalla morte dell’artista Paul Thorel, avvenuta nel 2020, la fonda zione a lui dedicata ha lanciato nuovi progetti per supportare la ricerca di altri arti sti, con iniziative diffuse tra Napoli, Panarea e Hydra. La novità principale è costitu ita dal Premio Thorel, che nasce all’insegna della fotografia digitale: per ogni edizione, a cadenza annuale, verranno selezionati tre progetti realizzati da artisti o collettivi che avranno precedentemente svolto una resi denza di un mese presso la foresteria dello Studio Thorel a Napoli, affiancati dal team della Fondazione. A conclusione del periodo di residenza, sarà inoltre prodotta una docu mentazione in forma di catalogo e sarà curata una mostra in collaborazione con le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo e con le istituzioni partner. I primi finalisti saranno annunciati a gennaio 2023. Tra le attività della Fondazione, dal 2021 è stata avviata la stesura di un ampio catalogo ragionato delle opere dell’ar tista (la collezione ne conta circa 1.600, realizzate a partire dagli Anni Settanta), com missionato alla critica d’arte e curatrice Sara Dolfi Agostini, la cui pubblicazione è prevista per il 2024. Altri progetti di workshop e residenza saranno realizzati nei prossimi anni nella grande casa di Panarea – che è stata il buen retiro estivo di Paul Thorel e laboratorio agricolo per la coltivazione della vite – e nell’isola di Hydra, ul timo sogno irrealizzato che grazie alla fondazione diventerà una realtà concreta messa a disposizione della ricerca degli artisti.
fondazionepaulthorel.com
Il futuro di Santa Sofia a Istanbul preoccupa gli esperti. Lettera aperta all’Unesco
VALENTINA MUZI L “Chiediamo all’Unesco di intervenire con forza per invertire la si tuazione attuale che mette a rischio Hagia Sophia”. È il grido d’allarme lanciato dall’Associazione degli archeologi greci (SEA) in una lettera aperta al direttore ge nerale dell’Unesco, Audrey Azoulay, per salvaguardare il futuro dell’ex Basilica di Santa Sofia a Istanbul. I problemi sono iniziati nel 2020, quando “il Consiglio di Stato turco ha deciso di annullare il decreto del 1934 che aveva consentito l’attività di Santa Sofia come museo”. Questo cambio di status e il suo ri torno a luogo di culto islamico ha messo in luce i problemi causati dalla frequentazione massiva da parte di visitatori e fedeli. “Le ante in legno ottomano della Porta Imperiale sono state danneggiate, i rivestimenti delle pareti sono stati raschiati e rimossi, fontane e porte sono state utilizzate per il deposito delle scarpe, le lastre di marmo del pavimento sono state di strutte”. Questo l’elenco stilato dal SEA, che prosegue: “Da quando la Direzione degli Affari Religiosi ha assunto la gestione dei monumenti turchi che erano precedentemente nelle mani del Servizio Archeologico, molti monumenti hanno subito danni irreparabili”. Quando parliamo di Santa Sofia ci riferiamo non solo a uno dei monumenti più rappresentativi dell’antica civiltà bizantina, ma a un’opera d’arte totale. Con la sua composizione architettonica e i suoi numerosi mosaici, entra a far parte del Patrimonio Mondiale Unesco nel 1985. Sorta tra il 532 d.C. e il 537 d.C. per volere di Giustiniano I, era conosciuta come “Magna Ecclesia” per le sue dimensioni, tanto da mantenere il titolo di più grande cattedrale cristiana sino al 1453, quando venne convertita in moschea dall’Impero Ottomano. Un altro importante cambiamento si ebbe nel 1934, quando venne tra sformata in museo dal leader turco Ataturk. Durante il periodo di attività museale “sono stati scoperti e conservati mosaici bizantini”, si legge nella lettera, “mentre sono stati intrapresi anche lavori di restauro, secondo un programma che mirava a svelare e promuovere gradualmente l’identità storica del monumento”.
GIULIA RONCHI L Ragazza con flauto, da tata tra il 1669 e il 1675 ed esposta alla National Gallery of Art di Washington, è l’opera che i ricercatori hanno recente mente scoperto non essere stata realiz zata per mano di Johannes Vermeer. Gli esperti, svolgendo analisi scientifiche partite durante il periodo di lockdown e comparando il dipinto con altri dell’au tore, hanno scoperto che la tecnica uti lizzata nella stesura del pigmento è molto più grossolana. Si pensa quindi che il vero autore possa essere un allievo di Vermeer, o di un pittore assunto per una breve collaborazione, o addirittura un membro della sua famiglia. La ri cerca è sfociata nella mostra Vermeer’s Secrets, che include anche La Pesatrice di perle (1664 ca.), Donna che scrive una lettera (1665 ca.) e due falsi del XX secolo, The Lacemaker (Merlettaia) (1925 ca.) e La ragazza sorridente (1925 ca.). La sco perta ha aperto scenari inaspettati: può essere che Vermeer, da sempre creduto un “genio solitario” (questo probabil mente anche a causa della scarsità delle opere a lui attribuite), fosse in realtà af fiancato da uno studio o una bottega?
nga.gov
La Fondazione Paul Thorel lancia progetti di residenza e un premio in memoria dell’artista
Il quadro da sempre attribuito a Vermeer in realtà è stato realizzato da un suo allievo. Lo studio
OPERA SEXY
LA PENNELLATA FEMMINILE DI ROBIN F. WILLIAMS
Leggi Robin F. Williams e ti viene in mente subito il famoso attore americano protagonista tra l’altro di L’attimo fuggente e di Mrs Doubtfire, morto nel 2014. E invece poi investighi meglio e scopri che Robin Francesca Williams è donna, nata a Columbus in Ohio nel 1984 e, diplomata alla Rhode Island School of Design di Providence, felicemente operativa tut tora. E in effetti, in barba a tutti coloro che dicono che non si può riconoscere in pittura la pennellata maschile da quella femminile, qualcosa ci rodeva il cervello fin dall’inizio. Per cominciare, l’insistenza nella scelta di soggetti femminili. Volti, ma soprat tutto corpi. Volti composti e meditativi, ma soprat tutto corpi agitantisi nello spazio. Corpi che si libe rano della gravità, di tutte le gravità.
Robin F. Williams, Final Girl Exodus 2021Assistiamo in questi anni a un’esplosione di massic cia presa di coscienza muliebre sull’autonomia indi viduale, corporale e spirituale. Sono sempre più nu merose le artiste che esplicitano nella loro opera la sconquassante esigenza di scrollarsi di dosso secoli di pesi comportamentali; e lo fanno quasi inevita bilmente ricorrendo a raffigurazioni di corporature private di orpelli inutili, mobili nello spazio, còlte nell’esercizio di una libertà che si assapora nuova (e a volte un po’ sconcertante).
Robin Francesca Williams in questo non fa ecce zione; fa eccezione invece nelle caratteristiche, an che di resa tecnica, delle sue forme. Che sono pos senti, solide, volumetriche come negli stilemi del No vecento italiano. Ma le sue femmine squadrate a sorpresa si dilettano di apparire ridenti a tutti denti in qualche luminoso Eden senza maschi, dove anche i serpenti sono in loro dominio. Oppure giacciono an geliche su una nuvola, stellate e aureolate. O restano massicce ma solo nel contorno, allegri fantasmi dai corpi spudoratamente trasparenti. O si avviano tutte assieme in beato corteo nudo verso un futuro sfavil lante. Tutte donne che amano, che amano i feticci erotici di se stesse.
robinfwilliams.com FERRUCCIO GIROMINIPuré di patate su Monet: le nuove proteste ambientaliste in Germania
GIULIA GIAUME L Dopo la salsa di pomodoro, arriva il purè. Due attivi sti del gruppo di protesta per il cambiamento climatico Last Genera tion hanno scagliato la purea contro il dipinto a olio Les Meules di Claude Monet al Museo Barberini di Potsdam, prima di incollare le proprie mani sulla parete come già accaduto in altre manifestazioni simili. Il video dell’attacco al capolavoro impressionista è stato pub blicato su Twitter dallo stesso gruppo, che esorta i politici ad adottare misure più drastiche per contrastare il climate change. “Le persone stanno morendo di fame, le persone stanno congelando, le persone stanno morendo”, sono le parole pronunciate da uno degli attivisti nel video. “Siamo in una catastrofe climatica e tutto ciò di cui avete paura è la zuppa di pomodoro o il purè di patate su un dipinto. Sapete di cosa ho paura? Del fatto che la scienza ci dice che non saremo in grado di sfamare le nostre famiglie nel 2050”, ha aggiunto l’attivista, il cui gruppo l’anno scorso aveva organizzato uno sciopero della fame fuori dal Reichstag, a Berlino, e aveva protestato su un’autostrada tra le più trafficate del Paese. L’opera da 110 milioni di dollari era esposta nella permanente del museo e appartiene alla collezione del multimiliar dario Hasso Plattner. Il dipinto, a cui gli attivisti di Letzte Generation hanno avuto facile accesso scavalcando un cordone di protezione, era protetto da un vetro, e un portavoce del museo ha detto che non sem bra essere stato danneggiato.
letztegeneration.de
Apre in California il nuovo Orange County Museum of Art
NICCOLÒ LUCARELLI L Ha aperto al pubblico l’8 ottobre, nel cuore di Costa Mesa, in California, il nuovo Orange County Museum of Art. È parte del grande complesso culturale del Segerstrom Center for the Arts, che celebra nel 2022 i suoi primi 60 anni al servizio di un’area urbana relativamente priva di servizi pubblici rispetto ad altre re altà californiane. Per questo, il lavoro del museo è doppiamente am mirevole, anche considerando che, in linea con le politiche interne di inclusività e accessibilità, l’ingresso al nuovo OCMA sarà gratuito per i primi dieci anni. L’edificio, costato 94,5 milioni di dollari, si sviluppa su una superficie di circa 5mila mq ed è stato progettato dallo studio Morphosis Architects, fondato dal vincitore del premio Pritzker Thom Mayne, il quale in Italia si è occupato della nuova sede milanese di ENI. Come ha dichia rato Heidi Zucker man, AD e diret trice di OCMA, “sono particolar mente entusiasta di dare il benve nuto ai visitatori. Se gli ultimi due anni ci hanno insegnato qualcosa, è quanto abbiamo bisogno dell’e sperienza degli spazi comuni, dove si possono creare nuove connes sioni e dove possono nascere conversazioni inaspettate. È lì che vo lano le scintille della creatività”. Oltre al programma di mostre temporanee, l’OCMA ha una collezione permanente che comprende arte del XX secolo e contemporanea incentrata sulla California, mettendo in evidenza movimenti come il modernismo di metà se colo, la Bay Area Figuration, la California Light and Space, la Pop Art, il minimalismo e le installazioni.
WALLMAKERS: UPCYCLING IN INDIA
Vorrei citare una frase che il padre della nostra nazione, Mahatma Gandhi, disse all’architetto Laurie Baker: il migliore tipo di casa di cui l’India ha bisogno è quella costruita con materiali trovati entro un raggio di cinque miglia”. Non poteva che iniziare da questo aneddoto il discorso di Vinu Daniel (1982) al 2022 RA Dorfman Award, che nel pioniere della sostenibilità in India e nella massima gandhiana sull’architettura ha trovato rispettiva mente il suo mentore e il principio ispiratore della sua attività. Con il suo studio senza sede permanente Wallmakers, Daniel “oc cupa” il sito di progetto, per seguire ogni passo del cantiere e spe rimentare in che modo le risorse disponibili sul posto possano es sere utilizzate come materiale da costruzione.
A Brescia aprirà un nuovo (bellissimo) Museo di Scienze Naturali
GIULIA GIAUME L Tra metropolitana d’arte e progetti dif fusi, Brescia torna a investire nella cultura e nella bel lezza. In vista dell’anno da Capitale Italiana della Cultura, è stato presentato lo studio di fattibilità per un nuovo Museo di Scienze Naturali, che prenderà il posto dell’at tuale vetusta struttura incorporando un polo scientifico in un edificio composito e all’avanguardia. “Il Nuovo Mu seo di Scienze Naturali rappresenterà una significativa nuova proposta, un polo scientifico culturale, immerso in un’ampia area verde, luogo di socialità e condivisione, che parla di scienze, di biodiversità e di futuro sostenibile a basso impatto”: a presentarlo è il Comune di Brescia. Sono diverse le opzioni sul tavolo, i cui costi potranno variare tra i 32 e i 44 milioni di euro, per un progetto che ha coin volto il personale dell’attuale museo, il settore edilizia del Comune, i progettisti di Tectoo e i consulenti di Codice Edizioni, che hanno seguito il processo attraverso Fonda zione Brescia Musei. Il nuovo edificio, che collegherà il parco Marconi con il parco Lussignoli (dove sorgerà an che un orto botanico) sarà invece un “emblema di sosteni bilità ed efficientamento energetico per l’edilizia e i sistemi impiantistici, in parte basati sulle nature based solutions”, dicono dal Comune. Polifunzionale, flessibile, innovativo, eco-consapevole, connesso con il paesaggio, privo di bar riere architettoniche e rispondente agli standard Nzeb e Cam: qualunque sia la scelta definitiva, dovrà essere que sto l’identikit del nuovo museo.
comune.brescia.itA partire dalla terra da scavo, che, innovando pratiche edilizie seco lari, il progettista indiano utilizza prima a crudo, battuta, e poi compressa in blocchi. Ne è un esempio la Pirouette House di Tri vandrum, il cui spettacolare intreccio di mattoni rossi posati se condo la tecnica della rat-trap nasconde una cavità che aumenta l’efficienza termica, massimizza la ventilazione e riduce il volume totale dei blocchi utilizzati. Un’architettura coraggiosa, che ar riva persino a indagare le possibilità dei rifiuti. “Ovunque lavo ravamo”, racconta Daniel ad Artribune, “trovavamo materiale di scarto, come plastica e detriti di costruzioni: non potevo ignorare questo spreco. L’occasione per sperimentare”, prosegue, “è arrivata con la commissione di una residenza su un sito un tempo utilizzato come discarica per rifiuti edili”. Il risultato sono due nuove tecniche di costruzione muraria, ora brevettate, che prevedono la miscela zione di cemento, terreno e materiali di scarto di varie dimensioni. “Cerchiamo”, aggiunge l’architetto, “di utilizzare gli scarti in ogni aspetto del progetto. Il posto migliore per nascondere i nostri rifiuti è all’interno degli edifici”: con infissi a griglia realizzati con ruote per lavatrici, elementi di arredo in legno di scarto e schermature in bambù di riuso, è un upcycling a tutto tondo.
Oggi Wallmakers conta 17 architetti e oltre 100 artigiani, di stanza nei numerosi cantieri in corso in tutta l’India: “Stiamo sviluppando nuove tecniche”, spiega Daniel, “come pannelli in mattoni, pareti in paglia composita e costruzioni in pneumatici mentre lavoriamo a progetti su larga scala, come complessi commerciali a più piani, scuole, ashram, templi e campus. L’architettura”, conclude, “si sta evolvendo senza alcuno scopo o filosofia, e questa è una tendenza piuttosto pericolosa. Bisogna pensare costantemente a materiali al ternativi perché questo è tutto ciò che potremmo avere in futuro: dob biamo prepararci al giorno in cui le risorse che oggi diamo per scon tate non esisteranno più”.
wallmakers.org
Riapre finalmente il Museo della Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo
GIULIA GIAUME L Quando, lo scorso aprile, era stata an nunciata la chiusura del Museo di Fotografia Contempo ranea di Cinisello Balsamo perché “oggetto di una tra sformazione”, tutti l’avevano dato per spacciato: la concreta minaccia di un possibile assorbimento nel fu turo Museo Nazionale della Fotografia della Triennale di Milano aveva persino spinto grandi nomi della fotogra fia a scrivere una lettera di appello per la sua salvezza. Nonostante le cattive avvisaglie, il MuFoCo è sopravvis suto alla burrasca, uscendone rinato. L’attività esposi tiva del centro – struttura pubblica unica in Italia per patrimonio e proposte – è ripresa infatti il 22 ottobre a Villa Ghirlanda con due mostre e una discussione sull’e voluzione della fotografia voluta dal nuovo presidente, il poeta e drammaturgo Davide Rondoni. Il museo riapre dunque con due progetti espositivi: il primo è Paesaggio dopo paesaggio, che porta in mostra fino al 29 gennaio oltre 100 fotografie di sei diversi artisti, inserendosi nel filone della fotografia di paesaggio, tema significativo per il museo e ampiamente rappresentato nelle sue col lezioni. Il secondo progetto consiste in un’opera di Co simo Veneziano, Biomega Multiverso, esposta con la cu ratela di Lisa Parola e in mostra fino al 27 novembre. L’opera consiste in un’installazione composta da seri grafie e ricami su tessuto, esito di un progetto transdi sciplinare sulla biotecnologia agroalimentare sul rap porto tra coltivazione, globalizzazione, consumo e marketing.
Christo e Jeanne-Claude al Castello di Miradolo. La prima mostra in Italia dalla morte
CLAUDIA GIRAUD L Il Castello di Miradolo – nella campagna piemontese – accoglie fino al 16 aprile la mostra del maestro dell’environmental art Christo, a due anni dalla morte, e presenta 60 opere che documentano le monumentali installazioni artisti che realizzate insieme alla compagna Jeanne-Claude. Curata da Francesco Poli, Pa olo Repetto e Roberto Galimberti, con il coordinamento generale di Paola Eynard (vicepresidente della Fondazione Cosso), la retrospettiva presenta opere anche di altri artisti di correnti coeve o dalle quali ha preso ispirazione, tra tecniche miste e collage, corredate da un’ampia sezione fotografica e della proiezione dei video che ne documentano la realizzazione. A fare da accompagnamento è un’inedita installa zione sonora, a cura di Avant-dernière pensée, che intende creare un parallelismo tra le opere di Christo e Jeanne-Claude e la musica di Arvo Pärt, compositore estone affine all’artista bulgaro, con un linguaggio musicale che utilizza tecniche come la dodecafonia e il collage.
fondazionecosso.com
CLAUDIA GIRAUD L A Roma
l’arte contemporanea e l’ar cheologia sono sempre più in sinergia: riaprono spazi dove l’arte contemporanea non era mai stata prima. Si tratta delle Uccelliere Farnesiane sul Pa latino, nell’area degli Horti Farnesiani, proprio in mezzo al Parco archeologico del Co losseo: uno scenario d’ecce zione, riscoperto alla fine del Settecento dai viaggiatori del Grand Tour e di cui il restauro del 2018 ha consentito la riapertura con un nuovo sistema di illuminazione ben visibile di sera dalla Via dei Fori Imperiali. Qui ora, per la prima volta, viene ospitata una mostra d’arte contemporanea che rende omaggio a Pier Paolo Pasolini con una videoinstallazione dell’artista Laurent Fiévet. E poi il Circuito Necropoli Portuense – Drugstore Museum che riparte con un programma di attività per il 2022-23, inaugurando la mostra Virus Group. Napoli New York Corviale, un progetto di arte e archeologia pubblica, promosso dalla Soprintendenza Speciale di Roma e dedicato alle opere di Giulio Ceraldi, Consuelo Chierici, Ste fano De Santis e Giancarlo Savino, i quattro artisti componenti del Vi rus Group.
parcocolosseo.it | soprintendenzaspecialeroma.it
Mont’e Prama diventa museo a cielo aperto: aperto il concorso di idee
GIULIA GIAUME L La necropoli sarda di Mont’e Prama punta a diventare finalmente un museo a cielo aperto. La Fondazione Mont’e Prama ha bandito un concorso di idee per intervenire nel sito nuragico in provincia di Oristano, noto per le celebri sculture dei Giganti, che sarà riconosciuto come “sito archeologico” a tutti gli ef fetti e come tale dovrà essere fruito. “L’obiettivo finale è quello di portare a termine una vasta operazione di restauro e monumentalizzazione attraverso cui Mont’e Prama possa essere identificato come punto di riferimento del prossimo decennio”, ha detto il presidente della Fondazione Mont’e Prama Anthony Muroni. Si tratta dunque di un “grande laboratorio che potrà coinvolgere i centri di ricerca e le uni versità e che si accompagnerà a un processo di ricostruzione dello scenario del com plesso monumentale e paesaggistico del sito antico, così che l’ospite possa avere la possibilità di visitare i luoghi attraverso un percorso museale immersivo e coinvol gente”.
GESTIONALIA
COLMARE IL GAP DIGITALE
N
on so quanti di noi abbiano chiaro un grafico che l’economista Nicolò Andreula ha proiettato in un incontro sulle prossime sfide: come si muove l’ap prendimento degli esseri umani versus come si muove l’evoluzione tecnologica. Tra le ascisse e le or dinate vediamo nel primo caso la classica linea che cresce in maniera lineare (1,1-2,2-3,3...), mentre nel secondo vediamo una parabola che, pur partendo dallo stesso punto, si dirige verso l’alto in maniera esponenziale. In altre parole, l’evoluzione tecnolo gica viaggia a una velocità maggiore della nostra capacità di apprendimento, anche culturale, e quest’ultima è intimamente connessa alla nostra ca pacità di fruizione, che procede con la stessa “rettitu dine”.
Perché? La cultura non fa eccezione in questo qua dro e dunque, quando va bene, cresce, si sviluppa e diffonde in maniera lineare. Tra la retta diritta e la parabola esponenziale vi è uno spazio, uno spazio che va colmato e che in larga parte è anche la risposta alla nostra abilità a te nere il passo con l’e voluzione tecnologica pur non essendone gli inventori. Sul motivo per cui sia necessario colmare questo digi tal divide troviamo una larga maggio ranza di sostenitori; anche i detrattori alla fine desi stono, evidenziando come la tecnologia sia un mezzo e come tale debba essere approcciato. Perché se il mondo si muove in una certa direzione non pos siamo ignorarlo, eventualmente dovremo dotarci degli anticorpi giusti per continuare a elaborare quel pensiero critico che l’intelligenza artificiale non è in grado di esprimere.
Come? Abbiamo una serie di strumenti con cui agire e che sono a nostra disposizione. Il primo è il design. Il migliore ancora oggi è made in Italy, Faggin docet: se condo Bill Gates, senza di lui, inventore – tra le varie cose – del touch screen, la Silicon Valley sarebbe una conca qualsiasi. E ancora le digital humanities: un esempio? Dante poeta eterno di Felice Limosani a Santa Croce. Concedetemi la citazione di un progetto che ha messo insieme antico (le incisioni di Gustave Doré) e contemporaneo (l’immersione digitale). Un rework sinestetico in cui il visitatore si è sentito traspor tato in un’esperienza visiva, sonora e sensoriale unica. La gamification è un altro strumento che consente di colmare il gap e che vede già alcune buone pratiche e una diffusione che si sta capillarizzando in alcuni am biti, in particolare i musei e le attività connesse. E, in fine, il metaverso, il controverso metaverso: forse è an cora presto per esprimere giudizi, nel frattempo però i mercati in genere più ricettivi all’innovazione, nella fi liera delle merci estetiche (la moda e il food), sono già partiti. Hanno chiaro un concetto: identità e legame fi sico con il genius loci non escludono la realtà virtuale, anzi ne hanno disperatamente bisogno.
Quando? Adesso.
Arte contemporanea alle Uccelliere del Palatino e al Drugstore Museum di Roma
La cultura, quando va bene, cresce, si sviluppa e diffonde in maniera lineare.Courtesy Archivio Fotografico del Parco Archeologico del Colosseo. Photo © Bruno Angeli
Il Ministero della Cultura racconta le biblioteche italiane con un podcast
DESIRÉE MAIDA L Biblioteche d’Italia è il progetto promosso dalla Direzione Ge nerale Biblioteche e Diritto d’Autore del Ministero della Cultura, che consi ste in cinque podcast prodotti da Po dcastory ognuno dei quali è dedicato a una diversa biblioteca italiana e a rac contarle sono Giuppy Izzo e Luca Ward. Musica, Viaggio, Tempo, Memoria e Trasformazione sono i temi attorno ai quali sono tessute le trame dei podcast: rispettivamente, la Biblioteca dei Giro lamini di Napoli (specializzata in Filo sofia, Teologia cristiana, Musica sacra e Storia d’Europa), la Biblioteca dell’Uni versità di Genova (con codici antichi e ideogrammi cinesi), la Biblioteca Na zionale di Potenza (con volumi e perio dici antichi e libri per bambini), la Bi blioteca Nazionale di Napoli (con manoscritti leopardiani e una colle zione di papiri risorti dalle ceneri del Vesuvio) e la Biblioteca Vallicelliana di Roma (con manoscritti e incunaboli).
cultura.gov.it/bibliotecheditalia
C’è uno street artist francese che riempie le buche stradali coi mosaici
GIULIA GIAUME L Passeggiando per le strade di Lione vi potrebbe capitare di incrociare delle piccole pozze di colore, per terra, in mezzo al cemento: non si tratta di uno stunt pubblicitario, ma di una forma di riqualifi cazione urbana artistica, dal basso. Sono le opere di uno street artist locale, che invece di graffitare i muri riempie le buche con delle tessere colorate, creando piccolissimi mosaici perfettamente cesellati. Il co mune ne è pieno: sul solo territorio lionese ce ne sono circa 350, realizzati nel corso degli ultimi sei anni dal fantomatico artista Ememem. Le sue creazioni – che colmano cavità più o meno grandi con tessere di di verse dimensioni e tonalità, disposte in curati motivi geometrici – sono chiamate “flacking”, un gioco di pa role dal francese “flaque” (pozzanghera), e si ispirano alla pratica giapponese del kintsugi, cioè la ripara zione delle crepe della ceramica con l’oro. Nonostante la popolarità – la prima opera è del 2016, anno in cui ne realizzava circa due a settimana – le informazioni ufficiali su Ememem si limitano a una breve biografia sul suo sito web: il poco che ci dice è che in prece denza l’artista (che si vocifera sia di origine italiana) faceva parte di un collettivo underground, aveva re staurato mosaici classici e autoprodotto piccoli con certi rock, e che aveva trovato nel flacking la perfetta commistione di poesia, riqualificazione urbana e arte. Con il crescere della sua popolarità, l’operato dell’artista è diventato progressivamente meno di nic chia: stando al Guardian, le autorità del nono arron dissement di Lione gli hanno commissionato sei opere, fornendo ai propri follower di Instagram gli indizi per rintracciarle, mentre la prestigiosa Galerie
GIULIA RONCHI L Non solo David di Michelan gelo: è questo il senso di Beyond the David, il titolo con cui la direttrice della Galleria dell’Accademia di Firenze, Cecilie Hollberg, ha voluto chiamare il progetto di riqualifica zione della Gipsoteca della Galleria dell’Acca demia di Firenze, riaperta al pubblico dopo oltre due anni. Un’importante ala che racco glie oltre 400 tra busti, bassorilievi, sculture monumentali e i modelli ottocenteschi dello scultore Lorenzo Bartolini. La nuova Gipso teca si presenta con le pareti tinteggiate di azzurro polvere e un nuovo allestimento che ha comportato la chiusura di varie fine stre per motivi di stabilità climatica. Una soluzione che ha permesso l’entrata nello spazio espositivo di ulteriori modelli in gesso, finora conservati negli uffici della Gal leria. Gli interventi portati a termine hanno inoltre interessato la climatizzazione, l’illuminazione e l’impianto elettrico, il rinnovo delle mensole, la pulitura dei busti in gesso, una campagna fotografica di documentazione delle opere. Sempre a Fi renze, ha riaperto anche la Sala di Bona di Palazzo Pitti, grandioso spazio di rappre sentanza mediceo caratterizzato da un ciclo pittorico in affresco che illustra alcune delle più importanti imprese del regno di Ferdinando I nell’entrata del Granducato di Toscana tra le grandi potenze del continente. Presenti anche otto arazzi di mani fattura fiamminga, commissionati nel 1575 da Caterina de’ Medici, che nel 2023 viag geranno per una mostra in Francia. Il lungo e complesso intervento di restauro della sala è stato realizzato dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.
galleriaaccademiafirenze.it | uffizi.it/palazzo-pitti
Italienne di Parigi ha inserito nel 2021 diverse sue opere in una mostra intito lata Ceramics Now (in vendita a 1012mila euro l’una). Se vi piace la sua tec nica, il suo sito pro pone persino una residenza artistica di tre settimane a Cayenne, nella Guyana Francese, apposta per impa rare il flacking. L’o perato di Ememem, nonostante sia con siderato per legge ancora vandalismo e perciò realizzato in notturna, è piuttosto popolare: il suo account Insta gram ha quasi 150mila follower, mentre in tre diverse città francesi esistono dei tour a piedi per scovare le sue opere, a volte anonime ma più spesso firmate con il suo pseudonimo sorvolato dall’immagine di una piccola cazzuola. Non è solo Lione, poi, a essere invasa dalle sue micromaioliche: ce ne sono anche nel resto della Francia, e all’estero compare in Norvegia, Ir landa, Spagna, Serbia, Guadalupa e Italia, dove ha re galato lavori alle strade di Genova, Milano, Torino e Firenze ed è stato ospite al Cvtà Street Fest di Civita campomarano del 2022.
ememem-flacking.net
ZIZÌ
“Era nata da poco la gommapiuma, con la quale venivano re alizzati materassi e imbottiture varie. Un giorno un dirigente della Pirelli mi chiede: ‘Che cosa si può fare con la gommapiuma oltre che materassi?’. Mi feci dare alcuni campioni di questo nuovo materiale e comin ciai una sperimentazione per capire quali altre cose si potevano progettare in modo che l’oggetto proget tato fosse coerente col mate riale e con le sue qualità”.
Bruno Munari (1907-1998) raccontava così la nascita di due dei suoi giocattoli più famosi: il gatto Meo e la scimmietta Zizì. Approfittando della malleabilità del nuovo materiale, Munari creò due oggetti pensati per essere toccati e manipolati, tenuti in forma grazie allo scheletro di filo metallico inserito all’interno. Gio cando, spiegava, “la mente diventa elastica, il pensiero dinamico. L’individuo creativo”. Vincitrice del primo Compasso d’Oro nel 1954, Zizì è diventata negli anni un simbolo del design italiano.
Per omaggiare il genio di Munari, Corraini Edizioni ha messo in vendita una nuova serie di scimmiet te, acquistabili tramite il sito web. Zizì torna quindi disponibile come pezzo da collezione nel suo design originale, compresa la scelta grafica della confezio ne: una gabbia da aprire per liberare simbolicamente l’animaletto e dare inizio alle sue avventure. Le scim miette di Corraini sono state prodotte nel 2007 dalla Tecnoassemblaggi Toys di Brescia e in occasione della riedizione sono state ricondizionate e rifinite a mano.
corraini.com/it/scimmietta-zizi.html
LAMPADA ESISTENZIALISTA
Se ne sta sdraiata su un fianco, con lo sguardo triste e perplesso. Allo stesso tempo, però, tiene compagnia ed emette una piacevole luce calda. È la Existential Crisis Duck, una papera “in crisi esistenziale” che un designer fantasioso ha trasformato in una simpatica lampada wireless.
$ 29.99
existentialcrisisduck.com
ARTISTI CONTRO LO SPORCO
La König Galerie, galleria d’arte contemporanea con sedi a Berlino, Vienna e Seoul, propone sul suo sito web un vasto assortimento di “souvenir” d’artista. In mezzo a magliette, cappellini, scarpe e borse, si pos sono trovare anche oggetti molto curiosi, come que sta saponetta a forma di cetriolo firmata Erwin Wurm.
€ 42 koeniggalerie.com
LA FABBRICA DEI VINILI
A prima vista può sembrare un semplice giradischi, ma il set PO-80 Record Factory non solo permette di ascoltare i dischi, ma anche di farli. Prodotto dall’a zienda svedese Teenage Engineering in collabora zione con il designer giapponese Yuri Suzuki, include tutto l’occorrente per trasformare bambini e adole scenti in ingegneri del suono in erba.
149
LA VITA È ADESSO
Disponibile su Etsy, l’orologio Now è un elegante accessorio concettuale. Privo di lancette e numeri, non fa che ricordare a chi lo indossa che ciò che conta, in fondo, è vivere il momento presente. Per questo, l’unica scritta che riporta è un perentorio “NOW”.
