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femminile di Bianca Maria Mettifogo

Shiva Amini, da Teheran a Chiavari alla ricerca di un futuro

“Mi manca la vita che avevo costruito in Iran”

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Sono Shiva, ho 30 anni e vivo a Chiavaviaggiavo molto anche da sola, la mia ri. In Iran ho lasciato la mia famiglia, gli famiglia non mi impartiva divieti. amici, il mio cane. In Iran ho lasciato la Era il 2017, a marzo avevo due settimavita che mi ero costruita faticosamente. ne di vacanze, per noi era Capodanno: Perché essere donne, in Iran, è faticoso. andai a Zurigo, da amici. Ma anche là Lo dice anche Masih Alinejad, giornalinon potevo resistere lontana dai camsta, attivista, che vive in esilio tra Londra pi da calcio. Giocai con degli amici, in e New York: “Essere donna in Iran è una pantaloncini corti e senza velo. Ero febattaglia continua. Devi lottare ogni lice, pensai di celebrare quel momento giorno per affermare diritti basilari”. e di postare una foto su Instagram: il È da un po' che non racconto la mia mio profilo era privato, pochi amici, la storia, la gente a volte non ascolta, famiglia. Come ero solita fare durante scrive cose diverse da quelle che dico, le vacanze, spegnevo il telefono per preferisco non espormi se questo è il riaccenderlo ogni tanto: dopo 3 giorrischio. Oggi però ho deciso di condivini trovai un lungo elenco di chiamate dere un pezzo della mia vita, di dare un senza risposta e tantissimi messaggi. messaggio di speranza e di forza. Temevo per la salute di papà. Non poIn Iran giocavo a calcio: per 12 anni ho tevo immaginare che quel momento militato in Super League, la Serie A. avrebbe rappresentato il conto da paNon è stata una scelta facile. Le bambigare per essere una donna iraniana, la ne non dovrebbero giocare a calcio ma svolta del mio destino. io avevo la passione, una passione così Mi avevano cercato le compagne di forte che mi ha portata ad andare avancalcio, la federazione, oltre alla mia fati, a lottare per poter continuare nel mio miglia: avevo giocato con una squadra sogno. I miei genitori non mi hanno mai che era ritenuta contraria al regime. obbligata a fare scelte diverse, mi hanEro scesa in campo senza velo, in panno sempre aiutata ad essere me stessa, taloncini e con degli uomini. ad inseguire le mie aspirazioni, i miei La mia famiglia fu interrogata, anche desideri. Sono entrata nella Nazionale il governo prese posizione sulla mia di Calcio a 5; mi sarebbe piaciuto far “situazione”: non ero più una persona parte della Nazionale a 11 ma la Federagradita in Iran. zione aveva scelto per me. Ricordo con Intanto iniziai a stare male: ebbi una piacere quel periodo: abbiamo giocato crisi respiratoria. Fui ricoverata a Zurigo. Pensavo al mio “Cosa significa essere donna in Iran? Vuol dire vivere l’inferno” Paese: negli ultimi dieci anni avevo costruito la mia attività, la mia vita. Avevo la mia famiglia, il il Mondiale, siamo state in Ucraina, in mio fidanzato ed il mio cane Berandi. Giordania, in Vietnam. A Zurigo non conoscevo la lingua, ero Giocavamo con il velo, a volte faceva disorientata. Molti Paesi si mobilitadavvero caldo ma la gioia di calcare un rono per me. Iniziavo intanto a stare campo da calcio era immensa ed anmeglio, fui dimessa dall’ospedale, imdava oltre ogni difficoltà ed ogni tentaparai il tedesco… che fatica! tivo di dissuasione: ripenso a quando Al mio fianco avevo un “angelo”: un il Kuwait ci invitò a giocare, facendoci avvocato, allenatore di calcio, che mi una buona proposta economica, ma la aiutava in tutto, portandomi ad allenaFederazione Iraniana ci vietò questa re, dopo un lungo recupero fisico, una possibilità. Ma noi andavamo avanti. Io squadra di bambini.

