17 minute read

SUL FILO DELLA MEMORIA

Next Article
IN PRIMO PIANO

IN PRIMO PIANO

Le Ferrari T4 di Scheckter e Villeneuve al GP di Monte-Carlo 1979.

QUANDO SCHECKTER

Advertisement

GUIDAVA COME VERSTAPPEN

NULLA CAMBIA E TUTTO RITORNA: I RICORDI DEL CAMPIONE SUDAFRICANO.

Lasciò tutti a bocca aperta, Jody. Era un pivello sconosciuto e alla sua prima gara in F1, Watkins Glen 1972, cinquant’anni fa, difese a lungo il terzo posto dietro al campione del mondo Jackie Stewart su Tyrrell e al compagno di squadra Denis Hulme, su McLaren. Nei box molti si stropicciarono gli occhi fin dalle prove quando quel ragazzotto dai modi spicci e i capelli crespi si era qualificato all’esordio davanti a piloti del calibro di Andretti, Ickx, Hill, Amon, Fittipaldi, Hailwood, Pace, Beltoise. Un tornado. Ma chi era quel sudafricano che correva alla disperata superando i top drivers? Era Jody Scheckter, che alla seconda gara, GP del Sudafrica, casa sua, riusciva addirittura a restare qualche giro in testa. E la stessa cosa fece alla terza, al GP di Francia, quando prese subito il comando restandovi senza soggezioni fino a quando Emerson Fittipaldi cercò di infilarlo con una manovra azzardata, stile Verstappen-Hamilton per intenderci. E finì con un botto fragoroso. Ma il bello doveva ancora venire: al GP d’Inghilterra1973 perde il controllo della sua McLaren al secondo giro, s’intraversa e innesca uno delle carambole più spettacolari della storia della F1 coinvolgendo più di dieci monoposto. I piloti chiedono una punizione severa. E la Grand Prix Driver’s Association lo appieda fino al Gran Premio del Canada. Quando rientra, tutti sperano di trovarlo più tranquillo. Nemmeno per sogno. In un contatto ravvicinato colpisce la

di Danilo Castellarin

Tyrrell di François Cevert che scende dall’auto infuriato e lo aggredisce. Ma i talent-scout mettono gli occhi su di lui e gli eventi giocano a suo favore. Succede che in Usa Stewart annuncia il suo ritiro e Cevert perde la vita. Ken Tyrrell, che gli aveva proposto un contratto da secondo pilota accanto al francese, lo promuove sul campo prima guida per il 1974. È terzo nei campionati di F.1 del 1974 e 1976, secondo nel 1978 su Wolf. Nel 1979 passa al Cavallino e vince il titolo. Questa la sua filosofia, che ricorda molto quella del campione del mondo in carica Verstappen: «Quando corri è come se fossi in guerra e puoi davvero capire se ti puoi fidare del tuo compagno proprio in questa situazione limite». A Maranello Jody trovò un compagno leale, Gilles Villeneuve. Il canadese avrebbe potuto facilmente vincere il titolo. Ma rinunciò per un senso d’onore e diligenza verso la prima guida Scheckter, di qualche anno più anziana, convinto di poter essere ripagato dal tempo futuro. Aveva fatto così anche con Reutemann, nel 1978. Ma quando arrivò il suo momento, stagione 1982, Gilles trovò Didier Pironi che non gli riservò lo stesso trattamento. «Gilles guidava molto con il cambio», ricorda Scheckter, «e lo usava senza mai staccare il pedale dall’acceleratore, con brutalità. In questo modo non solo metteva a rischio la tenuta della macchina, ma consumava più benzina. E se c’era una gobba, cosa piuttosto frequente sulle piste di allora, lui non rallentava ma ci passava sopra in pieno per far decollare l’auto

Jody Scheckter con Ken Tyrrell che lo chiamò nella sua scuderia nel 1974 dopo la morte di Francois Cevert e il ritiro di Jackie Stewart alla fine del 1973