€ 49,95
etsy.com
BRINDISI IN ORBITA
Il designer Octave de Gaulle ha realizzato per conto del brand Maison Mumm la prima bottiglia di cham pagne pensata per essere bevuta nello spazio, la Mumm Cordon Rouge Stellar. Per rendere possibile l’esperienza, il vetro è stato avvolto in un guscio di al luminio aeronautico e la bottiglia è stata dotata di un tappo di sicurezza speciale.
prezzo su richiesta mumm.com
TRUCIOLI D’ARREDAMENTO
L’idea è semplice ma di grande effetto. La designer giapponese Nanako Kume ha realizzato un’originale collezione di paralumi usando grandi trucioli in le gno. Replicando il funzionamento di un temperama tite, ha generato una serie di silhouette in legno dalla bordatura irregolare che sono uguali in tutto e per tutto ai resti lasciati dalle matite quando vengono temperate.
prezzo su richiesta nanakokume_
TETRIS TRA I LIBRI
La libreria perfetta per gli amanti dei videogame, specie quelli vin tage. Nata da un’idea di Fujun Wang, la Tetris Bookcase non è sol tanto divertente ma anche molto pratica perché i suoi moduli pos sono essere riposizionati in infinite configurazioni, trasformando un oggetto d’arredamento in un gioco.
prezzo su richiesta competition.adesignaward.com
PALLINE PER LA FORESTA
Sembrano delle palline di Natale, ma non si tratta di oggetti decorativi. Le Disperseed sono infatti proget tate per essere appese sui rami di alberi veri. Il loro obiettivo è quello di ristabilire un ecosistema fio rente nelle foreste devastate dagli incendi. Le palle rosse, stampate in 3D, sono commestibili e invitano gli animali a cibarsene, permettendo ai semi conte nuti al loro interno di cadere al suolo ed essere tra sportati in giro nella foresta.
prezzo su richiesta jamesdysonaward.org
LAVORARE FA MALE
Stare seduti per troppe ore alla scrivania non è un comportamento salutare, si sa. Specie se le si tra scorre facendo qualcosa che non ci piace. Come la The Last Shift Office Chair è un prototipo di sedia da ufficio a forma di bara; un oggetto ironico infuso di black humour (e memore della scultura magrittiana) proposto dal marchio di design britannico Chairbox.
prezzo su richiesta iamchairbox.com
SERIAL VIEWER
BLACK BIRD: UN THILLER CARCERARIO
Ci sono molti motivi per vedere la miniserie Black Bird su Apple TV+. Il primo è forse perché ospita l’ultima apparizione di un attore indimenticato come Ray Liotta, scomparso lo scorso maggio. Inol tre, l’intero cast è eccezionale, a partire da Paul Walter Hauser (Larry Hall), che molti ricorderanno nei panni di Richard Jewell nell’omonimo film di Clint Eastwood (e in un ruolo molto differente da quello in cui lo ritroviamo oggi).
SCAVI E SCOPERTE ARCHEOLOGICHE IN ITALIA E NON SOLO
L’ANTICA VIA SALARIA VETUS A ROMA
Indagini archeologie condotte su un tratto di strada interessato da lavori di realizzazione di una nuova rete elettrica hanno riportato alla luce il basolato di una antica strada e una tomba di epoca romana, in quello che un tempo fu la via Salaria Vetus: è accaduto a Roma, a piazza Pitagora, nel quartiere Parioli, e i reperti sono stati rinvenuti a 1-1,50 metri al di sotto dell’at tuale livello della strada. La riemersa via baso lata, individuata per una lunghezza di 4 metri, è larga 4 metri e ai lati sono presenti parti di cre pedini. Il monumento funerario è tipico della Sa laria Vetus: su questa via infatti sorgeva un ci mitero, dove era sepolto – stando al calendario liturgico Depositio Martirum – Sant’Ermete.
I RESTI DELLA VIA APPIA ANTICA A ROMA
Black Bird, di Dennis Lehane, è tratta dal libro In the Devil: a Fallen Hero, a Serial Killer, and a Dangerous Bargain for Redemption di James Keene e Hillel Levin (2010) e inoltre da una storia vera. Keene (interpretato qui da Taron Egerton) è infatti il secondo protagonista. Italoamericano, promessa del football, finisce nel giro della droga. Arrestato, gli viene offerta una chance: infiltrarsi in un carcere di massima sicu rezza e, approfittando del proprio charme, diventare amico e confidente di Hall, sospettato di essere un ef ferato serial killer. Le presunte vittime hanno un identikit ben preciso, sono ragazze e subiscono una violenza sessuale prima di essere uccise. La polizia, già ingannata dalle numerose rivelazioni, ritratta zioni e bugie di Hall, personaggio dai contorni molto ambigui, incarica inoltre Keene di scoprire dove si trovano i corpi delle vittime, per dar loro una degna sepoltura e costruire un castello di prove.
Detta così, la trama è avvincente, ma entra nel novero del grande panorama delle crime stories Black Bird invece si distingue, diventando un piccolo gioiellino, perché raggiunge l’apice non in una concatenazione ritmica di accadimenti pieni di suspence, quanto nella tensione psicologica che si crea tra i due per sonaggi, nei detti e nei non detti. Nelle strategie umane che Keene applica per conquistare la fiducia dell’oscuro Hall. Il tutto si svolge nel cubo scenico del carcere, con pochi scorci fuori da esso. Non arriva alla sensazione claustrofobica della serie Oz (19972003, HBO), ma è sicuramente da non perdere.
SANTA NASTRO
USA, 2022
GENERE: crime drama
CAST: Taron Egerton, Paul Walter Hauser, Sepideh Moafi, Greg Kinnear, Ray Liotta
STAGIONI: 1
EPISODI: 6 (54’-60’ ognuno)
Di recente uno scavo archeologico al Parco della Caffarella ha riportato alla luce un complesso fu nerario risalente a 2300 anni fa, su un sito dove anticamente sorgeva il santuario di Marte Gra divo. Siamo nel primo miglio della storica Via Ap pia, nel raggio territoriale che ha fatto da sfondo a miti importanti per la storia della città, dall’in contro tra Rea Silvia e Marte Gradivo alla vicenda in cui la ninfa Egeria, moglie del re Numa Pompi lio, alla morte del marito si sciolse in lacrime dando vita alla fonte che porta il suo nome. La scoperta è stata fatta a un metro di profondità dal piano della strada, e il complesso funerario si compone di ambienti organizzati in strutture che dovevano ospitare gruppi familiari, oltre a un colombario di due vani che ospitava due cop pie di urne cinerarie.
LE SCOPERTE SULL’ANTICA VIA ARIMINENSIS
Indagini preliminari a un nuovo intervento di edi ficazione hanno riportato alla luce – tra Corpolò e Villa Verucchio, nel riminese – resti dell’antica via Ariminensis, strada che in epoca romana colle gava la città di Arezzo e la colonia di Ariminum (Rimini). Il rinvenimento – avvenuto grazie alla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini, SCM Group e AdArte Srl di Rimini – riguarda un tratto dell’antico tracciato stradale della Arimi nensis (lastricata con ciottoli), dal quale sono emerse 30 di sepolture di età romana.
LA MISTERIOSA TOMBA PREISTORICA IN IRLANDA
Si trova a Cork Harbour, in Irlanda, ed è parzial mente sommersa dal mare, aspetto che le confe risce un’aura di leggenda. Secondo recenti studi, l’iconica struttura in pietra di Carraig á Mhaistin sarebbe un dolmen megalitico, e la sua antica destinazione d’uso è stata confermata dalle ri cerche condotte dall’archeologo Michael Gib bons: il dolmen presenta, a ovest, una piccola camera di un tumulo, nascosto a causa dell’in nalzamento del livello del mare.
DESIRÉE MAIDADURALEX
NFT E MERCATO DELL’ARTE
Apre E.ART.H., spazio d’arte di Eataly Verona. Con le mostre di Anton Corbijn e Ibrahim Mahama
GIULIA RONCHI L Ha aperto nell’ex Stazione Frigorifera della zona in dustriale della città E.ART.H., lo spazio espositivo di Eataly Verona, in un edificio di 13mila mq riqualificato dall’architetto Mario Botta. Cuore del progetto è l’Art House, con una programmazione curata da Eva Brioschi, Walter Guadagnini e Gaspare Luigi Marcone. Al piano terra, invece, si estende l’Art Market, distribuito lungo tre cor ridoi a raggiera, in cui diverse gallerie italiane propongono opere di arte e fotografia. Lo spazio ha aperto con due mostre: da una parte Staged, personale di Anton Corbijn, tra i fotografi più celebrati al mondo, con un corpus di circa 80 lavori. Dall’altra, VOLI-NI, pro getto di Ibrahim Mahama che ospita un’installazione site specific e opere che trattano temi come le dinamiche capitalistiche su scala globale e la sostenibilità di Paesi africani come il Ghana.
eatalyarthouse.it
Si rende necessario uno studio continuo che metta in relazione competenze e professionisti del settore giuridico con quelli del settore tecnologico.
Anche negli ambienti giuridici è in corso un inte ressante dibattito sulle implicazioni legali dell’uso degli NFT nel mondo dell’arte, con partico lare attenzione ai punti di contatto con la materia del diritto d’autore e con la normativa italiana sui beni culturali. Discipline imprescindibili qualora tale tec nologia sia applicata alla riproduzione digitale di un’opera protetta da diritto d’autore o a un bene cul turale che rientra nell’ambito di applicazione del Co dice dei beni culturali. Anche di questi temi si è par lato nel corso di un seminario di appro fondimento orga nizzato a ottobre da ALAI Italia (gruppo italiano dell’Asso ciation Littéraire et Artistique Interna tionale) con il Juri dical Observatory on Digital Innova tion (JODI) dell’Uni versità la Sapienza. Il tema non è di semplice e imme diata compren sione, sia sul piano tecnologico che le gale. Sul piano tecnologico gli NFT esprimono a pieno il fenomeno dell’asimmetria dell’informa zione tipica del mercato dell’informatica, caratte rizzato dalla differenza di conoscenza tra chi forni sce un prodotto e una tecnologia e chi la utilizza. E infatti non è scontato che il consumatore che acqui sta un’opera tokenizzata sia pienamente consapevole di tutti gli aspetti tecnici del bene digitale che sta ac quistando, quali le modalità di fruizione e di conser vazione nel tempo del bene o la natura altamente energivora di tale tecnologia. Al contempo, l’autore dell’opera tokenizzata o l’ente che ha in consegna il bene culturale devono comprendere bene la natura di queste tecnologie, affinché gestiscano nel miglior modo possibile i progetti di digitalizzazione del patri monio.
Sul piano legale, poi, gli aspetti da esaminare sono numerosi: si va dal ruolo e dagli eventuali obblighi in formativi delle piattaforme che offrono NFT e altri oggetti digitali, alle licenze per l’uso delle opere toke nizzate. Sotto questo punto di vista si segnala il set di 6 licenze per i progetti NFT denominato Can’t be evil: si tratta di licenze basate sulla legge americana, frutto del lavoro congiunto di un team di legali e di tecnici, rilasciate con licenze creative commons CC0. Ecco che in un contesto estremamente articolato e in divenire l’unica certezza non è l’esistenza di un quadro normativo certo e puntualmente delineato, ma la necessità di uno studio continuo che metta in relazione competenze e professionisti del settore giuridico con quelli del settore tecnologico, al fine di trovare risposte giuridicamente corrette e basate sulla effettiva comprensione della realtà (digitale).
La città di Odessa diventi patrimonio Unesco: a chiederlo è il presidente ucraino Zelensky
GIULIA GIAUME L Volodymyr Zelensky ha presentato una domanda for male affinché il centro storico di Odessa, grande città e porto strate gico sul Mar Nero, ottenga lo status di patrimonio mondiale dell’Une sco. Il presidente ha sottolineato come lo sta tus sia “necessario per proteggere il patrimonio culturale dell’Ucraina dalla Russia” e, visti i con sistenti attacchi dall’ini zio dell’invasione, ha chiesto che il processo venga accelerato. “Dob biamo fornire un chiaro segnale che il mondo non chiuderà un occhio sulla distruzione della nostra storia comune, della nostra cultura comune, del nostro patrimonio co mune”. Odessa, già nell’elenco provvisorio del patrimonio mondiale dell’Unesco sin dal 2009, è famosa per la sua architettura, l’atmosfera cosmopolita e i siti termali. La città vanta alcuni siti storico-culturali come il Teatro dell’Opera ma soprattutto la scalinata monumentale al porto immortalata ne La corazzata Potëmkin.
unesco.it/it/patrimoniomondiale
Factory International. Nel 2023 a Manchester un nuovo enorme polo per le arti
GIULIA GIAUME L Manchester come nuovo centro delle arti del Regno Unito: arriva in quest’ottica la conferma dell’apertura del nuovo spazio culturale Factory International, fissata a giugno 2023. Progettato dall’OMA – Office for Metropolitan Architecture fondato da Rem Ko olhaas in collaborazione con l’architetta Ellen van Loon, il nuovo spazio costituirà la sede permanente del Manchester International Festival, che si terrà dal 29 giugno al 16 luglio. Si tratta del più grande progetto culturale nazionale dai tempi della Tate Modern nel 2000: oltre 13mila mq di ampiezza per 186 milioni di sterline. Composta da un grande ma gazzino, una hall e un auditorium da 1.600 posti, Factory International “abbraccia il passato industriale e creativo di Manchester. Le sue facciate in cemento e lamiera ondulata si ergono contro i magazzini in mattoni ristrutturati e gli appartamenti, gli uffici e gli studi televisivi di nuova co struzione che compongono il quartiere”, ha detto lo studio OMA.
factoryinternational.org
LOST IN PROJECTON
CONVERSIONE DI UN PUGILE
Tratto da una storia vera, Father Stu racconta la vita di Stuart Long, giovane problematico e pugile amatoriale dall’incrollabile forza di volontà. Quando una diagnosi sfavorevole gli fa rinunciare alla boxe, Stuart decide di trasferirsi a Los Angeles e diventare un attore. Assunto in un supermercato locale, s’im batte in Carmen: una bella e devota catechista di con fessione cattolica. Per conquistarla, l’agnostico Stuart inizia a frequentare assiduamente e con grande scetticismo la parrocchia. Una sera, ubriaco, rimane coinvolto in un gravissimo incidente stradale che lo lascia in fin di vita; risvegliatosi dal coma, Stuart saprà di essere destinato al sacerdozio.
GRANDI MOSTRE APPENA APERTE O CHEROBERT CAPA A 110 ANNI DALLA NASCITA
In occasione dei 110 anni dalla nascita di Robert Capa (22 ottobre 1913), il Mudec rende omaggio al grande fotografo ungherese con una mostra personale che, dall’11 novembre al 19 marzo, ri percorre i principali reportage di guerra e di viag gio che Capa realizzò durante vent’anni di car riera, anni che coincisero con i momenti cruciali della storia del Novecento. Realizzata grazie alla collaborazione con l’agenzia Magnum Photos, la mostra – curata appositamente per il museo di Milano – riunisce un eccezionale corpus di foto grafie: oltre 80 stampe, alcune delle quali mai esposte prima in una mostra italiana. mudec.it
JOHN CONSTABLE ALLA REGGIA DI VENARIA
Primo lungometraggio di Rosalind Ross, già sceneggia trice e compagna di Mel Gibson, Father Stu è un film in dipendente, prodotto e interpretato da Mark Wahlberg con la partecipazione di attori del calibro dello stesso Gibson e di Weaver. Ambientato nella provincia ame ricana più desolata, tra le spirali sociali del proleta riato bianco, il film narra l’incredibile storia di conver sione, redenzione e perdono del tormentato Stuart Long. Cresciuto in un ambiente famigliare difficile, se gnato dalla precoce e improvvisa perdita del fratello mi nore e dalla separazione dei genitori, Stuart intra prende un viaggio costellato da ostacoli sempre più in sormontabili pur di dare senso alla sua vita.
Caratterizzato da un linguaggio crudo e senza filtri, Father Stu è un dramma ben recitato, dalla comicità semplice e sincera. Wahlberg riesce a portare in scena (anche fisicamente) il travagliato percorso di un combattente la cui speranza nel futuro sembra, nonostante tutto, incrollabile. Un uomo che appare a tratti ridicolo, che mescola senza remore sacro e profano, che pecca con onesto accanimento, ma che si rivela essere un sacerdote capace, misericordioso e comprensivo.
Efficace e avvolgente la colonna sonora dalle tona lità country, composta per l’occasione da Dickon Hinchliffe.
GIULIA PEZZOLI
USA, 2022
REGIA e SCENEGGIATURA: Rosalind Ross
GENERE: drammatico, commedia
CAST: Mark Wahlberg, Mel Gibson, Jacki Weaver, Teresa Ruiz, Malcom McDowell
DURATA: 124’
La Reggia di Venaria prosegue l’indagine avviata nel 2021 sul tema del paesaggio, proponendo per la prima volta in Italia una mostra monografica dedi cata al celebre artista John Constable, tra i mas simi esponenti della pittura romantica inglese. L’e sposizione, organizzata in collaborazione con la Tate UK e in corso fino al 5 febbraio alla Reggia di Venaria, alle porte di Torino, racconta e ripercorre cronologicamente tutta la vicenda artistica del pit tore attraverso oltre cinquanta opere, che vanno dagli schizzi e dai dipinti di piccole dimensioni re alizzati en plein air ai più importanti e vasti pae saggi romantici, raffiguranti i luoghi d’affezione del grande pittore.
lavenaria.it
GENOVA PER RUBENS. A NETWORK
Continuano ad aprire le esposizioni inserite nel progetto di eventi diffusi per la città Genova per Ru bens. A Network, nato attorno alla grande mostra Ru bens a Genova, curata da Nils Büttner e Anna Or lando, in corso a Palazzo Ducale fino al 22 gennaio e pensata per celebrare i 400 anni dalla pubblica zione ad Anversa del libro Palazzi di Genova dell’al lora ventenne pittore fiammingo. Le ultime riguar dano una serie di preziose opere persiane di epoca Safavide, databili al XVI e agli inizi del XVII secolo, per la prima volta offerte all’ammirazione del pub blico italiano nei Musei di Strada Nuova, Palazzo Bianco e Rosso, dall’11 novembre al 12 febbraio. palazzoducale.genova.it/genova-per-ru bens-a-network-itinerario/
FIRENZE DA PAUL KLEE A DAMIEN HIRST
Il MUS.E ha organizzato una grande mostra, a cura di Sergio Risaliti, appena aperta a Palazzo Medici Riccardi di Firenze, per protrarsi fino all’8 gennaio. Si tratta di Passione Novecento. Da Paul Klee a Damien Hirst. Opere da collezioni private, che ripercorre il periodo artistico dal Rinascimento fino al XX secolo, scegliendo di raccontarlo attra verso la passione per l’arte, sviluppatasi nel XX secolo, col grande collezionismo privato fioren tino e toscano.
museonovecento.it
Online l’archivio di manoscritti di Antonio Canova
DESIRÉEE MAIDA L Lettere, appunti, sonetti, diari di viaggio (tra le chicche, il prezzario delle opere dell’artista e lo scambio epistolare con Napoleone Bonaparte), per un corpus di oltre 40mila pagine manoscritte che svelano gli aspetti meno noti di uno degli artisti più influenti della storia, e ora fruibili da tutti gratuitamente online. Protagonista di questo progetto, promosso dalla Biblioteca Civica di Bassano del Grappa, è Antonio Canova, di cui quest’anno decorre il 200esimo anniversario dalla morte. Il Fondo Canoviano custodito nella Biblioteca Civica è stato oggetto di un progetto di digitalizza zione ad altissima definizione, con l’obiettivo di promuoverne l’ac cessibilità. Oltre alla digitalizzazione dei manoscritti, il progetto comprende anche operazioni di metadatazione e riorganizzazione dei documenti, con il fine di realizzare una biblioteca digitale. Hanno collaborato alla realizzazione del progetto Mida Informatica, Hyperborea, Haltadefinizione e Memooria e Horizons Unlimited.
archiviocanova.medialibrary.it
San Marino ospita “Altana”, un progetto diffuso dell’artista Stefano Arienti
VALENTINA MUZI L Si inti tola Altana la grande mostra diffusa dell’arti sta Stefano Arienti che si svolgerà fino al 31 gen naio a San Marino inte ressando quattro diffe renti sedi. Si parte dalla Galleria Nazionale, dove l’artista ha già esposto nel 1995 in occasione della mostra Le Mille e una Volta a cura di Gia cinto Di Pietrantonio e Laura Cherubini. Venti sette anni dopo, Arienti interviene sulle grandi finestre dell’edificio con una serie di vedute di paesaggio intitolata Vi ste. Per le Cisterne del Palazzo Pubblico, seconda sede del per corso, Arienti ha giocato nell’opera Gocce accostando con forme e riflessi dati dall’effetto lucido del vetro, costruendo con esse una sagoma dell’Europa. Nell’ex Galleria Ferroviaria II Montale – luogo celebre perché ospitò, salvandoli, gli sfollati durante la Seconda Guerra Mondiale – Arienti espone Castello, una struttura in pietre e libri tenuti insieme da un composto di miele e strutto, guardando all’opera di Joseph Beuys. Chiude il percorso, curato da Fabio Ca vallucci, la mostra presso la galleria Claudio Poleschi Arte Contem poranea nella nuova sede di San Marino: qui le opere sono protago niste tanto nello spazio espositivo quanto negli uffici e nei magazzini, entrando in relazione con le opere della collezione, da Osvaldo Licini a Julian Schnabel, da Giuseppe Uncini a Mimmo Paladino. Altana è il primo di una serie di eventi che comporranno il calendario della rassegna SM-Art. Sensibilità artistiche dagli anni Novanta, iniziativa, anche nel ricordo del gallerista da poco scom parso, Claudio Poleschi, che intende raccontare la generazione italiana di artisti emersa a partire dagli Anni Novanta, avvalendosi di un comitato scientifico composto da quei critici che furono loro compagni di strada: Fabio Cavallucci, Giacinto di Pietrantonio e Angela Vettese.
Arte contemporanea nel quartiere milanese Symbiosis di Covivio
VALENTINA SILVESTRINI L Altra Natura è l’installazione commissionata dalla società immobiliare Covivio a Pamela Diamante. L’artista ha vinto la prima edizione del Premio Acquisizione Covivio, nella sezione riser vata agli autori emergenti della fiera miart 2022. Dal 26 ottobre la sua opera è collocata nella corte interna del Building D nel business district milanese Symbio sis. Sede degli uffici di LVMH P&C Italia, Amplifon, Boehringer Ingelheim, Mars Group e Fratelli Orsero, l’edificio che la accoglie è stato progettato da ACPV ARCHITECTS Antonio Citterio Patricia Viel, lo studio che ha sviluppato l’intero intervento di rigenerazione urbana in corso a sud di Porta Romana, promosso da Covivio. “In Symbiosis il nostro focus è sulla realizza zione di uffici di nuova generazione flessibili, tecnolo gici, progettati in ottica di design thinking con i nostri stakeholder e pensati per favorire benessere, creatività e socialità”, ha raccontato Alexei Dal Pastro, AD Italia di Covivio “Difficile definire cosa realmente sia Altra Natura”, ha dichiarato Diamante. “Non volevo creare un’identità fissa, bensì un’identità in divenire, afferma zione d’esistenza di alterità in un ibrido tra animale, vegetale, tecnologico”, ha aggiunto, precisando di es sersi ispirata al ripristino della vegetazione sponta nea condotto nel sito e di aver puntato sulla vetrore sina, “in una formula del tutto innovativa che permette di evitare la tecnica dello stampo a favore di una lavo razione interamente manuale”.
covivio.eu
VALENTINA SILVESTRINI L Monumentali o basici, realiz zati da anonimi artisti o affidati a maestranze note an cora oggi, i tabernacoli stradali sono una presenza ri corrente nel tessuto urbano fiorentino, nonostante rimozioni o demolizioni avvenute nel tempo. Eretti sulle facciate di nobili palazzi e di semplici dimore op pure all’incrocio delle vie, chiamavano a raccolta i fe deli in cerca di consolazione, che qui rivolgevano pre ghiere e suppliche ai santi. Illuminati dalle candele, nelle buie notti diventavano un punto di riferimento per tutti. Trentasette esemplari del centro storico sono stati selezionati per un’iniziativa che, grazie allo smar tphone, li “fa parlare”. Sulle targhe in ottone è presente un QR code: inquadrandolo, si accede a schede, in ita liano e in inglese, con informazioni storico-artistiche, e a cinque itinerari tematici. Gli utenti potranno inte grare questi dati, con immagini e testi condivisi sulla piattaforma luoghiparlanti.com. L’iniziativa è stata pro mossa dal Movimento Life Beyond Tourism – Travel to Dialogue, che in seno alla Fondazione Romualdo Del Bianco da decenni opera per “contribuire alla diffu sione di valori universali quali il rispetto e l’armonia fra i popoli, per trasformare l’esperienza del viaggio da semplice occasione di svago in momento di incontro, in opposizione al concetto di turismo di massa”. Per la rea lizzazione, essenziale è stata la collaborazione con gli Amici dei Musei e dei Monumenti Fiorentini – Comi tato per il Decoro ed il Restauro dei Tabernacoli.
I tabernacoli di Firenze “parlano” grazie alla tecnologia
LA MATITA BEN TEMPERATA DI SUSANNA GENTILI
Fa coincidere bellezza e libertà. Sogna di illustrare una copertina per The New Yorker. Lavora in maniera tradizionale, con foglio e matita, per arrivare alla forma digitale solo nella fase finale. Susanna Gentili è la protagonista della nuova puntata del nostro osservatorio illustratori.
Susanna Gentili è del 1991 e vive a Roma. Ha la capacità di condurre lo spettatore in un altrove so speso, carico di visionarietà e ispira zione onirica. Di esplorare la comples sità dell’universo femminile con ironia e passione. Talvolta con una velata ma linconia di fondo che conferisce spes sore emotivo e carica ammaliante alle sue illustrazioni.
Traduci il tuo lavoro in tre aggettivi. Unico, sognante, appassionante.
Parlami della tua formazione e degli artisti di riferimento.
Mi sono laureata presso l’Accademia delle Belle Arti di Roma in Graphic De sign. Più tardi ho proseguito i miei studi a Milano, al Mimaster illustra zione, dove mi sono specializzata nell’illustrazione editoriale per maga zine e libri. Tra i miei artisti preferiti: Lorenzo Mattotti, Olimpia Zagnoli, Emiliano Ponzi e Guido Scarabottolo. Tratto, colore, forme, mi affascina tutto di questi quattro maestri. Sono di grande ispirazione per me.
Qual è il tuo concetto di bellezza?
Il mio concetto di bellezza risiede nella li bertà. Libertà di essere, libertà d’espres sione, libertà di immaginare e sognare.
Cosa sogni di illustrare?
Sogno di illustrare una copertina per The New Yorker. In verità, credo sia il sogno di ogni illustratore.
Descrivi il processo creativo di una tua opera.
Tutto parte da un foglio bianco e una matita ben temperata. Comincio a riem pire lo spazio vuoto della superficie car tacea con diversi schizzi, piccole bozze e disegnini confusi. Selezionata e scelta
l’idea vincente, il processo creativo con tinua e si conclude in forma digitale.
Ultimo film visto e ultimo libro letto. Film: Kill Bill Volume II. Libro: uno tra i miei preferiti è The Wonderful Wizard of Oz, di L. Frank Baum.
La richiesta più singolare ricevuta. Creare da zero un’illustrazione in un tempo seriamente breve. Andata in stampa circa 40 minuti dopo la richiesta.
Cosa ti interessa maggiormente della realtà che ti circonda?
È interessante quello che offre, che ci suggerisce. Tante volte le idee più stra vaganti o funzionali prendono vita semplicemente guardando quello che ho intorno. C’è sempre qualcosa di na scosto da scoprire, reinterpretare, sconvolgere. Osservare è la chiave di tutto.
Il lockdown ha avuto ripercussioni sul tuo lavoro? Direi di no.
Mi accenni i tuoi progetti futuri? Al momento sto lavorando a un progetto di Natale, in collaborazione con un labo ratorio artigianale di pasticceria molto quotato. Dicembre sarà un mese inte ressante, ricco di bei progetti.
ROBERTA VANALINEI NUMERI PRECEDENTI
#46 Filippo Vannoni #47 Andrea Casciu #48 Monica Alletto #49 Giulia Masia #50 Elisabetta Bianchi #51 Sara Paglia #52 Kiki Skipi #53 Sabeth #54 Walter Larteri #56 Shut Up Claudia #57 Viola Gesmundo #58 Daniela Spoto #59 Federica Emili #61 Maria Francesca Melis #63 Mariuska #64 Chiara Zarmati #65 Marjani #67 Vito Ansaldi #68 Matilde Chizzola
CONCIERGE
IL RESORT A ENERGIA SOLARE NELLA GIUNGLA MESSICANA
Come se la pandemia non fosse bastata a fiaccare il settore alber ghiero, sul comparto potrebbe ora abbattersi l’incremento dei costi energetici. Con prospettive tutt’altro che rosee. Ma, come tal volta accade, dai contraccolpi di una o più crisi potrebbe prendere forma uno scenario inedito, dettato dalla sfavorevole congiuntura e dall’ascesa di un cambio di paradigma.
Prima del 2020, la crescente consapevolezza dell’impatto del turi smo sull’ambiente aveva agito da stimolo, almeno nei viaggiatori più attenti, per individuare modalità alternative per spostamenti e al loggi, favorendo pratiche capaci di produrre effetti immediati sulle comunità locali. Nel prossimo futuro, analogamente, l’aumento dei prezzi dell’energia e l’emergenza climatica ci faranno riconsiderare le modalità con cui riscaldiamo e illuminiamo case, spazi pubblici e luoghi per il tempo libero, avviando una nuova fase? Già da tempo società e investitori che operano nell’ospitalità stanno spingendo sulla bioarchitettura, con strategie non di facciata.
Fondazione Bevilacqua La Masa a Venezia: Angel Moya Garcia nominato curatore delle nuove residenze
GIULIA RONCHI L “Sono onorato di essere stato scelto da questa istituzione. Sono cresciuto assieme a tantissimi amici artisti che sono passati per Fondazione Bevilac qua La Masa e, allo stesso modo, voglio dare il mio con tributo per accompagnare altrettanti giovani e promuo vere il loro lavoro”. Sono le parole con cui Angel Moya Garcia ha commentato l’incarico di curatore del pro gramma annuale delle Residenze artistiche 2022/2023.
La nomina è avvenuta tramite un avviso di selezione pubblica che ha ottenuto una straordinaria attenzione, con oltre 100 domande provenienti da tutta Europa e a cui il curatore spagnolo ha partecipato dopo la fine del suo ruolo di Responsabile della programmazione e de gli eventi culturali del Mattatoio di Roma. Angel Moya Garcia si occuperà quindi dell’affiancamento e del tu toraggio dei 15 artisti selezionati dall’annuale Bando Atelier BLM, compresa la presentazione di un percorso espositivo per la mostra finale, che avrà luogo nel 2023. Il curatore organizzerà anche incontri e approfondi menti in base alle esigenze e alle urgenze che nasce ranno all’interno del gruppo di lavoro in residenza presso i quindici studi d’artista. Parallelamente, por terà avanti il suo incarico di codirettore per le Arti Vi sive della Tenuta Dello Scompiglio a Lucca e di curatore d’arte contemporanea del Progetto Panorama 2022 della Quadriennale di Roma.