Entrai ufficialmente nella black list del governo iraniano, insieme ad altri 10.000.000 – diecimilioni – di iraniani: politici, cantanti, sportivi, intellettuali… Il governo svizzero non sapeva cosa fare: il visto sportivo non bastava più, era arrivato il momento di chiedere asilo politico. Ma non volevo. Era come ammettere che non sarei rientrata nel mio Paese, tra i miei affetti. Lasciai il mio fidanzato: una decisione comune, in fondo cosa potevo offrirgli, quando ci saremmo potuti rivedere? Non sapevo nemmeno cosa ne sarebbe stato di me. Ma per la richiesta di asilo mi mandarono in Italia, dopo aver cercato di ricostruire una “nuova me” in Svizzera. Ricordo il calore degli amici, la mobilitazione di tutte le persone care che avevo conosciuto per farmi restare, ma non si poteva fare diversamente. Grazie ad una conoscenza arrivai a Genova, da una famiglia americana. Ricordo il giorno in cui andai in questura per la richiesta di asilo: ero in fila, in mezzo a molti altri immigrati, percepivo che non sarebbe stato semplice e che non c’era la volontà di accettarci. Arrivò il mio turno: non parlavano inglese e nemmeno tedesco, io non conoscevo l’italiano. Poi un poliziotto mi portò da una signora che conosceva l’inglese ed iniziò la mia avventura italiana. Trascorsi due mesi in un campo per immigrati a Genova: se ci penso ora mi viene la pelle d’oca. Cercavo solo di so

pravvivere, era una lotta di resistenza. Al mattino uscivo alle 6 per andare a correre in spiaggia, per respirare, per allontanarmi da quel posto. Nel frattempo la mia storia iniziava a girare, la gente imparava a conoscermi. La Prefettura mi trasferì a Chiavari: da qui la mia nuova vita. Le suore mi ospitarono per tre mesi e poi trovai sistemazione con un’altra ragazza. Molti furono gli incontri importanti, conobbi amici che mi aiutarono anche a riprendere gli allenamenti, a tornare ad essere una sportiva. Con la mia serenità, le mie sicurezze, i miei sogni, se ne era andata anche la mia salute, ero davvero a pezzi. Ero distrutta fisicamente e psicologicamente. Ci ho messo un po' ma mi sono ricostruita, piano piano. Con l’affetto ed il sostegno delle tante meravigliose persone che ho incontrato a Chiavari, che è diventata casa mia. Ora non posso allontanarmi un giorno che già sento la mancanza di questo posto, che mi ha accolta e che mi accompagna nel mio nuovo percorso. In tutto questo periodo tra i miei desideri c’era sempre il prato verde, volevo tornare a giocare. Iniziai ad allenarmi con il Genova Women ma non potevo giocare: la Federazione Iraniana non concesse il nulla osta. Così poi mi allenai con una

squadra maschile, il Riese. Non potevo allontanarmi troppo dal campo da gioco, così ebbi l’idea di fare il corso per arbitri ma anche arbitrare era una sofferenza per me. Io volevo giocare! Approdai all’Entella, dove sono oggi. Allenai i pulcini, poi i ragazzi del 2009 ed ora quelli del 2012. Intanto seguo il corso UEFA C. Mi piace molto stare con i bambini, quello che faccio mi dà gioia e grande soddisfazione. Ma il mio sogno resta sempre giocare. Da oltre tre anni non vedo la mia famiglia, i miei amici. Sembrerà assurdo ma mi manca terribilmente il mio cane. Mio fratello lavorava per il Comune e, dopo quello che è successo, è stato licenziato. Stessa sorte per mia sorella: allenava una squadra di calcio ma è stata allontanata. Sento la colpa di tutto questo, è pesante. Cosa significa essere donna in Iran? Vuol dire vivere l’inferno. Una donna non può andare in bici, non può andare in moto, non può andare allo stadio ma può guidare, sempre con il velo perché, se ti cade il velo, rischi una multa. Una donna non può fumare e non può bere fuori casa, ma questo è naturale. Uomini e donne frequentano classi separate a scuola, anche in piscina ci sono zone riservate. So quanto sia importante la mia storia per dare un messaggio di speranza,

