Artribune 78

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N. 78 L MAGGIO –GIUGNO 2024 L ANNO XIV centro/00826/06.2015 18.06.2015 ISSN 2280-8817 Come sta l’editoria indipendente in Italia? Una mappatura + Itinerario culturale in Austria sulle vie del sale + La febbre delle gallerie a Venezia: sempre più numerose e internazionali
Museo nazionale delle arti del XXI secolo
è
Una mostra del MAXXI e della Haus der Kunst München. La mostra originale Inside Other Spaces. Environments by Women Artists 1956–1976 stata ideata
e
prodotta dalla Haus der Kunst München 2023
Roma
soci innovation partner Design by Tomo Tomo Inside Other Spaces. Environments by Women Artists 1956–1976. Aleksandra Kasuba: Spectral Passage, 19752023. Haus der Kunst München, 2023. Photo: Agostino Osio –Alto Piano
MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo via Guido Reni, 4A
| maxxi.art
a cura di Andrea Lissoni, Marina Pugliese, Francesco Stocchi

Emilia Giorgi (a cura di) Lucia Bosso e Mauro Fontana giro d'italia: Torino

Saverio Verini studio visit: Francesco Alberico

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Elisabetta Roncati (a cura di) queerspectives

ELYLA: tradizioni, parole e azione performativa

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Ferruccio Giromini

opera sexy

Lisa Yuskavage: il pittore è la modella

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Cristina Masturzo mercato Il mercato dell’arte è in frenata?

STORIES

IED – Istituto Europeo di Design la copertina Le gondole del Lago di Como + Desirée Maida (a cura di) news 20

Dario Moalli

libri

Arte e intelligenza artificiale Una rivoluzione

Valentina Silvestrini architettura

Intelligens. Carlo Ratti racconta la sua Biennale Architettura 2025

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Christian Nirvana Damato EDITORIA CULTURALE INDIPENDENTE IN ITALIA LA MAPPA TRA ARTE E PENSIERO CRITICO MULTIDISCIPLINARE

Il panorama dell’editoria indipendente si sta rivelando effervescente, nonostante le sfide. Abbiamo mappato il territorio italiano, chiedendo a 31 case editrici che si dedicano all’arte e al pensiero critico di raccontarci la loro linea editoriale

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Alberto Villa SULLE VIE DEL SALE ITINERARIO NELL’AUSTRIA DELLA CULTURA

Da Ovest a Est attraverso monti, valli e fiumi per scoprire alcune perle della cultura austriaca. Da un festival jazz alla Capitale Europea della Cultura 2024, da fortezze medievali alle grotte di sale, fino a uno dei musei più importanti di Vienna

Alex Urso (a cura di) short novel La Tram: Sonno 86

Massimiliano Tonelli Quando inizieremo a capire che lo spazio pubblico è cultura?

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Christian Caliandro La didascalia e il racconto del trauma come pilastri dell'arte di oggi

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Fabio Severino Una passione da museo. Il caso dell'HZERO di Firenze 90

Santa Nastro (a cura di) talk show Le famiglie con bambini sono bene accette nei musei?

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Anna Detheridge Il risveglio dell'arte First Nation, tra rivendicazione indigena e sguardo occidentale

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Fabrizio Federici L'anno di Vasari

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Nicola Davide Angerame La Pietà di Büchel. Un’incredibile mostra alla Fondazione Prada di Venezia

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Fausto Politino Ifis Art. Così Banca Ifis valorizza e promuove l’arte e la cultura

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Stefano Castelli Cézanne e Renoir. Due modernisti ante litteram al Palazzo Reale di Milano

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Fausto Politino Orfeo, eros, cinema e design. Jean Cocteau a Venezia

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Fausto Politino

Livia Montagnoli Il modello VIVE a Roma: strategie per il successo di un museo contemporaneo 28

Caterina Angelucci (a cura di) osservatorio non profit Viaraffineria: deposito dinamico

Valentina Tanni window

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Laura Cocciolillo PERCHÉ A VENEZIA CONTINUANO

AD APRIRE GALLERIE D’ARTE?

Quella delle gallerie a Venezia è una vera febbre: negli ultimi dieci anni la città, al netto delle sue difficoltà e fragilità, sta attirando sempre più gallerie internazionali. Scopriamo perché attraverso le testimonianze degli stessi galleristi

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Marco Senaldi Dio (non) ha salvato la Regina

Il Sassetta e il suo tempo. Uno sguardo sull’arte senese del primo Quattrocento

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Marta Santacatterina Come nasce una grande mostra. Il registrar: figura cruciale per i prestiti

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Grandi Mostre in Italia in queste settimane

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NEWS 18
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necrology
artribunetv MAGGIO L GIUGNO 2024 www.artribune.com
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ENDING 82
GRANDI MOSTRE #40
#78 artribune

GIRO D'ITALIA: TORINO

a cura di EMILIA GIORGI

LUCIA BOSSO architetta, co-fondatrice di BasedArchitecture [testo]

MAURO FONTANA [foto]

Il futuro di Torino è Milano” ha recentemente ribadito perentorio Carlo Ratti, prossimo alla direzione della Biennale di Venezia di Architettura 2025. Torinese di nascita e formazione, ha però scelto di trascorrere la maggior parte del tempo all’MIT di Boston nel Massachusetts, dove insegna e da dove probabilmente le idee e le visioni percorribili si impregnano di un vigore per nulla familiare ad una città refrattaria a qualsivoglia entusiastico impulso di azione.

Ma Ratti sogna un’unica grande metropoli, “la più grande del sud d’Europa”, unendo per esempio le più alte competenze, il Politecnico di Torino e quello di Milano, dove intanto gli è stata affidata una cattedra di materie fantaurbanistiche (Strategic vision for the building engineering of the future).

E dunque Torino troverà il proprio senso post-industriale solo “in funzione di”?

Cosa peraltro già piuttosto evidente, dati gli infiniti Frecciarossa e Italo che quotidianamente spostano A/R dalle case – a costi fino ad ora accessibili – agli uffici, quei pendolari che “Sì, belli i Navigli, ma i Murazzi erano un’altra cosa”.

E, se anche tra gli infiniti aforismi dell’Avvocato si rintraccia qualcosa che suonava come un inno all’etica del lavoro (“Qui la gente si sveglia pvresto e va a letto pvresto”) ma funziona ancora benissimo per le vite sconfortanti e faticosissime di chi è costretto a dissociare le proprie giornate per portarne a casa una, significa forse che la città ha rinunciato a ritrovare se stessa.

Mauro Fontana, Torino, 2019-2021, Courtesy l'autore

Lo smantellamento fisico della sede della Fiat, suggellato dagli innesti vegetali di Benedetto Camerana su quello che agli occhi di Le Corbusier fu “uno degli spettacoli più impressionanti che l’industria abbia mai offerto” e che ora assume il sapore della bellezza ruskiniana, selvatica e pre-decadente di un rudere di se stesso – diventa ineluttabilmente semantico. Porta ad un profondo disorientamento e alla domanda “Che città è Torino?” ci lascia senza una pronta risposta.

A meno di non rivolgersi a Luca Ballarini, creativo, grafico autodidatta, editore di magazine anticipatori (ricordo ancora il primo numero di Label del 1997 tra gli scaffali della libreria interna alla Facoltà di Architettura) che sarebbero senza dubbio citati tra la coolness dei lifestyle, se solo fossero stati concepiti a Milano. Con un’innata inclinazione non propriamente torinese ai superlativi assoluti, fonda l’agenzia Bellissimo e crea Torino Stratosferica con cui si dedica da tempo al “City Imaging, per costruire un potente racconto di immagini, che esalti il potenziale della città e il suo posizionamento internazionale”.

Un indefesso sostenitore dello storytelling in una città dove però da quell’atteggiamento ci si è sempre culturalmente tenuti alla larga, volendosi distinguere dalla cugina Gastone, che invece sullo spirito del marketing narrativo tutto da bere si è autocostruita (e ora autodistrutta).

Non tanto falsa e cortese, quanto piuttosto fredda e formale, come rappa Willie Peyote nell’album Educazione Sabauda (traccia: Giudizio Sommario); ancora austera ed elegante. Senza dubbio perbenista e poverista, per cui l’ostentazione è il primo dei peccati, ed il giudizio costante la prima delle tentazioni, Torino sembra saper amare se stessa solo nel ricordo di ciò che è stata (La Capitale, Il Cinema, Il traino del paese, L’Einaudi, la Lotta Continua, Artissima…) trascurando, per incapacità o ignavia, ciò che dovrebbe provare ad essere d’ora in poi.

Ma d’altra parte, parafrasando Spike Jonze, “the future is just a story we tell ourselves”.

pagina interna 245x320 mm + 5 mm di abbondanza

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STUDIO VISIT FRANCESCO ALBERICO

Osservare in sequenza le opere di Francesco Alberico può produrre un effetto distensivo. Si tratta, molto spesso, di immagini fotografiche che mostrano gesti candidi e stranianti, perlopiù compiuti in spazi urbani con un inconfondibile sapore di provincia; oppure sculturine che ricreano scenari minimi, vagamente malinconici; e ancora, disegni di piccolo formato, fatti col carboncino, nel letto, poco prima di addormentarsi. C’è un senso di provvisorietà e stupore che pervade il suo fare, come se le opere fossero il frutto della mente e della mano di un piccolo principe da poco approdato su questo pianeta; un pianeta che Alberico esplora con curiosità e purezza, attraversando il paesaggio concreto della città o i meandri immaginari della fase onirica. Poetica e quasi impalpabile, la produzione dell’artista si ferma sempre prima di scivolare nel patetismo, anzi, rimanendone saldamente a distanza di sicurezza grazie a uno sguardo che non trascura le zone d’ombra, generando visioni delicatamente perturbanti.

La tua pratica artistica tende alla registrazione di accadimenti minimi. La formalizzazione dell’opera è in linea con questo approccio: fotografie, disegni di piccolo formato, addirittura un sacchetto di noci consegnato ai partecipanti a una tua performance. Da dove nasce questo desiderio di “leggerezza” nella restituzione dell’opera?

La mia ricerca è fortemente legata al desiderio di indagare il rapporto tra la dimensione interiore del pensiero, dell’immaginazione o del sogno e la realtà esterna, condivisa con gli altri. Forse questa leggerezza deriva proprio dal fatto che la materia prima dalla quale nascono queste opere è pressoché intangibile. Quel sacchetto di noci al quale ti riferisci appartiene a un’azione rappresentativa di questo approccio, nella quale offrivo ai visitatori della mostra la possibilità di ricevere un sacchetto di noci in cambio del racconto di un loro sogno, creando una sorta di cortocircuito tra una realtà più concreta, in questo caso un frutto dalla forma molto simile a quella di un cervello, e una più simbolica, quella della dimensione onirica, che prende forma al buio, come un gheriglio di noce all’interno del suo guscio. Mi piace molto, poi, coltivare il disegno e l’acquerello, in particolare poco prima di dormire. È quel momento della giornata dalla quale cerco di pescare immagini e

Il reclamare uno spazio fisico per la propria immaginazione e le proprie idee, in luoghi come strade e piazze, ha per me un valore fortemente politico, oltre che estetico

pensieri sparsi che si sono depositati in me durante il giorno, come quando si va a prendere l’acqua da un pozzo. Una volta finito il disegno, spengo la luce.

Lo spazio pubblico è forse il contesto dove hai realizzato la maggior parte delle tue opere. Mi piacerebbe sapere il perché hai eletto strade e piazze a contesto prediletto del tuo fare arte.

Ho sempre trovato molto stimolante l’idea che un passante possa imbattersi in un’opera d’arte senza essere preparato a quell’incontro, spontaneo e inaspettato. Sono rimasto poi folgorato durante i miei studi accademici dalla ricerca di artisti storicizzati come Jiri Kovanda, Milan Knižák e il più recente Paweł Althamer, che mi hanno portato a riflettere molto sulla potenzialità che i corpi possono avere con la propria presenza e postura nello spazio condiviso. Il reclamare uno spazio fisico per la propria immaginazione e le proprie idee, in luoghi come strade e piazze, ha per me un valore fortemente politico, oltre che estetico. Penso sia una necessità che appartiene a tutti, non solo agli artisti. Mi piace immaginare che compiere certe azioni, per esempio stendersi a terra su dei fogli di giornale, come nel lavoro Sul quotidiano, possa in qualche modo stimolare chi osserva questi strani gesti a riflettere sull’uso del proprio corpo e sulla liberta di dar voce ai propri desideri e alla propria immaginazione.

Non hai una galleria che rappresenti il tuo lavoro. Ne senti la mancanza? Quali pensi siano le opportunità o, al contrario, i problemi legati a questa condizione?

Mi piacerebbe instaurare un dialogo più approfondito con una galleria, potrebbe contribuire a dare una certa stabilità e un certo stimolo alla propria ricerca. Può inoltre aprire delle opportunità con realtà e istituzioni che spesso si interfacciano con le gallerie per costruire nuovi progetti.

Francesco Alberico è nato nel 1996 a Pescara, dove attualmente vive e lavora. Ha studiato Scultura all’Accademia di Belle Arti de L’Aquila e Filosofia presso il St. Mbaaga Major Seminary di Kampala (Uganda). La sua ricerca si muove tra scultura, performance e disegno, incentrandosi sulla relazione tra psiche, creatività e spazi pubblici. È tra i dieci vincitori del Premio AccadeMibac, promosso dal MiBAC e dalla Fondazione La Quadriennale di Roma (2019). Ha partecipato a numerose mostre in spazi indipendenti, gallerie private e musei pubblici in Italia tra cui: Fino a tardi, Galleria LABS Contemporary Art, Bologna (2022); Domani, qui, oggi, Palazzo delle Espozioni, Roma (2020); The Blind Leading The Blind, Monitor Gallery, Pereto (2021); Becoming a River: Liquid Disasters and Speculative Stories, parte del programma della summer school dell’Istituto Svizzero di Roma (2019).

Un punto di forza e una debolezza del tuo lavoro?

Un’attitudine che cerco di coltivare, e che credo possa essere un punto di forza, è il progettare e realizzare lavori dei quali sento una reale e fisiologica impellenza. Allo stesso tempo, ciò può trasformarsi in una debolezza quando a volte, in momenti più incerti o a causa di una certa autocritica, lascio meno spazio a idee più fragili.

bio

STUDIO VISIT

di SAVERIO VERINI
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Francesco Alberico,  Overtime , 2020, documentazione fotografica della performance. Courtesy l’artista Francesco Alberico,  Un sacchetto di noci in cambio di un sogno , 2021, documentazione fotografica della performance. Courtesy l’artista in basso: Francesco Alberico, Viola , 2023, acquerello su carta. Courtesy l’artista

Francesco Alberico,  Sul quotidiano (Lecce) , 2021, documentazione fotografica della performance. Courtesy l’artista

NEI NUMERI

PRECEDENTI

#58 Mattia Pajè

#59 Stefania Carlotti

#61 Lucia Cantò

#62 Giovanni de Cataldo

#63 Giulia Poppi

#64 Leonardo Pellicanò

#65 Ambra Castagnetti

#67 Marco Vitale

#68 Paolo Bufalini

#69 Giuliana Rosso

#70 Alessandro Manfrin

#71 Carmela De Falco

#72 Daniele Di Girolamo

#73 Jacopo Martinotti

#74 Anouk Chambaz

#75 Binta Diaw

#76 Clarissa Baldassarri

#77 Luca Ferrero

Mi ritrovo spesso a rivolgere la stessa domanda agli artisti di questa rubrica: come riesci a sostenere l’affitto di uno studio e, in generale, le spese legate al tuo percorso artistico? E cosa ne pensi del sistema dell’arte italiano, in relazione alle possibilità che vengono date agli artisti con meno di 35 anni?

Per sostenere le spese legate al mio percorso artistico, da non molto tempo lavoro come insegnante di sostegno in un liceo. Non è facile portare avanti sia la propria ricerca che un’altra professione, ma almeno ho la fortuna di rimanere legato a una certa dimensione di studio e di riflessione che non si allontana molto da quelli che sono i miei interessi. Senza dubbio però, confrontandomi con altri artisti della mia generazione che vivono in Italia, emerge una generale precarietà nel portare avanti la propria ricerca, probabilmente a causa di un sistema che non offre stabili iniziative di supporto e investimento nel settore della cultura contemporanea.

Hai scelto di vivere a Pescara, dove c’è una scena artistica particolarmente

Un’attitudine che cerco di coltivare è il progettare e realizzare lavori dei quali sento una reale e fisiologica impellenza

vivace, in continuità con la storia recente della città, che ha ospitato esperienze come “Fuori Uso” e vede la presenza di gallerie importanti, spazi indipendenti, fondazioni storiche e altre più recenti. Senti di essere nel posto giusto per portare avanti la tua ricerca?

Qui a Pescara mi puoi incontrare spesso al mare oppure in bicicletta, correndo lungo le vie del centro. Vivere in una città come questa offre un certo tipo di spazio e di tempo – molto disteso – che difficilmente ho trovato altrove. Poi, come dicevi, ci sono diverse realtà dove poter coltivare un dialogo, in primis i miei amici-artisti del collettivo Senzabagno, oltre a realtà che con passione portano avanti molte iniziative, nonostante a volte la risposta della cittadinanza non sia così incoraggiante. È anche collegata abbastanza bene con centri più grandi, quindi non è difficile prendere e partire, quando è necessario. Però non escludo l’idea di spostarmi altrove per proseguire la mia ricerca e la mia esperienza di vita, anzi, credo che stia arrivando il tempo di nuove esplorazioni.

STUDIO VISIT
di SAVERIO VERINI 78 17

LA COPERTINA

LE GONDOLE DEL LAGO DI COMO

After rain è il tema di partenza sul quale lavora la Biennale d’Arte Contemporanea di Diriyah. Il suo approccio è quello di rinforzare l’importanza dell’acqua nella nostra vita, essenziale per tutte le forme di vita che abitano il pianeta. Abbiamo condiviso questa tematica con l’Accademia di Belle Arti Aldo Galli di Como - IED Group per la realizzazione di questa copertina. Per questa ragione, la cover di questo numero parla del rapporto tra acqua e territorio, oltre che della connessione tra nuove tecnologie e restauro. Il Museo Barca Lariana, un museo che conserva una raccolta di inestimabile valore per il settore nautico italiano, raccontando due millenni di storia della nautica sul lago di Como, ha proposto agli studenti di Restauro dell’Accademia di Belle Arte Aldo Galli di restaurare una tipica gondola di Como. A partire da una foto, è stata ricostruita l’imbarcazione con la tecnologia

3D e questo permetterà di pianificare l’intervento di restauro con precisione e senza sprechi di materiali.

Radis, il nuovo progetto

di arte pubblica in Piemonte

CLAUDIA GIRAUD L Nelle valli piemontesi c’è molta arte pubblica, ma presto la regione ne sarà invasa grazie a un progetto della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT. “Nei prossimi quattro anni produrremo opere per lo spazio pubblico”, spiega la sua Presidente, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, “con il coinvolgimento delle comunità, delle istituzioni e delle associazioni per generare un patrimonio artistico a disposizione della collettività e anche per attrarre un turismo responsabile”. Il progetto si chiama Radis e la sua prima edizione partirà il 5 ottobre nella provincia di Cuneo. L’opera dell’artista prescelta per la residenza, Giulia Cenci, è destinata alla Valle Stura, nell’area boschiva tra il Comune di Rittana e la Borgata Paraloup: il Chiot Rosa, una radura di betulle a 1.200 metri sul livello del mare. Questo è solo l’inizio di un progetto più ampio che ogni anno vedrà protagonista una diversa provincia piemontese.

In questo caso, si vede come la tecnologia diventa strumento per prendersi cura del patrimonio storico, in particolare quello del settore nautico. La tecnica digitale usata per la copertina è solo un esempio di tanti altri metodi di visualizzazione, come la realtà aumentata e virtuale, oggi a servizio delle tecniche di restauro. Anche l’intelligenza artificiale può contribuire significativamente nell’analisi degli oggetti di restauro, individuando automaticamente criticità di deterioramento e conducendo analisi automatizzate.

Scopri i dettagli del progetto seguendo il QR code qui a fianco

IED x ARTRIBUNE

Il progetto Fragile Surface si propone di raccontare attraverso immagini e contenuti multimediali realizzati da studentesse, studenti e Alumni dell’Istituto i temi centrali della contemporaneità. Per il secondo anno di collaborazione abbiamo scelto di affidarci ai temi delle più importanti manifestazioni di arte e design, prendere in prestito spunti di riflessione e restituire immagini fragili ma potenti. Superfici sottili che racchiudono complessi punti di vista.

Le biennali (triennali – quadriennali – quinquennali) sono l’occasione per artisti e designer di riflettere sugli argomenti centrali della contemporaneità. Partendo da manifestazioni del recente passato e tenendo in considerazione le tematiche delle prossime, cercheremo collegamenti espliciti o implicite contrapposizioni e ci interrogheremo proponendo un punto di vista inedito: quello di giovani persone che si affacciano sul futuro.

Nuove realtà culturali a Palermo: il Museo del Presente e il Museo Giardino Santa Rosalia

MCA, Museo Giardino

Santa Rosalia, Visual by MCA, green roof

DESIRÉE MAIDA L È stato presentato in anteprima il 23 maggio 2024, giorno in cui decorre l’anniversario della Strage di Capaci del 1992, il Museo del Presente – Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, spazio culturale nato dall’impegno della Fondazione Falcone che sorge all’interno di Palazzo Jung (edificio settecentesco di proprietà della Città Metropolitana di Palermo, che lo ha affidato alla Fondazione). Il Museo – che aprirà al pubblico a giugno – si compone di un’area verde (il Parco Jung), della Biblioteca Blu (con volumi provenienti dalla biblioteca di Giovanni Falcone) e della Galleria del Presente, in cui viene narrata la storia della lotta alla mafia. Vicende del passato che si attualizzano attraverso le opere di pittura, scultura, design e fotografia che contraddistingueranno la programmazione espositiva del Museo, a cura di Alessandro De Lisi. Vedrà la luce nel 2025 il Museo Giardino Santa Rosalia, iniziativa della Fondazione Sicilia che, dopo avere acquisito un immobile abbandonato nei pressi di Palazzo Branciforte (sede della Fondazione), ne ha commissionato la riqualificazione a MCA – Mario Cucinella Architects. Il nuovo museo-giardino rappresenterà un ampliamento della superficie espositiva di Palazzo Branciforte, e “intende arricchire il centro storico di Palermo con un segno contemporaneo di rigenerazione urbana, rispettoso dell’identità culturale e architettonica della città”, spiega Mario Cucinella. Ispirandosi ai giardini dell’epoca normanna.

LE NUOVE APERTURE CULTURALI IN ITALIA

GIULIA GIAUME L Piemonte, Lazio, Lombardia, Marche, e oltre: il fermento della primavera ha portato all’apertura di nuovi spazi artistico-culturali in tutta la penisola, dedicati alla musica e al cinema, alla lettura e all’arte contemporanea, spesso attraverso riqualificazioni e collaborazioni interdisciplinari tra generazioni diverse. Ecco i più interessanti.

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Il Circolo dei Lettori ha una nuova sede per la sua attività di promozione della lettura e della cultura. Dopo Torino, Novara e Rivoli ne è arrivata una quarta a Verbania, sul Lago Maggiore. Lo spazio, nato da una convenzione tra il capoluogo del Verbano-Cusio-Ossola e la Fondazione Circolo dei lettori, è ospitato a Palazzo Pretorio, nella centralissima piazza Ranzoni a Intra

Nelle Marche una chiesetta del Settecento si è trasformata nello spazio culturale Fluido, inaugurato con una grande installazione dell’artista Angelo Bellobono assieme alla comunità di Pergola. L’iniziativa fa parte del progetto diffuso ideato da Casa Sponge per Pesaro Capitale Italiana della Cultura 2024

All’interno di un palazzo ottocentesco, nel quartiere ebraico di Torino, ha aperto Châssis (“telaio”), il nuovo spazio espositivo della pittrice milanese Lorenza Boisi. Precedentemente adibito a studio d’artista, oggi l’appartamento si trasforma in un luogo di incontro e di scambio per amanti della pittura, ospitando progetti espositivi curati da Boisi e da critici amanti delle arti figurative

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A Roma l’ex deposito Atac di Piazza Bainsizza 13 è diventato uno showroom per mostre ed eventi. Lo spazio di 500 mq, chiamato Molto Depositi e nato da un’idea di Lorenzo Bassetti (imprenditore, fondatore di Molto Collectibles e collezionista di arte e design), ospiterà una mostra che unisce complementi di arredo e arazzi d’artista

A Thiene, in provincia di Vicenza, un collegio di suore si è trasformato in spazio d’arte contemporanea: è la Fondazione Bonollo. Il nuovo polo culturale, nato per volontà dei collezionisti Sandra e Giancarlo Bonollo, prende forma nel complesso dell’Ex Chiesa delle Dimesse. A inaugurare il nuovo polo culturale sono gli artisti della collezione, e non solo

A Bologna, in una storica sala da tè in via Testoni 5/E, ha aperto una nuova sede della galleria Magazzeno Art Gaze, giovane spazio fondato da Alessandra Carini a Ravenna nel 2016. A inaugurare lo spazio - una realtà dedicata all’arte e all’incontro, che comprenderà anche un bookshop - sono stati gli artisti anticonformisti Giulio Alvigini e Luca Rossi

Apre a Ferrara lo Spazio Antonioni, all’interno di quello che era il Padiglione d’Arte Contemporanea di Palazzo Massari ripensato dallo studio Alvisi Kirimoto. Il museo dedicato al grande regista ferrarese, ampiamente riconosciuto come uno dei più influenti cineasti della storia italiana e internazionale, ospiterà oggetti rari e spezzoni di film in un allestimento immersivo

A Roma ha aperto un nuovo spazio per musica ed eventi all’aperto nelle antiche cave di tufo. Con il nomen omen di Cave di Tufo, lo spazio di Tor Cervara offre performance e dj set in un ambiente spettacolare (peraltro dedicato alle feste sin dall’Ottocento), e promette di dare voce ai vecchi e nuovi ritmi metropolitani catalizzando il meglio della scena romana e non solo

DIRETTORE

Massimiliano Tonelli

DIREZIONE

Santa Nastro [vicedirettrice]

Desirée Maida [caporedattrice]

COORDINAMENTO MAGAZINE

Alberto Villa

Giulia Giaume [Grandi Mostre]

REDAZIONE

Caterina Angelucci | Irene Fanizza

Claudia Giraud | Livia Montagnoli

Valentina Muzi | Roberta Pisa

Emma Sedini | Valentina Silvestrini Alex Urso

PROGETTI SPECIALI

Margherita Cuccia

PROGETTO GRAFICO

Alessandro Naldi

PUBBLICITÀ

Cristiana Margiacchi | 393 6586637 Rosa Pittau | 339 2882259 adv@artribune.com

EXTRASETTORE

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COPERTINA ARTRIBUNE

Le Gondole del Lago di Como

Elaborazione 3D di fotografia digitale

Credits A. Bordin, C. Laboni, A. R. Gavriliu e F. Caproni di Taliedo coordinate da F. Pusterla Courtesy Accademia Aldo Galli IED Group, Como, 2024

COPERTINA GRANDI MOSTRE

Christoph Büchel, Monte di Pietà Foto Marco Cappelletti, Courtesy Fondazione Prada

STAMPA

CSQ — Centro Stampa Quotidiani via dell’Industria 52 — Erbusco (BS)

DIRETTORE RESPONSABILE Paolo Cuccia

EDITORE & REDAZIONE Artribune s.r.l. Via Ottavio Gasparri 13/17 — Roma redazione@artribune.com

Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 184/2011 del 17 giugno 2011

Chiuso in redazione il 27 maggio 2024

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NEWS
78 19 a cura di DESIRÉE MAIDA

ARTE E INTELLIGENZA

ARTIFICIALE UNA RIVOLUZIONE

Panico o entusiasmo, due estremi opposti: con queste due emozioni possono essere sintetizzate le reazioni alla next big thing tecnologica, l’intelligenza artificiale. Due reazioni polarizzanti, estreme, com’è tipico di questi tempi, in entrambi i casi sbagliate o per lo meno fuori luogo. Perché, se è vero che ai primi utilizzi di strumenti come ChatGPT l’effetto è sorprendente, è altrettanto vero che dietro a questi prodigi non c’è, per il momento, alcuna effettiva artificialità né, tantomeno, intelligenza umana. Tanto marketing, questo sì. L’ambito artistico che sembrava, e sembra tuttora, uno degli ambiti in pericolo, minacciato da strumenti Text-To-Image come Stable Diffusion, Midjourney, Dall-E ha in realtà un alleato in più. Questi sono solo alcuni dei punti trattati nel libro di Francesco D’Isa La rivoluzione algoritmica delle immagini. Il volume edito da Luca Sossella Editore ha il grande merito di non essere una semplice istantanea di quello che è accaduto finora nell’ambito dell’intelligenza artificiale ma grazie a un approccio critico, analitico e distaccato aiuta il lettore a comprendere realmente le dinamiche e il funzionamento di questi nuovi strumenti.

Limiti, funzionamento, etica e utilizzi: attorno a questi quattro macro-temi ruotano le riflessioni di Francesco D’Isa. Dalla raccolta e l’etichettatura dei dati di addestramento dell’IA che automaticamente replicano stereotipi, alimentano bias, riproducono e replicano dinamiche che rispondono solamente alla quantità, e quindi al peso, di certi dati o input rispetto ad altri. Questo produce risposte influenzate e parziali: se chiedo a uno strumento di Text-To-Image la figura di un uomo questa sarà nella maggior parte dei casi bianca e caucasica, per non parlare della sessualizzazione intrinseca delle figure femminili create. Del resto, i dati con cui sono stati addestrati questi strumenti sono il riflesso della nostra società e nonostante i vari correttivi messi in pista dalle aziende gli output rimangono lo specchio di quello che siamo oggi. Tornando nell’ambito artistico, uno degli aspetti più interessanti che emergono dal saggio (nonché il punto di vista dell’autore) riguarda come i programmi Text-ToImage possano essere in realtà degli strumenti in mano agli artisti e non dei loro sostituti: “Chi ha avuto modo di disegnare o dipingere con qualunque media, sa bene come materia e strumento siano contemporaneamente vincolo e occasione creativa [...]. Lo strumento possiede una volontà propria con cui venire a patti, perché interiorizza e lascia in eredità antiche conoscenze che si palesano solo con l’uso - [...] sì, questi software sono co-autori, ma né più né meno di un pennello. Ogni opera ha molteplici autori, ma pochi tra loro hanno la possibilità e l’interesse di definirsi tali”.

Limiti, funzionamento, etica e utilizzi. Attorno

a

questi concetti cardini ruota il libro di

Francesco D’Isa La rivoluzione algoritmica delle immagini. Con una domanda che riecheggia per tutto il saggio: e se le IA in realtà fossero un potenziale enorme per l’arte?

Francesco D’Isa

La rivoluzione algoritmica

delle immagini

Luca Sossella Editore, 2024 pag. 160, € 15.00

Questo approccio spalanca delle possibilità nuove, decostruendo il concetto di creatività individuale, lasciando invece aperta all’idea di inconscio tecnologico di Franco Vaccari, trattata nel libro, Francesco D’Isa arriva alla conclusione che la nascita dell’IA non ci sta traghettando verso una nuova creatività ma che l’arrivo di questi strumenti abbia solamente “rotto un’abitudine interpretativa, ricordandoci che non siamo noi a creare, ma il mondo”. Proseguendo su questa linea diventa evidente come l’ambiente, la geografia, il contesto storico siano partecipi ed elementi fondamentali nella creatività umana. Nel 1300 Andy Warhol non avrebbe concepito la Pop Art, così come il Cubismo non sarebbe nato se non fosse stato per l’influenza dell’arte africana, conseguenza diretta del colonialismo. Oggi, quindi, ci troviamo di fronte a uno strumento che pare sfuggire in parte o totalmente al nostro controllo, che possiede un tipo di intelligenza a tratti superiore alla nostra con la quale dobbiamo interagire con un linguaggio specifico. Le peculiarità dell’AI per quanto nebulose e a volte camuffate sono il nostro spazio di libertà creativa e di indipendenza intellettuale, un vuoto che probabilmente non verrà mai colmato perché incomprensibile e ignoto pure a noi stessi.

PAROLA ALL’AUTORE

Quanto sono davvero intelligenti le IA? È possibile parlare di creatività nel caso degli strumenti di Text-To-Image? Ne parliamo

con Francesco D’Isa, approfondendo alcuni temi affrontati nel suo ultimo libro La rivoluzione algoritmica delle immagini.

Il tuo libro affronta molti aspetti critici emersi attorno agli strumenti di intelligenza artificiale, ma partiamo proprio da qui, tu sei d’accordo con questa definizione?

No, anzi, li definirei né intelligenti né artificiali. Non sono artificiali perché, sebbene ogni tecnologia sia connotata socialmente, in questo caso il legame è ancora più forte, in quanto il materiale sociale-culturale è anche quello con cui è stata assemblata, nella veste dei dati che ne connotano in grandissima parte il risultato. Non sono neanche intelligenti, per lo meno non in senso antropomorfico. Intendiamoci, in realtà sono molto intelligenti, così come è intelligente una calcolatrice, un alveare, un micelio o un procione. Si tratta sempre di forme di intelligenza, ma diverse da quella umana, anche se in questo caso ne imitano alcune caratteristiche, come la padronanza linguistica.

Una delle criticità più evidenti è che queste intelligenze artificiali sono addestrate su una quantità enorme

Francesco D’Isa, di formazione filosofo e artista digitale, ha esposto internazionalmente in gallerie e centri d’arte contemporanea. Dopo l’esordio con la graphic novel I (Nottetempo, 2011), ha pubblicato saggi e romanzi per Hoepli, effequ, Tunué e Newton Compton. Il suo ultimo romanzo è La Stanza di Therese (Tunué, 2017), mentre per Edizioni Tlon è uscito il suo saggio filosofico L’assurda evidenza (2022). Le sue ultime pubblicazioni sono la graphic novel Sunyata per Eris edizioni (2023) e il saggio La rivoluzione algoritmica delle immagini per Sossella editore (2024). Direttore editoriale della rivista culturale L’Indiscreto, scrive e disegna per varie riviste, italiane ed estere. È docente di Filosofia presso l’istituto Lorenzo de’ Medici (Firenze) e di Illustrazione e Tecniche plastiche contemporanee presso LABA (Brescia)

di dati, i quali non vengono valutati qualitativamente ma solo quantitativamente. Per cui, come hai riportato nel libro, se come prompt digito semplicemente “nurse” (infermiere) uno strumento di Text-To-Image è probabile che mi restituisca un’immagine di una donna sexy vestita da infermiera. E come questo si possono fare numerosi esempi. Ciò fa emergere delle criticità piuttosto importanti: come si decide cosa è lecito e cosa no?

In che modo lo decide?

In nessun modo, e questo è molto importante. Come scrive Massimo Airoldi in Machine habitus: “Chi decide cosa è ‘spazzatura’ e cosa è ‘giusto’? È mai possibile correggere i data bias in modo oggettivo? I tentativi tecnici di cancellare i bias di dataset e algoritmi rischiano paradossalmente di fare più danni – un po’ come i molti tentativi storici di ‘aggiustare’ gli esseri umani”. Ogni raccolta di dati nasce da una selezione; nessuna selezione è neutra perché segue determinati criteri; nessun criterio è universale. Se queste tecnologie fossero nate nel 1930 nella Germania Nazista avrebbero filtri molto diversi. Sbagliati? Per me senza ombra di dubbio, ma per loro sarebbero stati quelli giusti.

Le AI incorporano il nostro spirito del tempo proprio perché alimentati con dati della nostra cultura digitale,

per questo ti chiedo se questi strumenti non abbiano una limitazione ulteriore che blocca la creatività. Un pennello o una matita non hanno limitazione culturale in sé ma solo nel loro utilizzo.

Sicuramente le TTI hanno la limitazione del loro dataset e di tutte le loro caratteristiche tecniche. E sono limitazioni che purtroppo i software più chiusi (tipo Dalle3 e Imagen) rendono estreme fin quasi a renderli inutilizzabili – uno dei motivi per cui sono un grande sponsor dell’open source e della rimozione dei blocchi a questi software. Però anche qui cercare di isolare l’unicità delle IA rispetto al resto fallisce, perché anche il pennello ha molti limiti: ci sono moltissime cose che non puoi fare con un pennello, pensa anche solo a come cambia il mondo figurativo dell’acrilico rispetto alla pittura ad olio. Non ultimo, il limite che chi lo usa deve avere capacità manuale (o anche banalmente le mani). Ogni strumento ha i suoi limiti insomma, IA incluse.

Con Franco Vaccari introduci il concetto di subconscio tecnologico che è estremamente interessante in relazione agli strumenti di TTI. Tu hai intercettato questo subconscio in maniera concreta?

Nel libro estendo l’idea di Vaccari suggerendo che ogni strumento – IA incluse – abbia un suo inconscio. Vaccari ci ricorda che non è importante solo che il fotografo sappia vedere, perché la macchina fotografica vede per lui, in quanto già obbedisce alle convenzioni della cultura in cui è sorta. L’apporto inventivo in un’opera non si limita a quello del suo autore o autrice, né solo a diverse maestranze umane, come accade nel cinema. Come scrivo nel libro, per un computo che sia ontologicamente preciso è necessario aggiungere agli umani attivamente coinvolti in un’opera anche i tanti deceduti che hanno reso possibili i loro strumenti e le loro tecniche. Ogni strumento e tecnica contiene in sé un “inconscio” che deriva dalla cultura in cui si è sviluppato o che ha attraversato, che si tratti di fotografia, prospettiva, colore a olio, computer graphics o IA.

LIBRI di DARIO MOALLI
bio
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INTELLIGENS. CARLO RATTI RACCONTA LA SUA BIENNALE ARCHITETTURA 2025

Collaborativa, estesa oltre il consueto perimetro espositivo, legata alla prima raccolta di idee promossa in seno alla Biennale di Venezia: a un anno dalla 19. Mostra Internazionale di Architettura, il curatore (nonché architetto di fama internazionale) Carlo Ratti spiega come sarà Intelligens. Naturale. Artificiale. Collettiva, in programma dal 10 maggio al 23 novembre 2025, in concomitanza con i previsti lavori di restauro del Padiglione Centrale dei Giardini.

Dopo quasi venticinque anni da Massimiliano Fuksas, con la sua nomina la direzione della Biennale Architettura torna a essere affidata a un architetto italiano. Avverte una responsabilità aggiuntiva dovuta al dato anagrafico?

Sono onorato dell’incarico. Credo che la mia presenza porterà più Italia alla Biennale. E lo farà partendo proprio da Venezia, città che è la sintesi mirabile dei vari tipi di intelligenza che esamineremo: naturale, artificiale, collettiva. Consideriamo un’opportunità la chiusura del Padiglione Centrale per ristrutturazione: i progetti che sarebbero stati allestiti al suo interno saranno invece diffusi in città.

L’allestimento di questi dispositivi temporanei sul suolo di Venezia incuriosisce e sfiora una questione che negli anni è divenuta un tema per partecipazioni nazionali e esperienze indipendenti: mi riferisco alla relazione della kermesse (e dell’isti-

Carlo Ratti, curatore Biennale Architettura di Venezia 2025.

Photo Andrea Avezzù

a destra dall'alto in basso: Ars District, Verona. Render ParisRender studio

Ex Ospedale di via Redaelli, Cremona. Photo Andrea Lavalle

Casa delle Arti, Massa. Render fornito dal Comune di Massa.