che poi atterrava con violenza, sbattendo sulla trasmissione. Sapeva che questo poteva costargli il ritiro, ma lui correva con un piacere viscerale. Per Gilles le mezze misure non esistevano. Quando riportava ai box la sua Ferrari, era rovente in ogni centimetro quadrato». Era così anche nei vostri viaggi Montecarlo-Modena? «Fra noi c’era un’ottima relazione. Vivevamo entrambi nel Principato di Monaco, le nostre famiglie si frequentavano, i figli giocavano insieme, viaggiavamo nella stessa auto per raggiungere Modena. Andavamo quasi sempre con la sua Ferrari 308 GTB. E ogni volta tentava di abbassare il record precedente. Quando arrivava a Maranello dava spettacolo, faceva slittare l’auto, la mandava di traverso, faceva fumare le gomme. Un giorno decisi di fare il viaggio con la mia Ferrari 400. Guidavo io, lui si annoiava. Così cominciò a farmi delle burle. Sulla costa ligure, aprì un giornale, lo sfogliò svogliatamente e all’improvviso urlò ‘Guarda Jody sei famoso, leggi cosa dicono di te’ e mi sbattè le grandi pagine aperte davanti agli occhi, giusto all’imbocco di una galleria. Era fatto così. Tenga conto che allora i limiti di velocità non c’erano e noi viaggiavamo a 220, 230». Ferrari apprezzò l’intesa che si era creata fra i suoi piloti ma non accettava le loro critiche. «Una sera, nel febbraio del 1979, stavo provando a Fiorano la T4», racconta Scheckter. «Non ero molto soddisfatto perché tutti mi avevano parlato di quel poderoso dodici cilindri ma io non trovavo tutti i cavalli di cui si favoleggiava. Verso le cinque arriva la Peugeot di Ferrari, che si avvicina e mi domanda come va. Io non parlavo bene l’italiano. Alzai la visiera del casco e gli dissi, scandendo bene le parole, ‘Motore no buono’. Lui comprese benissimo la critica. Guardò Forghieri, sbirciò i meccanici e senza nemmeno dare loro il tempo di replicare, mi disse ‘Il motore non è buono? Ma questo è un motore Ferrari nuovo di zecca, è il migliore motore del mondo’». E lei? «Restai senza parole e ricominciai a girare».

L’esordio di Jody in F1 su McLaren-Ford al GP Stati Uniti 1972.

Nel 1977 il sudafricano torna sulla cresta dell’onda sulla Wolf e a fine stagione sarà secondo solo a Niki Lauda.

Il 9 novembre 1976 Walter Wolf, Harvey Postlethwaite, Jody Scheckter e Peter Warr brindano alla nascita della nuova F.1 Wolf-Ford. Scheckter e Castellarin durante l’intervista. Atmosfera rilassata fra due grandi rivali, Lauda e Scheckter.

NOUS SOMMES TOUS PARISIENS!

60 ANNI FA ARRIVA L’AUTO CHE MEGLIO HA RAPPRESENTATO IL COSTUME AUTOMOBILISTICO FRANCESE. UN ESEMPIO? È NATA COME UTILITARIA PURA MA, GRAZIE A VERSIONI RICERCATE E SNOB COME LA “PARISIENNE” DEL 1963, HA POPOLATO PERFINO I PIÙ ELEGANTI E PRESTIGIOSI BOULEVARD PARIGINI.

di Luca Marconetti

Fra le vetture che Renault Classic ci ha permesso di guidare nell’evento organizzato per i giornalisti fra Parigi e Flins, la più interessante è sicuramente la I serie Parisienne del 1967. È una fine serie e monta quindi il 845 cm³ da 32 CV ed è in livrea Vert 939, tinta che, insieme al Bordeaux 721, sarà disponibile solo nel 1967, affianco al Noir Médicis 699 d’origine e al Bleu Marine 414 introdotto nel 1965. In Italia la Parisienne costa 815.000 lire, 140.000 più della 4 “base”, 65.000 più della 4L. Nello stesso periodo, una Citroën 2 CV AZ-M costa 820.000 lire e una AMI-6 25.000 lire in più; una NSU Prinz 4 785.000 lire, una Morris Mini 850 995.000 lire, una Fiat 600 D 690.100 lire e una 850 berlina, 800.000.

Per parlare di un’auto come la Renault 4 potremmo iniziare nel più classico dei modi, tipo: “Le auto che sono diventate dei miti non solo in ambito motoristico ma anche socio-culturale si contano sulle dita di una mano”, o “Pochissimi modelli sono stati prodotti per più di trent’anni” o ancora “Quale vettura può vantare più di 8.100.000 esemplari prodotti?” Ma non lo facciamo. Piuttosto, lasciateci dire che la “Quattrelle”, come la chiamano i francesi - e quando lo fanno sorridono affettuosamente come se parlassero di una di famiglia - è la Francia, è una placida bruma mattutina nella campagna bretone, è la luce gialla che illumina i vecchi edifici di pietra e le vetrine di Place du Tertre a Parigi in autunno, è un ombrellone colorato sulla chiassosa spiaggia di Saint Tropez ad agosto. Non ce ne vogliano gli amici di Citroën, ma l’aria un po’ svampita di chi non si prende mai sul serio, l’immagine genuina che tutti lasciano benevolmente entrare nelle proprie case e anche lo spirito da partner infaticabile e ideale per i lavoratori della feconda campagna francese, li incarna solo la 4L. Oggi, a 60 anni dalla sua presentazione (avvenne ça va sans dire, al Salone di Parigi del 1961), quell’atmosfera l’abbiamo rivissuta grazie a Renault Classic, che ci ha invitati a Flins-sur-Seine, quartier generale della Losanga, a guidare tantissimi esemplari provenienti dalla sua Collezione, attraverso i quali ripercorriamo la storia di questa vettura originalissima, pragmatica e inarrestabile, in un’unica parola, straordinaria.