so che potrei fare molto per aiutare le donne del mio Paese ma il prezzo da pagare per portare avanti con libertà le proprie idee è troppo alto, soprattutto se la tua famiglia è ancora là. Sono tantissime le donne che combattono ogni giorno, che protestano, rischiando la propria vita: oltre il 40% di loro è in carcere. Uscire dall’Iran per cercare un’alternativa, per cercare una vita diversa è molto complicato. Invece è molto semplice uccidere una donna perché ha commesso qualche “reato”. Oggi è un reato anche che una ragazza esca con un ragazzo e sono in aumento i casi di padri che uccidono le figlie per questo motivo. All’interno della famiglia le bambine e le ragazze non hanno sempre lo stesso trattamento, ogni situazione è diversa. Dipende dalla zona in cui nasci, dal contesto ambientale e culturale dei tuoi genitori, dal loro modo di pensare e di considerare il futuro. Io sono stata molto fortunata: la mia famiglia è sempre stata molto aperta, ho ricevuto una educazione che mi ha permesso una discreta libertà, mi hanno lasciato tutti i miei spazi. Qui in Italia sto bene, ho voglia di crescere, di imparare, di studiare, di andare all’Università ma alla mia vita, ora, mancano le radici.

Bianchi, ex terzino di Parma, Milan e Torino

La storia di Walter, campione di coraggio

Era nato tutto per caso, su Facebook. Cercando ex calciatori, ci imbattiamo in Walter Bianchi, l’ex terzino di Parma e Milan, che Arrigo Sacchi preferì inizialmente a Paolo Maldini, a sinistra, in rossonero. Navigando fra ex crociati, la mente torna alle lunghe leve di Bianchi, che aveva parecchio di Paolo De Ceglie, esterno sinistro del Parma di Roberto Donadoni. Nato in Svizzera, Bianchi è fra gli spariti dai radar dei tifosi, al contrario per esempio di Roberto Mussi, sul palco di Trento, al festival della Gazzetta dello Sport, nel Milan degli invincibili. Qualche anno fa, dunque, Walter ci rispose tramite Facebook, facendoci sapere di non essere in grandi condizioni economiche, a noi venne in mente Dante Bertoneri, la meteora ex granata che si ritirò a 26 anni, nell’89, senza più rientrare nel mondo del pallone, escluso alcuni mesi al Monsummano, in Toscana, in una società gemellata con il Toro, nel 2018. Dante chiede aiuto a tutti, ma Walter? Ecco, Walter è diverso, Walter è silenzioso, Walter risponde al nostro saluto preoccupato, tramite whatsapp, e purtroppo la nostra preoccupazione è giustificata. L’avevamo lasciato alcuni anni fa, appunto, rispose in chat di non navigare nell’oro, però era troppo dignitoso per chiedere aiuto. A marzo, allora, tentiamo la videochiamata a sorpresa, per raccontare la sua storia dall’inizio, Bianchi non risponde, cattivo segnale. Magari non sa alzare la cornetta del cellulare tramite whatsapp, magari non ama i video, poi scrive, in lungo, accorato. “Scusa se non ti ho richiamato. Ero e sono impegnato con un problema fisico (tanto per cambiare) e tra chemio, interventi chirurgici controlli e analisi sono poco presentabile, ecco il motivo per cui non rispondo volentieri alle videochiamate”. Già lì ci prende un groppo allo stomaco e poi in gola. Walter è un ’63, era un eroe dello stadio Tardini, metà anni ’80, appunto, Mussi e Bianchi sulle fasce, Apolloni e Minotti al centro. Poi ci ripercorrerà lui in persona la sua storia, colpisce che sia ammalato e che in pochi lo