Leggi l’intervista completa sul sito di Artribune, scansionando il qr code qui sotto

tuzione che la organizza) con la città e all’accessibilità dei suoi spazi da parte della comunità locale. Nella sua lunga storia, la Biennale si è reinventata moltissime volte. Il suo rapporto con la città è sempre stato fondamentale. Dalle precedenti esperienze della Biennale di Shenzhen o di Manifesta a Pristina sappiamo che i grandi eventi che riescono a interfacciarsi in maniera positiva con la città sono catalizzatori di cambiamenti altrimenti impensabili. In piccola parte, ci piacerebbe riuscire ad andare nella stessa direzione anche in questo caso e lasciare il segno per le biennali di domani.

Visiteremo la mostra del curatore all’Arsenale e un corollario di presenze in giro per Venezia, sulla scia del “modello Fuorisalone”?

Come avviene con il Fuorisalone, già da tempo la Biennale è affiancata da eventi collaterali in città. Però qui si tratta di lavorare su una mostra internazionale che contamina Venezia con idee e progetti: alcuni di questi saranno nei siti tradizionali della Biennale, come i Giardini e l’Arsenale, altri usciranno dal consueto perimetro.

Citava Shenzhen. Rilevo almeno due analogie con la mostra che lì ha curato con Michele Bonino. La prima risiede nell’ambizione di realizzare un allestimento 100% circolare, che rimodula l’allestimento di Shenzen, dove ogni installazione era realizzata localmente?

A Venezia vorremmo andare un passo oltre rispetto alla mostra in Cina, facendo in modo che tutto quanto verrà costruito non vada sprecato. Mi piacerebbe che neppure una vite andasse perduta, ovvero che tutto possa poi essere riusato o riciclato alla fine della mostra, oltre a scegliere tra materiali recuperati. Questo è un tema ormai cruciale per tutti gli eventi e pensiamo che la Biennale possa davvero fare un salto.

In concreto, come? Prevedete linee guida anche per le partecipazioni nazionali?

Sì, le stiamo mettendo insieme lavorando con fondazioni e studi di ingegneria internazionali, in modo da poter dare un contributo tanto alla Biennale quanto ai grandi eventi globali in generale.

In continuità con l’open curatorship della Biennale cinese del 2019, anche a Venezia adotta un approccio che privilegia la curatela aperta. Attingo a Umberto Eco – con lui ho avuto un rapporto personale fin da quando ero studente e poi insieme anche a Filippo de Vivo e Marco Santambrogio siamo stati tra i promotori del Collegio di Milano – e alla sua Opera Aperta per ispirare la Biennale 2025. Da

questa premessa teorica nasce la volontà di non perdere nessuna voce rilevante: vogliamo mettere insieme una molteplicità di intelligenze, che poi diventeranno la mostra stessa. Per questo abbiamo attivato la raccolta di idee (fino al 21 giugno 2024, N.d.R): vorrei davvero che la Biennale 2025 fosse la “Biennale della collaborazione”, con il mondo dell’architettura e con mondi diversi.

Non mancano mai le critiche ai direttori della Biennale Architettura. Tra le più ricorrenti: ottimi progettisti o eccellenti educatori, ma non altrettanto convincenti curatori. Lei riunisce queste tre professioni: progetta, insegna; ha esperienze curatoriali nel mondo. Cosa teme e cosa auspica per la sua Biennale?

È e sarà impossibile mettere d’accordo tutti. Tuttavia potremmo iniziare a lavorare di più insieme: oggi le varie declinazioni di intelligenza proposte nel titolo appartengono a silos diversi nelle università, ma in realtà hanno qualcosa in comune che è il codice della vita. Sarebbe molto importante se riuscissimo a ricomporre alcune delle fratture presenti nella professione e nell’insegnamento dell’architettura. La speranza? Riuscire a fare una Biennale capace di incidere sul presente.

Per riuscirci proverà a parlare a tutti? Magari proprio grazie alla presenza in città. Portare fuori dal perimetro alcuni interventi va in questa direzione; nello stesso tempo, vogliamo usare strumenti e linguaggi diversi per arrivare a più persone possibili. Il tema che trattiamo, ovvero come le nostre città si possano adattare al cambiamento in atto, interessa tutti, non solo gli architetti.

Ambientalista e militante: affiancherebbe questi due vocaboli alla sua Biennale?

No, non userei queste parole perché lasciano intendere l’esistenza di soluzioni note a priori. Credo invece che ciò che la progettazione, intensa come ambito ampio, possa portare siano dei tentativi: alcuni avranno successo; altri falliranno. Ma nel complesso ci permettono di accelerare la trasformazione del presente. Ispirandoci di più alla natura, anziché pensare a soluzioni definitive dovremmo procedere per prove ed errori.

Citava il fallimento. La sua Biennale arriva dopo quella di Lokko, ovvero la seconda del settore architettura per numero di visitatori. La preoccupano gli ingressi?

Più che ai numeri guarderei all’impatto della mostra, che va sempre oltre gli accessi. È qualcosa che si riflette sulla città, sul Paese, sul dibattito in architettura, sulle nuove generazioni, sul percepire l’architettura come parte delle soluzioni rispetto ad alcune delle ansie e crisi del nostro tempo.

Possiamo aspettarci un omaggio a Italo Rota in mostra?

Con Italo abbiamo lavorato a tanti progetti negli ultimi anni: avremmo dovuto collaborare anche a Venezia. Lui sarebbe dovuto essere il direttore di tutto il design della mostra. Vogliamo fare in modo che quanto avevamo iniziato insieme continui e che la sua lezione sia presente alla Biennale 2025.

OSSERVATORIO RIGENERAZIONE

A VERONA UN DISTRETTO PER L’ARTE NELL’EX ARSENALE

Regia pubblica, quella del Comune di Verona, per il recupero e la valorizzazione del complesso dell’ex arsenale austriaco, un’area di circa 27mila mq (di proprietà comunale) con 14 corpi di fabbrica. La rigenerazione è guidata da Politecnica (con De Vita & Schulze Architetti, F&M Ingegneria, COPRAT, Monica Endrizzi Restauro Artistico Conservativo e Sama Scavi Archeologici). L’obiettivo è lo sviluppo del centro polifunzionale Ars District, dotato di laboratori, spazi museali e per eventi, co-working.

CREMONA, CITTÀ LABORATORIO

DI UNA RIGENERAZIONE URBANA ALTERNATIVA

Come rendere attrattivo oggi il centro storico di una città italiana di 70mila abitanti? In quale modo il patrimonio edilizio pubblico può divenire il punto di forza per una rinascita orientata alle giovani generazioni? Cremona scommette sul programma di rigenerazione urbana Giovani in centro, i cui cantieri sono ai nastri di partenza. Attraverso un investimento di circa 17 milioni di euro (tra fondi europei gestiti da Regione Lombardia e cofinanziamento comunale), si punta a riattivare edifici pubblici non più in uso anche da cinquant’anni (come l’ex Ospedale di via Redaelli e la chiesa di San Francesco) e a rinnovare alcune piazze. L’obiettivo temporale per il completamento delle opere è il 2027.

NELLA CITTÀ TOSCANA DI MASSA

APRIRÀ LA CASA DELLE ARTI

Situato nel centro storico di Massa, il cosiddetto “deposito ex-CAT” (di proprietà comunale) sarà oggetto di un intervento di sostituzione edilizia: attraverso la demolizione e ricostruzione del volume esistente, e la parallela riqualificazione delle aree limitrofe, la città toscana si doterà della Casa delle Arti. All’interno saranno realizzati un auditorium e spazi dedicati alle arti performative e visive, oltre a un ampio ambiente per lo studio.

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ARCHITETTURA di VALENTINA SILVESTRINI
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Riapre a Parigi il Grand Palais

LIVIA MONTAGNOLI L Chiuso per ristrutturazione dal 2020, il Grand Palais di Parigi – la più imponente costruzione del suo genere in Europa, capolavoro di architettura in vetro e acciaio realizzato per l’Esposizione Universale del 1900 – ha richiesto un investimento di 466 milioni di euro per essere ripensato in chiave moderna. Ma il progetto di rinnovamento dell’edificio, a cura di Chatillon Architects, restituirà una struttura in grado di decuplicare il lavoro, permettendo inoltre ai visitatori di spostarsi dall’ala est all’ala ovest con facilità, grazie all’abbattimento del muro interno costruito nel 1937. I primi a poter apprezzare le novità saranno gli spettatori delle Olimpiadi di Parigi 2024, mentre a ottobre il Grand Palais ospiterà Paris+ par Art Basel.

NECROLOGY

RICHARD SHERMAN

(12 GIUGNO 1928 - 25 MAGGIO 2024)

L MARC CAMILLE CHAIMOWICZ (1947 – 23 MAGGIO 2024)

L GIORGIO MARCONI (1930 – 20 MAGGIO 2024)

L DJ FRANCHINO

(17 FEBBRAIO 1953 – 19 MAGGIO 2024)

L PAOLO DE GRANDIS

(4 LUGLIO 1957 – 12 MAGGIO 2024)

L STEVE ALBINI

(22 LUGLIO 1962 – 7 MAGGIO 2024)

L FRANK STELLA

(12 MAGGIO 1936 – 4 MAGGIO 2024)

L RENATO DE FUSCO

(14 LUGLIO 1929 – 30 APRILE 2024)

L PINO PINELLI

(1 OTTOBRE 1938 – 30 APRILE 2024)

L FAUSTA SQUATRITI (1941 – 23 APRILE 2024)

L MARCO CIATTI

(1 LUGLIO 1955 – 20 APRILE 2024)

L FAITH RINGGOLD

(8 OTTOBRE 1930 – 12 APRILE 2024)

L ROBERTO CAVALLI

(15 NOVEMBRE 1940 – 12 APRILE 2024)

L PAOLA GASSMAN

(29 GIUGNO 1945 – 9 APRILE 2024)

L MASSIMO UBERTI

(9 GIUGNO 1966 – 7 APRILE 2024)

L ITALO ROTA

(2 OTTOBRE 1953 – 6 APRILE 2024)

L GAETANO PESCE

(8 NOVEMBRE 1939 – 3 APRILE 2024)

Nasce la Fondazione Centro delle Arti Lucca. Presto un nuovo polo espositivo

LIVIA MONTAGNOLI L A Lucca, la nascita di un nuovo ente culturale, che porterà all’apertura di un Centro delle Arti di respiro internazionale, segna anche l’avvio della riqualificazione di un immobile da tempo in disuso, già sede del Cinema Nazionale e del dopolavoro della Manifattura Tabacchi. L’iniziativa si deve alla collaborazione di lungo corso tra la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e la Fondazione Ragghianti, che presterà la sua supervisione scientifica per la programmazione del nuovo polo espositivo. L’obiettivo della nuova Fondazione è infatti quello di incrementare le attività culturali e artistiche a Lucca e in Toscana, valorizzando al contempo l’immagine della città a livello nazionale e internazionale. Dunque, la riqualificazione dell’edificio, acquistato da Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca nel 2023 per farne una “casa dell’arte” (ospitando anche la collezione di opere di CRL) è stata affidata allo studio di architettura Too di Reggio Emilia, che restituirà un polo espositivo articolato su vari livelli, con ampie metrature a disposizione anche per ospitare grandi eventi culturali.

A Roma ci saranno mostre di Salvador Dalí e Marc Chagall per il Giubileo 2025

CATERINA ANGELUCCI L Il Giubileo 2025 è all’insegna della cultura e lo dimostrano i numerosi appuntamenti tutti gratuiti – organizzati dal Dicastero per l’Evangelizzazione – in programma per attendere l’Anno Santo, che inizierà ufficialmente il 24 dicembre 2024. Oltre a concerti e proiezioni di film, anche due mostre dedicate a Salvador Dalí (1904 – 1989) e Marc Chagall (1887 – 1985). Queste saranno curate da don Alessio Geretti, collaboratore esterno del Dicastero che ha descritto i due artisti come “un po’ spiazzanti”, e si aggiungono a quella sulle icone d’Oriente con opere provenienti da Russia e Ucraina e alla rassegna natalizia Cento presepi in Vaticano, in collaborazione con il Comune di Roma. La mostra su Marc Chagall sarà ospitata durante l’estate presso la Chiesa di San Marcello al Corso, mentre quella su Dalí tra novembre 2024 e gennaio 2025 nella sagrestia del Borromini a Sant’Agnese. Su Chagall il curatore ha sottolineato come l’artista sia stato “uno dei pochi esponenti del mondo ebraico ad avere esplicitamente riconosciuto il fascino di Cristo”, mentre su Dalí ha dichiarato che “anche se non si può certo definire un cattolico regolare, senza dubbio è stato un uomo più vicino alla fede in Cristo di quello che si potrebbe immaginare: non soltanto per le sue opere esplicitamente di soggetto cristiano, ma proprio per il suo percorso che lo ha avvicinato all’esperienza della fede”.

A Perugia un quartiere medievale diventa distretto per l’arte contemporanea

VALENTINA MUZI L Fuori le mura medievali di Perugia, il quartiere Monteluce si è sviluppato intorno alla Chiesa di Santa Maria Assunta e all’adiacente ex monastero delle Clarisse (trasformato nell’ottocentesco Policlinico, oggi in disuso e oggetto di un progetto di riqualificazione).  Nel corso degli anni il quartiere è cambiato e diversi operatori culturali lo hanno scelto per aprire i propri atelier, associazioni e spazi espositivi, conferendogli una identità creativa che, oggi, prende forma nel progetto MAD – Monteluce Art District. Si tratta di una trasformazione in chiave contemporanea, dove palazzi e negozi sfitti diventano spazi espositivi atti ad ospitare mostre, performance, concerti ed eventi.

I primi a lasciare un segno sul territorio sono stati gli artisti che nel 1989 hanno fondato Trebisonda, il Centro per l’Arte Contemporanea, promuovendo scambi con realtà analoghe in Europa. A trarne ispirazione, seppur con forme e obiettivi diversi, sono state  SCD Textile&Art Studio, Magazzini Fiorucci, Studio Susanna Cati e Studio Sara Cancellieri che si sono unite per rendere MAD un progetto concreto.

CASTELLANI ENRICO

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— 7 LUGLIO 2024 museo.mendrisio.ch Superficie
, 1973,
MARZO
bianca
collezione privata, © Enrico Castellani Estate

IL MODELLO VIVE A ROMA: STRATEGIE PER IL SUCCESSO DI UN MUSEO CONTEMPORANEO

Con la direttrice del VIVE, Edith Gabrielli, facciamo il punto sulla programmazione culturale del polo museale romano che riunisce il monumento del Vittoriano e Palazzo Venezia. In un 2024 che conferma la bontà dell’approccio multidisciplinare e accessibile adottato negli ultimi anni

Alla fine del 2020, Edith Gabrielli ha assunto la direzione del complesso museale romano VIVE, che riunisce sotto la gestione coordinata di un Istituto autonomo il monumento del Vittoriano e Palazzo Venezia. Classe 1970, formatasi presso l’Università di Roma “La Sapienza” e alla London School of Economics and Political Science, in passato – dal 2015 al 2020 – Gabrielli ha ricoperto anche il ruolo di direttrice del Polo Museale del Lazio. E le sue idee sul ruolo culturale e sociale del museo contemporaneo hanno permesso, negli ultimi anni, di sviluppare in modo trasversale e proficuo le potenzialità del polo VIVE, sistema fondato su due realtà di grande storia e attrattiva, ma diverse per molti aspetti, e dunque bisognose di una strategia mirata per essere valorizzate a pieno nella propria specificità. Oggi il VIVE si attesta tra gli istituti museali più visitati d’Italia, con numeri in crescita costante. E nel frattempo prosegue un progetto di restauro ambizioso del monumento nazionale dedicato a Vittorio Emanuele II e costruito nel 1885; in particolare sono in corso i lavori sulle sculture del Vittoriano realizzati grazie al contributo di Bulgari tramite l’Art Bonus: un’operazione importante non solo in termini di conservazione del patrimonio storico artistico, ma volano di un coinvolgimento del pubblico dovuto all’intuizione del cantiere aperto. Di questo, e di tante altre attività della programmazione 2024 del VIVE, abbiamo parlato con la direttrice Gabrielli.

Negli ultimi anni il VIVE è riuscito a consolidare un profilo da museo contemporaneo. Quali sono in tal senso le priorità, e in che modo si stanno delineando? Penso che anche per un museo contemporaneo la priorità sia produrre cultura, quindi lavorare sulla conservazione del proprio patrimonio, ma anche su un’intensa programmazione culturale, con la necessità di parlare a tutti: mettere insieme la qualità scientifica dei contenuti – e per questo abbiamo sempre selezionato collaboratori di altissimo livello – con la capacità di rivolgersi a tutti i tipi di pubblico. In questa direzione è fondamentale far diventare il museo un punto di riferimento per la comunità, valorizzandone la funzione sociale.

LIVIA MONTAGNOLI

E in questa direzione la programmazione del VIVE integra ormai con molta efficacia progetti espositivi, laboratori, visite guidate al proprio patrimonio. Quali sono le linee guida e gli highlight del 2024?

C’è da ricordare innanzitutto la produzione di mostre: abbiamo avviato una tradizione di esposizioni prodotte interamente dal VIVE su temi portanti del nostro racconto. Ma penso anche alla grande programmazione di visite guidate e laboratori, non episodica bensì costante e di grande apprezzamento da parte di un pubblico ampio e diversificato. Ogni sabato proponiamo visite accessibili, per mettere l’Arte e la Storia al servizio di tutti, attraverso esplorazioni sensoriali degli spazi e delle opere del Vittoriano, in collaborazione con UICI – Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, o proponendo visite in LIS a Palazzo Venezia. La domenica organizziamo visite animate per famiglie, i laboratori didattici, le visite teatralizzate per esplorare aspetti inediti dei nostri siti. Inoltre, con l’iniziativa “Al centro di Roma”, ogni giovedì chiamiamo a raccolta gli abitanti della città (e non solo) per coinvolgerli nell’approfondimento di temi trasversali dall’architettura alla storia, dall’archeologia alla storia dell’arte: una programmazione che può contare anche sul coinvolgimento degli Istituti di cultura esteri, per sottolineare la centralità del VIVE e il cosmopolitismo di Roma.

E il pubblico mostra di gradire?

Il VIVE ha superato l’anno scorso i 4 milioni di visitatori, e nel 2024 abbiamo raccolto dati significativi, che già ci dicono che supereremo per accessi il 2023. Ma c’è di più: abbiamo commissionato di recente un’indagine di profilatura e soddisfazione degli utenti; tantissimi turisti ritengono il nostro Istituto imprescindibile nella visita della città. Il pubblico è trasversale, ci sono molti italiani in visita a Roma, ma il dato più confortante è quello sulla presenza dei romani e sul coinvolgi-

mento di un pubblico molto giovane. In tal senso, alcune scelte programmatiche si sono rivelate strategiche; ad esempio, abbiamo puntato sull’architettura del Vittoriano, che è naturalmente concepita per attrarre le persone e invitarle a salire verso l’alto, riaprendo l’ingresso su piazza Venezia. Poi, come detto, sta premiando la ricchezza della proposta culturale declinata in modo innovativo e coinvolgente.

Come, per esempio, la decisione di avvicinare il pubblico alla conoscenza del cantiere di restauro che ormai da oltre un anno sta toccando le parti più preziose e fragili del Vittoriano. Abbiamo iniziato dando l’opportunità al pubblico di accedere al cantiere del Vittoriano nel 2023. Ora i restauratori sono al lavoro sulle sculture del prospetto principale, e abbiamo confermato l’approccio a un cantiere trasparente: chi passa può vedere cosa sta succedendo, chi vuole approfondire può prenotare visite speciali per vedere da vicino i progressi dell’operazione. I romani, ma non solo, sono stati molto attratti da questa attività; si tratta di un’occasione unica per poter ammirare dal vivo gli operatori a lavoro nonché toccare con mano l’eccellenza italiana nel settore del restauro.

Su cosa si stanno concentrando, attualmente, i lavori del team di restauro?

a sinistra: Edith Gabrielli

Ministero della Cultura

Istituto Vittoriano e Palazzo Venezia (ViVe)

Roma. Photo Gerald Bruneau

in alto e in basso: MiC – VIVE, Vittoriano

Il cantiere ha concluso la sua prima fase, concentrata sul recupero della fontana del Mar Tirreno e del paramento adiacente: un’operazione agevolata dal lavoro di restauro condotto in precedenza sull’Altare della Patria, che ha messo a punto un protocollo d’intervento sul marmo botticino. Il 3 giugno si aprirà quindi la seconda fase che, a mio avviso, riserverà ancora più soddisfazioni. Oltre al restauro sulla fontana del Mare Adriatico di Emilio Quadrelli, si inizierà ad intervenire anche sul bronzo dorato delle sculture raffiguranti Il Pensiero di Giulio Monteverde e L’Azione di Francesco Jerace e dei pennoni di Gaetano Vannicola, su cu si innestano le bandiere, con l’obiettivo di riportare alla piena leggibilità l’oro che il degrado delle superfici ha reso illeggibile.

FOCUS VIVE
78 27 di LIVIA MONTAGNOLI

VIARAFFINERIA DEPOSITO DINAMICO

a cura di CATERINA ANGELUCCI

Viaraffineria è una realtà indipendente non-profit per la promozione dell’arte e della ricerca contemporanee con base tra Roma e Catania.

Diretto da Giulia Caruso e Maria Vittoria Di Sabatino e con il supporto di Gabriele Logiudice, viaraffineria è attivo dal 2019 e si propone come luogo fisico e simbolico di sperimentazione, ascolto, incontro e scambio in cui accogliere artiste e artisti, curatrici e curatori, opere durature ed effimere. viaraffineria sostiene l’importanza dei processi di decentramento dei nuovi luoghi culturali, favorendo la nascita di collaborazioni e reti tramite un programma di eventi e residenze sul territorio siciliano. Il nome è tratto dalla via in cui si trova lo spazio di Catania, eppure, nonostante questa identificazione, viaraffineria si configura fin dalla sua nascita come deposito dinamico non necessariamente connesso alla sede fisica. Il progetto è concepito, infatti, come una realtà ibrida e nomadica, che si muove tra la Sicilia e le città dove vivono le figure che la animano. Le linee di ricerca principali sono il folklore e le tradizioni (rilette attraverso una visione contemporanea), i cambiamenti climatici e il loro impatto sulla quotidianità e, in generale, l’intersezione dell’arte contemporanea con le tematiche sociali. Lasciamo alle fondatrici il compito di illustrare viaraffineria nei suoi dettagli, attraverso tre parole chiave: Sicilia, Collaborazione, Residenze.

SICILIA

“La sede espositiva di viaraffineria si trova a Catania, all’interno di un ex magazzino di ricambi auto, nel cuore della vecchia zona industriale della città. Il legame con la parte orientale dell’isola è imprescindibile per gli scambi, sempre proficui, che si instaurano con il territorio. Uno degli obiettivi di viaraffineria è creare dei rapporti tra la Sicilia e altre zone d’Italia, tramite la collaborazione tra artiste e artisti, curatrici e curatori e vari attori del sistema arte con le operatrici e gli operatori culturali locali. Ciò per cui abbiamo lavorato in questi anni e per cui continuiamo a lavorare è la creazione di una piattaforma di scambio e sperimentazione aperta a tutti gli interlocutori che vogliano entrare a far parte della nostra rete. La Sicilia orientale, che per sua natura geografica e storica è periferica rispetto ai centri d’arte contemporanea italiani, spesso ha meno opportunità e occasioni di incontro e scambio. Per noi risulta quindi cruciale presentare delle proposte culturali che possano introdurre nuovi modi di interagire con le arti contemporanee e l’ambiente culturale circostante, capaci di stimolare curiosità e nuove idee. Il nostro inserimento nella già presente offerta culturale, e in un territorio dove l’identità, le tradizioni e le radici sono

Per noi risulta cruciale presentare delle proposte culturali che possano introdurre nuovi modi di interagire con le arti contemporanee e l’ambiente culturale circostante

fondamentali, è sempre avvenuto in maniera propositiva, cercando un dialogo costante e costruttivo con le altre realtà territoriali. In quest’ottica, nel 2021 e 2022 abbiamo lavorato al progetto di mappatura Sicilia Orientale co-curato con Gaia Bobò e in collaborazione con Untitled Association”.

COLLABORAZIONE

“Fondamentali per noi sono le collaborazioni con chi lavora nell’ambito del contemporaneo, con particolare attenzione alle figure emergenti. viaraffineria, adottando un approccio trasversale, offre uno spazio di espressione, supporto e sviluppo professionale in cui ogni individualità può incrementare la propria esperienza creativa. Le collaborazioni spesso nascono in occasione di progetti specifici, come nel caso di Stendalì - suonano ancora | una sagra contemporanea (aprile 2023): un festival di due giorni dedicato alle arti contemporanee che ha favorito la creazione di un’ampia rete. Abbiamo affidato la curatela del progetto a Ilaria Leonetti e Rosita Ronzini; il programma musicale serale a Opera, un festival che si svolge in estate a Milo, sull’Etna; e la produzione editoriale a Panopticon, che ha inoltre dato luogo all’happening Alla romana, un pranzo comunitario avvenuto nei nostri spazi. Altro esempio è il progetto Un Tulipano Rosso. Antigruppo Siciliano, presentato ad ArtVerona LAB 2022, e in collaborazione con il duo curatoriale REPLICA (Lisa Andreani e Simona Squadrito) e gli artisti Giuseppe De Mattia e Timo Performativo, prima concretizzazione del più ampio progetto di ricerca per cui Replica si è aggiudicato la 12esima edizione di Italian Council, promosso dal Ministero della Cultura.

A settembre 2023 abbiamo partecipato a FUDDA, un festival che ha coinvolto e occupato spazi e realtà diversificate di Catania con un programma di talk, concerti, performance, workshop. A gennaio, la collaborazione con i Desperate Housewaifs (collettivo che indaga tra teatro e musica sperimentali) ha portato alla presentazione dell’opera performativa La Macchina Amleto con il coinvolgimento di Angelo Licciardello, artista catanese che, ragionando sul concetto di abbandono, ha realizzato degli interventi sul muro volti a rievocare immagini di luoghi dimenticati, perduti, stregati”.

RESIDENZE

“viaraffineria porta avanti un programma di residenze che conta, a oggi, due edizioni: la prima con i Vaste Programme nel 2021 e la seconda con Giuseppe Di Liberto nel 2023. Le residenze sono state rese possibili dalla collaborazione con la Fondazione Oelle - Mediterraneo Antico (Aci Castello, CT) che,

OSSERVATORIO NON PROFIT a cura di CATERINA ANGELUCCI
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Catherine Parsonage, Plans . Vedute parziali dell’installazione in occasione di Un’Introduzione (An Introduction), mostra collettiva con opere di Francesco Ciavaglioli, Giorgia Garzilli, Carmelo Nicotra, Marco Palmieri e Catherine Parsonage, Catania, 2020. Foto di Claudio G. Messina. Courtesy gli artisti e viaraffineria.

Veduta dell’installazione in occasione di Stendalì - suonano ancora | una sagra contemporanea , a cura di Ilaria Leonetti e Rosita Ronzini, in collaborazione con Opera Festival e Panopticon, Catania, 2023. Foto di Francesco Enriquez. Courtesy gli artisti e viaraffineria.

Veduta parziale dell’installazione Un Tulipano Rosso . Antigruppo Siciliano, a cura di REPLICA (Lisa Andreani e Simona Squadrito), presentata in occasione della 17esima edizione di ArtVerona, nella sezione LAB, Verona, 2022, con interventi di Giuseppe De Mattia e Timo Performativo. Foto di Matteo De Nando (Crates Design). Courtesy Giuseppe De Mattia e viaraffineria.

NEI NUMERI PRECEDENTI

#47 Almanac Torino

#51 Sonnestube Lugano

#53 Numero Cromatico Roma

#57 Metodo Milano

#59 Spazio in Situ Roma

#62 Spazio Bidet Milano

#64 Mucho Masi Torino

#67 La portineria Firenze

#69 Spazio Y Roma

#71 spazioSERRA Milano

#73 Spaziomensa Roma

offrendo alle artiste e artisti la possibilità di soggiornare nei loro spazi, ha permesso l’attivazione di questi ricchi scambi. Le residenze sono per noi la maniera migliore per offrire, a chi vuole svolgere un periodo di ricerca a Catania, uno spazio di accoglienza fisico e temporale. Queste, finora, sono state organizzate su invito e finalizzate alla produzione di un momento di restituzione pubblica da sviluppare insieme. Nel caso dei Vaste Programme, affiancati dalla curatrice Irene Angenica, abbiamo presentato nel 2022 Calentamiento, un intervento sonoro che ha visto la realizzazione di un brano reggaeton, il cui testo è interamente realizzato mettendo in rima stralci della versione spagnola del Patto per il Clima di Glasgow (Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, novembre 2021). Alternando composizione musicale e suoni di fiamme, la traccia audio invade lo spazio espositivo pervaso dal fumo artificiale tipico delle discoteche; al centro campeggia un chiosco composto da legno e palme parzialmente carbonizzate nel quale vengono serviti cocktail i cui cubetti di ghiaccio contengono piccole immagini di incendi scoppiati in tutto il pianeta

Il nostro inserimento nella già presente offerta culturale, e in un territorio dove l’identità, le tradizioni e le radici sono fondamentali, è sempre avvenuto in maniera propositiva

nell’anno corrente. Calentamiento è nato a seguito di un incendio lungo la zona costiera catanese e di uno stabilimento balneare, mentre a fianco proseguiva la più solita vita da spiaggia, fatta di cocktail e tormentoni estivi.

La residenza di Giuseppe Di Liberto è avvenuta a ridosso dell’evento Stendalì - suonano ancora | una sagra contemporanea, dove l’artista ha presentato l’installazione video Con una dolce melodia all’orecchio mi accingo a discendere il cielo. L’opera è il risultato di un’indagine sulle nuove modalità di compianto funebre diffuse nel Sud Italia in relazione al fenomeno della cultura neomelodica e la relativa condivisione mediante gli odierni social network. Il video mostra le immagini delle prove di una banda della provincia di Palermo per il Venerdì Santo a cui l’artista ha giustapposto il brano Angelo Mio del cantante neomelodico catanese Niko Pandetta, riarrangiato per complesso bandistico. L’installazione è correlata da due corone di palloncini, elementi che richiamano l’estetica della manifestazione funebre siculo-partenopea, documentata dai video amatoriali del social TikTok”.

OSSERVATORIO NON PROFIT a cura di CATERINA ANGELUCCI
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Veduta della performance La Macchina Amleto , opera concertistica del collettivo Desperate Housewaifs con il contributo di Angelo Licciardello, Catania, 2024. Foto di Giuseppe Guarrera. Courtesy gli artisti e viaraffineria.

LE VOCI (GENERATE) NELLA TUA TESTA

Tutti abbiamo una voce interiore, una presenza più o meno invadente che accompagna le nostre giornate, trasformando ogni ragionamento in una specie di dialogo. A volte la voce serve a fissare le idee, a supportare la logica, a fortificare la memoria, ma spesso si trasforma in una presenza ostile. La voce può infatti giudicarci, scoraggiarci e deprimerci, rendendo la vita molto difficile. Perché allora non provare a cambiarla? Magari riscrivendo i suoi contenuti secondo i nostri desideri? Spingendola a parlarci nel mondo in cui vorremmo?

Si basa su questa idea il progetto Voice in My Head dell’artista americana Lauren McCarthy, che in collaborazione con Kyle McDonald ha realizzato un sistema di intelligenza artificiale in grado di creare il monologo interiore ideale, e anche di recitarlo con la voce del diretto interessato. “Con la proliferazione dei contenuti generati, l’intelligenza artificiale si insinua costantemente nella nostra coscienza”, spiegano i due artisti, “Cosa succederebbe se iniziasse a intervenire direttamente nei nostri pensieri?”.

L’opera inizia con una sessione di inserimento in cui, tramite un auricolare, si ascolta un chatbot che ci chiede di riflettere sulla voce interiore con cui siamo nati. Potrebbe essere più premurosa? Meno ossessiva? Meno giudicante? Più disponibile? Se poteste cambiare il vostro monologo interiore come lo vorreste? Mentre l’utente risponde a queste domande, l’AI clona il suono della sua voce e lo usa per parlargli. A quel punto l’utente può uscire nel mondo, seguito dalla voce generata che continua a offrire commenti e indicazioni. L’esperienza è stata documentata in un film della durata di un’ora che sta girando i festival di mezzo mondo. “Si tratta di una performance che mette in discussione la naturalezza dei pensieri. Abbiamo davvero un punto di vista individuale?”, chiosano gli artisti.

lauren-mccarthy.com/Voice-In-My-Head

UN MINUTO DI PARCO

La vita davanti allo schermo, si sa, può diventare alienante. Un antidoto riconosciuto allo stress da iper-connessione è il contatto con la natura. Come recita un famoso meme, ogni tanto fa bene “uscire e andare a toccare l’erba”. Se non c’è erba disponibile a portata di mano, si può provare a rilassare la mente usando il sito One Minute Park, una collezione di video girati nei parchi di tutto il mondo.

sites.elliott.computer/one-minute-park

UNA LETTERA D’AMORE PER INTERNET

L’artista messicana Sara Martínez ha realizzato un poetico esperimento di letteratura interattiva utilizzando un semplice sito web. All About Computer Love è un progetto di net art che sfrutta la struttura tecnica del browser: una parte della storia infatti, quella visiva, si svolge nella finestra principale, mentre la componente testuale si può leggere soltanto aprendo la console, un tool normalmente utilizzato solo dagli sviluppatori.

all-about-computer-love.glitch.me

BENTORNATO CIRCOLO DEI LAVORATORI

Mollendustria, fabbrica di videogiochi sovversivi guidata dall’italiano Paolo Pedercini, ha lanciato, in occasione della Festa dei Lavoratori lo scorso Primo Maggio, il simulatore Meet Me at the Workers Club. Si tratta di una ricostruzione interattiva del Circolo dei Lavoratori di Alexander Rodchenko, originariamente esposto all’Esposizione Universale di Parigi del 1925.

La copia virtuale dell’installazione costruttivista è accompagnata da manifesti, fotografie e testi scorrevoli che ripercorrono il contesto storico dei circoli nell’Unione Sovietica, oltre a riflessioni personali sul ruolo dell’artista durante la rivoluzione.

molleindustria.itch.io/meet-me-at-the-workers-club

IL FANTASTICO CIRCO DIGITALE È TORNATO

The Amazing Digital Circus è un piccolo fenomeno di culto. L’episodio pilota di questa bizzarra serie animata, pubblicato online alla fine del 2023, aveva ottenuto un successo vastissimo, accumulando tre milioni di visualizzazioni in soli tre giorni. Secondo la descrizione ufficiale, si tratta di “una dark comedy psicologica su simpatici personaggi dei cartoni animati che odiano la loro vita e vogliono solo andarsene”. All’inizio di maggio è stato rilasciato l’attesissimo secondo episodio, e, stando ai primi commenti, le aspettative non sono state deluse.

glitchprod.com/digital-circus

PERSI NELLE PISCINE

Il poolcore è una delle estetiche di Internet più popolari. Si tratta di immagini e video incentrate sul tema della piscina, declinato in toni onirici e inquietanti. Nel videogioco POOLS, disponibile sulla piattaforma Steam, le atmosfere silenziose delle piscine si mescolano a quelle più ossessive delle backrooms, dando vita a un’esperienza immersiva dai toni vagamente horror. Nessun mostro da sconfiggere, né livelli da superare: solo un lunghissimo, misterioso labirinto da attraversare in silenzio.

poolsthegame.com

PESCI, MUTANDE E SIMULATORI

Food for Fish è il titolo di un insolito gioco online firmato dall’artista e sviluppatore Kris Temmerman. Giocabile interamente via web, senza necessità di installare alcuna applicazione, racconta la storia di un simpatico omino che lavora da casa e sta sempre in mutande. L’obiettivo è guidarlo attraverso le sue attività quotidiane, che spaziano dalla cura del proprio pesciolino alla progettazione di un simulatore di biancheria intima.

foodforfish.org

IL MISTERO DELLA CANZONE PERDUTA

Uno dei misteri più curiosi del web è stato risolto. Il brano musicale noto come Everyone knows that, che ha girato online per anni senza che nessuno riuscisse a risalire alla sua origine, ha finalmente un nome. Lo sforzo collettivo di migliaia di utenti ha infatti permesso di ritrovare la fonte dei misteriosi 17 secondi di musica che sembravano letteralmente usciti dal nulla: si tratta di una canzone scritta per la colonna sonora di un film pornografico degli Anni Ottanta intitolato Angels of Passion. La voce di Wikipedia è stata prontamente aggiornata con i nomi degli autori: Christopher Saint Booth e Philip Adrian Booth.

it.wikipedia.org/wiki/Everyone_Knows_That

LA SEDIA PROGETTATA DALL’AI

James Bridle, artista e teorico britannico, ha chiesto a ChatGPT di progettare una sedia riutilizzando una certa quantità di legno di recupero. Il risultato dell’esperimento è interessante: la sedia non è bella, e sicuramente presenta qualche difetto, ma è completa e funzionante. “Dobbiamo ricordarci che questa sedia è stata costruita grazie al lavoro rubato a tutte le persone che hanno messo qualcosa su Internet (comprese quelle che hanno vissuto secoli prima che Internet fosse inventato). Non l’ho fatta con ChatGPT: l’ho fatta sfruttando una storia parziale di tutte le sedie precedenti”, ha commentato Bridle.

jamesbridle.com/works/ai-chair-1-0

PLATFORM: TRA REALTÀ E DISTOPIA

Platform è un cortometraggio incentrato sulla vita dei rider che lavorano per le grandi piattaforme di delivery. Realizzato da Steffen Köhn, unisce scene girate in Machinima, ossia dentro ai videogiochi, con materiale raccolto nel mondo reale. La narrazione intreccia esperienze vere con elementi tratti da Snow Crash, il romanzo cyberpunk del 1992 di Neal Stephenson che ha acquisito uno status di icona nella Silicon Valley (è quello in cui era contenuta la parola “metaverso”). Il film ci mostra come le visioni distopiche descritte nel romanzo rispecchino in maniera inquietante le dinamiche capitalistiche attuali.

steffenkoehn.com/platform

WINDOW di VALENTINA TANNI
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ELYLA: TRADIZIONI, PAROLE E AZIONE PERFORMATIVA

a cura di ELISABETTA RONCATI

Per descrivere la pratica del giovane artista nicaraguense, tra i protagonisti dell’attuale 60esima Biennale d’Arte di Venezia, abbiamo deciso di affidargli questo spazio d’espressione. Nelle righe seguenti Fredman Barahona, in arte Elyla, ripercorre le sue origini, illustrandoci poetica e pratica artistica in connessione alla storia della nazione che gli ha dato i natali. Sottolinea, soprattutto, il difficile percorso di ricostruzione delle radici di un popolo che cerca di liberarsi dai fantasmi del colonialismo integrando, al contempo, le diverse sfumature e le cosiddette “minoranze” che lo compongono.

Il mio nome è Elyla e vivo nel dipartimento di Chontales, Nicaragua, in America Centrale. Nasco nel 1989, al termine della guerra contro i Contras, sostenuti dagli Stati Uniti. Durante la mia crescita, ho convissuto con il fantasma della rivoluzione sandinista che gravava sulle mie spalle, allietato, al contempo, dal ricordo delle memorie felici di alcuni momenti trascorsi in famiglia, assieme al dolore di sentirsi in trappola in un corpo non conforme vivendo in un villaggio “machista”. Ho dunque fatto affidamento soprattutto sulla mia immaginazione per creare uno spazio più accogliente per far riposare il mio spirito. Non a caso, il mio lavoro creativo si basa su quella particolare capacità umana che ci permette di trasmutare la sofferenza vissuta in una pratica liberatoria. Per illustrarvi questo assunto intendo partire dall’appellativo con cui mi auto-definisco: mi chiamo Elyla, un “cochonx chontalli barro-mestiza”. Spiegare tale definizione è cruciale anche per comprendere la mia arte. “El-y-la” significa “lui-e-lei” in spagnolo e indica la convinzione del genere come sovrastruttura dettata dalla società odierna che permea la vita di ciascuno di noi al di là della politica del sé o del binarismo di matrice coloniale. In Nicaragua “cochón” è, invece, un termine usato per riferirsi a sessualità dissidenti: ho deciso di utilizzarlo per supportare l’espressività epistemica radicata nelle culture mesoamericane.

“Chontalli” deriva dal nome del mio

luogo di nascita, Chontales, terra del popolo indigeno Chontal. È una parola di origine nahuatl, antica lingua della civiltà azteca, che può essere tradotta con “strano, forestiero, estraneo”. “Barro” significa fango e parla del nostro rapporto con la terra e la natura, auspicando un ritorno alle pratiche che le rendono omaggio. Infine “Mestizaje/ mestizo” potrebbe essere tradotto in italiano con “meticcio”: una sorta di identità politica che rappresenta un sincretismo etno-culturale risultante da uno stupro coloniale. Questi aspetti sono intrecciati nel mio essere e plasmano le lenti attraverso le quali esploro l’arte.

Spesso mi definiscono artista e attivista: a mio avviso tale distinzione non esiste. Noi che cerchiamo di far conoscere le istanze della comunità queertrans-non binaria grazie ai nostri stessi corpi siamo già nati artisti e attivisti. Nella mia esperienza, essere un “attivista” ha significato denunciare le ferite, gli attacchi, l’oppressione sistemica e le strutture egemoniche di potere nell’Occidente globalizzato

L’arte mi ha poi aiutato a dare forma e canalizzare il peso di tutto ciò attraverso diversi mezzi espressivi.

Da questo punto di vista posso quindi definirmi un artivista

La mia pratica artistica si muove tra performance, installazioni, performance fotografiche, teatro sperimentale, scultura performativa e interventi artistici site-specific. Mi impegno ad indagare come le riflessioni decoloniali possano portare a una prassi anticoloniale tarata sulle comunità dell’America Centrale, rimanendo al contempo in

dialogo critico con le reti di solidarietà internazionale. Infatti, all’interno della mia poetica, esploro spesso le tracce coloniali di danze, rituali e carnevali. La maggior parte dei progetti nasce dal riesame di tradizioni popolari. Attualmente sto sviluppando una ricerca che studia il combattimento di galli in Nicaragua e Indonesia assieme ad un incredibile artista di danza tradizionale giavanese chiamato Otniel Tasman. Invece, alla Biennale Arte, presento l’opera di video arte intitolata Torita-encuetada: è la riproposizione di una cerimonia anticoloniale che esplora la liberazione dal giogo degli occupanti attraverso un rituale del fuoco radicato in una pratica culturale nicaraguense chiamata Toro-encuetado. Ho scelto di dedicare la performance, realizzata in collaborazione con il regista Milton Guillen e con la musica di Susy Shock e Luigi Bridges, a Gustavo Herrera e al suo compagno Cristian Ruiz, leader culturali indigeni Mangue-Chorotega e custodi della conoscenza ancestrale Gustavo e Cristian, ucciso nel 2022 a causa di un crimine d’odio e transfobia, sono stati con me per oltre un decennio. Posso definirli amici, guide, insegnanti e colleghi.

Mi impegno costantemente a creare arte che sia anche una pratica di giustizia sociale e un promemoria della nostra capacità di sognare altri mondi e portare bellezza nella collettività, che ristabilisca gli equilibri e ci ricordi che nessuno sarà mai libero finché non lo saremo tutti.

QUEERSPECTIVES a cura di ELISABETTA RONCATI
Elyla, Torita-encuetada, 2023. Videoperformance, 9’43’’.
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Courtesy Giampaolo Abbondio Gallery
ROMA. GAZOMETRO 5-6-7. LUGLIO Visual. Digital.Culture. 2024 MAIN PARTNER IN COLLABORAZIONE CON

OPERA SEXY

LISA YUSKAVAGE: IL PITTORE È

LA MODELLA

FERRUCCIO GIROMINI

Rispetto a noi europei, gli americani si fanno molti meno problemi circa il rispetto delle tradizioni, sono capaci di mescolare alto e basso e mettere tutto sullo stesso piano senza fare una piega. L’ennesimo esempio ce lo fornisce Lisa Yuskavage, pittrice nata a Philadelphia nel 1962 e residente a New York, la quale da oltre trent’anni porta avanti con la massima disinvoltura un proprio approccio anticonvenzionale alla pittura figurativa, senza che lì nessuno si scandalizzi. Cominciamo col dire che è una donna che dipinge donne, volentierissimo nude. Oggi sembra una banalità, è moda ormai ampiamente diffusa, ma quando lei ha cominciato non era così scontato. Nel suo caso però non è tanto questione squisita di femminismo, ma piuttosto di narcisismo (gli artisti ci hanno abituato a ciò, no?): in effetti già da molto presto, da prestissimo, e non crediamo per risparmiare, aveva deciso di essere lei stessa la modella di sé stessa. E anche questa oggi non è una novità, ma un quarto di secolo fa lo era molto di più. Il suo eccentrico esibizionismo comincia col bearsi alla vista di un proprio estetico capezzolino carminio e poi passa a considerare tutto il resto. È a quel punto che interviene la svolta fondamentale: sarà stato il suo anno di studio a Roma, saranno state le scoperte di alcuni pittori classici europei, da Giovanni Bellini (addirittura!) a Vermeer, da Degas a precisamente quel suo prediletto Interno verde (1891) di Vuillard, come è come non è, l’artista ormai matura ragiona sul colore – e più modernamente anche sul color field painting – e perimetra infine la propria cifra. I suoi nudi galleggiano così in un figurativo nebbioso che mischia reminiscenze classicissime – a volte introducendo elementi di paesaggio e altre di natura morta – con certa sbrigatività yankee normalmente un po’ pop che al di qua dell’Atlantico a nessuno sarebbe venuta in mente di utilizzare. E inoltre gioca con astuzia sul piano del contenuto, mettendo in mostra la propria personale sessualità in un modo che appare insieme esplicito e velato – ti vedo ma soprattutto non ti vedo – e giocando sullo sdoppiamento soggetto/oggetto, in un gioco dove il pittore e la modella si sovrappongono in un corpo solo. Alla fine, ciò che anzitutto risulta esplicito è un formalismo emotivo che a molti non può che risultare alieno e perciò, inevitabilmente, nonostante tutto pure intrigante.

yuskavage.com

Sul lago di Como nasce il museo dedicato all’incisore e pittore Giancarlo Vitali

CATERINA ANGELUCCI L Con oltre 100 opere tra disegni, dipinti e incisioni appartenenti a 70 anni di attività – donati dalla famiglia Vitali al Comune di Bellano e all’Associazione ArchiViVitali ETS, che riunisce gli archivi dell’artista –, il Museo Giancarlo Vitali inaugurerà il 29 novembre 2024 a Bellano. Nasce con l’obiettivo di presentare sotto una luce rinnovata l’opera del maestro incisore e pittore, oltre a offrire un luogo dove le nuove generazioni di artisti possono incontrare quelle passate. Infatti, le mostre che verranno presentate nella dimora storica di Palazzo Lorla non verteranno solo su Vitali, ma comprenderanno altri artisti a lui coevi e anche le ricerche più emergenti: “votato alla sperimentazione ma radicato sul territorio, il Museo si presenta come uno spazio dinamico, dove la lezione di Vitali si intreccia alle esperienze delle nuove generazioni, e dove l’incontro fra memoria passata e visione futura attiva connessioni virtuose”, raccontano dal museo.

Il

Museo Europeo

dell’Anno sta in Finlandia

ed è dedicato al popolo Sámi

GIULIA GIAUME L Se dovete vedere un museo, quest’anno, fate che sia il Museo Sámi Siida, il Museo Nazionale del popolo Sámi in Finlandia. Il consiglio viene direttamente dagli European Museum of the Year Awards, i premi che dal 1977 vanno a celebrare i musei che lavorano nel solco dei valori del Consiglio d’Europa, tra democrazia, cooperazione comunitaria e promozione dei diritti umani. Il comitato che ha scelto il Museo Sámi Siida, posto nella città finlandese di Inari e diretto da Taina Pieski, ha dichiarato di averlo fatto principalmente perché “permette una partecipazione etica e pratiche di conservazione inclusive”. La sua creatività, la promozione del dialogo culturale e le pratiche di conservazione etica sono il punto forte di questo museo indigeno: i Sámi, dopotutto, sono l’unico popolo nativo rimasto in Europa, le cui terre ancestrali (dette “Sápmi” e a lungo chiamate con il termine dispregiativo “Lapponia”) si estendono, oltre alla Finlandia, su Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia. Principalmente rivolto allo stesso popolo, secolarmente abusato, il museo è riuscito a connettersi a un pubblico più ampio.

Louise Bourgeois alla conquista dell’Italia: mostre a Firenze, Roma e Napoli

CATERINA ANGELUCCI L Pare non ci sia un motivo particolare per cui l’Italia si stia apprestando a ospitare ben tre mostre su Louise Bourgeois (Parigi, 1911 – New York, 2010), tra Firenze, Roma e Napoli. Una peculiare coincidenza, vista l’importanza che la scultrice francese riveste nel panorama dell’arte tra il XX e il XXI Secolo.

Louise Bourgeois in Florence

Museo Novecento

Museo degli Innocenti, Firenze

Dal 22 giugno al 20 o obre 2024

Louise Bourgeois: Unconscious Memories

Galleria Borghese, Roma

Dal 21 giugno al 15 se embre 2024

Rare Language

Studio Trisorio, Napoli

Dal 25 giugno al 28 se embre

Lisa Yuskavage, Posing with Sunflowers , 2023 Museo Novecento Piazza Duomo Piazza S.M. Novella Museo degli Innocenti Piazza del Popolo Galleria Borghese Studio Trisorio Piazza Amedeo Via Caracciolo Riviera di Chiaia

Parco Sempione a Milano: un concentrato di arte e cultura. La mappa

GIULIA GIAUME L Con i suoi 386mila metri quadri, il parco più amato dai milanesi non è soltanto un polmone verde, ma anche un portafoglio di chicche non scontate per chi apprezza l’arte, l’architettura e, ovviamente, la storia di Milano. Ecco i must see d’arte del Parch Sempion

L’Arena Civica Gianni Brera e la Palazzina Appiani

La Biblioteca Parco Sempione

L’Arco della Pace

La Chiostro Scultura di Roccamonte

La Torre Branca

L’Acquario di Milano

La Fontana dell’Acqua Marcia

Il Ponte delle Sirenette

Il Castello Sforzesco

Il Teatro Continuo di Burri

La Triennale

Il Seme dell’Altissimo di Isgrò

VrijHaven. Ad Amsterdam un nuovo distretto creativo in un’area ex industriale

GIULIA GIAUME L È una cordata guidata dal famoso olandese Powerhouse Company ad aggiudicarsi il concorso per ridisegnare un’area periferica di Amsterdam, destinata a diventare un nuovo distretto creativo cittadino. L’area industriale, dismessa e colonizzata dal verde, sarà ora rimodellata nel nuovo quartiere di VrijHaven, che andrà a incorporare le qualità preesistenti dell’area in un nuovo insieme urbano grazie a un ampio basamento semi-pubblico e dei luminosi edifici residenziali secondo un ideale di “città informale”. VrijHaven è progettato a più mani insieme ad alcuni tra i più prestigiosi studi di architettura olandesi: lo Studio Donna van Milligen Bielke & Ard de Vries Architecten –che ha progettato l’Oerplint, un basamento monumentale affiancato da un museo di tram storici e connesso alla piazza pubblica –, Team V Architecture e Joppe Kusters – che hanno progettato un gruppo di dodici blocchi residenziali –, e DELVA, che ha disegnato il verde della zona. Incarnando le ambizioni di sostenibilità ormai d’obbligo, VrijHaven sorgerà grazie a materiali di recupero e sarà pienamente efficiente dal punto di vista energetico.

Il Cocoricò di Riccione apre il primo museo d’Italia dentro una

discoteca

LIVIA MONTAGNOLI L Con l’intenzione di far convergere intrattenimento culturale e divertimento, il Cocoricò – storico club della Riviera Romagnola –ha di recente inaugurato un museo sotto la sua iconica piramide, celebrando la nascita del MUDI (Museo Discocratico) con una serata evento che ha coinvolto artisti contemporanei, performer e musicisti. Si tratta del primo museo concepito all’interno di un club in Italia, nato con l’intenzione di fare della discoteca di Riccione anche uno spazio aperto a videoarte, pittura, scultura, fotografia, teatro e cinema, per valorizzare i giovani talenti del panorama italiano attraverso mostre e performance. Con il benestare dei proprietari del Cocoricò Enrico Galli e Antonella Bonicalzi. E l’obiettivo di far entrare per la prima volta al Ministero della Cultura una discoteca, non senza una punta di compiaciuta irriverenza. Il Cocoricò, del resto, in passato è stato anche un’incredibile fucina artistica Made in Italy, teatro di irriverenti happening votati alla libertà d’espressione, frequentato dal mondo dell’arte e della musica d’autore.

Al via le celebrazioni per i 200 anni della National Gallery di Londra

LIVIA MONTAGNOLI L Lo storico museo di Trafalgar Square veniva inaugurato il 10 maggio del 1824. Per un anno proporrà eventi itineranti, festival di piazza e grandi progetti espositivi:

National Treasures: l’iniziativa trasferisce 12 capolavori della National Gallery in altrettanti musei del Regno, per permettere a un pubblico più ampio di apprezzarli

Art Road Trip: una programmazione capillare di laboratori creativi, workshop, festival e incontri organizzati dalla National Gallery in collaborazione con associazioni culturali e istituzioni di molte città inglesi

Van Gogh: Poets and Lovers È attesa per settembre 2024 l’apertura della mostra-evento che riunirà oltre 50 opere del pittore olandese, tra capolavori e rarità

Arezzo: la città di Vasari. Il programma delle celebrazioni

LIVIA MONTAGNOLI L A 450 anni dalla morte di Giorgio Vasari, Arezzo ne celebra il genio. Il pittore, architetto e primo storico dell’arte moderno moriva nel 1574, all’apice della carriera. La sua città natale lo ricorda con un ricco palinsesto di eventi.

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Giorgio Vasari. Il teatro delle Virtù: la mostra presso la Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea porterà ad Arezzo opere da importanti collezioni internazionali, riunendo le invenzioni sacre e profane che Vasari ideò per la corte di Cosimo I

L’itinerario guidato presso la Fraternita dei Laici racconterà le Logge vasariane per tutta l’estate 2024

A gennaio 2025, il Museo Orodautore omaggerà Vasari attraverso l’opera di un gruppo di artisti-orafi e designer, da lui ispirati

NEWS
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IL MERCATO DELL’ARTE È IN FRENATA?

Risultati in calo alle grandi aste di primavera a New York, ma la domanda d’arte resta robusta e c’è spazio per nuovi artisti. E pure per nuovi record

Èpartita il 13 maggio 2024 da Sotheby’s quella che è stata soprannominata la “gigaweek” delle aste di New York, per quell’oltre 1 miliardo di dollari in opere offerte sul mercato.

A sessione conclusa e a conti fatti, a prevalere è stata ancora una certa accortezza negli acquisti, che affatica gli andamenti del mercato.

Le Marquee evening sales di arte impressionista, moderna, Post-War e contemporanea tenute da Sotheby’s, Christie’s e Phillips a New York a maggio 2024 hanno raggiunto un aggiudicato di $937 milioni, rispetto alle stime preasta di 934,2 milioni – 1,3 miliardi di dollari.

Secondo i dati di ArtTactic, è il risultato più basso dall’autunno 2020 e segna una flessione del 22% rispetto alla sessione omologa di maggio 2023 e del 55% se comparato al fatturato di maggio 2022. Seppure con un approccio evidentemente prudente e conservativo, e nonostante il calo di volume, questa sessione d’aste restituisce però per tutte e tre le case alti tassi di venduto, con una media del 93,9%, anche grazie a una presenza massiccia di garanzie e a qualche lotto strategicamente ritirato. 84 i lotti che tornavano sul mercato e il valore aggregato di queste vendite ripetute ha contato per il 44,7% sul totale delle evening sale.

Le prime due aste, The Now e Contemporary Evening Auction, hanno realizzato complessivamente un totale di 267,3 milioni di dollari, entro le stime preasta (ma più vicino alla minima che alla massima) e con un 30% in più rispetto alle sessioni dello stesso periodo del 2023, stando ai dati della casa inglese. In una sessione da $32,7 milioni, il top lot di The Now è stato Vignette #6 (2005) di Kerry James Marshall a quota $7,5 milioni, mentre si è aggiornato anche il record d’asta dell’artista trentaquattrenne Lucy Bull a $1.8 milioni.

I maestri dell’arte del secondo novecento hanno fruttato invece alla casa inglese un aggregato da $234.6 milioni. Top lot un monumentale dipinto di Francis Bacon del 1966, Portrait of George Dyer Crouching, che non è riuscito però a decollare sul serio e nemmeno a toccare la stima minima di 30 milioni di dollari, fermandosi a $27.735.000. Subito dopo il capolavoro di Lucio Fontana Concetto Spaziale, La fine di Dio (1964), dalla Rachofsky Collection, che ha di poco superato la stima minima di 20 milioni di dollari, passando di mano per quasi 23 milioni di dollari. Quattro poi i lotti di Joan Mitchell in catalogo. Il più costoso, Noon (1969), ha trovato una nuova casa per $22,6 milioni.

Son restati tiepidi i toni, e senza troppi spunti, alla Modern and Contemporary Art Evening Auction di Phil-

LE EVENING SALES DI NEW YORK

Totale maggio 2024

Sothebyʼs The Now

Sothebyʼs Modern Art Evening Sale

Sothebyʼs Contemporary Evening Auction

Sothebyʼs The Now

Totale $32,7 mln → Maggio 2023 $37,2 mln

Lotti offerti 18

Lotti garantiti 6

Sothebyʼs Contemporary Evening Auction

Christieʼs 21st-Century Evening Sale

Phillips Modern and Contemporary Evening Sale

Christieʼs 20th Century Art Evening Sale

Totale $234,6 mln → Maggio 2023 $167,5 mln

Lotti offerti 35

Lotti garantiti 24

Sothebyʼs Modern Art Evening Sale

Totale $235 mln → Maggio 2023 $303,1 mln

Lotti offerti 52

Lotti garantiti 34

Phillips Modern and Contemporary Evening Sale

Totale $86,3 mln → Maggio 2023 $70 mln

Lotti offerti 28

Lotti garantiti 14

Christieʼs 21st-Century Evening Sale

Totale $80,3 mln → Maggio 2023 $98,8 mln

Lotti offerti 35

Lotti garantiti 6

Christieʼs 20th Century Art Evening Sale

Totale $413,3 mln → Maggio 2023 $328.8 mln

Lotti offerti 64

Lotti garantiti da Christieʼs 13

Lotti garantiti da terza parte 21

Campione di analisi

Sotheby’s, The Now Evening Auction – Contemporary Evening Auction, 13 maggio 2024

Sotheby’s, Modern Evening Auction, 15 maggio 2024

Phillips, Modern & Contemporary Art Evening Sale, 14 maggio 2024

Christie’s, The Rosa de la Cruz Collection Evening Sale – 21st Century Evening Sale, 14 maggio 2024

Christie’s, 20th Century Evening Sale, 16 maggio 2024

Fonte dati: ArtTactic
↓22%
↓55%
93,9%
di
per lotti 84 vendite ripetute per
del valore $937
rispetto a maggio 2023
rispetto a maggio 2020
tasso
venduto
44,7%
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Fonte dati: Artnet 5/24
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LEONORA CARRINGTON SEMPRE PIÙ SU: IL RECORD NUOVO DI ZECCA DELL’ARTISTA

SURREALISTA A NEW YORK

Se a guidare la sessione serale dedicata il 15 maggio da Sotheby’s ai maestri moderni è stato Claude Monet, con Meules à Giverny passato di mano per $34,8 milioni, la scena della Modern Evening Auction di New York è stata tutta per Leonora Carrington e il suo nuovo record d’asta, in una serata da $235 milioni.

lips del 14 maggio, che ha messo insieme un totale di $86.297.799. Più della metà è arrivato dalla vendita del top lot di Jean-Michel Basquiat Untitled (ELMAR), passato di mano per 46,5 milioni di dollari. Se alla sessione di questo maggio mancava l’affollamento delle grandi e munifiche vendite single-owner, almeno una importante collezione in asta c’era: quella dedicata da Christie’s alle opere di Rosa de la Cruz, una delle più importanti collezioniste contemporanee scomparsa lo scorso febbraio – e che il 14 maggio ha messo a segno il nuovo record d’asta per Felix Gonzalez-Torres e il suo Untitled (America #3) a quota $13.6 milioni – contribuendo con $34,4 milioni al totale della serata, di $114,7 milioni. Gli altri $80,3 milioni sono arrivati dalla 21th Century Evening Art, con una performance ridotta dal ritiro eccellente di uno dei top lot della stagione, il dittico Event (2004-07) di Brice Marden, che aveva stime di 30-50 milioni di dollari. Garantito da Christie’s, il dipinto, che pare arrivasse dal collezionista britannico Richard Schlagman, è passato così alla collezione di Monsieur Francois Pinault. A occupare il primo gradino del podio è stato così, anche da Christie’s, Jean-Michel Basquiat, che con The Italian Version of Popeye has no Pork in his Diet del 1982 ha totalizzato $32 milioni.

Nel pieno del revival del Surrealismo che non sembra conoscere rallentamenti e calo di interesse, Les Distractions de Dagobert di Leonora Carrington (Clayton Green, 1917 – Città del Messico, 2011) è volato a quota $28,5 milioni. Il dipinto era già stato esitato nel 1995 sempre da Sotheby’s e il prezzo si era attestato a $475.500 (circa 1 milioni di dollari di oggi, adeguato all’inflazione).

A trent’anni di distanza l’opera è tornata nei cataloghi della casa alla Modern Art Evening Auction e questa volta il risultato è stato esponenzialmente superiore, mettendo a segno il nuovo record per l’artista ben oltre il precedente di $3,3 milioni. E chi è stato ad aggiudicarsela? Proprio l’underbidder della vendita del 1995, che si è scoperto essere

Eduardo F. Costantini, imprenditore e collezionista argentino, fondatore del Museum of Latin American Art di Buenos Aires, che inseguiva l’opera da almeno tre decenni. “Questo è un pezzo superbo nella storia del Surrealismo”, ha detto Costantini a fine contesa, “ero io l’underbidder di trent’anni fa e stavolta non volevo farmelo sfuggire”

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MERCATO di CRISTINA MASTURZO
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Leonora Carrington, Les Distractions de Dagobert , 1945. Courtesy Sotheby’s
20 APRILE — 3 NOVEMBRE 2024 VILLA MUSSOLINI RICCIONE IL RITRATTO E IL SUO DOPPIO Mostra promossa da Organizzata da In collaborazione con Self portrait, Chicago, 1956 © Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY civita.art riccione.it
CENTENARIO ROVIGO FRATTA POLESINE GIACOMO MATTEOTTI Giacomo Matteotti Una storia di tutti ROVIGO RIAPERTURA con il nuovo allestimento FRATTA POLESINE MOSTRA in occasione del centenario Casa Museo Giacomo Matteotti MATTEOTTI dal 05.04 al 07.07.2024 dal 08.06.2024 GIACOMO Comune di Fratta Polesine INIZIATIVE PROMOSSE E SOSTENUTE DA PRODOTTE DA CON IL PATROCINIO DI IN COLLABORAZIONE CON Accademia dei Concordi fondazionecariparo.it/eventi-culturali F O N D A Z I O N E Anna Kuliscioff ENTE DEL TERZO SETTORE FONDATORE GIULIO POLOTTI

EDITORIA CULTURALE INDIPENDENTE IN ITALIA LA MAPPA TRA ARTE E PENSIERO CRITICO MULTIDISCIPLINARE

L’editoria indipendente, in Italia, si configura per osmosi con il suo Paese come un luogo diversificato, difficile ma particolarmente vivace, necessariamente con la testa tra le nuvole, sognando e tentando di realizzare utopie in un paesaggio complesso. Questa continua ricerca visionaria e desiderante – ognuna personale – di nascere, crescere e produrre cultura, ha spinto le realtà editoriali a uscire spesso dalla (s)comfort zone di modelli editoriali standardizzati, navigando in acque nuove e deviando dalle classiche direzioni di percorso. Tra intuizioni, difficoltà, resistenza, visioni a lungo termine, sorprese e successi, vi riportiamo una mappatura di storie, modi, tecniche di sopravvivenza, prosperità e innovazione di una corposa ma non assoluta lista di case editrici indipendenti italiane, in particolare di quelle che propongono un connubio che passa dalle più svariate discipline tra Arte, Teoria critica e Pensiero.

PERCHÉ MAPPARE L’EDITORIA

INDIPENDENTE IN ITALIA

Come già affermato, il panorama indipendente italiano è ricchissimo e diversificato, ancor di più se contassimo anche tutte quelle realtà editoriali “non ufficiali” e non propriamente case editrici come i magazine online e cartacei, i quali necessiterebbero però di una mappatura a parte. In primo luogo, questa ricchezza prismatica e in continua infiorescenza, unita alle difficoltà oggettive di un mercato saturo e competitivo come quello dell’editoria, sono gli aspetti principali che ci hanno portato a compiere questa analisi. In secondo luogo, le conseguenze di questo rapporto di forza tra i progetti editoriali e le difficoltà

Quello delle case editrici indipendenti è un panorama difficile, certo, ma altrettanto coraggioso e vivace. Abbiamo mappato
il Paese alla ricerca di quelle realtà che raccontano l’arte e il pensiero critico in modo originale e attuale

del mercato comportano una certa dose di adattamento o di innovazione, le quali possono portare a loro volta – e a vario titolo – dei cambi di paradigma nell’approccio all’editoria. Ed è così che abbiamo deciso di coinvolgere più di trenta case editrici indipendenti, una selezione – non esaustiva ma rappresentativa del panorama preso in analisi – che copre uno spettro temporale a partire dagli Anni Settanta fino a oggi.

PRATICHE E TENDENZE

Dalla totalità della mappatura, nella sua complessità, emergono diversi dati, tendenze e trasformazioni tanto dell’approccio editoriale quanto della domanda delle lettrici e i lettori, e di conseguenza dell’offerta stessa. Sulla base di tali informazioni, possiamo riflettere su due aspetti sostanziali, uno riguardante il mercato in relazione ai contenuti in circolazione, l’altro sulle metodologie più operative messe in atto dagli editori. Avendo preso in esame, volontariamente, un maggior numero di case editrici che si muovono agili tra pubblicazioni sull’arte e teoria critica multidisciplinare, notiamo come i titoli più letti riguardino i temi più urgenti del contemporaneo e non i testi

CHRISTIAN NIRVANA DAMATO

sull’arte in sé. Ad esempio, testi su femminismo e gender studies sono piuttosto di tendenza, e in ben 1/3 delle case editrici analizzate troviamo sempre un testo inerente a questi temi nella lista dei tre titoli più letti. Oltre questa urgenza, seguono in tendenza le tematiche politiche – soprattutto la corrente anarchica – insieme ad altri testi di analisi sociopolitica e culturale, spesso combinati a questioni legate alla tecnologia, alla geopolitica odierna e alla cultura visuale e audiovisiva.

L’EDITORIA D’ARTE COME VIA D’ACCESSO ALL’ATTUALITÀ

Certo troviamo grandi titoli tra quelli più letti che sono interamente testi sull’arte o su artisti di grande rilievo, ma si tratta spesso di titoli di case editrici esistenti da diverso tempo, oppure che trattano principalmente libri sull’arte. Se invece guardiamo le case editrici più recenti e multidisciplinari, è molto più facile trovare testi che non trattano direttamente d’arte ma di tematiche di suo interesse, o che utilizzano l’arte come grimaldello per parlare di altri temi di attualità.

È indubbio che la tendenza odierna dell’arte contemporanea, quella istituzionalizzata – e con questo intendo anche spazi non profit, gallerie ecc. – sia quella di dover legare sempre di più l’opera a un contenuto concettualmente articolato. Vi è la necessità, dice l’arte o chi ne fa le veci, di parlare dei grandi temi critici del presente, di rendere l’arte utile a trasmettere un messaggio, spesso complesso, attraverso le opere. Compresa questa tendenza, i giovani artisti, quelli più grandi e i docenti stessi, devono parlare sì di arte, ma soprattutto devono informarsi bene sui temi che vogliono trattare nelle opere. Questo studio non viene dall’arte in sé, e dunque dai testi che ne parlano monoliticamente, bensì attraverso tentacolari e multidisciplinari studi e letture di testi che ribaltano come un guanto (critico) la cultura, la società e la politica di oggi e del passato. Un’evidenza che troviamo ancora più chiara guardando le accademie di belle arti, soprattutto quelle private come la NABA di Milano o la RUFA di Roma, i cui programmi legati all’arte hanno un forte impianto teorico (ovviamente stiamo prendendo il caso italiano, ma si tratta di una direzione già intrapresa dalle università estere da più tempo).

LA DISTRIBUZIONE

TRA PRESENZA DIGITALE E FISICA

Analizzando gli approcci operativi, come quelli di distribuzione, promozione e magazzino, vediamo in realtà come ci sia ancora un forte attaccamento ai metodi tradizionali, ovvero all’affidarsi a distributori e promotori esterni che – si sa – non sono proprio economici. Se questo aspetto è scontato per le case editrici con almeno un decennio di attività e una corposa produzione di libri attiva, risulta meno ovvio l’utilizzo degli stessi strumenti anche da parte di quelle case editrici appena nate. Tuttavia, si tratta di approcci e decisioni che possono variare in base alle intenzioni e alle necessità. In ogni caso, vediamo però una forte ibridazione tra distribuzione indiretta e diretta: questo è un dato interessante, perché oltre la proliferazione di nuove realtà editoriali, vi è anche tutto un mondo che riguarda le librerie indipendenti, altrettanto fiorente e interessantissimo, ricco di attività culturali di contorno che esulano dall’oggetto-li-

Torino

Lindau

Prinp

Eris

ADD Witty Books

Firenze

Effequ Pistoia

Via del vento

Gli Ori

Roma

Minimum Fax

NERO

Tlon

Luiss University Press

D Editore

DITO

Cancellada

Castelvecchi

Mantova Corraini

Bologna DeriveApprodi

Macerata

Quodlibet

Milano Eleuthera Mimesis

Shake Meltemi Mousse

Politi Seganfreddo Edizioni

Postmedia

Perugia

Emergenze Publishing

Vasto Hollow Press

Napoli Pidgin Tamu

San Gavino Monreale

Wom

Palermo Timeo

Lecce Krill Books

bro, creando anche una maggiore interazione con il proprio pubblico. In altri termini, al fiorire di queste attività potrebbe corrispondere forse un potere sempre maggiore della distribuzione diretta, insieme al fatto che la comunicazione digitale diventa sempre più forte e un libro – dei generi e delle case editrici qui prese in considerazione – è più facile che venga puntato a partire dalla ricerca personale del lettore attraverso i social o la navigazione in rete, che non attraverso una casuale escursione in una libreria di catena, sempre più utilizzate come sale d’attesa o intercapedine temporale tra un impegno e un altro, piuttosto che essere intenzionali fonti di ricerca e acquisto. Per le case editrici prese in analisi, soprattutto quelle più giovani, risultano sempre più importanti la distribuzione diretta, la comunicazione digitale e le fiere, anche se spesso risulta a ogni modo indispensabile avere dei servizi di magazzino e spedizioni, aspetto che rimane comunque variabile in base ai singoli casi, e se possibile viene a quanto pare evitata.

IN CONCLUSIONE

Anche se si tratta di un dato visibile tra le righe, sembra dunque che ci sia un progressivo dispiegamento di autonomizzazione da tutti i grossi intermediari e un maggiore affidamento alla comunicazione dell’offerta e dei contenuti attraverso i canali social, oltre alla presenza fisica. Per quanto riguarda le linee editoriali, troviamo ormai una forte ibridazione tra quella che è l’arte alla teoria critica, in quanto il presente e il futuro ci pongono di fronte a un orizzonte sempre più ambiguo sul piano etico, politico e sociale, inglobando il ruolo dell’arte e più in generale il ruolo dell’individuo e della collettività nella costruzione di una coscienza critica della contemporaneità. Adesso, lasciamo la parola agli editori.

STORIES EDITORIA INDIPENDENTE di CHRISTIAN NIRVANA DAMATO
78 43

1970 1980

Corraini 1973 mantova

storia e linea editoriale. parola all’editore Corraini nasce come galleria d’arte a Mantova, negli anni si è poi sviluppata in una casa editrice attraverso il rapporto con gli artisti, primo tra tutti Bruno Munari, che ha lavorato con Corraini per oltre vent’anni. L’incontro con Munari ha spinto la galleria a investire e a lavorare sul libro come oggetto d’arte; non si tratta però di libri d’arte a tiratura limitata, ma di libri pensati e progettati da artisti. Per questo ancora oggi i titoli Corraini nascono insieme agli autori, sono loro che insieme a noi concorrono alla creazione di tutto il progetto dell’oggetto libro. Questo è un aspetto che caratterizza tutti i nostri libri, che sono tutti diversi a prima vista, ma che hanno in comune il fatto di essere stati pensati in collaborazione artisti/autori.

linea editoriale Libri di design, arte, architettura, libri per bambini... e tutto quello che ci sta in mezzo.

pubblicazioni annue 50 circa. collane No.

pubblico Corraini si rivolge a tutti gli amanti dei libri d’arte, design e illustrazione, ma più in generale a chi non ha paura di non definirsi e ama oggetti non standardizzati.

titoli più letti Supplemento al dizionario italiano, Bruno Munari; Autoprogettazione, Enzo Mari.

membri della redazione 6

approccio comunicativo Tra leggerezza e profondità, semplici ma non banali, ironici ma non leggeri.

stampa Offset.

distribuzione e promozione Diretta. logistica Nessun intermediario. attività collaterali Mostre, presentazioni, conferenze, laboratori.

presenza digitale / fisica La nostra presenza principale è nelle librerie, a seguire diamo importanza alla presenza digitale e a quella nelle fiere.

Elèuthera 1986 milano

storia e linea editoriale. parola all’editore Elèuthera fin dalla sua nascita si è sempre considerata un progetto culturale libertario, la cui ragion d’essere è stata il tentativo di fornire un contesto originale e coerente alle tante riflessioni provenienti da tutti i campi del pensiero e del sapere e orientate alla trasformazione della realtà a partire da una critica radicale del potere e del principio di autorità. Siamo una piccola cooperativa orgogliosa della sua dimensione artigiana, fondamentale sia nell’organizzazione quotidiana sia nella ricerca della qualità dell’editing, della grafica e di tutte le dimensioni che hanno a che vedere con l’editoria, compreso il rapporto con i nostri autori.

linea editoriale Saggistica, con particolare attenzione per il pensiero politico, l’antropologia, l’architettura e l’urbanistica, la pedagogia e la storia della pirateria.

pubblicazioni annue 24

collane No.

pubblico Elèuthera nasce, nel contesto della cultura libertaria internazionale, con la necessità di rivolgersi a un pubblico più ampio: a tutto quel mondo non anarchico ma spesso in cerca di un pensiero altro da quello dominante.

titoli più letti Nonluoghi, Marc Augè; L’ecologia della libertà, Murray Bookchin, Io sono confine, Sharam Khosravi.

membri della redazione 4

approccio comunicativo L’approccio comunicativo è generalmente serio, con un’attenzione particolare a non scadere in un linguaggio formalistico, pedante o eccessivamente accademico.

stampa In prevalenza stampiamo in offset ma abbiamo iniziato a stampare anche in digitale.

distribuzione e promozione Indiretta, Messaggerie Libri per la distribuzione, PDE per la promozione. Gli ebook invece sono distribuiti da Bookrepublic.

logistica Ci appoggiamo a un magazzino editoriale esterno e abbiamo un e-commerce legato al sito della casa editrice.

attività collaterali Organizzazione di seminari e gruppi di lettura, partecipazione a festival.

presenza digitale / fisica Utilizziamo i principali social network cercando di evitare, per quanto possibile, le dinamiche di consumo legate a questi strumenti: vogliamo veicolare i nostri contenuti senza inseguire “like” a ogni costo. Continuiamo a ritenere fondamentale la dimensione umana.

Mimesis 1987 milano

storia e linea editoriale. parola all’editore Mimesis nasce come associazione culturale nel 1987, su iniziativa di Pierre Dalla Vigna, con lo scopo di pubblicare e diffondere libri di saggistica che raccogliessero la viva riflessione filosofica del momento e il pensiero critico. Nel 2006 Luca Taddio affianca Pierre Dalla Vigna nella direzione editoriale e nella nuova compagine sociale. Assieme danno vita a MIM edizioni Srl, attuale detentrice del marchio Mimesis, attualmente sotto la direzione di Roberto Revello. Pur mantenendo la sua attitudine filosofica, Mimesis ha espanso presto i confini dei propri interessi a tutte le scienze umane e sociali.

linea editoriale Scienze umane e sociali. pubblicazioni annue 300 circa.

collane: 60 circa.

titoli più letti Calibano e la strega, Silvia Federici; Che cos’è l’Illuminismo, Kant-Foucault; I mondi di Miyazaki. Percorsi filosofici negli universi dell’artista giapponese, a cura di Matteo Boscarol.

membri della redazione 16 approccio comunicativo Coniugare rigore accademico e spirito di divulgazione e di anticonformismo critico.

distribuzione e promozione Distribuzione Messaggerie, promozione Libromania. Ma cerchiamo di aiutare direttamente librerie alternative.

logistica Gestiamo il nostro sito e-commerce, come magazzino utilizziamo Petri Srl.

attività collaterali Aiutiamo a entrare nella distribuzione altre piccole realtà editoriali, ci proponiamo come service editoriale per la creazione e gestione di riviste scientifiche digitali.

presenza digitale / fisica Facebook e Instagram. Fisicamente organizziamo annualmente il nostro Festival Mimesis a Udine, e partecipiamo alle principali fiere librarie in Italia.

Illustrazioni di Emma Sedini per Artribune

ShaKe 1988 milano

storia e linea editoriale. parola all’editore ShaKe nasce formalmente nel 1988. Tra le diverse attività, a partire dal 1985, su iniziativa di Primo Moroni, fondatore e gestore della libreria Calusca City Lights, si creò un gruppo che aveva come scopo la creazione di una rivista che proiettasse il dibattito politico oltre gli Anni Ottanta e sperimentasse in maniera nuova i territori dell’arte, della cultura cibernetica e delle controculture, il suo nome era Decoder. In quasi 40 anni di attività indipendente, ShaKe ha costruito un catalogo di più di 300 titoli che spaziano dalla cultura cyberpunk alla letteratura di genere, dalle controculture al mediattivismo e alla musica radicale, passando per i movimenti e le loro molteplici capacità comunicative nell’arte come nella politica, costruendo uno spazio di critica rigoroso contraddistinto da edizioni ben curate, nei contenuti e nella grafica.

linea editoriale Musica, black music and history, droghe, underground, avanguardie artistiche.

pubblicazioni annue 12

collane 15

titoli più letti TAZ, Hakim Bey; Cyberpunk, Raf Valvola Scelsi; Il sogno inglese, Jon Savage; Animali che si drogano, Giorgio Samorini. membri della redazione 1 approccio comunicativo Amichevole. distribuzione e promozione Diretta e indiretta.

logistica 2 magazzini e distribuzione anche diretta.

attività collaterali Sì, ma troppo lungo da spiegare.

presenza digitale / fisica Presenza sui social, presentazioni e Salone del libro di Torino.

Lindau 1989 torino

storia e linea editoriale. parola all’editore Lindau è nata a Torino nel 1989, riprendendo il nome di una piccola e affascinante cittadina tedesca cantata da Hölderlin e ricordata da molti altri poeti e scrittori. A lungo si è occupata soltanto di saggistica (su cinema, video e televisione, in un primo momento, e poi allargando l’orizzonte fino a comprendere attualità politica e culturale, storia, spiritualità), ma negli ultimi anni ha avviato una vivace produzione nell’ambito della narrativa e anche un paio di collane pensate per i più piccoli. All’interno del suo catalogo spiccano alcuni interessi “trasversali”, citiamo almeno quello per il Giappone e la spiritualità orientale.

linea editoriale Lindau è il nome di una piccola isola situata nel lago di Costanza, cioè nel cuore dell’Europa. Come l’isola da cui ha tratto il nome, la casa editrice è un luogo di approdo, di passaggi, di incroci. Se avesse un motto, sarebbe questo: “Humani nihil a me alienum puto” (“niente di ciò ch’è umano ritengo estraneo a me”). Tanto basta a descrivere e qualificare la nostra linea editoriale.

pubblicazioni annue 60 circa. collane Sì, molte.

pubblico Il pubblico a cui ci rivolgiamo e che ci legge è molto vario per età, interessi, orientamenti culturali e politici. Questo è il nostro vanto e anche il nostro problema.

titoli più letti Coco Chanel. La biografia, Henri Gidel; L’eroe dai mille volti, Joseph Campbell; La vittoria della ragione, Rodney Stark.

membri della redazione In redazione operano tre redattori e un grafico, ma i collaboratori esterni (redattori, traduttori, consulenti) sono numerosi.

approccio comunicativo Il nostro approccio comunicativo è serio, ma non serioso, senz’altro più divulgativo che accademico, e sempre, speriamo, amichevole. stampa I nostri libri sono stampati per lo più in Italia, ma anche in Grecia, Serbia e Turchia.

distribuzione e promozione Emmepromozione, Messaggerie Libri (distribuzione). Alcuni rapporti (pochi e attentamente selezionati) sono intrattenuti direttamente da noi.

logistica Abbiamo un magazzino in Centro Italia, affidato a CPC Logistica. attività collaterali La nostra unica attività collaterale consiste nell’organizzazione di corsi di formazione per redattori editoriali e traduttori.

presenza digitale / fisica Siamo presenti su Facebook, Instagram, TikTok, Linkedin e YouTube. Partecipiamo a diverse fiere (sempre al Salone del Libro di Torino e a Più libri più liberi di Roma; in modo più discontinuo alle altre). Durante l’anno organizziamo molte decine di presentazioni dei nostri libri.

Via Del Vento 1991 pistoia

storia e linea editoriale. parola all’editore Le Edizioni Via del Vento nascono nel gennaio 1991 a Pistoia, in via Vitoni 14, l’antica via del Vento, per tener viva la vocazione letteraria della via in cui vissero nella prima parte del Novecento (senza mai incontrarsi in quanto vi abitarono in anni diversi), i letterati Gianna Manzini, Piero Bigongiari e Sergio Civinini. Nella stessa via operava la Tipografia Ciattini, in cui si stampava nel 1914-16 la rivista letteraria La Tempra sulla quale Dino Campana pubblicò nell’ottobre 1915 il brano lirico Arabesco-Olimpia.

linea editoriale Testi inediti in Italia di grandi letterati italiani e stranieri del Novecento già antologizzati nella storia della letteratura.

pubblicazioni annue Le pubblicazioni annue sono passate recentemente dai dodici ai tre titoli l’anno. Ogni pubblicazione consta di un volumetto di quarantotto pagine in carta pregiata, in tiratura limitata e numerata di circa 1.500 copie.

collane Le pubblicazioni, prima raccolte in quattro collane quadrimestrali (tre titoli l’anno ciascuna e quindi dodici titoli all’anno), delle quali tre collane di prosa e una di poesia straniera, sono recentemente passate a una sola collana di prosa (tre titoli all’anno).

pubblico Le pubblicazioni si rivolgono a un pubblico attento, di nicchia. Sono inviate agli abbonati e a Biblioteche, Istituti letterari, Fondazioni, oltre ad avere diffusione in tutte le librerie italiane tramite distributori regionali.

titoli più letti Difficile indicare solo alcuni titoli più richiesti, perché sono molti: Proust, Rilke, Morselli, Delfini, Drieu La Rochelle, Camus, Sereni, Fenoglio, Alvaro, Céline, Beckett, Hemingway, Gide, Carnevali, Musil, Roth, Brecht, Thomas Mann, Leduc, Hugo von Hofmannshal...

membri della redazione La redazione è composta solo dal sottoscritto, Fabrizio Zollo, che si avvale di volta in volta per ogni titolo da pubblicare della collaborazione esterna di curatori/traduttori, che in genere sono i maggiori esperti in Italia di quel determinato autore.

stampa La stampa avviene in offset tramite tipografie di zona.

distribuzione e promozione La distribuzione avviene attraverso alcuni distributori regionali che coprono nell’insieme tutto il territorio nazionale. La pubblicizzazione avviene attraverso i social e anche grazie alle numerose recensioni che escono sulla stampa nazionale.

presenza digitale / fisica Non partecipiamo a fiere ed eventi.

STORIES EDITORIA INDIPENDENTE di CHRISTIAN NIRVANA DAMATO
1990
78 45

Quodlibet 1993 macerata

storia e linea editoriale. parola all’editore Quodlibet è stata fondata a Macerata da un gruppo di allievi del filosofo Giorgio Agamben. I primi autori pubblicati furono Agamben, Deleuze e Robert Walser, la cui sagoma rappresenta il logo della casa editrice. Nel tempo Quodlibet si è specializzata in saggistica, filosofia, letteratura, architettura, critica d’arte e fotografia. Tra gli autori pubblicati: Gianni Celati, Luigi Ghirri, Gilles Clément, Rem Koolhaas, Carlo Ginzburg, Adriano Prosperi, Gio Ponti. Il nostro obiettivo è di pubblicare libri che possano rimanere nel tempo, sia per la letteratura sia per la saggistica.

linea editoriale Saggistica, narrativa, illustrati.

pubblicazioni annue 100 circa. collane Sì

pubblico La nostra saggistica è rivolta a un pubblico di lettori forti, la narrativa ha titoli che possono essere letti da tutti. I lettori effettivi sono lettori forti.

titoli più letti Lezioni di fotografia, Luigi Ghirri; Un uomo che dorme, Georges Perec; Mosca-Petuski, Venedikt Erofeev; Manifesto del Terzo paesaggio, Gilles Clément. membri della redazione 14 approccio comunicativo Serio.

stampa Offset e digitale. Le tipografie con cui collaboriamo sono a Recanati (MC), Isola del liri (FR), Roma e Lavis (TN). Abbiamo collaborato anche con tipografie di Aosta, Trento e Fusignano (RA). distribuzione e promozione Siamo distribuiti da Ali e promossi da NW per l’Italia. Il nostro distributore all’estero è Idea Books. logistica Usiamo i magazzini di Ali e di CPC. Questo secondo magazzino ci permette di fare le spedizioni dirette nel caso ce ne fosse bisogno, quelle per l’e-commerce. attività collaterali Nel 2022 e 2023 abbiamo collaborato a Drop City durante il Salone del Mobile di Milano. I nostri libri sono stati presenti al Waf a Singapore nel 2023. Abbiamo collaborato con diversi musei per la pubblicazione di cataloghi (Maxxi, Macro, Biennale di Venezia ecc.). Pubblichiamo riviste in collaborazione con l’Università IUAV di Venezia, la Sapienza di Roma e l’Università di Bologna. presenza digitale / fisica Usiamo i social, partecipiamo alle fiere Più libri più liberi di Roma, Testo di Firenze, Book Pride (Genova e Milano), Una marina di libri di Palermo; i nostri autori partecipano al Festivaletteratura di Mantova, a Pordenonelegge e a Book City Milano. Organizziamo presentazioni nelle librerie, nelle università, nelle accademie, nei musei e in altre sedi istituzionali.

Minimum Fax 1994

roma

storia e linea editoriale. parola all’editore Il nome minimum fax appare per la prima volta nel 1993 su una rivista letteraria. Nel maggio 1994 escono i primi libri, i Segreti d’autore di Luigi Amendola e Scrivere è un tic di Francesco Piccolo, e altri a venire sul mestiere dello scrittore e su tutto ciò che sta attorno ai processi della scrittura: lavoro tuttora in corso, nella collana Filigrana. Nel 1995 esce il primo libro della collana Sotterranei, che ha aperto il fronte di ricerca sulla letteratura americana. Da allora tanti scrittori contemporanei – come Jonathan Lethem, Rick Moody, Jennifer Egan e David Foster Wallace, tradotto da minimum fax per la prima volta nel mondo fuori dagli Stati Uniti – e i padri letterari della generazione precedente, come Bukowski, Vonnegut, Carver. Oggi minimum fax continua il suo lavoro di ricerca pubblicando nuove voci della narrativa americana e italiana.

linea editoriale Racconto delle contemporaneità attraverso narrativa nord americana, narrativa italiana di ricerca, saggistica di attualità e classici moderni.

pubblicazioni annue 50 circa.

collane Sì.

pubblico Lettori e lettrici forti tra i trenta e i cinquant’anni.

titoli più letti Acqua in bocca, Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli; Una cosa divertente che non farò mai più, David Foster Wallace; Revolutionary Road, Richard Yates.

membri della redazione 15 circa.

approccio comunicativo Amichevole.

distribuzione e promozione Entrambe. Distribuzione diretta con alcune librerie indipendenti, indiretta attraverso Messaggerie.

logistica CPC.

attività collaterali Minimum fax non è solo libri ma anche corsi (minimum lab) e produzioni visive (minumum fax media). Negli anni tante sono state le collaborazioni. L’ultima in ordine temporale è il BookRave, un festival diffuso organizzato con altre sette case editrici (oltre a minimum ci sono Effequ, Il Saggiatore, Iperborea, NN editore, Nottetempo, Quinto Quarto e Sur).

presenza digitale / fisica Sito, newsletter e tutti I social. Fiere: Salone del libro di Torino, Più Libri Più Liberi, Testo Firenze, BookPride Milano. Per i Festival siamo presenti con i nostri autori e le nostre autrici muovendoci in contesti diversi e variegati.

Meltemi 1994 milano

storia e linea editoriale. parola all’editore La storia della casa editrice inizia a Roma nel 1994, con la pubblicazione di alcuni titoli di saggistica nell’ambito delle scienze umane che ancora oggi rappresentano il fiore all’occhiello del catalogo e che Meltemi ha per prima introdotto in Italia. Antropologia, estetica e culture visuali, sociologia, scienze politiche, studi coloniali e postcoloniali erano e sono le aree privilegiate di un catalogo che consta di circa 800 titoli e di una rete di autori e autrici che conta i più grandi studiosi e le più grandi studiose del pensiero contemporaneo. Rinata nel 2017, la casa editrice ha riportato nelle librerie volumi di grande rilevanza culturale che da alcuni anni mancavano sugli scaffali, affiancati da novità che confermano la volontà di portare avanti la pubblicazione della migliore saggistica sui tanti volti della modernità e dell’attualità.

linea editoriale Saggistica nel campo delle scienze umane.

pubblicazioni annue 100

collane Sì.

pubblico La nostra saggistica si divide principalmente in due settori: accademico/ specifico a seconda degli ambiti e divulgativo/per un pubblico esteso.

titoli più letti Insegnare a trasgredire, bell hooks; Outsiders, Howard S. Becker; Homo sapiens e altre catastrofi, Telmo Pievani.

membri della redazione Una persona fissa con alcune collaborazioni esterne. approccio comunicativo Divulgativo e accademico.

stampa Italia, prevalentemente in digitale. distribuzione e promozione Distribuzione Messaggerie / Promozione Libromania. logistica Distributore.

attività collaterali Insieme a NABA – Nuova Accademia di Belle Arti abbiamo avviato la collana editoriale Geoarchivi che è anche un progetto culturale fatto di eventi dentro e fuori l’accademia, spesso in sinergia con gli studenti stessi.

presenza digitale / fisica Facebook, Instagram e YouTube. Partecipiamo alle più importanti fiere e ai principali festival, tra cui: Salone di Torino, Fiera Più Libri Più Liberi di Roma, Book Pride di Milano e Genova, BookCity Milano, Pisa Book Festival e Testo di Firenze.

1990

DeriveApprodi 1998 bologna

storia e linea editoriale. parola all’editore DeriveApprodi ha una lunga storia. Nasce dapprima come rivista nel 1992 su iniziativa di Sergio Bianchi e Mauro Trotta, affermandosi in breve tempo come punto di riferimento nella ricerca teorico-politica. Non a caso, importantissimi e raffinatissimi intellettuali come Toni Negri, Giorgio Agamben, Nanni Balestrini, Franco “Bifo” Berardi, Christian Marazzi e Paolo Virno partecipano alla redazione o scrivono per la rivista. Il salto a casa editrice (la rivista continuerà a pubblicare fino al 2005) avviene nel 1998. Sin dalla sua fondazione, DeriveApprodi ha avuto una linea editoriale improntata a “scavare” nella profondità, scandagliando le inquietudini del presente, in un rapporto virtuoso col passato. Ancora oggi, questa impostazione guida i progetti della casa editrice.

linea editoriale La casa editrice si propone di rappresentare un punto di riferimento editoriale per il pensiero critico, la tradizione dell’operaismo politico italiano, la storia delle lotte e dei movimenti, la sperimentazione teorica e letteraria, le pubblicazioni sull’attualità. La linea editoriale si caratterizza per una produzione prevalentemente saggistica. A ciò si affiancano anche due collane di letteratura, di cui una volta alla produzione letteraria sperimentale. pubblicazioni annue Per il 2024 sono previste circa 50 pubblicazioni.

collane Sì.

pubblico Categorie variegate di lettori.

titoli più letti Vogliamo Tutto, Nanni Balestrini; Il postumano, Rosi Braidotti. membri della redazione 5 approccio comunicativo Serio/divertente e divulgativo.

stampa Lavis (TN), presso Legodigit. distribuzione e promozione Messaggerie Libri; la promozione è affidata a NW consulenza e marketing editoriale.

logistica Il magazzino è CPC, le spedizioni sono affidate a GLS.

attività collaterali La casa editrice ha tre punti vendita, uno a Bologna (Punto Input), uno a Roma (Radical Bookstore) e uno a Basilea. Legata all’attività editoriale nel 2020 è nata la rivista online Machina, con pubblicazioni quotidiane. Ogni anno promuove il Festival DeriveApprodi.

presenza digitale / fisica Utilizzo quotidiano dei social e presenza fisica attraverso presentazioni settimanali presso i nostri punti vendita e altre librerie, partecipazione a fiere e festival.

Gli Ori 2000 pistoia

storia e linea editoriale. parola all’editore Sono ormai quasi 25 anni che la nostra casa editrice è attiva nell’ambito dell’arte contemporanea. Sin dall’inizio ci siamo rivolti a un pubblico amante dell’arte che frequenta musei, mostre, studi di artisti e fiere specialistiche. La nostra produzione si basa essenzialmente su monografie di artisti del nostro tempo, saggi d’arte ed epistolari, corrispondenze, diari, e ci poniamo a supporto di mostre ed eventi. Negli ultimi anni ci siamo maggiormente rivolti anche all’arte italiana del Novecento, troppo spesso sottovalutata ma che, a nostro avviso, necessita invece una rilettura attenta e approfondita.

linea editoriale Arte del XX e del XXI secolo. pubblicazioni annue 45 circa.

collane Sì. I Limoni, Documenti e corrispondenze, Before and After (in collaborazione con Galleria Continua), Abaq (in collaborazione con l’Accademia di Belle Arte de L’Aquila), In visita (in collaborazione con Fondazione Cassa di Risparmi di Pistoia). pubblico Gli Ori si rivolge a tutti coloro che amano l’arte, agli artisti, ai frequentatori di mostre, ai critici, agli storici dell’arte, agli studenti universitari e delle accademie di Belle Arti.

titoli più letti Giorgio Morandi. Il sentimento delle cose, Marilena Pasquali; L’arte in preda al possibile, Serena Carbone; Fattoria di Celle. Un percorso nell’arte ambientale, “I Limoni”.

membri della redazione 3 approccio comunicativo Divulgativo/divertente. stampa In Toscana, sia offset che digitale a seconda della tiratura.

distribuzione e promozione Indiretta: LibroCo Italia, Casalini Libri, Terminal Distribuzione srl, bookshop dei musei; diretta: sito web.

logistica Nessun intermediario. attività collaterali No. presenza digitale / fisica 30% digitale, 70% fisica.

NERO 2004 roma

storia e linea editoriale. parola all’editore NERO è una casa editrice e un’agenzia creativa che promuove, in diversi ambiti e formati, i linguaggi, le pratiche artistiche e il pensiero contemporaneo. Dal 2004 NERO pubblica libri, cataloghi, cura mostre d’arte e organizza progetti culturali, autonomamente o collaborando con istituzioni pubbliche o private. Con una particolare attenzione alle innovazioni consentite dai nuovi media e dalla comunicazione digitale, NERO promuove una nuova idea di editoria che, attraverso la convergenza di strumenti e formati differenti, unisce pratiche artistiche e pensiero speculativo. Il catalogo di NERO ospita i lavori di personalità significative nel campo della filosofia e delle arti visive: da Gino de Dominicis e Kenneth Goldsmith a Donna Haraway e Silvia Federici, da Nathalie du Pasquier e Jimmie Durham a Timothy Morton e McKenzie Wark, e molti altri.

linea editoriale NERO è una casa editrice internazionale fondata a Roma nel 2004 dedicata all’arte, alla teoria e alla cultura contemporanea. Specializzata in discipline quali arti visive, musica, filosofia e politica, esplora immaginari presenti e futuri per raccontare l’essenza caotica e mutevole del nostro tempo.

pubblicazioni annue 36

collane Art&Aesthetics, Not, Short Books, “” (quotation mark quotation mark), Iconografie XXI

pubblico 16-99 anni.

titoli più letti Realismo capitalista, Mark Fisher; Caccia alle streghe, Silvia Federici; Chthulucene, Donna Haraway.

membri della redazione 8 approccio comunicativo Abbinare argomenti alti a un’estetica che non teme di sconfinare nel pop, usare il digitale, avvicinare i lettori in un dialogo interattivo costante. stampa Varie tipografie in Europa.

distribuzione e promozione A.L.I. Agenzia Libraria International, Les presses du réel, Idea Books, Art Data, Printed Matter, Buchhandlung Walther König.

logistica CPC Logistica.

attività collaterali Concerti, mostre, party, podcast, public program, convegni, workshop, consulenze.

presenza digitale / fisica 50/50.

STORIES EDITORIA INDIPENDENTE di CHRISTIAN NIRVANA DAMATO
2000 78 47

Mousse Publishing 2008 milano

storia e linea editoriale parola all’editore

Mousse Publishing è una casa editrice indipendente fondata nel 2008 a Milano, specializzata in arte e cultura contemporanea. Nata come spin-off di Mousse Magazine (fondato nel 2006), Mousse Publishing sviluppa progetti editoriali con artisti, curatori, editori, gallerie, musei, biennali e altre istituzioni culturali, sia pubbliche che private. Distribuiti in oltre trecento librerie di tutto il mondo, sono stati prodotti finora circa seicento titoli che presentano alcune delle voci più rilevanti del panorama contemporaneo.

linea editoriale Focus sull’arte contemporanea. pubblicazioni annue 40 circa. collane No. pubblico Esperti e appassionati di arte e cultura.

titoli più letti Cinzia says..., Cinzia Ruggieri; Gianni Pettena 1966-2021; The Artist as Curator: An Anthology. approccio comunicativo Serio, accademico, con una particolare attenzione sia per il contenuto che per l’aspetto grafico.

stampa Italia.

distribuzione e promozione Distribuzione diretta o attraverso distributori internazionali.

logistica Servizio e-commerce / Magazzino interno.

attività collaterali Partecipazione alle fiere e agli eventi di settore.

presenza digitale / fisica Presenza sulle principali piattaforme social e sito web. Partecipazione alle fiere e agli eventi di settore.

Eris Edizioni 2009 torino

storia e linea editoriale. parola all’editore Eris è una casa editrice indipendente e alternativa con più di dieci anni alle spalle. Si occupa di fumetto e graphic novel, narrativa e saggistica, esplorando sia il panorama autoriale italiano che internazionale. Parole. Immagini. Storie. Suoni. A Eris piace navigare in mari inesplorati e profondi, per portare alla luce quello che altre realtà non vedono. Per questo la troverete sempre dove meno ve lo aspettate. Eris ha una policy elementare: in nessun modo vuole favorire il razzismo o atteggiamenti xenofobi; Eris è antisessista, contro ogni discriminazione di genere, contro l’omolesbobitransfobia, è antifascista e contro qualsiasi regime totalitario o stigma sociale che privi una persona dei suoi diritti fondamentali. We’ll never walk alone!

linea editoriale Eris cerca tutto quello che è indipendente e underground, che ha una forte visione artistica e autoriale, sia dal punto di vista estetico che di contenuto, tutto quello che è inaspettato e che forza le regole e le convenzioni. Una ricerca che si concentra sulla scoperta e sull’esplorazione di nuovi immaginari, linguaggi e voci.

pubblicazioni annue Tra le 20 e le 25. collane 4

pubblico Non lo sappiamo, ci concentriamo sui libri e non su potenziali target.

titoli più letti Perché il femminismo serve anche agli uomini, Lorenzo Gasparrini; Io non sono come voi, Marco Boba; H.P. Lovecraft. da Altrove e altri racconti di Erik Kriek e tutti i titoli di Jesse Jacobs.

membri della redazione 4

approccio comunicativo Dipende dal titolo e dal contesto, sia seria che divertente, e allo stesso tempo sia amichevole che divulgativa.

stampa Stampiamo in Italia in offset. distribuzione e promozione Siamo distribuiti da CDA - Consorzio distributori associati per quanto riguarda la distribuzione in libreria. Siamo distribuiti da Manicomix per quanto riguarda le fumetterie. Inoltre collaboriamo direttamente con più di 100 realtà.  logistica Ci appoggiamo a CPC per quanto riguarda magazzino esterno e spedizioni, ma allo stesso tempo abbiamo anche un magazzino interno.

attività collaterali Da settembre 2023, presso la nostra nuova redazione, organizziamo tre-quattro volte l’anno piccole mostre ed esposizioni non sempre legate all* autor* che pubblichiamo. Nella nostra storia abbiamo avviato collaborazioni con diverse realtà e collettivi come Progetto Stigma. Da poco con il collettivo Moleste, di cui pubblicheremo la fanzine Smack!. presenza digitale / fisica Ovviamente utilizziamo i social per la nostra comunicazione, ma allo stesso tempo crediamo che sia fondamentale la nostra presenza nel mondo reale attraverso fiere, festival e presentazioni non solo in eventi legati al mondo editoriale e del fumetto.

2010

Add Editore 2010 torino

storia e linea editoriale. parola all’editore Add nasce a Torino nel 2010. Dal 2015 la proprietà è di Francesca Mancini e Paolo Benini, la cui linea editoriale, alla cui guida dal 2022 c’è Giorgio Gianotto, ha come asse portante l’esplorazione dell’attualità e delle tematiche sociali attraverso la saggistica divulgativa ma non solo, avvalendosi anche di linguaggi altri come il fumetto, le mappe e i grafici. Tra i nostri temi cardine, in maniera trasversale su tutte le collane, trovano spazio l’approfondimento dei fenomeni migratori, del concetto di frontiera e del suo superamento, l’osservazione della discussione che riguarda il femminile e l’indagine sulle trasformazioni tecnologiche in atto, sui temi ambientali ed ecologici. Ci piace aggiungere una nota in chiusura, riguardo la sempre maggiore presenza di autrici nei nostri piani editoriali: ne siamo felici e ci rendiamo conto che il loro punto di vista sta modificando e arricchendo il nostro, e speriamo quello dei lettori.

pubblicazioni annue 28

collane Saggi, Asia, Fumetti, Sport, Atlanti.

pubblico Pubblico vario.

titoli più letti Il pensiero bianco, Lilian Thuram; Quando il ferro costava più dell’oro, Alessandro Giraudo; Membrana, Chi Ta-Wei. membri della redazione 5 approccio comunicativo Divulgativo.

stampa Offset.

distribuzione e promozione Promedi / Messaggerie Libri.

logistica Messaggerie Libri / CPC per e-commerce gestito dal nostro.

attività collaterali Abbiamo in essere collaborazioni con istituzioni culturali di Torino, come il Museo d’Arte Orientale (MAO), che recentemente ha ospitato una mostra curata dalla casa editrice di tavole tratte dal fumetto di poesia Una breve elegia, dell’artista taiwanese Animo Chen, e dal suo ultimo lavoro Love letter; con il Polo ‘900, con cui, oltre ad altre attività, collaboriamo al concorso Accendi la resistenza per giovani fumettisti ispirato ai temi della Resistenza, e con il centro culturale Graphic Days.

presenza digitale / fisica Principali canali social e tutti i maggiori festival ed eventi fieristici italiani (90%).

Prinp 2011 torino

storia e linea editoriale. parola all’editore Prinp Editore nasce alla fine degli Anni Duemila, in un contesto di grande fermento per l’editoria digitale come piattaforma Internet di editoria crossmediale, con un progetto basato sulla ridefinizione dei modelli di produzione editoriale, avvalendosi degli strumenti messi a disposizione dal web e dalle nuove tecnologie per pubblicare, stampare, vendere, condividere e distribuire opere librarie in formato sia cartaceo che digitale. Oggi Prinp è una casa editrice il cui focus principale è incentrato sull’arte, sulla fotografia, l’architettura, il design, il teatro e la poesia. Oltre a prestigiosi libri illustrati, cataloghi di mostre, monografie e libri d’artista, pubblica saggi di storia e di critica dell’arte e del teatro con incursioni nell’economia, sociologia, pedagogia, politica e ambiente. Negli anni ha esteso il suo percorso di ricerca ampliando il catalogo con volumi dedicati alla narrativa, alle autobiografie e alle memorie. Prinp ha in catalogo pubblicazioni con noti autori, curatori, artisti e critici d’arte, e negli anni ha collaborato con importanti musei e istituzioni.

linea editoriale Arte e critica d’arte (da una prospettiva multidisciplinare), narrativa, autobiografie e memorie.

pubblicazioni annue 15/20.

collane Sì

pubblico Pubblico generico, specializzato, universitario, accademico, addetti ai lavori.

titoli più letti Saggi di adozione accademica/universitaria, monografie dedicate a grandi maestri dell’arte contemporanea: Giulio Paolini, Piero Gilardi, Carol Rama, Luigi Mainolfi ecc. membri della redazione 5 (2 interni, 3 collaboratori esterni).

approccio comunicativo Serio; serio/divertente; divulgativo, accademico. Tutti a seconda dei contenuti da comunicare.

stampa Offset e digitale.

distribuzione e promozione Diretta e indiretta, con Arianna+ e Casalini Libri.

logistica Nessun intermediario, magazzino proprio e logistica interna.

attività collaterali Organizzazioni di eventi e presentazioni editoriali.

presenza digitale / fisica Utilizzo dei social Facebook e Instagram, partecipazione a presentazioni, festival e fiere di arte moderna e contemporanea, fiere del libro.

Witty Books 2012 torino

storia e linea editoriale. parola all’editore Witty Books è una casa editrice indipendente che mira a promuovere la fotografia contemporanea e le arti visive. Nasce nel 2012 con il nome di Witty Kiwi, fondata da Tommaso Parrillo. Ci concentriamo sulla pubblicazione di libri come oggetto e come spazio di ricerca, lavorando a stretto contatto con artisti e designer. Crediamo fortemente nel dialogo tra le diverse arti, per questo abbiamo dato vita al progetto Ear/ Eye. Inoltre, il progetto Witty Books non si ferma alla pubblicazione di libri, ci concentriamo molto sull’educazione dell’immagine.

linea editoriale Fotografia autoriale, evocativa, concettuale.

pubblicazioni annue 10/15

collane No.

pubblico Fotografi, Arti visive, Grafica.

membri della redazione 1

approccio comunicativo Amichevole. stampa Offset.

distribuzione e promozione Diretta.

logistica Spedizioni dirette, no intermediari.

attività collaterali Masteclass Folio in collaborazioni con Phmuseum; Workshop; Insegnamento IED Torino.

presenza digitale / fisica Instagram e circa dieci fiere all’anno.

Emergenze Publishing 2015 perugia

storia e linea editoriale. parola all’editore Emergenze Publishing nasce come costola della rivista Emergenze, nel 2015, prima ancora dell’apertura di Edicola 518. La finalità della casa editrice è da subito quella di fare ricerca di luoghi e storie sul nostro territorio di provenienza: quello perugino e, per estensione, tutto quello umbro. Così nasce una trilogia di guide alla città di Perugia prima, e poi all’Umbria nascosta. In seguito, con lo strutturarsi del progetto, il nostro interesse editoriale si amplia e, nonostante il mantenimento di un saldo legame territoriale, si producono volumi che moltiplicano le aree di interesse. Il fare libri per noi non è il risultato di un approccio programmatico quanto piuttosto di una necessità che si rinnova sempre. Questo fa sì che ogni progetto sia unico e al tempo stesso unito alla casa editrice, unione possibile grazie allo spirito con cui ci approcciamo alla progettualità e raramente da un’idea di collana classica.

linea editoriale Assente. pubblicazioni annue 2-4 collane L’unica vera collana è Scritture Private, per la quale sono usciti tre titoli di poesia.

pubblico Disparato come la varietà dei temi affrontati.

titoli più letti Lezioni di Anarchia 1 e 2, Hidden. Umbria Nascosta

membri della redazione 3-4 approccio comunicativo Ironico e dissacrante, come quello adottato per Edicola 518. stampa In Umbria; più recentemente, per alcuni volumi fotografici che hanno richiesto una cura e dei macchinari diversi, come Il nostro ultimo e più ambizioso Yes to All, abbiamo stampato da Musumeci in Valle D’Aosta.

distribuzione e promozione Distribuzione diretta tramite il circuito che abbiamo creato autonomamente. Emergenze è anche una piccola realtà distributiva che utilizza i canali che usa per la distribuzione propria anche per diffondere alcuni titoli prodotti da altri (sia libri che magazine).

logistica Nessun intermediario. Ci avvaliamo della nostra rete informale e della vendita diretta tramite la nostra libreria e l’e-commerce di Edicola 518.

attività collaterali Collateralmente c’è tutta l’attività di Edicola 518, molto variegata sia quanto a organizzazione di eventi e incontri che alla realizzazione di iniziative artistiche.

presenza digitale / fisica Presenza sui social network; partecipiamo a diverse manifestazioni italiane, ma stiamo producendo tutti gli ultimi volumi con testi bilingue così da poter iniziare a partecipare assiduamente, dal 2024, alle fiere internazionali dell’editoria.

STORIES EDITORIA INDIPENDENTE di CHRISTIAN NIRVANA DAMATO
78 49

Hollow Press 2015 vasto

storia e linea editoriale. parola all’editore La Hollow Press viene fondata da Michele Nitri nel 2015, con lo scopo di pubblicare ciò che egli stesso faticava a trovare nel mercato di quel periodo. Fumetti underground che si focalizzassero su temi fantastici e cupi, nello specifico un genere da lui definito “dark weird fantasy”. La lingua principale di pubblicazione è l’inglese, ci rivolgiamo dunque a un mercato internazionale, con la convinzione che l’underground sia diffuso in tutto il mondo. Nel 2022 la casa editrice inizia il suo percorso anche nel mondo dei games, diventando a tutti gli effetti, se non la prima, sicuramente una delle prime case editrici incentrate sui comics & games, cioè su entrambi i settori, diventando (ormai da anni) protagonista della gran parte dei festival in giro per il mondo. Nel 2023 Hollow Press si tramuta da singola entità oscura in ciò che definiamo la Hollow Hydra, un’entità a più teste (collaboratori) con lo scopo comune e morale di fare pura avanguardia, impedendo che il germe artistico underground possa fermarsi.

linea editoriale Under Dark Weird Fantasy Grounds.

pubblicazioni annue 12/15 + varie ristampe.

collane La prima collana nasce eccezionalmente nel 2022, affermandosi per primi nel mercato editoriale internazionale con i Lore Game Books

pubblico Internazionale.

titoli più letti Vermis I, Plastiboo, The Princess of the Never-ending Castle, Shintaro Kago.

membri della redazione 7

approccio comunicativo Serio e distaccato ma estremamente rispettoso.

stampa esclusivamente in Europa, al 95% in Italia.

distribuzione e promozione Distribuzione diretta gestita dalla Hollow Press, nei pochi shops selezionati in giro per il mondo.

logistica Magazzino privato + Madeori di Davide Ruggieri, Hollow Press logistics official partner.

attività collaterali Organizzazione di eventi e mostre incentrate sulle nostre pubblicazioni.

presenza digitale / fisica Utilizzo dei social, principalmente Instagram. E da sempre presenti nei festival di settore più prestigiosi del mondo.

Tlon 2016 roma

storia e linea editoriale. parola all’editore Edizioni Tlon è una casa editrice dinamica e innovativa fondata nel 2016 da Maura Gancitano, Andrea Colamedici e Nicola Bonimelli. Pubblica libri di filosofia, studi di genere, scienze sociali, psicologia, poesia e narrativa che intendono trasmettere l’urgenza e il piacere di porsi domande, costruire ponti tra le idee e le azioni. Con sede a Roma, Edizioni Tlon è anche una società di divulgazione e produzione culturale, nota anche per l’organizzazione di una serie di eventi e festival che presentano il meglio della letteratura e della cultura contemporanea. Nel quartiere Piramide di Roma si trova la sua prima libreria che offre una vasta collezione di libri di numerosi editori italiani. L’azienda gestisce anche il bookshop della prestigiosa Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Le modalità di acquisto per entrambe le librerie sono fisiche e online. Le Edizioni Tlon cura anche la selezione di titoli della libreria dell’Accademia di Francia a Villa Medici, Roma, e dal 2022 produce cataloghi d’arte.

linea editoriale Prevalentemente non fiction; inoltre narrativa, poesia, cataloghi d’arte.

pubblicazioni annue 20

collane Sì, Numeri primi, Planetari, Planetari Big, Tlon Aleph, Finzioni, Controcielo, Hrönir, Radici.

pubblico 25-65 anni.

titoli più letti Il mostruoso femminile. Il patriarcato e la paura delle donne, Jude Ellison S. Doyle, La società della performance, Andrea Colamedici e Maura Gancitano, Il genio non esiste (e a volte è un idiota), Barbascura X.

membri della redazione 5

approccio comunicativo Serio/divertente, amichevole, divulgativo.

stampa Offset e, raramente, in digitale. Città di Castello e Roma.

distribuzione e promozione Prevalentemente indiretta: ALI. Anche diretta.

logistica ALI e il nostro magazzino per e-commerce e per conti diretti con le librerie.

attività collaterali Presentazioni, partecipazioni a fiere, dirette Instagram e Facebook, organizzazioni di festival (es. Festa della filosofia – Roma e Milano).

presenza digitale / fisica 60% e 40%.

Luiss University Press 2016 roma

storia e linea editoriale parola all’editore La Luiss University Press esiste da più di vent’anni, anche tenendo conto della precedente denominazione (Luiss Edizioni) e altre esperienze editoriali dell’Ateneo che risalgono, almeno, ai primi Anni Novanta. Negli ultimi quindici anni circa, tuttavia, è stato tentato e poi intrapreso un approccio differente, direi “puramente editoriale” (ossia libri pensati per essere diffusi a lettori non

specialisti e inseriti nei circuiti promozionali e distributivi nazionali compiuto in particolare con l’attuale piano, attivo dal 2016). Il tentativo è quello di proporre una casa editrice universitaria sul modello anglosassone – ossia in tutto e per tutto simile nel lavoro svolto e nei canali praticati a una “press” senza “university” nel nome. Questo “university”, vissuto in passato come limitante da gran parte del mondo editoriale italiano – forse perché istintivamente associato a manuali o a libri di scarso interesse per i non accademici –, è invece, nella nostra visione, qualificante: garantisce approfondimento, rigore e, se vogliamo, suggerisce una certa complessità della materia trattata e del modo in cui ciò viene fatto.

linea editoriale Saggi, studi e ricerche in tutti gli ambiti delle scienze sociali, con particolare attenzione all’innovazione, alle nuove tecnologie e al loro impatto sulla società.

pubblicazioni annue 50 circa. collane Sì. pubblico Lettori e lettrici colti/e ma non specialisti e dedicati ai temi più importanti del grande dibattito dell’attualità (“Pensiero libero”); specialisti delle varie materie (“Koinè”).

titoli più letti Il capitalismo della sorveglianza, Shoshana Zuboff; La conoscenza e i suoi nemici, Tom Nichols; L’invenzione della natura, Andrea Wulf.

membri della redazione 6 approccio comunicativo Accademico /divulgativo.

stampa Vari collaboratori in differenti città, in prevalenza stampiamo in offset.

distribuzione e promozione Messaggerie (distribuzione) / Pea (promozione).

logistica Messaggerie.

attività collaterali Realizziamo LMDP - La meraviglia del possibile, la rivista della nostra Università con cadenza trimestrale. presenza digitale / fisica Svolgiamo attività promozionali sia digitali che fisiche.

D Editore 2017 roma

storia e linea editoriale parola all’editore Può sembrare strano, ma D Editore come la conoscete oggi un tempo era molto diversa. Sì, avevamo sempre un approccio libertario, ma ci interessavamo esclusivamente di… architettura! Ebbene sì, esiste un’architettura anarchica e radicale, e noi che avevamo fondato il progetto (soprattutto io –Emmanuele Pilia – e Massimiliano Ercolani) ne eravamo ossessionati. Dopo qualche anno, però, volevamo estendere la portata dei nostri interessi, e così abbiamo fatto espandere il progetto e ci siamo liberati del tono un po’ troppo accademico che la disciplina architettonica un po’ ci costringeva ad avere. Abbiamo aperto la gabbia, e ne è uscita fuori una strana bestia, un po’ punk e molto autoironica, pronta a farsi bannare dai social e attenzionare dai bellissimi agenti dei servizi che ci leggono.

linea editoriale Saggistica, fumetto e narrativa di stampo libertario.

pubblicazioni annue 12 collane Sì.

pubblico Giovane, 18/35 anni, con una maggioranza di giovani donne.

titoli più letti Anarcoccultismo, Erica Lagalisse; Oltre la periferia della pelle, Silvia Federici; Libertaria

membri della redazione 6

approccio comunicativo Amichevole, autoironico, sopra le righe.

stampa Italia, stampiamo solo con processo certificato FSC.

distribuzione e promozione Sia diretta (abbiamo una rete di librerie con cui lavoriamo) che indiretta (con diversi distributori, non concedendo l’esclusiva).

logistica CPC.

attività collaterali Sì, ne facciamo diverse: convegni, progettiamo fiere, partecipiamo nella consigliatura ADEI, eccetera. presenza digitale / fisica Usiamo tutti i social che possiamo, preferendo il contatto diretto in chat. Sulla presenza fisica, cerchiamo di abbondare. In generale, tentiamo di fare almeno una fiera al mese.

Pidgin Edizioni 2017 napoli

storia e linea editoriale parola all’editore Casa editrice napoletana specializzata in una letteratura viscerale e originale, di autori italiani e stranieri, che insegue il mescolamento dei linguaggi e guarda oltre le barriere linguistiche, principi incarnati dalla scelta stessa della parola “pidgin” nel proprio nome.

linea editoriale Narrativa italiana e straniera dalla scrittura particolarmente tagliente e originale. pubblicazioni annue 5 in media. collane Due principali: Ruggine, per la narrativa più ruvida e/o sperimentale; Mangrovie, dedicata alla letteratura postcoloniale contemporanea; più qualche fuori collana. pubblico Pubblico generico.

titoli più letti La squilibrata, Juliet Escoria; Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa, Francesca Mattei; Sono fame, Natalia Guerrieri. membri della redazione 3 approccio comunicativo Serio, essenziale. stampa In Italia.

distribuzione e promozione Distribuzione nazionale: DirectBook; distribuzione diretta per librerie indipendenti (tramite portale Librostore); promozione diretta e indipendente; distribuzione ebook tramite BookRepublic (ExLibris); vendita anche tramite sito.

logistica Spedizione da magazzino DirectBook per le catene; spedizione da magazzino CPC per le librerie indipendenti e per acquisti sul sito.

attività collaterali Slengo, dizionario italiano online di neologismi e gergo. presenza digitale / fisica 70% digitale / 30% fisica. Presenza solo a poche fiere e poche presentazioni selezionate.

effequ 2018 firenze

storia e linea editoriale. parola all’editore effequ nasce nel 2018 a Firenze, con la convinzione che dopo gli Anni Dieci esistessero dei metodi per scompaginare il paludato ambiente culturale italiano. Negli anni (non moltissimi) che ha percorso da allora ha provato diversi approcci, ed è sembrato funzionare quello alla saggistica del tutto informale, trasversale, sebbene autorevole, documentato, rigoroso, e la ricerca di una narrativa italiana di rottura che non fosse retoricamente qualcosa di originale, ma letteralmente l’ultima cosa che ci si potesse o volesse aspettare da una narrativa nazionale. Il risultato è che in Italia la possibilità di scompaginare esiste, basta darle credito. Ci sono di conseguenza anche gemmazioni dei due rami, in direzioni che vanno verso i bambini e verso delle piccole serie tascabili. effequ è a tutti gli effetti una casa editrice pericolosa.

linea editoriale Saggistica e narrativa. pubblicazioni annue Circa 12 (+ circa 6 numeri di piccoli saggi per bambini)

collane Sì, tre collane e una serie: Saggi Pop (saggistica adulti), Rondini (narrativa italiana), Scatoline (saggistica linguistica per bambini), Elettra (serie tascabile a scadenza).

pubblico Si rivolge a un pubblico difficile, quello trasversale, e perlopiù giovane (tra i 25 e 35 in particolare, la fascia che non legge un granché). Poi di fatto trova lettorǝ anche in fasce inaspettate, tipo la gente curiosa della generazione baby boomer, che di fatto non è così senza speranza come credevamo.

titoli più letti Femminili singolari, Vera Gheno; Eccentrico, Fabrizio Acanfora; Per una rivoluzione degli affetti, Brigitte Vasallo. membri della redazione 2

approccio comunicativo Autoironico/faceto. stampa Geca, digitale. Politica del macero zero.

distribuzione e promozione A.L.I. / NW. logistica Magazzino editoriale CPC, Viterbo. attività collaterali effequ produce in collaborazione con il Teatro dell’Opera di Roma la rivista Calibano – approfondimenti culturali tematici a cadenza quadrimestrale. presenza digitale / fisica Entrambe, diciamo 60% digitale e 40% fisica.

2020

Tamu Edizioni 2020 napoli

storia e linea editoriale. parola all’editore Tamu Edizioni è un progetto culturale indipendente e collettivo. Pubblichiamo opere di narrativa e saggistica che guardano alle sfide lanciate dai movimenti femministi e antirazzisti, alle migrazioni, alle eredità del colonialismo e alla crisi ecologica del pianeta come fenomeni centrali nella società globale. La nostra linea editoriale si muove lungo le pieghe della realtà contemporanea, ne percorre le principali linee di rottura e mette in luce le specificità dei diversi Sud in un mondo sempre più interconnesso. Napoli, confine materiale e simbolico dell’Europa meridionale, è il luogo che abbiamo scelto per guardare al Sud globale da una prospettiva inedita. Tamu Edizioni nasce dall’esperienza, tutt’ora fertile, della libreria Tamu, che abbiamo aperto nell’autunno 2018 nel centro storico partenopeo. Tamu è anche l’editore di Arabpop. Rivista di arti e letterature arabe contemporanee

linea editoriale Saggistica e narrativa su temi che riguardano l’intersezione tra classe, razza e genere, l’ecologia e il rapporto tra i vari sud del mondo.

pubblicazioni annue 10 collane Sì.

pubblico Di tutte le età, ma principalmente giovani tra i 20 e 40 anni con uno spiccato interesse per questi temi, attivisti sociali, culturali e politici del paese.

titoli più letti Il femminismo è per tutti, bell hooks; Elogio del margine/Scrivere al buio, bell hooks; Dieci miti su Israele, Ilan Pappé. membri della redazione 3 approccio comunicativo Serio/divertente

stampa Facciamo tutto in Campania: stampiamo in offset con Printi Srl di Avellino, mentre la legatoria è salernitana.

distribuzione e promozione Messaggerie / PEA. logistica CPC.

presenza digitale / fisica La presenza digitale sui social è quotidiana; le presentazioni dei nostri libri anche, e partecipiamo alle maggiori fiere e festival.

STORIES EDITORIA INDIPENDENTE di CHRISTIAN NIRVANA DAMATO
78 51

DITO Publishing 2020 roma

storia e linea editoriale. parola all’editore DITO Publishing è nata nel 2020 come progetto condiviso tra Martha Micali e Klim Kutsevksyy, è una casa editrice indipendente con sede a Roma per la fotografia contemporanea e le arti visive. Realizza libri e progetti editoriali in tiratura limitata e edizioni speciali con particolare attenzione alla ricerca dei materiali e al design del libro. DITO Publishing nasce con l’intento specifico di dar voce a quei linguaggi photography-based e paper-based media, cercando di creare un ponte tra l’ambiente fotografico e quello dell’arte contemporanea, Collaborando con artisti e curatori che operano similarmente e che utilizzano nella loro ricerca il mezzo fotografico e/o la carta, esplorando possibilità, soluzioni e ibridazioni.

linea editoriale Arti Visive, con particolare attenzione ai linguaggi contemporanei e sperimentali sul mezzo fotografico e grafico.

pubblicazioni annue Da 4 a 7. collane Sì, ma il nucleo più ampio di pubblicazioni della casa editrice viene presentato extra collana.

pubblico Si rivolge a chi vuole conoscere lavori di artisti contemporanei in attività e a chi si appassioni di libri e oggetti editoriali non canonici e curiosi.

titoli più letti IL SIMBOLO TACE, Andrea Cafarella.

membri della redazione La redazione è costituita da Martha Micali e Klim Kutsevskyy, i due fondatori.

approccio comunicativo Informale.

stampa Lavoriamo con diverse tipografie, laboratori di stampa e rilegatura attivi sul territorio romano.

distribuzione e promozione Distribuiamo direttamente, grazie al rapporto di fiducia con i librai di settore d’arte e/o di librerie generaliste che vogliono proporre qualcosa di particolare ai loro clienti.

logistica Non abbiamo nessun intermediario tra noi e le librerie, per cui i nostri libri possono essere acquistati attraverso il nostro sito.

attività collaterali Collaboriamo con diverse entità e identità, quali artist*, curator*, artigian*, gallerie d’arte private e pubbliche, fondazioni, università e accademie, agenzie di moda e comunicazione per la realizzazione di libri, laboratori ed eventi.

presenza digitale / fisica Instagram, Facebook e sito web. Fiere italiane come il Funzilla, The Art Chapter, Paper Market e internazionali come Recreo Art Book Fair, Athens Art Book Fair, Tsundoku Photobook Ireland e Festival come Athens Photo Festival, BOOKS & OTHERS - ICA Milano e altre.

Krill Books 2020 lecce

storia e linea editoriale. parola all’editore Krill Books come marchio editoriale nasce nel 2020. Il progetto editoriale prende le mosse dalla rivista Krill, pubblicata tra il 2008 e il 2010. La rivista è stata un quadrimestrale sull’immaginario contemporaneo, con contenuti di vario genere: saggi, reportage, interviste e illustrazioni.

linea editoriale Krill Books è un progetto editoriale che vuole raccontare il contemporaneo utilizzando, innanzitutto, le forme espressive della saggistica e con particolare attenzione al sapere in chiave pop, soprattutto nel campo della filosofia e di altre scienze umane e sociali. Krill vuole anche prestare particolare attenzione ai processi che investono il mondo della comunicazione e alle modalità attraverso cui cinema, serie tv e aspetti visuali in generale confluiscono nella definizione del nostro immaginario.

collane Sì

pubblico I nostri libri si rivolgono a un pubblico appassionato alla teoria contemporanea, che cerchiamo di restituire in una chiave accessibile, senza rinunciare all’intensità dell’approfondimento. Nel nostro pubblico troviamo docenti, studenti e ricercatori, oltre a curiosi e appassionati. titoli più letti Miti, meme, iperstizioni, Tommaso Guariento; Traiettorie dell’Immaginario. Percorsi della Sociologia della Narrazione e dell’Immagine, a cura di Adolfo Fattori; I mondi di Game of Thrones. Potere, amori, conflitti a Westeros, a cura di Adolfo Fattori.

membri della redazione 4

approccio comunicativo La nostra comunicazione vuole essere accademica nel rigore ma amichevole e divulgativa per ciò che concerne il registro.

stampa Lavoriamo in partnership con StreetLIb, società leader nel print on demand per case editrici.

distribuzione e promozione Non abbiamo un partner per la promozione. La distribuzione è diretta sul nostro store e su tutti i principali store on line, mentre utilizziamo il distributore fastbook per le librerie.

logistica Streetlib e Fastbook

attività collaterali Alla casa editrice si affianca da poco Krill Edu, una scuola online che ci piace chiamare Scuola popolare. Krill Edu rappresenta l’anima educativa di Krill Books. Uno spazio esclusivo di ricerca e formazione dedicato al pensiero contemporaneo e alle scienze umane e sociali: dalla filosofia all’antropologia, dalla storia ai media, fino alla cultura digitale. presenza digitale / fisica Al momento 80%20%. Dal 2024 intendiamo prendere parte ad alcuni degli eventi editoriali più consolidati in Italia.

WoM 2021 san gavino monreale

storia e linea editoriale. parola all’editore Sul finire del 1540, alle soglie della morte, il Dottor Hohenheim, si chiese in che modo la mente potesse essere scardinata senza ricorrere a delle droghe, pur ottenendone tuttavia un risultato psico-allucinatorio equivalente. Fu allora che nacque WoM (acronimo di Word of Mouth), quale principio mistificatore di ogni velleitaria volontà di fornire una risposta razionalmente coerente alla domanda sull’ordine cardinale della coscienza. Bisognerà poi aspettare fino al 1911 perché il Dottor Faustroll, Patafisico, si proponga l’eroica missione di calcolare la superficie di Dio per ristabilire le cose, giungendo al punto di dichiarare che: “DIO È IL PUNTO TANGENTE DI ZERO E INFINITO”. Finché poi, oltre un secolo di distanza, vennero fondate le Edizioni WoM, che da allora e fino alla fine dei tempi ripropongono all’umana progenie il frutto quintessenziale delle loro alchemicamente testate psicoricerche, perché il mondo ha bisogno di dotarsi di una mente che sia esponenzialmente almeno un miliardo di volte più plastica, mutevole, ampia e melliflua.

linea editoriale Anarco-Patafisica pubblicazioni annue 10 collane Sì pubblico A tutti coloro che hanno la DEVIANZA e la PSICONAUTICA come principio Etico ed Estetico e il CARNEVALE come hobby.

titoli più letti Buffe Chimere, François Rabelais; Teleny, Oscar Wilde; Bycicle Day, Brian Blomerth.

membri della redazione 3 approccio comunicativo Serio / Divertente e divertito / Patafisico/ (Dis)educativo / Anti-umanistico.

stampa Offset – diverse tipografie a seconda delle necessità.

distribuzione e promozione Diretta / Indiretta / Trasversale-e-Patogena – Directbook per catene e grossisti. Resta il fatto che la soluzione migliore per gli indipendenti sarebbe una rivoluzione completa e una riappropriazione dei mezzi distributivi per mandare all’aria il sistema monopolistico che tiene tutti quanti al guinzaglio.

logistica Distributore / servizio per e-commerce / nessun intermediario a seconda delle necessità.

attività collaterali Abbiamo l’evento-mostra itinerante PRE-PORNO, in collaborazione con il centro studi queer di Carrara Aldo Mieli, con esposizione di materiali della cultura erotica queer, in perfetta linea con la nostra collana ROSA. Perché, come dice uno dei nostri autori, Louis Calaferte: “In Principio era il Sesso”.

presenza digitale / fisica 100% per entrambe, essere invasivi come un virus e tentare la replicazione pandemica è l’obiettivo di ogni organismo con qualche velleità di re-esistenza.

Cencellada 2023 roma

storia e linea editoriale. parola all’editore

La casa editrice è nata dalla necessità di condividere titoli che conoscevamo e ci ossessionavano. In questo senso, è molto più soddisfacente realizzare il proprio progetto e guidare ogni fase della pubblicazione di un libro: scelta dei titoli, traduttori, illustratori, impaginazione e carta da usare. Il nome della casa editrice, Cencellada, è indicativo di questa volontà. È una parola spagnola che indica il cambio di stato delle gocce della nebbia che si ghiaccia: lo stesso mutamento che vogliamo avvenga nel lettore dei nostri libri.

linea editoriale Narrativa letteraria. pubblicazioni annue 9 libri

collane Abbiamo soltanto una collana di narrativa, senza limitazioni in termini di lingue o epoche, il criterio di scelta è unicamente letterario. E c’è una collana di illustrati in arrivo.

pubblico Ci rivolgiamo a un pubblico adulto. Crediamo di essere generalisti e di poter comunicarci con qualsiasi lettore.

titoli più letti Le madri nere, Patricia Esteban Erlés; Ondina o l’ira del fuoco, Irene Gracia; Abel Sánchez, Miguel de Unamuno.

membri della redazione 2. Editrice e un’altra persona per ufficio stampa.

approccio comunicativo Vicino e partecipativo. Ci piace aggiungere informazioni e contesto ai nostri libri e, quando possibile, far partecipare gli autori.

stampa In Italia. Offset o digitale. distribuzione e promozione Diretta. Messaggerie Libri.

logistica Con distributore.

attività collaterali Pur essendo sempre aperti a nuove proposte, siamo amanti dei classici che si concentrano sul catalogo e sul libro come oggetto.

Politi Seganfreddo Ed. 2023 milano

storia e linea editoriale. parola all’editore Politi Seganfreddo edizioni, editore di Flash Art, raccoglie l’eredità della casa editrice Giancarlo Politi Editore, che tra gli Anni Settanta e gli Anni Novanta ha dato voce ai più autorevoli pensatori della seconda metà del Novecento.  PSe  ne ripropone oggi i contenuti attraverso collaborazioni inaspettate che ne rileggono le tematiche a partire da prospettive inedite. Politi Seganfreddo edizioni è una casa editrice che restituisce la contemporaneità ripensandone le categorie in modo fluido, dove l’arte si fonde con la scienza, la moda con la filosofia, il saggio con la poesia sperimentale, il romanzo, la teoria della musica.

linea editoriale Ricerca.

pubblicazioni annue 12-15

collane No.

pubblico Pubblico dell’arte e della ricerca contemporanea.

titoli più letti Maria Callas Inedita, Maria Callas; Ayahuasca e Cura del Mondo, Piero Cipriano; Transavanguardia, Achille Bonito Oliva.

membri della redazione 2-3.

approccio comunicativo Serio e divulgativo. stampa Tipografia Pavan, stampa laser. distribuzione e promozione PDE e Messaggerie. logistica Distributore interno: Mattia Maisto, Distribution Manager Flash Art; Distributore esterno: Messaggerie.

attività collaterali Presentazione libri attraverso conversazioni sorprendenti ed eventi interdisciplinari.

presenza digitale / fisica 60% / 40%.

Timeo 2023 palermo

storia e linea editoriale. parola all’editore Timeo nasce nel febbraio 2023 da un’idea di Corrado Melluso, Federico Campagna, Federico Antonini e Assunta Martinese, ai quali poi si è aggiunto Valerio Cianci. La linea editoriale, considerando la crisi della rappresentanza politica e l’apparente inevitabilità delle funzioni tecniche ed economiche che definiscono la società e il mondo per come lo conosciamo, Timeo punta all’agnizione, all’autonomia ermeneutica, a immaginare nuovi mondi: questo crediamo sia ancora possibile a patto di rinunciare all’autorità di quelli che un tempo, appunto, si chiamavano “progetti editoriali”. Non credendo che si possa più effettivamente pianificare un progetto editoriale come quelli a cui il Novecento ci ha abituati – pensiamo a Adelphi, ma non solo –proviamo giorno dopo giorno a decostruirne e reinventarne le dinamiche. Siamo un editore che vuole impresse addosso le impronte ideologiche dei libri che pubblica, senza farli rientrare in un recinto al cui interno, secondo le regole sempre innaturali dell’allevamento, vige una gerarchia fuori dal tempo.

linea editoriale: Saggi, romanzi, poesia. pubblicazioni annue 15 collane No.

titoli più letti Disertate, Franco Bifo Berardi; Deep listening e Quantum listening di Pauline Oliveros.

membri della redazione 5 approccio comunicativo Serio e amichevole, incantato e analitico.

stampa Finora abbiamo stampato tutto da Elcograf, che ci ha accompagnato nella continua sperimentazione: a ogni libro cambiamo carta, legatura e modalità di stampa della copertina, tentando di fare tornare la grafica e la cartotecnica degli elementi semanticamente significativi del publishing.

distribuzione e promozione ALI. logistica CPC.

attività collaterali Organizziamo presentazioni di ogni libro, feste, eventi ibridi con concerti e dissertazioni, ma anche mostre nella nostra redazione, colazioni con presentazione, etc.

presenza digitale / fisica Siamo su quasi ogni social e abbiamo anche programmato time0.zone, un social che abbiamo “donato” alla nostra community. Nel primo anno abbiamo partecipato al Salone del Libro, a PLPL, a Una marina di libri e quest’anno a Firenze per la nostra prima edizione di Testo.

STORIES EDITORIA INDIPENDENTE di CHRISTIAN NIRVANA DAMATO
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Da Occidente a Oriente alla scoperta dell’architettura, della musica, dell’arte e del paesaggio austriaci.

In 5 tappe non del tutto usuali

SULLE VIE DEL SALE ITINERARIO NELL’AUSTRIA

DELLA CULTURA

Il lago Wolfgangsee, Österreich Werbung. Photo Julius Silver

Quando si tratta di vicini di casa, si sa, è necessario andarci coi piedi di piombo. Spesso una parete o la ringhiera di un giardino separano rapporti di astio, insofferenza e invidia. Quando espandiamo a livello macroscopico questa relazione, trasformando gli appartamenti in Paesi e i muri in confini, anche le conseguenze possono crescere di scala, in molti casi facendo esplodere tragicamente i diverbi in conflitti.

L’Europa lo sa bene: ogni nazione che compone il Vecchio Continente, prima o poi, è stata, o è tuttora, in conflitto con i suoi vicini. Noi italiani, ad oggi, possiamo ritenerci fortunati. Condividiamo l’arco alpino con Paesi ricchi di storia, cultura, arte, gastronomia, paesaggi mozzafiato. L’Austria, con tutte le amenità sopra citate e molto di più, è una nazione da scoprire non solo nei grandi e (giustamente) celebri centri urbani come Vienna e Salisburgo, ma anche nelle sue valli, nelle cittadine più piccole, nei festival che animano il territorio, nelle ricche tradizioni artistiche e musicali che l’hanno resa un concentrato di cultura come pochi al mondo.

Per questo motivo, abbiamo tracciato un itinerario che attraversa il Paese seguendo all’inverso il percorso del sole, con l’intenzione di scoprire un’Austria non necessariamente nota al grande turismo. Dai luoghi del vicino Tirolo (e in particolare della regione naturalistica e culturale di Hall-Wattens) passeremo alle fortezze che sorvegliano Salisburgo, passando da un importante festival musicale jazz. Continueremo tra i laghi e le grotte di sale del Salzkammergut fino alla sua città più importante, Bad Ischl, Capitale Europea della Cultura 2024. Il viaggio si concluderà in una meta ben nota, il Leopold Museum di Vienna, raccontato direttamente dal suo direttore.

L’Austria – patria di Klimt, Schiele, Mozart, Schubert, Haydn, Freud – è di certo un Paese dalla stratificazione intellettuale complessa, noto per la sua predilezione per la cultura “alta”. Dopotutto, è l’erede di un impero che non ha mai rifiutato le arti e il sapere, grazie soprattutto a sovrani illuminati come Maria Teresa d’Asburgo. A Vienna, la sensibilità culturale della famiglia imperiale fu il germe per le grandi collezioni di istituzioni di grande caratura, come l’Albertina Museum e il Museo del Belvedere, ospitate in quelle che furono fastose residenze asburgiche. Per non parlare di palazzi come l’Hofburg e lo Schönbrunn, o delle centinaia di castelli. Se l’Austria è senza dubbio la testimonianza dei livelli elevatissimi che il rapporto tra potere e cultura può raggiungere, è altrettanto vero che il Paese brulica di usi e costumi popolari, manifattura artigianale, sapori lontani dai grandi palazzi e vicini alle tradizioni contadine. Un viaggio di oltre 600km in cui proveremo a raccontare alcune suggestioni del Paese, con la convinzione di operare una selezione di certo non esaustiva, ma indicativa della varietà naturalistica, musicale, architettonica e artistica dei nostri “vicini di casa”.

STORIES AUSTRIA E CULTURA di ALBERTO VILLA
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HALL-WATTENS:

UNA REGIONE DI STORIA, NATURA E SPORT

TUTTA DA SCOPRIRE

Comincia già a pochi chilometri dal confine il nostro viaggio: la regione tirolese di Hall-Wattens offre attività per tutti i gusti e per tutte le stagioni, nonché centri urbani ricchi di storia e tradizioni

U n tempo punto nevralgico del commercio di sale, il territorio che prende il nome di Hall-Wattens è oggi una delle regioni turistiche più interessanti del Tirolo. Situata nella Valle dell’Inn – fra i maggiori affluenti del Danubio –Hall-Wattens vede come suo maggiore centro urbano Hall in Tirol, nell’area metropolitana della capitale tirolese Innsbruck, a cui si aggiungono almeno una decina di cittadine pregne di cultura austriaca.

LA CITTADINA MEDIEVALE

DI HALL IN TIROL

Sebbene oggi, con i suoi 12mila abitanti, sia la quarta città più popolosa del Tirolo, Hall in Tirol conserva un passato da importante centro urbano, persino più rilevante della stessa Innsbruck. A partire dal XIV secolo, Hall in Tirol accrebbe la sua influenza nel panorama commerciale della Valle dell’Inn, grazie soprattutto all’estrazione di sale nelle vicine miniere e alla sua esportazione in Svizzera, nella Foresta Nera e nella regione del Reno. Il sottosuolo di questa regione, tuttavia, non offre solo sale: i dintorni di Hall in Tirol vantavano anche una delle più importanti miniere d’argento del Medioevo, ragion per cui nel 1477 l’arciduca del Tirolo Sigismondo vi trasferì la zecca sovrana, fino a

sopra: Veduta di Hall in Tirol, Tourismusverband Region Hall-Wattens

a destra: Escursionismo nella regione di Hall-Wattens. Tourismusverband Region Hall-Wattens

quel momento situata a Merano. La zecca venne dotata di macchinari d’avanguardia, fra cui la prima pressa per il conio al mondo, capace di produrre fino a 4.000 monete al giorno. Oggi una sua ricostruzione è visitabile al Museo della Zecca di Hall in Tirol: la visita comprende anche la salita sulla Torre della Zecca, da cui, dopo 186 scalini, è possibile godere di una vista unica sulla cittadina medievale. Fra gli altri interessanti musei di Hall in Tirol vi è sicuramente il Museo Minerario, che offre ai visitatori la possibilità di sentirsi immersi in una miniera di sale e di conoscere le attività di estrazione del cosiddetto “oro bianco” che ha costituito la fortuna secolare della città.

HALL-WATTENS, FRA NATURA E SPORT  Nel cuore delle Alpi austriache, il Tirolo offre paesaggi mozzafiato, tanto d’estate quanto d’inverno. Una delle vie per esplorare l’ampio patrimonio naturalistico di Hall-Wattens passa per l’attività sportiva, che in questa regione può trovare diversi sbocchi: dallo sci di fondo al parapendio, dall’equitazione all’arrampicata.   Se le Alpi offrono ottime attività per gli appassionati della neve, la bella stagione non è da meno: in primavera ed estate, Hall-Wattens si trasforma in una regione a misura di bicicletta. Le tante piste ciclabili

permettono di ammirare la Valle dell’Inn dai suoi monti o dal lungofiume, con tanti percorsi a diversi livelli di intensità. Tante anche le possibilità escursionistiche, come quelle nel Parco Naturale del Karwendel, il più grande di tutto l’arco alpino. Il parco, soprannominato il “Gran Canyon del Tirolo” per le sue alte pareti rocciose, è casa di migliaia di specie floreali e faunistiche, nonché di una vasta comunità di aquile reali. Non a caso, proprio da qui passa il Sentiero dell’Aquila, un percorso di trekking che attraversa il Tirolo e i suoi maggiori punti di interesse paesaggistico e naturale.

TRADIZIONI E CULTURA

NELLA REGIONE DI HALL-WATTENS

Come ogni regione ricca di storia, anche Hall-Wattens vanta interessanti e peculiari tradizioni. Nei mesi di gennaio e febbraio, per esempio, gli abitanti delle diverse cittadine celebrano il carnevale mascherandosi da protagonisti di due fazioni contrapposte: l’inverno e la primavera. Le maschere dei diabolici Zottler e dei festosi Tuxer rappresentano rispettivamente le due stagioni, insieme a tanti altri personaggi quali l’Orso, le Streghe e il Fleckler, che, con i suoi abiti variopinti, ricorda il nostrano Arlecchino.

Le tracce medievali non resistono solo nello splendidamente conservato centro storico di Hall in Tirol e nelle manifestazioni carnevalesche: la regione è ampiamente popolata da castelli e fortezze, un tempo importanti strutture difensive, oggi suggestive località per immergersi nel passato. Imperdibili il Castello Friedberg (abitato ancora oggi) e le rovine del Castello di Thaur, un tempo il più ampio e complesso di tutta la Valle dell’Inn.

STORIES AUSTRIA E CULTURA di ALBERTO VILLA
TIROLO ITALIA SVIZZERA GERMANIA SLOVENIA CROAZIA UNGHERIA REPUBBLICA CECA LIE. TIROLO VORARLBERG CARINZIA STIRIA BURGENLAND SALISBURGHESE ALTA AUSTRIA BASSA AUSTRIA Monaco di Baviera Innsbruck Bregenz Villaco Graz Lienz HALL IN TIROL SAALFELDEN BAD ISCHL Vipiteno San Candido Bressanone Merano Klagenfurt Lubiana Zagabria Bratislava Brno Udine Trieste Trento Bolzano Treviso Bergamo Linz VIENNA Hohenwerfen Mauterndorf Hohensalzburg SALISBURGO 78 57

NON SOLO MUSICA CLASSICA: L’AUSTRIA È ANCHE JAZZ

Dal 22 al 25 agosto, il Jazzfestival di Saalfelden è un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati del genere musicale che ha fatto dell’improvvisazione (con stile) la sua inconfondibile firma.

L’AUSTRIA DI MOZART E VIVALDI

Impossibile non pensare, quando si parla di musica austriaca, ai grandi nomi di Mozart, Haydn, Schubert – o a quelli di Beethoven e Vivaldi che (seppur non austriaci di nascita) hanno trovato a Vienna un imprescindibile genius loci per il loro lavoro. La musica classica è legata a doppio filo al territorio austriaco, basti pensare alle tante celebri istituzioni ad essa dedicate (in particolare a Vienna, sede della Wiener Staatsoper e del Musikverein). Se la tradizione classica è rilevante, qui più che altrove, fermarvisi sarebbe limitante: l’affezione austriaca per la musica supera i confini di genere, per spaziare anche laddove non ci aspetteremmo.

TUTTO IL JAZZ DI SAALFELDEN

Lo dimostra il Jazzfestival di Saalfelden, cittadina del salisburghese di 16mila abitanti situata ai piedi del gruppo montuoso del Lofer (che raggiunge cime di oltre 2500 metri) e dell’altopiano Steinerne Meer (in italiano “Mare di Pietra”). Un contesto paesaggistico mozzafiato che ospita un festival dalla storia molto lunga, cominciata negli Anni Settanta grazie a un gruppo di appassionati di jazz che, stanco di viaggiare per ascoltare la loro musica preferita, iniziarono a invitare gli artisti a Saalfelden. Il nome di battesimo del festival, alla sua edizione pilota del 1978, era Drei Tage Jazz (Tre Giorni di Jazz) e nel corso del suo quasi mezzo secolo di attività ha ospitato musicisti del calibro di Chet Baker, Sun Ra, Gil Evans e Lester Bowie Oggi, il Jazzfestival sta preparando la sua 44esima edizione, che, come da tradizione, si terrà ad agosto: col favore dell’estate, musica e esperienze all’aperto concorrono a creare un’atmosfera di libertà che sta alla base del festival stesso.

JAZZ È LIBERTÀ

“Più che come un genere musicale” dichiara il team del Jazzfestival, “noi intendiamo il Jazz come un sinonimo di apertura e libertà, attraversando i confini musicali”. E, in effetti è proprio grazie alla sperimentazione, all’ibridazione, alla disponibilità a solcare nuovi orizzonti e ad accogliere musicisti da tutto il mondo che questo festival è oggi considerato uno dei maggiori a livello europeo. Decisamente pregevole, inoltre, la sua capacità di attirare un affezionato pubblico nazionale e internazionale in una cittadina altrimenti lontana dalle rotte tradizionali e che accoglie molto volentieri la manifestazione: il Jazzfestival, infatti, irrompe ogni estate in diverse sedi dislocate fra le vie di Saalfelden, attivandola e rendendola, per qualche giorno, una capitale musicale europea.

L’EDIZIONE 2024 DEL JAZZFESTIVAL

sopra: Un'escursione organizzata nell'ambito del Jazzfestival di Saalfeden. Saalfelden Leogang Touristik GmbH. Photo Michael Geissler

sotto: Il Jazzfestival di Saalfelden. Saalfelden Leogang Touristik GmbH. Photo Christoph Bayer

Le date ufficiali sono 22, 23, 24 e 25 agosto e i palchi, come dicevamo, sono disseminati in città: dal Centro Congressi di Saalfelden (la sede maggiore del festival, che ospiterà ben tredici concerti nel corso dei giorni d’apertura) al palco allestito nel parco cittadino e circondato da stand di specialità gastronomiche locali, fino alla suggestiva location immersa nella vicina foresta Kollingwald. Non solo concerti: il Jazzfestival prevede anche escursioni alpine insieme agli artisti, fondendo esperienze musicali e paesaggistiche uniche. Tra palchi più tradizionali e foreste, il Jazzfestival 2024 promette oltre sessanta concerti e in queste poche settimane che ci separano dall’inaugurazione saranno rivelati i nomi degli artisti invitati a partecipare. Per ora possiamo anticiparne qualcuno, come quello della clarinettista iraniana Mona Matbou Riahi che, dopo i successi delle edizioni passate, inaugurerà la programmazione del main stage. Impossibile poi non menzionare anche la presenza del sestetto Thérapie de couple, nato come progetto su impulso del sassofonista Daniel Erdmann e il cui nome suggerisce una terapia di coppia tra Francia e Germania, i Paesi d’origine dei musicisti coinvolti.

IL MEDIOEVO TRA LE MONTAGNE LE FORTEZZE SALISBURGHESI

Sempre per il gusto di guardare ciò che è noto da prospettive meno usuali, ci ostiniamo a non esagerare con la musica classica, anche laddove più ce lo aspettiamo. E quindi, in questa tappa salisburghese, non approfondiremo la figura di Mozart che proprio qui nacque nel 1756, né le sue celebri “palle” (parliamo ovviamente dei cioccolatini Mozartkugeln, originari della città austriaca, creati dal pasticcere Paul Fürst e dedicati al compositore). A interessarci sono invece le fortezze e i castelli che da secoli sorvegliano la via tra le montagne che da Salisburgo conduce a meridione, seguendo dapprima il corso del fiume Salzach e poi deviando a sud-est, verso il confine con la Carinzia. Delle tante costruzioni fortificate della zona, tre catturano l’attenzione, ciascuna per le sue peculiarità: le fortezze Hohensalzburg, Hohenwerfen e Mauterndorf

LA FORTEZZA DI SALISBURGO E IL SUO “TORO”

Da quasi mille anni domina lo skyline di Salisburgo: arroccata sulla collina che sovrasta il centro storico, la Fortezza Hohensalzburg fu costruita per volere dell’arcivescovo Gebhard I von Helffenstein a partire dal 1077. La sommità, per la sua posizione estremamente strategica, era già stata usata dai Romani, intorno al IV Secolo d.C., come luogo di vedetta, dotato di torre. Quella che inizialmente era una semplice fortificazione, fu ampliata nei secoli successivi, fino ad assumere la forma dell’imponente fortezza che è oggi, simbolo della città svettante (se visto dal Salzach) proprio sopra il duomo. Famoso è il cosiddetto “toro”, uno splendido organo meccanico a cilindro risalente al XVI secolo che risuona tre volte al giorno, scandendo le giornate salisburghesi.

LA TRAVAGLIATA STORIA

DI BURG HOHENWERFEN

Sempre nel 1077, l’arcivescovo Gebhard ordinò la costruzione anche di altre fortificazioni nel territorio salisburghese, tra cui la Fortezza Hohenwerfen, alcuni chilometri a sud del centro urbano. Erano anni di intensi disordini politici, in particolare per quanto riguardava l’incarico dei vescovi, contesa tra papato e Sacro Romano Impero. Da queste tensioni, spesso di stampo militare, la necessità di fortificare il territorio mediante strutture difensive. Come Hohensalzburg, anche Hohenwerfen vide diversi interventi di ampliamento e consolidamento nei secoli successivi alla sua prima costruzione (verosimilmente in legno). Tuttavia, a differenza della sua più fortunata sorella salisburghese, la posizione isolata di Hohenwerfen l’ha resa bersaglio della furia delle guerre dei contadini, all’inizio del XVI secolo. La fortezza fu assediata, incendiata e parzialmente distrutta, per poi essere restaurata e utilizzata principalmente come prigione nei secoli XVII e XVIII. Quando la cura arcivescovile terminò (in seguito alla secolarizzazione di Salisburgo e dei suoi territori), Hohenwerfen cadde in rovina. Ci volle la sensibilità romantica e neogotica dell’arciduca Johann, fratello

dell’imperatore austriaco, per restituire dignità alla fortezza, dove oggi si può assistere a spettacolari dimostrazioni di volo della Falconeria storica.

DA STAZIONE DOGANALE

A RESIDENZA ARCIVESCOVILE:

LA STORIA DI BURG MAUTERNDORF

Sulla strada romana del IV secolo che conduceva alla città di Juvavum (l’antico nome di Salisburgo) sorge oggi il Castello di Mauterndorf, le cui prime notizie documentate risalgono al 1253. Tuttavia, le prime edificazioni risalgono ad almeno due secoli prima: nel 1002, infatti, l’imperatore Enrico II menziona la località come sede di una stazione doganale. Il destino del castello è simile a quello degli altri edifici fortificati della regione, dai progressivi ampliamenti al declino ottocentesco, fino al successivo recupero del complesso grazie al capitano prussiano Hermann von Epenstein nel 1894. Un successivo e ultimo restauro avvenne tra il 1979 e il 1982, dopo il passaggio di proprietà del castello al Land di Salisburgo, con un investimento di circa un milione e mezzo di euro odierni.

La visita al castello è interessante non solo per le sue evocative architetture medievali, ma anche perché (nelle sale che videro soggiornare l’arcivescovo Leonhard von Keutschach durante le estati del XV secolo) ospita il Museo paesaggistico del Lungau, regione ricca di storia di cui il Castello di Mauterndorf è eminente simbolo.

STORIES AUSTRIA E CULTURA di ALBERTO VILLA
Il castello Mauterndorf, Österreich Werbung.
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Photo Sebastian Scheichl

LA CULTURA È IL NUOVO SALE

BAD ISCHL E IL SALZKAMMERGUT

Insieme alla norvegese Bodø e all’estone Tartu, la cittadina di Bad Ischl è

Capitale Europea della Cultura 2024. Titolo che condivide con altri 22 comuni del territorio circostante, il Salzkammergut, noto per le sue grotte di sale e per i suoi tanti laghi

Situata in Austria, a metà strada tra i grandi centri urbani di Salisburgo e Linz, la regione del Salzkammergut è una delle mete più consigliate per ripararsi dal caldo estivo: le sue montagne, le sue valli e i suoi laghi offrono le temperature perfette per visitare l’area e i suoi snodi culturali. Sì perché, oltre alle tante attività naturalistiche (come l’escursionismo e il ciclismo), il Salzkammergut offre un affondo sulle tradizioni e sulla storia del Paese. Non a caso, dal 1997 fa parte della lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO.

LA STORIA MILLENARIA

DEL SALZKAMMERGUT

La regione del Salzkammergut è stata per millenni al centro dell’economia di quest’angolo d’Europa per la stessa risorsa da cui prende il nome: il sale. Da circa settemila anni, le sue miniere di sale costituiscono la ricchezza di questo territorio, determinandone lo sviluppo commerciale e urbano. Ad Hallstatt, sulle rive del lago Hallstättersee, si può addirittura visitare la miniera di sale più antica del mondo.

IL CENTRO URBANO DI BAD ISCHL

Contenuta, caratteristica, ma anche raffinata e dalle arie imperiali: Bad Ischl è di certo una città per tutti, i cui edifici si inseriscono perfettamente nel contesto naturale della valle e del fiume Traun, che divide la città in due. Non lasciamoci ingannare dalla sua ridotta dimensione: Bad Ischl è stata teatro di rilevanti avvenimenti per la storia austriaca.

La Kaiservilla di Bad-Ischl, Österreich Werbung, Cross Media Redaktion

DOVE ALLOGGIARE E DOVE MANGIARE A BAD ISCHL

Sulla sponda meridionale del Traun, l’Hotel Goldener Ochs è il luogo perfetto per chi cerca comfort in pieno centro. Alcune delle camere di questo antico albergo (è attivo dal 1791!), affacciano direttamente sul fiume, offrendo una vista panoramica sulla città e sulle montagne. Il Goldener Ochs offre anche un ottimo servizio di ristorazione (nonché gustosi aperitivi), con, con pietanze della tradizione austriaca e mitteleuropea come il gulasch, lo strudel e la mitica cotoletta, che qui si chiama schnitzel goldenerochs.at

Parlando sempre di gastronomia, non può mancare una cena al tramonto sulla vetta del Siriuskogl, la collina che sovrasta Bad Ischl. Dopo una ripida quanto avvincente escursione (partendo direttamente dal centro cittadino) si arriva a una torre di vedetta in legno, alle cui pendici la Gasthaus Siriuskogl, e il suo giovane team capitanato dallo chef Cristoph “Krauli” Held, offrono riletture contemporanee dei sapori locali. Il ristorante, più volte celebrato come uno dei migliori del Paese, gode di una vista mozzafiato sulla valle che difficilmente dimenticherete

siriuskogl.at

Nel 1914, all’interno della Kaiservilla (residenza estiva della famiglia Asburgo sita al limitare del centro urbano), l’imperatore Francesco Giuseppe I firmò la dichiarazione di guerra contro la Serbia, dando così avvio al primo conflitto mondiale.

GLI EVENTI DI BAD ISCHL –SALZKAMMERGUT CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA 2024

Sotto l’evocativo titolo Kultur ist das neue Salz – La cultura è il nuovo sale, si raccolgono gli oltre 150 eventi che in questo 2024 animano Bad Ischl e il Salzkammergut. Tra le esposizioni che si promettono più interessanti c’è senza dubbio Green, dedicata alle ibridazioni tra arte e natura e ospitata dalla cittadina di Altmünster, che sarà visitabile dal 30 agosto al 23 ottobre. A giugno è invece la musica ad essere protagonista: il 16 giugno le sinfonie dell’austriaco Anton Bruckner (di cui quest’anno si celebrano i duecento anni dalla sua nascita) risuoneranno nelle saline di Ebensee, mentre il 21 giugno tutti i 23 comuni di questa insolitamente diffusa Capitale Europea della Cultura si allineeranno all’internazionale Fête de la Musique, un festival interamente dedicato alla musica di strada.

Non manca poi l’artigianato, soprattutto nella cittadina di Bad Goisern, con la sua Hand Werk Haus: una tappa imperdibile per i curiosi di arti applicate che, attraverso esposizioni temporanee e permanenti, ma anche residenze, workshop e incontri, unisce tradizione e innovazione sempre all’insegna dell’apertura verso la comunità.

Puoi trovare maggiori informazioni sul programma di Bad Ischl – Salzkammergut Capitale Europea della Cultura 2024 seguendo il qr code qui a fianco

KLIMT, SCHIELE E LA VIENNA DEL NOVECENTO

I TESORI DEL LEOPOLD MUSEUM

Con un’imponente collezione di belle arti e arti applicate, il Leopold è uno dei musei più visitati di Vienna. Tra i suoi capolavori, dopotutto, vi sono quelli dei maggiori maestri della Secessione Viennese, Egon Schiele e il suo maestro, Gustav Klimt. Il Leopold Museum è inoltre la punta di diamante del cosiddetto MuseumsQuartier, distretto culturale che, con i suoi 60mila metri quadrati, si posiziona fra le più estese del mondo. In occasione di un importante anniversario per il museo, abbiamo parlato con il suo direttore, Hans-Peter Wipplinger

Nel 1994, Rudolf ed Elisabeth Leopold donarono 5200 opere alla Leopold Museum Private Foundation, il primo nucleo dell’attuale istituzione viennese. Qual è il risultato di questi primi trent’anni?

La Collezione Leopold – che oggi comprende circa 8500 oggetti d’arte austriaca e internazionale della seconda metà del XIX secolo e del Modernismo – si è costituita nell’arco di cinque decenni e nel 2001 ha trovato una sede permanente al Leopold Museum di Vienna. Il Prof. Dr. Rudolf Leopold (1925 – 2010) fu il primo direttore del museo fondato da lui insieme alla Repubblica d’Austria e alla Banca Nazionale Austriaca e costruito dalla Federazione Austriaca. È il museo più grande e più frequentato del MuseumsQuartier di Vienna.

Il Leopold Museum è oggi uno dei più importanti al mondo per quanto concerne la Secessione Viennese. Questo è dovuto alla sua preziosa collezione, ma anche al modo in cui è esposta. Cosa può dirci a riguardo?

Il cuore della collezione consiste in arte austriaca della prima metà del XX Secolo, includendo capolavori del famoso artista Gustav Klimt, co-fondatore della Secessione Viennese e del rivoluzionario espressionista austriaco Egon Schiele. Nessun altro museo offre un’esperienza così diretta e completa del concetto di arte e del mondo intellettuale della Vienna intorno al 1900. Questo permette ai visitatori di ripercorrere passo dopo passo gli sviluppi storico-artistici dall’Impressionismo allo Jugendstil, fino all’Espressionismo, con opere eminenti dell’arte au-

striaca del XIX e XX Secolo messe in contesto con opere selezionate del Modernismo internazionale.

Non solo belle arti: il Leopold Museum ha anche una importante collezione di arti applicate. Ha ancora senso, secondo lei, fare questa distinzione?

No, non ha senso. In linea con la nozione di Gesamtkunstwerk, o opera d’arte totale, l’unica esposizione permanente del Leopold Museum, Vienna 1900, comprende tutti i generi, dai dipinti alle opere grafiche e ai lavori artigianali. Esposte in ampie sale espositive inondate di luce e distribuite su tre livelli, i visitatori incontrano non solo dipinti e disegni, ma anche preziosi pezzi di arti e mestieri e squisite opere di arredamento dell’epoca della Wiener Werkstätte.

Quali mostre sono attualmente in corso?

Attualmente è in corso la mostra Unknown Familiars. The Vienna Insurance Group Collections, composta da più di 200 opere multidisciplinari attentamente selezionate da sei diverse collezioni (situate in Austria, Repubblica Ceca, Serbia e Lettonia) della Vienna Insurance Group.

Inoltre, ha da poco inaugurato Splendor and Misery. New Objectivity in Germany – la prima mostra completa sull’argomento in Austria –, che presenta opere d’arte che raffigurano da un lato rassegnazione e indescrivibili difficoltà, e dall’altro speranza, desideri e voglia di vivere dei Golden Twenties

Leopold Museum, veduta della mostra Vienna 1900 Gustav Klimt, Tod und Leben Photo Jonas Thiller

E quelle in programma per i prossimi mesi?

Quest’anno ci attendono altre due inaugurazioni: a ottobre la mostra Rudolf Wacker. Magic and Abysses of Reality, in cui – sulla stessa linea tracciata da Splendor and Misery – un rappresentante austriaco della Nuova Oggettività è al centro dell’attenzione; a novembre invece sarà la volta di Poetry of Ornament. The Backhausen Archives, una mostra resa possibile dal prestito permanente di circa 11.000 oggetti individuali.

L’anno prossimo, il Leopold Museum si concentrerà nuovamente sull’artista centrale della collezione con Times of Change. Egon Schiele’s last years. 1914–1918. La mostra esplora le trasformazioni nella vita personale e nello stile dell’artista durante gli anni drammatici della Prima Guerra Mondiale.

Cosa si aspetta dal futuro del museo?

Gli obiettivi dichiarati del museo non sono solo preservare la collezione stabilita dal fondatore, ma renderla accessibile al pubblico, documentarla ed elaborarla scientificamente. Molte delle mostre al Leopold Museum si basano sugli eccezionali fondi della collezione, e man mano che continuiamo ad acquisire nuove importanti opere, il profilo del museo viene costantemente ampliato e affinato. Oltre a ciò, il Leopold Museum lavora continuamente per diventare più sostenibile e per garantire l’implementazione dei nostri obiettivi eco-compatibili in questo senso.

STORIES AUSTRIA E CULTURA di ALBERTO VILLA
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PERCHÉ A VENEZIA CONTINUANO AD APRIRE GALLERIE D’ARTE?

Sono sempre di più i galleristi che scelgono di scommettere su Venezia: sembrerebbe una vera e propria “febbre” che, negli ultimi dieci anni, ha delineato con chiarezza le coordinate di un ecosistema commerciale particolarissimo, fertile e internazionale. Che sia per il fermento che si attiva nell’isola durante la Biennale, o il fascino delle calli e dei campielli, o quello della storia antichissima della città, il mercato veneziano sta vivendo una crescita esponenziale. Una tendenza, questa, che sembra ancora più gettonata tra i galleristi che provengono dall’estero. Nel 2017, è Alberta Pane a puntare tutto su Venezia: un ritorno alle origini, dal momento che la gallerista, veneziana di nascita, si sposta in laguna quasi dieci anni dopo aver aperto la sua prima galleria a Parigi. Lo stesso anno, a pochi passi dal Teatro La Fenice, inaugura anche la galleria di Victoria Miro, attiva già dal 1985 a Londra. Successivamente, il trend aumenta in modo esponenziale: solo nel 2023 aprono Patricia Low (la cui sede centrale si trova a Gstaad, in Svizzera, dal 2005), la IN’EI Gallery, specializzata in arte orientale e co-fondata da Hélène Dubois e Patrice Dumand, e la Garance & Marion, guidata da Garance Laporte e Marion Houssin dedicata alle arti grafiche. Nel 2024, infine, è il turno di Tommaso Calabro (che da Milano apre una nuova sede nella Serenissima), del grande gallerista irlandese Lorcan O’Neill, che sceglie il tranquillo eppure centralissimo sestiere di Santa Croce, e infine Wentrup, galleria fondata nel 2004 a Berlino da Tina e Jan Wentrup, che dall’aprile di quest’anno ha trovato una “seconda casa” nell’ex atelier della stilista Giuliana Camerino, proprio dietro alla Basilica dei Santi Giovanni e Paolo. C’è poi chi a Venezia porta avanti la sua attività da oltre vent’anni: Caterina Tognon, ad esempio, apre la sua galleria nel 1998, e Michela Rizzo – veneziana “d.o.c.” – inaugura il suo spazio nel 2004 sull’isola della Giudecca. Ma perché proprio Venezia? Cosa ha da offrire la città rispetto ad altre metropoli che generalmente attirano questo tipo di pubblico e di mercato? Lo abbiamo chiesto a sei galleristi che negli ultimi anni hanno scelto di scommettere su questa città: dalle testimonianze raccolte, è emerso un ritratto quasi unisono di una realtà “a misura d’uomo” (e di collezionista), che permette di fermarsi a contemplare non solo la bel-

SANTA CROCE DORSODURO GALLERIA ALBERTA PANE GALLERIA MICHELA RIZZO CAPSULE VENICE

Nell’ultimo decennio, la Serenissima è diventata una meta ambita per le gallerie

italiane e internazionali non solo come vetrina temporanea durante la Biennale, ma soprattutto come luogo dal mercato vivo e in cui attivare forme di programmazione culturale e collaborazione. Ne parliamo con sei tra i maggiori galleristi della città

lezza del paesaggio architettonico che la costituisce, ma anche l’arte che vi è esposta. Sembrano non esserci grandi ostacoli – fatta eccezione per qualche “scomodità” logistica o burocratica – per chi vuole insediarsi nella laguna. Sono invece numerosi i vantaggi: primo tra tutti, il fatto che Venezia è una città dalle dimensioni moderate, che si attraversa sempre a piedi (o in barca). Al contrario delle grandi città dell’arte contemporanea, come New York e Londra, l’ambiente è tutt’altro che dispersivo, anzi, permette di incontrarsi di persona mentre si cammina per strada, senza fretta alcuna, e avviare conversazioni che creano reti articolate.

Altro aspetto emerso chiaramente, è quello legato alla saturazione del mercato: questa, secondo i galleristi, sarebbe lontana dal verificarsi. Infatti, sebbene l’isola veda la nascita di sempre più numerose gallerie, ognuna di queste tratta un segmento dell’arte contemporanea ben specifico, attirando un diverso target di collezionisti. Possiamo dire, quindi, che non c’è competizione, anzi, le diverse realtà si completano e, semmai, si aiutano a vicenda (come testimonia anche la fortuna dell’associazione Venice Galleries View, i cui membri sono in crescita).

STORIES GALLERIE D'ARTE A VENEZIA di LAURA COCCIOLILLO
SAN POLO GIUDECCA SAN MARCO CASTELLO CANNAREGIO PATRICIA LOW CONTEMPORARY GALLERIA TOMMASO CALABRO WENTRUP GALLERY BARBATI GALLERY GALLERIA VICTORIA MIRO
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GALLERIA LORCAN O'NEILL

PATRICIA LOW CONTEMPORARY

Patricia Low fonda la sua prima galleria nel 2005 a Gstaad, nella Svizzera sud-occidentale. Nell’aprile del 2023 apre una nuova sede a Venezia, che opera in parallelo a quella centrale. Situata sulla sponda di Canal Grande opposta a Palazzo Grassi e adiacente a Ca’ Rezzonico, questa sede veneziana è il coronamento di un ventennio di carriera, in cui Patricia Low ha avuto l’opportunità di esporre i lavori di artiste del calibro di Maurizio Cattelan, Sylvie Fleury, Philip Colbert, Damien Hirst e Jonathan Meese e, più recentemente, Gilbert & George, con l’obiettivo di porre Gstaad (e successivamente anche Venezia) al centro del sistema dell’arte contemporanea.

Venezia è un sistema urbano, economico e sociale unico nel suo genere. Quali sono le sfide e gli ostacoli che la città pone a un gallerista che la sceglie come luogo d’elezione?

Venezia è da sempre meta di appassionati e intellettuali. Con i suoi grandi musei, la vita culturale e le fondazioni, e soprattutto grazie al circuito della Biennale, la città offre una cornice eccezionale in un ambiente piacevole e stimolante. Come gallerista, da qui posso offrire ai nostri artisti l’opportunità di presentare il loro lavoro in una cornice unica, espandendo ulteriormente la nostra rete e presentando la loro arte a un pubblico che arriva a Venezia da tutto il mondo. Se per sfida si intende l’acqua da cui emerge, è proprio questo che rende Venezia uno scenario unico e bellissimo. Non vedo sfide e ostacoli, ma solo bellezza e opportunità.

Cosa ha da offrire Venezia, come palcoscenico e vetrina sulla scena internazionale, rispetto ad altre città del mondo amate dai galleristi?

a sinistra: Patricia Low Contemporary, Venezia. Credits MAY

a destra: Patricia Low, ritratto

Venezia è sempre stata storicamente crocevia di culture diverse. La bellezza della città è tale che ogni artista vuole farla propria. La città da sempre aperta agli estranei, li accoglie e si arricchisce di tali incontri.

In che modo, a tuo avviso, il tessuto urbano influenza la galleria, e in che modo la galleria influenza il tessuto urbano?

La nostra galleria si trova proprio sul Canal Grande. Mi piace che sia immersa in un contesto in cui le barche sono di passaggio. Le persone ci notano dall’acqua quando passano e semplicemente fanno capolino, in modo fortuito e casuale. È un modo unico per connettersi con gli altri. Il fatto che nessuno sia “protetto” dall’abitacolo di una macchina significa che ci incontriamo in modo più libero e spontaneo. Così siamo più aperti al mondo.

Negli ultimi anni, sempre più galleristi hanno scelto di scommettere su Venezia. Questo aumento sta portando a una saturazione del mercato e a una crescente competizione, oppure a una maggiore collaborazione tra gallerie?

Non credo che ci siano molte gallerie qui, soprattutto rispetto ad altre città internazionali. Inoltre, le varie gallerie che hanno aperto le loro porte a Venezia offrono una grande varietà di artisti provenienti da diversi segmenti artistici. Ci completiamo a vicenda.

Cosa prevedi per il futuro del mercato dell’arte internazionale a Venezia?

Penso che abbia spazio per espandersi. Sono fermamente convinta che un ambiente rilassato, lontano dallo stress delle grandi città, favorisca l’acquisto di opere d’arte. Concetto dimostrato dal successo della mia galleria, aperta a Gstaad nel 2005.

GALLERIA ALBERTA PANE

Veneziana di nascita e laureata presso l’Università IUAV, Alberta Pane lascia l’Italia per Parigi e, dal 2008, apre lì la sua galleria. Nel 2017, poi, torna nella sua città natale, e apre una seconda sede nel cuore del sestiere di Dorsoduro. Da allora si dedica con determinazione alla creazione di collaborazioni tra gallerie del territorio: è infatti tra le maggiori promotrici di Venice Galleries View. Negli anni, ha collaborato con istituzioni del calibro del Solomon R. Guggenheim Museum di New York, il Centre Pompidou, La Monnaie de Paris, Documenta, la Biennale di Venezia, e Manifesta, solo per citarne alcune. Tra gli artisti della sua scuderia, spiccano – tra gli altri – i nomi di Claude Cahun, Marie Denis, Luciana Lamothe, Davide Sgambaro e Michele Spanghero. Al momento ospita – fino al 27 luglio – la personale dell’artista argentina Luciana Lamothe, protagonista anche del padiglione Argentina alla Biennale arte 2024.

Venezia è un sistema urbano, economico e sociale unico nel suo genere. Quali sono le sfide e gli ostacoli che la città pone a un gallerista che la sceglie come luogo d’elezione?

Sono nata e cresciuta a Venezia prima di trasferirmi a Parigi; aprire anche una sede a Venezia dopo la prima parigina era un desiderio che coltivavo da tempo. Non vedo ostacoli nell’aprire una galleria a Venezia, a parte le problematiche legate alla logistica supplementare della barca e dell’umidità, ma per una veneziana sono cose normali e, per chi non lo è, sono risolvibili. La sfida è quella di essere sempre in di più a farlo e di creare un tessuto sempre più attivo di gallerie. Gallerie attive e importanti a Venezia ce ne sono sempre state e adesso stanno aumentando.

Cosa ha da offrire Venezia, come palcoscenico e vetrina sulla scena internazionale, rispetto ad altre città del mondo amate dai galleristi?

Venezia è la più piccola delle città internazionali e grazie alle sue dimensioni contenute permette di poter incontrare tantissime persone. Da Venezia passano tutti, non soltanto durante la biennale, ma durante tutto l’anno. Questo è un grande vantaggio e

in alto: Alberta Pane, ritratto, 2023

sotto: Folding Roads , Luciana Lamothe, exhibition view, 2024. Alberta Pane Venice. Photo Irene Fanizza

permette di creare relazioni più facilmente rispetto ad una grande città. Inoltre, spesso, chi viene a Venezia è abbagliato dalla sua bellezza e si trova nella predisposizione d’animo adatta per visitare musei e gallerie.

In che modo, a tuo avviso, il tessuto urbano influenza la galleria, e in che modo la galleria influenza il tessuto urbano?

Bellissima domanda. Sono sempre felice quando in galleria passa tanta gente, per me la frequentazione della galleria è molto importante, mi fa piacere pensare che sia un luogo di incontro e di scambio che si inserisce in un tessuto urbano contribuendo ad alimentarlo culturalmente. A Venezia siamo rimasti in pochissimi abitanti e questo è un grossissimo problema, non ci sono case per residenti e la politica continua a non frenare l’apertura di nuovi B&B, ristoranti, bar e negozi per turisti mordi e fuggi.

Una galleria di ricerca e promozione attiva tutto l’anno ha anche come scopo di essere frequentata dai residenti, ai vernissage vengono sempre tante persone, ma la presenza del pubblico è importante durante tutta la settimana. Le gallerie sono istituzioni/ imprese culturali gratuite e si iscrivono in un territorio dialogando con quest’ultimo.

Negli ultimi anni, sempre più galleristi hanno scelto di scommettere su Venezia. Questo aumento sta portando a una saturazione del mercato e a una crescente competizione, oppure a una maggiore collaborazione tra gallerie?

Una maggiore collaborazione! In verità non credo che nessun gallerista percepisca i colleghi come antagonisti. Le opere che proponiamo sono nella stragrande maggioranza uniche e abbiamo solo interesse a creare sinergie e ad aiutarci creando reti tra noi galleristi e dialogando con le istituzioni – a Venezia esiste già l’associazione Venice Galleries View – che ha appena incrementato i suoi membri con alcune delle nuove gallerie appena aperte.

Cosa prevedi per il futuro del mercato dell’arte internazionale a Venezia?

Spero e credo che continuerà a crescere così come le imprese culturali di ogni genere con sede permanente a Venezia, almeno questo è il mio auspicio.

STORIES GALLERIE D'ARTE A VENEZIA di LAURA COCCIOLILLO
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GALLERIA TOMMASO CALABRO

Tommaso Calabro fonda la sua prima galleria a Milano nel 2018. Specializzandosi in arte moderna italiana e internazionale, collabora con archivi, fondazioni, curatori e storici dell’arte per proporre un nuovo sguardo su artisti moderni con l’intento di favorirne la riscoperta e la valorizzazione. Tra questi, spiccano i nomi di grandi maestri del Novecento quali Giorgio De Chirico, Max Ernst, Leonor Fini, Yves Klein, Sol Lewitt, Cy Twombly e ancora molti altri. Ad aprile 2024, Calabro decide di aprire una nuova sede a Venezia, a Campo San Polo, nella suggestiva cornice trecentesca di Palazzo Donà Brusa. Al piano terra, il cortile e l’antica cripta ospitano installazioni e opere di artisti contemporanei, mentre al piano nobile si svelano le stanze della galleria, caratterizzate da un alto soffitto ligneo a volta gotica e da ampie finestre che permettono l’ingresso di una meravigliosa luce naturale. La mostra inaugurale, aperta fino al 27 luglio, vede protagonista l’artista americano Harold Stevenson (19292018), tra i più interessanti esponenti della cultura d’avanguardia del secondo dopoguerra e noto per i suoi provocatori dipinti di nudi maschili.

Venezia è un sistema urbano, economico e sociale unico nel suo genere. Quali sono le sfide e gli ostacoli che la città pone a un gallerista che la sceglie come luogo d’elezione?

Venezia è un fragile gioiello sull’acqua, costruita su un centinaio di isole connesse da oltre quattrocento ponti. Di conseguenza la sfida principale è logistica: spostamenti, trasporti, depositi e allestimenti. La seconda sfida, invece, è a livello programmatico: per quanto ci siano sempre moltissime persone che visitano Venezia, ci sono certi periodi in cui la città è più viva, soprattutto per il mondo dell’arte. Mi riferisco a marzo e aprile, quando inaugurano le sedi di Pinault e la Biennale, o a settembre e ottobre, in concomitanza di Homo Faber e il Festival del Cinema. Al contrario, il periodo novembre-gennaio è molto più calmo: la programmazione espositiva che decidiamo con circa un anno di anticipo deve prendere in considerazione queste dinamiche.

Cosa ha da offrire Venezia, come palcoscenico e vetrina sulla scena internazionale, rispetto ad altre città del mondo amate dai galleristi?

Venezia è una realtà unica nel mondo dell’arte. I collezionisti che visitano la città passano molto più tempo nelle gallerie e nei musei, forse anche perché Venezia ti porta a essere più rilassato. A differenza di Milano, il passaggio è molto più internazionale e abbiamo avuto l’onore, già in questo primo mese, di ricevere visite importanti nella nostra nuova sede, come quella del direttore del Whitney Museum e di tantissimi altri curatori da ogni parte del mondo. Questa è la chiave del successo di Venezia.

In che modo, a tuo avviso, il tessuto urbano influenza la galleria, e in che modo la galleria influenza il tessuto urbano?

In una realtà così fragile come quella veneziana, la galleria deve coesistere in simbiosi con il tessuto urbano. Ci deve essere una sorta di rispetto reciproco che permetta una continua crescita. Ci sono moltissimi collezionisti e tante nuove gallerie che hanno aperto recentemente in laguna. Bisognerà cercare di lavorare insieme per costruire un network vincente, con date di inaugurazioni condivise o eventi collegati.

Negli ultimi anni, sempre più galleristi hanno scelto di scommettere su Venezia. Questo aumento sta portando a una saturazione del mercato e a una crescente competizione, oppure a una maggiore collaborazione tra gallerie?

C’è spazio per tutti, non credo che il mercato sia saturo anzi mi auspico aumentino le realtà artistiche presenti in città. La città deve diventare un fulcro dell’arte moderna e contemporanea e pertanto ci deve essere una forte collaborazione tra le istituzioni e le realtà commerciali.

Cosa prevedi per il futuro del mercato dell’arte internazionale a Venezia?

Sono certo che a Venezia il mercato dell’arte continuerà a crescere. Le istituzioni dovranno tutelare la fragilità della città, riconoscendone le radici storiche, ma con una visione continuamente proiettata al futuro.

in alto: Galleria Tommaso Calabro, Venezia. Photo Ugo Carmeni in basso: Tommaso Calabro. Photo Ludovica Archerò

BARBATI GALLERY

Nato a Modena nel 1988, Michele Barbati cresce a Venezia. Dopo aver lavorato, per un breve periodo, da Massimo De Carlo, si sposta oltreoceano per dirigere per sette anni la David Kordansky Gallery di Los Angeles. Rientrato in patria, decide di aprire la sua prima galleria: la Barbati Gallery sorge nel 2022 in Campo Santo Stefano, a due passi dal Ponte dell’Accademia. Così, Barbati si pone l’obiettivo di alimentare il dialogo tra gli artisti più affermati e quelli emergenti, provenienti da ogni angolo del globo, contribuendo, allo stesso tempo, a far germogliare il sistema dell’arte contemporanea veneziana al di fuori semplice meccanismo turistico o “stagionale”.

Venezia è un sistema urbano, economico e sociale unico nel suo genere. Quali sono le sfide e gli ostacoli che la città pone a un gallerista che la sceglie come luogo d’elezione?

In questo mio percorso veneziano sicuramente le due più grandi sfide all’interno della città sono quelle di riuscire a mantenere una sostenibilità legata soprattutto ai trasporti delle opere all’interno di un sistema di galleria che ogni due mesi propone qualche cosa di nuovo. Un’altra sfida è quella sicuramente di comunicare e agire su Venezia non come una città stagionale ma come una città attiva sempre, in ogni periodo dell’anno: per me è fondamentale comunicare che Venezia esiste e si muove sempre.

Cosa ha da offrire Venezia, come palcoscenico e vetrina sulla scena internazionale, rispetto ad altre città del mondo amate dai galleristi?

La quantità d’ arte (antica e contemporanea) che c’è a Venezia è unica nel mondo e questo porta sicuramente tante persone interessate alla stessa a venire a visitare la città. Venezia inoltre ha dei ritmi molto più blandi rispetto a tante altre città così visitate e quindi la possibilità di avere tempo ma tempo vero con le persone che vengono a vedere la galleria la trovo una possibilità molto positiva che sicuramente fa la differenza.

In che modo, a tuo avviso, il tessuto urbano influenza la galleria, e in che modo la galleria influenza il tessuto urbano?

in alto: Michele Barbati. Photo Marco Cappelletti

in basso: Barbati Gallery, Venezia. Photo Marco Cappelletti

Io penso che Venezia essendo una città che attira di per sé tante persone automaticamente aiuta chi propone arte e cultura. Penso allo stesso tempo però che la città in sé non aiuti particolarmente chi voglia investire e creare un dialogo costante, e costante è una parola fondamentale, tra la città e nuove proposte che arricchiscono la stessa. Ci dovrebbe essere più aiuto a chi vuole investire in maniera permanente su Venezia creando qualche cosa per rimanere.

Negli ultimi anni, sempre più galleristi hanno scelto di scommettere su Venezia. Questo aumento sta portando a una saturazione del mercato e a una crescente competizione, oppure a una maggiore collaborazione tra gallerie?

Nonostante sia vero che tante gallerie e fondazioni si siano trasferite a Venezia negli ultimi dieci anni, sono fermamente convinto che ci sia ancora tantissimo spazio per chi vuole investire su Venezia in maniera creativa e portando dei progetti che non sono ancora presenti in città. Quello che io vedo e auspico è che le collaborazioni tra gallerie siano sempre di più e in maniera costruttiva. Collaborare è l’unico modo per lavorare in un contesto come Venezia; quindi, spero che la collaborazione tra le gallerie sarà sempre maggiore.

Cosa prevedi per il futuro del mercato dell’arte internazionale a Venezia?

Sono estremamente convinto che la voglia di venire a Venezia ad aprire nuove realtà sia solo all’inizio e che nei prossimi anni vedremo altre gallerie nazionali e internazionali investire su Venezia. Le fondazioni già presenti investiranno sempre di più e la Biennale continuerà a portare tante persone da tutte le parti del mondo. Quello che spero vivamente è che Venezia passi da essere vista come una città stagionale e altamente turistica ad una città “normale” che propone arte e cultura in qualsiasi momento dell’anno. Normalizzare Venezia sotto questo punto di vista è una sfida difficile ma a cui tengo molto e penso tutti insieme ci si possa riuscire.

STORIES GALLERIE D'ARTE A VENEZIA di LAURA COCCIOLILLO
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WENTRUP GALLERY

Jan e Tina Wentrup aprono la loro prima galleria a Berlino nel 2004, nel cuore del fermento artistico giovane ed eterogeneo che caratterizza scena culturale della città. Nel 2020 aprono un secondo spazio, Wentrup II, a Charlottenburg, e l’anno successivo un terzo WENTRUP AM FEENTEICH, in una straordinaria villa in stile Art Nouveau ad Amburgo. La sede veneziana – diretta da Lucia Longhi – aperta ad aprile 2024, non è da meno: si tratta di un vero e proprio gioiello architettonico, con una meravigliosa corte fiorita e una suggestiva vetrata che si estende per tutta la facciata principale, consentendo una perfetta illuminazione naturale. Nella scuderia Wentrup si annoverano artisti internazionali del calibro di Phoebe Boswell, Nevin Aladag, Thomas Grünfeld, e Mariechen Danz, solo per citarne alcuni.

Venezia è un sistema urbano, economico e sociale unico nel suo genere. Quali sono le sfide e gli ostacoli che la città pone a un gallerista che la sceglie come luogo d’elezione?

Gli ostacoli principali sono rappresentati dalla burocrazia italiana. Tutte le autorizzazioni richiedono mesi di tempo, rendendo difficile il lavoro creativo.

Cosa ha da offrire Venezia, come palcoscenico e vetrina sulla scena internazionale, rispetto ad altre città del mondo amate dai galleristi?

Il nostro approccio è quello di mettere al centro lo scambio di contenuti e la conversazione sull’arte, il che richiede una decelerazione. Venezia con i suoi corsi d’acqua e il lento camminare per i vicoli è il contesto perfetto. Anche la nostra galleria, che è un vero e proprio gioiello architettonico, è pensata in modo che i visitatori si prendano il loro tempo per contemplare la mostra in pace.

In che modo, a tuo avviso, il tessuto urbano influenza la galleria, e in che modo la galleria influenza il tessuto urbano?

L’architettura della città e quella delle nostre gallerie hanno sempre avuto una forte influenza sul nostro lavoro. Di conseguenza, in Italia cerchiamo di instaurare un dialogo anche con gli artisti italiani. Ecco perché, nella nostra mostra inaugurale, Mary Ramsden (UK), Anastasia Samoylova (USA) e Marion Verboom (Francia) incontrano l’italiano Enzo Cucchi.

Negli ultimi anni, sempre più galleristi hanno scelto di scommettere su Venezia. Questo aumento sta portando a una saturazione del mercato e a una crescente competizione, oppure a una maggiore collaborazione tra gallerie?

È importante che le gallerie non siano solo un altro ramo di una rete globale che punta a esporre esclusivamente gli artisti della propria scuderia. Se ci sarà un maggiore scambio con la scena italiana, verrà accolto con entusiasmo.

Cosa prevedi per il futuro del mercato dell’arte internazionale a Venezia?

Il lusso sta nel non prevedere nulla, ma lasciare con tranquillità che le cose seguano il loro corso naturale.

in alto: Tina e Jan Wentrup di fronte a un'opera di Anastasia Samoylova. Photo Patricia Parinejad

a sinistra: Enrico Polato e Manuela Lietti da Capsule Venice

L’AVVENTURA LAGUNARE DI CAPSULE SHANGHAI

Arrivano anche dalla Cina le gallerie interessate a Venezia: ne è eminente esempio Capsule Shanghai, che per tutto il 2024 è attiva nel sestiere di Dorsoduro (ospite degli spazi della Fondazione Giorgio e Armanda Marchesani) con un programma culturale intenso e vario, curato da Manuela Lietti. Tra mostre, performance e incontri, la galleria cinese (che ha però un’anima tutta italiana, quella del suo fondatore Enrico Polato) porta a Venezia artisti internazionali, con un occhio di riguardo proprio per la Cina. La programmazione estiva e autunnale, infatti, prevede le mostre personali di Wang Haiyang e Liao Wen. Per l’attesissima Art Night veneziana, invece, l’artista italiano Emiliano Maggi (presente anche nella mostra collettiva in corso fino al 23 giugno, intitolata Hovering) ha in programma una performance che attiverà gli spazi esterni della sede veneziana di Capsule. Non è affatto presto per dire che, visto l’interessante lavoro che la galleria cinese sta portando avanti sull’isola, c’è da sperare che quest’avventura non si concluda con il 2024 (come previsto) ma possa proseguire, andando ad arricchire il panorama delle gallerie internazionali presenti a Venezia.

ALBERTO VILLA

GALLERIA MICHELA RIZZO

in basso a sinistra:

Brian Eno, Ambient Paintings , 2018. Courtesy Galleria Michela Rizzo

in basso a destra:

Brian Eno, UMBRIA ll , 2020

© Brian Eno, courtesy Magonza.

Photo M. Giugliarelli

Ma cosa pensano le gallerie “veterane” di questo cambiamento in atto? Il nuovo fermento viene accolto con entusiasmo o scetticismo? E soprattutto, come viene vissuto il sistema veneziano e i suoi sconvolgimenti da chi lavora sul territorio ormai da decenni? Lo abbiamo chiesto a Michela Rizzo, attiva a Venezia con la sua galleria già dal 2004. Tra gli artisti da lei rappresentati, spiccano maestri come Fabio Mauri, Roman Opalka e Brian Eno (quest’ultimo protagonista della mostra Gibigiane fino al 7 luglio), ma anche Giuseppe Abate Vito Acconci, Matthew Attard (che quest’anno rappresenta Malta alla Biennale Arte di Venezia) e Francesco Jodice.

In quanto gallerista attiva da vent’anni a Venezia, cosa ne pensi del crescente interesse che le realtà internazionali stanno rivolgendo alla laguna, scegliendola come sede permanente?

L’arrivo di gallerie di rilievo internazionale a Venezia è senz’altro un’ottima cosa. Fino a poco tempo Venezia era considerata solo una vetrina, una finestra aperta sul mondo da sfruttare per la visibilità. L’apertura di gallerie commerciali in laguna consente lo sviluppo di dinamiche attive e produttive, di cui la città ha assolutamente necessità. Dal punto più strettamente personale, le nuove sedi sicuramente creano un movimento e un giro di collezionismo di cui potrà beneficiare anche la mia attività. In questi vent’anni ho visto la città cambiare radicalmente e credo fortemente che l’arte contemporanea rappresenti una risorsa molto importante.

Cosa possono fare le gallerie per instaurare un dialogo virtuoso di lungo termine con il territorio?

Innanzitutto voglio menzionare l’esistenza di un’associazione, la Venice Galleries Views, composta appunto dalle gallerie con sede a Venezia e a Mestre, fondata diversi anni fa e che è già attiva sul territorio. Siamo in attesa di confrontarci con le nuove arrivate con lo scopo di allargare la base di iscritti. Penso si debba partire da qui, per instaurare collaborazioni virtuose che possano aprire un dialogo anche con la città. Per il resto, Venezia è comunque un territorio particolare, e se da un lato l’aspetto internazionale porta molto valore, dall’altro il confronto con un quotidiano decisamente più complicato è inevitabile. Chi arriva da fuori avrà bisogno di un periodo di tempo per misurarsi con le peculiarità della città. Quindi credo che la capacità di resistere sia una condizione di partenza necessaria.

Nel 2022 hai aperto una sede a Mestre. Cosa ha da offrire la città in questo senso? Prevedi (o vedi già in corso) un “risveglio culturale” in terraferma?

L’apertura della sede di Mestre mi risolve alcune questioni logistiche, non ultimo la possibilità di incontrare persone senza doverle fare arrivare a Venezia, che è sempre un viaggio in sé. Questa piccola sede mi dà la possibilità di fare comunque un buon lavoro, senza particolari pretese, e rivolto soprattutto alla comunicazione.

Si sta tentando di sviluppare l’aspetto culturale di Mestre, ma al momento sono molto le zone depresse e il lavoro da fare anche per rinforzare il tessuto sociale del posto è immane. Inutile dire che l’assenza di una visione politica si percepisce enormemente sia in laguna che in terraferma. Speriamo in un futuro migliore e che si possa contare su una classe politica più lungimirante e interessata a salvaguardare l’interesse dei cittadini.

STORIES GALLERIE D'ARTE A VENEZIA di LAURA COCCIOLILLO
in alto: Michela Rizzo. Courtesy Galleria Michela Rizzo
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La Pietà di Büchel. Un’incredibile mostra alla Fondazione Prada di Venezia

un fiume in piena, Cristoph Büchel

Può parlare per ore e incantare l’ascoltatore con aneddoti, informazioni e storie che potrebbero facilmente colmare libri e cataloghi. Ma lui non parla in pubblico e non lascia tracce scritte di suo pugno: per lui parlano gli oggetti che raccoglie, accoglie o chiede in prestito a musei, collezioni, istituzioni e archivi. Gli oggetti sono ciò che lui ci chiede d’interrogare, perché sono loro i testimoni di epoche, fatti e accadimenti. E anche se va annoverato tra gli artisti più controversi e irriverenti della sua generazione, Büchel brilla per questa modestia ritrosa che lo rende amato e temuto e che alimenta la diffidenza dei suoi detrattori. Le sue idee radicali lo hanno portato sovente allo scontro con le istituzioni e le autorità, che lui sembra considerare più come limiti alla sua capacità di critica piuttosto che come alleati o committenti. Il limite che separa l’artista dall’attivista è per Büchel un filtro poroso.

IL DEBITO, MOTORE DELLA STORIA

Cosa fa girare la Storia? Il debito. Büchel lo spiega bene nella sua ultima mastodontica personale alla Fondazione Prada di Venezia, il cui edificio è stato per 135 anni, fino al 1969, un monte dei pegni. La storia della modernità ha inizio con i prestiti dei primi banchieri (tra cui i genovesi e i toscani) ai monarchi d’Europa, che potevano così finanziare guerre di conquista con cui ripagare gli stessi debiti. Il sistema del credito è un sistema del debito, diventato sovrano sia perché riguarda stati sovrani, come gli Stati Uniti o l’Italia, sia perché “detta legge” influenzando la vita di interi popoli (il caso Grecia). Per Büchel l’umanità vive in un monte dei pegni mondiale: tra le migliaia di oggetti che l’artista-collezionista espone qui, c’è uno schermo su cui scorre in tempo reale l’incremento, espresso in trilioni, del debito mondiale. Impressiona. Ci sarebbe molto da riflettere e Büchel lo fa a modo suo, trasformando Ca’ Corner della Regina, costruita dai mercanti veneziani Corner di San Cassiano nel XVIII secolo, in un palazzo enciclopedico in cui ogni oggetto corrisponde ad una “voce”, correlata a questo fenomeno cardine su cui s’impernia la storia umana.

LA MEMORIA DEGLI OGGETTI

Viviamo grazie agli oggetti, e malgrado loro, Büchel lo sa bene: non li concettualizza come fa Duchamp, né li carica di forza simbolica e

Fino al 24 novembre

MONTE DI PIETÀ.

Un progetto di Christoph Büchel Ca’ Corner della Regina – Venezia fondazioneprada.org

Frequenta l'Università di Arte e Design di Basilea, la Cooper Union School of Art di New York e l'Accademia di belle arti di Düsseldorf. Studia arte e architettura, formandosi come artista concettuale

Nasce a Basilea, in Svizzera

Inizia a ottenere riconoscimento internazionale per il suo lavoro, partecipando a mostre e progetti in Europa e negli Stati Uniti

Home Affairs, presso il TBA Exhibition Space di Chicago: allestisce l'appartamento di un accaparratore compulsivo

medianica come fa Beuys e neppure li lascia consumare come oggetti transazionali al modo di Félix González-Torres. Si “limita” a chiamarli al banco dei testimoni e ci mostra la loro forza evocativa, il loro potenziale critico, spesso la loro verve demistificatoria; ne fa altrettanti portavoce di una realtà che, attraverso una sinfonica installazione, si offre a noi come un caleidoscopio, come una foresta di segni e di significati, come un cervello denso di sinapsi che partono in tutte le direzioni. Non bisogna prendere

Guantánamo Initiative, in collaborazione con Gianni Motti, al Centre Culturel Suisse a Parigi (11 September 2004). In Close Quarters, al Kunstverein Friburg, in Germania, ricrea un ostello per rifugiati Si trasferisce a vivere in Islanda. La mostra Training Ground for Democracy finisce in una battaglia giudiziaria con il Mass MOCA del Massachusset, che cancella la mostra

La mostra Capital Affair, con Gianni Motti alla Helmhaus a Zurigo, è annullata prima dell’apertura perché il budget finisce su un assegno e dentro una caccia al tesoro. In Invite Yourself, Buchel mette all'asta su eBay i suoi diritti di partecipazione a Manifesta 4

2004 2005

In Hole alla Kunsthalle di Basilea, trasforma la parte storica dell'edificio restaurata in una stazione di smistamento industriale 2007

#40 72
Christoph Büchel, Monte di Pietà Foto Marco Cappelletti, Courtesy Fondazione Prada
È
1966
1986 1997
1998
2000
2002
CHRISTOPH BÜCHEL: UNA TIMELINE

sottogamba le poderose accumulazioni “inventate” da Büchel. Non sono capricci formali, non si tratta per lui di creare effetti estetici. Sono discorsi critici portati avanti con l’ostinazione di uno storico, un sistema semiotico di segni duri, forme-dichiarazioni (dal gioco di Trump agli obici, per esempio), che lui ricerca e compone compulsivamente come un adepto della cultura materiale e che poi assembla con la perizia di un amanuense e la visionarietà di un poeta ermetico. L’archivio del banco dei pegni di Napoli, con i poderosi e polverosi libri mastri scritti a mano, appare come un fantasma e inghiotte il visitatore come dentro una trappola temporale. Si viene catapultati nella (sua) storia. Negli ambienti che crea come capitoli di un trattato, ogni singolo oggetto o documento, rimanda ad un fatto e ogni fatto ad un oggetto. Come nel film di Truffaut Effetto Notte, nella mostra di Büchel non vi è nulla di gratuito o casuale. Ogni oggetto in “scena” è stato da cercato, voluto e allestito in

In Home, alla Hauser & Wirth Gallery, l'artista vende le chiavi del suo appartamento con diritto di accesso a vita. In Wallet, vende il proprio portafoglio incollato al pavimento

Grandi mostre europee: Tribunal al Kunstmuseum Basel, in Svizzera, e Dump, al Palais de Tokyo di Parigi

In Piccadilly Community Centre, a Londra, Büchel crea un vero negozio di beneficenza

2010

Dentro la Secessione di Vienna ricrea un Swingers-Club: di giorno ci va il pubblico dell'arte, la notte accoglie gli scambisti. Querelle sull'uso dei fondi pubblici in tale progetto

Per il padiglione Islandese alla Biennale di Venezia crea La Moschea: la prima moschea nella storica città di Venezia, dove converte la Chiesa dell'Abbazia della Misericordia di Venezia (sconsacrata) in una moschea, chiusa dalle autorità locali

The Sleeping Guard a Frieze a Londra, nello stand di Hauser & Wirth. The House of Friction (Pumpwerk Heimat) al Kunstmuseum St. Gallen, in Svizzera

2019

È alla Biennale di Venezia con Barca Nostra, la nave naufragata con a bordo più di 700 migranti nel 2015

quel modo. Apparentemente è un caos, in realtà si può leggere come un libro esploso in tre dimensioni disseminato di link, in cui ogni oggetto richiama l’altro da sé. Ad un tratto, in una sala dei computer, sopra una pila di libri, appare un saggio dal titolo La memoria degli oggetti. Sembra la chiave di volta per comprendere il senso di un fare artistico che altrimenti potrebbe sembrare una terrificante riedizione, aggiornata e faraonica, del Nouveau Realisme. Büchel lo ha messo lì per noi, come tutto il resto, creando un saggio muto e concreto di ontologia orientata agli oggetti, un ramo nuovo della filosofia che studia l’essere dal punto di vista dell’oggetto e non più del soggetto, o che soggettivizza l’oggetto fino a riconoscergli uno status sovrano. Ma il palazzo è anche cosparso di idee creative, come la sala di Schei (soldi, in veneziano), in cui appare il concreto sistema di creazione e gestione di un’autentica criptovaluta destinata a dissolversi dopo la mostra.

DIAMANTI DELLA MEMORIA

Questa mostra, costituita da una pluralità di “ambienti” e migliaia di oggetti che si snodano senza soluzione di continuità sui tre piani del palazzo, nasce tre anni fa da un incontro tra Büchel e Germano Celant Il suo cuore è l’opera

The Diamond Maker (2020-), in cui Büchel raccoglie una serie di diamanti sintetici ottenuti processando le sue opere d’arte e perfino le sue feci. I “suoi” oggetti sono così, tutti diamanti in potenza capaci di custodire e tramandare la memoria, di produrre un approccio critico al reale, di fare luce sul nostro passato. Sapendoli ascoltare. È una mostra che merita visite ripetute, ogni nuovo passaggio permette di scoprire nuovi collegamenti, prospettive e temi da cui scaturiscono nuove associazioni di idee e di sensi. Facendo attenzione all’effetto di spaesamento, straniamento e dispersione: può colpire in ogni istante.

73 #40 CHRISTOPH BÜCHEL / VENEZIA
2009
2011 2014
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2008

Ifis Art. Così Banca Ifis valorizza e promuove l’arte e la cultura

Politino

Ècon una grande inaugurazione che Banca Ifis ha recentemente festeggiato i quarant’anni dalla fondazione dell’istituto. Apre in questo quadro a Mestre il Parco Internazionale di Scultura, una sorta di galleria d’arte a cielo aperto, un luogo che si trova all’interno della cinquecentesca Villa Fürstenberg, oggi quartier generale della stessa Banca. È stato il suo presidente, Ernesto Fürstenberg Fassio, a volere l’esposizione permanente di sculture monumentali che interagiscono con lo splendido giardino naturalistico della stessa Villa, su uno spazio di oltre ventidue ettari. La collezione, a cura di Giulia Abate e Cesare Biasini Selvaggi, comprende ventitrè opere in armonia con il paesaggio, ma sarà annualmente arricchita per sostenere e diffondere il rapporto arte-natura.

L’ARTE COME TASSELLO CONNESSO

A SCIENZA, ECONOMIA E SOCIETÀ

Il Parco non è che uno dei molti aspetti di Ifis Art, il progetto della Banca dedicato alla valorizzazione e promozione dell’arte e della cultura. A cominciare dal restauro dell’opera di Banksy The Migrant Child, una delle sole due creazioni attribuite allo street artist in Italia. L’impegno di Banca Ifis, che ha risposto per questo resstauro all’appello del Ministero della Cultura, vuole salvaguardare non solo il valore artistico, ma anche sociale dell’opera, come un simbolo di pace e speranza. La Banca ha inoltre acquisito Palazzo San Pantalon, a Venezia, dove l’opera è apparsa nel 2019. Con questa operazione, l’istituto intende ristrutturare l’intero immobile facendone uno spazio espositivo dedicato soprattutto agli artisti più giovani, italiani e internazionali, e usufruibile dalla comunità veneziana.

BANCA IFIS

E IL SOSTEGNO AI GIOVANI

Concependo l’arte come veicolo di inserimento sociale, Banca Ifis ha ideato inoltre il progetto didattico di economia sociale di 21 Gallery (Treviso) Your Future You. Questo si realizza attraverso la metodologia del life & executive coaching, cioè con un corso rivolto alle liceali e ai liceali per permettere loro di acquisire consapevolezza delle proprie potenzialità e ipotizzare prospettive percorribili. Concependo l’arte come veicolo di inserimento sociale, Banca Ifis ha ideato inoltre il progetto didattico di economia sociale di 21 Gallery (Treviso) Your Future You. Questo si realizza attraverso la metodologia del life & executive coaching, cioè con un corso rivolto alle liceali e ai liceali per permettere loro di acquisire consapevolezza delle proprie potenzialità e ipotizzare prospettive percorribili. All’interno dell’applicazione con cui accedere gratuitamente al Parco, trova quindi spazio un interattivo “Percorso junior”, un invito alla visita della collezione creato su misura per i giovani visitatori. Questa funzionalità digitale, peraltro, trova estensione anche in una serie di iniziative ed eventi pensati per giovani e giovanissimi all'interno del Parco.

#40 74 PARCO INTERNAZIONALE DI SCULTURA / MESTRE
Fausto a sinistra: Igor Mitoraj, Ikaro e Ikaria, photo Andrea Garuti sopra: Nico Vascellari, Horse Power / Philip Colbert The King, photo Andrea Garuti nella pagina a fianco: Il Presidente Banca Ifis - Ernesto Fürstenberg Fassio

LE OPERE DEL PARCO INTERNAZIONALE DI SCULTURA

Le opere plastiche in mostra appartengono a dodici maestri della scultura contemporanea, italiani e internazionali: sono Fernando Botero, Annie Morris, Park Eun Sun, Igor Mitoraj, Manolo Valdés, Pablo Atchugarry, Pietro Consagra, Roberto Barni, Julio Larraz, Philip Colbert, Giuseppe Penone, Jaume Plensa e Nico Vascellari.

1 Teseo screpolato di Igor Mitoraj è una grande scultura in bronzo del 2011; simboleggia il fluire del tempo, la fragilità dell’esserci e insieme il valore della classicità.

2 Sembra un ologramma l'opera Chloe's World IV di Jaume Plensa. Realizzata nel 2013, la scultura dell'autore catalano rappresenta un volto femminile a palpebre abbassate, sospeso tra realtà e sogno.

3 Annie Morris, nota per le sue sculture impilate e colorate, è presente con l’installazione Bronze Stack 9. Viridian Green, realizzata nel 2022, che configura una serie di sfere irregolari in verticale.

4 L’installazione Continuazione di Park Eun Sun si concretizza in forme geometriche, strutture modulari, destrutturate ed equilibrate, avvicendando due colori, il granito rosso e il giallo.

5 Ikaria e Ikaro alati di Igor Mitoraj sono le metafore dell’arroganza dell’umanità che travalica ogni limite. Il tema di Ikaro è uno dei più sviluppati dallo scultore; Ikaria è una figura nuova, con testa e braccia mozzate.

6 Il Continuo di Roberto Barni va a fornire visibilità a un “movimento privo di scopo”. Gli esseri che scolpisce sono sistemati su una bizzarra scala curva che ricorda un dondolo.

7 L’opera del 2017 di Manolo Valdés, Clio Dorada, è in ottone e acciaio inossidabile. La protagonista mette in risalto uno studiato copricapo con scintillanti rami aggrovigliati.

8 L’opera di Fernando Botero, Horse, segue la cifra stilistica dilatativa propria dell’artista, incarnando la forza e la maestà tipici del cavallo, che è visto qui con tenera reverenza.

9 L’opera Equivalenze di Giuseppe Penone è un ritorno dell’albero, che sempre per l’artista incarna la scultura ed è da lui considerato una materia viva non dissimile dal corpo umano.

10 L’opera di Pablo Atchugarry è Le ali dei sogni L’artista, che nel 1979 visitò Carrara e scoprì la singolare eleganza del marmo, è qui presente con un’opera astratta, massiccia e delicatamente scolpita, che riflette sull’intervento dello spirituale nella vita quotidiana.

11 L’opera Metacubo di Pietro Consagra, uno degli esponenti più validi dell’astrattismo internazionale, è un pezzo unico e può anche esser considerato un’alternativa alla panchina. Si fa notare per una sensuale rotondità.

12 Philip Colbert è presente con la grande aragosta di The King. Influenzato da pittori pop come Hamilton, Lichtenstein e Rosenquist, Colbert ripercorre la pittura dei maestri della storia dell’arte con un gusto provocatorio.

13 Julio Larraz spesso affronta con ironia un messaggio sociale: è il caso di Space Station, scultura del 2000 che simboleggia, con una caffettiera in equilibrio precario su stoviglie traballanti, l’insicurezza del potere.

14 La collezione Horse Power di Nico Vascellari è composta da nove opere che analizzano le peculiarità del rapporto tra uomo e natura, immersa nell’ecosistema botanico-naturalistico del giardino.

75 #40 PARCO INTERNAZIONALE DI SCULTURA / MESTRE
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Villa Fürstenberg – Banca Ifis

Cézanne e Renoir. Due modernisti ante litteram al Palazzo Reale di Milano

Paul Cézanne rivoluzionario iniziatore dell’arte moderna; Pierre-Auguste Renoir autore attardatosi sull’Impressionismo, dedito allo sbuffo e a una pittura facile? Se il primo termine di questa equazione piuttosto diffusa nella percezione corrente è certamente esatto, il secondo è da rivedere. Lo dimostra l’esposizione che riunisce al Palazzo Reale di Milano i due giganti di fine Ottocento/ inizio Novecento: Cézanne/Renoir-Capolavori dal Musée de l’Orangerie e dal Musée d’Orsay, curata da Cécile Girardeau e Stefano Zuffi. Le cinquantadue opere esposte coprono il cammino dei due artisti dagli anni Settanta dell’Ottocento fino a inizio Novecento - cammino spesso parallelo più che divergente, segnato in diverse fasi dalla conoscenza diretta e dalla vicinanza dei due autori.

DUE PERCORSI PARALLELI

Tutti i lavori, prima di entrare nelle collezioni delle due istituzioni parigine, facevano parte della raccolta iniziata da Paul Guillaume e proseguita da sua moglie Domenica: dunque, una prima traccia da seguire è la testimonianza di un pezzo di storia del collezionismo. Il secondo fil rouge è poi il superamento dell’Impressionismo, trattato nella prima fase della mostra nella sua forma conclamata e poi via via “diluito” nelle successive ricerche che si avviano verso il Moderno. Ma la vera trama narrativa dell’esposizione è lo scorrere parallelo delle evoluzioni dei due protagonisti.

Fino al 30 giugno CÉZANNE / RENOIR. CAPOLAVORI

DAL MUSÉE DE L’ORANGERIE E DAL MUSÉE D’ORSAY

a cura di Cécile Girardeau e Stefano Zuffi

Palazzo Reale Piazza Duomo 12 – Milano www.palazzorealemilano.it

Nella prima parte, sull’en plein air e più in generale sul paesaggio, negli stili di entrambi il disegno prevale sul colore. In Cézanne, però, il tratto che contorna le figure (senza limitarle né circoscriverle) rimane strutturale, mentre in Renoir la forma è definitivamente “atmosferica”, eppure compatta e a suo modo stridente. La stessa dinamica si verifica nel confronto tra le due visioni del tema dei bagnanti e tra i due modi di trattare la figura umana in primo piano. Inutile sottolineare la straordinaria felicità espressiva, il piacere per l’occhio e l’intelletto che caratterizza le opere, con punti particolarmente intensi in questo senso come ad esempio la galleria di Femmes, filles e fillettes di Renoir che si incontra a metà percorso.

LA NATURA MORTA, DISTANZE E SOMIGLIANZE

del dialogo diretto tra nature morte che presenta più punti di contatto di quanto ci si potrebbe aspettare. La conclusione, infine, è un affondo storico che testimonia dell’influenza di entrambi gli autori sulle Avanguardie (influenza dichiarata dagli stessi “eredi”). L’artista preso ad esempio è Picasso: la scomposizione di una sua natura morta del 1917 fronteggia l’analisi e la sintesi di Pommes et biscuits (1880) di Cézanne; una sua monumentale figura femminile ancora del 1917 incontra una altrettanto monumentale Femme nue couchée (1906-1907) di Renoir, rubensiana ma anche moderna, suggestiva eppure felicemente antinaturalistica nella trattazione delle sinuosità del corpo. Se Cézanne fu in vita un artista appartato e “discriminato” dal sistema, poi da subito e costantemente considerato avanguardista, Renoir ebbe alterna considerazione: alla fine della sua vita fu visto come un passatista, poi rivalutato appunto dagli avanguardisti. E l’oscillazione del gusto nei confronti di Renoir è continuata anche durante il Ventesimo secolo, fino ai giorni nostri. Come si accennava all’inizio, le sue elaborazioni pittoriche sono certamente ascrivibili a un percorso di decisiva innovazione - in modi diversi da Cézanne, certo, forse meno assoluti, ma certamente non minori.

Il Polittico Agostiniano di Piero della Francesca, riunito eccezionalmente al Museo Poldi Pezzoli

Tutta l’arte di Parco Sempione, tra le opere di Burri e Isgrò e le palazzine vintage

in alto: Paul Cézanne, Ritratto di Madame Cézanne, 1885-1895, Olio su tela, 81 x 65 cm, Parigi, Musée de l'Orangerie

La scomposizione analitica che sarà il tratto decisivo di Cézanne trova ulteriori appoggi nelle fasi successive, con espedienti come la tela lasciata intonsa attorno alla figura e la figura stessa che assume autonomia completa, architettonica più ancora che scultorea. Ma è nella natura morta che inizia a compiersi il nuovo sistema cézanniano: la famosa visione del mondo basata sui solidi geometrici, semplificata e proprio per questo paradossalmente dotata di infinita capacità di penetrazione del reale. Il confronto in parallelo si fa serrato nell’ultima parte, in particolare con il passaggio cardine

Le nuove gallerie, dalla sede italiana di HATCH a Playlist di Giampaolo Abbondio

#40 76 CÉZANNE E RENOIR / MILANO
3 COSE DA VEDERE NEI DINTORNI
Palazzo Reale

Orfeo, eros, cinema e design. Jean Cocteau a Venezia

Per la prima volta in Italia, la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia dedica una grande retrospettiva al disegnatore, romanziere e cineasta franceseJean Cocteau (1889–1963). La mostra La rivincita del giocoliere approfondisce la figura di Cocteau, “enfant terrible” della scena artistica del secolo più scettico, materialista, iconoclasta con oltre centocinquanta opere, tra lettere illustrate, libri, olii, maschere teatrali, og gettistica, immagini fotografiche, manifesti e gioielli, come la bellis sima Spada di Accademico alizzata da Cartier. Il percorso espositivo è articolato in una serie di capitoli ri guardanti i principali temi al centro dell’opera di Cocteau, cioè l’Orfeo e il tema della poesia, l’eros, il classico nell’arte, Venezia e il rapporto con Peggy Guggenheim, il cinema e il design. Il focus della rassegna è fondato sulle sue capacità di disegnatore, brillante, abile, innovativo e capace di approcci originali, come scrive nel saggio introduttivo il curatore Kennet E. Silver. Al quale abbiamo posto alcune domande per inquadrare meglio l’autore e chiarire quali sono state le motivazioni che lo hanno guidato nell’impaginazione della mostra.

storico. Vuol dire che raccontare storie è superiore ai fatti e alla scrittura della storia.

Appena si entra nella prima sala della mostra, c’è un video che mostra una sintesi del film Orphée del 1950. Perché hai scelto di enfatizzare questo lavoro?

Orfeo fu una figura chiave per JC per tutta la sua vita. Cocteau si identificò profondamente con Orfeo – poeta, musicista, amante del rischio – trasformando la leggenda nel suo motivo più duraturo e amato. Il racconto fu adattato da Cocteau in numerose occasioni, in particolare per un’opera teatrale nel 1926 e un trio di film: Il sangue di un poeta (1930), Orfeo (1950) e Il testamento di Orfeo (1960).

Che ruolo ha, in queste opere, il simbolo dello specchio?

La Biennale Arte 2024

Le numerose chiese che offrono percorsi ed esposizioni in occasione della 60. Esposizione Internazionale, come San Giorgio Maggiore, San Fantin e la Chiesa della Pietà

Lo spazio indipendente Soap Culture a Palazzo Zon

Cocteau si definisce “un bugiardo che dice sempre la verità”. Può spiegare il significato di tale espressione?

Ovviamente è enigmatico, ma tra le altre cose Jean Cocteau sta dicendo che “arte” e “mito” sono la verità ultima, piuttosto che un fatto

Fino al 16 settembre

JEAN COCTEAU.

LA RIVINCITA DEL GIOCOLIERE a cura di Kenneth E. Silver

Collezione Peggy Guggenheim – Venezia

sopra: Jean Cocteau, Maschera per Antigone, 1923, Parigi, Bibliothèque National de France, Fondo Charles Dullin (1885–1949) © Adagp Comité Cocteau, SIAE 2024

Lo specchio è un elemento centrale nelle produzioni orfiche di Cocteau e funge da chiave di volta della galleria di apertura. Nei suoi film, lo specchio si trasforma in un portale acquatico che collega la vita e la morte: il famoso brano di Orfeo qui mostrato presenta l’amante di Cocteau, Jean Marais, come personaggio del titolo, che cammina attraverso la superficie riflettente dello specchio negli inferi. Cocteau sfruttava gli specchi anche per la loro suggestione di sdoppiamento narcisistico, come nella piccola scultura Lo specchio di Orfeo (1960/1989), in cui figure gemelle e androgine sono quasi faccia a faccia.

Un’altra sezione della mostra è dedicata al rapporto tra parola e immagine. Sembrano competere per lo spazio nella creazione artistica: esiste una vincitrice?

Buona domanda! Direi che entrambe vincono quando Jean Cocteau diventa regista, cioè quando parola e immagine possono condividere equamente l’estetica. Ma è anche vero che il nostro principale interesse per questa mostra alla Collezione Peggy Guggenheim è visivo, dal momento che Peggy Guggenheim era una collezionista d’arte, e questo è un museo d’arte.

Cocteau ha avuto contatti con le avanguardie del XX secolo, compreso il cubismo. E il Surrealismo?

Il fondatore del surrealismo, il notoriamente omofobo André Breton – era, a suo dire, “completamente disgustato” dall’omosessualità maschile – disprezzava Cocteau e faceva del suo meglio per tenerlo a debita distanza dal movimento sul quale governava con pugno di ferro (in un guanto di ferro). Ma tutto ciò che distingueva il Surrealismo – immagini oniriche, destabilizzazione intossicata, mescolanza poetica/visiva e forma biomorfica ultraterrena –era anche caratteristico dell’universo estetico di Cocteau. Particolarmente vicini all’arte surrealista sono i suoi straordinari disegni a matita del 1936, apparentemente ispirati ai fittoni visti sulla spiaggia di Gigaro, dall’altra parte della penisola rispetto a St. Tropez. Chiamò queste immagini mandragore, riferendosi alle radici allucinogene che si pensava fossero state un ingrediente di pozioni magiche nel Medioevo. Le entità composite di Cocteau di radice, viso, mano e genitali maschili ricordano le forme surreali biomorfiche create contemporaneamente da Picasso, Joan Miró e Salvador Dalí.

Pensa che la mostra abbia un pubblico mirato consiglierebbe (o sconsiglierebbe) a qualcuno?

Penso che questa sia una buona mostra per chiunque sia interessato all’arte e all’estetica d’avanguardia. Solo, non è per bambini: non solo non capirebbero le parti più difficili ma, soprattutto, in mostra c’è un forte immaginario sessuale che non è appropriato per loro.

77 #40 JEAN COCTEAU / VENEZIA
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Collezione Peggy Guggenheim
COSE DA VEDERE NEI DINTORNI

Il Sassetta e il suo tempo. Uno sguardo sull’arte senese del primo Quattrocento

Stefano di Giovanni, meglio noto come il Sassetta, che ha operato a Siena dal 1423 al 1450 innestando le novità del Rinascimento nella grande tradizione trecentesca senese, è il protagonista della rassegna Il Sassetta e il suo tempo, curata da Alessandro Bagnoli. La mostra è progettata tenendo presente l’opera inserita in permanenza al Museo di San Pietro all’Orto: l’Arcangelo Gabriele, piccola tavola un tempo posta fra le cuspidi di una pala d’altare.

IL SASSETTA INEDITO

Cinquanta le opere presentate, ventisei dello stesso Sassetta compreso un dipinto inedito, scoperto dallo stesso curatore della mostra. Si tratta di una Madonna con Bambino, proveniente dalla pieve di San Giovanni Battista a Molli. Individuata sotto una spessa ridipintura che il notevole restauro di Barbara Schleicher ha reso pienamente leggibile. Un’acquisizione importante, secondo Bagnoli, perché dimostra “come il Sassetta, pur mantenendo un forte legame con la tradizione nella pittura senese, da Simone Martini in poi, riesca a recuperare anche la sostanza delle novità della pittura rinascimentale fiorentina, compresa la definizione della luce che dà concretezza alle forme e ai volumi”. Quest’opera è accostata ad un’ulteriore Madonna con Bambino del Museo dell’Opera di Siena recentemente restaurata dal FAI. Ad attribuirla al Sassetta si sono schierati Bernard Berenson e Roberto Longhi, con quest’ultimo che lo ha definito il maggiore esponente dello stile gotico senese del primo Quattrocento.

Fino al 14 luglio

IL SASSETTA E IL SUO TEMPO

Uno sguardo sull’arte senese del primo Quattrocento a cura di Alessandro Bagnoli

Musei di San Pietro all’Orto Massa Marittima (Gr)

LA MADONNA DELLE CILIEGIE E I CAPOLAVORI DALLA

PINACOTECA

NAZIONALE

Spicca la particolare Madonna delle ciliegie, proveniente dal Museo di Grosseto. “I frutti rossi che sottintendono il sangue, sono tra i numerosi possibili simboli cristologici. E ugualmente rossa è la melagrana nella mano destra della Madonna della tavola inedita”, chiarisce Bagnoli. Nel dipinto, Antonio Paolucci ha sottolineato il coesistere di un sofisticato intellettualismo, di un’elegante gestione delle forme anatomiche con un comportamento insieme tenero e affettuoso.

Dalla Pinacoteca Nazionale senese arrivano in mostra i Quattro Protettori di Siena, i Quattro Dottori della Chiesa, e la tavoletta del Sant’Antonio bastonato dai diavoli. Un dipinto singolare raffigurante il protagonista percosso, con bastoni e serpenti usati come frusta, dai demoni, mostruose creature a metà tra uccelli predatori ed essere umani (ma dai tratti cancellati). Le bastonature dei diavoli simboleggiano le dure prove affrontate da sant’Antonio mentre medita nel deserto, e l’agitata scena è inserita in un paesaggio montuoso, uno dei primi cieli nuvolosi della storia dell’arte italiana, che rievoca certe impostazioni dei fratelli Lorenzetti, senesi come il Sassetta.

IL PRIMO RINASCIMENTO

E I MAESTRI DEL SASSETTA

C’è poi l’Ultima cena, un’opera notevole per la volumetria delle figure e la loro specifica disposizione simmetrica, che ha assimilato le prime novità rivoluzionarie del Rinascimento nella

prospettiva delle architetture e nel realismo delle figure e dei paesaggi. La collezione Chigi Saracini ha prestato la raffinata Adorazione dei Magi, dove purtroppo la mancanza di estese zone della tavola dipinta ostacola, anche idealmente, la ricostruzione nella sua totalità: fondamentali elementi di raccordo, come le parti riguardanti il tetto della capanna e alcune del paesaggio collinare, sono state tagliate e disperse.

Sotto il profilo stilistico, la fonte primaria che Sassetta considera è la pala Strozzi, dipinta da Gentile da Fabriano per la Chiesa di Santa Trinità di Firenze nel 1423, capolavoro della pittura del Gotico internazionale in Italia. Influenze visibili, per esempio, nelle due donne sulla destra che come raffinate damigelle di corte, ricevono i doni regali, o nella sagoma di San Giuseppe arcuato sul bastone. Influenze in ogni caso attraversate dalle originalità prospettiche definite dalla rivoluzione pittorica di Masaccio. Il giovane Re mago e il paggetto alle sue spalle, calpestano un terreno ghiaioso in uno spazio tutt’altro che astratto.

Le Fonti dell’Abbondanza, costruite nel XIII secolo per l’approvvigionamento idrico del paese e come magazzino per i cereali, con la caratteristica pittura murale dell’Albero della Fertilità

Il Museo della Miniera, posto in un’antica cava di travertino usata durante la Seconda Guerra Mondiale come rifugio anti-aereo

Il giardino Sol omnibus lucet realizzato dalla scultrice del paesaggio Maria Dompè e dedicato a Norma Parenti, giovane partigiana e Medaglia d’Oro al Valor Militare

#40 78 IL SASSETTA / MASSA MARITTIMA
3 COSE DA VEDERE NEI DINTORNI
Musei di San Pietro all’Orto Sassetta, Madonna col Bambino (96,4 x 70,5 cm). Grosseto, Museo archeologico e d’arte sacra

Come nasce una grande mostra. Il registrar: figura cruciale per i prestiti

Non è un restauratore, non è un conservatore, non è un catalogatore: è un registrar, vale a dire quel professionista che coordina la movimentazione delle opere in entrata (in questo caso viene definito “exhibition registrar”) e in uscita (“collection registrar”) di un’istituzione museale, una galleria d’arte o uno spazio espositivo. “Il registrar è il responsabile delle procedure di prestito messe a punto in occasione di mostre temporanee, di allestimenti permanenti o di comodati e deve tener traccia di tutto ciò che è connesso al movimento di un’opera, garantendo la corretta finalizzazione di ogni passaggio e affidandosi alla competenza dei professionisti con cui si interfaccia per realizzare una movimentazione” precisa Rebecca Romere, presidente di Registrarte, Associazione italiana registrar di opere d’arte, che abbiamo intervistato per approfondire il ruolo di questa figura nel mondo delle mostre. Ma in cosa consiste il lavoro del registrar? “Tutte le opere che entrano o escono dalla loro sede, e in quale modo entrano ed escono, sono di competenza del registrar, che quindi segue i vari step, dal contratto di prestito che regola la detenzione temporanea del bene alle condizioni assicurative, dalle modalità di trasporto alle tempistiche e alla logistica di allestimento, fino alla documentazione ministeriale”, spiega la presidente. “I registrar inoltre collaborano con

i conservatori e i restauratori nella conservazione preventiva delle opere esposte e di quelle in deposito, e con i referenti della sicurezza per garantire la salvaguardia dei beni nelle proprie disponibilità. In un Paese come l’Italia, che è tra i più importanti prestatori al mondo, i registrar rappresentano pertanto un tassello fondamentale nella filiera della circolazione nazionale e internazionale delle opere”.

Da quanto detto si può intuire la complessità che sottende questa professione: “Al registrar è richiesta un’ampia varietà di competenze, da quelle legali a quelle logistiche e assicurative, dalle nozioni di museologia alla catalogazione e alla conservazione”, precisa Romere. “È infatti importante saper comprendere le clausole di un contratto di prestito, distinguere le tipologie di cassa, analizzare il wording di una polizza assicurativa per capire le esclusioni previste,

mantenere aggiornata la numerazione di una checklist, conoscere le attaccaglie, garantire l’appendimento di un dipinto alla giusta altezza o l’inserimento di un artsorb all’interno di una vetrina e tanto altro”. Per rappresentare questi professionisti italiani esiste in Italia Registrarte, l’associazione presieduta proprio da Rebecca Romere e che raduna 150 registrar che lavorano, o collaborano in qualità di freelance, con musei, fondazioni, gallerie d’arte, realtà imprenditoriali che organizzano mostre. Particolare impegno viene posto nella formalizzazione del ruolo del registrar da parte del Ministero della Cultura, dal momento che oggi, nelle istituzioni pubbliche, non è ancora pienamente riconosciuto. Obiettivi di Registrarte sono anche l’educazione in ambito professionale, grazie a un’offerta formativa specifica, e la divulgazione dell’importanza della professione.

TORNA IN ITALIA L'EUROPEAN REGISTRARS CONFERENCE

Dal 1998, con cadenza biennale, uno dei Paesi membri dell’European Registrars Group organizza l’European Registrars Conference (ERC). La XIII edizione di questo significativo appuntamento si terrà i prossimi 7 e 8 novembre 2024 a Roma, al Parco della Musica Ennio Morricone, tornando così in Italia dopo 22 anni. Il convegno costituisce una preziosa occasione per un confronto tra colleghi registrar, trasportatori, assicuratori e stakeholder del settore sui temi attuali, quali la sostenibilità – attualmente al centro del dibattito, anche in quest’ambito –, la cooperazione, le nuove frontiere della gestione dei prestiti e delle collezioni, e infine il made in Italy. In sostanza si discuterà su cosa significa fare il registrar in Italia oggi e su quali sono le specificità delle pratiche operative di questa professione.

79 #40 COME NASCE UNA GRANDE MOSTRA
Rebecca Romere

MILANO

Fino al 30 giugno

DE NITTIS PITTORE DELLA

VITA MODERNA

Palazzo Reale palazzorealemilano.it

Fino al 30 giugno

CÉZANNE / RENOIR

NAPOLI A BERGAMO. Uno sguardo sul ’600 nella collezione De Vito e in città Accademia Carrara lacarrara.it GRANDI

Capolavori dal Musée de l’Orangerie e dal Musée d’Orsay

Palazzo Reale palazzorealemilano.it

Fino al 13 ottobre 2024

IO SONO UN DRAGO. La vera storia di Alessandro Mendini

Triennale triennale.org

TORINO

Fino al 10 giugno

LIBERTY

Torino capitale

Palazzo Madama

Museo Civico d’Arte Antica palazzomadamatorino.it

Dal 14 giugno al 6 ottobre 2024

MARGARET BOURKE-WHITE. L’opera 1930-1960

Camera Centro per la Fotografia camera.to

Fino al 28 luglio

GUERCINO

Il mestiere del pittore

Musei Reali museireali.beniculturali.it

ERRATA CORRIGE

A p. 104 di GM39 il dipinto di Alberto Martini Ritratto di Wally Toscanini è stato erroneamente identificato nella didascalia come Ritratto contessa Calzavara di Giulio Ettore Erler.

GALLARATE

Fino al 7 aprile

DADAMAINO 1930 – 2004

Museo MA*GA museomaga.it

Fino al 30 giugno

BRUNO MUNARI. Tutto

Fondazione Magnani-Rocca magnanirocca.it

BERGAMO

Fino al al 1 settembre 2024

BRESCIA

Fino al 9 Giugno I MACCHIAIOLI

Palazzo Martinengo bresciamusei.com

Fino al 28 luglio

FRANCO FONTANA

Colore

Museo di Santa Giulia bresciamusei.com

Fino al 15 luglio

ARTURO MARTINI

La trama dei sogni Museo della Ceramica musa.savona.it

Fino al 1 settembre 2024 NOSTALGIA. Modernità di un sentimento dal Rinascimento al Contemporaneo Palazzo Ducale palazzoducale.genova.it

Fino al 14 luglio

‘60 POP ART ITALIA

Palazzo Buontalenti pistoiamusei.it

Fino al 22 settembre WALTER ALBINI. Il talento, lo stilista Museo del Tessuto museodeltessuto.it

Dal 22 giugno al 20 ottobre

LOUISE BOURGEOIS IN FLORENCE

Museo Novecento e Museo degli Innocenti museonovecento.it

Fino al 21 luglio

ANSELM KIEFER Angeli Caduti

Palazzo Strozzi palazzostrozzi.org

Fino al 14 luglio

IL SASSETTA E IL SUO TEMPO

Uno sguardo all’arte Senese del primo quattrocento

Museo di San Pietro all’Orto museidimaremma.it

Fino al 28 luglio

IMPRESSIONISTI. L’alba della modernità

Museo Storico della Fanteria esercito.difesa.it

#40 80
ROMA MASSA MARITTIMA FIRENZE PRATO PISTOIA GENOVA SAVONA PARMA
MOSTRE IN ITALIA IN QUESTE SETTIMANE

TRENTO

Dal 6 luglio al 20 ottobre

DÜRER E LE ORIGINI DEL RINASCIMENTO NEL TRENTINO

Museo del Castello del Buonconsiglio buonconsiglio.it

PADOVA

Fino al 14 luglio

MONET.

Capolavori dal Musée

Marmottan Monet, Paris

Centro Altinate San Gaetano altinatesangaetano.it

Fino al 30 giugno HENRI DE TOULOUSE-LAUTREC.

Dipinti, pastelli, disegni e manifesti Palazzo Roverella palazzoroverella.com

Fino al 21 luglio ESCHER

Palazzo dei Diamanti palazzodiamanti.it

FORLÌ

Fino al 30 giugno PRERAFFAELLITI.

Rinascimento moderno Museo Civico San Domenico mostremuseisandomenico.it

Fino al 7 luglio

MIRÓ La gioia del colore

Palazzo della Cultura beniculturali.it

TREVISO

fino al 28 luglio

DONNA IN SCENA Boldini, Selvatico, Martini Musei Civici di Treviso museicivicitreviso.it

Fino al 9 giugno

VENEZIA

Fino al 24 novembre PIERRE HUYGHE Liminal

Punta della Dogana pinaultcollection.com

fino al 15 settembre WILLEM DE KOONING E L’ITALIA

Gallerie dell’Accademia gallerieaccademia.it

MIMMO PALADINO NEL PALAZZO DEL PAPA

Palazzo Boncompagni palazzoboncompagni.it

Fino al 30 giugno

MARINA ABRAMOVIĆ The Life

Centro Arti Visive Pescheria fondazionepescheria.it

Fino al 30 giugno

GLI DEI RITORNANO I bronzi di San Casciano

Museo Archeologico Nazionale mann-napoli.it

TRIESTE

Fino al 30 giugno

VAN GOGH

Capolavori dal Kröller Müller Museum

Museo Revoltella museorevoltella.it

Fino al 30 giugno

ANTONIO LIGABUE

Museo Revoltella museorevoltella.it

Fino al 24 novembre MONTE DI PIETÀ. Un progetto di Christoph Büchel

Ca' Corner della Regina fondazioneprada.org

Fino al 16 settembre JEAN COCTEAU. La rivincita del giocoliere

Collezione Peggy Guggenheim guggenheim-venice.it

81 #40 GRANDI MOSTRE IN ITALIA IN QUESTE SETTIMANE
PESARO BOLOGNA FERRARA
CATANIA
ROVIGO NAPOLI
SHORT NOVEL a cura di ALEX URSO 78 82
Inquadra il QR per leggere l'intervista con l'artista

QUANDO INIZIEREMO A CAPIRE

CHE LO SPAZIO PUBBLICO é CULTURA?

MASSIMILIANO TONELLI

Forse dovremmo meglio focalizzare quanto rilevante sia l’utilizzo che facciamo dello spazio pubblico rispetto alle strategie culturali dei territori, delle città, degli enti pubblici e locali. Il suolo pubblico è l’ultimo grande cespite economico in capo ai Comuni (e in qualche caso allo Stato, pensiamo agli stabilimenti balneari...). E i Comuni, o lo Stato, possono ben decidere se utilizzarlo con una visione, oppure se svenderlo per quieto vivere. Tre episodi capitati nelle ultime settimane ci potrebbero far riflettere su quanto le strategie sottese allo sfruttamento o alla valorizzazione del suolo pubblico impattino anche sulle scelte culturali, sulla reale e non ipocrita “tutela” dei centri storici, sulle errate abitudini dei cittadini e sulla percezione che abbiamo sul ruolo che lo spazio pubblico deve avere nel nostro essere cittadini.

Decidere come adoperare lo spazio pubblico è la scelta politica più profonda di una comunità. E in Italia la decisione è sempre figlia di analisi vecchie e superate

A metà maggio un gruppo di 2000 cittadini è riuscito in una sola serata a contare tutte – tutte! – le autovetture ferme in sosta abusiva nel territorio comunale di Milano. Il numero è risultato gigantesco. Già, ma cosa c’entra il mondo della cultura, dell’arte, della creatività con tutto questo? Moltissimo anche se non ce ne rendiamo conto. Ogni metro quadro di suolo pubblico rubato da attività fuori luogo se non addirittura illegali come la sosta abusiva delle auto è uno spazio sottratto a cultura, creatività, progetto. Sempre. Quanti architetti potrebbero lavorare nello spazio che migliaia di automobili parcheggiate illegalmente occupano? Quanta arte pubblica si potrebbe fare? Quanti designer potrebbero applicarsi al ridisegno di quegli spazi? Quanti urbanisti potrebbero proporre la loro visione se il suolo non venisse derubricato a autorimessa abusiva? Quante di queste auto, infine, si trovano in zone rilevanti dal punto di vista culturale che così risultano illeggibili? Quante davanti alle scuole? Quante a rendere complicato l’accesso a musei e monumenti? Decidere come adoperare lo spazio pubblico è la scelta politica più profonda di una comunità. E in Italia la decisione è sempre figlia di analisi vecchie e superate. Ma andiamo oltre e passiamo a Firenze. Mentre scrivo si sta svolgendo a Piazzale Michelangelo una manifestazione dedicata alla pizza. Sfilata di forni, pizzaioli, musica e assaggi. Il suolo pubblico è un cespite economico importante per le amministrazioni comunali, dicevamo sopra. I Comuni possono decidere di far fruttare al meglio il suolo pubblico per poi ricavarne le risorse da reinvestire asili nido, assistenza agli anziani, manutenzione, cultura. In questo

L’INVASIONE

DELLE AUTO A MILANO IN NUMERI

63.990

le auto in divieto di sosta nella notte del 16 maggio

caso il Comune di Firenze ha deciso di concedere un patrocinio utile a scontare all’organizzazione gli oneri di occupazione di suolo pubblico. Il motivo? Pitti Pizza & Friends (la manifestazione si chiama ingannevolmente “Pitti” evocando la storica rassegna dedicata alla moda) avrebbe rilevanza “culturale”. Peccato che di culturale ci fosse davvero poco e che anzi i pizzaioli invitati fossero lungi dall’essere i migliori artigiani della città. Semmai, insomma, una manifestazione diseducativa... Eppure si è deciso di utilizzare (strumentalizzare!) il concetto di cultura per giustificare un inopportuno regalo di suolo pubblico a soggetti privati neppure troppo qualificati.

Ogni metro quadro di suolo pubblico rubato da attività fuori luogo è uno spazio sottratto a cultura, creatività, progetto

37.000

erano in sosta irregolare in carreggiata

15.000

sul marciapiede

11.000 sulle aree verdi

16,5 auto in divieto di sosta per ogni via (in media)

€ 5.3 mln

il mancato introito per il comune nella sola notte del 16 maggio (considerando la tariffa di € 84 di multa per divieto di sosta)

Passiamo al terzo esempio. Questa volta c’è di mezzo il Governo Meloni e per una volta non in senso negativo. In particolare il Ministro della attività produttive Adolfo Urso. Il quale ha esternato la necessità di stabilizzare i dehors dei bar e ristoranti concessi temporaneamente durante il Covid. “I dehors portano degrado? No, possono anche valorizzare le strade” ha detto Urso. Il Ministro ha ragione e lo dimostrano le politiche di tutti gli altri Paesi occidentali che puntano sempre di più ad una socialità da marciapiede a scapito di un utilizzo antiquato della strada concepita come parcheggio o inospitale distesa d’asfalto. In Italia invece siamo ancora al punto in cui se in una strada ci sono decine di autovetture in sosta illegale e pericolosa vengono tendenzialmente tollerate dalle Polizie Locali, le stesse Polizie Locali che però non si tirano indietro a comminare sanzioni anche di migliaia di euro per qualche centimetro di tavolino fuori posto. Uno strabismo inedito in Occidente. Uno strabismo che governa le scelte delle Soprintendenze che non hanno mai eccepito su strade e piazze storiche tramutate in parcheggi e che invece trovano mille cavilli ogni volta che si deve autorizzare un tavolino all’aperto anche del più rispettoso e qualitativo dei ristoranti. Lo stesso strabismo che ha guidato le reazioni alla proposta del Governo, anche qui strumentalizzando la cultura e urlando allo “stupro dei centri storici a causa dei tavolini”, una sciocchezza che non è stata ripetuta solo dalle solite finte associazioni di difesa dei consumatori, ma pure da alcuni enti locali come addirittura il Comune di Roma.

Le analisi su questi episodi dovrebbero appoggiare su una concezione dello spazio pubblico radicalmente diversa rispetto a quella dominante. Che sia fortemente connessa alla cultura di una comunità e alla sua identità più profonda. Dobbiamo decidere se iniziare a considerare lo spazio pubblico la terra di tutti oppure se continuare a ritenerlo la terra di nessuno.

Fonte: Progetto VIA LIBERA di Sai che puoi?

LA DIDASCALIA E IL RACCONTO DEL TRAUMA COME PILASTRI DELL'ARTE DI OGGI

L'artista Flavio Favelli, nel suo articolo pubblicato di recente su Antinomie, parte da un confronto tra il lavoro di Kiluanji Kia Henda (A Espiral do Medo, 2022) esposto alla Biennale di Venezia e il suo (Traliccio Tunisi, 2019; Ferro di Confine, 2023) per riflettere sul concetto di autorialità, di conflitto, e sulla validazione che il sistema dell’arte odierno impone alle opere sulla base di contenuti extra-artistici: “È chiaro che la grande differenza tra la mia opera e quella dell’artista angolano risiede in due relazioni: la provenienza di quei pezzi di ferro e la provenienza dell’artista, che sembrerebbe sia più autorizzato ad esporre un materiale ambiguo e conflittuale come la ringhiera domestica di ferro. Essere un autore del Sud del mondo, nativo di una ex colonia, con materiali ex coloniali, fa la differenza, perché l’artista angolano è portatore, per sua natura, di un quid che un artista bianco occidentale di un ex paese invasore non può avere. Questo quid sarebbe, si presume, legato all’identità della persona che garantisce una sorta di maggiore autenticità, meglio veridicità, dell’opera d’arte, perché di questi tempi, l’arte, nonostante la sua natura diversa, deve diventare sempre più reale”1 . “Sembrerebbe sia più autorizzato”. Sembrerebbe. Si presume. Provenienza. Quid. Autenticità. Veridicità. È questo il nucleo di senso di tanta arte contemporanea degli ultimi anni – basta farsi un giro alla Biennale di Venezia da poco inaugurata – e dei discorsi fatti e sentiti attorno ad essa. La validazione si concentra non più e non tanto sull’opera, sullo stile, sulla ricerca, quanto sulla storia. La storia è quella individuale dell’autore, a sua volta riflesso e manifestazione della Storia più grande, collettiva. Testimonianza, prova provata. Questa storia manifesta anche la dimensione narrativa, una dimensione che è stata gradualmente reintrodotta nell’arte contemporanea dopo la sbornia minimalista-concettuale-poverista degli Anni Sessanta e Settanta (che aveva accuratamente eroso ogni accenno al racconto, e al coinvolgimento emotivo), ma in modo molto molto differente da quanto poteva accadere, che so, con il Surrealismo, e prima ancora con la pittura metafisica, o dopo con il New Dada e la Pop Art. Questa nuova narrazione, questa nuova

‘storia’, è sostanzialmente il racconto del trauma personale e politico (“il quid di autenticità e di veridicità”). La storia è l’artista, la storia è la vita dell’artista. Da cui consegue: l’opera è l’artista, l’opera è la vita dell’artista. Legittimo l’opera, dunque, attraverso il racconto dei suoi traumi, delle ferite che ha subito: racconto che si esplica non solo (e non tanto) all’interno dell’opera, appunto, ma fuori da essa – magari nella didascalia (es)posta accanto. Con esiti a volte decisamente grotteschi e tragicomici.

La validazione si concentra non più e non tanto sull’opera, sullo stile, sulla ricerca, quanto sulla storia, quella individuale dell’autore, a sua volta riflesso e manifestazione della Storia più grande, collettiva

Per cui, potremmo anche dire: l’opera oggi è – in molti casi almeno – la didascalia. Il lavoro vero e proprio è un pretesto, qualcosa che sta lì a giustificare la didascalia che contiene-il-contenuto. Questo aspetto – forse non ce ne siamo accorti abbastanza finora, perché tende a camuffarsi con i linguaggi gli orpelli e gli stilemi installativi, concettuali, artigianali, neoespressionisti dei decenni precedenti – cambia radicalmente ruolo e funzione dell’opera. Contempliamo quindi queste opere così coraggiose alle biennali, alle fiere, nei musei, ma queste opere sono og-

getti (se sono oggetti; ma anche se non lo sono) completamente diversi da quelli di venti, trenta o cinquant’anni fa: non diversi nell’apparenza, ma diversi nella struttura e nel tipo di relazione che decidono di stabilire con noi. Nel comportamento che adottano e nell’attitudine che possiedono. Eppure, un’alternativa (per quanto oggi marginale, liminale, magari perdente almeno per il momento…) esiste. Ed è il conflitto altro, minore, invisibile e sotterraneo, ma non per questo meno “struggente e devastante”, a cui fa riferimento Favelli: “Ma non è ugualmente struggente e devastante il fatto che un manufatto di ferro battuto con un raffinato disegno proveniente da una pratica di decoro secolare, sia usato tanto per abbellire quanto per separare e dividere e ribadire la proprietà private e i limiti – ingentiliti, ma invalicabili –, anche se siamo nell’Occidente che non è solo trionfante (…)? E non è ugualmente struggente e devastante che queste ringhiere, raccolte da chi le vorrebbe rivendere a estrosi architetti per ristrutturare casali e villini toscani e umbri shabby chic, siano usate per una perversa costruzione, un assemblaggio che le tiene insieme, come catasta arrugginita per mostrare un cippo-recinto, quasi monumento scassato, a ricordo ambiguo di oggetti belli e violenti al tempo stesso?”2

Note:

1 Flavio Favelli, Il peso del ferro, “Antinomie”, 17 maggio 2024 https://antinomie.it/index. php/2024/05/17/il-peso-del-ferro/ 2 Ibidem

EDITORIALI
78 87
Kiluanji Kia Henda, A Espiral do Medo , 2022. Installation view alla Biennale Arte di Venezia 2024, Arsenale. Photo Irene Fanizza

UNA PASSIONE DA MUSEO. IL CASO DELL'HZERO

DI FIRENZE

Le passioni, quelle belle, tutte interiori, proprie, emotive, e quanto queste oggi ci appaiono rare. Oggi assistiamo invece a tanti, probabilmente troppi, estremismi. Accanirsi verso un fatto, un fenomeno, a volte anche con violenza, non lo trovo un sano idealismo, non è una passione, bensì è una sopravvalutazione della verità, a discapito della realtà, per colmare un vuoto emotivo. I social – la piazza che tutti ormai accomuna, a prescindere dalle nostre ubicazioni fisiche – espongono a tanti accanimenti, per lo più violenti e aggressivi, offensivi verso tanti, sui temi più vari, mascherati da

Abbiamo bisogno invece di vedere passioni positive, belle, che ci illuminano di amore e di serenità.

Anche se funzionalmente inutili

idealismi verso valori venuti meno o ritenuti infangati. Con una frequenza spropositata rispetto all’importanza, persone e seguaci si schierano, dibattono, combattono per quella o quell’altra passione – a detta loro. Purtroppo, le passioni per cui vediamo si combatte sono invece delle ossessioni, negative, evidentemente disagi che sfociano in violenza verso il prossimo, innanzitutto verbale.

Abbiamo bisogno invece di vedere passioni positive, belle, che ci illuminano di amore e di serenità. Anche se funzionalmente inutili.

HZERO, il museo del treno in miniatura, appare come un virtuosismo, una passione verso la collezione, la ricostruzione, il perfezionismo artigianale.

È un museo aperto un anno fa a Firenze, dalla famiglia di Giuseppe di San Giuliano, appassionato modellista che per decenni ha lavorato a un plastico con un treno di qualità e di una cura eccezionali. Il museo che lo contiene è raffinato: con staff, servizi, programmi e un curatore autorevole. Tutto ha un confezionamento di pregio. Sebbene tratti un qualcosa di socialmente e artisticamente marginale – il plastico di un treno, con un valore formativo ed educativo secondario, almeno rispetto alle tante arti che abbiamo e a un contesto urbano, come Firenze, di importanza mondiale – è un’esperienza molto bella e toccante. L’insieme di questa operazione trasmette un amore così intenso, tanto è perfetta, che attrae in maniera magnetica. È curioso, e da qui anche il virtuosismo dell’operazione, notare che non c’è nessuna connessione con l’operatore ferroviario (né italiano né di altrove). Sembrerebbe il museo delle Ferrovie dello Stato e invece queste praticamente non sono mai citate. Come se questo plastico riproducesse un mondo ideale, perfetto, dove tutto gira con una cadenza immancabile, tutto è statico. Mi ricorda un’altra passione, quella di Nicola Bulgari per le auto americane degli Anni Cinquanta. Solo americane e solo Anni Cinquanta. Una collezione strepitosa, un investimento enorme (CAPEX e OPEX). Anche lì, seppur si tratti di un oggetto culturalmente e artisticamente marginale, è curato così bene e con così tanto amore che non può non piacere a chiunque e attrarre per il suo magnetismo. Allora in attesa che il signor Nicola faccia il suo museo in Italia (dopo quello in USA), speriamo che anche altri collezionisti abbiano voglia di condividere col mondo un loro amore, ne abbiamo tanto bisogno per dar meno peso agli estremismi e agli accanimenti.

Un dettaglio del modellino del Museo HZERO di Firenze. Photo Juri Ciani FABIO SEVERINO
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DI TORINO
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LE FAMIGLIE CON BAMBINI

SONO BENE ACCETTE NEI MUSEI?

I musei di arte contemporanea in Italia sono accessibili alle famiglie con bambini? Ci sono facilities per i bambini molto piccoli e programmi dedicati? Lo abbiamo chiesto ai direttori di 9 istituzioni in tutta Italia

CATERINA RIVA MACTE, TERMOLI

Il Museo di Arte Contemporanea di Termoli è un museo accessibile e si avvale di una Responsabile didattica. Dal 2019, anno di fondazione del museo, si è perfezionato il rapporto con le scuole di ogni ordine e grado del territorio in cui operiamo (Molise). Per ogni mostra al MACTE, vengono sviluppati e proposti dei progetti dedicati all’accessibilità culturale, l’inclusione sociale, attività per famiglie, visite guidate e laboratori per studenti, bambini con famiglie o altri gruppi specifici. Abbiamo svolto ben cento laboratori con scuole e famiglie nel corso della mostra dedicata al fumettista Jacovitti, e abbiamo accolto al museo bimbi dai 3 anni in su per varie attività. Siamo attente alle dinamiche di visita e nel percorso espositivo prepariamo sempre delle sedute, inoltre c’è un’area appartata per chi ne avesse necessità. Nel giardino del MACTE, i visitatori possono sostare sulla scultura permanente realizzata da poco dall’artista Salvatore Arancio.

LUCA LO PINTO MACRO, ROMA

Al MACRO il  Dipartimento per l’Educazione Preventiva è una parte non accessoria ma integrante del progetto  Museo per l’Immaginazione Preventiva e della sua programmazione. Le attività sono destinate a un pubblico trasversale, di tutte le età, ci è capitato anche di proporre delle visite guidate dagli 0 ai 99 anni…Tra gli appuntamenti fissi, ci sono quelli di  MACRO in famiglia, per adulti e bambini insieme: mentre gli adulti svolgono una visita guidata delle mostre in corso, i bambini partecipano a un laboratorio che si muove attraverso le sezioni del museo e la loro interdisciplinarità. Abbiamo creato anche dei progetti editoriali per l’infanzia disponibili gratuitamente che servono sia ad accompagnare la visita che a prepararla. Essendo poi il programma improntato anche sulla sperimentazione dei formati di una mostra, credo che una delle strade sia proprio quella di porsi dentro lo sguardo di un bambino. Per la collettiva  In Prima Persona Plurale i primi visitatori della mostra, ancora prima dell’opening, sono stati dei bambini, invitati a immergersi nello spazio e a creare dei disegni che sono diventati parte integrante della mostra stessa.

CHIARA BERTOLA GAM, TORINO

In Italia, i musei d’arte contemporanea stanno offrendo sempre più servizi per le famiglie e per l’accessibilità in generale, in linea con la nuova definizione di museo proclamata dall’ICOM nel 2022. La GAM di Torino è tra i primi musei italiani ad aver avviato esperienze educative dedicate alle scuole, alle famiglie e all’accessibilità per persone con esigenze specifiche. Il Dipartimento Educazione facilita un processo di apprendimento per tutti, mettendo a disposizione diversi strumenti, tra cui l’ingresso gratuito fino ai 18 anni e il Passaporto Culturale per le neomamme, che agevolano anche le visite in autonomia. Inoltre, propone percorsi per le famiglie con figli da 0 a 12 anni, fino ad attività di laboratorio per i giovani.

Tra le ultime sperimentazioni mi piace ricordare la collaborazione per i corsi pre e post parto con l’Ospedale Mauriziano e con il progetto Sostenere i legami si può, avviato con il nido Peter Pan. Non dimentichiamo che la GAM di Torino è stata riconosciuta come museo Family and Kids Friendly, un programma internazionale che promuove l’accessibilità e l’accoglienza delle famiglie nei musei.

BRUNO RACINE

PALAZZO GRASSI – PUNTA

DELLA DOGANA, VENEZIA

Palazzo Grassi rivolge una particolare attenzione al pubblico dei più piccoli e delle famiglie. Una delle iniziative a cui teniamo molto è la Guida Gioco: si tratta di un progetto curato ogni volta insieme a creativi diversi e che accompagna piccoli visitatori alla scoperta delle mostre. La guida è disponibile in italiano, inglese e francese e propone un approccio ludico che invita all’esplorazione e alla creatività in modo autonomo e divertente. Le Visite Guidate in Famiglia, invece, sono veri e propri percorsi guidati e interattivi seguiti da un’attività pratica da svolgere tutti insieme.  Ma non solo, ci sono anche i Superlab gratuiti che invitano bambini e adulti a sperimentare tecniche creative negli spazi museali: collage, fotomontaggio, editoria e movimento. Dal punto di vista dell’accessibilità, Palazzo Grassi da sempre si impegna per accogliere le diverse necessità del pubblico. Sono disponibili, per fare qualche esempio, un luogo dedicato al fasciatoio e rampe per passeggini e carrozzine. Infine, il biglietto del museo è gratuito fino ai 19 anni compiuti.

a cura di SANTA NASTRO

Sicuramente i musei di arte contemporanea sono tra le istituzioni che prestano maggiore attenzione al tema dell’accessibilità, questo dipende in parte dalla natura stessa delle opere che ospitano che è multisensoriale e installativa, cosa che le rende più facilmente mediabili a pubblici con bisogni specifici di accesso, anche alle famiglie con bambini. Il MAXXI è un museo con un alto livello di accessibilità, offrendo molte attività educative e di public engagement a persone diverse per età, interessi e bisogni. Per le famiglie, anche con bambini molto piccoli, ci sono aree di sosta e gioco (in mostra e sulla piazza), tutti i servizi di base e attività dedicate. La mostra Ambienti 1956-2010 Environments by Women Artists II è un esempio chiaro di cosa intendiamo con museo accessibile e partecipato: lo spazio è accogliente, si percorre scalzi, le opere sono esplorabili con tutti i sensi, la fruizione dei visitatori è guidata da un gioco di ruolo che suggerisce modalità inedite di esplorare le opere impersonando alcuni animali, tra i quali ognuno sceglie quello che maggiormente gli assomiglia. L’obiettivo è mettere tutte le persone a proprio agio, anche chi al museo di solito non viene, eliminando barriere che di solito non riconosciamo, anche grazie alla collaborazione di chi le affronta tutti i giorni.

STEFANO COLLICELLI CAGOL

CENTRO PECCI, PRATO

L’accessibilità permette ai musei italiani di accogliere settori della società a lungo marginalizzati, ripensare le procedure interne di funzionamento di un’istituzione e i suoi programmi. Il Centro Pecci fu il primo museo d’arte contemporanea in Italia a proporre attività per adulti e bambini insieme, grazie a Bruno Munari, consulente del dipartimento educativo. Dal mio arrivo, con lo stesso dipartimento oggi coordinato da Irene Innocente, abbiamo avviato il programma Arte e Benessere, che mira al benessere generato dall’incontro con l’arte. Nel 2023, grazie a PWC e in collaborazione con EDA Servizi è stato consolidato Primi Mille Giorni d’Arte, per donne incinte e per famiglie con bambini tra 0 e 3 anni, una fase centrale per lo sviluppo delle relazioni con l’alterità. Il Centro è dotato di comfort per le famiglie in visita e il PNRR per l’abbattimento barriere architettoniche, cognitive e sensoriali consentirà di trasformare l’istituzione e il suo linguaggio in un luogo per la convivenza delle differenze.

CHIARA GATTI MAN,

Da zero in su. Al MAN non ci sono limiti di età per i bambini che affollano le sale del museo durante i laboratori organizzati dal nostro servizio didattico, oppure liberamente con i loro genitori. Tutti invitati ad abitare il museo e allenare i sensi – vista, udito e tatto – avvicinandosi alle immagini, ascoltando percorsi sonori oppure intrecciando la lana e accarezzando gli arazzi della tradizione sarda, nell’ambito di attività dedicate alla storia del tessuto tradizionale, proposte soprattutto ai bimbi del nido e della scuola dell’infanzia. Abbiamo visto

bambini gattonare sui pavimenti optical di Marina Apollonio e altri danzare al ritmo delle musiche futuriste. Ora stiamo progettando un nuovo percorso esperienziale sonoro con una specialista di linguaggi espressivo-artistici, riservato all’inizio-vita, alle gestanti e alle neomamme. Il MAN offre anche uno spazio relax per l’allattamento e un servizio attrezzato con il fasciatoio. Siamo un museo kid-friendly.

LORENZO BALBI

MAMBO, BOLOGNA Il MAMbo di Bologna è un luogo aperto e accessibile. È privo di barriere architettoniche ed è a misura di famiglie con bambine e bambini. Al suo interno vi è uno spazio dedicato alle mamme con neonati, dove poter allattare e cambiare i più piccini, raggiungibile con scale e ascensore. In alcune sale, durante la visita della Collezione permanente, è possibile riposare in comode sedute. Il Dipartimento educativo del MAMbo propone nel museo e negli spazi laboratoriali numerose iniziative per i più piccoli: il ciclo di appuntamenti Il sabato dei nidi per bambine e bambini dai 2 ai 3 anni, le Letture al museo per un pubblico dai 4 ai 7 anni e le attività della Domenica al museo per la fascia d’età dai 6 agli 11 anni. Gli eventi For teens sono, invece, studiati per le/gli adolescenti. Per facilitare le visite libere al museo, nel fine settimana è presente nelle sale un servizio di mediazione che risponde alla necessità del pubblico di qualsiasi età di approfondire le conoscenze relative al patrimonio artistico custodito al MAMbo.

SERGIO RISALITI

Premesso che ogni attività o laboratorio rivolto ai bambini, ai ragazzi e alle famiglie è di fondamentale importanza e centralità nella vita del museo, sono convinto anche si debba sempre cercare di migliorare e innovare pratiche anche su questo fronte.  I bambini di oggi hanno infatti altre esigenze e filtri cognitivi e creativi diversi, fosse solo per la loro immersione in un universo dominato dai linguaggi virtuali e dalla multimedialità. Inoltre, sono cambiati moltissimo i percorsi e i programmi scolastici, che sono i principali alleati al Museo Novecento.  Durante la settimana proponiamo progetti di mediazione culturale ad hoc per i più piccoli, partendo dai nidi fino a coprire le classi della scuola primaria. Tengo ad evidenziare che apriamo il museo due ore prima il consueto orario di apertura per svolgere le attività con le scuole tra gli spazi espositivi e la nostra aula didattica.

Ogni mostra del Museo Novecento viene accompagnata da un progetto di mediazione studiato per coinvolgere scuole e famiglie: un importante progetto pilota sono i Compleanni al museo nel weekend, assieme alle numerose attività che stimolano la creatività dei bambini in visita.

Naturalmente, all’interno del museo ci sono i servizi necessari per agevolare la visita delle famiglie con bambini molto piccoli. Sempre per loro il Museo Novecento rinnova la sua adesione al progetto di Pollicino Verde, per i bambini dai 2 ai 3 anni, mantenendo l’ottica di costruire un museo accessibile e fruibile fin dalla più giovane età.

TALK SHOW a cura di SANTA NASTRO
MUSEO NOVECENTO, FIRENZE
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IL RISVEGLIO DELL'ARTE FIRST NATION, TRA RIVENDICAZIONE INDIGENA E SGUARDO OCCIDENTALE

era una volta lo spazio sacrale della galleria d’arte moderna. Qualche tempo fa, l’Università e il Museo Nazionale dell’Australia a Canberra hanno organizzato una mostra in collaborazione con i popoli dei territori di Martu, Anangu, Pitjantjatjara, Yankunytjatjara e Ngaanyatjarra, intitolata Songlines (le vie del canto). L’evento aveva l’intento di ricostruire il racconto degli Antenati che hanno viaggiato in tutta l’Australia nel tentativo di sfuggire a una figura lasciva (forse una sorta di metafora della colonizzazione): gli Anziani hanno chiesto aiuto ai curatori per ricomporre le vie che a detta di David Miller, un anziano Anangu, “sono tutte infrante, disgregate”. La rappresentazione all’interno della galleria ha permesso ai popoli aborigeni di raccontare la loro storia epica, recuperando e rimettendo insieme le tessere di una narrazione, e allo stesso tempo ai non aborigeni di comprendere qualcosa del profondo rapporto esistente tra le persone e i loro paesaggi (cultura e cosmologia) che connette popoli e luoghi attraverso lande deserte.

Tale unione d’intenti o incontro storico (che meriterebbe un riconoscimento) non poteva avvenire se non dopo un lungo processo di negoziazione e di re-immaginazione da parte di entrambe le culture, quella autoctona e quella occidentale. Forse non è un caso se in questo momento in varie parti del mondo c’è un risveglio di interesse per l’arte dei popoli indigeni, rivisitata e accolta all’interno dei luoghi e delle ritualità dell’arte contemporanea occidentale.

Le tensioni tra la società occidentale mainstream e le culture minoritarie e la loro volontà di mantenere una propria identità non sono certo scomparse. Anzi, gli artisti indigeni oggi, protagonisti globali, spesso muniti di PhD, sono diventati di fatto ambasciatori di una diversa modalità di vedere e sentire. E non solo; rivendicano diritti concreti quali la restituzione di territori e patrimoni culturali (heritage) sparsi nei musei nazionali, ma soprattutto affermano la loro indipendenza culturale e critica rifiutando il giudizio aprioristico di una cultura non indigena, ossia l’occhio alieno del colonizzatore.

In un contesto globale, parlare di “sovranità creativa indigena” significa adottare un punto di vista geopolitico specifico, di fronte al quale molte domande rimangono senza risposta: che cosa caratterizza oggi un artista indigeno? Tutti gli artisti indigeni a livello globale hanno le stesse preoccupazioni? E come definire quelle figure ibride che sembrano abbracciare non solo la cultura indigena, ma molti temi contemporanei tra cui le subculture pop o l’arte queer, come fa Jeffrey Gibson, l’artista scelto per rappresentare gli Stati Uniti nel padiglione nazionale alla Biennale di Venezia 2024?

Secondo David Garneau, canadese, artista indigeno, educatore e curatore, termini come Native, Aborigenal e Indigenous, sono definizioni in evoluzione. Indian è un termine coloniale utilizzato fino agli Anni Sessanta, sostituito un po’ alla volta da Aboriginal, poi da First Nation e da First Peoples Queste non sono solo differenze semantiche, ma costituiscono anche cambiamenti identitari.

L’arte Aboriginal, sebbene si riferisca soprattutto alla comunità natale dell’artista, viene prodotta anche per musei e contesti non indigeni. Ciò non

Jeffrey Gibson, The space in which to place me , Padiglione Stati Uniti d’America, 60.Biennale di Venezia. Photo Irene Fanizza

significa tuttavia che l’arte indigena contemporanea abbia senso solo per una comunità ristretta.

Ad esempio, Rebecca Belmore, First Nation (Anishinaabe) nata nel 1960, è una artista globale, tra le più interessanti della sua generazione, pluripremiata, presente alla Biennale di Venezia già nel 2005 come rappresentante ufficiale del Canada. Radicata nelle realtà politiche e sociali delle comunità indigene, Belmore mette in relazione i corpi, i territori e i linguaggi.

In un contesto globale, parlare di “sovranità creativa indigena” significa adottare un punto di vista geopolitico specifico, di fronte al quale molte domande rimangono senza risposta

Ciò che caratterizza la sua arte è senz’altro il punto di partenza identitario che riguarda soprattutto i luoghi, la natura, i mari. Ma per l’arte indigena i luoghi identitari costituiscono una poetica che si esprime attraverso il vissuto, la percezione degli elementi, l’esperienza diretta, mentre noi occidentali percepiamo la natura principalmente attraverso la rappresentazione del paesaggio, quasi sempre costruito, e spesso appartenente a qualcuno.

Tra le opere più suggestive di Rebecca sono Ayum-ee-aawach Oomama-mowan, ossia Speaking to Their Mother, performance concepita durante una residenza nel 1991 al Banff Centre, in Canada, che utilizza un grande megafono di legno che Belmore ha portato in molte comunità e riserve, rurali e urbane. “Volevo localizzare la voce aborigena sul territorio” afferma l’artista, “chiedere alle persone di rivolgersi direttamente alla terra. Un tentativo di considerare la protesta politica come un’azione poetica”. Wave Sound sculptures (2017), a Green Point nel Newfoundland sono paesaggi sonori dove attraverso un grande cono appoggiato sull’erba volto verso il mare siamo sollecitati a inginocchiarci ad ascoltare il fruscio del vento e l’incresparsi delle onde in fondo alla scogliera.

C'
ANNA DETHERIDGE

L'ANNO DI VASARI

FABRIZIO FEDERICI

Quest’anno si celebra Giorgio Vasari. Ogni anno, ogni istante lo si dovrebbe fare, visto il grande debito che abbiamo con lui, ma quest’anno c’è un motivo in più per farlo: cadono i 450 anni dalla sua morte e questo, nel Paese dove fioriscono quei carrozzoni noti come “comitati nazionali”, assume un’importanza particolare. Fulcro delle celebrazioni è Arezzo, città natale dell’artista, dove si tengono e terranno diverse iniziative e mostre, in particolare quella dal titolo Giorgio Vasari. Il teatro delle Virtù, curata da Cristina Acidini con la collaborazione di Alessandra Baroni, che aprirà i battenti a ottobre. Ma i luoghi dove apprezzare il talento colto e cortigiano di Vasari sono molteplici: da quelli cui viene più spontaneo pensare (Firenze, innanzitutto) a Roma, che conserva tracce importanti dei passaggi dell’aretino (dalla Sala dei Cento Giorni nel Palazzo della Cancelleria alla Cappella di San Pietro Martire nei Palazzi Vaticani, forse non adeguatamente valorizzata, sinora, nel percorso espositivo del complesso), a Napoli, con la fastosa sagrestia di Sant’Anna dei Lombardi. Oppure un angolo meno noto, perso nelle campagne tra Lombardia e Piemonte: il convento di Santa Croce a Bosco Marengo, voluto da papa Pio V, per la cui chiesa Vasari ideò una grandiosa macchina d’altare in forma di arco di trionfo della Controriforma,

Vasari si è da sempre attirato una gragnuola di critiche, talvolta giustificate, più spesso ingenerose

poi smantellata, ma di cui restano, in chiesa o nell’annesso museo, quasi tutti i pezzi. Un’iniezione di manierismo tosco-romano in piena Pianura Padana che, assieme ad altri episodi di notevole interesse, viene illustrata nella bella mostra Alessandria Preziosa, in corso fino al 6 ottobre nella cittadina piemontese, a Palazzo Monferrato. A Bosco Vasari, coadiuvato, certo, da una schiera di eccellenti collaboratori, si rivela grande pittore: egli non fu solo sommo architetto (gli Uffizi e il Corridoio, o la facciata del

Courtesy/ Mo(n)stre

Palazzo dei Cavalieri a Pisa, strappano l’ammirazione di tutti) e fondamentale biografo, cui si devono non solo un’infinità di notizie, ma l’impianto storiografico che ha sorretto per secoli la ricostruzione della storia dell’arte italiana. Pur con tutti questi meriti, Vasari si è da sempre attirato una gragnuola di critiche, talvolta giustificate, più spesso ingenerose: già a partire dal Seicento in molti lo attaccarono per la sua impostazione fiorentinocentrica e per il primato indiscusso da lui assegnato a Michelangelo. Le critiche serpeggiano ancora oggi: per i tanti errori inseriti nelle Vite (ma raccogliere e verificare le informazioni non era certo semplice, all’epoca), per i pareri spesso sferzanti che Vasari riserva all’arte medievale (però non la vede come un blocco indistinto e anzi esalta la “prima età” di Cimabue e Giotto come momento di avvio di quella grande riscossa che porta poi al Rinascimento maturo), per il giudizio riduttivo nei confronti della sublime tradizione pittorica veneta (è vero, Vasari non si lascia conquistare dagli storici ‘nemici’, però non mancano

grandi apprezzamenti e acute osservazioni in merito ad artisti quali Giorgione e Tiziano).

Ma insomma, le critiche ci stanno. Male, purché se ne parli, purché l’artista e biografo non scompaia dai radar nostri e delle generazioni più giovani. Desta molto maggiore sconcerto quello che è avvenuto a Firenze qualche mese fa: a metà febbraio l’auditorium degli Uffizi, che a Vasari era stato dedicato soltanto sei anni prima, è stato ri-dedicato dai direttori uscente e entrante Schmidt e Verde ad Antonio Paolucci, scomparso da pochi giorni. Paolucci è stato una figura importante della storia dell’arte e della tutela, ma forse si poteva ponderare un po’ meglio il modo di ricordarlo, senza nuocere alla memoria vasariana proprio nell’anno delle celebrazioni in onore dell’artista e all’interno del meraviglioso edificio che proprio il genio di Vasari ha ideato. Probabilmente nemmeno lo stesso Paolucci, autore di diversi contributi su messer Giorgio, avrebbe approvato questa decisione.

EDITORIALI
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DIO (NON) HA SALVATO LA REGINA

e a quanto pare non sta facendo molto nemmeno per il Re e la bella Principessa Kate. Del resto bisogna anche capirlo: chi si prenderebbe a cuore le sorti di una famiglia disfunzionale come questa, dove la defunta madre odiava la nuora al punto da ignorarne la morte (se non fosse stato per il popolo non avrebbe neanche messo la bandiera a mezz’asta al funerale), l’attuale Re fa “simpatiche” battute razziste sul nipote Archie (“quanto sarà nero?”), mentre sul fratello Andrea pende un’accusa di pedofilia.

Insomma, sono lontani i tempi in cui il nostro inossidabile Claudio Baglioni cantava Viva viva l’Inghilterra, e noi tutti ragazzi italiani sognavamo un giorno di andare a vivere a Soho. All’inizio piano piano, poi tutto d’un colpo, il mito della Gran Bretagna, fatto di cabine telefoniche rosse, copricapo della Guardia Reale di pelliccia di orso, taxi neri e club punk si è sbriciolato come cartongesso sotto un acquazzone.

Oltre che sul piano politico e civico, poi, noi siamo specialisti nell’autoflagellazione soprattutto in campo culturale e artistico

Prima c’è stato il boomerang della Brexit, poi l’avvento politico di gente come Liz Truss (la ricordate? Quella che il Nord Stream l’avevano fatto saltare i russi…), che, con i suoi neanche due mesi di governo, ha fatto impallidire i “governicchi” nostrani, e infine il trionfo di Rishi Sunak, miliardario multiculturale ma allergico agli immigrati al punto da proporne addirittura la deportazione in Ruanda! Diciamo che ce n’è abbastanza da vergognarsi? Una volta, gli italiani, per consolarsi dello svantaggio economico, rinfacciavano agli inglesi che un tempo, quando noi avevamo Lucrezio e Ovidio, loro giravano con l’anello al naso. Oggi, forse, ripensando a tempi assai più prossimi, come al fatto che, quando noi avevamo Beccaria e Leopardi, loro si davano al commercio di schiavi – alcune valutazioni storiche magari andrebbero riviste. Oltre che sul piano politico e ci-

vico, poi, noi siamo specialisti nell’autoflagellazione soprattutto in campo culturale e artistico, ritenendoci una periferia dell’Impero senza una vera originalità. Ma qui, davvero, l’errore di valutazione diventa palese e, per fortuna, per capirlo basta osservare meglio i nostri miti di sempre. Chi, frequentatore assiduo o sporadico bazzicante del mondo dell’arte, non si è mai genuflesso di fronte a uno scaffale colmo delle superbe monografie di Thames & Hudson?

Ecco, a proposito, un amico ha fatto notare che una delle ultime – Artist’s Film, scritta da David Curtis e con una prefazione nientemeno che di Steve McQueen – ignora completamente tutta la produzione di cinema d’artista italiano. La cosa di per sé sarebbe già piuttosto imbarazzante, se teniamo conto anche solo di figure di primo piano, da

Bruno Munari a Mario Schifano, da Fabio Mauri a Paolo Gioli e Francesco Vezzoli, tanto per citare nomi che in questo particolare campo espressivo hanno dato contributi fondamentali.

Ma Curtis fa di più: cita, sì, Verifica incerta (1964), il capolavoro di Gianfranco Baruchello e Alberto Grifi – solo che la grafia di entrambi i nomi (Barucello e Griffi) risulta errata! Ora, se pensiamo allo scrupolo che noi tutti in Italia mettiamo nel citare correttamente i nomi stranieri, per evitare di apparire “provinciali”, che cosa dobbiamo dire di fronte a questa sfrontata e supponente mancanza di rispetto culturale, proveniente da un popolo che fa dell’integrazione, del postcolonialismo e dell’inclusione la propria (ipocrita) bandiera?

Che forse anche Dio comincia ad averne piene le tasche.

...
Il ritratto di Re Carlo III realizzato da Jonathan Yeo. Courtesy Jonathan Yeo Studio MARCO SENALDI
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