Aperto da meno di un anno, sulla costa messicana appena fuori dal centro di Puerto Escondido, l’Hotel Terrestre progettato dallo studio Taller de Arquitectura X è un cinque stelle interamente alimentato a energia solare. Una scelta promossa dalla proprietà, il Grupo Habita, che opera dal 2000 in Messico e in America Latina, e sostenuta dal team di architetti guidato da Alberto Kalach con solu zioni tecniche. Come il ricorso a metodi di raffreddamento alterna tivi all’aria condizionata e a sensori di movimento per contenere i consumi. Formato da sette edifici comunicanti, il complesso realiz zato con materiali locali dispone di quattordici unità, ciascuna do tata di piscina privata e di viste sulla spiaggia e sulla giungla circo stante. In lizza per i Dezeen Awards 2022, l’hotel offre “un’interpre tazione futuristica di una mastaba”, secondo i promotori, chiamando a raccolta chi ama natura, benessere e arte: la celeber rima Fundación Casa Wab, progettata da Tadao Ando, sorge infatti nelle vicinanze. Solo un esempio, fra i tanti possibili, di come po tremmo concepire gli alberghi nel XXI secolo.
terrestrehotel.com
GIULIA RONCHI L È ispirata ai giardini d’inverno di fine Ottocento, lo stesso periodo in cui si affermava lo stile Liberty che dà il nome alla piazza su cui il negozio si affaccia: Microclima è la nuova opera site specific di Eva Jospin, una “foresta” in cartone con inserti di carta colorata, corda, elementi metallici e minerali, che per mea integralmente il flagship store di Max Mara situato nel cuore di Milano. Un’opera concepita per essere per manente, ma allo stesso tempo suggerire un’idea di movimento e trasformazione, un rimando alla natura nel mezzo del contesto metropolitano. Microclima, progetto vincitore all’interno di un contest lanciato in collaborazione con Collezione Maramotti, è caratteriz zato da un’architettura in vetro e metallo, che rac chiude un paesaggio in cartone raffigurante elementi vegetali, rocce verticali, cactus esotici, maestosi alberi tropicali, stalagmiti e fossili di radici; un panorama che dialoga con la luce esterna, e la cui visione muta con il variare del giorno e delle stagioni. “A un certo punto, è come se queste architetture naturali, porte rocciose, en trate su mondi sconosciuti, fossero diventate un’osses sione”, spiega l’artista. “La natura in questo caso si fa mistero e avvolge l’uomo in una spazialità misteriosa. È l’idea del varcare la soglia di un’altra dimensione”. Tra le diverse dimensioni che compongono l’opera entra a far parte anche quella olfattiva, grazie a un’essenza svilup pata appositamente assieme al profumiere Julien Ra squinet e ispirata alla serra tropicale, una natura che viene evocata attraversi i sensi.
comune.venezia.it/fondazionebevilacqua-la-masa
L’installazione di Eva Jospin nel negozio Max Mara di Milano
Lorenzo, ha acceso i riflettori sugli esiti più aggiornati della produzione artistica italiana e internazionale.
via settembrini 79 madrenapoli.it
PASTICCERIA CAPPARELLI
Non indenne allo struscio forsennato di via dei Tribunali, la pasticceria oggi ge stita da Salvatore Capparelli vanta quasi quarant’anni di storia e ha saputo tener fede alla tradizione partenopea, no nostante il recente restyling tendente al kitsch degli in terni. I dolci, però, sono una garanzia, tra sfogliatelle ricce, frolle e uno dei babà migliori della città.
via dei tribunali 327 081 454310
ViaCarbonara
CorsoUmbertoI
lature in noce intagliato, 400 vasi in maiolica dell’epoca e la grande tela di gusto barocco che decora il soffitto.
via maria longo 50 museoartisanitarie.it
RAIMONDO
Nessuna etichetta, ma un’infilata di bot tiglie in vetro a conte nere spiriti e basi per la miscelazione sartoriale, in un piccolo spazio allestito con gu sto minimale per ripensare l’immaginario del cocktail bar e stimolare l’interazione tra cliente e bartender. Una nuova idea che approfondisce la sem pre più vivace scena della mixo logy partenopea.
via giovanni paladino 16 raimondospirits.com
tiere. E in primavera ha ospi tato la prima edizione dell’EDI Global Forum for Education and Integration.
largo proprio d’avellino 17 fondazionemorragreco.com
STAZIONE DANTE
È l’ultima arrivata nel circuito del Museo Aperto della Metropo litana (MAM) la sta zione Duomo di Massimiliano Fuksas e Doriana Mandrelli. La cupola in vetro e acciaio cor ten, pensata per valorizzare e preservare gli scavi del Gymna sium, sarà terminata tra qual che anno. Nel frattempo, poco distante, si ammirano gli arti sti della fermata Dante, da Kounellis a Pistoletto.
dotti campani che corrobo rano il menu tradizionale si possono acquistare nello spa zio destinato alla bottega.
via duomo 146-148 081 0145980
CYOP & KAF
Si contano ormai a centinaia gli inter venti di street art rea lizzati in città, con particolare insistenza nell’area dei Quar tieri Spagnoli, dal duo Cyop & Kaf. Una sequenza di perso naggi che identificano il loro stile si apprezza sulla facciata del complesso universitario di Sant’Andrea delle Dame.
piazzetta sant’andrea delle dame cyopekaf.org/qs-map/
TOP
LOTS
LONDON EDITION
Francis Bacon,
Three Studies for Portrait of Henrietta Moraes, 1963 £ 24,300,000
Sotheby’s, Contemporary Evening Auction, Londra
David Hockney, Early Morning, Sainte-Maxime, 1968-69 £ 20,899,500
Christie’s, 20th/21st Century: London Evening Sale, Londra
Gerhard Richter, 192 Farben, 1966 £ 18,287,800 Sotheby’s, Contemporary Evening Auction, Londra
Gerhard Richter, Wolkenstudie (grün-blau), 1971 £ 11,167,000 Christie’s, 20th/21st Century: London Evening Sale, Londra
Francis Bacon, Painting 1990, 1990 £ 7,102,250 Christie’s, 20th/21st Century: London Evening Sale, Londra
Frank Auerbach, Head of J.Y.M., 1984-85* £ 5,648,800 Sotheby’s, Contemporary Evening Auction, Londra
Andy Warhol, Nine Multicoloured Marilyns (Reversal Series), 1979-86 £ 5,189,200
Sotheby’s, Contemporary Evening Auction, Londra
David Hockney, Big Landscape (Medium), 1987-88 £ 4,149,000
Sotheby’s, Contemporary Evening Auction, Londra
Banksy, Love Is In The Air, 2006 £ 3,483,500
Sotheby’s, The Now Evening Auction, Londra
Yayoi Kusama, Infinity-Nets (QOTP), 2010 £ 3,423,000
Sotheby’s, Contemporary Evening Auction, Londra
*Record d’asta per l’artista
I prezzi indicati includono il buyer’s premium.
CAMPIONE DI ANALISI
Christie’s, 20th/21st Century: London Evening Sale, Londra, 13 ottobre 2022
Christie’s, A Place With No Name: Works from the Sina Jina Collection, Londra, 13 ottobre 2022
Christie’s, Post-War and Contemporary Art Day Sale, Londra, 14 ottobre 2022
Phillips, 20th Century & Contemporary Art Day Sale Londra, 13 ottobre 2022
Phillips, 20th Century & Contemporary Art Evening Sale, Londra, 14 ottobre 2022
Sotheby’s, The Now Evening Auction, Londra, 14 ottobre 2022
Sotheby’s, Contemporary Evening Auction, Londra, 14 ottobre 2022
Sotheby’s, Contemporary Day Auction, Londra, 15 ottobre 2022
Torna Roma Arte in Nuvola. Ecco come sarà la seconda edizione della fiera all’Eur
Dopo il successo – e le critiche – suscitate dalla prima edizione, torna nella Capi tale (dal 17 al 20 novembre) Roma Arte in Nuvola, la fiera ideata e diretta da Ales sandro Nicosia con la direzione artistica di Adriana Polveroni. “Una fiera che cre sce e che ha l’ambizione di diventare un appuntamento importante sia dal punto di vista economico che culturale”, afferma la direttrice. Con “oltre 60 nuove partecipa zioni rispetto al 2021”, la rassegna capitolina conta 148 gallerie, tra italiane e inter nazionali, con l’obiettivo di “guardare oltre i confini nazionali e questo si nota dalle importanti personalità che si confronteranno nei vari talk in programma e nei pro getti speciali”. Dato il particolare momento storico, la fiera ha deciso di esprimere il proprio sostegno all’Ucraina presentando il progetto Si Vis Pacem, curato da Ye vhen Bereznitsky, direttore dell’omonima fondazione d’arte. Una mostra che pone l’attenzione sulla produzione artistica ucraina della seconda metà del XX secolo e sull’arte contemporanea indipendente, a cui segue una serie di lavori realizzati in risposta all’aggressione militare russa.
romaarteinnuvola.euAielli, il comune abruzzese che è diventato Borgo Universo grazie alla street art
VALENTINA MUZI L Ci troviamo ad Aielli, in provincia dell’Aquila, dove la street art anima vicoli e abitazioni del centro storico, valorizzandone l’identità e la storia. Il borgo della Marsica vanta un patri monio storico-architettonico di rilievo, ma è conosciuto so prattutto per la Torre delle Stelle (struttura medievale ri salente al XIV secolo) che ospita l’osservatorio astrono mico più alto del Centro Italia. Uno storico edificio che dal 2017 viene promosso grazie al festival Borgo Universo, che unisce l’arte di strada e l’astro nomia. A promuovere questo vincente binomio è Negroni, importante azienda della sa lumeria italiana con il suo nuovo progetto Costellazioni. Quest’ultimo, pensato per dare spazio ai giovani, è entrato nel vivo con la realizza zione del suo primo eco-murale Nuru all’interno del piccolo museo a cielo aperto abruzzese, realizzato da Zoer e da Giovanni Anastasia con le eco-pitture Airlite, capaci di contribuire al miglioramento dell’aria contrastando l’inquinamento.
borgouniverso.comUna grande scultura di Bob Dylan tra i vigneti in Provenza
CLAUDIA GIRAUD L Situato nel mezzo della Provenza tra Aix-En-Provence e il Parco naturale del Luberon, Château La Coste è un vigneto dove vino, arte e architettura convivono in armonia. Da quando ha aperto al pubblico nel 2011, la tenuta permette di scoprire 40 opere d’arte contemporanea installate all’aperto e 5 spazi della galle ria. Ora c’è una nuova installazione permanente di un grande musicista: Bob Dylan. Il cantautore, che scrive canzoni da 60 anni, e ha ricevuto il Nobel per la Letteratura nel 2016, è anche un artista visivo che ha scelto la Francia come Paese dove collo care la sua prima scultura permanente. Si tratta della monumentale Rail Car, co struita con circa sette tonnellate di ferro e posizionata sugli antichi binari del treno, tra le vigne di Château La Coste. Esposta alle intemperie, presenta motivi di scale, ruote e attrezzi legati al tema delle ferrovie – motivo ricorrente nella pittura dell’ar tista – secondo cui l’opera “racconta le illusioni di un viaggio, piuttosto che la sua contemplazione”. chateau-la-coste.com
ART MUSIC
19M40S: RADIODRAMMA DI FILOSOFIA IN MUSICA
Mentre sulle piattaforme (ad esempio Spreaker, Apple Podcast o Spotify) si stanno diffondendo anche i podcast di fiabe, soprat tutto classiche, c’è chi ritorna alla cara e vecchia musicassetta per trasmettere questo genere letterario legato all’infanzia, ma capace di emozionare e aprire scenari inediti anche a chi bambino non lo è più da tempo. È quanto si propone di fare la collana discografica su abbonamento postale 19’40’’ con la sua prima pubblicazione su audiocassetta di un progetto fuori dall’ordinario, commissionato dall’associazione ALMARE e già presentato dal vivo al Circolo del Design di Torino nel novembre 2021: un radiodramma, una favola per adulti, una lezione di filosofia in musica.
È Gennaro Sangiuliano il nuovo Ministro della Cultura italiano
“A differenza delle tre uscite su CD che caratterizzano la nostra pro posta musicale per così dire standard”, ci spiega Enrico Gabrielli, co-fondatore di 19’40” insieme a Francesco Fusaro e Sebastiano De Gennaro, “le speciali si caratterizzano da sempre per essere più vi cine all’oggetto d’arte, quindi su supporti non convenzionali e a tira tura estremamente limitata”. Fin dai suoi esordi nel 2016, 19’40” ha saputo mischiare il colto e il popolare, per sfociare nell’anti-accade mico. Ora, guardando alla tradizione del radiodramma degli Anni Cinquanta e Sessanta, e un po’ alle fiabe sonore su cassetta con cui sono cresciuti i due autori di testo e musica, rispettivamente il filo sofo Federico Campagna e il musicista elettronico Francesco Fu saro, propone al suo pubblico di abbonati La favola della realtà: un invito a riflettere su che cosa sia un “mondo” e quanto sia davvero stabile la nostra idea di “realtà”, ben rappresentata visivamente dal suo smaterializzarsi nella copertina della musicassetta, illustrata dalla graphic designer Marina Benetti.
“
Quando ho ricevuto la parte di Federico, ho subito pensato in che di rezione dovessi andare musicalmente”, ci racconta Fusaro. “L’esposi zione del testo aveva un ritmo perfetto per brevi interventi musicali che facessero da specchio al racconto, raddoppiandolo. Avevo in mente le fiabe sonore con cui sono cresciuto da bambino, i cui com menti sonori, riascoltati oggi, sembrano decisamente ideati per un pubblico più adulto rispetto a quello per cui erano pensate”. Oggi come allora, il suono sottilmente inquieto, a volte disteso e altre volte martellante, scandisce il racconto, trascinandoci nel suo flusso senza tempo, a ricordarci che la realtà è solo un’illusione e nulla ci appartiene veramente.
SANTA NASTRO L Il nuovo Ministro della Cultura del Governo Meloni è Gennaro Sangiuliano, che assume la guida del dicastero con portafoglio dedicato alla cultura, mantenendo la dicitura MiC vagliata nel precedente governo. Nato a Napoli nel 1962, al mo mento della nomina era direttore del TG2, incarico conferitogli nell’ottobre del 2018 e che ora passerà ad interim al vicedirettore anziano Carlo Pilieci per massimo tre mesi. Tra le sue precedenti esperienze, la direzione del quotidiano napoletano Il Roma (1996-2001), la vicedirezione di Libero e del TG1 (dal 2009 al 2018). Molte le pubblicazioni librarie a sua firma. Dal 1983 al 1987 è Consigliere del Movimento Sociale Italiano. Tra le sue collaborazioni, quella con il settimanale L’Espresso e con il Domenicale del Sole 24 Ore. Molti i saggi di successo, tra questi la trilogia dedicata a Donald Trump, Hillary Clinton e Vladimir Putin (quest’ultima, pubblicata da Mondadori nel 2013, è un caso editoriale), mentre nel 2019 ha scritto la biografia Il nuovo Mao – Xi Jinping e l’ascesa al po tere della Cina oggi, dedicata al Presidente della Re pubblica Popolare Cinese. Il Governo Meloni con ferma la divisione tra Ministero dell’Istruzione e Ministero dell’Università e ricerca, dicastero nato nel 1988 e divenuto effettivo con il Governo De Mita, accorpato alla Pubblica Istruzione nel 2001 sotto Sil vio Berlusconi e riscorporato nel 2019 da Giuseppe Conte. All’Istruzione e al merito va Giuseppe Valdi tara, milanese classe 1961, politico e giurista, già Capo Dipartimento per la formazione Superiore e la Ricerca presso il MIUR dal 2018. All’Università e ri cerca va invece la senatrice Anna Maria Bernini, bo lognese nata nel 1965, docente di Diritto comparato e capogruppo uscente di Forza Italia. Confermato an che lo scorporamento del Ministero del Turismo dalla Cultura, dicastero che sarà guidato dalla nota politica e imprenditrice Daniela Santanché, cuneese nata nel 1961, socia del Twiga di Forte dei Marmi con Flavio Briatore. Tecnico è invece il Ministero allo Sport, nelle mani del manager romano nato nel 1960 Andrea Abodi, anch’egli giornalista, ex Consi gliere di Amministrazione del CONI, vicepresidente e direttore generale del Comitato Organizzatore dei Campionati Mondiali di Baseball nel 2009, coordina tore della comunicazione della Candidatura della Capitale ai Giochi Olimpici e Paraolimpici del 2004, impegnandosi nelle stesse attività anche nel 2020. Unico trait d’union con il precedente governo, nel 2022 è stato nominato dall’ex Ministro del Turismo membro dell’Osservatorio Nazionale del Turismo. Ricopre inoltre la carica di Presidente dell’Istituto per il Credito Sportivo. Il Ministro della Cultura uscente, Dario Franceschini, ha avuto il merito di riportare la cultura in una posizione rilevante nell’a genda dei governi nei quali ha prestato servizio. Ha ricoperto infatti la carica dal 2014 al 2018 nei Go verni Renzi e Gentiloni, raccogliendo l’eredità di Massimo Bray. Dopo un breve periodo sotto la guida di Alberto Bonisoli, nella famosa intesa giallo verde, Franceschini è rientrato in carica nel 2019 nei Governi Conte e Draghi.
NUOVI SPAZI IN ITALIA
SUPERLAB
Un luminoso edificio di cinque piani costituisce il nuovo “grattacielo oriz zontale” nei grandi ex uffici della Breda a Milano Bicocca. E ospita pro getti di artisti contemporanei. bicoccasuperlab.it
MOTEL D RESIDENCY
Nello spazio co-working di Porta Ro mana è nato Motel D Residency, pro getto del curatore Edoardo De Cobelli che mette insieme artisti, registi e creativi di ogni tipo. motel-d.com
COLLEZIONE PERINI NATALI
Con il nome di Progetto Ludovico prende il via a Milano l’apertura al pubblico della collezione Perini Na tali, punto di riferimento per artisti emergenti italiani e internazionali. perininatali.com
FONDAZIONE ROVATI
La fondazione intitolata a Luigi Ro vati ospita una grande collezione di arte etrusca, assieme a progetti di artisti contemporanei, nel palazzo settecentesco restaurato da Mario Cucinella.
fondazioneluigirovati.org
MUSA
In mostra, una delle più grandi colle zioni di ossa umane al mondo, dall’antichità a oggi. Il nuovo museo universitario punta a educare sul ruolo della scienza nella difesa dei diritti umani.
lastatalenews.unimi.it
MUSEO PENNELLI CINGHIALE
L’azienda dei mitici Pennelli Cin ghiale ha aperto il suo museo, colla borando con artisti contemporanei e street artist.
Pennellicinghiale
COLLEZIONE FREYMOND
A Palazzo Al Bosco, sulle colline di San Ca sciano in Val di Pesa, ha aperto la colle zione dei mecenati Caroline ed Eric Frey mond, inaugurando con una mostra di Olafur Eliasson. latinaia-albosco.com
RADICI, IL PICCOLO MUSEO DELLA NATURA
Ecologia e biodiversità sono i temi portanti di Radici, Piccolo Museo della Natura, realtà aperta negli spazi della Cartoleria De Magistris, dotato di caffetteria, bookshop e atelier per laboratori. radicipiccolomuseo.it
AVERNA SPAZIO OPEN
Averna Spazio Open è il nuovo polo culturale voluto dal Gruppo Averna del noto amaro, che per l’occasione ha riqualificato l’ex padiglione industriale dei Cantieri Culturali del quartiere Zisa. avernaspaziopen.it
MUSEO LA VACCHERIA A ROMA
A EUR Castellaccio, La Vaccheria apre le porte al pubblico ospitando reperti recuperati nell’area di scavo a sud di Roma e a mostre di arte contempora nea.
turismoroma.it
CARTA Arte contemporanea, editoria e na tura si mescolano nel nuovo parco Carta con sede a Soveria Mannelli, nato dalla visione di Rosario Rubbet tino, titolare dell’omonima casa edi trice.
rubbettinoeditore.it
NUOVI SPAZI ZANZARA Ferrara
Sono un duo di curatori, si fanno chiamare Giliberti Ricci e hanno aperto una galleria a Ferrara. Qui ci raccontano perché
Come è nata l’idea di aprire questa nuova galleria?
Nasce dal desiderio e dall’esigenza di concretizzare anni di lavoro, studio e ricerca. L’obiettivo è sviluppare mostre e progetti con artisti nazionali e inter nazionali, riavvicinando e riconnet tendo l’arte contemporanea al tessuto urbano e sociale della città, partendo dall’assunto che l’arte è una zanzara dalle mille ali (Joseph Beuys, 1981).
Il vostro nuovo progetto?
All’organizzazione di mostre in galleria si affianca il lavoro dell’associazione culturale che rivolge la sua attenzione all’esterno, per aprire dialoghi e co struire sinergie con il territorio e le al tre realtà che operano in ambito cultu rale.
Chi siete?
Siamo un duo curatoriale composto da Giulia Giliberti e Sara Ricci e iniziamo questa avventura con quattro artisti: David Grigoryan, di origini georgiane, che vive e lavora a Odessa; Elisa Leo nini e Luca Zarattini, apprezzati artisti ferraresi; e Denis Riva (Deriva), che vive a Follina (TV) e collabora con im portanti gallerie.
Su quale pubblico puntate? E su quale rapporto con il territorio e la città?
Ci rivolgiamo a un pubblico eterogeneo di addetti ai lavori, appassionati e non. Vorremmo proporre progetti che tra sformino gli spazi in luoghi di incontro e contaminazioni di idee. Attraverso lo sguardo dei nostri artisti e grazie al
loro linguaggio, speriamo di offrire un’ulteriore lettura del nostro comune presente ai cittadini e ai visitatori in generale, contribuendo, insieme ad al tre realtà che operano sul territorio, a implementare l’offerta culturale della città.
I vostri spazi?
Si trovano nel centro storico della città. Sono due spazi molto diversi tra loro: da una parte un “cubo bianco” che ospiterà principalmente mostre pittoriche e fotografiche; dall’altra le ex Scuderie, uno spazio difficile, che porta le tracce del suo passato, pensato per progetti installativi, performativi, eventi e proiezioni.
Che mostre state proponendo? Fino al 30 dicembre sono allestite le prime due mostre inaugurali, Odessa Sole mio di David Grigoryan e Anoma liae di Elisa Leonini. In seguito, Luca Zarattini e Denis Riva, insieme per la prima volta, saranno impegnati in un progetto espositivo a quattro mani che mixa diversi linguaggi e media. Ab biamo inoltre in programma la colla borazione con altri artisti nazionali e internazionali mid-career, sempre nati intorno agli Anni Ottanta.
Il primo restauro di Ponte Vecchio a Firenze. Interventi per 2 milioni di euro
DESIRÉE MAIDA L Per la prima volta nella storia, Ponte Vecchio a Firenze sarà protagonista di un intervento di restauro. “Un’operazione inedita”, come l’ha definita il sindaco Dario Nardella, dal costo di 2 milioni di euro. Secoli di agenti atmosferici e flusso e piene dell’Arno hanno segnato l’aspetto del ponte, il cui restauro è coordinato dai servizi Belle Arti e Viabilità di Palazzo Vecchio. Per eseguire rilievi e prelievi dei campioni dei materiali, azioni pro pedeutiche al restauro, è stata allestita una piattaforma galleggiante con pon teggi. Verranno rimosse macchie di umidità presenti sulla superficie del ponte per poi procedere al consolida mento della pietra lesionata e alla rico struzione delle parti mancanti. Verrà pre stata atten zione alle parti deco rate, di cui verrà recu perata la leggibilità, e saranno sistemate le parti in legno degradate che sorreggono le botteghe. Infine si interverrà sulla car reggiata stradale, con la stilatura dei giunti e la verniciatura protettiva della pavimentazione.
comune.fi.itNECROLOGY
HANAE MORI
8 gennaio 1926 – 11 agosto 2022
L ELISABETTA II 21 aprile 1926 – 8 settembre 2022
L
WILLIAM KLEIN 19 aprile 1926 – 10 settembre 2022
L
JEAN-LUC GODARD 3 dicembre 1930 – 13 settembre 2022
L GIULIANA SCIMÈ
2 maggio 1939 – 27 settembre 2022
L
FRANCA FENDI 1935 – 5 ottobre 2022
L BRUNO LATOUR 22 giugno 1947 – 9 ottobre 2022
L
ANGELA LANSBURY
16 ottobre 1925 – 11 ottobre 2022
Ferrara Via del Podestà 11/11a e 14a 333 4573298 | 333 3942252
info@zanzaraartecontemporanea.it zanzaraartecontemporanea.it
L
JOHNNY RICCI
16 giugno 1935 – 23 ottobre 2022
ViaCortevecchia ViadelPodestà
SPAZIO Y UNA VISIONE NON PROFIT A ROMA
Spazio Y è: Paolo Assenza, Germano Serafini, Ila ria Goglia, Alice Crisponi, Beatrice Favarin, Be nedetta Monti, Camilla Salvi, Giulia Apice, Mad dalena Scuderoni, Veronica Neri e tutti coloro che partecipano e contribuiscono alla sua realizzazione. Conforme a un’incognita e al suo doversi determinare in funzione di relazioni e condizioni esterne. Carte siano, in virtù del suo porsi come asse convergente al punto di origine, coordinata definitrice del costituirsi dello spazio. Fecondo, in una dimensione uterina pronta ad accogliere il frutto creativo. Spazio Y è un progetto indipendente dedicato alla ricerca e alla sperimentazione in ambito contem poraneo, punto di incontro e di scambio per gli artisti e tutti coloro che sono invitati a interagire con il con testo in cui lo spazio si trova e agisce. Nasceva nel 2014 nel quartiere del Quadraro, culla di moti rivoluzionari espressi e repressi, memore dei tragici rastrellamenti perpetrati, settanta anni prima, ai danni della fazione partigiana. E nel suo nascere già si definiva come luogo dell’incontrarsi, del confrontarsi, del darsi. Il suo primo progetto è emblema della sua radicale connessione al territorio e alle energie creative che vi orbitano intorno. La mostra Portafortuna, nel con testo della quale gli artisti erano chiamati a esporre un’opera dal valore soggettivamente apotropaico, è stata in grado di ridisegnare un nuovo assetto topo grafico dello spazio, senza confini, che restituisse alla periferia nuova centralità e all’arte il suo carattere in clusivo e umano.
Spazio Y si pone infatti come polo nodale e dinamico, accogliente e libero, allo stesso tempo proteso al mondo e alle sue evoluzioni. I progetti outdoor come Basic Necessities, M/AAV o la partecipazione a Manife sta 12 testimoniano, infatti, la volontà di rompere le distanze creando attraverso l’arte un luogo di scambio che favorisce la nascita di visioni innovative e sinergi che, ponendo al centro il valore relazionale dell’arte stessa.
La capacità di sussistere e di operare in base a prin cipi di assoluta autonomia permette a Spazio Y di au todefinirsi, di esplorare e modificare attraverso un linguaggio mutevole e diffuso le varie immagini di sé. Infatti, Spazio Y è:
irregolare /ir·re·go·là·re/ – Divergente dalla norma o dalla consuetudine comunemente accettata o rispet tata. Una banda di irregolari; che opera ai margini,
NEI NUMERI PRECEDENTI
#47 Almanac Torino
#51 Sonnestube Lugano
#53 Numero Cromatico Roma
#57 Metodo Milano
#59 Spazio in Situ Roma
#62 Spazio Bidet Milano
#64 Mucho Masi Torino
#67 La portineria Firenze
anticonformista; Di figura geometrica che non soddi sfa a certe condizioni di uniformità o di simmetria: poligono irregolare; di cristallo che presenta imperfe zioni strutturali; Di figura o disposizione non ricon ducibile al concetto fisionomico di regolarità; Privo di uniformità o periodicità.
radicale /ra·di·cà·le/ – Relativo alla radice, cioè all’in tima essenza di qualcosa. Rivolto a una modificazione totale e sostanziale; “rimedio”; Radicale libero, atomo o molecola che, possedendo un elettrone di valenza spaiato non impegnato in un legame chimico, pre senta notevole reattività;
orizzontale /o·riẓ·ẓon·tà·le/ – Convenzionalmente, appartenente a un piano parallelo alla superficie; Nell’analisi dei fenomeni storici, indica estensione nello spazio geografico (contrapposto a verticale);
flessibile /fles·sì·bi·le/ – Che si adegua facilmente a situazioni o esigenze diverse; duttile, elastico, non ri gido: un carattere flessibile un ingegno f.; avere un at teggiamento f.;
SpazioY /spa·zio·Y/ – Che non diverge dalla norma; Non relativo alla radice; Non convenzionale; Un pro getto oltre lo spazio.
Il collettivo che ha ideato e porta avanti l’esperienza dello Spazio Y trova le proprie radici nel quartiere del Quadraro di Roma. Qui sotto si racconta e nelle tre pagine successive lo continua a fare, ma con le immagini.
DESIRÉE MAIDA
Noi canteremo le grandi folle agitate dal la voro, dal piacere o dalla sommossa: cante remo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; cante remo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le sta zioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le offi cine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; […] le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, […] e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra ap plaudire come una folla entusiasta”.
Era il 1909 e Filippo Tommaso Marinetti, nel suo Manifesto del Futurismo, decantava con esaltato fer vore il progresso dei suoi tempi, figlio dell’avvento dell’elettricità e delle macchine, diventati simboli di un capitalismo che guardava al futuro con sguardo ottimista e fiero (se non addirittura aggressivo). Pro prio l’energia elettrica diviene, per i futuristi, una sorta di avamposto allegorico per celebrare una certa energia “superomistica” che aleggiava nella società e nella politica di quei tempi: in non poche opere di pit tori futuristi, essa è protagonista indiscussa, sca gliando con violenza fuori dalla tela secoli di raggi di sole e chiari di luna, come nella eloquente Lampada ad Arco di Giacomo Balla. È passato poco più di un se colo da questa temperie che guardava al domani con inesauribile energia, eppure quest’ultima, in alcune sue forme, pare adesso destinata a diventare un lusso per pochi, facendosi portatrice di un clima di preoc cupazione e incertezza.
LO SCENARIO ATTUALE
Chissà cosa penserebbe Marinetti, se vivesse nella no stra epoca, della sempre più allarmante crisi energe tica che da mesi è al centro delle nostre quotidiane in combenze, tra oscillazioni del prezzo di gas e petrolio e bollette sempre più esose. Un pensiero fisso oramai, soprattutto da quando è scoppiato il conflitto tra Rus sia e Ucraina, con la prima che minaccia di “chiudere i rubinetti” all’Europa. In realtà la guerra ha solo accelerato un processo che è in corso da tempo: le fonti di energia di cui noi facciamo più largo uso sono quelle definite esauribili e, per loro stessa natura, a un certo punto non saranno più sufficienti per tutti. Se a questa condizione lapalis siana aggiungiamo anche il peso di oltre due anni di pandemia e di pruriginose situazioni geopolitiche, è semplice comprendere che quello attuale è uno scena rio critico, e tale scenario sta mettendo in allarme qualsiasi settore dell’economia, nessuno escluso.
LA SOLUZIONE È SPEGNERE GLI INTERRUTTORI?
Non è una soluzione che può essere adottata a lungo termine, ma in questa fase tentare di limitare il più possibile l’utilizzo di energia può contribuire a tenere sotto controllo, per quanto possibile, costi diventati già esorbitanti. Stando ai dati riportati da ARERA –Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente,
SOSTENIBILITÀ, ECOLOGIA, ENERGIE RINNOVABILI. L’ARTE E L’IMPEGNO SOCIALE DI OLAFUR ELIASSON
Nel 2003 la Turbine Hall della Tate Modern di Londra ospitava un’installazione che ha registrato oltre due milioni di visitatori, The Weather Project, un perpetuo tramonto creato dall’artista islandesedanese Olafur Eliasson (Copenaghen, 1967). L’opera, attraverso uno schermo semicircolare, un soffitto di specchi, l’utilizzo della nebbia artificiale e un sistema di 200 luci a led a mono-frequenza, dava al pubblico l’illusione e la suggestione di trovarsi dinanzi al Sole al momento del crepuscolo, modellando così, attraverso l’utilizzo delle luci e dei colori, la percezione e la fruizione degli spettatori.
Un tema, questo, caro alla poetica di Eliasson, che va a compenetrarsi con quelli della sostenibilità e del cambiamento climatico, di cui l’arti sta da molti anni si è fatto portavoce, promuovendo e sostenendo pro getti che puntano alla sensibilizzazione e alla conoscenza delle energie rinnovabili, tra tutte quella solare: ne è un esempio Little Sun, lampada portatile a energia solare ideata da Eliasson in collaborazione con l’in gegnere Frederik Ottesen con l’obiettivo di fornire luce pulita a oltre un miliardo di persone che vivono senza elettricità. Nata e progettata dal dialogo e il confronto con utenti etiopi, la lampada è a forma di meskel, in Etiopia simbolo di positività e bellezza, e l’obiettivo perseguito dall’artista è stato quello di distribuirla, a basso costo, nei Paesi afri cani, per un progetto che coniuga arte, sostenibilità ed economia so ciale.
Al momento Eliasson ha ben due mostre personali allestite in Italia: al Palazzo Strozzi di Firenze prosegue fino al 22 gennaio Nel suo tempo, mentre al Castello di Rivoli ha appena inaugurato Orizzonti tremanti
olafureliasson.net | palazzostrozzi.org | castellodirivoli.org
per il quarto trimestre del 2022 è previsto un aumento delle bollette della luce pari al 59%; inoltre, “nel terzo trimestre 2022, il prezzo unico nazionale dell’elettricità (PUN) è pressoché raddoppiato rispetto al secondo tri mestre 2022, e quasi quadruplicato rispetto al livello medio del corrispondente trimestre del 2021”, sottolinea ARERA. È tempo di austerity, insomma, e le ammini strazioni locali iniziano seriamente a fare i conti con il caro bollette, con sindaci che preannunciano tempi cupi: è il caso di Stefano Lo Russo, sindaco di Torino, che ha ipotizzato la necessità di tenere al buio la Mole, il Palazzo Reale, il Palazzo Civico e il Lungo Po – oltre a preannunciare che, se la situazione non dovesse mi gliorare, potrebbe essere ridotto anche il servizio di trasporto pubblico –; e si unisce al coro anche il Co mune di Milano, che potrebbe tenere accese le lumi narie natalizie con orari ridotti, oltre a optare, per i propri dipendenti, per forme di smart working “ri sparmia-energia”. “Come affrontare i rincari di ener gia?”, “quali strade possono essere intraprese per supe rare la crisi energetica?”, sono domande che nell’ultimo periodo non risparmiano nessuno, pubbliche ammi nistrazioni, aziende, privati cittadini, e nemmeno il mondo della cultura: musei, biblioteche, parchi arche ologici, monumenti e siti storico-artistici di ogni sorta – e naturalmente cinema, teatri e sale concerti – come faranno a garantire i loro servizi alla comunità, assol vendo quindi alle loro funzioni di conservazione, valo rizzazione e promozione del patrimonio, se diventerà proibitivo l’utilizzo di elettricità e gas?
È TEMPO DI AUSTERITY, INSOMMA, E LE AMMINISTRAZIONI LOCALI INIZIANO SERIAMENTE A FARE I CONTI CON IL CARO BOLLETTE.
L’IMPATTO DELLA CRISI SUI MUSEI EUROPEI
A lanciare l’allarme è NEMO – Network of European Museum Organisations, rete delle organizzazioni mu seali europee che lo scorso settembre, alla luce del progressivo aumento dei costi dell’energia elettrica e del gas, ha rivolto un appello ai responsabili politici affinché facciano il possibile per permettere ai musei di restare aperti. “Per l’autunno e l’inverno sono previ sti aumenti significativi dei costi dell’elettricità e del ri scaldamento a causa dell’eccezionale aumento dei costi energetici nel mercato mondiale”, sottolinea NEMO. “I musei di tutta Europa sono stati messi alla prova da due anni di numero notevolmente ridotto di visitatori a causa della pandemia, portando a perdite di entrate senza precedenti. I musei e altre organizzazioni cultu rali di solito hanno budget fissi per i costi di gestione, che includono i costi energetici. Negli ultimi anni, i costi energetici sono stati relativamente bassi e i musei adesso sono preoccupati per l’aumento dei prezzi in questo e nei prossimi anni, dato che per questo inverno alcuni musei prevedono nelle bollette un aumento dei costi fino al 400%”.