sappiano. “Attualmente, sebbene abbia risposto con coraggio e il solito spirito combattivo all’ennesimo contrattempo, non sono molto propenso a mostrarmi e ad espormi, prima che... sia dichiarato definitivamente fuori pericolo”. “Tutto è iniziato a gennaio-febbraio 2019, dopo aver eseguito la chemioterapia preoperatoria, a giugno 2019 ho effettuato intervento chirurgico allo stomaco per rimuovere un adenocarcinoma. Ripeto la chemio, post-operaroria, e per almeno altri 4 anni sarò sempre sotto controllo e un soggetto a rischio. Sono disponibile per ogni intervista ma non visivamente (oppure per ricevere o fare interviste a tv o videovisive). Ti ringrazio e ti abbraccio, Walter”. Fin qui il primo messaggio di Walter. A noi viene in mente Alberto Rivolta, una presenza nell’Inter e un lungo calvario, fortunatamente Bianchi sta meglio. L’idea sarebbe stata proprio di andarlo a trovare a casa, neanche vogliamo sapere dove sia quel ragazzo d’oro, elegante. “Ok. Ti ringrazio per la tua delicatezza, perdonami e scusami tu. Comunque sempre a disposizione, Walter”. Walter scrive, è in bilico fra la ricerca della tranquillità, la voglia di privacy e la gentilezza di rispondere, di rievocare. Ci anticipa lui, neanche chiediamo. Volevamo una celebrazione della figurina, rievocare, magari in voce, inquadrando le maglie, con il telefonino, Bianchi invece scrive, tramite whatsapp. “In maniera obiettiva e sintetica, cerco di riassumere la mia situazione e posizione. Dopo aver concluso una breve carriera calcistica terminata a 30 anni con una buona dose di successi: ‘80-‘81, scudetto Primavera con il Cesena; ‘85-‘86 vittoria del campionato di Serie C con il Parma; ‘87-‘88 vittoria del campionato italiano di Serie A con il Milan; ’88-‘89 vittoria Coppa Campioni e Supercoppa Italiana con il Milan; ’89-‘90 vittoria campionato di Serie B con il Torino; ’90-‘91 vittoria del campionato di Serie B con il Verona!!”. Ogni tanto lasciamo proprio la sua punteggiatura, il suo stile, il doppio esclamativo sarà probabilmente per la carriera, per i tanti successi, di quelle lunghe leve mancine. “Considerando buoni piazzamenti e prestazioni nei campionati di Rimini Parma e Cosenza, la mia breve carriera è anche costellata da una serie di infortuni ed incidenti che hanno superato i vari successi sopra elencati in 12 anni di calcio professionistico: le mie ginocchia, braccia, zigomo, tendini adduttori sino stati ricostruiti o rimodellati da operazioni chirurgiche”. Ogni tanto serve una presa di fiato, per capire il dramma sportivo. “Oltre ad un coma farmacologico in seguito all'incidente subìto a Verona”. Sì, forse, adesso ricordiamo, qualcosa del genere, sono passati 30 anni. “In totale nei 12 anni di attività professionistica sono stato operato una decina di volte!”. Insomma Walter ne ha passate tante e forse anche per quello non aveva soldi da buttare. “Per quanto riguardo la mia situazione economica non sono messo così male, ho fatto sempre una vita normale e mai sopra le righe e vivo di pensione. La gente comune però ha sempre considerato la mia persona ricca o straricca perché venivo da un mondo fatto di super contratti che io in realtà non ho mai potuto beneficiare perché venivo sempre ingaggiato dopo un recupero fisico o da infortuni che condizionavano anche coloro che si avvalevano delle mie prestazioni.