I PRODROMI

Il 27 marzo del 1955 Pierre Dreyfus viene nominato CEO di Renault, appena statalizzata. Dreyfus è determinato a sostituire la 4 CV, l’auto della ripresa postbellica, in maniera rivoluzionaria. I suoi dettami sono infatti: una vettura solida e polivalente, in grado di essere usata in egual maniera per il lavoro e il tempo libero, guidabile da individui di ogni età, uomini o donne; dovrà avere un motore già collaudato, da derivarsi quindi da quello della 4 CV; l’equipaggiamento dovrà essere essenziale; i sedili posteriori dovranno essere amovibili per permettere un piano di carico ampio e ben accessibile grazie a una soglia il più bassa possibile e tramite un portellone; infine - e qui sta la vera rivoluzione - l’auto dovrà avere un volume unico e pavimento piatto (ecco perché la 4L è considerata la prima monovolume di fatto) e, per permettere ciò, la trazione è anteriore, come sul furgone Estafette ma per la prima volta su una vettura. Il “Progetto 112” prende il via nel 1956 e sarà completato nell’estate del 1961, quando il layout meccanico definitivo rispetta tutte le richieste di Dreyfus: propulsore anteriore longitudinale e cambio a tre marce (1^ non sincronizzata e rapporti molto corti, per favorire la marcia a pieno carico) + RM a sbalzo sull’avantreno, con rinvio che sormonta il vano e si infila diretto nell’abitacolo; telaio a piattaforma in pannelli scatolati con carrozzeria in lamiera d’acciaio;

La CGA Dogcart.

La presentazione della 4L al Salone di Parigi dell’autunno 1961. Per mettere “a nudo” l’architettura, l’auto è sezionata a piani: meccanica e assi (dove possiamo notare il motore longitudinale, la trazione anteriore e le sospensioni a bracci di torsione), telaio (a piattaforma) i sedili e la carrozzeria. La 4L al lancio si caratterizza subito per il terzo finestrino laterale, le modanature cromate su parabrezza, fiancata e sottoporta, così come cromati sono i paraurti (coi piccoli rostri gommati), la mascherina, le ghiere fari e le borchie alle ruote. Al lancio in Italia costa 725.000 lire, 75.000 più della 4 “base”. È l’auto francese più economica sul mercato. Nell’immagine un esemplare Rouge Esterel. Il punto forte dell’abitacolo della R4 è la modularità: il tetto alto garantisce luce e abitabilità, il portellone accessibilità e gli essenziali sedili tubolari, facilmente amovibili, spazio per caricare di tutto.

La 4L Super Haute-Couture della collezione Renault Classic: fa parte dell’iniziativa “Elle prend le volant“ – che avrebbe dato il via anche alla Parisienne – ma si riconosce per le finiture in tartan. La Super, presentata a marzo ’62, è una versione ancora più curata della 4L: paraurti a doppio tubo, ruote color acciaio satinato, portellone apribile in due parti, con lunotto discendente e terzo finestrino apribile a compasso. Non ebbe grande successo.

sospensioni a lunghe barre di torsione (longitudinali con trapezi oscillanti all’avantreno, trasversali con bracci oscillanti al retrotreno), che costringono a disallineare l’asse posteriore, con il passo di sinistra 5 cm più corto dell’altro; motore 4 cilindri in linea a valvole in testa raffreddato ad acqua con impianto sigillato che regge fino a -40°, con albero a camme laterale comandato da ingranaggi, cubatura di 747 cm³, un carburatore invertito Solex IDS, erogante 26,5 CV a 4500 giri/min; impianto elettrico a 6 Volt; freni a tamburo; peso in ordine di marcia di appena 600 kg. Così equipaggiata la nuova vettura ha manutenzione e spese di gestione pressoché azzerate: non è necessario alcun ingrassaggio né l’aggiunta di lubrificante.

