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Gasletto di Monza, 2016 (ASMi, Fondo di Religione, cart. 1349

Arcimboldi e gli scultori nel ducato di Milano: il Custode dell’orto

Susanna Zanuso

Questa sorprendente scultura è entrata nell’orizzonte degli studi solo nel 1995 quando Gian Giacomo Della Torre Piccinelli, che ne era allora proprietario, pubblicava un articolo nel quale la attribuiva senza incertezze a Giuseppe Arcimboldi (1526-1593): allora conservata nella sua villa di Trescore Balneario, dove era giunta per via ereditaria, era accompagnata da una targa marmorea con una lunga iscrizione in latino, dall’autore trascritta e tradotta, nella quale il misterioso personaggio metteva in guardia l’osservatore di non scambiarlo per una immagine di Vertunno, la divinità antica che presiedeva alla mutazione delle stagioni e alla maturazione dei frutti, essendo egli un più domestico “custode dell’orto” preposto a sorvegliare e difendere i suoi prodotti . Della Torre raccontava poi la dettagliata storia della sua provenienza senza tuttavia indicare le fonti o i documenti ai quali aveva attinto: il Custode, secondo le notizie in suo possesso, sarebbe stato scolpito da Arcimboldi nel 1591-1592 per la villa suburbana di Martino de Leyva nei pressi di Crescenzago1 .

Di lì a poco, nel 1996, Giacomo Berra, impegnato a recuperare le invenzioni di Arcimboldi tra le fonti figurative della natura morta caravaggesca, la prendeva nuovamente in esame rifiutando il riferimento a Arcimboldi e considerando come dovesse trattarsi di un’opera più tarda, vicina per alcuni particolari tipologici (la figura intera, gli asparagi tra loro legati, le mani e i piedi che terminano con carote e radici…) ai dipinti con le Stagioni della Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia la cui attribuzione allora oscillava, secondo la bibliografia citata in nota dallo stesso Berra, tra un anonimo artista verso il 1592, un pittore veneto o il fiorentino Francesco Zucchi (1562-1622) che, secondo le fonti, a Roma dipingeva teste arcimboldesche nella bottega del Cavalier d’Arpino2. Sulle Stagioni bresciane erano però già intervenuti nel 1989 Mauro Natale e Alessandro Morandotti che, riconoscendovi lo stesso pittore delle due Stagioni conservate al Wadsworth Atheneum di Hartford

(inv. 1939.211/212), avevano riferito tutto il gruppo a “imitatore settecentesco di Arcimboldo”3. Partendo da tale indicazione, nel 2015 Angelo Dalerba aveva proposto di datare i dipinti di Brescia al 1695-1698 attribuendoli al poco noto Antonio Rasio, autore di una natura morta firmata e datata 1677 conservata nel Museo di Santa Giulia della stessa città4. Angelo Loda, infine, notava come, grazie ai recenti studi sul pittore Giovanni Stanchi (1608 - post 1673), anch’egli autore di figure composte di frutti e fiori, il revival arcimboldesco del tardo XVII secolo pare oggi connotarsi come un fenomeno prevalentemente romano, quindi anche la cultura figurativa del Rasio sarebbe, più che lombarda, quella dei pittori di natura morta attivi a Roma a fine secolo5 .

Prima considerate opere lombarde a cavallo tra Cinque e Seicento, poi (forse) romane della fine del Seicento, le Stagioni bresciane (e le analoghe di Hartford), hanno comunque continuato a essere indicate come il termine di confronto stilistico più appropriato per il Custode dell’orto anche nei più recenti interventi di Enrico De Pascale e di Roberto Cara, entrambi sostenitori della datazione della scultura alla seconda metà del XVII secolo. Se il primo ha chiarito i passaggi collezionistici del Custode dal 1834 in poi6, si deve a Roberto Cara l’averne intercettato la presenza verso il 1664 nel giardino della “villa da nobile” detta il Gasletto nei pressi di Monza, allora di proprietà di Antonio Aliprandi. Quest’ultimo, ereditata la villa nel 1611, aveva intrapreso vari lavori di rinnovamento a partire dal 1648 e sotto la direzione dell’architetto Girolamo Quadrio: tra i disegni relativi a tale ristrutturazione se ne conservano alcuni (forse del Quadrio stesso) con il progetto di una “prospettiva” da costruire nel giardino che prevedeva uno spiazzo ottagonale circondato da una tribuna lignea (una sorta di berceau) e da sei nicchie semicircolari. In un secondo disegno compare il particolare di una di queste nicchie al centro della quale è abbozzata una statua simile nella posa al Custode dell’orto privo però degli ortaggi che lo compongono; in un secondo schizzo è prospettata un’alternativa per la stessa nicchia, questa volta realizzata con rocce naturalistiche. È certo, tuttavia, che nel primo schizzo sia effettivamente raffigurata la nostra scultura arcimboldesca poiché essa è ben riconoscibile nella descrizione che ne fa Giuseppe Maria Campini, canonico del duomo di Monza, in visita al Gasletto

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