Quindi, dopo avere smesso, ho sempre vissuto una vita normale e avuto qualche problema poco prima di raggiungere l'età della pensione. Che grazie a una variazione di legge "fu spostata" di circa 18 mesi circa”. Qui ci sovviene la storia di Luciano Favero, l’ex terzino destro di Avellino, Juventus e Verona che perse parecchio investendo in una concessionaria di auto di Pordenone, gestita dall’allora presidente del locale Juve club. “Da alcuni mesi però sono in pensione” - ci rispose il baffuto Favero, a Noale, nel maggio del 2013 – “e mi sono tranquillizzato”. Ansia azzerata, dunque, anche per Bianchi. “Alcuni colleghi e veri amici che mi sono stati vicino anche economicamente, ho superato il tutto senza dover chiedere aiuto a nessuno, stato o eventuali assistenti sociali. Ora dopo varie vicissitudini sto combattendo con questo adenocarcinoma ma anche qui, con il sorriso sulle labbra, affronto con coraggio ciò che il Signore ha disegnato per me e senza nulla chiedere posso ritenermi fortunato e orgoglioso per ciò che ho dato e ricevuto! Tutto qui... Ho una bella famiglia e sono diventato nonno di un maschietto, Manuel”. È commovente leggere Walter Bianchi, apre il cuore. “Ripeto, ringrazio il Signore per avermi donato ciò che ho ricevuto oltre al piacere di aver conosciuto tante bravissime persone, che rimarranno per sempre nel mio cuore”. Walter si ferma qui, inutile chiedergli di riassaporare quella partita con l’Espanol, per esempio, in Coppa Uefa, in cui il Milan uscì ed era in preoccupante ritardo. Andiamo a rivedere la carriera, allora. Cesena 1981-82 e Rimini la stagione successiva, con 33 presenze, entrambe le annate con Arrigo Sacchi. Poi Brescia, di nuovo al Rimini, il biennio al Parma e il passaggio in rossonero, con appena 5 gettoni, in Serie A, in due campionati. Il resto l’ha ricordato lui. Torino (18 gettoni), Verona senza mai giocare, Cosenza bene, di nuovo Verona. Per il resto ci aiuta wikipedia. Ha allenato il Foligno, salvandolo dalla retrocessione, e le giovanili del Gubbio, con cui ha vinto il campionato degli allievi

regionali 1998-1999 e poi si è aggiudicato il campionato allievi sperimentali. Quindi la prima categoria a Semonte (che ha portato alla promozione con 6 giornate di anticipo, nella Bergamasca) e a Cantiano, retrocessione da subentrato, nel Pesarese. Dove vive la famiglia Bianchi, da tempo. Dal 2011 al 2015 è stato vice allenatore di Antonio Rocca, nell’Italia Under 15, poi ha collaborato con Chicco Evani alle Under (18-19-20) e con un altro ex crociato Daniele Zoratto (all’Under 16). “Il tutto grazie ad Arrigo Sacchi. Quando lasciò lui, restai per un altro anno, sino ad abbandonare per problemi familiari”. Walter faceva da badante alla suocera Rosanna, in una struttura per anziani: “Aveva bisogno di supporto, fisico e psicologico, a 89 anni. Mia moglie era in difficoltà nel seguirla da sola, la mamma era non vedente, sorda e affetta da Alzheimer. Ci ha lasciati durante il periodo di lockdown, a causa di una ischemia. La sorella aveva vissuto sino a 96 anni”. Bianchi è sposato con Anna Lea, ex insegnante elementare. Hanno due figli, entrambi in cerca di stabilità occupazionale: Luca, 34 anni, è musicista, e Lucia, attrice, 29 anni, impegnata saltuariamente in spettacoli, comparse, manifestazioni teatrali o recite. Alla nascita dei figli, la signora lasciò la scuola, molti hanno più tardi fu Walter a lasciare il calcio, per aiutarla con la suocera, appunto.

Il nostro ulteriore contatto è stato a inizio agosto e lì ci arriva una nuova, cattiva notizia. “Probabilmente” - scrive Walter – “dovrò subire un nuovo intervento chirurgico a causa di un aneurisma aortico addominale. La visita è stata il 28 luglio, l’oncologa mi ha invitato (dopo ferragosto) a prendere appuntamento con il chirurgo cardiovascolare e a programmare il tutto”. Questa è la vita, insomma, di Walter e di molte persone che soffrono. Chissà in quanti, da oggi, lo contatteranno per un saluto, dandogli energia nuova. Senza Paolo Maldini davanti, al Milan, chissà, magari avrebbe giocato di più. E tutti quei contrattempi, con il pallone e non, magari si sarebbero attenuati. Ma tranquillo, Walter, adesso tutto il calcio italiano tiferà per te.

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