“QUATRELLE” (1961-1967)

Dopo l’anteprima stampa in Camargue nell’agosto del 1961, la R4 fa il suo esordio in ottobre al Salone di Parigi, dove la sua linea lascia tutti sbigottiti: a differenza della 4 CV sovrabbondante di volumi e linee che replicano in miniatura un’auto americana, la nuova compatta è atta a essere funzionale, polivalente e fruibile, prima che bella. Le ruote sono ai quattro angoli, i vetri piatti, ampi parafanghi leggermente prominenti alle estremità a incorniciare un frontale spiovente, con tutto lì dove ce lo si aspetta: una mascherina per raffreddare il motore e quattro proiettori. La fiancata è dominata dal tetto insolitamente alto, per la categoria, dalle quattro porte e soprattutto dal disegno a due volumi, a differenza di qualsiasi sua deputata concorrente. Il motivo è la presenza dell’ampio portellone posteriore incernierato in alto sotto il gocciolatoio e dotato di ampio lunotto. Poca concessione al lusso: due elementi tubolari per paraurti, ruote da 13” (con pneumatici 145) a tre bulloni, vetri anteriori scorrevoli, climatizzazione dell’abitacolo garantita da una presa d’aria sotto il parabrezza. All’interno due panchette sdoppiate con strutture tubolari rivestite di tessuto imbottito, volante a due razze e il caratteristico comando del cambio “a manico d’ombrello” a centro plancia, espediente utilizzato per evitare snodi nel vano motore e per liberare lo spazio a terra per le ginocchia degli occupanti. Per lo standard di vettura, risulta abbastanza curata la plancia: è presente un rivestimento superiore antiriflesso in plastica nera, a metà del parafiamma sono collocate due mensole portadocumenti e il riscaldamento è di serie.

La Renault 4 (come i CV fiscali, gli stessi della precedente 4 CV) è subito disponibile, in Francia, in due allestimenti; “base”, solo grigio oliva, caratterizzata dalle due luci laterali e dall’assenza di cromature e borchie ruota, oltre che dei pannelli interni alle portiere, posacenere, plafoniera, elettroventilatore, lavavetro e aletta parasole per il passeggero, e “4L” disponibile nei colori grigio oliva, grigio Piramidi, beige Scirocco, rosso Esterel e Bleu Ile de France, dotata di tre luci laterali, con borchie ruota, guarnizione del parabrezza, brancardi e molura sul “rigonfiamento” della fiancata cromati, così come i paraurti con rostri, la mascherina anteriore e le cornici fari. Il mercato, che accoglierà in maniera piuttosto tiepida l’auto, si rivolgerà quasi esclusivamente alla 4L (dove la L sta sia per “Luxe” che per “Limousine”, considerato l’abitacolo reso più luminoso dal terzo vetro laterale), tanto che in Francia rimarrà la denominazione più popolare del modello, ancora oggi. Ancora più ricca la versione Export dotata di terzo finestrino apribile a compasso e altre migliorie, come quella per l’Italia, dove la R4 viene pure costruita su licenza, dal ’63 al ’65, al Portello e presso gli stabilimenti Alfa Romeo di Pomigliano d’Arco (dai quali nascerà poi l’Alfasud). Nel marzo ’62 ecco la “Super Confort” (poi solo Super): il portellone è sdoppiato in un lunotto scorrevole nel pannello o apribile verso l’alto e ribaltina inferiore ripiegabile verso il basso, i paraurti sono a doppio elemento tubolare, il terzo finestrino è apribile a compasso. La R4 sarà sottoposta a costanti miglioramenti durante la sua carriera: nell’ottobre 1962, insieme ai nuovi paraurti a lama e 3 CV in più per il 747 cm³, è disponibile anche il motore della Dauphine da 845 cm³ (carburatore Zenith 28 IFE, 32 CV); nell’autunno 1963 la 1^ marcia sincronizzata, i vetri posteriori scorrevoli, il divano ripiegabile e i sedili più imbottiti mentre la Super viene sostituita dalla L Super (niente più portellone diviso ma due sedili anteriori separati); nel ’64 arrivano i rostri in gomma e la L Super lascia il posto alla L Export; a luglio 1966 una nuova plancia in plastica chiara, con i leziosi volante e pomello cambio color “tartaruga”, i sedili con impunture longitudinali e i caratteristici pannelli porta a rettangoli sfalsati.

La 4L Parisienne, in primo piano (già con i paraurti a lama introdotti nel ’63), si riconosce per il motivo “paglia di Vienna” e la Super (riconoscibile per i paraurti tubolari doppi) Haute-Couture, con motivo tartan.