Il Network inoltre sottolinea come alcune soluzioni atte ad attutire il colpo a brevissimo termine – il tanto decantato spegnimento anticipato degli interruttori – in realtà non abbiano alcun impatto decisivo sulla risoluzione del problema, ma che vadano a ledere la missione stessa delle istituzioni museali: “Gli spazi e le offerte culturali sono estremamente importanti per
la coesione sociale e il benessere personale in tempi di crisi. Il settore culturale in Europa è ancora in stato di emergenza a causa del perdurare dell’impatto della pandemia. NEMO è preoccupato per possibili nuove chiusure e drastiche riduzioni dei servizi e degli orari di apertura dei musei a causa dell’aumento dei costi energetici. La chiusura e/o la riduzione dei servizi dei musei ha un impatto minimo in termini di risparmio energetico, ma ha un impatto significa tivo sul tessuto culturale e sociale dell’Eu ropa”.
Nel frattempo, però, i musei e i siti cultu rali di molti Paesi europei hanno optato proprio per lo spegnimento anticipato delle luci per tamponare il rincaro delle bollette. A Parigi la Tour Eiffel, la Pira mide del Louvre e anche la Reggia di Ver sailles, la sera, vengono lasciate al buio anticipatamente, mentre nel Regno Unito si prefigura l’ipotesi, in vista dell’inverno, di utilizzare i musei come “rifugi” per il freddo, destina zione d’uso, questa, che però non sarebbe attuabile dato che molte istituzioni stanno optando per la ridu zione degli orari di apertura al pubblico. In Germania, la Deutsche Museumsbund (Associazione dei Musei Tedeschi) ha redatto un elenco di linee guida rivolte alle istituzioni culturali per contrastare il rincaro energetico; tra quelle messe in atto, il limite massimo consentito per il riscaldamento degli edifici pubblici, che non deve superare i 19 gradi.
IL TANTO DECANTATO SPEGNIMENTO ANTICIPATO DEGLI INTERRUTTORI IN REALTÀ NON HA ALCUN IMPATTO DECISIVO.Olafur Eliasson, Weather Project , 2003, Tate Modern London
Di fronte a un tale quadro, quali sono i provvedimenti chiesti da NEMO agli attori politici per garantire ai musei di perseguire la loro missione nei confronti della società? “Aumentare il budget operativo per i mu sei” per far fronte ai rincari; dotare le istituzioni mu seali di “fondi aggiuntivi per il 2022 per ulteriori paga menti”; l’aumento del budget “per i costi fissi operativi secondo necessità per il 2023 e oltre”; mettere a dispo sizione fondi aggiuntivi “per investire nelle infrastrut ture, così che gli edifici possano essere mantenuti in modo più efficiente dal punto di vista energetico, ecolo gico e sostenibile”.
ENERGIA E MUSEI ITALIANI. IL PNRR
Efficienza e transizione ecologica sono quindi le ri sposte al problema del fabbisogno energetico, pun tando a fare uso di fonti di energia rinnovabili. Un’o perazione complessa – dal punto di vista politico e pratico – ma non impossibile, nonostante l’urgenza dei tempi richieda interventi repentini. Anche le isti tuzioni culturali italiane si ritrovano a confrontarsi con il tema della transizione ecologica, e non a caso questo è uno dei punti principali delle misure previ ste, in ambito culturale, dal PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, inserito all’interno del pro getto europeo di ripartenza “Next Generation EU”. 300 milioni di euro sono infatti destinati al migliora mento dell’efficienza energetica in cinema, teatri e musei: “A causa delle strutture invecchiate, gli edifici sono altamente energivori e costosi nei servizi di ma nutenzione per far fronte alle crescenti esigenze di aria condizionata, illuminazione, comunicazione e sicu rezza”, si legge sul sito web del PNRR Cultura. “L’inter vento è quindi finalizzato al risparmio energetico e agli obiettivi ambientali. L’in tervento genera anche ef fetti significativi sul ri lancio degli investimenti attivando il settore delle costruzioni e dell’impian tistica, nonché il mondo dei professionisti e tutti gli altri settori produttivi che operano nella proget tazione di materiali e tecnologie per il settore dell’effi cienza energetica”. Stando ai programmi del Piano, entro settembre 2023 sono previste operazioni atte alla riqualificazione e all’efficientamento energetico di cinema, teatri e musei cui sono state assegnate le risorse, per arrivare così, a dicembre 2025, ad avere in Italia luoghi della cultura più green e certificati (con interventi realizzati in 55 musei statali e siti culturali, 230 teatri e 135 cinema).
L’ENERGIA È UNA QUESTIONE DI CULTURA (?)
Riqualificazione ed efficientamento energetico sono quindi passi necessari che i luoghi della cultura, mu sei in primis, dovranno intraprendere da qui al lungo termine, in linea con la visione e la missione che que ste istituzioni perseguono. “Aperti al pubblico, acces sibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità”, è uno dei passaggi chiave della nuova definizione di museo che l’ICOM – International Council of Museums (organizzazione internazionale fondata nel 1946 che rappresenta i musei e i suoi pro fessionisti) ha approvato durante la 26esima Assem
blea Generale Straordinaria tenutasi lo scorso agosto a Praga: è evidente quindi come la faccenda energia, in tutte le sue declinazioni, non sia un processo che riguarda soltanto dinamiche ecologiche, politiche ed economiche. Quella dell’energia è, ora come non mai, una questione di cultura.
Per comprendere perché concetti quali efficienta mento energetico, transizione ecologica e sostenibi lità siano prima di tutto una questione di cultura, può risultare utile chiedersi come “funzioni” tecnica mente l’energia, proprio nei luoghi in cui essa viene prodotta: le centrali, luoghi spesso protagonisti di in terventi di riconversione e rinascita all’insegna dell’arte e della cultura. Nello specifico, ci siamo chie sti quali possano essere ragioni e obiettivi sottesi alla riconversione di una centrale elettrica, e abbiamo posto questa domanda a Fabio Cataudella, Head of development and portfolio evolution - hydro, geo, thermal generation - egp & thermal generation di Enel Group: “Da alcuni anni ci siamo posti il problema di dare nuova vita ai siti industriali di centrali termoe lettriche in coerenza con il processo di transizione energetica verso un modello più sostenibile. Si tratta di siti che in molti casi hanno contribuito allo sviluppo industriale e sociale del Paese e sono fortemente legati ai territori che li ospitano. La prima valutazione”, ri sponde Cataudella, “è se gli impianti possano avere nuove potenzialità di sviluppo in ambito energetico: in questo caso Enel rimane proprietaria del sito e ne gestisce il processo di trasformazione. Laddove il po tenziale di riqualificazione energetica non sia pre sente o lo sia solo in parte, si favoriscono l’integra zione e la riqualificazione con nuovi progetti imprenditoriali in ambiti differenti dalla produzione
EFFICIENZA E TRANSIZIONE ECOLOGICA SONO LE RISPOSTE AL PROBLEMA DEL FABBISOGNO ENERGETICO.Museo dell'Energia, Montalto di Castro. Photo © Wolf Visualization Agency. Courtesy ACPV
di energia con investimenti sostenibili complementari che possano realizzarsi su parte o sull’intera area de gli impianti e che soddisfano le esigenze delle comu nità in cui si trovano le strutture. In ogni caso, tutti i progetti devono essere improntati a criteri di innova zione e sviluppo sostenibile, oltre a creare valore con diviso per la comunità e il territorio circostante”. Quello del riutilizzo o della riconversione delle pro prie centrali energetiche è un percorso che Enel ha intrapreso da anni, con modalità e obiettivi che, a pre scindere dalle peculiarità dei siti, ruotano attorno ai concetti di sostenibilità e dialogo con i territori. “Tra gli altri elementi chiave del processo c’è l’economia cir colare: il nostro patrimonio industriale può essere va lorizzato riutilizzando, laddove possibile, materiali e parti degli impianti stessi, per ridurre il consumo di materie prime, ma anche recuperando infrastrutture e spazi che possono essere mantenuti o convertiti a nuovi usi. Si tratta di un processo che abbiamo avviato in Ita lia alcuni anni fa e che oggi è diventato un metodo che applichiamo a livello globale”, continua Cataudella.
IL CASO DELLA CENTRALE
DI MONTALTO DI CASTRO
Emblematica è, il tal senso, la storia della ex centrale elettronucleare di Montalto di Castro nel Lazio, la cui rinascita da parte di Enel si muove verso la strada del riutilizzo del sito sempre a scopi energetici e verso la realizzazione di un Museo dell’Energia, il cui pro getto è firmato dallo studio ACPV ARCHITECTS An tonio Citterio Patricia Viel. Un centro culturale de dicato alla transizione energetica, che si estende per oltre 5mila metri quadrati, ai quali se ne aggiungono 15mila di spazi espositivi all’interno di due strutture
PIERO PORTALUPPI, L’ARCHITETTO DELLE CENTRALI ELETTRICHE
Al nome di Piero Portaluppi (Milano, 1888-1967), tra i più importanti e in fluenti dell’architettura italiana, la cui attività ha attraversato gli anni com presi tra i Venti e i Sessanta, è le gata la storia delle principali cen trali idroelettriche italiane, edifici che, ancora oggi, si distinguono per le peculiari soluzioni stilistiche ela borate dal progettista, in linea con i dibattiti artistici e culturali di quegli anni, nonostante la loro destinazione in dustriale.
Dal 1912 – due anni dopo aver conseguito a Mi lano la laurea in architettura – Portaluppi inizia a collaborare con Ettore Conti, ingegnere e imprenditore cui si deve, con la nascita della Società Imprese Elettriche Conti, la realizzazione di nu merose centrali elettriche nel Nord Italia. Tra le più note e importanti progettate da Portaluppi sono quella a Verampio (1912-17), che spicca per le sue citazioni medievali e nordeuropee, tra torri, bifore e forme ogivali; la centrale a Valdo (1920-23), esempio di eclettismo stilistico che guarda al passato ma anche agli esiti liberty e modernisti in voga in quegli anni; quella a Crevoladossola (1923-24), dal gusto decisa mente Déco nelle sue ardite decorazioni; e poi, probabilmente tra le più iconiche, la centrale termoelettrica di Piacenza (1925-28), inaugurata nel 1929 e dismessa nel 1985, squisitamente liberty nelle decorazioni del prospetto, con forme a zig zag e geometrie evocanti fiori stilizzati che contraddistinguono finestre ed elementi in muratura della fac ciata. Nel 2003 l’ex centrale è stata restituita al pubblico come spazio per l’arte contemporanea con il nome “Officina della Luce”; nel 2007 il sito è stato dichiarato di interesse culturale.
QUELLA DELL’ENERGIA È, ORA COME NON MAI, UNA QUESTIONE DI CULTURA.
esistenti, in cui troveranno casa installazioni d’arte e sale di approfondimento sui temi dell’energia e della transizione energetica. “Il progetto prevede anche un percorso di visita sopraelevato”, spiega Patricia Viel, “che circonda l’area e immergerà il visitatore in un pa esaggio che ben restituisce la complessità del sito, con l’obiettivo di valorizzare e rendere accessibili manufatti dallo straordinario valore storico e architettonico”. Tornando alla struttura della centrale, di questa è in corso la demolizione dei gruppi a olio già di smessi, mentre è in pro gress da parte di Enel l’i ter autorizzativo per poter realizzare sul sito un nuovo impianto fotovoltaico di circa 20 ettari. Un’altra area non più utilizzata per produrre energia è stata affittata da un’azienda del territorio specializ zata nella fabbricazione di tracker, componente base per la realizzazione di campi fotovoltaici, favorendo così anche la filiera italiana delle tecnologie sosteni bili e l’occupazione a livello locale. “C’è una forte coe renza tra le diverse realtà che andranno a comporre il sito di Montalto di Castro”, conclude Cataudella. “Il passato dell’energia, raccontato nel Museo, vivrà ac canto al presente e al futuro, rappresentati dalle tecno logie utilizzate nella parte produttiva del sito”.
DA EX CENTRALI ELETTRICHE A MUSEI (E NON SOLO). I CASI PIÙ NOTI IN EUROPA
La questione energetica non è solo un problema di approvvigiona mento delle fonti. L’evoluzione del sistema energetico e la necessità di rinnovare e adeguare ai sempre più attuali standard centrali e spazi produttivi porta in alcuni casi a dover dismettere questi ul timi. Cosa fare di queste strutture, impegnative dal punto di vista architettonico e anche storico, entrate a fare parte del contesto ur banistico e ambientale di un territorio? In tutto il mondo non man cano casi di centrali elettriche, nucleari e siti minerari dismessi ri convertiti ad altro uso, e in questi frangenti a entrare in ballo è spesso il mondo della cultura: molti di questi siti sono stati trasfor mati in musei (e non solo), assurgendo alla funzione di contenitore di opere ed eventi d’arte e diventando essi stessi luoghi di interesse storico-artistico.
LONDRA L TATE MODERN
Sorge nell’edificio dell’ex centrale elettrica progettata da Sir Giles Gilbert Scott, e costruita tra il 1947 e il 1963 nell’a rea di Bankside, sulla riva del Tamigi, la Tate Modern, museo fa cente parte del complesso della Tate dedicato all’arte moderna. Chiusa nel 1981, la centrale venne abbandonata, fino al 1995, quando la Tate incarica gli architetti svizzeri Herzog & de Meu ron di riconvertire l’edificio a museo. Il progetto ha riportato in evidenza la struttura originaria della centrale, trasformando la sala delle turbine in area di ingresso ed espositiva, e l’area delle caldaie in gallerie. La Tate Modern è stata inaugurata nel 2000. tate.org.uk
LONDRA L BATTERSEA POWER STATION
L’ex centrale termoelettrica entrata a fare parte dell’immagi nario collettivo per essere apparsa sulla cover dell’album dei Pink Floyd Animals, a 40 anni dalla chiusura, il 14 ottobre 2022, è stata inaugurata al pubblico nella sua nuova forma, un polo multi funzionale con residenze, uffici, ristoranti, hotel, negozi, spazi dedi cati alla cultura e un Apple Campus, per un progetto di restauro e riqualificazione a firma dello studio di architettura WilkinsonEyre. batterseapowerstation.co.uk
WESTON-SUPER-MARE L SEE MONSTER
È una piattaforma petrolifera dismessa, riqualificata e ri convertita per essere “pioniera verso un futuro più verde” See Monster, progetto che vede, sulle coste di Weston-super-Mare nel Somerset – per la precisione nel lido Tropicana –, la nascita di una grande installazione artistica concepita come parco pub blico finalizzato all’approfondimento di temi legati all’ecologia e alla sostenibilità. Cascate, giardini, spettacoli e attrazioni di ogni sorta pensati per bambini, adulti e famiglie sono i tratti sa lienti della programmazione di See Monster, con la direzione ar tistica di Patrick O’Mahony & Ollie Howitt. seemonster.co.uk
MADRID L CAIXAFORUM
Inaugurato nel 2008, il CaixaForum è un centro culturale che si trova poco distante dal Museo del Prado, dal Museo Reina Sofía e dal Thyssen-Bornemisza. L’edificio che ospita il CaixaForum un tempo fu una centrale elettrica, chiamata “Cen tral Eléctrica del Mediodía”, progettata nel 1899 dall’architetto Jesús Carrasco-Muñoz e dall’ingegnere José María Hernández. Nel 2001 la Fondazione La Caixa ha acquisito l’edificio, la cui ri conversione a polo culturale è stata affidata allo studio d’archi tettura Herzog & de Meuron. È stata mantenuta la facciata origi nale dell’ex centrale, tratto distintivo del CaixaForum che, inol tre, si caratterizza per il suo giardino verticale progettato dal botanico francese Patrick Blanc. caixaforum.org
LISBONA L MAAT
È una commistione di elementi storici e contemporanei il MAAT – Museum of Art, Architecture and Technology di Li sbona, situato sulle rive del fiume del quartiere di Belém occu pando una superficie di 38mila metri quadrati. Il MAAT com prende la ex centrale elettrica “Central Tejo”, la cui costruzione risale al 1908, e il nuovo complesso progettato dallo studio di ar chitettura londinese AL_A (Amanda Levete Architects). Le due architetture sono collegate, concettualmente e fisicamente, dal giardino progettato dall’architetto paesaggista libanese Vladi mir Djurovic. maat.pt
KALKAR L WUNDERLAND KALKARCostruita a partire dal 1972, non può essere definita una “ex” centrale nucleare perché non è mai stata attivata, a causa delle proteste degli abitanti della zona (era appena acca duto l’incidente di Chernobyl). La centrale di Kalkar – al nord della Germania, quasi al confine con i Paesi Bassi – negli Anni Novanta viene acquistata dall’imprenditore olandese Hennie van der Most, che la trasforma in un parco divertimenti con tanto di albergo e ristorante. La torre di raffreddamento dell’ex centrale è stata letteralmente desemantizzata: decorata con le immagini di un paesaggio montano, ospita al suo interno una giostra panoramica.
wunderlandkalkar.eu
BERLINO L BERGHAIN
È considerato uno dei più importanti club di musica te chno al mondo, aperto anche all’arte contemporanea, oltre a essere un “must see” per chiunque vada a Berlino: il Berghain. Il club nasce all’interno di un’ex centrale elettrica della Berlino Est, al confine tra i quartieri Kreuzberg e Friedrichshain e, oltre quell’austero involucro di ferro e cemento, si cela una delle scene creative più dinamiche ed esclusive della città e non solo. Nel 2014, in occasione del decimo anniversario dall’inaugura zione del club, è stata organizzata una mostra che ha visto la partecipazione di Norbert Bisky, Marc Brandenburg, Ali Kepenek, Sven Marquardt, Carsten Nicolai, Piotr Natahn, Friederike von Rauch, Sarah Schönfeld e Viron Erol Vert.
berghain.berlinCRACOVIA L CRICOTEKA
È ricavata dagli spazi dell’ex centrale elettrica di Podgórze, un distretto di Cracovia, la Cricoteka, il Centro per la Docu mentazione dell’Arte di Tadeusz Kantor, fondato dallo stesso re gista di teatro polacco nel 1980 con il nome di Teatro Cricot 2. Dal 2014 l’istituzione ha sede nell’ex centrale elettrica, e si con traddistingue per il suo peculiare assetto architettonico: la sto rica fabbrica è abbracciata da una struttura contemporanea, per un complesso che comprende archivio, museo e centro di ri cerca sull’opera di Kantor.
cricoteka.pl
MOSCA L GES-2
È stata inaugurata nel 2021 a Mosca GES-2 House of Cul ture, sede della V–A–C Foundation, istituzione fondata dal magnate e presidente della multinazionale del gas Novatek Leo nid Mikhelson e dalla studiosa di arte e cultura russa Teresa Ia rocci Mavica. Il nuovo centro culturale nasce negli spazi di un’ex centrale elettrica in disuso costruita nel 1907 e situata nel quar tiere Bolotnaya, nel cuore della città, e il progetto di riconver sione da centrale a museo è stato firmato dallo studio Renzo Piano Building Workshop. La GES-2 ha un’estensione di 34.400 metri quadrati, e comprende spazi aperti fruibili dai visitatori, aree per attività artistiche, residenze e un auditorium.
DRO L CENTRALE FIES
All’interno di una centrale idroelettrica risalente al 1911 e ancora attiva sorge Centrale Fies, centro di ricerca per le pratiche performative contemporanee. Nel 1999, la Cooperativa Il Gaviale ottiene un comodato d’uso da Enel che consente la rea lizzazione di eventi culturali; tale comodato, negli anni, diventa permanente e oggi Centrale Fies è una delle realtà artistiche ita liane più dinamiche e attive, organizzando al suo interno resi denze che coinvolgono artisti di tutto il mondo. Il restauro degli spazi, su progetto dell’architetto Sergio Dellanna, conserva e va lorizza la struttura originaria dell’edificio. centralefies.it
ROMA L CENTRALE MONTEMARTINI
stata aperta nel 1912, rappresentando il primo esempio di impianto pubblico adibito alla produzione di energia elet trica della Capitale, la Centrale Montemartini, nel quartiere Ostiense, sulle sponde del Tevere. Dismesso intorno alla metà degli Anni Sessanta, l’edificio è stato protagonista di un impor tante intervento di restauro, attraverso il quale la centrale è stata destinata a spazio espositivo e centro multimediale. Nel 1997 al suo interno venne organizzata una mostra con reperti provenienti dai Musei Capitolini, dal titolo Macchine e dei, un ar dito dialogo tra archeologia classica e archeologia industriale; dal 2001 la Centrale Montemartini è una sede distaccata dei Mu sei Capitolini.
centralemontemartini.org
D’arte antica e contemporanea, dimore storiche, edifici di nuova costruzione: sebbene abbiano storie, strutture e finalità differenti, tutti i musei del Paese, nessuno esc luso, stanno affrontando il problema dell’efficientamento energetico, tra soluzioni da adottare nel breve termine per ridurre i consumi e quelle da mettere in pratica nel lungo termine per essere sostenibili. Abbiamo chiesto a presidenti e direttori di nove istituzioni museali italiane di raccontarci quali siano le difficoltà che stanno riscontrando in questa fase e che tipo di iter stiano intraprendendo in vista degli anni a venire.
TIZIANA MAFFEI REGGIA DI CASERTALa Reggia di Caserta ha dimensioni enormi: il solo Pa lazzo Reale ha una superficie di 138mila mq fuori terra e 45mila in terra. Il Parco Reale si estende per 1.230.000 mq. Il Complesso vanvitelliano ha un fabbisogno ener getico molto importante e fa i conti con una struttura progettata tre secoli fa. Per ridurre i consumi, le soluzioni da noi adottate vanno dalla sostitu zione di oltre 3mila lampade a risparmio energetico alla nuova centrale termica con generatori a condensazione di ultima generazione. Ad agosto l’ordine di servi zio – Risparmio energetico e comporta menti responsabili – ha disposto l’obbligo per tutto il personale di assumere in ufficio condotte di attenzione agli sprechi. Inoltre con il PNRR è prevista la realizzazione dell’impianto di irri gazione che sfrutta l’acqua dell’Acquedotto carolino senza l’utilizzo di pompe a energia. reggiadicaserta.cultura.gov.it
LORENZO BALBI MAMBO BOLOGNAL’aumento dei costi dell’energia ha reso ancora più at tuale il tema della sostenibilità energetica e del necessa rio ridimensionamento delle emissioni. Un ar gomento urlato con forza dai giovani di tutto il mondo nei Friday for Future e con cui an che il sistema dell’arte deve fare i conti. Il MAMbo – come tutti i musei AMACI – ha iniziato un percorso di adesione al pro gramma Gallery Climate Coalition partendo da un’analisi approfondita dei propri impatti ambientali volti a stabilire un piano efficace di abbattimento delle emissioni. Nella primavera 2023 uscirà un bando del PNRR su questi temi e il museo ha l’obiettivo di arrivarci con un progetto esecutivo. mambo-bologna.org
GIOVANNA MELANDRI MAXXI ROMAFacendo un confronto con lo scorso anno, ab biamo stimato che, rispetto a quelli di dicem bre 2021, i costi dell’elettricità per dicembre 2022 aumenteranno del 336%. Nell’imme diato, abbiamo predisposto interventi per tamponare l’emergenza, come l’accensione delle luci delle mostre solo negli orari di aper tura del museo (che da novembre saranno ridotti, dalle 11 alle 18). Nel lungo termine, la risposta strategica è nel progetto Grande MAXXI, con la realizzazione di un nuovo edificio multifunzionale e sostenibile, con tetto green e praticabile; la realizzazione di un’area di verde pub blico nella piazza del MAXXI che crei un’isola microclima tica capace tra le altre cose di abbattere la temperatura fino a 6 gradi, migliorando il microclima del quartiere Flami nio; la realizzazione di impianti fotovoltaici di ultima gene razione per produrre energia, che saranno un prototipo per le coperture di edifici di pregio architettonico come quello di Zaha Hadid. maxxi.art
MARTINA BAGNOLI
GALLERIE ESTENSI MODENA
Il problema della crisi energetica non deve offuscare il problema della crisi climatica. Il museo deve farsi portavoce di cambia menti attitudinali nei confronti del con sumo energetico non solo per far fronte a costi proibitivi, ma anche per mitigare gli effetti delle emissioni sul clima. Le soluzioni sono quindi di breve e medio periodo. Nel breve ridurre al massimo i consumi comprimibili (quelli per le persone) attraverso impianti efficienti e regola mentazione delle temperature. A medio termine stu diare metodi per ridurre i consumi oggi ritenuti non comprimibili (quelli per le collezioni) cercando di tro vare parametri meno energivori.
gallerie-estensi.beniculturali.it
COME STANNO REAGENDO I MUSEI ITALIANI ALLA CRISI ENERGETICA? LA RISPOSTA DEI DIRETTORI
CARLA MOROGALLO TRIENNALE MILANOQuello dell’efficientamento e del contenimento dei costi dell’energia è un tema che Triennale si è posta da molti anni per la natura architettonica e funzio nale dello spazio, che è complessa in termini gestio nali. In questo momento critico, ci adegueremo al piano nazionale di contenimento dei consumi, pubblicato a settembre, che prevede una modifica degli orari di accensione degli impianti e delle temperature al pubblico, in relazione alla funzionalità degli spazi. L’elemento da privilegiare è sì il conteni mento dei costi, ma senza compromettere la fruizione del Palazzo da parte del pub blico. Dalla fine del 2023 è previsto, grazie al sostegno del MiC con il Segretariato Regionale, l’avvio di un progetto di riqualificazione di tutti gli im pianti e degli spazi a piano parco compreso l’isola mento dell’involucro. Il lavoro intrapreso è di me dio-lungo termine con l’obiettivo di restituire un Palazzo rinnovato in termini impiantistici e di ge stione degli stessi al fine di ottimizzare il comfort per gli utenti e la conservazione delle opere esposte. triennale.org
GIULIO MANIERI ELIA
GALLERIE DELL’ACCADEMIA DI VENEZIA
Insostenibile la situazione delle utenze, passate da 260mila (I semestre 2020) a 490mila euro (I semestre 2022); grava soprattutto l’energia elettrica per im pianti, collaudati nel 2013, di climatizzazione, basati su fan coil, e illuminazione a incan descenza e alogena. Abbiamo avviato una revisione del sistema di illuminazione con passaggio al led per due nuovi saloni e due sale minori (inaugurate ad agosto 2021 e nella primavera 2022). Inoltre, stiamo promuovendo interventi di miglio ramento energetico, con 1 milione di euro as segnato sul PNRR per procedere con il led, per in terventi sull’isolamento degli infissi e lavori di revisione degli impianti di climatizzazione. In con tempo, è stata avviata un’analisi per individuare dove condurre ulteriori riduzioni. Rimane il problema di essere ospitati in edifici storici, vincolati, dov’è estre mamente complesso intervenire per promuovere si stemi efficaci di isolamento termico, efficientamento o produzione energetica locale come, ad esempio, mediante pannelli solari.
gallerieaccademia.it
JAMES BRADBURNEPINACOTECA DI BRERA E BIBLIOTECA BRAIDENSE
L’aumento dei costi energetici certamente avrà un im patto drammatico sui costi di gestione delle istituzioni statali, ma noi abbiamo iniziato a massimiz zare l’efficienza energetica molto prima della crisi attuale. L’agenda green è entrata nella nostra strategia fin dall’inizio del mio mandato e fa parte della nostra pra tica odierna, naturalmente nei limiti po sti dalla conservazione e il monitoraggio, ovvero senza compromettere le opere. Per esempio tutta la nostra illuminazione è a led da tempo, e questo costituisce già un grande ri sparmio. Inoltre stiamo per sostituire l’impianto di climatizzazione, che contribuirà ulteriormente a otti mizzare i consumi. Infine tre anni fa siamo passati all’acqua di pozzo per risparmiare sui costi energetici. pinacotecabrera.org
CECILIE HOLLBERG
GALLERIA DELL’ACCADEMIA DI FIRENZE
Il problema connesso all’aumento dei costi dell’ener gia elettrica ha assunto un livello di criticità anche per gli Istituti museali, sebbene non annove rati tra i soggetti fortemente “energivori”. La Galleria dell’Accademia di Firenze, nello specifico, ha rilevato un incre mento del costo dell’energia elettrica, negli ultimi 25 mesi, di oltre il 320 %. Un dato allarmante che siamo riusciti ad am mortizzare grazie ai lavori fatti agli im pianti appena ultimati. I lavori che abbiamo affrontato nella Galleria sono stati impostati nell’ottica dell’efficientamento e del risparmio ener getico. Le sale del museo sono state dotate di nuovi impianti di illuminazione con l’impiego di tecnologie di ultimissima generazione a led. Analoga situazione anche per quanto riguarda gli impianti di condiziona mento, completamente ammodernati. Le vetrate sono state rivestite di pellicole: oltre alla salvaguardia delle opere d’arte, il loro utilizzo è mirato anche al mantenimento delle condizioni climatiche. galleriaaccademiafirenze.it
CHRISTIAN GRECO MUSEO EGIZIO TORINO
In questo periodo e fino a fine anno non registriamo al cun aumento nelle bollette. Per la fornitura di energia elettrica e gas avevamo stipulato tre anni fa un contratto a prezzi fissi. Dal primo gennaio però andremo incontro ad aumenti importanti. Abbiamo preventivato che alle tariffe attuali c’è il ri schio di registrare maggiori costi fino a un massimo del 220% del totale pagato sulle annualità. Stiamo analizzando quali leve usare per arginare queste extra spese. L’at tuale assetto impiantistico del Museo, che è stato protagonista di una ristrutturazione im portante nel 2015, si avvale di soluzioni che riducono al massimo i consumi: pompe di calore, geotermia e illu minazione a led. I parametri di temperatura e umidità che devono essere mantenuti in sale e depositi del museo lasciano pochi margini di manovra. Ridurremo la tempe ratura invece negli uffici, prevedendo di spegnere in ora rio notturno riscaldamento e Wi-Fi.
museoegizio.it
VALENCIA: DESIGN, CERAMICA, VERDE. E IL TURISMO INTELLIGENTE
FEDERICA LONATI
Valencia è la terza città di Spagna per popola zione e per sviluppo economico-commer ciale. È una città ricca di storia e di cultura, le cui tradizioni centenarie si riflettono an cora oggi nella creatività dei valenciani e nella loro fiorente industria manifatturiera. La capitale della paella e de Las Fallas – la festa del fuoco, dichiarata Patrimonio immateriale dell’Unesco, che si celebra ogni anno in marzo bruciando nelle piazze gigante schi monumenti effimeri in legno – è una città dina mica e cosmopolita. Vi convivono tre grandi anime: l’antica vocazione commerciale, con le sue vestigia gotiche tardo-medievali come la Lonja de la Seda o la Cattedrale di Santa Maria; il gusto decorativo eclet tico del Modernismo, presente nei Mercati Centrale e Colón, nella splendida Stazione del Nord, ma anche negli eleganti palazzi dell’Ensanche e nelle variopinte casette popolari del quartiere marittimo; infine, lo spirito avveniristico della contemporaneità, simbo leggiato dall’ambizioso progetto di Santiago Cala trava per la Ciudad de las Artes y las Ciencias, com plesso arricchitosi di recente con la nascita del CaixaForum Valencia, centro culturale sorto all’in terno dell’edificio Agorà.
IL DESIGN, UNA VOCAZIONE
DALLE RADICI ANTICHE
Tutto questo, unito a uno stile di vita gradevole, medi terraneo e a misura d’uomo, è valso a Valencia la no mina a Capitale Mondiale del Design 2022, ricono scimento internazionale all’antica vocazione creativa e artigianale della città spagnola, che negli ultimi de cenni ha sfornato personalità di spicco nel mondo dell’architettura e dell’arredamento, dell’illustra zione e del design. “In questi mesi”, spiega Xavi Calvo, direttore della manifestazione, graphic designer e consulente strategico di comunicazione, “abbiamo lavorato non solo per attirare l’attenzione su tutto ciò che si crea e si produce nella nostra regione, ma anche per lasciare in eredità un sistema eco-sostenibile, radi cato nel territorio, nel quale il design diventi uno stru mento fondamentale per migliorare il benessere sociale e lo sviluppo economico”.
CAIXAFORUM ARRIVA A VALENCIA
Per gli antichi greci l’agorà era la piazza centrale della polis, il luogo dove si svolgevano le attività pubbliche, politiche e commerciali. Sono due le agorà presenti oggi a Valencia, di verse per dimensioni ma simili per concezione, entrambe nate per accogliere la gente nel segno della cultura. La prima, a carattere effimero, è l’Agorà sorta nel pieno cuore della città, la Plaza del Ayuntamiento, come epicentro degli incontri di Valencia Capitale Mondiale del Design 2022. Si tratta di un padiglione aperto su tutti i lati, costruito con un intreccio di tubi bianchi in un materiale innovativo, l’MDi, ceramica di riciclo, sormontato da una tettoia intrec ciata a listoni, del medesimo legno usato dagli artisti de Las Fallas. Una costruzione ariosa e leggera, sostenibile e ad alto confort termico, pensata dall’architetto Miguel Arraiz, insieme allo Studio Arqueha, per creare uno spazio parteci pativo e inclusivo, rendendo omaggio alla tradizione arti gianale locale.
Anche CaixaForum Valencia è uno spazio vivo, aperto e in clusivo (persino la bici si può parcheggiare all’interno!). Coincide con la Capitale Mondiale del Design 2022 la ria pertura al pubblico di uno degli edifici più emblematici della Ciudad de las Artes y las Ciencias, l’Agorà di Santiago Calatrava: un’enorme balena d’acciaio – ricoperta di cri stallo e di tasselli di ceramica blu mare – assolutamente vuota e senza precisa destinazione d’uso, che, dal 2009 a oggi, ha ospitato tornei internazionali di tennis ed eventi sporadici. Convertito nel decimo CaixaForum di Spagna (rete di centri culturali gestiti della fondazione bancaria La Caixa), l’Agorà di Santiago Calatrava è rinata grazie al pro getto fantasioso ma efficace di Enric Ruiz-Geli, architetto catalano con lo Studio Cloud9 di Barcellona.
La sfida non facile è stata riempire letteralmente l’enorme spazio vuoto dell’Agorà, dialogando con l’imponente archi tettura di Calatrava, creando un luogo accogliente e fun zionale, pensato per attività culturali, familiari ed educa tive. Il risultato è un paesaggio composto da spazi molto diversi ma idealmente connessi, come gli organi di un es sere vivente. Due sale espositive ipogee, diafane e versatili; uno scalone-cavea, pensato per sostare più che per salire (con prese elettriche per il portatile); una vasta piazza so praelevata dove passeggiare intorno alla Nube, costruzione avveniristica in polimero leggero e semi-trasparente riser vata alle attività scientifiche ed educative; un ristoran te-bar situato in una grotta ricoperta dal più grande giar dino verticale interno d’Europa (700 metri quadrati di verde con 20mila piante); un auditorium per 300 persone, con il tetto esterno di cartone (CartonLab), poltrone tappezzate con tela jeans riciclata e soffitto decorato con tronchi che evocano la natura del bosco (installazione di Frederic Amat). Parte di questo insieme multiforme, eterogeneo e curioso, è anche il padiglione del bookshop e uffici (al piano superiore): una costruzione in mattoni ondulata, che poggia su una struttura in legno ispirata alle palme della costa valenciana ed è ricoperta dalle immancabili pia strelle circolari in ceramica lucida multicolore (di Toni Co lumella).
CaixaForum Valencia ospita infine anche due opere d’arte permanenti: all’interno, la scultura intangibile Arc al ciel di Inma Feminina, che riproduce il fenomeno ottico naturale dell’arcobaleno; all’esterno, invece, la scultura Palafit di Ana Talents, che si ispira alle costruzioni agresti degli ecosistemi acquatici come il vicino parco valenciano dell’Albufera.
caixaforum.org/es/valencia
Il design ha infatti radici profonde nel territorio va lenciano. “Nel XIV, XV e XVI secolo”, aggiunge Xavi Calvo, “dal porto di Valencia uscivano navi cariche di ceramiche e di sete pregiate. Negli Anni Venti-Trenta del Novecento nascono, invece, le prime etichette con immagini disegnate allo scopo di promuovere la ven dita delle arance con una sorta di packaging ante litte ram. I manufatti in ceramica di Manises (centro alle porte di Valencia), decorati con colori vivaci, hanno ispirato il trencadis modernista di Gaudí; mentre il mo saico Nolla, dai tipici disegni geometrici a tasselli colo rati, è stato il primo esempio di grès ad alta prestazione prodotto in Spagna nella metà dell’Ottocento, impie gato per la pavimentazione di case e di edifici pubblici”. Creatività e spirito imprenditoriale sono dunque ca ratteristiche comuni a buona parte della regione di Valencia, dove esiste oggi un numero considerevole di imprese manifatturiere che attraggono designer e professionisti da tutto il mondo. Il comparto dell’ar redamento, per interni e per esterni, è concentrato soprattutto intorno a Valencia città, ma anche a sud, verso Gandía e Alicante, con marchi ormai affermati sul mercato soprattutto internazionale come Andreu World, Gandía Blasco, Actiu, Point e Vondom, ma an
CaixaForum, Valencia.Photo © Miguel Lorenzo
che Punt, Expormin, Mobisa e Lzf Lamps. Tutte que ste, e tante altre imprese, hanno contribuito in ma niera sostanziale alla riuscita delle celebrazioni per la Capitale Mondiale del Design: un evento promosso e sostenuto dalla società civile insieme alle istituzioni locali e nazionali, con la partecipazione dei centri cul turali e del mondo dell’arte.
UNA SMART CITY IMMERSA NEL VERDE Valencia è oggi una delle città europee più attraenti dal punto di vista turistico, dove convivono passato e presente, tradizione e moder nità, arte e natura. Non a caso già dichiarata Capitale euro pea del Turismo intelligente nel 2021 – per la tecnologia applicata alla promozione tu ristica e per essere stata una delle prime città al mondo a misurare e certificare le im pronte idriche e di carbonio del turismo –, nel 2024 è can didata e finalista, insieme a Cagliari, anche per il ti tolo di Capitale verde europea [l’assegnazione del ti
tolo è prevista per il 28 ottobre, N.d.R.]. Il verde è infatti un elemento fondamentale del paesaggio va lenciano, a partire dalla cosiddetta horta – la distesa di orti coltivati che circonda la città e che nutre le sue tavole – ma anche dai Giardini del Turia e dal Parco dell’Albufera. Quest’ultimo è un’oasi di natura, con boschi e risaie, che si sviluppa intorno a un grande lago d’acqua dolce a soli dieci chilometri a sud dal cen tro cittadino, lungo la costa mediterranea.
I quartieri cittadini si sviluppano intorno all’antico letto del fiume Turia, il cui corso è stato deviato negli Anni Sessanta-Set tanta a causa delle continue inonda zioni e che negli Anni Ottanta si è trasformato in un giardino pubblico lungo nove chilo metri, con aree de dicate allo sport e al tempo libero. Que sto serpentone verde, attraversato da 18 ponti antichi e moderni, rap presenta forse la prima opera pubblica pensata con una visione urbanistica sostenibile: architetti e desi gner, capitanati da Ricardo Bofill, autore della se zione che corrisponde alla zona nobile della città, hanno progettato i diversi tratti dell’alveo, creando un paesaggio naturale unico e tipico, con palme e aranci, roseti, stagni e fontane.
A OGNI QUARTIERE IL SUO SPIRITO
Il fascino di Valencia risiede anche nella varietà di stili e di atmosfere che si respirano nei suoi diversi quartieri, che dal centro si estendono fino alla costa marittima. La Ciudad vella, ossia il centro storico con le strette stradine di origine arabo-medievale (un tempo racchiuse fra imponenti mura), mostra i segni di oltre 2mila anni di storia: dalla fondazione romana fino alle architetture del XV, XVI e XVII secolo, l’epoca d’oro di una città fiorente, crocevia di commerci e di culture. Da visitare la Lonja de la Seda, edificio gotico patrimonio dell’Unesco, la Cattedrale di Santa Maria, un coacervo affascinante di stili dall’anomala facciata barocca, quasi borrominiana, dove tra l’altro si con serva anche la presunta coppa del Santo Graal; tra piazze e piazzette, stradine e angoli dal fascino inne gabile, ci sono poi la chiesa di San Nicolás, intera mente affrescata nel Settecento da Antonio Palomino (il Vasari spagnolo), e la chiesa de l’hospital di San Juan, il primo tempio cristiano innalzato a Valencia dopo la Reconquista
La Plaza del Ayuntamiento, con la sua forma allungata e i suoi palazzi in stile modernista e neo-barocco, è lo spartiacque fra la Valencia medievale e quella mo derna, novecentesca, che si sviluppa nei quartieri adiacenti dell’Ensanche e di Ruzafa. Se il primo è la risposta valenciana all’eleganza urbanistica coeva di Barcellona, con i palazzi residenziali lungo la Gran Via e nelle strade adiacenti, alcuni dall’inaspettata stravaganza decorativa, il secondo è il quartiere più bohemien e affascinante di Valencia. A Ruzafa si re spira un’aria frizzante, giovane e creativa: gallerie d’arte, studi di designer, negozi di curiosità e chinca glierie, hotel di design, showroom di ricerca e baretti dal gusto moderno ma informale.
ESISTE OGGI UN NUMERO CONSIDEREVOLE DI IMPRESE MANIFATTURIERE CHE ATTRAGGONO DESIGNER E PROFESSIONISTI.
LA CATTEDRALE DI SANTA MARIA È UN COACERVO
AFFASCINANTE DI STILI DALL’ANOMALA FACCIATA BAROCCA.
IL DESIGN A VALENCIA E DINTORNI
“La luce del Mediterraneo sintetizza lo spi rito del design di Valencia. La sua essenza è legata alle radici culturali e all’artigianato locale, che reinterpreta con un linguaggio contemporaneo e sostenibile. Luce e colori vibranti sono le chiavi di un design affasci nante, con elementi comuni: ottimismo, fre schezza e divertimento”. Teresa Herrero –autorevole giornalista spagnola, che da anni si occupa di architettura e di arre damento – definisce così il design valen ciano. Non è un caso che luce e colore si ano proprio l’essenza dei lavori di Jaime Hayón (madrileno di nascita, ma valen ciano di adozione, cresciuto in Italia alla Fabrica di Benetton), che forse oggi è il più mediatico, esplosivo e internazio nale dei designer spagnoli. Valencia gli dedica in questi mesi la prima grande antologica al Centro Culturale del Car men: la mostra Infinitamente è un diver tente viaggio nell’universo poliedrico e multiforme della creatività contempora nea e nelle infinite declinazioni del de sign, artistico e funzionale.
A Valencia design non è solo industria e arredamento, ma anche processo e servizi, con elementi comuni a molti set tori: dal turismo alla ristorazione, dalla sanità alla moda, dall’ecologia alla gra fica per la comunicazione di impresa.
Per la nomina a Capitale Mondiale del Design il Comune ha voluto istituire, nell’imponente palazzo municipale in stile tardo ottocentesco, neobarocco, una sala di rappresentanza interamente dedicata al design. Il Salone del camino – dagli infissi in legno scuro ma con un magnifico pavimento a Mosaico Nolla (antico grès dai tasselli geometrici mul ticolori) – si è convertito nel miglior stand permanente del design valenciano grazie alla ristrutturazione firmata Cosín Estudio. Gli arredi provengono da cinque aziende insi gnite del Premio nazionale di Design: il tavolo Artitek in vetro di Actiu, le sedie di Point, il divano Element di Andreu World, la libreria Lettura disegnata da Vicente Martínez per Point Robles e le lam pade in legno di LzF Lamps. Alle pareti, la grafica originale e accattivante dei cartelloni de Las Fal las, un segno identitario della creatività valenciana di ieri e di oggi.
Il design contemporaneo a Valencia si sviluppa a partire dagli Anni Ottanta, su impulso del col lettivo La Nave, pioniere nel coworking e rivoluzionario nell’offerta creativa. Dalla Nave provengono Vicente Martínez (al quale la fiera Habitat quest’anno ha reso omaggio con una mostra esemplifi cativa), Marisa Gallén (presidente di VWDC22) e il grafico Pepe Gimeno; con loro, gli studi Culde Sac e Odosdesign rappresentano già la storia della creatività valenciana. Inma Bermúdez, Ramón Esteve (l’architetto del Bombas Gens), Héctor Serrano (Fontanarte, Seletti), Victor Carrasco (Boffi, Glas Italia, Paola Lenti), Jorge Herrera (Flos), o studi come Yonoh, Mut Design, Masqueespacio e Estudi (H)ach di Juan Manuel Ferrero sono solo alcuni dei nomi valenciani che oggi vantano una proiezione internazionale e che spesso collaborano anche con imprese italiane. Il futuro è affidato ai più giovani Made Studio, Clap Studio, Ovidi Benet, Apua Diseño e Pablo Bolumar, che rivendi cano con forza la contemporaneità del design, sempre in bilico fra funzionalità e arte. Iniziative come Mapa del Disseny – piattaforma collettiva e interattiva, in progress, fatta per se gnalare tutto quanto fa design in città –, ADN Cerámico o NollaMap (quest’ultimo dedicato allo studio e alla ricerca di un tipo di rivestimento che dagli Anni Settanta ha interrotto la produzione) sono solo una parte dell’eredità di Valencia Capitale Mondiale del Design per il futuro. Le fiere annuali del settore, infine – Cevisama (fiera della ceramica, in febbraio) e Habitat (fiera dell’arredamento, in settembre) – sono oggi la vetrina privilegiata della produzione valenciana e spagnola, attirando espositori e compratori da tutta Europa. Promuovono un comparto destinato a sostenere a lungo il benessere, anche sociale, di un intero territorio.
Vicent Martínez, Senzu Photo © Juan Martínez LahigueraVALENCIA
PARCO
Il clima cambia di nuovo a mano a mano che ci si avvi cina alla costa mediterranea. La Marina – ex head quarter della Coppa America tra il 2005 e il 2007 – ha ritrovato negli ultimi anni la vivacità perduta fra tingla dos (i vecchi hangar), docks e l’imponente edificio Veles e Vents, progettato da Da vid Chipperfield come centro nevralgico delle regate, oggi trasformato in spazio multifunzione per la nautica, il tempo libero e la ristorazione, con vista privilegiata su porto e spiaggia. Al posto di alcuni hangar distrutti (come quello di Renzo Piano per Luna Rossa) oggi c’è La Lanzadera, acceleratore e incubatore di imprese e start-up che promuove la giovane imprenditoria locale. Il mare e le profonde spiagge dorate di Las Arenas e de la Malvarosa sono la cornice infine del Cabanyal, il ri one marittimo che conserva l’autenticità della vita so ciale valenciana, mediterranea e popolare. Riscoperto di recente anche dai turisti, il valore architettonico di questo quartiere popolare (che nell’Ottocento fu un paesino a sé stante, Pueblo Nuevo del Mar) sta nelle barracas, le casette di pescatori in stile modernista, piene di balconcini e ricoperte di vivaci piastrelle colo rate. Rappresenta la nuova frontiera inesplorata di una città di mare, in bilico fra tradizione e modernità, dove tutto resta immutato per trasformarsi lentamente, ac cogliere lo spirito e le esigenze delle nuove generazioni.
IL VALORE ARCHITETTONICO DI QUESTO QUARTIERE POPOLARE STA NELLE BARRACAS, LE CASETTE DI PESCATORI IN STILE MODERNISTA.
Lonja de la Seda Mercado Central Mercato di ColónMuseo Nazionale della Ceramica Museo delle Belle Arti Istituto Valenciano d'Arte Moderna Bombas Gens Centro d'Arte CCCC (Centre del Carme Cultura Contemporània) Museo delle Scienze "Principe Felipe" Parco oceanografico Agorà MuVIM Stazione Nord Ateneu Mercantil Veles e Vents Ciutat de les Arts i les Ciències Torres de Quart Cattedrale Chiesa di San Juan del Hospital Basílica de la Mare de Déu dels Desamparats Chiesa di San Nicola di Bari e San Pietro martire CIUDAD VELLA RUZAFA
GLI SPAZI DELL’ARTE E DELLA CULTURA
A Valencia si concentrano più di una trentina di mu sei e centri culturali pubblici e privati. La città sor prende davvero per la vasta offerta culturale. Il Museo di Belle Arti, ospitato nell’antico Collegio seminario San Pio V (edificio del 1683), è considerato la seconda pinacoteca di Spagna, dopo il Prado, per importanza delle collezioni di pittura gotica, rinascimentale – nel XVI secolo Valencia fu il porto di ingresso in Spagna delle influenze artistiche italiane del Rinascimento –e della Scuola valenciana dell’Ottocento, rappre sentata da scultori come Mariano Benllure e Igna cio Pinazo e dal pittore Joaquín Sorolla. Il Museo nazionale di Ceramica Gonzalez Martí attrae an che per la magnifica fac ciata barocca, decorata in alabastro, che decora quello che un tempo fu il Pa lazzo del Marqués de dos Aguas. All’interno vi è una vasta collezione di manufatti artigianali prodotti tra il VII e il XX secolo, alcuni autoctoni altri provenienti dalla via della Seta, un omaggio alla tradizione indu striale locale.
L’Ivam, Istituto valenciano d’arte moderna, è il primo museo sorto in Spagna nel 1989 dedicato alle avan guardie storiche e alla creazione contemporanea, e possiede una vasta collezione di opere di artisti con temporanei spagnoli e stranieri, incluse le importanti donazioni di collezioni degli scultori Julio González (1876-1942) e Ignacio Pinazo (1876-1942). Restando
nell’ambito del contemporaneo, vale una visita (anche se si trova un po’ decentrato) il Bombas Gens, centro d’arte situato in una vecchia fabbrica degli Anni Trenta, stile Art Déco, che ospita la collezione privata della Fundació per amor a l’art. 6mila metri quadrati di capannoni dedicati soprattutto alla fotografia e al linguaggio astratto, includono una cantina medievale e un rifugio della guerra civile. Il Bombas Gens ospita anche uno dei ristoranti dello chef stellato Ricard Ca marena, raffinato locale di design firmato dallo Stu dio Francesc Rifé.
Fra i tanti spazi storici recuperati per la cultura, il più suggestivo e interessante è senz’altro il Centro del Carme (CCCC). Tra i chiostri e le sale dell’ex Real Mo nastero di Nostra Signora del Carmen – nel XIX secolo già convertito in Scuola di Belle Arti e Mestieri – si tengono incontri, scambi culturali e mostre d’arte. Come la prima bellissima monografica dedicata al de signer Jaime Hayón (fino ad aprile 2024), evento di punta della Capitale del Design 2022 o la mostra sui vent’anni di Nude, sezione dei giovani designer all’in terno della fiera Habitat.
Attesissima, infine, nei prossimi mesi anche l’aper tura di un nuovo centro privato per l’arte. La Fonda zione Hortensia Herrero, collezionista e mecenate valenciana, sta terminando le opere di restauro del Palazzo Valeriola, edificio barocco in pieno centro storico che si andrà a sommare alla già ampia offerta culturale della città, ospitando mostre temporanee e opere di artisti internazionali come Anselm Kiefer e Andreas Gursky, Georg Baselitz e Anish Kapoor.
FRA I TANTI SPAZI STORICI RECUPERATI PER LA CULTURA, IL PIÙ SUGGESTIVO E INTERESSANTE È SENZ’ALTRO IL CENTRO DEL CARME.
CERAMICA: UN DNA CREATIVO ANTICO E ATTUALE
La lavorazione della ceramica è parte fondamentale del DNA creativo valen ciano, radicato nell’intera regione. Un’e redità che risale all’epoca della domina zione araba e che, durante tutto il Me dioevo, ha alimentato l’economia locale con manufatti di qualità esportati attra verso il Mediterraneo. Tra la fine dell’Ot tocento e gli inizi del Novecento, l’este tica modernista ha decorato con cera mica multicolore e brillante le facciate di palazzi, ma anche balconi, cupole e torrette. Basta varcare la soglia della Stazione del Nord per accorgersi che, a quell’epoca, la decorazione in ceramica degli ambienti comuni raggiunge vette pittoriche inaspettate per un materiale tanto delicato e difficile da lavorare.
A Manises, a dieci chilometri da Valen cia – comune inserito nella lista dei cen tri creativi dell’Unesco –, da secoli si fabbricano piastrelle policrome, dipinte con figure vivaci (amatissime proprio dagli architetti modernisti) oltre a piatti e vasi dai tradizionali riflessi metallici; una ventina le piccole industrie, spesso a carattere familiare, che ancora oggi si dedicano a lavorare la ceramica e a cre are oggetti in porcellana, tramandando di generazione in generazione tecniche antiche quanto complesse.
A nord della regione, invece, tra Villa Real e Castellón, si produce su larga scala la maggior parte della ceramica industriale destinata alla costruzione, con aziende leader mondiali nell’espor
tazione di piastrelle come Porcellanosa e Torrecid. Del resto, il primo grès cera mico ad alta resistenza per pavimenti fu inventato negli Anni Sessanta dell’Otto cento a Meliana, paesino circondato dall’horta valenciana. La fabbrica Nolla – la seconda al mondo dopo Milton, in Gran Bretagna – fino al 1970 ha prodotto i tasselli colorati per comporre gli ele ganti mosaici geometrici che si possono ancora ammirare sui pavimenti di molti palazzi in Spagna e nel mondo, come Casa Batlló di Gaudí, a Barcellona. Nella comunità valenciana esistono oggi ben sette musei della ceramica (compresi il Museo nazionale di Valen cia e quello della città di Manises) e quattro scuole professionali di livello universitario. Per evitare che la ceramica diventi, però, un’eredità culturale a ri schio di estinzione, la direzione di Va lencia Capitale Mondiale del Design ha promosso il progetto ADN ceramico: un’i niziativa tesa a rivendicare il valore e a dare la giusta visibilità alla forma unica di fare design nella Comunità Valen ciana attraverso il legame imprescindi bile con la tradizione ceramica.
“Non si tratta solo di una mappatura digi tale dei laboratori di ceramica presenti sul territorio”, spiega Ana Illueca, artista ce ramista e responsabile del progetto. “De gli oltre 400 esistenti, ne abbiamo per ora selezionati 167 che rispondono agli standard di professionalità e di qualità della produ zione. Le tipologie sono varie: ceramisti tra
dizionali, industriali e artistici; tutti deside rosi di innovare una tecnica lenta, dura e complessa, senza timore di spingersi oltre i limiti della materia per sperimentare nuove forme e nuovi linguaggi. La ceramica d’ate lier, artistica o di design, si è rivelata negli ultimi tempi il motore del cambiamento: la materia prima di qualità ce la fornisce l’in dustria a chilometro zero e noi, nei nostri piccoli laboratori, possiamo sperimentare con maggiore agilità, aprendo nuove strade alle grandi imprese. Oggi tra di noi esiste uno scambio fluido e generoso di informa zioni e di esperienze”.
A Valencia sono infatti in aumento gli ar tisti e i designer che utilizzano la cera mica come mezzo di espressione: la maggior parte lavorano su incarico, per committenti privati, molti si occupano dell’intero processo creativo e quasi tutti vendono attraverso il web. Canoa Lab è una coppia che produce vasi contempo ranei dalle forme archeologiche; Imma Bermudez (premio nazionale di design 2022) non solo è l’unica designer spa gnola che firma per Ikea, ma collabora spesso con i ceramisti della sua città. La stessa Ana Illueca spazia dalla produ zione di vasellame per case di moda (come Hermés o Loewe) fino all’ideazione di rivestimenti ceramici per architetture di interni, il tutto apportando il tocco esclusivo della propria manualità nella produzione di pezzi unici, irripetibili.
adnceramico.comL’arte umanista di Max Ernst
Èuna mostra che restituisce Max Ernst in quanto umanista”, ha proclamato con orgoglio Jürgen Pech presentando l’antologica sul grande artista tedesco al Pa lazzo Reale, da lui curata con Martina Mazzotta. Potrebbe sembrare una definizione generica, ma è invece pregnante: sia perché il nobile con cetto di intellettuale umanista è oggi ingiusta mente inutilizzato e svilito, sia perché questa definizione rende bene l’idea dell’ampiezza del pensiero e non solo dell’opera di Ernst.
L’esposizione dimostra infatti, ripercor rendo tutte le fasi della sua carriera con dovi zia di particolari in senso sia cronologico sia tematico, come Max Ernst (Brühl, 1891 – Pa rigi, 1976) sia stato uno dei grandi intellettuali a tutto campo del Novecento, attraversando in denne, quasi sempre da protagonista, correnti e mutamenti nello spirito del tempo – e soprat
tutto fungendo da elemento federatore per al tri artisti, letterati e uomini di cultura di vario genere.
Tramite l’esplorazione di una figura così eclettica e duratura, si delinea poi anche il ri tratto di un’epoca – il tanto vituperato Nove cento che oggi stiamo iniziando finalmente a leggere in chiave retrospettiva – nella quale all’i dea di “dibattito intellettuale” veniva ancora at tribuito tutto il suo nobile senso, coniugando pensieri (elaborazione teorica a priori ed ex post) e atti (le opere) e costruendo una comu nità intellettuale la più ampia possibile.
ERNST IN MOSTRA A MILANO
Ma andiamo con ordine: la buona notizia è che si tratta di una “vera” mostra su Ernst – ov vero non una rassegna con pochi capolavori e molte lacune, come troppo spesso avviene nelle rassegne dedicate ai grandi nomi, ma un’antologica esaustiva con diversi capola-
vori, prestiti illustri e una qualità generale senza cali di tensione. La scansione della mostra, di stribuita in dieci sezioni, è efficace, acuta ed esplicativa.
Va però detto che, secondo quello che sem bra un tic ricorrente nelle mostre di Palazzo Reale (complice anche la difficoltà intrinseca dello spazio), le opere in ogni sala sono mol tissime e allestite in maniera molto fitta – una struttura forse più adatta a un libro che a una mostra; il catalogo, d'altronde, è molto docu mentato e approfondito. È vero che la vulca nicità e la compresenza di stimoli sono carat teristiche tipiche di Ernst, ma in questo modo si riduce l’impatto di ogni singolo lavoro – ogni opera dell’artista è un mondo a sé che ha biso gno di spazio fisico e mentale.
L’esposizione rimane comunque da non perdere, anche per completezza. Appena en trati ci si trova al cospetto di un pezzo impor tante e di grande impatto, che ben funziona
come “manifesto” di ciò che seguirà: l’Edipo re del 1922 è infatti uno straordinario esempio di Metafisica, ma allo stesso tempo dimostra l’al terità, l’incongruità di Ernst anche quando si “adatta” a correnti e stili.
Inizia poi il percorso cronologico, con le opere giovanili – una sorta di Ernst prima di Ernst – e con le opere influenzate da de Chirico (una “rivoluzione copernicana”, come recita il titolo di questa prima sezione). Altro esempio della fedele infedeltà della quale si parlava a proposito dell’Edipo re è Giustizia o macellaio (1919) che sembra presagire già l’atmosfera successiva. Fatta di misteri ancora più inson dabili e scabrosi di quelli analizzati dalla Meta fisica e dallo stesso de Chirico.
DALL’ECLETTISMO ALL’EROS
La sezione successiva, All’interno della vi sione, introduce a un’altra caratteristica fonda mentale dell’artista, ovvero la sua volontà e ca pacità di mettere a punto o addirittura inventare la tecnica più adatta per esprimersi. Il suo ecletti smo è infatti non solo diacronico, attraversando Dadaismo, Surrealismo e molte altre correnti, ma anche sincronico: ogni singola opera è as soluta perché incenerisce qualunque modalità espressiva preesistente, concedendosi senza paura al rischio dell’artigianalità – ogni volta vin cendo questo rischio e sublimando questa di mensione. E la sezione è anche un primo tuffo nello stile più conosciuto, con i montaggi di im magini che perseguono il metodo delle asso ciazioni (più o meno) istintive. Su questo punto Ernst è ancora una volta pioniere: già negli Anni Venti analizza lo status stesso dell’immagine, la sua sussistenza e la sua decadenza che diven terà palese nella società di massa.
La sezione Eros e metamorfosi è poi un per turbante viaggio nelle ibridazioni proprie dell’ar tista. Non solo l’immagine ma anche l’essere umano è soggetto a una messa in discussione radicale, dovuta tanto agli stravolgimenti della Storia che a peculiari motivi di stampo esisten ziale e psicoanalitico. Conturbanti al massimo grado eppure non privi di ironia, i corpi multi
fino al 26 febbraio 2023
MAX ERNST
a cura di Martina Mazzotta e Jürgen Pech catalogo Electa
PALAZZO REALE
Piazza del Duomo 12 – Milano maxernstmilano.it La festa a Seillans 1964, olio su tela, 130x170 cm. Centre Pompidou, Paris
Musee national d’art moderne / Centre de creation industrielle © 2022. RMN-Grand Palais / Photo Georges Meguerditchian © Max Ernst by SIAE 2022
IN APERTURA / MAX ERNST / MILANONasce a Brühl, in Germania
Inizia a sperimentare la tecnica del frottage
1891
1921 Prima mostra personale a Parigi
1925-26
1931 Prima mostra negli Stati Uniti
1934-35 Realizza le prime sculture in gesso
1937 Conosce Leonora Carrington e le sue opere rientrano nella mostra nazista sull’arte degenerata
1941 Arrivo a New York e matrimonio con Peggy Guggenheim
1946Trasferimento in Arizona e matrimonio con Dorothea Tanning
1953Ritorno in Francia
1954 Riceve il gran premio per la pittura della XVII Biennale di Venezia
1961Retrospettiva al MoMA di New York
1966 Grande mostra a Palazzo Grassi a Venezia
1970Pubblica i suoi scritti
1975 Retrospettive al Solomon R. Guggenheim Museum di New York e al Grand Palais di Parigi
Muore a Parigi 1976
pli di questi lavori sono una dimostrazione di come il Surrealismo dell’artista tedesco non fosse preda di una visione puramente onirica, ma costituito da una mediazione perfetta tra sogno e discorso razionale (ed ecco perché Ernst si può considerare immune da certe de rive del tardo Surrealismo).
E poi il rapporto con la natura, nella sezione I quattro elementi, un rapporto allo stesso tempo panico e razionale, totalizzante e in quadrato in un sistema di pensiero aperto ma senza falle. Esplode qui un altro suo noto pro cedimento tecnico, il frottage, che arriva a in fluenzare anche le opere più puramente pit toriche, e ci si trova davanti paesaggi magma tici difficili da descrivere e figure celebri come quelle del Monumento agli uccelli (1927).
LA RICERCA DI MAX ERNST
Con l’imponente dipinto Un tessuto di men zogne (1959), un inaspettatamente luminoso intrico di figure umane e animali al quale viene riservata una “nicchia” a parte nel percorso espositivo, si apre la parte della mostra che fa scoprire opere e stili meno conosciuti, quelli del secondo dopoguerra. Ci sono paesaggi al teri eppure a loro modo accoglienti degli Anni Trenta, prove semiastratte come Il meteoro logo del 1951, episodi anomali come la libera composizione geometrica di volti intitolata
La festa a Sellians (1964), lavori che si avvici nano (anche se pur sempre in modo persona lissimo) alla temperie informale imperante negli Anni Cinquanta. Fino alle opere “cosmi che” degli Anni Sessanta e Settanta, estrema mente incongrue se analizzate secondo il gu sto odierno, ma “esatte” se contestualizzate nel progetto via via sempre più totalizzante di riappropriazione del mondo e della realtà da parte dell’artista.
Al percorso cronologico si affiancano come detto affondi tematici. Ecco che in settori come quello intitolato Memoria e meraviglia si trova un sunto delle espressioni più famose dell’artista, con opere quanto mai rappresenta tive. Basti citare Pietà o La rivoluzione la notte (1923), altro esempio di Metafisica sui gene ris, L’angelo del focolare (1937), dove i mostri e gli incubi diventano anche testimonianza e denuncia politica sugli avvenimenti che rende vano incombente la Seconda Guerra Mondiale, e L’antipapa (1941), esempio di uno dei periodi stilistici più fecondi.
Ernst umanista, si diceva all’inizio: il che va inteso, alla luce dell’ampio percorso della mo stra, anche nel senso di “ricercatore” inesau sto, mai soddisfatto dei risultati e delle conclu sioni a cui è giunto. Ma che nondimeno costrui sce via via un progetto coerente e granitico pur nella sua estrema apertura e variabilità.
Canova leggendario
CANOVA DA SCULTORE UFFICIALE A “IMBALLATORE”
“Sono stato delle notti senza dormire, e dei giorni molti senza desinare, e sempre, sempre all’estremo convulso”: ma a cosa si doveva tal drammatico stato di Antonio Canova? Lo scultore nel 1815 fu nominato Commissario straordinario da papa Pio VII e incaricato di una missione assai de licata: doveva recarsi a Parigi per convin cere i francesi a restituire il bottino di opere d’arte illecitamente trafugato durante le guerre napoleoniche e ospitato in gran parte nell’allora Musée Napoléon (oggi Lou vre). L’impresa non fu semplice: Canova in contrò l’ostilità di Luigi XVIII e di molta parte dei francesi, che cominciarono a chiamarlo “l’imballatore” e solo grazie all’appoggio de gli inglesi lo scultore/commissario riuscì a far tornare in patria 249 opere (su 506) ca ricandole su 41 carri trainati da 200 cavalli. Tra queste a Bassano sono esposti una straordinaria Deposizione di Paolo Vero nese, il gesso del Laocoonte dai Musei Va ticani, La Fortuna di Guido Reni, ma il pre zioso carico trasportava pure l’Apollo del Belvedere, la Deposizione di Caravaggio e centinaia di altri capolavori.
terracotta documentano la genesi dei lavori, dall’idea al marmo. Per la prima volta è esposta anche una selezione di opere della collezione privata di Canova: sono tele di Moretto da Bre scia, di Valentin Lefévre, ma più di tutti lo scul tore cercava di accaparrarsi degli autografi di Giambattista Tiepolo, una scelta quasi incredi bile per un maestro del Neoclassicismo. Al cen tro della sala si erge una “selva” affollata di gessi, tra cui quelli della Venere Italica e di Ebe, poi busti di divinità antiche e ritratti di personaggi dell’epoca.
Dagli Anni Ottanta del Settecento l’ate lier romano di Antonio Canova (Pos sagno, 1757 – Venezia, 1822) divenne una meta irrinunciabile per i tanti viaggiatori in ternazionali del Grand Tour che percorrevano l’Italia in lungo e in largo. Lo scultore nato a po chi chilometri da Bassano del Grappa era già al lora una celebrità. E non si risparmiava nell’ac coglienza di chi voleva conoscere da vicino il processo creativo grazie al quale realizzava le sue sculture “classiche”, candide ed eleganti. Lo studio di via delle Colonnette aveva una parte
“pubblica” e una privata, riservata solo agli amici più intimi e in cui erano ospitate la collezione d’arte e la biblioteca; qui l’artista disegnava e ideava le opere. Se ci siamo dilungati sull’atelier di Canova è perché la mostra Io, Canova. Genio europeo in corso al Museo Civico di Bassano comincia proprio con una ricostruzione ideale di quel “luogo unico sulla terra”, come lo definì Stendhal. Canova si stabilì a Roma dopo aver vi sitato Ferrara, Bologna, Firenze, Roma e Napoli. Nella Città Eterna frequentò l’Accademia Ca pitolina e le lezioni di Pompeo Batoni: i disegni esposti testimoniano l’intenso studio sui modelli antichi, mentre gessi, schizzi, modellini in
CANOVA DESIDERATO IN TUTTA EUROPA
Accanto alla prima sezione si dipanano gli altri due capitoli del progetto espositivo che può vantare, oltre a circa 140 opere, anche un alle stimento tanto leggero quanto suggestivo. “Ca nova e l’Europa” si addentra negli intensi rap porti tra lo scultore e i suoi committenti. Tutti aspiravano a possedere un’opera del più grande artista vivente, che riscuoteva un successo straordinario soprattutto nel Regno Unito. E se si parla di “tutti”, si comprende anche il re Gior gio IV – possiamo vedere il suo ritratto dipinto
da Thomas Lawrence –, che gli commissionò numerosi capolavori come Venere e Marte. Ma non fu da meno il ricco banchiere Alexander Ba ring – un altro ritratto di Lawrence ne svela le fattezze –, che riuscì a procurarsi ben cinque marmi di Canova. Il dialogo tra committenti e opere è assai intenso, come nel caso della prin cipessa Leopoldina Esterházy Liechtenstein, di cui si espone il monumentale marmo che la raffigura intenta a dipingere e a fianco una sua gouache con un paesaggio fluviale. O an cora, nel caso del Monumento funerario di Cle mente XIII, evocato dal ritratto del papa di Anton Raphaël Mengs, dalla terracotta per La religione cattolica, con relativo gesso, e da vari disegni: il monumento non si può certo spostare dalla ba silica di San Pietro in Vaticano, ma la “ricostru zione” lo rende perfettamente comprensibile.
LUCI E OMBRE SU NAPOLEONE
L’affascinante gioco di rimandi continua nella parte intitolata “Canova nella storia”. Vi si incon tra in primo luogo lui, Napoleone Bonaparte (il bel ritratto è di François Gérard), che ebbe un ruolo cruciale nella fortuna di Canova, nonostante lo scultore si dimostrasse spesso riluttante ad ac cettarne le committenze e ne contestasse sia le mire imperialistiche sia le gravi spoliazioni di opere d’arte italiane. L’artista si recò dal futuro imperatore già nel 1802: qualche anno dopo in viò a Parigi la grande scultura Napoleone come Marte pacificatore, che peraltro non fu parti colarmente apprezzata. Canova fu chiamato di nuovo nella capitale francese nel 1810: ci si recò, ma rifiutò di risiedere a corte, rifiutò la Legion d’Onore e accettò invece le richieste di alcuni tra i più ferventi oppositori del regime. In mo stra fanno capolino le effigi di numerosi espo nenti dell’entourage napoleonico: con l’impera trice Joséphine de Beauharnais, Canova instaurò un rapporto affettuoso e la sovrana, tra le altre opere, gli commissionò le celebri Grazie. Un ul timo viaggio a Parigi si data al 1815, dopo Water loo: con non poche difficoltà riuscì a riportare in patria molte delle opere sottratte dai francesi un aspetto poco noto, ma che completa il profilo di un uomo che non fu solo scultore.
Un’ultima nota. A Bassano manca qualcosa: dall’Ermitage di San Pietroburgo dovevano giungere alcuni importantissimi marmi, men tre dal Museo Nazionale di Kiev era stato con cesso il prestito della Pace. “Allo scoppio del conflitto russo-ucraino, la rinuncia a tali pre stiti è stata inevitabile e convinta. La speranza e l’augurio di tutti è che le opere di Canova dalla Russia e dall’Ucraina possano essere espo ste nuovamente assieme, a testimonianza di nuovi tempi di serenità, di pace e di dialogo”, di chiarano con sincera partecipazione i curatori.
INFO fino al 26 febbraio 2023 IO, CANOVA. GENIO EUROPEO
a cura di Giuseppe Pavanello e Mario Guderzo catalogo Silvana Editoriale MUSEO CIVICO
Piazza Garibaldi 34 – Bassano del Grappa museibassano.it
18 19
18 22 18 28
Da un modello preesistente viene ricavato il gesso della Maddalena giacente (oggi a Possagno)
Il marmo viene finito da Canova e acquistato da Robert Banks Jenkinson, conte di Liverpool e primo ministro del Regno Unito Antonio Canova muore a Venezia
Lord Liverpool muore e le sue proprietà, compresa la Maddalena, vengono ereditate dal fratello Charles
18 52
in basso: Antonio Canova, Maddalena giacente, 181922, marmo, 75x176x84,5 cm. United Kingdom, c/o Francis Outred Ltd. Collezione privata
a sinistra: Antonio Canova, Autoritratto, 1812. Gesso, 74x50x35,5 cm. Museo Civico, Bassano del Grappa
All’asta di Christie’s è prima acquistata dal collezionista Lord Ward e poi da Sir Herbert Smith
19 37 Un grave incendio distrugge la dimora di Smith
19 38
19 59
La scultura, descritta come “Figura classica” e senza autore, passa a Violet van Der Elst, imprenditrice e attivista, che la pone nel suo giardino a Kensington
Le proprietà di Violet van Der Elst vengono vendute e della Maddalena si perdono le tracce
LE AVVENTURE
20 02
L’attuale proprietario la acquista da Garden Statuary and Architectural Items come scultura da giardino per poco più di 5mila sterline
20 22 Marzo. Si diffonde la notizia che quella Maddalena è opera di Antonio Canova
7 luglio. Viene battuta in asta da Christie’s, ma rimane invenduta
Il Museo delle Civiltà di Roma si racconta
Livia Montagnoliun nuovo inizio, che pur tiene conto della storicità delle collezioni in dote, a scandire il futuro del Museo delle Civiltà sullo scacchiere delle istituzioni cultu rali italiane. Il direttore Andrea Viliani ci spiega come e perché.
Che cosa conserva e quali storie racconta il Museo delle Civiltà?
Racconta le storie degli esseri umani su questo pianeta, dalle prime forme di vita a oggi, dal divenire biologico dei viventi nelle epoche definite “preistoriche” al formarsi di molteplici civiltà, restituendoci l’intreccio fra sistemi di pensiero, forme di spiritualità, invenzioni cul turali, organizzazioni economiche e sociali che, nel loro complesso, disegnano la mappa in co stante divenire della storia umana, a sua volta strettamente connessa con quella di tutte le altre specie. È un museo bellissimo, che ci per
mette di conoscere e comprendere meglio il mondo in cui viviamo.
Il Museo delle Civiltà è museo recente, ma con una storia antica. Quando è stato istituito?
Come museo nazionale nasce nel 2016 con l’accorpamento delle collezioni di diverse istituzioni: Museo Preistorico Etnografico “Lu igi Pigorini”, Museo d’Arte Orientale “Giuseppe Tucci”, Museo dell’Alto Medioevo, Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, ex Museo Coloniale di Roma e, in arrivo in comodato a lungo termine, le collezioni dell’ISPRA-Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. È dotato di autonomia speciale e dipende dalla Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura, che ne supporta e ispira il lavoro, come è accaduto fin dal primo giorno del mio incarico grazie all’interlocuzione diretta e continua con il Di rettore Generale Musei Prof. Massimo Osanna.
Il Museo delle Civiltà conserva un’incredibile articolazione di opere e documenti di epoche e provenienze diverse. Un’enorme potenzia lità e insieme una responsabilità, anche nella necessaria ottica di superare i confini del pen siero positivista e della matrice in alcuni casi coloniale che sono all’origine della collezione. Come opererete in questo contesto?
Come tutti i musei, non solo i musei antro pologici – che hanno una responsabilità sto rica e quindi una necessità attuale di rigore e scrupolo maggiori rispetto agli altri, per le mo dalità con cui in molti casi le loro opere sono state prelevate o sottratte dai contesti originari per essere “musealizzate” –, anche il Museo delle Civiltà è chiamato a condividere e met tere in pratica azioni precise in materia di rico struzione del contesto originario e successiva de-contestualizzazione di quanto è presente nelle sue collezioni. Una ricostruzione a 360°
delle “biografie” degli oggetti che deve riser vare la massima attenzione ai cosiddetti “studi sulla provenienza”. Si tratta di un delicato la voro preparatorio che il Museo delle Civiltà sta conducendo da anni attraverso una riflessione compartecipata anche con comunità locali di provenienza degli oggetti, e che ora è integrato anche da 6 nuove Research Fellowship affidate ad artisti contemporanei internazionali già at tivi su questi temi. Solo in base a questo lavoro congiunto e comparato sarà possibile adottare pratiche responsabili nei processi di prestito, esposizione e, nei casi in cui ne emergesse il profilo, restituzione.
In questo senso – e in particolare in rela zione alle collezioni dell’ex Museo Coloniale di Roma confluite nelle nostre collezioni nel 2017 – il Museo delle Civiltà sta contribuendo a de lineare e segue le indicazioni fornite anche dal “Gruppo di lavoro per lo studio delle temati che relative alle collezioni coloniali, presso il Comitato per il recupero e la restituzione dei beni culturali”, istituito per decreto ministeriale nel 2021 e che, dal 2022, vede appunto anche la partecipazione del nostro museo. Va altresì precisato che non spetta però ai musei deci dere su eventuali restituzioni, responsabilità e compito di pertinenza della sfera politica: i mu sei possono e devono preparare nel modo più dettagliato e circostanziato possibile le docu mentazioni inerenti, e sviluppare progetti di ri cerca, espositivi, editoriali che ricostruiscano storie e diano voce ai loro protagonisti, ovvero fare quel lavoro propedeutico e contestuale ad azioni finali e fattuali che non possono che es sere demandate ai nostri referenti politici.
Il Museo delle Civiltà ambisce a diventare un museo antropologico contemporaneo. In
MUSEO DELLE CIVILTÀ / ROMAquale maniera? Un museo come questo può aiutarci a interpretare la difficile congiuntura che stiamo vivendo e ad affrontare le sfide del futuro?
È stato avviato un processo di aggiorna mento anche metodologico che ridefinisce il museo come un laboratorio di ricerca in corso, uno spazio-tempo discorsivo e plurale, critico e autocritico, in cui condividere la riflessione, in nescata dalle nostre collezioni, su tematiche e prospettive fra le più necessarie e urgenti del nostro tempo.
Nell’aggiornamento dei criteri di ricerca e dei metodi di allestimento anche la terminologia proveniente dagli archivi sarà aggiornata, e se sì in che modo?
I musei fanno parte del mondo che li cir conda ed è lì che i linguaggi, come le società, cambiano. Il museo è chiamato a intercettare i cambiamenti se vuole continuare a comuni care. Negli archivi ritroviamo termini storica mente connotati e divenuti estranei alla sensi bilità contemporanea: non si tratta di dismet terli, ma di ragionarci su, insieme.
A quali pubblici vuole rivolgersi il Museo delle Civiltà? E come si evolverà per incarnare pie namente la sua funzione pubblica?
Un museo nazionale è pubblico e quindi si rivolge a tutti. Ma l’obiettivo è duplice: l’au mento dei visitatori e della qualità della visita. Non esiste del resto un pubblico generico, ogni visitatore è unico e il museo deve mettersi in ascolto di chi già lo frequenta, ma anche co municare con chi ancora non lo frequenta. An che per questo un museo deve essere disposto a cambiare, adattarsi, essere più accessibile e comprensibile, e quindi più inclusivo.
LA PROGRAMMAZIONE DEL MUSEO DELLE CIVILTÀ
Il prossimo quadriennio del Museo delle Civiltà sarà scandito da una programma zione inedita, fondata sul processo di radi cale revisione delle metodologie di ricerca e pedagogiche che caratterizza la nuova vita dell’istituto nel ruolo di museo antropologico contemporaneo. Preistoria? Storia dell’An tropocene è il titolo del percorso espositivo che ripensa l’allestimento delle cospicue col lezioni preistoriche del museo per tracciare un racconto dell’Antropocene, tra passato, presente e futuro, contando anche sull’inter vento di artisti contemporanei (a partire dal libanese Ali Cherri e dalla statunitense Elizabeth A. Povinelli).
In parallelo prende slancio un programma pluriennale di Research Fellowship, che in vita sei artisti a esplorare archivi e collezioni del museo per sviluppare autonomi progetti di ricerca utili a ripensare alcune vetrine di slocate lungo il percorso. Intanto, fino al 5 marzo 2023, si visita la mostra di Georges Senga (Lubumbashi, 1983) Comment un pe tit chasseur païen devient prêtre catholique (Come un piccolo cacciatore pagano diventa prete cattolico), a cura di Lucrezia Cippitelli. Il cacciatore pagano in questione è Bonaven ture Salumu, la cui storia ha influenzato la ricerca artistica di Senga, in mostra con un progetto che fa convergere finzione e dati storici per illuminare la complessità della sto ria globale ed esplorare le relazioni pre-colo niali e post-coloniali tra Europa e Africa. Affini sono le intenzioni del gruppo di ricerca inter nazionale istituito per studiare le collezioni di provenienza coloniale confluite in pas sato nel catalogo del museo. Il progetto darà forma, già nel corso del 2023, a un intervento inedito dell’artista Francis Offman (Butare, 1987), installato in via permanente.
MUSEO DELLE CIVILTÀ
Pisanello da riscoprire
AMantova, nelle sale di Palazzo Ducale, si apre un nuovo e definitivo capitolo che contribuisce a dare ri salto a una realizzazione ar tistica travagliata, conside rata dispersa e dimenticata per secoli, e riportata alla luce con esiti sorprendenti ed emozionanti. Si tratta del riallestimento di uno dei cicli pittorici più estesi e importanti della storia dell’arte in Italia, risalente al periodo tardo-gotico e recuperato grazie all’intu izione e alla perseveranza di quello studioso sensibile e determinato che fu il so vrintendente Giovanni Pac cagnini. Il grandioso ciclo di pitture murali di soggetto cavalleresco che Antonio di Puccio, detto Pisanello, eseguì per i signori di Man tova intorno al 1430 fu uno dei ritrovamenti più cla morosi e insperati nell’am bito del nostro patrimonio artistico.
Erano gli Anni Sessanta quando affiorarono le prime tracce; lunghi interventi furono neces sari per liberare questo capolavoro dalle diverse intonacature e ridipinture che si susseguirono nel corso dei secoli e per metterlo in sicurezza, staccandolo dalle pareti e stabilizzandolo su grandi pannellature poi ricollocate sul posto. Nel 1972 Paccagnini poté finalmente, con una me morabile mostra, dare pubblica visione dei risul tati di questa operazione.
MANTOVA CELEBRA PISANELLO
Per celebrare il 50esimo anniversario dell’avvenimento, Mantova dedica a Pisanello una grande esposizione che, prendendo le mosse dal salone del ciclo murale e dall’attigua Sala dei Papi dove campeggiano le sinopie ri trovate sotto le parti affrescate e a loro volta ri posizionate, si snoda poi nel piano sottostante. Con il significativo sottotitolo Il tumulto del mondo, la mostra può contare su un vasto ap parato di disegni e di medaglie di mano dell’ar tista, oltre che di sculture e dipinti coevi che contribuiscono a fare nuova luce sull’ambiente e le vicende di una figura che lavorò per molti anni e in diversi soggiorni alla corte di Mantova
Partiamo allora dalle meraviglie del salone principale, dove ci troviamo circondati da uno spettacolo che, pur tra lacune e cancellature, tra abrasioni e intaccature, appare favoloso e violento, prezioso e brutale: lance che si spez zano, cavalieri caduti che rantolano per terra con le armature infrante, belve che affiorano dalla vegetazione, dame algide e altere che si
GLI ALLESTIMENTI
Concepito per consentire una lettura più comoda e soddisfacente delle pitture murali, il riallestimento del Salone del Pisa nello a Palazzo Ducale può contare su un nuovo sistema di illuminazione e sulla pre senza di una pedana sopraelevata che per la prima volta pone il visitatore a distanza ravvicinata dalle pareti (fino a oggi il pavi mento si trovava a una quota più bassa di ben 110 cm rispetto a quando l’opera fu realizzata). Curioso il fatto che la pedana sia rivestita di bambù: come spiega il cu ratore Stefano L’Occaso, direttore di Pa lazzo Ducale, “il bambù è tanto scelta este tica quanto funzionale, per la sua elevata termotrasmittenza”.
L’intervento permanente nella sala del Pisanello si avvale del supporto alla proget tazione del Politecnico di Milano, polo ter ritoriale di Mantova, con la supervisione di Eduardo Souto de Moura.
affacciano dai padiglioni… Di fronte a questa visione veramente tumultuosa, è impossibile per noi stabilire un centro della narrazione e a stento riusciamo a delinearne lo svolgimento. Sono scene da assaporare con lentezza, da co gliere passo per passo, per potersi soffermare sulla magia dei particolari. Il rapimento che ac compagna la contemplazione dei singoli epi sodi si mescola al rimpianto per le porzioni an date perdute, per le parti scolorite, per le dora ture, le lamine metalliche e i rilievi “a pastiglia” di cui restano solo labili segni.
IL TALENTO DI PISANELLO
Dopo il tumulto e lo spettacolo in piena luce, proseguendo il percorso che scende alle instal lazioni temporanee, ci inoltriamo in ambienti più raccolti, avvolti in una morbida penombra, dove incontriamo altre meraviglie, questa volta isolate e contenute in nicchie.
Dello stesso Pisanello, in prestito dal Museo di Castelvecchio di Verona, possiamo ammi rare la Madonna della quaglia (1420 ca.), un’o pera giovanile, la cui ottima conservazione ci permette di gustare tutta l’abilità decorativa dell’artista nelle bulinature e dorature rilevate, nonché la sua capacità di osservazione scien tifica nel ritrarre piante e uccelli. E poi un al tro suo capolavoro, proveniente dalla National Gallery di Londra, la Madonna con Bambino e i santi Antonio e Giorgio (1440 ca.), ritornata per la prima volta in Italia da quando, nel 1862, venne alienata e prese la strada dell’Inghilterra.
Pier Paolo Pasolini e la fotografia
PIER PAOLO PASOLINI. LE INIZIATIVE A ROMA
La Capitale omaggia la figura di Paso lini attraverso esposizioni e appuntamenti che chiudono l’anno delle celebrazioni nel centenario della sua nascita. Pier Paolo Pa solini. Tutto è santo è il progetto tripartito nato dalla collaborazione tra l’Azienda Spe ciale Palaexpo di Roma, le Gallerie Nazionali di Arte Antica e il MAXXI.
Il titolo è tratto dall’omonima frase pro nunciata dal saggio Chirone nel film Medea del 1969 ed esplora, attraverso differenti capitoli, la “nuova sacralità” all’interno della società secondo Pasolini, che nelle sue opere celebra il mondo del sottoproleta rio in conflitto con l’uomo del mondo bor ghese, razionale e neo-capitalista. La “san tità del reale” è infatti al centro de Il corpo poetico, a cura di Giuseppe Garrera, Cesare Pietroiusti, Clara Tosi Pamphili e Olivier Sail lard, allestita fino al 26 febbraio al Palazzo delle Esposizioni: un percorso ritmato da oltre 700 pezzi tra documenti, fotografie vintage, giornali, prime edizioni di libri, fil mati, dischi, nastri e abiti di scena.
L’immaginario artistico e cinematogra fico dell’intellettuale, invece, viene esplo rato ne Il corpo veggente, a cura di Michele Di Monte, fino al 12 febbraio a Palazzo Bar berini, sede delle Gallerie Nazionali di Arte Antica: il risultato è una sorta di “montag gio” visuale di circa 140 dipinti, sculture, fotografie e libri, tra i temi del sacro e del profano, della storia e della realtà. Infine, al MAXXI, va in scena Il corpo politico, a cura di Giulia Ferracci, Hou Hanru e Bartolomeo Pietromarchi, fino al 12 marzo: i lavori de gli artisti contemporanei rileggono i nodi del pensiero pasoliniano, tra analisi delle di namiche del potere, la genuinità del volgo, l’entrata dei mass media nella società e il ruolo dell’artista come cantore e profeta.
Èstato con tutta probabilità l’intellet tuale più fotografato del Novecento. Figura inafferrabile, amata e odiata, accolta e fraintesa, spesso osteggiata e non di rado strumentalizzata, è ancora ampio il ter reno da sondare rispetto alla vita intensa e all’ar ticolata produzione di Pier Paolo Pasolini (Bolo gna, 1922 – Lido di Ostia, 1975), poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, attore e drammaturgo.
In Friuli Venezia Giulia, una mostra diffusa in due sedi lo fa partendo dal rapporto di Pasolini con la propria immagine, e dall’uso consape vole che fece della fotografia come narrazione polifonica della propria personalità, impossibile da afferrare e definire. Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo presenta il risultato di un’at tenta ricerca filologica, durata anni, della cura trice spagnola Silvia Martín Gutiérrez insieme al comitato scientifico composto da Marco Anto nio Bazzocchi, Davide Luglio e Claudio Marra, il
cui intento è stato quello di scavare nei mondi che ognuna di queste fotografie rappresenta: “Il rischio era quello di rendere Pasolini un’i cona, un’immagine vuota. Questa mostra, in vece, non vuole solo presentare delle ‘belle fo tografie’, bensì indagare i tanti aspetti che an cora non sappiamo di lui”, spiega la curatrice, che ha recuperato le storie di questi tra gli ar chivi, riscoprendo fotografi a volte dimenticati o non ancora adeguatamente valorizzati. Richard Avedon, Herbert List, Henri Cartier-Bresson,
Jerry Bauer, Jonas Mekas, Lütfi Özkök, Erika Ra bau, Duane Michals, Philippe Koudjina, Marli Shamir: sono solo alcuni degli autori che hanno immortalato Pasolini nei momenti più significa tivi della sua vita privata e professionale e in giro per il mondo, assieme ai tanti miti del tempo, come Oriana Fallaci, Dacia Maraini, Anna Ma gnani, Maria Callas, Alberto Moravia, Bernardo Bertolucci, Jean-Luc Godard e persino Man Ray, quando gli propose di disegnare il manifesto di Salò. La mostra, promossa da ERPAC – Ente Re gionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Ve nezia Giulia con il contributo di Cinemazero in occasione del centenario della nascita di Paso lini, è ospitata a Villa Manin a Passariano di Co droipo, in provincia di Udine, che per la prima volta apre uno spazio espositivo separato dal percorso della dimora ottocentesca.
PASOLINI DAVANTI ALL’OBIETTIVO
Pier Paolo Pasolini. Sotto gli occhi del mondo procede nella vicina Casarsa della De lizia, in provincia di Pordenone, in un luogo quanto mai significativo per la vita dell’intellet tuale: ovvero nel Centro Studi che sorge a Casa Colussi, nella casa natale della madre Susanna Pasolini, dove trascorse le sue estati d’infan zia. Ad accogliere il visitatore è il rinnovato al lestimento che racconta il lato più personale dell’autore, nonché l’importanza che il territorio friulano ebbe nella sua formazione artistica. Si va dalle radici famigliari, con fotografie d’epoca, alla sua passione per il calcio – Pasolini era in fatti un tifoso del Bologna –, passando per la produzione poetica in dialetto friulano e quella artistica, grazie alla mostra permanente di di segni e dipinti da lui realizzati in gioventù. All’ul timo piano della casa, invece, prosegue il per corso fotografico, questa volta incentrato sulle case romane di Pasolini, quella di via Fonteiana 86, nel quartiere di Monteverde, quella in via Giacinto Carini 45, da cui nel 1963 si mosse per
stabilirsi nella casa di via Eufrate 9 nel quartiere EUR. Questa volta viene fotografato da Marisa Rastellini, Elio Sorci, Pietro Pascuttini e Jerry Bauer, che ne colgono il lato più domestico e intimo: a fianco alla macchina da scrivere, cir condato da lettere e carte nel suo studio, colto nell’atto di parlare, pensare, posare assieme a sua madre e ai suoi amici più stretti. Pasolini, che nel corso della sua vita non ha quasi mai trattato di fotografia, ne dà la sua personale de finizione proprio nel rapporto con essa: si sot topone costantemente all’obiettivo per rac contarsi, ma allo stesso tempo offre così tante versioni della propria immagine da rischiare di scomparire. Si identifica continuamente con quell’“altro da sé”, in una perpetua fuga da se stesso.
VENEZIA GIULIA
LE MOSTRE CELEBRAZIONE E LA POLITICA CULTURALE
Le mostre celebrative giocano, tenden zialmente, un ruolo cruciale all’interno di ciò che potremmo definire come la narra zione culturale del nostro Paese. Si tratta infatti di una delle componenti attraverso le quali si intende mantenere viva la me moria nazionale relativa a specifici ele menti del nostro passato. Implicitamente, quindi, tali attività sono legate a ciò che si ritiene debba essere percepito come va lore identitario per i cittadini. Una legge del 1997 ha istituito, al riguardo, una Consulta, avente la finalità di individuare le celebra zioni o le manifestazioni culturali di parti colare rilevanza nonché le edizioni nazio nali da realizzare.
Nel dettaglio, i comitati nazionali hanno il compito di promuovere e realiz zare eventi e manifestazioni che ricor dino i grandi protagonisti e avvenimenti della storia e della cultura italiana, mentre le edizioni nazionali rispondono alla esi genza scientifica di garantire la tutela, la valorizzazione e la fruizione del patrimo nio letterario e di pensiero costituito dagli scritti degli autori: tali iniziative assicurano la pubblicazione dell’opera omnia di un au tore (o, in alcuni casi, le principali opere di un gruppo di autori) in edizioni fondate sulla ricognizione e trascrizione critica di tutti i manoscritti.
Si tratta, pertanto, di un tema centrale per la cultura italiana, che spesso non viene debitamente percepito dai cittadini. Se gli operatori sono ben consapevoli dei flussi di finanziamenti legati a tali celebrazioni, spesso i cittadini non sono ben consape voli che l’improvvisa presenza di docu mentari, cartoni animati, mostre, conve gni, spettacoli legati a un tema o a un per sonaggio sia una scelta pubblica. Sarebbe invece importante ribadirne la natura: sce gliendo di finanziare le manifestazioni le gate a un artista, l’Italia ne rivendica l’im portanza nella propria storia, nel proprio tessuto identitario.
Un elemento così importante non do vrebbe restare nel perimetro degli iter bu rocratici. Si tratta, in fondo, di ciò che il no stro Stato dichiara essere importante per la Storia d’Italia. Si dà tanta attenzione allo storytelling e poi, quando c’è davvero una narrazione, la si tiene chiusa in cantina.
Stefano Montifino all’8 gennaio 2023 PIER PAOLO PASOLINI SOTTO GLI OCCHI DEL MONDO a cura di Silvia Martín Gutiérrez catalogo Contrasto VILLA MANIN Piazzale Manin 10 Passariano di Codroipo (UD) CENTRO STUDI PIER PAOLO PASOLINI Via G Pasolini 4 – Casarsa Della Delizia (PN) villamanin.it centrostudipierpaolopasolinicasarsa.itin alto: Pier Paolo Pasolini alla 23a edizione della Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia per il film Mamma Roma, 1962 © Giancolombo-Archivio Giancolombo a sinistra: Pier Paolo Pasolini nella casa di via Eufrate, Roma, 1963 © Gideon Bachmann / Cinemazero
Picasso incontra Chanel a Madrid
del dramma teatrale Antigone di Cocteau, nel 1922, e nel balletto-operetta Le Train Bleu di Sergej Diaghilev (con musiche di Darius Milhaud) due anni dopo, nel 1924. Entrambi respirarono il clima culturale della Parigi delle Avanguardie e dei Ballets Russes, dove non esi stevano confini tra arti visive e moda, teatro, danza e musica ed era lecito sperimentare. Di questo, e di molto altro, racconta la mostra Pi casso-Chanel, allestita al Museo Nazionale Thyssen-Bornemisza di Madrid, uno dei primi grandi eventi inclusi nelle celebrazioni per i cin quant’anni dalla morte dell’artista di Malaga.
L’esposizione è un viaggio nell’estetica de gli Anni Venti, alla scoperta delle influenze tra la pittura di Picasso e la moda di Chanel. A Ma drid sono esposti una trentina di abiti e una cin quantina di tele, disegni e fotografie di Picasso provenienti da musei e fondazioni private di tutt’Europa. Come i due piccoli ma eccezio nali capolavori prestati dal Musée Picasso di Parigi: la gouache su legno Due donne che cor rono sulla spiaggia (la gara) del 1922 – imma gine che Diaghilev volle impressa sul telone di fondo de Le Train Bleu – e Le bagnanti, dipinto nel 1918 e del quale Picasso non si privò mai in vita. Quest’ultimo olio su tela è quasi un sim bolo della mostra, perché ritrae un gruppo di bagnanti in costume con lo stesso stile pratico e sportivo con cui Chanel concepisce, sei anni più tardi, i figurini per il balletto di Diaghilev.
LA MOSTRA SU PICASSO E CHANEL
Gabrielle Chanel (Saumur, 1883 – Parigi, 1971) e Pablo Picasso (Malaga, 1881 –Mougins, 1973) furono praticamente coetanei, vissero entrambi nella Parigi dei folli Anni Venti ed entrambi contribuirono alla na scita dell’estetica moderna. “Chanel sta alla moda come Picasso sta alla pittura”, sintetizzò in maniera efficace il poeta e drammaturgo Jean Cocteau, punto di contatto fra i due. Non si sa se Coco Chanel e Picasso fossero amici nel senso più intimo e profondo del ter mine. Senza dubbio si frequentarono e stima rono reciprocamente, ma soprattutto colla borarono in due occasioni: la messa in scena
Nella prima sezione della mostra, le creazioni di Coco Chanel degli Anni Venti sono accostate a una serie di opere della fase cubista di Picasso. Cappotti a trapezio, cappe senza bottoni e abiti, da giorno e da sera, dalle linee architettoniche fluide e dai toni scuri: bianco e nero, beige, ci pria, marrone o tonalità terrose sono i colori che dominano anche nella tavolozza cubista dell’e poca. Lo stile di Chanel consiste nella scioltezza dei tagli, nell’uso di tessuti “umili”, come il co tone e la maglia di lana prestati dal guardaroba intimo maschile. La stoffa a stampe è al mas simo bicolore, con semplici motivi geometrici o floreali, gli ornamenti in pizzo o i ricami sono essenziali, quasi sempre ton sur ton. Interes sante anche il raffronto visivo fra il collage cubi sta e l’assemblaggio di tessuti e trame negli abiti: il guardaroba si arricchisce di inserti minimali e raffinati, talvolta anche di pelle o di pellicce meno pregiate su colli, balze o polsini, con tocchi di assoluta modernità.
DUE PERSONALITÀ DETERMINATE
Pablo e Coco ebbero entrambi una perso nalità forte, instancabili lavoratori e determi nati nel raggiungere il successo. Si conobbero
nella primavera del 1917, all’epoca del balletto Parade, quasi sicuramente grazie a Cocteau e alla pianista russa Misia Sert. Con loro, un’altra figura fondamentale di quest’affascinate sto ria è Olga Khokhlova, ballerina dei Ballets Rus ses e prima moglie di Picasso. Olga è bella ed elegante, veste Chanel perché ama lo stile mo derno della modista, comodo e versatile. Pablo dipinge Olga senza filtri, rispettando la sua classe naturale e il suo chic informale. Bernard Ruiz-Picasso, nipote dell’artista, ha prestato, per la seconda sezione dedicata alla nonna Olga – madre di suo padre Paulo, primogenito del pittore – alcuni ritratti, tanti disegni, bellis sime foto e un inedito paravento che Picasso dipinse nel 1922 e che compare più volte nelle immagini degli interni di rue La Boétie, a Parigi.
La tappa dell’Antigone coincise per Picasso
con la passione per le antichità greche e ro mane, il ritorno al classicismo e la presenza di grandi corpi che campeggiano sulla tela, spesso donne monumentali seminude av volte in pepli bianchi. Anche Chanel si ispirò al mondo greco arcaico per i costumi (oggi pur troppo perduti) della tragedia di Cocteau, dise gnando per l’occasione i suoi primi gioielli. Pos siamo solo farci un’idea dello stile neoclassico delle sue creazioni attraverso i vestiti di colle zione della medesima epoca, dalle linee squa drate e con inserti metallici.
L’ultima sezione, dedicata allo spettacolo Le Train Bleu, è un ritorno parziale alle cromie in tense, solari, tipiche della Provenza, la regione dove si svolge l’azione: gli abiti di scena sono pura modernità fatta guardaroba, antesignani dello sportswear che non passerà mai di moda.
GLI ABITI DELLA FONDAZIONE TIRELLI TRAPPETTI
I capi firmati Coco Chanel sono l’autentica attrattiva della mostra al Museo Thyssen-Bor nemisza di Madrid, senza nulla togliere all’arte immortale di Picasso. Appartengono perlopiù alla prima fase creativa della modista francese, che tra il 1910 e il 1915 aveva già aperto bou tique a Parigi, Deauville e Biarritz, quest’ultima località frequentata durante la Prima Guerra Mondiale anche dai coniugi Picasso.
“Solo in tempi re centi i capi di moda vintage, del pas sato, si conside rano come pezzi da museo”, spiega Dino Trappetti, pre sidente della Fon dazione romana Ti relli Trappetti, che ha prestato al Thys sen ben dieci ve stiti. “Uno dei no stri abiti presenti in mostra, il vestito nero in crêpe di lana, con cannette e perline”, racconta Trappetti, “fu in dossato nel 1976 dall’attrice Anita Bartolucci in ‘Tutto per bene’ di Pirandello, spettacolo di Romolo Valli. Oggi sarebbe impensabile, considerando il valore inestimabile di questi capi, che tra l’altro necessi tano di una conservazione speciale”.
La Fondazione Tirelli Trappetti nasce per iniziativa di Umberto Tirelli, titolare della celebre sar toria teatrale e cinematografica romana nata nel 1964. Alla morte di Umberto, nel 1990, l’amico e collaboratore di sempre Dino Trappetti ne raccoglie il testimone. Dalla ricca collezione romana, composta da 15mila capi, dal 1750 agli Anni Ottanta del secolo scorso, provengono alcuni dei più raffinati esposti a Madrid. Come il fresco abito a fiori di chiffon con perline bianche o il cap potto ispirato all’Arlecchino di Picasso, in pelle rossa con collo alla coreana e gonna a scacchi rosso-neri. “Appartenevano alla principessa Emilia Altieri”, conclude Trappetti, “nobildonna ro mana elegante e sportiva, che era solita frequentare i ricevimenti alla corte dei Savoia indos sando capi firmati Chanel. Come il bellissimo vestito da sera in garza e filo d’oro, del 1922-24, con lunga coda e delicati ricami a fiori, donato dalla nipote principessa Domietta del Drago”. tirellicostumi.com
TUTTO UN ANNO NEL SEGNO DI PICASSO
In virtù dei recenti accordi bilaterali, Pablo Picasso oggi avrebbe senz’altro il doppio passaporto: quello spagnolo di na scita e quello francese d’adozione (o di re sidenza). Non è un caso che per celebrare il 50esimo anniversario della morte del grande artista sia nata per la prima volta una commissione bi-nazionale, formata da esperti di entrambi gli Stati, guidati dai rispettivi Ministeri della Cultura.
Una task force culturale senza pre cedenti è al lavoro dal 2021 per organiz zare un programma lungo un anno, ricco di eventi in tutta Europa e negli Stati Uniti. Sono 42 finora le mostre in calendario e due i congressi internazionali: sedici le mostre in Spagna, dodici in Francia, sette negli Stati Uniti, due in Germania, due in Svizzera, una nel Principato di Monaco, in Romania e in Belgio. Tra i musei coinvolti nelle celebrazioni ci sono il Prado, il Thys sen-Bornemisza e il Reina Sofía di Madrid, il Guggenheim di Bilbao e quello di New York, il Centre Pompidou e il Musée du Luxem bourg a Parigi, il Metropolitan, l’Hispanic So ciety e il Brooklyn Museum a New York, il Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique a Bruxelles e il MARe di Bucarest. Da non di menticare la partecipazione attiva del Mu sée national Picasso-Paris, che per l’occa sione si è impegnato a fornire più di 500 prestiti, insieme al Museo Picasso, Málaga (città natale) e al Museu Picasso Barcelona, voluto dallo stesso artista e sede perma nente della serie de Las Meninas
Per scelta dell’organizzazione nessuna delle esposizioni in programma è di carattere monografico o retrospettivo. Cia scuna esplora un tema specifico, appro fondisce un aspetto inedito riguardante la vasta produzione di Picasso, l’influenza dei grandi maestri del passato. Altre mostre indagano nelle pieghe della biografia di Pi casso e soprattutto gli incontri con le per sonalità della sua epoca e le tante relazioni controverse con le donne.
Il Musée national Picasso-Paris, infine, celebra l’anniversario con due iniziative speciali: in primavera un riordino, ludico e allegro, della collezione permanente fir mato dallo stilista Paul Smith, in autunno un intervento site specific di Sophie Calle, artista concettuale francese che dialo gherà con l’opera di Picasso e con gli spazi dell’Hôtel Salé.
culture.gouv.fr culturaydeporte.gob.es
RUBRICHE
ARTE E PAESAGGIO
Nel Borgo di Santo Pietro, ai piedi della collina di Cal tagirone in Sicilia, è nato un coraggioso progetto di recupero del territorio. Bosco Colto, ideato dallo stu dio di architettura Marco Navarra, mette in dialogo arte, architettura, scrittura, agricoltura, gastronomia, eco-design e formazione. Il programma si sviluppa a partire dall’idea del Campus territoriale Rasoterra. Imparare dalla selva, che coinvolge oltre cinquanta partecipanti da varie università italiane e costituisce la prima azione del progetto Bosco Colto.
GLI INTENTI DI BOSCO COLTO
Ecologismo, cultura del giardino, rigenerazione dei luoghi sono attività promosse sperimentando idee e materiali diversi, attraverso la pratica dell’autoco struzione. Luogo d’eccezione per queste pratiche e per gli incontri collettivi è la Stazione Sperimentale di Granicoltura, a Borgo Santo Pietro, piccolo centro agrario raccolto intorno ad architetture degli Anni Trenta. Qui si trovano la più importante sughereta d’Europa, ora in stato di semi-abbandono, campi con coltivazioni di grani antichi e specie dimenticate, uli veti e ampie distese di alberi di fichi d’India. In questo luogo convivono due componenti apparentemente distanti: il domestico e il selvatico È la capacità di “coltivare” con uno sguardo nuovo, con l’idea di “prendersi cura” dei luoghi, di creare contaminazioni e dialoghi a tratteggiare la visione che sta alla base di Bosco Colto.
I PROTAGONISTI DI BOSCO COLTO
Il Campus, in forma di Summer School, vede coin volta un’ampia rete di realtà e di associazioni locali, operative su tematiche socio-territoriali e sulla va lorizzazione di risorse dimenticate. Tra queste, luo ghi come l’orto-giardino dell’ex Educandato San Luigi sono stati restituiti alla città attraverso una sapiente operazione di ricucitura e un’apertura visiva (a cura del gruppo Analogique). Così come il progetto di ri pristino di un vecchio vivaio nel cuore del bosco (a cura di Antonio Scarponi Studio Conceptual Devi ces); il recupero di postazioni in disuso per cavalli (a cura di ErranteArchitetture); la lunga tavola per l’im pasto collettivo del pane (ideata da Marco Navarra); le sperimentazioni culinarie del giovane chef Marco Falcone con le farine della stazione di granicoltura; i racconti di LetteraVentidue sono tutte azioni che riportano in primo piano vocazioni rimosse e tra smissione dei saperi. Il bosco di querce da sughero è il luogo del sacro, ma anche del lavoro, delle econo mie, della conoscenza e della socialità. Recuperare il senso dell’insieme, nei frammenti di questo paesag gio complesso e stratificato, è forse la sfida più strin gente dell’intero progetto.
IL MUSEO NASCOSTO
La Fondazione Leonardo Sinisgalli – istituita nel di cembre 2008, a cento anni dalla nascita del poeta lu cano – è frutto di un dialogo tra il Comune di Monte murro, la provincia di Potenza, la Regione Basilicata e la Fondazione Banco di Napoli, indirizzato a un pro cesso di concreta valorizzazione di quella cosmo gonia di storie, intrecci, interessi, studi e ambiti di ri cerca che hanno contraddistinto l’epopea di questo intellettuale radicale del Novecento, nato a Monte murro nel 1908 e morto a Roma nel 1981. Cinque anni dopo un periodo di intenso impegno, na sce la Casa delle Muse, lo spazio in cui convivono dia letticamente tutti i mondi di quello che è stato definito un “Leonardo del Novecento”: dalla poesia alla mate matica, dalla grafica pubblicitaria alla radio, dalla critica d’arte al disegno, dall’architettura al cinema, tutto ciò è in questo spazio che periodicamente ospita progetti, incontri e momenti di riflessione condivisa.
IL MUSEO ISPIRATO A SINISGALLI
Il percorso museale è strutturato in temi e sale con specifici argomenti, mentre un ambiente dedicato alla memoria del padre dell’intellettuale è destinato a mostre temporanee. In quella che era la casa di fami glia – acquistata dal padre di Sinisgalli nel 1920 al ri entro dall’America – è possibile così immergersi in un ambiente denso, che accoglie anche le opere dei suoi amici artisti: da Giulio Turcato a Domenico Cantatore, da Franco Gentilini a Lorenzo Guerrini e Bruno Caruso. C’è poi il Focolare degli affetti, un’altra sezione, intima, capace di esplicitare le connessioni umane attraverso testi poetici, fotografie d’epoca, oggetti e finanche utensili domestici; si prosegue con la biblioteca, oltre 4mila volumi in grado di tracciare le fondamenta degli interessi culturali e artistici di Sinisgalli.
SINISGALLI E L’ARTE
La programmazione è intensa, anzitutto grazie a co stanti visite guidate per scolaresche, turisti, cittadini, offerte gratuitamente dalla Fondazione grazie al per sonale interno, che rende questo spazio una piatta forma di divulgazione attorno al pensiero di Sinisgalli, il quale fu anche un raffinato critico d’arte, parte in tegrante di una linea della poesia italiana che ha fatto i conti con le arti visive (nel suo caso occupandosi di Antonio Donghi, Scipione e tantissimi altri, su rivi ste e giornali). A tal proposito lo storico dell’arte Giu seppe Appella, che gli fu amico, ha scritto che la cri tica d’arte di Sinisgalli oscillava tra “l’elogio violento e la stroncatura sottile”. Sono tante le mostre che si sono susseguite in questo luogo, all’insegna di quella pluralità che Civiltà delle macchine – la rivista fondata da Sinisgalli nel 1953 – ha sempre assicurato ai suoi lettori. E poi c’è Acamm, il sistema dei musei di Aliano, Castronuovo di Sant’Andrea, Moliterno e Montemurro, un consorzio di musei del territorio, con cui in anni re centi sono state organizzate mostre di Guido Strazza, Mario Cresci, Fausto Melotti, Kengiro Azuma, Anto nietta Raphaël Mafai, Assadour.
Lorenzo MadaroCorso Leonardo Sinisgalli 44 fondazionesinisgalli.eu
MONTEMURRO CASA DELLE MUSE DI LEONARDO SINISGALLI
BORGO DI SANTO PIETRO CALTAGIRONE BOSCO COLTO boscocolto.orgCasa delle MuseBosco Colto. Photo Claudia Zanfi
ASTE E MERCATO
And the Bridegroom di Lucian Freud (Berlino, 1922 –Londra, 2011) è una delle opere che di certo resta più impressa nello sguardo di chi ha la fortuna di attra versare le sale della National Gallery di Londra, dove fino al 22 gennaio 2023 è in corso New Perspecti ves, prima grande retrospettiva dedicata negli ultimi dieci anni al pittore tedesco naturalizzato britannico.
LA MOSTRA SU FREUD A LONDRA
A non molti giorni di distanza dall’opening della Na tional Gallery e sempre a Londra, un frammento di quella stessa opera, di non minor fascino, è stato tra i lotti più contesi nella sale room di Sotheby’s in New Bond Street durante la Contemporary Art Evening Sale del 14 ottobre. Da una stima tra i 700mila e il mi lione di sterline, And the Bridegroom (first version, fragment) del 1993 ha trovato un nuovo proprieta rio per quasi 2 milioni di sterline Organizzata dalla National Gallery in collaborazione con il Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, dove la mostra si sposterà dopo la prima tappa inglese, New Perspectives raccoglie oltre sessanta opere realiz zate da Lucian Freud in più di settant’anni di carriera. E di completa adesione e dedizione alla pittura. Dai lavori degli esordi alle più note, enormi tele in cui a essere ritratto è stato l’intero mondo che intorno a Freud gravitava. Personaggi pubblici, dell’arte e non, si sono sempre alternati nelle sue rappresentazioni, con quella resa della carne e dell’umanità dei sog getti che ha conferito all’artista il posto che gli spetta nella storia dell’arte.
LA PITTURA DI FREUD
And the Bridegroom, anche in frammento, ne è solo una delle tante testimonianze. Protagonisti di questa prima versione di un tema più che ricorrente nella produzione di Freud sono Leigh Bowery e Nicola Ba teman, ritratti per anni dal pittore. L’opera prende il titolo da un componimento di Housman, Epithala mium. Un epitalamio, ovvero un canto nuziale che nel mondo antico greco e poi romano celebrava l’u nione degli sposi e la loro futura felicità. La sorte non è stata così generosa invece con Bowery, che morì di AIDS a pochi mesi dal matrimonio con Nicola Bate man nel maggio del 1994. Resta quest’opera, con le altre, a dimostrazione di un legame di amicizia profondo, oltre che testamento di Freud sul valore della pittura che per lui fu sempre quello di “un’intensifi cazione della realtà”.
SOTHEBY’S LUCIAN FREUD
IL LIBRO
Lucian Freud, And the Bridegroom (first version, fragment), part., 1993. Courtesy of Sotheby’s
Manifesto of Fragility è il tema della 16esima Biennale di Lione (fino al 31 dicembre), curata dalla coppia com posta da Sam Bardaouil e Till Fellrath, direttori della Hamburger Bahnhof di Berlino nonché commissari del Padiglione Francia alla Biennale di Venezia 2022.
Due i termini chiave: “fragilità”, intesa non “come un segno di debolezza, bensì come un fondamento dell’emancipazione”; e “manifesto”, che denota un approccio proattivo e performativo nei confronti dei temi trattati e non soltanto di lettura passiva dello status quo. Questo nodo si declina in tre cerchi con centrici: il primo è individuale, incarnato dalla figura di Louise Brunet, donna realmente esistita che di venta simbolo di uno status che si ripropone lungo i secoli e i continenti; grazie alla sua microstoria emerge il legame tra Lione e Beirut, e ciò dà luogo al secondo cerchio, in cui la fragilità si declina nel rac conto di uno specifico periodo della capitale liba nese; infine, il cerchio più ampio assume una dimen sione globale, in cui il tema si relaziona con la pro messa di futuro, con la speranza, con la resilienza.
LA MOSTRA AL MAC DI LIONE
La mostra Beirut and the Golden Sixties, al MAC –Musée d’Art Contemporain, racconta il modernismo della capitale libanese nel periodo compreso tra il 1958, anno della crisi, e il 1975, quando scoppia la guerra civile. Con 230 opere di 34 artisti e oltre 300 documenti d’archivio, si narra come la scena artistica di Beirut fosse “un microcosmo rivelatore di tensioni transregionali più ampie”. Una mostra museale di grande livello, non foss’altro per la quantità e qualità di ricerca che ha necessitato. Disorienta tuttavia un fo cus geo-storico di questo genere, in sé concluso, nel quadro di una biennale d’arte contemporanea. Che si tratti di un trait d’union stimolante e funzionale nel progetto generale dei curatori è chiaro, ma la verti calità dell’approfondimento pare eccessiva. A con fermare questa sensazione di “mostra autonoma”, il fatto che provenga dal Gropius Bau di Berlino (dove è stata allestita fino allo scorso giugno, e Berlino non è così distante da Lione) e che, nel 2023, sarà montata al Mathaf di Doha (dal 19 marzo al 5 agosto).
IL CATALOGO DELLA MOSTRA
A ulteriore avallo dell’autoconclusività di Beirut and the Golden Sixties c’è l’ottimo catalogo pubblicato da Sil vana Editoriale – che firma l’intera produzione edito riale di questa Biennale di Lione. Ricco di immagini, an che dell’allestimento firmato da Andreas Lechthaler e Leendert De Vos, il libro contiene in particolare un sag gio di Natasha Gasparian dedicato a The Trouble with Sex: Surrealism as Style in 1970s Beirut. Fra i tantissimi artisti presi in esame, invece, consigliamo di approfon dire la conoscenza di Huguette Caland (1931-2019), consacrata nell’anno della sua morte da una retrospet tiva alla Tate St Ives ma con grandi potenzialità ancora inespresse, ad esempio, a livello di mercato.
Marco Enrico GiacomelliBEIRUT AND THE GOLDEN SIXTIES
a cura di Sam Bardaouil & Till Fellrath
Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2022 Pagg. 272, € 38 ISBN 9788836652945
silvanaeditoriale.it
Sogni e disegni di una città che rinasce
RIMINI 11 / 12 / 13 NOVEMBRE 2022
con la storica dell’arte Marta Santacatterina
Rimini e la Romagna saranno i territori percorsi dal nuovo viaggio di Artribune Travel, ricco di scoperte, di arte contemporanea e di Borghi trasformati in laboratori creativi. Un percorso esclusivo in cui saremo accolti dagli artisti e dai direttori dei musei
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Veduta dall’esterno del PART, Courtesy PART. Photo © Henrik BlomqvistNUOVO MINISTRO DELLA CULTURA
LO CRITICHEREMO A MODO NOSTRO
Scrivo queste riflessioni il giorno successivo al giura mento del nuovo Governo Me loni. Tenetene conto. L’esecutivo può piacere o meno (a me non piace parti colarmente), ma sembra fatto per du rare, e parecchio. Teniamo conto an che di questo. Teniamo conto insomma che siamo di fronte a interlocutori che sono qui per restare. Tanto vale met tersi in quest’ordine di idee e tirarne fuori il meglio possibile, attuando ap procci costruttivi e riducendo il di spendio inutile di energie determinato dal preconcetto, dalla polemica stru mentale, addirittura dal sarcasmo. In somma, se non ti senti rappresentato dal governo ci sta, ma perché per dere la serietà?
Nulla è impossibile in questa fase, perfino che il governo più a destra che l’Italia abbia mai avuto nella sua storia repubblicana amministri brillantemente le faccende della cultura.
La prima cosa che mi è parsa davvero poco seria è stata il tono superficiale delle critiche a caldo. I vestiti, i colori dell’outfit, le gonne e i pantaloni del giuramento, il surplus di odio verso la parola “merito”. La maggior parte di noi poi ha perduto l’occasione di ta cere, dimostrando di non saper distin guere il termine “sovranità” dal ter mine “sovranismo”. Due concetti piut tosto diversi che però, pur di criticare a casaccio, sono stati mescolati e resi poltiglia a uso di milioni di post social perfetti per generare caos su questioni maledettamente serie. Ci si riferiva alla nuova denominazione del Mini stero dell’Agricoltura, che oggi con templa anche la “sovranità alimen tare”. Pur non sapendo che il tema della “sovranità alimentare”, lungi dall’essere un baluardo protezionistico delle destre, è qualcosa di caro a molti fronti, specie di sinistra, dalla FAO a Slow Food, non sarebbe bastato notare che “sovranità” è un sostantivo pre sente addirittura nel primo articolo della nostra Costituzione?
Se si vuole legittimamente attaccare un governo, rivolgergli critiche scioc
che e prive di sostanza centra semmai l’obiettivo contrario: lo rafforza. Le prime ore non sono state insomma un buon viatico.
Per non cadere in questa trappola cer cheremo di criticare il nuovo Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano a ragion veduta. Sui provvedimenti, sui risultati, sui numeri. Sulla sostanza più che sulla forma. Non in maniera preconcetta, non per gettarla in bur letta, non per fare folklore né per ali mentare il pregiudizio di chi è sicuro che siano calati i barbari. Lo critiche remo se farà errori marchiani, se ce derà a scelte ideologiche, se tornerà in dietro su conquiste fatte negli anni passati per il puro gusto di cancellare ciò che è stato fatto dai predecessori. Ma più che criticarlo per quello che farà, lo incalzeremo per quello che non farà, per l’eventuale immobilismo, per la scarsa personalità, per la troppo limitata forza politica nell’agone del Consiglio dei Ministri. Lo inchiode remo se farà perdere centralità al Mi nistero della Cultura. Sempre restando consapevoli (anzi au spicando!) che tutto questo potrebbe non verificarsi. Che potremmo sco prire in Sangiuliano un ministro effi cace, innovativo, riformista. Nulla è impossibile in questa fase, perfino che il governo più a destra che l’Italia abbia mai avuto nella sua storia repubbli cana amministri brillantemente le fac cende della cultura. È un’ipotesi re mota? Lo è. Ma se dovesse palesarsi, sul nostro giornale troverete la lucidità di individuarla e raccontarla in ma niera onesta nei prossimi anni.
MASSIMILIANO TONELLI
IL ROGO DI DAMIEN HIRST
Leggo che Damien Hirst avrebbe distrutto le sue opere espresse in forma fisico-materiale affidandole alla dimensione telematica. La cosa, da parte dell’artista inglese, non sor prende, l’aveva già rasentata, a cominciare dalla sua prima operazione innovativa, il ricorso alla clona zione di animali. Vero è che quelle opere erano an cora provviste di una ragguardevole dimensione fi sica, ma c’era già il principio della moltiplicazione di elementi standard. Poi è seguita l’impresa di riem pire le tante sedi di Gago sian con una sfilata di dots, molto prossimi alla dimensione dei pixel, uni tà-base del linguaggio in formatico. E poi si sa pure quanto Hirst ami offrire sfilate di medicine, o fitti medaglieri. Insomma, egli ci ha abituato a un abile gioco tra il macro e il mi cro, e dunque non sor prende da parte sua una opzione per intero a favore di un’espressione affidata a piccoli elementi. Più in generale, non sono certo alieno al riconosci mento dei meriti del linguaggio telematico. La visita dei vari siti di artisti o di mostre ha ormai sostituito anche per me la consultazione di Garzantine o di voci dell’enciclopedia Treccani.
Ciò detto e riconosciuto, devo dire che al contrario il mio fiuto di critico militante mi segnala che, per le eterne oscillazioni del gusto, è in atto un movimento di segno contrario, di ritorno alla fisicità del manu fatto dell’arte, ovvero alla pittura, seppure secondo modalità del tutto estranee a forme e modalità tradi zionali. Per il trionfo di un aspetto del genere ho molto lodato la Biennale di Cecilia Alemani, almeno quando si discosta da una vacua celebrazione dei vecchi fasti del Surrealismo e ci dà un efficace pano rama di quanto di meglio in tutti i Paesi del mondo si fa ora in forme vivacemente fisico-pittoriche. Natu ralmente non condanno certo la videoarte, che dopo tutto è proprio un modo per celebrare tutte le buone virtù della sensorialità, nella loro urgenza e presenza incombente.
Se posso aggiungere una piccola testimonianza per sonale, in genere mi faccio mandare da amici e cono scenti le loro foto a base di pixel, ma poi cerco di rica varne degli equivalenti affidati ai colori a tempera. Lascio sul computer come maschere svuotate di con tenuto le immagini ricevute e cerco di rianimarle con l’aiuto della materia cromatica. Ovviamente io non sono Hirst, molto ce ne manca, e dunque la mia po trebbe essere anche una predica condannata a ca dere nel vuoto.
RENATO
Il mio fiuto di critico militante mi segnala che, per le eterne oscillazioni del gusto, è in atto un movimento di segno contrario.
C'é ARTE DOPO L'ATOMICA?
Uno spettro si aggira per l’Eu ropa, lo spettro della bomba atomica. Nel suo Diario di Hiroshima il medico giapponese Michihiko Hachija ricorda il 6 agosto del 1945 quando gli americani sgancia rono la prima bomba atomica: “I loro volti non esistevano più. Occhi, naso, bocca, tutto era stato mangiato dal fuoco, e pareva che le orecchie si fossero liquefatte; non si capiva più quale era il volto e quale la nuca”. Per questo cri mine (impunito) lo storico Daniel J. Goldhagen ha scritto che “Harry Tru man, trentatreesimo presidente degli Stati Uniti, era un assassino di massa”. I giapponesi ormai erano sul punto di crollare e la bomba atomica non aveva alcuna ragione di essere utilizzata. Nel 1965 il giornalista americano Richard Hofstadter osservava che i crimini di Stalin sono serviti per giustificare quelli degli americani. Oggi, la guerra che i russi hanno scatenato in Ucraina – e che la Nato, da parte sua, conduce per procura tramite Zelensky, al quale oltre le armi fornisce pure un accanito ecumenismo dell’odio – sta arrivando a un punto di non ritorno. Lo spettro del nucleare, dopo 77 anni, rischia di materializzarsi.
“Siamo quelli che esistono ancora”, os servava il filosofo della tecnica Günt her Anders nel 1961. Seguendo questa affermazione si può dire che la do manda centrale per l’umanità, ieri come oggi, non è “come dobbiamo vi vere?” ma “vivremo ancora?”, in quanto questo nemico assoluto e glo bale – la bomba atomica, tattica o stra tegica che sia – è il nemico di tutta l’u manità, non di una parte di essa. In ge nere in una controversia ci sono i pro e i contro. Ma come il nazismo e il fasci smo, che per i loro progetti di stermi nio razziale non sono opinioni, ugual mente l’arma nucleare non è un argo mento di controversia. Le discussioni che insistono sulla rinuncia al nego ziato si basano su un solo assunto, che era sorprendentemente quello dei filo sofi Karl Jaspers e Leo Strauss, per i quali “la minaccia totalitaria può essere neutralizzata solo con la minaccia della distruzione totale”, che indirettamente sembra un assist verso Putin. Ma dal momento che la bomba atomica è stata impiegata dagli americani senza che vi fosse una reale giustificazione, questa argomentazione è falsa. E, oggi, riesu
mare questo argomento è un gesto suicida e criminale.
D’altra parte, la mancanza di uno sguardo che si affacci sul mondo con un’ampia prospettiva fa cadere questo sguardo entro i limiti di un orizzonte che coincide con l’egemonia di interessi eco nomici e militari sovra-nazionali. Men tre questo stesso orizzonte almeno do vrebbe coincidere con quello della no stra responsabilità entro la quale dovremmo sapere che potremmo col pire, ma anche essere colpiti. Che l’idea di pace possa essere un termine sospet tato e perseguitato è il segno di una cul tura politica imbecille e paranoica, che vede intorno a sé solo forze demoniache.
E non è da trascurare il fatto che dopo la Seconda Guerra Mondiale siamo di ventati incapaci di pensare politica mente la catastrofe nucleare globale, se non tramite le fiction, a cui abbiamo delegato questo compito, liberandoci di ogni responsabilità verso il presente e il futuro. In altre parole: se la minac cia e la paura deformano, la fantasia – paradossalmente – è realistica Questa minaccia, oggi, non viene dallo spazio, ma dall’uomo. L’arcano della verità riposa solo nelle fiction sulla fine del mondo, facendo dell’immagi nazione un organo della verità. Nel 1946 Breton in una intervista ri
corda che, dopo il lancio delle bombe atomiche a Hiroshima e Nagasaki, gli psicologi americani “davano per inelut tabile e molto vicina una profusione di opere di pura disperazione e di follia”. In effetti, subito dopo molti artisti fe cero della disintegrazione nucleare l’a nalogo della disintegrazione della ma teria dell’arte. Nel 1945 il pittore surre alista Dalí (che volle vedere nel dittatore Franco un camerata surreali sta) dipinse Idillio atomico e uranico, un incubo nucleare dove una testa in primo piano è occupata da un bombar diere che sgancia bombe. Nel 1950 il futurista Depero licenziava un Manife sto della pittura plastica e nucleare, ri vedendo il mito futurista della tecnica, e dove si può leggere che “le meraviglie atomiche e nucleari, le potenze aereodi namiche, subacque, terrene e stratosfe riche dovrebbero far meditare e riflet tere anche i tecnici, gli artefici ed i giu dici dell’Arte e dell’Estetica”. Un anno dopo Enrico Baj e Sergio Dangelo fon davano il Movimento Nucleare. In una conversazione che ebbi con Baj nel 2000, mi riferì che il senso di quel ma nifesto era animato dalla convinzione che le teste degli uomini somigliano a bombe vaganti, pronte a esplodere in determinate circostanze.
Oggi la rassegnazione generalizzata verso lo stato di cose presenti è l’ul tima ideologia, dove alberga beata mente il sogno – parola molto battuta oggi anche nell’arte – che somiglia a un oppiaceo o all’ultima dolce sinfonia prima della fine.
MARCELLO FALETRADopo la Seconda Guerra Mondiale siamo diventati incapaci di pensare politicamente la catastrofe nucleare globale, se non tramite le fiction.
(RE)VISIONI ANZITEMPO
Nel film Nirvana (1997) di Gabriele Salvatores, Paolo Rossi nei panni di Joker elencava so stanze stupefacenti per ogni genere di in trattenimento o per alleviare diverse tipologie di di sagi psichici. Nelle retrovie del quartiere arabo dell’Agglomerato Nord, poi, arrotondava spacciando illegalmente “paranoie”.
ECHOMA
Luca Bertini HYPEATIA Gabriele TosiESPERIENZA MINORATA
Luca Pozzisostiene Tanni nel suo Me mestetica, “lungi dall’essere una corrente artistica, il post-internet è una condi zione culturale generale dalla quale è impossibile tor nare indietro” e con cui è in dispensabile fare i conti, an che quando si parla di ine dite forme di alienazione legate alle professioni culturali. Questo genere di malessere però non è ascrivibile solo a chi opera attivamente nel comparto cultura, la sua diffusione virale imperversa e chiun que faccia uso o sia responsabile di profili digitali individuali o commerciali non è esente.
ANSIA DA DELUSIONE
Roberto PuglieseOggi, forse, nel mondo dell’arte (e non solo) spopole rebbe un farmaco in grado di curare un disturbo an cora privo di un nome scientifico: ovvero il senti mento che si prova quando, pur non avendo ancora visto o partecipato a una mostra, un evento, una per formance, ci si sente respinti per eccesso di infor mazioni sull’argomento o per averne fatto espe rienza indiretta attraverso i social. Come in ogni tera pia che si rispetti, è necessario partire dall’accettazione del problema per poi decidere di af frontarlo e provare a superarlo, quindi senza indugio ho dichiarato pubblicamente di esserne affetto con un post su Facebook. Con mia grande sorpresa ho ri cevuto immediatamente numerosi attestati di vici nanza, svariate ammissioni da chi sostiene di soffrire dello stesso fastidio e so prattutto una lunga se quenza di possibili neolo gismi che descriverebbero la terribile sensazione. C’è chi parla di “esperienza mi norata” rifacendosi all’ac cezione diffusa in Minority Report (Luca Pozzi), chi parla di “ansia da delu sione” (Roberto Pugliese) o di “spoliazione” (Mara Oscar Cassiani), chi si lan cia in crasi di vago sapore anglosassone come “bore dead” (Marco Mancuso), “echoma” (Luca Bertini) o “hypeatia” (Gabriele Tosi) e chi ricorre a ipotetiche parole composte nella lingua madre “abituazione” (Giorgio Sancristoforo) o, infine, il più secco e tran ciante “prenoia” suggerito da Valentina Tanni. Comunque la si voglia chiamare, la risposta massic cia e accorata degli addetti ai lavori ne sancisce l’esi stenza e decreta l’emergere di un problema. Come
SPOLIAZIONE
Mara Oscar Cassiani BOREDEADABITUAZIONE
Giorgio Sancristoforo PRENOIA Valentina TanniAl lettore più accorto non sarà sfuggita la parentela che questa specifica condizione intrattiene con l’am piamente discussa FOMO, acronimo di fear of mis sing out, ovvero la forma di angoscia sociale che na sce dal timore di essere esclusi da una determinata situazione. In effetti tra i suggerimenti ricevuti al mio ingenuo sondaggio ce n’erano alcuni che porta vano in questa direzione, da WOMO dove la “W” stava per wish, a JOMO, nella quale la “J” indica la gioia del non essere inclusi in una eccessiva e sovrabbon dante valanga di informazioni, immagini e pareri non richiesti. La risposta scientificamente più effi cace si trova secondo Massimo Carozzi nella cosid detta TTSS, trend topic saturation syndrome, che già nella nomenclatura rivela il legame con il lessico spe cifico dei social network e non lascia via di scampo all’inserimento nel prontuario delle malattie. Chissà se una sana e consapevole Morestalgia (Riccardo Be nassi) potrà salvarci…
CLAUDIO MUSSOMarco Mancuso
IN CHE DIREZIONE VA
IL MONDO DELLA CULTURA?
Consigli non richiesti per il nuovo Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Quali sono le urgenze del mondo della cultura che la politica deve affrontare? E con quali modalità?
ALESSANDRA GARIBOLDI PRESIDENTE FONDAZIONE FITZCARRALDOMolti sono gli interventi prioritari e urgenti per superare la frammenta zione, i blocchi storici, gli squilibri territoriali, l’inadeguatezza e in compiutezza del quadro normativo in pressoché tutti gli ambiti e settori della cultura. Le 22 azioni del docu mento Cultura è futuro individuate insieme alle maggiori organizzazioni di rappresentanza istituzionali e indi pendenti italiane dei settori culturali e creativi in occa sione delle elezioni del 25 settembre rappresentano una sintesi e un punto di partenza. La condizione primaria per la crescita e rafforzamento della cultura risiede in nanzitutto nel riconoscimento della pluralità di fun zioni sociali ed economiche di cultura e creatività eser citate da imprese, istituzioni pubbliche ed enti del Terzo settore e nel conseguente carattere organico dei provve dimenti da adottare. Non servono azioni emergenziali, ma un insieme coordinato di politiche e di interventi strutturali, corredato di adeguate risorse finanziarie e professionali ordinarie, senza le quali gli investimenti fisici e digitali non potranno avere futuro.
IRENE SANESI BBS-PRO1. Colmare il gap digi tale: la fruizione cultu rale viaggia in maniera lineare, come le nostre capacità di apprendi mento, versus il pro gresso esponenziale della tecnologia. Come colmare allora questo gap? Con il design, le digital humanities e la gamification. 2. Andare verso l’impresa cultu rale: prendere consapevolezza che anche un’istitu zione culturale deve rispondere a istanze gestionali capaci di creare valore (il profitto è un’altra cosa). Da qui discendono processi organizzativi, amministra tivi (pianificazione, controllo, budgeting), di gover nance e comunicativi (plain language, accountability, trasparenza). Fondamentale il riconoscimento delle professioni culturali e l’inserimento di nuove figure negli staff come il fundraiser. 3. Credere nel contem poraneo: la produzione culturale ha un ruolo fonda mentale, al pari di tutela e promozione (funzioni che in genere si rivolgono alla salvaguardia e valorizza zione del nostro passato). Il report Quanto è (ri)cono sciuta l’arte contemporanea italiana all’estero, pro dotto da BBS-Lombard società benefit, ha messo in evidenza l’esigenza di politiche che rendano la produ zione contemporanea un ecosistema, abbattendo le numerose barriere tra pubblico e privato, allegge rendo la burocrazia mettendo in circolo le risorse.
Mi piacerebbe che il nuovo Ministro pro muovesse i valori cul turali dell’Italia, la cui immagine è ricono sciuta nel mondo, e la creatività italiana. Se la cultura rappresenta una oc casione di condivisione del patrimonio cognitivo e creativo, i luoghi della cultura possono alimentare la coscienza collettiva e riattivare costantemente dina miche identitarie e aggregative, implementando con testualmente la capacità attrattiva del nostro Paese. In questo quadro potrebbe essere rivivificato il piano per l’arte e l’architettura contemporanea e lanciato un programma mirato di resilienza per le aree a ri schio del nostro Paese. Scendendo poi nell’agire mi nuto insisterei sulla necessità di formare e motivare ulteriormente il personale nell’ambito del Ministero della Cultura, di coinvolgere le imprese private soste nendole negli adempimenti burocratici necessari e di costruire una maggiore sinergia con enti universitari in cui si fa ricerca e si formano le giovani generazioni.
ANDREA BRUCIATI DIRETTORE VILLA ADRIANA E VILLA D’ESTE MAURO FELICORI ASSESSORE ALLA CULTURA E PAESAGGIO DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNAOccorre completare la riforma Franceschini dei musei, rendendo singolarmente auto nomi quegli istituti che ne hanno la taglia e aggregando i siti e i musei più piccoli ai maggiori, per materia o per area: Capua, Santa Maria, Teano as sieme al MAN o alla Reggia di Caserta, con il conse guente scioglimento delle Direzioni regionali musei. Per i musei più piccoli sperimentare la gestione com pleta da parte di imprese culturali. Confermare che tutte le posizioni apicali delle strutture aziendali della cultura sono a tempo determinato e le si cerca sul mercato del lavoro con selezioni pubbliche. Attuare la riforma del Titolo V della Costituzione attri buendo più funzioni alle Regioni, soprattutto in mate ria di spettacolo dal vivo. Istituire una politica cultu rale dell’Unione Europea orientata allo scambio culturale fra continenti, all’export delle produzioni europee. Aumentare progressivamente l’area delle spese culturali deducibili. Affidare ai Prefetti la deci sione finale sul contenzioso con le Soprintendenze sulle opere pubbliche. Introdurre la contabilità anali tica in tutte le attività culturali pubbliche.
L’ultimo rapporto Io sono cultura racconta un sistema produttivo culturale e creativo in affanno, con una per dita nel biennio 201921 di 3 mld di euro di valore aggiunto (-3,4%, tre volte il valore nazionale -1,1%) e 33mila addetti (-2,3% contro -1,5% nazionale). Una crisi che ha segnato in partico lare il settore dello spettacolo che, anche per via di una base occupazionale caratterizzata da contratti prevalentemente atipici, ha perso 17mila addetti e 1,2 mld di euro (-21,9%). Un andamento che ha eviden ziato problemi strutturali del settore che necessitano, come più volte richiesto dagli operatori, di una vi sione strategica per un comparto che, ricordiamo, dà lavoro a circa 1,5 mln di persone e genera ricchezza per 88,6 mld di euro. A partire da una cornice unitaria per le diverse forme contrattuali settoriali, che co niughi tutele e diritti con le tipicità di un lavoro flessi bile e discontinuo e il riconoscimento delle professio nalità e il rispetto dei minimi contrattuali. Ma soprattutto investimenti a medio-lungo termine per portare cultura d’impresa e di gestione in un sistema fatto ancora da realtà troppo piccole dimensional mente (la dimensione media delle imprese culturali e creative è nettamente inferiore alla media UE), che anche per questo non riesce a innovare e a trasfor mare i suoi talenti in ricchezza e in posti di lavoro qualificati e ben retribuiti.
Al nuovo Ministro una sola cosa vorrei dire riguardo il contempo raneo delle arti visive. Dopo tanti anni di la voro, iniziati negli Anni Ottanta quando l’assenza di musei, fondazioni, programmi di finanziamento e produzione per la pro mozione e la diffusione delle arti sul territorio nazio nale e all’estero dimostrava un disinteresse da parte delle istituzioni, che hanno ritardato se non bloccato la nostra ricerca artistica; e dopo che lentamente, nei due decenni successivi, abbiamo visto nascere quelle istituzioni atte a promuovere le nostre arti, final mente cinque anni fa è stato varato un programma di finanziamento e di promozione che concerta istitu zioni pubbliche e private nazionali in rapporto con analoghe straniere e utilizza anche i nostri Istituti Italiani di Cultura diretti da dirigenti di nuova ge nerazione, più sensibili, consapevoli e responsabili del Sapere che si sta sviluppando nel Paese. Ciò che mi auguro è che non accada, come spesso abbiamo visto, che i progetti proposti e i seguenti finanzia menti vengano tagliati o bloccati per motivi di parte, perché lo sviluppo culturale della Nazione non è espressione di una semplice maggioranza ma della collettività e quello che noi oggi produciamo sarà Pa trimonio per il futuro. L’arte parla per simboli e meta fore che sono il sale del Sapere e quando è stata fer mata si è rivalsa anni dopo confermando che le sue idee erano premonitrici di un cambiamento, che il suo immaginario guardava oltre il pensiero comune.
FRANCO BROCCARDI BSS-LOMBARD
1. Il riconoscimento giuridico, fiscale e con tributivo dei lavoratori della cultura, dell’arte e dello spettacolo. Senza un “lavoro sul lavoro” il settore rimarrà ancora a lungo precario e privo di solidità 2. La formazione di una cabina di regia che sappia coordinare le attività di sostegno, svi luppo e promozione del settore artistico in chiave di promozione dell’arte italiana all’estero e di attrattività degli operatori stranieri per investire in Italia. 3. Le proposte che avevamo scritto insieme a Federculture nel novembre 2021 e che sono ancora inapplicate e va lide: la detraibilità delle spese culturali, l’ampliamento dell’Art Bonus, la puntuale applicazione della legge del 2%, l’abbassamento dell’Iva al 4% sui prodotti cultu rali. A questo aggiungerei la richiesta all’Agenzia delle Entrate di un chiarimento (ovviamente in senso posi tivo) circa l’inerenza dei costi delle sponsorizzazioni culturali che permetterebbe alle imprese di sostenere più a cuor leggero le attività pubbliche e private.
ANDREA CANCELLATO PRESIDENTE FEDERCULTUREIl nuovo governo si sta insediando in una delle fasi più delicate della vita del Paese e per il mondo della cul tura. Sappiamo che il nuovo Ministro si troverà ad affrontare molte emer genze e nuove sfide. Dopo la crisi pandemica il settore culturale si stava avviando verso una pur fragile ri presa, che oggi rischia di essere arrestata dalla nuova crisi innescata dalle turbolenze internazionali. Il mondo delle aziende culturali si trova ancora una volta di fronte al pericolo di una grave recessione per l’aumento dei costi di produzione dovuti alla crisi energetica, per una nuova possibile contrazione dei consumi, con pesanti conseguenze anche per l’occu pazione nel settore. Crediamo per questo che sarà fondamentale che governo e ministero intervengano a sostegno delle aziende per tamponare l’emergenza, ma anche che sarà necessario dare attuazione a quanto già messo in campo nei mesi passati, in parti colare portando a compimento le misure per il settore previste dal PNRR. Inoltre, come già in passato, sotto poniamo al legislatore una serie di proposte per inter venti strutturali, dal nostro punto di vista, necessari e urgenti. Provvedimenti come la detraibilità delle spese in cultura o l’alleggerimento dell’Iva sui pro dotti culturali che andrebbero a beneficio sia delle imprese che delle famiglie, o l’ampliamento di Art Bo nus per supportare il mecenatismo culturale verso tutti gli operatori della cultura da parte di tutti i sog getti privati, affiancati da altri interventi per favorire l’innovazione, la digitalizzazione e nuovi investimenti per sostenere la ripresa e la stabilità delle attività cul turali e creative nel nostro Paese.
compresi
CULTURA A QUALSIASI COSTO
+40%
è tanta voglia di aggregazione e socialità. A ridosso della riduzione delle restrizioni anti Covid, molti titubavano a ritornare nei luoghi di massa: eventi, concerti, teatri, mostre, già la semplice movida cittadina. A parte i giovanissimi – fi siologicamente più incoscienti –, la maggior parte delle persone, proporzionatamente al crescere dell’età, ci hanno messo un po’ a ritrovare il gusto di stare insieme, di stare in molti. Tante le preoccupa zioni percepite e indotte. Questa estate finalmente sono esplose le partecipazioni ai concerti e alle manifestazioni dal vivo di ogni genere. Certamente l’aria aperta ha giocato un enorme ruolo a favore, ma i numeri sono stati incredibili, e devo dire l’emozione collettiva è andata di pari passo. Aumenti a due cifre non solo rispetto alle precedenti stagioni ’20 e ’21, ma soprattutto rispetto al fatidico ’19, ormai considerato lo spartiacque tra il prima e il dopo: AC/DC, che non indicano né la corrente né Cristo, ma il Covid, hélas. La gente, stanca della solitudine e stanca dell’autore ferenzialità del virtuale, è uscita, ha partecipato a quante più iniziative possibili. Aspetto inte ressante è stata l’inedita capacità di spesa. Ancor più che fare riferimento a risparmi dovuti a due anni di “clausura”, le persone non hanno let teralmente badato a spese, in virtù di una nuova centralità dell’intratteni mento dal vivo nel paniere del proprio portafoglio. Lo stesso dicasi per i viaggi e il turismo. I biglietti di ac cesso sono ovunque aumentati, nei concerti musi cali sono diventati molto più cari che in passato.
LA RINASCITA DEGLI SPETTACOLI DAL VIVOGENNAIO LUGLIO 2022:
mln
in confronto allo stesso periodo del 2019
ROMA MILANO VERONA2 mln 1.5 mln 600K
AssomusicaQuesto non ha evitato il sold out di tantissime mani festazioni. Aspetto socialmente incredibile e stu pendo.
TICKETTICKET +40%
compresi quelli di spettacoli rinviati nel 2020 e nel 2021
in confronto allo stesso periodo del 2019
All’inizio i rincari erano giustificati dagli organizza tori col contingentamento, ovvero far quadrare i bud get con un numero inferiore di biglietti, questo ormai – per fortuna – non c’è più. Nonostante ciò il prezzo dei biglietti è continuato a salire, per i grandi con certi musicali è apparentemente proibitivo. Le tour née estive di musica pop e leggera avevano prezzi esorbitanti. Ma la voglia di vivere è talmente tanta, veramente, che le persone hanno destinato ai con sumi culturali, in senso vasto, parti significative del proprio reddito. Turismo e cultura all’aperto: que ste sono state le parole chiave dell’estate 2022. Il fenomeno positivamente testimonia che, per quanto siamo nell’era della socialità digitale (e co munque gran parte degli spettatori trascorrono molto tempo a riprendere e trasmettere in diretta sui social l’evento a cui sta partecipando), le persone hanno bisogno della vita vera, potremmo dire… a qualsiasi costo.
Le persone hanno destinato ai consumi culturali, in senso vasto, parti significative del proprio reddito.
ARTE CONTEMPORANEA E RELIGIONE: UN DIALOGO POSSIBILE?
La frattura tra arte contempo ranea e religione ha radici lontane. Avviata nel Rinasci mento diventa definitiva con Rivoluzione francese. Nel 1965 Papa Paolo VI, in chiusura del Concilio Vati cano II, esorta a ristabilire l’alleanza durata oltre un millennio. Da allora questa esortazione è stata spesso citata ma è rimasta nei fatti lettera morta. Certo, opere commissionate da reli giosi ad artisti laici non sono mai man cate: Matisse, Cocteau, Rothko, lo stesso Warhol: a partire da Jac ques-Louis David, è lungo l’elenco di artisti che si sono dedicati all’arte reli giosa... per convenzione. Dallo scorso ottobre nel Duomo di Co senza, sono esposti 16 arazzi eseguiti su commissione da Fabre e Beecroft, La Pietra e Pistoletto, Toderi e Arienti, Bettineschi, Ciacciofera, Gallo, Gold schmied & Chiari, Hirsch, Orrico, Pirri, Presicce, Stampone e Vedova mazzei. Un’apertura del genere costi tuisce una novità: non siamo di fronte a una delle mille chiese sconsacrate dove si tengono allestimenti effimeri. Gli arazzi commissionati per comme morare gli 800 anni della Cattedrale diverranno permanenti. Qualcosa si è di nuovo messo in moto? Alessandro Beltrami (brillante penna critica del quotidiano Avvenire) nel suo bel saggio Sacro cristiano: quattro equi voci per una critica informata tuttavia pone in evidenza una serie di nodi irri solti. Ad esempio l’equivoco tra “imma gini cristiane” e “immagini di deriva zione cristiana”. Scrive: “La Crocifis sione (1941) di Guttuso non è un dipinto sacro ma piega il soggetto religioso a metafora. […] diventa denuncia della violenza e del sopruso nella storia”. E Guttuso non è un’eccezione, anzi. Nel campo della “metafora laica” rientrano gran parte delle crocifissioni dipinte nel Novecento. A partire dalla Crocifis sione (1912) in cui Emil Nolde prova a rappresentare non la particolare soffe renza di Gesù, ma quella fisica univer sale. Così, nel Cristo di San Giovanni della Croce, Salvador Dalí dà sfogo alle sue personali visioni (paranoiche?), mentre è un’accusa diretta nei con fronti dell’utilizzo colonialista della re ligione quella di León Ferrari ne La ci vilizaćion occidental y cristiana (1964), dove Gesù è crocifisso a un caccia bombardiere.
La riduzione dell’immagine sacra a dispositivo è stata frequentissima. Pensiamo all’Ultima Cena di Leonardo. In Last supper (1986) Warhol utilizza l’affresco di Leonardo come dispositivo altrettanto popolare di quello di un lu cido da scarpe. Jesus is my homeboy (2003) di David LaChapelle è un dispo sitivo collocato questa volta nel mondo del fashion che il fotografo americano frequenta da sempre. Più di recente è arrivata un’Ultima cena (2022) in NFT, opera di Giuseppe Veneziano: che si tratti di Leonardo, Raffaello o Botti celli, per Veneziano il repertorio dell’iconografia cristiana fa parte delle forme della storia dell’arte occidentale da cui attingere senza alcuna differenza.
Una riflessione va fatta infine a partire dall’Estasi di Santa Teresa di Bernini. Alla Controriforma e al Barocco è im possibile negare una straordinaria se rie di evoluzioni rispetto al dettato pre cedente. Nella scultura di Bernini, Dio si rivela attraverso il fremito di un corpo femminile, fremito in prece denza negato all’icona assoluta del cri stianesimo, la “misteriosa” Maria che vergine dà alla luce un bambino. Di viene quindi naturale interrogare opere prodotte da artiste contempora nee. Ad esempio l’arazzo preparato da Debora Hirsch per la Cattedrale di Co senza: qui un corpo maschile giacente con il petto scoperto viene raggiunto da un raggio proveniente dall’alto. Al centro della composizione giganteggia una forma organica interpretabile come un fiore o una vagina. Nessuno ha eccepito… Il dialogo si è dunque avviato? Ma è davvero possibile? Il Concilio Vaticano II ha presentato il “sacro cristiano” nella sua versione più aggiornata: lo ha definito come “relazione” di una co munità, superando l’impatto neoplato nico che faceva dell’arte uno stru mento di traino verso il soprasensibile. Anche questa versione non supera tut tavia il nucleo essenziale della que stione. La religione giudaico-cristiana è una verità rivelata, e perciò assoluta, incontrovertibile. L’arte contempora nea nelle sue migliori espressioni è uno stato di grazia capovolto: è inda gine, scavo, dubbio, forse disperazione. Spesso senza consolazione.
ALDO PREMOLIA SCAMPIA C'é UNA NUOVA SEDE DELL'UNIVERSITË (MA SEMBRA UN CARCERE)
SLunedì 17 ottobre a Scampia ha inaugurato il nuovo com plesso della Federico II, in co struzione dal 2006: nell’edifi cio si terranno i corsi di Laurea Trien nale e Magistrale per le professioni sanitarie della facoltà di Medicina e Chirurgia. Si tratta di un’importante apertura dell’università alla periferia nord – una delle periferie più difficili di Napoli –, voluta fortemente dall’ate neo e, spiritualmente, da tutta la città. È evidente quanto la decisione di rea lizzare una sede universitaria proprio dove sorgeva la Vela H – demolita nel 2003 – sia un tassello cruciale per la ri nascita di un territorio che è diventato tristemente noto attraverso le stagioni della serie Gomorra, nelle quali questi luoghi, privi di servizi e di attrezzature di qualità, sono stati dipinti come il re gno incontrastato della camorra: lande senza speranza, senza nient’altro che crimine e degrado. Ma, al netto dell’im menso potenziale umano e della pre senza, a Scampia, di innumerevoli as sociazioni che forniscono un aiuto con creto a chi rischia di finire nella rete del Sistema, è pur vero che il quartiere sconta una pena che, Gomorra o meno, è un’ipoteca sul futuro di chi ci vive. E per dare un giudizio sul lavoro com piuto da Vittorio Gregotti – l’archistar novarese scomparso nel 2020, autore dell’edificio – è necessario fare un passo indietro e osservarne più da vi cino il sito. Perché, con buona pace di chi, giustamente, domanda una mag giore scolarizzazione per le periferie, bisogna anzitutto prendere atto della correlazione profonda tra il senti mento antisociale che qui monta e i quartieri dormitorio, parti immense di una città matrigna che innescano una implacabile voglia di rivalsa: zone che cadono a pezzi, progettate male e co struite peggio, magari spendendo quattro soldi, mai pulite o manutenute, che giacciono abbandonate, inascol tate, sommerse dal pattume. Sono po sti feriti, dolenti, dove la dignità di chi ci abita è violentata fin dalla na scita. Perché ciò che vediamo, ciò che ci circonda e con cui interagiamo attra verso lo sguardo fin da bambini, non è affatto una faccenda secondaria. Al contrario, riguarda direttamente il modo che sviluppiamo di percepire noi stessi, il posto che il mondo ci suggeri sce – ci obbliga? – di occupare, proprio
come un imprinting: in questi anni le neuroscienze hanno dimostrato che i luoghi hanno il potere di influenzare direttamente la psiche e dunque il comportamento umano; non è difficile allora immaginare che ciò che ci acco glie – e tanto più ciò che non ci accoglie affatto o, addirittura, ci respinge – è la prima delle ricchezze o delle condanne che il mondo ci offre.
La questione è ancora più critica per le aree pianificate e realizzate negli ul timi sessant’anni secondo gli standard dell’edilizia popolare, complice una cultura architettonica forse ingenua, forse un tantinello rigida e autoritaria: edifici concepiti con l’idea di ripren dere la struttura dei palazzi storici e che, però, privi di storia, di stratifica zione e complessità, semplificati all’osso, realizzati con materiali sca denti e ingigantiti per mille, finiscono per somigliare a delle prigioni. Delle prigioni calate sul terreno dall’alto, secondo geometrie astratte, mecca niche, elementari ma gigantesche, che producono spazi esterni inelutta bilmente distopici, mai raccolti, sem pre alienanti; l’opposto di quelli ricchi di variazioni, compatti e intimi dei no stri splendidi centri urbani. Perché in fondo è questo il senso di ciò che co munemente chiamiamo bellezza a pro posito di città e architettura: la capa cità di essere concavi, come un abbrac cio, cioè di innescare incontri, di farci sentire a nostro agio, di invogliarci a sederci su una panchina a darci un ba cio o a scambiare due chiacchiere; e ciò accade non per caso nelle piazzette di pietra tutte storte e pullulanti, nelle stradine strette piene di alberi, tavolini e bancarelle.
E qui veniamo alla nuova sede della Fe derico II. L’università per Scampia, l’u niversità che si apre alla periferia, forse avrebbe dovuto essere organismo davvero capace di invertire la ten denza, di lenire l’abbandono che si sente addosso girando le stradone a trenta corsie lontane anni luce dalle mastodontiche facciate residenziali fi glie di una tenebrosa catena di mon taggio. Un’architettura che finalmente accoglie i luoghi del suo intorno, che sceglie di proteggerli, di colmare e ri scaldare i vuoti siderali che una conce zione un po’ troppo idealista – ideolo gica? – dell’architettura ha prodotto, indisturbata, per decenni. E, invece,
Gregotti, che proprio di quella conce zione è stato alfiere per tutta la vita, ha progettato per Scampia un torrione se vero, cupo, pesantissimo, che s’innalza tra i poveri palazzi sparpagliati intorno come un fortino sulla terra conqui stata e appena rasa al suolo.
Vittorio Gregotti ha progettato per Scampia un torrione severo, cupo, pesantissimo, che s’innalza tra i poveri palazzi sparpagliati intorno come un fortino sulla terra conquistata e appena rasa al suolo.
Anziché dare corpo a una università ospitale, l’architetto di Novara rea lizza una vera e propria roccaforte, usando quella che, tra tutte, è la geome tria meno relazionale: il cilindro, sem pre convesso, sempre altero, sempre chiuso e respingente. Come se, non senza una punta di sadismo, si dicesse “dove sorgeva la fortezza della camorra, ecco, adesso sorge la fortezza della cul tura”. E così, la sensazione che si ha passeggiando intorno alla massiccia torre panottica è quella di stare perpe tuamente all’esterno, in quella che, se prima era una periferia priva di un de gno spazio urbano, adesso è un carcere a cielo aperto, tenuto costantemente sotto controllo come la Terra di mezzo sorvegliata dalla torre di Sauron. E dentro? La sensazione non cambia di una virgola, anzi si rinvigorisce: l’im menso eppure opprimente atrio cilin drico è una mitragliata di microscopi che finestrelle quadrate, proprio come quelle delle celle di un penitenziario di massima sicurezza. Il coerente spazio interno di un edificio che – se avessimo ancora qualche dubbio – arriva come una sentenza della Cassazione a con dannare Scampia all’ergastolo. Tra dendo una visione di istituzione – e dell’istruzione e della formazione –che poco sembra avere a che fare con le idee di accoglienza, dialogo e, dun que, di democrazia.
MARIO COPPOLAL'ADESIONE DELL'ARTE AI VALORI DELLA CLASSE DOMINANTE
Il punto, in fondo, è sempre quello: l’abbandono graduale, nell’arco degli ultimi tren ta-quarant’anni, della working class a favore della borghesia, delle classi pri vilegiate. Questo abbandono è avve nuto non solo a livello politico-econo mico ma anche (e forse soprattutto) a livello culturale. È infatti l’intero im maginario che è stato riorientato verso valori e istanze che possiamo definire appartenenti al mondo “agiato” – o, meglio ancora, “fighetto”.
L’arte contemporanea, in questo senso, è assolutamente paradigmatica (proba bilmente anche più, per esempio, della letteratura e del cinema, o della mu sica). Infatti, dopo le grandi rivoluzioni linguistiche degli Anni Sessanta e Set tanta – rivoluzioni che però nel lin guaggio riflettevano fedelmente e tal volta anticipavano le grandi trasforma zioni sociali del periodo –, la fase “regressiva” che inizia tra fine Anni Settanta e primi Anni Ottanta è pesan temente influenzata dal mercato ar tistico (non a caso, insieme a molta pit tura neoespressionista, alcune delle opere-simbolo di questa fase sono rea lizzate da un artista che era stato fino a un attimo prima yuppie e agente di borsa, e che trasferisce in campo arti stico questa consapevolezza).
Il sistema dell’arte contemporanea inoltre, così come lo conosciamo oggi, nasce sempre tra fine Anni Sessanta e inizio Anni Settanta (con la fondazione delle fiere e di nuove riviste, e la riorga nizzazione di gallerie e grandi eventi espositivi), ma è tra Anni Ottanta e No vanta – con l’avvento della globalizza zione – che la determinazione del va lore economico arriva a precedere in molti casi quella del valore culturale. Invertendo così un processo che, tutto sommato, pur con le sue criticità, aveva una sua logica.
Si afferma dunque definitivamente il modello dell’artista-imprenditore di successo, che porterà subito dopo a quello dell’artistar. E questa transi zione influenza in profondità anche il territorio dell’opera, non solo per quanto riguarda la dimensione della ricezione e della fruizione, ma proprio in quella – molto più delicata e com plessa – della sua ideazione e produ zione (cioè quella che una volta si chia mava la “creazione”).
Anche per questo, molto velocemente
le opere d’arte si adeguano ai mecca nismi interni della comunicazione pubblicitaria. Basta analizzare anche solo superficialmente, da questa pro spettiva, i lavori di molti autori appar tenenti alla Young British Art (primo fra tutti, ovviamente, Damien Hirst); oppure confrontare alcuni dei lavori Anni Novanta di Maurizio Cattelan con, per esempio, le campagne pubbli citarie realizzate da Oliviero Toscani per Benetton nello stesso periodo.
Rifiutare l’idea stessa che le opere d’arte abbiano un potenziale trasformativo, che servano quindi a influenzare concretamente la storia.
L’opera deve essere immediatamente accessibile, deve “comunicare” (piutto sto che “esprimere”), deve fare appunto “sensazione” (Sensation). È chiaro che un dispositivo di questo tipo – desti nato a durare peraltro ben oltre i limiti temporali del decennio, e anche oltre l’11 settembre 2001 e la crisi finanziaria del 2008 – si porta dietro tutta una se rie di riflessi e di corollari. Intanto, sebbene molta produzione ar tistica a partire dai primi Anni No vanta riprenda esplicitamente stilemi e forme dell’arte concettuale e povera e
postminimalista storica, al punto da presentare in moltissimi casi il po stconcettualismo internazionale come una sorta di revival del radicalismo ar tistico del dopoguerra, a ben guardare generazioni diverse di autori ripren dono, per così dire, solo i “gusci” di quelle opere seminali, attardandosi sulle forme artistiche (come avrebbe detto Artaud), ma escludendo ed espungendo accuratamente ogni af flato utopico, ogni complessità in terna e anche inevitabilmente ogni contraddizione e ambiguità originaria. Le conseguenze di questo atteggia mento durano, e le possiamo consta tare, ancora oggi.
Il nucleo di questa disposizione consi ste di fatto nel recidere il legame tra opera e realtà, cioè nel rifiutare l’idea stessa che le opere d’arte abbiano un potenziale trasformativo, che servano quindi a influenzare concretamente la storia (vale a dire: i cervelli delle per sone), e nel rinchiudere l’opera stessa nel recinto angusto della decorazione. Cioè della finanziarizzazione: i due termini-concetti infatti indicano, e sono, la stessa cosa.
CHRISTIAN CALIANDROPOLARE MULTIPOLARE UNIVERSALE: DOCUMENTA E FENOMENI SIMILI
IN FONDO IN
Succede quasi sempre. Che sia una cena formale, o una rim patriata tra amici, a un certo punto ecco che salta su lo splendido di turno che, per farsi bello agli occhi di tutta la compagnia, qualunque sia l’ar gomento in discussione, pone la fatidica domanda: “E allora, che cosa ne dice il nostro filosofo a proposito di …. ?” (segue elenco di uno dei più triti fatti di cro naca, dal governo alla guerra, dal Nobel all’ultima mostra). Ed è praticamente inutile tentare di sottrarsi, adducendo la scusa che di quel particolare tema non si è specialisti, e nemmeno lontani conoscitori, perché così si aizza sol tanto la curiosità degli astanti – fino a che, per disperazione o per ignavia, e anche per non deludere le aspettative del pubblico, uno se ne esce dicendo: “Ma il filosofo non può prendere partito, né su questo né su nessun argomento. Nel momento stesso in cui lo facesse, deca drebbe dal suo rango e verrebbe meno alla sua funzione, che consiste invece e sempre nel parteggiare unicamente per l’Universale”. Peccato che, dopo una si mile uscita, gli sguardi di commisera zione dei commensali sono il segno più che eloquente della loro delusione, fino a che arriva provvidenzialmente l’ul tima portata a deviare il discorso, op pure si passa a tessere le lodi del cane di casa, e la cosa finisce lì. Eppure è proprio così che vanno intese le cose. L’apparente scontro tra un or dine bipolare del mondo (lo “scontro di civiltà”) e la proposta di un multipolari smo che lo metta definitivamente in crisi ne è un esempio. Di fatto, entrambi questi presupposti, che si proclamano l’uno “più universale” dell’altro, celano al proprio interno una serie di contrad dizioni che riescono a nascondere solo servendosi della violenta negazione dell’altro. Il richiamo di ciascuna pola rità a “valori” che essa vorrebbe im porre all’altra ne denuncia l’incomple tezza strutturale: l’impotenza che ca ratterizza ciascuna per proprio conto, quella sì ha un tocco di universale, un qualcosa che le rende reciprocamente simili, a loro stessa insaputa. Lungi dall’essere un insieme onnicompren sivo, l’Universale è un contropiede, un comico trovarsi spiazzati che coglie di sorpresa i due contendenti quando meno se lo aspettano. Il caso ormai pro verbiale di Ding Zhen, umile pastore ti betano di yak, diventato una star mon
Non siamo qui di fronte alla tragicomica situazione dell’umile pastore tibetano che, nel palesare la sua condizione di dimenticato, si trova catapultato al centro dell’attenzione mondiale?
diale del web in una sola notte grazie a un video postato su quell’effimera in carnazione dell’Universale che è oggi TikTok, ne è un esempio più che lam pante.
In questo senso, una visita alla 15esima edizione della Documenta è risultata decisamente istruttiva. Articolata come sempre in diversi edifici e spazi della città di Kassel, l’edizione di quest’anno risaltava per l’assenza pressoché totale di nomi di spicco del pantheon istitu zionale, a favore di una miriade di col lettivi artistici, o di veri e propri gruppi militanti, quasi tutti attivi in aree non occidentali del pianeta, o di composi zione multietnica e multiculturale. Una buona notizia certamente, dato che l’in
sieme della kermesse stava a dimostrare, con la prova dei fatti, che il cosiddetto “sistema” dell’arte non esaurisce affatto tutte le spinte creative mondiali, cioè non è per niente “uni versale”; anzi, assomiglia sempre di più al classico castello di Klingsor, un bel miraggio che resiste finché si decide di dargli credito. Certo, più volte durante la visita poteva sembrare di trovarsi in un oratorio il giorno della festa coi geni tori, o in una comunità di recupero dove si deve “so cializzare” per forza; e, alla fine dei conti, anche dopo una supervisione abba stanza accurata, restava difficile ricordare anche solo un nome fra le tante sigle e acronimi presenti, o almeno una singola opera degna di memoria. Ep pure, nel suo complesso, il messaggio arrivava forte e chiaro, come un monito a ogni istituzione artistica prefabbricata e, in poche parole, costi tuiva una potente e variegata dichiara zione di indipendenza.
E tuttavia, non è anche evidente che, in questo stesso tentativo di liberazione, serpeggia un sottile dissidio, un distur bante disaccordo tra l’orgoglioso ri torno alle “tradizioni originali” (le buone pratiche di una specifica civiltà locale, o perfino tribale) e la necessità di articolarne il discorso esattamente in quelle stesse forme di emancipazione già percorse dalle avanguardie occiden tali? Non siamo qui di fronte alla tragi comica situazione del pastore tibetano che, nel palesare la sua condizione di dimenticato, si trova catapultato al cen tro dell’attenzione mondiale? Il fanta sma della Ruota di bicicletta, che riap pare inopinatamente sotto le spoglie di un assemblage di ferrivecchi messo in sieme da un “gruppo di lavoro” sembra dire che sì, stiamo tutti cercando di sba razzarci dell’Universale: ma non sarà tanto facile.
O, forse, dobbiamo semplicemente in vertire la rotta?
MARCO SENALDI