Il motivo “paglia di vienna”, come abbiamo visto nella foto precedente, nei primi esemplari si estende a tutta la fiancata, poi sarà limitato alla sola parte bassa e a quella davanti alla maniglia della portiera anteriore.

La R3 è del tutto identica alla R4 base del lancio: due soli finestrini, niente cromature, né borchie ruota, né rostri, mentre l’unico colore disponibile è il Gris Olivier (grigio oliva). La denominazione è data dal motore ridotto, di 603 cm³ da 22,5 CV. Si riconosce unicamente per il grande “3” sul portellone.

R3, IL MASSIMO DEL MINIMO

La R4 verrà presentata anche in una versione meno potente e ancora più economica della già francescana “base”: la R3. Come suggerisce il numero (dei cavalli fiscali in Francia), il motore, simile nell’architettura a quello di 0,75 litri, è più piccolo, di 603 cm³ per appena 22,5 CV. Esteticamente e internamente è identica alla R4 (disponibile solo in tinta grigio oliva, niente cromature, due soli finestrini, ruote senza borchia, volante a tre razze). Il riscaldamento è comunque di serie e, a richiesta, è ottenibile l’ampio tetto in tela apribile. Non avrà successo: uscirà di listino a settembre ’62 dopo appena 2526 esemplari.

“ELLE PREND LE VOLANT”: IL LANCIO DELLA “PARISIENNE” (1963-1968)

Una delle versioni simbolo della poliedricità e anche dell’anima più snob della 4L è sicuramente la “Parisienne”, oggi la più ricercata e pagata dai collezionisti. Un “mito nel mito” che nasce da un’operazione di marketing piuttosto singolare: a marzo 1963 Renault, per allargare e diversificare la clientela della 4, chiede la collaborazione del celebre mensile femminile “Elle”, così da coinvolgere le sue lettrici perché provino la vettura per due giorni e dicano la loro, elargendo consigli e suggerimenti su come ottimizzarne la meccanica e abbellirne l’immagine rendendola, soprattutto, più cittadina, considerato l’ormai assodato ruolo di instancabile lavoratrice nelle campagne. Il primo risultato dell’iniziativa “Elle prend le volant” (“Lei prende il volante”, che fa seguito all’iniziativa di prova su strada per tutti del 1961 “Prenez le volant” ) nasce sulla base della ricca Super da 845 cm³: la “Haute Couture”. Il riferimento all’alta moda e agli ambienti più chic di una Parigi capitale mondiale dell’eleganza e della bellezza, è ben visibile nell’allestimento, caratterizzato dalla tinta nera decorata con un motivo che replica un elegante tessuto tartan rosso scuro e da filetti di ugual colore, mentre le ruote hanno ora la borchia. All’interno, rivestimenti in vinile rosso. Alla Haute Couture si affianca poi una versione che avrà maggior successo, la “Parisienne”. La base è la 4L 845, nera, ornata da inserti gialli che replicano l’originale motivo “Paglia di Vienna” (texture di fibre legnose elastica e resistente molto utilizzata nell’arredamento di lusso a partire da fine ‘800), sull’intera fiancata (a eccezione del parafango anteriore), portellone e presa d’aria abitacolo sotto il parabrezza. L’impatto sul pubblico, soprattutto quello femminile, è notevolissimo: ecco che, dalla R4 si potrà finalmente vedere scendere un contadino della Champagne e, con nonchalance, salire una giovane ragazza parigina vestita all’ultima moda. Fino a metà luglio 1963 saranno 6000 le guidatrici selezionate da Elle in 90 città francesi, mentre, dopo aver pubblicato i risultati dell’inchiesta al Salone di Parigi in novembre, a dicembre 1963 l’auto entrerà regolarmente a listino. La Parisienne sarà poi disponibile anche in tinte base Bleu Marin, bordeaux e verde e seguirà tutte le evoluzioni della normale 4L, rimanendo in listino fino alla primavera del 1968.

Sopra, Essendo un esemplare di fine serie, la Parisienne Vert 939 ha la plancia introdotta sulla I serie nel luglio del 1966, caratterizzata da un elemento scatolato in plastica marrone e da volante e pomello del cambio rifiniti in “color tartaruga”. Nel 1963 la Super esce di scena sostituita dalla 4L Super, in pratica la versione Export, senza portellone sdoppiata ma caratterizzata dal terzo finestrino apribile a compasso. La Parisienne sarà sempre sviluppata sulla base della 4L normale.

This article is from: