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amarcord di Pino Lazzaro
Carissimi, D’Adda, Gastaldello, Matri
La partita che non dimentico… e altro ancora
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Si sa, dai e dai finisce. Deve finire. Per l’età, per l’usura, per la testa, perché hai meno voglia di prima, perché … perché… perché…. Hanno inventato quella frase, sì, quell’appendere le scarpe al classico chiodo e ogni anno immancabilmente se ne aggiungono parecchi di scarpini, ancora e ancora, c’è poco da fare, è una ruota che gira. Qui abbiamo così voluto dare spazio a… otto di questi famosi scarpini: di due calciatrici e due calciatori che hanno infine deciso di tirare una riga per quel che riguarda il calcio giocato. A loro (come a tutti gli altri) i complimenti per il percorso fatto e un grande in bocca al lupo per quello che verrà. Forza e avanti.
Marta Carissimi “Ho sempre dato tutto” 1. “Quella che subito mi torna alla mente è la partita al Franchi, con la Fiorentina, era il 6 maggio 2017, certo che me lo ricordo, anche perché in quei giorni c’è pure il mio compleanno. Contro il Tavagnacco, era la penultima partita della stagione, vincendo avremmo vinto il campionato, il primo scudetto. Un anno quello davvero eccezionale, tutto funzionò per bene, noi come gruppo, la società, la città. Contro il Tavagnacco dunque, con la possibilità di giocare proprio al Franchi e quella festa che venne organizzata, gli sbandieratori, il corteo storico. 8000 spettatori, nonostante il diluvio che era venuto giù poco prima. Vincemmo 2 a 0 e primo – ancora unico – scudetto per una città che per il legame che ha con la Fiorentina, a me pare più un grande paese, difficile trovare qualcuno che non tifa. E l’ho capito proprio io che non sono di Firenze, bastava andare che so dal panettiere o dal salumiere, capitare nel discorso sulla Fiorentina e quanta partecipazione. A fine partita ricordo sì la mia personale felicità ma ancor più quella che potevo vedere negli occhi e nel viso di compagne che erano di lì, da anni e anni, penso subito ad esempio alla Orlandi e alla Guagni, loro che in quell’ambiente avevano vissuto gli alti e i bassi. Un colore? Naturalmente il viola e ricordo più di ogni altra cosa l’ingresso in campo: nel riscaldamento c’era sì un po’ di gente ma poi, quando siamo uscite per cominciare, che brividi per quelle due tribune così piene, proprio da pelle d’oca”.
2. “Personalmente penso d’aver fatto il massimo, ho sempre dato tutto, pur portando avanti oltre il calcio sia lo studio che il lavoro. Posso dire così che mi sono “spremuta” con la massima applicazione e il massimo impegno, se potevo poi in effetti fare
Marta Carissimi, classe 1987. Dopo gli inizi a Gassino (To) ha giocato via via con Torino, Bardolino Verona, Inter Milano, Stjarnan (Islanda), Verona Agsm, Fiorentina e Milan. Per lei 56 presenze con la Nazionale azzurra e un palmares con due scudetti (Verona Agsm e Fiorentina) e due Coppe Italia (Fiorentina); in più scudetto e Coppa d’Islanda con lo Stjarnan.
di meno o di più è un qualcosa a cui non so rispondere. Di certo meno sì, se non mi fossi impegnata come ho fatto e magari quello che posso aver raccolto non può essere forse commisurato con quanto ci ho messo, ma è un’altra storia. Comunque sono soddisfatta, rimpianti non ne ho, so quello che ho fatto e come l’ho fatto, con passione e professionalità. E poi, come capita nello sport e in fondo nella vita, non tutto poteva dipendere da me: anche fare il massimo a volte può non bastare”.
3. “È stato un qualcosa che è andato maturando, con sempre maggior consapevolezza. Ho avuto modo insomma di capire d’aver dato in campo tutto quello che potevo, impegnandomi pure a trasmettere alle compagne, specie quelle giovani, quel che nel
4 domande 4 1) La partita che non dimentico. 2) Con gli occhi di adesso: potevi fare di più? O sei andata/o oltre a quel che pensavi/sognavi? 3) Quando hai capito che per davvero arrivavi allo STOP? 4) E adesso? Da che parte andrai?
tempo avevo elaborato: i valori di questo nostro calcio, appunto l’impegno, la passione. È stata alla fine una scelta naturale e serena. Certo, avrei preferito terminare il campionato, finire insomma sul campo, ma era comunque una decisione che avevo già maturato, prima del lockdown, sarebbe stata in ogni caso la mia ultima stagione”.
4. “Mi piacerebbe tantissimo rimanerci in questo nostro ambiente in cui ho dato tutto, in campo e fuori. Con tutte le battaglie che abbiamo fatto per l’affermazione, la crescita e lo sviluppo di questo nostro movimento che nel tempo ne ha fatti di passi in avanti, che si è saputo conquistare degli spazi. Un qualcosa che ho vissuto direttamente e vorrei così, anche da fuori, continuare a contribuire. Progetti e idee ne ho, tutto ancora da definire: l’intenzione insomma è quella di restarci dentro, proprio per l’importanza che merita”.
Roberta D’Adda “Il calcio ci sarà ancora” 1. “Difficile quale dirti, difficile. Vado allora a quella partita che abbiamo giocato tanti anni fa, era il 2006, contro il Bardolino, noi del Fiammamonza. Lì nel nostro stadio, nel Sada, ci saranno state mille persone, quella tribuna piena, erano proprio tante ai tempi. A vincere sarebbe stato scudetto matematico per noi, il mio primo scudetto. Noi che eravamo partite giusto per fare un campionato normale, soprattutto per crescere, non eravamo certo tra le favorite, era stato poi – a poco a poco – che ne avevamo la consapevolezza. Un anno quello in cui davvero a prevalere fu la forza del gruppo, ricordo pure l’infortunio della mia compagna Schiavi, io così da difensore laterale a prendere il suo posto da centrale, gli insegnamenti di Nazzarena Grilli, la nostra allenatrice. Ricordo l’inizio di quella partita, pochi secondi, un paio di passaggi e loro con Tuttino a farci subito gol, c’era Chiara (Marchitelli) in porta, lei che era lì a segnarsi la metà della porta, non se n’era nemmeno accorta: 1 a 0 per loro. Alla fine abbiamo poi vinto per 4 a 2, ricordo ancora la scena del quarto gol, due mie compagne che fanno passare il pallone tra le gambe e lui che va a finire nell’angolino. Da scudettate s’andò poi al Brianteo a fare un giro di campo. Ti dico poi pure di un altro scudetto, il primo lì col Brescia, contro la Torres, tanta gente allo stadio, ultima partita del campionato, eravamo a pari punti, uno spareggio che vincemmo
Roberta D’Adda, classe 1981. Le sue squadre: Verderio, Fiammamonza, Bardolino Verona, Brescia, Sassuolo e Inter. Ben 90 le sue presenze in Nazionale e ricco palmares: 4 scudetti (Fiammamonza, Bardolino Verona e due col Brescia), 5 Supercoppe Italiane (Fiammamonza, Bardolino e tre col Brescia) e 4 Coppe Italia (una col Bardolino e tre col Brescia).
per 2 a 1, quanta sofferenza sino alla fine e c’erano pure i tifosi della curva sud del Brescia quel giorno”.
2. “Sì, da bambina mi capitava di pensare magari alla Nazionale, alla Champions, ma erano giusto dei sogni, tanto più che allora, una volta d’aver finito di giocare con i ragazzi e dopo aver cercato di trovare una squadra non lontana da casa, ero andata a giocare a Verderio, facevamo la serie D, per dire che sono sì partita da lontano. È adesso che piano piano mi sto rendendo più conto del mio percorso, finché giochi sei sempre attaccata al campo, è adesso che mi trovo a ripensare a tutte le cose belle, ai pianti e tanto tanto ancora. Mi dispiace, ecco, non aver avuto modo di giocare i Mondiali, ci andammo vicinissime… e ripenso poi a quella chiamata del Francoforte, avevo già 32-33 anni, fosse capitata che avevo qualche anno di meno ci sarei andata, già loro avevano il professionismo ma pensavo al Mondiale, se me ne andavo magari perdevo la maglia azzurra… così è andata”.
3. “È un qualcosa che già da qualche anno avevo comunque dentro. Dopo Brescia ero sì andata a Sassuolo ma già ci andavo solo tre volte, un allenamento me lo facevo per conto mio a casa, volevo anche star dietro agli studi, a Osteopatia. Volevo così già smettere dopo Sassuolo ma è arrivata l’Inter, dai che dalla B saliamo alla A, vieni a darci una mano… mi sono convinta ed è stato un anno bellissimo, non abbiamo mai perso. Lì così a chiedermi di starci ancora, io poi che in effetti potevo dare una mano a tante ragazze che avrebbero esordito in A. Non è stato facile arrivarci, non volevo star lì a trascinarmi, i pianti che mi sono fatta. Altro segnale è stato quando è stato possibile riprendere, io a scoprire a dirmi ma chi me lo fa fare. Due segnali forti che mi hanno fatto guardare in faccia la realtà: sto bene e non mi manca, credo d’aver proprio metabolizzato”.
4. “Durante il lockdown ho fatto il corso Uefa B on line, mancano gli esami, non si sa ancora quando ci saranno. Dentro questo nostro mondo vorrei insomma restarci. Forse da allenatrice, o vice, magari dentro comunque uno staff, non so o magari da osteopata, l’idea da tempo è quella di aprire uno studio mio, sono all’ultimo anno. Insomma: il calcio ci sarà ancora”.
Daniele Gastaldello “Impegno e professionalità” 1. “Ne avrei più di una, ma quella che qui subito ricordo è una partita dei playoff, nel 2012, serie B, Sampdoria-Varese. Partita davvero particolare per me, dato che ho fatto doppietta e si sa che da difensore già farne uno è tanta roba, pensa due. Una doppietta poi che è valsa pure per salire in Serie A, anche per questo mi piace ricordarla, quella lì a Genova era l’andata, i miei due gol sono serviti a vincere per 3 a 2, poi abbiamo vinto anche al ritorno, 1 a 0, partita tirata, loro alla fine sbilanciati e mancava poco quando abbiamo fatto gol. I gol? Me li ricordo bene, certo. Entrambi di testa, entrambi su calcio d’angolo. Il primo a uscire, ho staccato e ho fatto l’1 a 1. Il secondo verso la fine, pochi minuti ancora, eravamo 2 a 2, per forza vai avanti per vedere di fare qualcosa. Se te lo vai a rivedere, vedrai che lì ci ho messo giusto la testa, la mia in mezzo a chissà quante, il pallone l’ho giusto sfiorato, mica l’ho cercata una traiettoria: traversa, palo e gol. Un gol insomma che proprio tanto mio in fondo non era, mi vien da dire che qualcuno l’ha spinto per me… eravamo sotto la gradinata sud di Marassi, quella dei nostri tifosi, ero già là e là sono rimasto”.
2. “È una domanda questa che non poche volte pure io mi sono posto e la risposta che sono arrivato a darmi
Daniele Gastaldello, classe 1983. Dopo il settore giovanile col Montebelluna, è passato al Padova esordendo tra i prof col Padova allora in C2 e giocando poi con Crotone, Siena, Sampdoria, Bologna e Brescia. Una presenza con la Nazionale maggiore: Ucraina-Italia 0-2 (marzo 2011, Prandelli c.t.).
è questa: di credere comunque fortemente che in tutta la mia carriera e così in tutte le piazze in cui ho giocato, ho dato il massimo. L’impegno è sempre stato quello, lo stesso, non è per dire che alla Samp facevo di più e al Bologna di meno. Che vuoi, impegno e professionalità sono stati sempre con me, sempre. Le scelte che ho fatto in carriera sono state scelte ogni volta ponderate e credo di aver fatto le migliori per me, non ce n’è una di cui sia pentito”.
3. “È stata una cosa che è maturata nel tempo, con l’esperienza che mi sono fatto in tutti questi anni, c’entrava il fisico e pure l’aspetto mentale, non è insomma che mi sia svegliato una mattina e stop. In questi ultimi anni tra schiena e ginocchia ho dovuto limitarmi negli allenamenti: tanta più fatica da parte mia e compagni che andavano più forte di me, poco da fare. In primis così m’arrabbiavo con me stesso, dai e dai ho deciso di dire basta. Anche questa è stata così una scelta ponderata, facilitata poi dalla proposta della società di continuare qui nel Brescia”.
4. “Ora mi sono messo a studiare per fare/diventare un allenatore, ho solo il patentino Uefa C per ades
so. Studierò da vicino gli allenatori del Brescia, diciamo che sarò un collaboratore tecnico ed è un’idea, questa dell’allenare, a cui ho pensato specie in questi ultimi anni, ragazzi giovani attorno a me, io che cercavo di insegnare e spiegare, già “allenatore” in campo insomma e si sa che con l’età, a un certo punto si “lavora” più con la voce che con le gambe. Sì, in questi ultimi due anni non ho giocato molto e non ho mai creato problemi. Avrei magari potuto essere in effetti un problema per l’allenatore ma, ancor più l’ultimo anno, ci sono arrivato da solo a capire che non ero bravo come prima, che c’era chi faceva meglio di me. Il calcio che si gioca ora è molto più fisico, basta mezzo secondo di ritardo per prendere gol, le vedevo anch’io ste cose in campo. Credo così di essermi comportato bene, meno utile in campo ma comunque utile fuori, insistendo anche lì nello spogliatoio sul comportamento, sul rispetto, sul gruppo che viene prima di ogni individualità”.
Alessandro Matri “Soddisfatto della carriera” 1. “Per fortuna ne avrei un bel po’ da ricordare, una in particolare faccio fatica, non vorrei così escluderne altre, però quella che ora come ora mi torna alla mente è la partita in cui ho fatto il mio primo gol in Serie A. Io col Cagliari, si giocava al San Paolo contro il Napoli, vincemmo 2 a 0 e io feci il primo gol (il secondo di Foggia su rigore; ndr), era il secondo tempo. Palla da Foggia a Fini e lui ha fatto sponda col petto, uno schema quello che con Giampaolo allenatore si faceva spesso: ho calciato di destro, in diagonale, mi pare ci fosse Iezzo in porta. No, non mi sono per dire tolto la maglia o ste cose qui, un’esultanza la mia se vuoi abbastanza contenuta, ricordo che dopo il gol in effetti mi sentivo come scombussolato, non che avessi proprio capito quel che avevo fatto e infatti è stato dopo, a partita finita, che mi sono lasciato più andare, avevo 23 anni allora. Una che vorrei rigiocare? Una del 2015, la finale di Champions contro il Barcellona, l’abbiamo persa e guarda che io non l’ho proprio giocata, tutto il tempo in panca, del resto c’erano Tevez, Morata, Llorente, anche Coman a proposito. Ecco che così la potrei giocare…”.
2. “Sono soddisfatto di quello che ho fatto, gavetta compresa: sono salito dalla C alla A che è comunque e sempre un bell’obiettivo. Sono riuscito a crescere anno dopo anno, sempre migliorandomi. Solo in questi ultimi 3-4 anni le cose sono un po’ cambiate e il fatto di non essere riuscito a mettere assieme un buon minutaggio ha fatto sì che abbia finito un po’ a mollare, è stato così che ho visto, come dire, rallentare la mia carriera. Ripeto comunque che in ogni caso, sono molto soddisfatto di quel che ho fatto”.
Alessandro Matri, classe 1984, tra i prof ha giocato con Prato, Lumezzane, Rimini, Cagliari, Juventus (tre scudetti, due Supercoppe Italiane e una Coppa Italia), Milan, Fiorentina, Genoa, Lazio, Sassuolo e Brescia; sette le sue presenze in Nazionale. 3. “L’ho capito quest’anno, quando per prima cosa è venuto a mancare il rispetto nei miei confronti, così che gli stessi stimoli da parte mia hanno finito per diventare quelli che erano. L’essere in pratica sopportato è un qualcosa che proprio non mi va, no grazie: ci ho ragionato molto e sono arrivato alla decisione di smettere. Meglio insomma lasciare un buon ricordo, non volevo né trascinarmi, né che fossero alla fin fine gli altri a decidere per me. Il tutto lo avevo in effetti maturato sin da gennaio, prima insomma del lockdown: diciamo che avevo voluto tenere comunque la porta ancora aperta, giusto per vedere se poteva magari arrivare qualcosa che mi accendesse ancora, ma così non è stato: stop”.
4. “Ancora non lo so. Ora come ora quel che voglio fare è aggiornarmi e studiare, vedrò poi quale potrà essere la strada che prenderò. Negli anni so d’aver creato buoni rapporti con molte persone, di conoscenze insomma ne ho tante e punto a restare nell’ambiente, che è stato il mio per vent’anni. Sì, è questo che mi piacerebbe e da parte mia non so se sono pronto e pure se ne sarò capace. Si vedrà”.
Il libro di Dario Hubner
Il bomber che gioca in porta
“In effetti all’inizio non volevo nemmeno farlo il libro, sai com’è, non ci ho mai tenuto per dire alle interviste, ste cose qui, ma lui, Tiziano (Marino), insisteva, aveva scritto un libro su Cunego, il ciclista, diceva che era quello il suo idolo nel ciclismo, che io lo ero nel calcio. Dai, proviamo, ha insistito e così siamo partiti. Un tavolino, il portacenere e il registratore. Dai e dai poi m’è piaciuto, tra l’altro m’ha fatto ricordare tante cose che avevo vissuto, fin da bambino. Una decina di incontri, poi di tanto in tanto mi faceva leggere delle parti. Il titolo è saltato fuori perché così mi chiamavano, Tatanka e ancora oggi capita che mi chiamino. La foto di copertina? L’hanno scelta loro, piaceva anche a me, fatto”.
Ora “mister” in Quinta Categoria… “Beh, ora col Coronavirus è tutto sospeso. Mi piaceva andare lì con loro, a savano due ragazzi, Simone e Federico, chiedermelo è stato Fabrizio Lori, era lui io stavo lì con loro, a spiegare magari un movimento, a “Essendo inscritto all’AIC, ogni anno mi spettava un mostrare come album Calciatori Panini. Ce lo davano in omaggio colpire di piatto. con due pacchi contenenti tutte le figurine necessarie Comunque un’ea completarlo. Non c’erano doppie ed ero sempre sperienza molto sicuro di finirlo” bella, un calcio in forma pura: aril presidente del Mantova quando ci anrivano lì al campo e ti abbracciano, si dai a giocare. A fare quasi tutto ci pencambiano e poi ti abbracciano ancora, in campo lo vedi quanto si divertono. Cerchiamo sempre di fare delle squadre equilibrate, capita a volte che poi non lo sono, magari capita che siano 5 a 0 e vedessi la felicità, proprio la gioia se fanno il 5 a 1. Un calcio bello e puro, com’era per me 30 anni fa il calcio dilettantistico che ho conosciuto, questo senso d’amicizia che c’era. Ora non è più così, non è più quel calcio vero, tanti e tanti allenatori che adesso allenano perché portano gli sponsor e ragazzini bravi che non giocano perché al loro posto giocano i figli di… Però il calcio in sé mi piace ancora e sempre, allo stadio continuo ad andarci, ogni tanto e sono le squadre in cui ho giocato quelle che seguo di più”.
Ora gioco in porta. Infilo i guantoni e son contento. Mi basta poco per esserlo, mi è sempre bastato davvero poco. I miei muscoli sono consumati. Senza allenamenti e il giusto riscaldamento rischierei di farmi male. Vivo in campagna, alle porte di Crema. La sera fa molto freddo da queste parti e l’età ormai è quella che è. Quando superi i 50 anni c’è poco da fare, certe cose le accetti e basta. Te ne fai una ragione, senza troppi drammi. Altrimenti son dolori. A livello mentale ma soprattutto a livello fisico, perché ci sarà sempre quel momento della partita in cui sentirai di star bene, in cui vorrai dar di più, in cui cercherai di rifare gli stessi movimenti che ti riuscivano vent’anni prima. Ricomincerai a calciare con forza, a scattare sulla fascia, a tentare delle improbabili piroette per colpire la palla. È a quel punto che il fisico ti abbandonerà. A 30 anni te la cavi con qualche contrattura, a 52 ti strappi. E sinceramente non ho più voglia di farmi due settimane zoppicando. Ora voglio solo godermi la vita, in tutta tranquillità. Mi è sempre piaciuto fare il portiere. Nel corso della mia carriera, quando a fine stagione gli allenamenti si facevano leggeri, andavo spesso in porta. Mi è sempre piaciuto fare il portiere, fin da ragazzino. A scuola non ero bravo ma in educazione fisica avevo 10 e lode. Ai
L’incipit
Fischio d’inizio
tempi la Pallamano Trieste dominava e per un bambino della provincia triestina era quasi d’obbligo praticare quello sport. Io stavo in porta. I gol non li realizzavo mica, cercavo solo di evitarli. Quello del portiere è un ruolo che mi ha sempre affascinato, la vita però me l’ha messo contro.
Sfogliando … (pag. 16) A scuola non ero bravo ma in educazione fisica avevo 10 e lode. … (pag. 17) Se resti umile, con la stessa mentalità di quando eri tra i dilettanti, allora puoi fare strada. Non solo nel calcio ma anche nella vita. … (pag. 19) Tutti ce la possono fare e io ne sono la dimostrazione. Forse è per questo che la gente mi ha sempre voluto bene. Bisogna essere all’altezza però, e non solo a livello sportivo. … (pag. 26) Di origine indiana, appartenente al linguaggio della tribù Sioux Lakota, altro non era (il termine tatanka) che la traduzione letterale del nostro “bisonte” ovvero del mio soprannome. Fu così che nel giro di qualche giorno, senza nemmeno accorgermene, diventai Tatanka. … (pag. 40) Quelli da fabbro sono stati quattro anni duri e intensi ma allo stesso tempo molto gratificanti. Era un bel lavoro il mio, che mi ha insegnato tanto, soprattutto a conoscere la fatica, quella vera, distante anni luce dallo sforzo di un calciatore. … (pag. 55) Non c’erano osservatori, non c’erano procuratori, contava solo il passaparola. Ora invece ce ne sono troppi e non è certo un bene, per i bambini in primis e per il mondo del calcio in generale. Sarò strano io, ma vedere un ragazzino di 11 anni già con un procuratore al fianco, mi sembra assurdo e insensato. … (pag. 103) Salendo di categoria, a cambiare è soprattutto la velocità. Perché se in Serie D puoi stopparla e attendere un secondo e mezzo prima di giocarla, in C hai solo un secondo a tua disposizione, in B mezzo e in Serie A nemmeno quello. … (pag. 135) Una volta eravamo undici operai che lavoravano compatti per l’industria squadra. Oggi invece mi sembra di vedere undici industrie senza operai. E in questo senso i social non aiutano. Tanti calciatori hanno perso di vista il piacere di giocare, che invece era quello che muoveva i giocatori della mia generazione. … (pag. 138) Con lui in campo (Roberto Baggio) non era mai finita. Si allenava per conto suo, non correva in salita e in partitella dovevamo stare attenti ai contrasti. Mentre noi sgobbavamo, lui saltellava a bordocampo. Ogni tanto lo prendevamo in giro: “Roby, non stancarti troppo”. In realtà anche solo il fatto di averlo con noi era un miracolo. … (pag. 195) Non avrei mai immaginato di raggiungere i traguardi che ho tagliato. Fino a 20 anni facevo il fabbro e giocavo in Prima Categoria. A 35 poi ho vinto il titolo di capocannoniere in Serie A. Col Piacenza, mica con la Juve. Il tutto senza rinunciare mai ai piccoli piaceri della vita. In fin dei conti è una e per quanto possibile va goduta.
Dario Hübner con Tiziano Marino
MI CHIAMAVANO TATANKA Io, il re operaio dei bomber di provincia Baldini+Castoldi
(Così in uno dei risvolti del libro) Dario Hübner (Trieste, 1967), attaccante in attività tra il 1987 e il 2011. In carriera ha segnato più di 300 gol indossando 15 casacche diverse tra dilettanti e professionisti. Passato alla storia come il “Re dei bomber di provincia”, è l’unico giocatore – insieme a Igor Protti – ad aver vinto la classifica cannonieri dei tre maggiori campionati italiani (Serie A, B e C1), rispettivamente con le maglie di Piacenza, Cesena e Fano. Soprannominato il Bisonte o Tatanka, oggi allena l’ASD Verso Onlus-Accademia Fabrizio Lori, squadra di Mantova composta da atleti con disabilità cognitivo-relazionali, iscritta al neonato campionato di Quinta Categoria.
• ■ Classe 1988, Tiziano Marino è un giornalista freelance. Dal 2014 al 2018 ha vissuto a Hollywood, Los Angeles, dove ha lavorato come corrispondente per l’agenzia Kika Press &
Media, scrivendo – tra gli altri – di cinema e tv per Vanity Fair, D la Repubblica e l’Ansa.
Responsabile comunicazione e marketing dell’Albinoleffe, collabora pure con la Gazzetta dello Sport e sempre per Baldini+Castoldi è coautore dell’autobiografia di Damiano Cunego, uscita nel 2019.
Coman il terribile il gol di Kingsley Coman in PSG – Bayern Monaco 0-1
Una carezza in un pugno Moise Kean e Nathan Ake in Olanda - Italia – 0-1
Tutti giù per terra Mehdi Bourabia, Andri Baldursson e compagni in Bologna – Sassuolo 1-2
Tre foto tre storie
L'archivio dell'Associazione Calciatori ci dona stavolta il ricordo del portiere-cantautore scomparso, che fu fra i protagonisti dell'Intercontinentale del '90 vinta dal Milan. Ma emozioni non mancano nemmeno tra le quinte delle immagini che ritraggono l'attaccante ingaggiato nel 1919 dall'Inter con il ricorso alle maniere forti, e la maschera da combattente del capitano della Pistoiese, una quarantina di anni fa promossa dalla C alla B e poi alla A
Ricordando Andrea Pazzagli, portiere e cantautore - Il 9 dicembre 1990, la foto più toccante del Milan che conquista a Tokyio la terza Coppa Intercontinentale della sua storia, battendo 3-0 i paraguayani dell'Olimpia Asuncion, è senz'altro questa. A sollevare il trofeo è infatti Andrea Pazzagli, professione portiere (con un debole per le coppe), nato a Firenze il 18 dicembre 1960. I sessant'anni trascorsi dalla sua nascita, e i trenta da quella vittoria arrisa al Milan grazie alle sue difficili parate, compiute sui tiri dell'attaccante avversario Adriano Samaniego, sono ricorrenze da non lasciarsi sfuggire, visto che la morte se lo è portato via cinquantunenne, il 31 luglio 2011, stroncato da un arresto cardiaco mentre si trova in vacanza con la famiglia a Punta Ala, in provincia di Grosseto. Chi si è imbattuto in lui, ricorda di Andrea l'anima nobile, di quelle che sembrano sempre scalpitare anche dentro corpi fatti da Madre Natura così grandi da dare loro il maggior spazio fisico possibile, pur sapendo quanto siano poco contenibili le dimensioni dello spirito a cui aspirano. Vale anche per questo gigante che, alto più di un metro e novanta, sin dagli esordi si fa notare per un carattere generoso e creativo, da "numero uno" predisposto a parare di tutto, anche se nessuno può dire quanto darebbe per sfondare come cantautore, considerando il talento dimostrato quando si esibisce, chitarra a tracolla, sulle orme tracciate da Lucio Battisti e Francesco De Gregori. Ma è sul campo da calcio che gli arride il successo, pur premiandolo dopo una maturazione abbastanza lenta, tale da portarlo a debuttare in Serie A solo nel 1986, con la maglia dell'Ascoli allenato da Ilario Castagner. Durante la stagione successiva, la serata che gli cambia la vita cade il 20 gennaio 1988, nella partita di ritorno degli ottavi di finale di Coppa Italia, quando allo stadio Del Duca
si assiepano in ventimila sotto la pioggia, a tifare contro il formidabile Milan "olandese" di Arrigo Sacchi. Ne vale la pena, perché si tratta di sapere se resiste fino alla qualificazione il clamoroso 1-0 dell'andata, vinta a San Siro grazie a un gol del difensore Flavio Destro. In realtà, bastano otto minuti all'attaccante milanista Pietro Paolo Virdis per rimettere il risultato complessivo in perfetta parità, dando così inizio a una battaglia molto fisica e poco tecnica, squisitamente "english", come ci hanno insegnato le telecronache di FA Cup. Mischie e pozzanghere trascinano il match fino ai calci di rigore, clamorosamente vinti dall'Ascoli, al termine di oltre due ore di una partita costellata dai salvataggi operati da Andrea Pazzagli durante i ripetuti assalti tentati alla sua porta ancora da Virdis assieme a campioni come Gullit, Ancelotti e Donadoni. Il cammino dell'Ascoli in Coppa si ferma ai quarti di finale contro la Sampdoria, ma la serata da leone sfoggiata contro il Milan fa la sua parte per assicurare ad Andrea il contratto firmato l'anno dopo per la società rossonera. Con la maglia del "diavolo", disputa 48 partite in due stagioni, alternandosi a Giovanni Galli nella prima e a Sebastiano Rossi nella seconda; fra un match di campionato e l'altro, i punti più alti toccati "di persona" cascano sul finire del 1990, quando difende la porta milanista non solo a Tokyo, ma anche nelle due partite della Supercoppa europea vinta contro la Sampdoria di Vialli e Mancini. Seguono due stagioni al Bologna, prima di imboccare la china che lo porta al ritiro e al nuovo lavoro di preparatore dei portieri, svolto anche per le nazionali giovanili dell'Italia. Quando, molto prima del tempo, Andrea Pazzagli esce di scena, lascia a quanti l'hanno conosciuto i tratti di un'umanità impagabile, che rieccheggia tuttora nelle note dei due album incisi come cantautore. Il secondo, "Spero che esistano gli angeli" fu molto apprezzato anche da uno che si intende di calcio e di musica come pochi: Mogol, il paroliere di Lucio Battisti.
Conti, così bravo che a 18 anni l'Inter lo "rapisce" - Il giacchino a righe ricorda i "Telefoni bianchi", il genere di commedia cinematografica in voga negli anni '30. Ma, sotto, compare la maglia azzurra della nazionale italiana. Foto quanto mai emblematica del carattere elegante e volitivo per cui resta negli annali Leopoldo Conti, milanese, classe 1901. Conti è un versatile, tecnicamente eccelso attaccante-fantasista che nello spogliatoio dell'Inter, squadra di cui contribuisce a fare la storia dal 1919 al 1931, gode di due soprannomi: "Poldo", quando si tratta di buttarla sul ridere, e "Duce", nel momento in cui subentra la legge non scritta del più forte. Non a caso, quando cessa di essere tale, passerà la mano a un nuovo leader, più forte non solo di lui, ma di qualsi
asi compagno o avversario dell'epoca: Giuseppe Meazza. Ironia della sorte, tocca proprio a Conti battezzarne il nome di battaglia, che è "Balilla". Succede l'11 settembre 1927, quando l'Inter deve giocare, a Como, la finale di consolazione della Coppa Volta contro la U.S. Milanese. Visto lo scarso peso agonistico della partita, l'allenatore dei nerazzurri, l'ungherese Arpad Weisz, stabilisce che è l'occasione buona per far debuttare il diciassettenne Meazza. Quest'ultimo, presentatosi in pantaloni corti in spogliatoio, strappa così a Leopoldo Conti la battuta "Adesso andiamo a prendere i calciatori all'asilo, e così facciamo giocare anche i balilla". Il riferimento ai bambini italiani, durante il ventennio fascista aggregati nell'Opera Nazionale Balilla, rimarrà appiccicato al giovane Peppino per il resto della sua lunga e luminosa carriera, iniziata quel giorno con la doppietta rifilata alla Milanese. In realtà, Conti è in qualche modo punto sul vivo dalla comparsa di questo suo giovanissimo compagno di squadra, che può solo rammentagli i propri esordi, da conteso talento precoce. Di anni ne ha appena 18 quando, impostosi a suon di gol nei tornei studenteschi milanesi, Poldo diventa oggetto prima dell'infuocata compravendita con cui l'Enotria lo ingaggia versando la bellezza di 50 lire dell'epoca alla Libera Ardita, e successivamente dell'interessamento dell'Inter. Su iniziativa del giornalista Leone Boccali, destinato di lì a poco a dirigere il periodico Calcio Illustrato, Poldo Conti viene più o meno "rapito" dai dirigenti nerazzurri, che ne fanno un uomo libero solo quando il presidente dell'Enotria acconsente alla sua cessione per la cifra allora record di 100 lire. Quando, agli inizi degli anni Trenta, la stella di Meazza brilla senza più lasciargli luce in prima squadra, Conti lascia l'Inter dopo due scudetti vinti e 75 gol segnati in 222 partite. Seguono due significative stagioni da allenatore-giocatore della Pro Patria di Busto Arsizio, all'epoca in Serie A, e un'onesta carriera da "mister" di varie squadre lombarde. Leopoldo Conti muore nella sua Milano nel 1970, lasciando un buon ricordo di sé anche con la maglia azzurra della nazionale, indossata sotto sgargianti giacchini a righe: 31 partite partite e 8 gol, di cui uno segnato nella Coppa Internazionale che l'Italia conquista nel 1930.
Capitan Borgo, un debole per le missioni impossibili - Uno la guarda e la riguarda, questa ruvida faccia da sergente di Scotland Yard beccato al pub, e che possa rappresentare il volto di un messia proprio non gli passa per la testa, pur con tutta la simpatia emanata dal personaggio. Eppure, incredulo lui per primo di fronte al fatto, così fu accolto Sergio Borgo nell'estate del 1976 al cinema Verdi di Pistoia, in occasione della presentazione dei nuovi acquisti della Pistoiese che si accingeva a disputare l'ennesimo campionato di Serie C. Cremonese di Soncino, dove nasce il 2 febbraio 1953, Borgo è all'epoca un gagliardo mediano da combattimento con alle spalle appena tre partite giocate nella Lazio che vince lo scudetto del 1974, e mezzo campionato di B disputato nelle file del Foggia. Eppure è quanto basta perché il presidente Marcello Melani lo presenti al pubblico dei tifosi pistoiesi come una sorta di futuro salvatore della patria, candidandolo a consegnare il gagliardetto della squadra quando, in un "prossimo" campionato di Serie A, le sarebbe toccato affrontare la Juventus.
Profetico, il presidente, dato che il 12 aprile 1981 tocca proprio a "capitan Borgo", protagonista di due storiche promozioni, consegnare quell'omaggio al capitano della Juventus Beppe Furino, in una domenica dell'unico campionato di Serie A giocato in tutta la sua storia dal club toscano. Più dei vecchi leoni Mario Frustalupi, ex regista della Lazio, e Marcello Lippi, futuro ct della Nazionale, toccherà al Sergio Borgo di 259 partite in maglia arancione incarnare lo spirito di una provinciale garibaldina, ruspante e "meteorica" come poche altre. Ma se un unico anno di massima serie è sufficiente a consegnare quest'immagine della Pistoiese alla memoria del calcio italiano, buona parte del merito va attribuita al pathos agonistico di capitan Borgo che, anche una volta appese le scarpette al chiodo, si inventa una seconda vita non qualunque nel calcio, dividendosi fra la presidenza dello Spezia, l'avviamento di un'agenzia di scouting fatta per scoprire nuovi talenti del pallone in giro per il mondo e, soprattutto, i nove anni di direzione sportiva del Novara. Società che - parole di una sua intervista rilasciata a Novara.Net - eredita nel 2001 in Serie C2, con una media di 33 paganti, per lasciarla alla soglia della doppia promozione, prima in B e poi in A. Perché non è certo un messia, Sergio Borgo, però nelle missioni impossibili dà sempre del suo meglio.
Doppia sottoscrizione
Tesseramento del figlio minore: un’eccezione
Una recente delibera del Tribunale Federale Nazionale (TFN) – Sezione Tesseramenti (CU 27/18.11.19) ripropone la tematica relativa alla sottoscrizione che entrambi i genitori devono apporre all’atto del tesseramento del calciatore minorenne. Nella fattispecie, si tratta di una particolare interpretazione dell’art. 39.2 delle NOIF, laddove si prevede quanto segue: “La richiesta di tesseramento è redatta su moduli forniti dalla F.I.G.C. per il tramite delle Leghe, del Settore per l'Attività Giovanile e Scolastica, delle Divisioni e dei Comitati, debitamente sottoscritta dal legale rappresentante della società e dal calciatore/calciatrice e, nel caso di minori, dall'esercente la responsabilità genitoriale se il tesseramento ha durata annuale e da entrambi gli esercenti la responsabilità genitoriale se il tesseramento ha durata pluriennale.” Ebbene, nella fattispecie sulla quale ha deliberato il TFN, la genitrice esercente la potestà genitoriale su di un calciatore minore di anni 16 ha chiesto che venisse dichiarata la nullità del tesseramento adducendo di non aver mai sottoscritto il relativo tesseramento. Il TFN, pur tenendo ben presente il tenore e contenuto dell’art. 39 NOIF e la durata annuale del vincolo legittimamente sottoscritto dal solo padre, ha sostenuto però la necessità di dover valutare la specifica situazione familiare, condizionata dalla separazione dei genitori deliberata con sentenza dal competente Tribunale. Ciò premesso, ha affermato che in un simile contesto familiare, un impegno così assorbente per il minore, quale l’attività calcistica, potrebbe essere svolto “a discapito del rendimento scolastico e/o la coltivazione di altri interessi e/o relazioni interpersonali, anche in considerazione che la disciplina sportiva scelta è caratterizzata da una dose più o meno elevata di pericolosità”. Pertanto, considerando il “rischio” connaturato alla specifica attività sportiva prestata, sia dal punto di vista fisico che in termini di relazioni interpersonali e rendimento scolastico, il Tribunale Federale ha ritenuto necessaria anche l’espressa manifestazione di volontà della madre, stante anche l’affido condiviso del minore. Pertanto, pur consapevole che un caso specifico come quello in oggetto, nel quale l’assenso della genitrice manca totalmente, costituisce un’eccezione al tenore letterale dell’art. 39.2, il Tribunale Federale Nazionale – Sezione Tesseramenti ha accolto il ricorso e ha dichiarato nullo e privo di effetti il tesseramento del calciatore.
Francamente, un esito che lascia qualche perplessità, per almeno due motivi: scopriamo con sorpresa che per il TFN il calcio, se praticato sotto il 16° anno di età, è addirittura pregiudizievole per la salute, per interessi e relazioni interpersonali, e (questo forse sì...) per il rendimento scolastico. Inoltre, in questa decisione così politicamente corretta e che in tutta evidenza deve molto allo stato dei rapporti interpersonali tra i due genitori separati, a quanto pare di tutto si è tenuto conto tranne che di un fattore, non secondario: la volontà del ragazzo che, forse, magari a calcio voleva giocare.
N.B. A riprova delle nostre perplessità, va segnalato che in seguito il Giudice Tutelare del Tribunale di Cagliari ha disposto, citiamo testualmente, che “ritenuto che si debba tener conto della volontà del minore sedicenne, non vi siano motivi ostativi al tesseramento del minore nella squadra di calcio Arbus Calcio”. Una soluzione ragionevole, che sinceramene e con mesi di anticipo avrebbe potuto assumere anche il TFN.
Per la stagione sportiva 2020/21
Prospetto scadenze stipendi
Presentiamo il sistema di controllo della regolarità del pagamento degli emolumenti contrattuali per la stagione sportiva 2020/21 con, nel dettaglio, i termini che i club sono tenuti a rispettare.
Il pagamento delle ultime mensilità della stagione sportiva 2019/20
Ottemperando a quanto previsto dai CU FIGC n° 246-247-248/20 in tema di “Licenze Nazionali”, per quanto concerne la mensilità residua di giugno 2020 le società devono depositare presso la COVISOC la dichiarazione circa l’avvenuto pagamento degli emolumenti, di ulteriori compensi compresi gli incentivi all’esodo derivanti da accordi depositati e, presso la Lega di competenza, la documentazione relativa al pagamento delle ritenute Irpef e dei contributi Inps/Enpals e Fondo Fine Carriera entro le seguenti date: • Serie A = 30 settembre 2020 • Serie B = 30 settembre 2020 • Serie C = 30 settembre 2020 Se queste prescrizioni non saranno osservate, le società saranno sanzionate con la penalizzazione di 2 punti in classifica per ciascun inadempimento da scontarsi nel campionato 2020/21.
Stipendi, ritenute e contributi previdenziali relativi alla stagione sportiva 2020/21
(Art. 85 NOIF - “Informativa periodica alla COVISOC”)
Serie A A) Le società devono documentare alla
FIGC/COVISOC entro il 16 novembre 2020 l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti nonché delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e Fondo Fine Carriera dovuti per il mese di settembre 2020. B) Le società devono documentare alla
FIGC/COVISOC entro il 16 febbraio 2021 l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti nonché delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e
Fondo Fine Carriera dovuti, sino alla
chiusura del II° trimestre (1 ottobre/31 dicembre 2020). C) Le società devono documentare alla
FIGC/COVISOC entro il 30 maggio 2020 l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti nonché delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e
Fondo Fine Carriera dovuti, sino alla chiusura del III° trimestre (1 gennaio/31 marzo 2021) D) Le società devono documentare alla
FIGC/COVISOC, entro i termini stabiliti dal Sistema delle Licenze Nazionali, l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti nonché delle ritenute
Irpef, dei contributi Enpals e Fondo
Fine Carriera, dovuti per i mesi di aprile, maggio e giugno 2021.
Serie B e Lega Pro A) Le società di Serie B e Lega
Pro devono documentare alla
FIGC/COVISOC entro il giorno 16 dicembre 2020, l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti nonché delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e Fondo Fine Carriera dovuti, sino alla chiusura del I° bimestre (1 settembre/31 ottobre 2020) B) Le società di Serie B e Lega
Pro devono documentare alla
FIGC/COVISOC entro il giorno 16 febbraio 2021, l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti nonché delle ritenute Irpef, dei contributi
Enpals e Fondo Fine Carriera dovuti, sino alla chiusura del II° bimestre (1 novembre/31 dicembre 2020) D) Le società di Serie B e Lega
Pro devono documentare alla
FIGC/COVISOC entro il giorno 16 marzo 2021, l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti nonché delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e Fondo Fine Carriera dovuti, sino
alla chiusura del III bimestre (1 gennaio/28 febbraio 2021) E) Le società devono documentare alla FIGC- COVISOC, entro i termini fissati dal sistema delle Licenze
Nazionali, l’avvenuto pagamento di tutti gli emolumenti nonché delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e Fondo Fine Carriera dovuti per il
IV° bimestre (1° marzo-30 aprile 2021) e V° bimestre (1° maggio-30 giugno 2021).
Sanzioni
(Art. 33 CGS – “Infrazioni relative ad emolumenti, ritenute, contributi e Fondo di Fine Carriera”)
Serie A A) Il mancato pagamento entro il 16 novembre 2020 degli emolumenti dovuti per il mese di settembre 2020 comporta l’applicazione della sanzione pari ad almeno 2 punti di penalizzazione in classifica.
La stessa sanzione verrà inoltre applicata in caso di mancato di mancato pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e del Fondo di
Fine Carriera. B) Il mancato pagamento entro il 16 febbraio 2021 degli emolumenti dovuti fino alla chiusura del II° trimestre (1 ottobre - 31 dicembre 2020), comporta l’applicazione della sanzione pari ad almeno 2 punti di penalizzazione in classifica, con l’aggiunta di almeno 2 punti per l’eventuale persistente mancato pagamento degli emolumenti relativi al mese di settembre.
Le stesse sanzioni verranno inoltre applicate in caso di mancato pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e del Fondo di Fine
Carriera. C) Il mancato pagamento entro il 30 maggio 2021 degli emolumenti dovuti fino alla chiusura del III° trimestre
(1 gennaio - 31 marzo 2021) comporta l’applicazione della sanzione pari ad almeno 2 punti di penalizzazione in classifica da scontarsi nella stagione sportiva successiva. Inoltre, per il persistente eventuale mancato pagamento degli emolumenti relativi al I° e II° trimestre andrà aggiunto almeno 2 punti di penalizzazione (per trimestre).
Le stesse sanzioni verranno applicate in caso di mancato pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi
Enpals e del Fondo di Fine Carriera. D) Infine, premesso che le disposizioni relative alla corresponsione degli emolumenti relativi ai mesi fino a giugno 2021 vanno necessariamente coordinate con quelle fissate annualmente dal Consiglio Federale per l’ottenimento delle Licenze
Nazionali, il mancato pagamento degli emolumenti dovuti fino alla chiusura del IV° trimestre (1 aprile - 30 giugno 2021), comporta l’applicazione della sanzione pari ad almeno 2 punti di penalizzazione in classifica da scontarsi nella stagione sportiva successiva. Inoltre, per l’eventuale persistente mancato pagamento degli emolumenti relativi al I°, II° e III° trimestre andrà aggiunto almeno 2 punti di penalizzazione (per trimestre).
Le stesse sanzioni verranno applicate in caso di mancato pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi
Enpals e del Fondo di Fine Carriera.
Serie B e Lega Pro A) Il mancato pagamento entro il 16 dicembre 2020 degli emolumenti dovuti fino alla chiusura del I° bimestre (1 settembre - 31 ottobre 2020), comporta l’applicazione della sanzione pari ad almeno 2 punti di penalizzazione in classifica, con l’aggiunta di almeno 2 punti.
Le stesse sanzioni verranno inoltre applicate in caso di mancato pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e del Fondo di Fine
Carriera. B) Il mancato pagamento entro il 16 febbraio 2021 degli emolumenti dovuti fino alla chiusura del II° bimestre (1 novembre - 31 dicembre 2020) comporta l’applicazione della sanzione pari ad almeno 2 punti di penalizzazione in classifica. Inoltre, per l’eventuale persistente mancato pagamento degli emolumenti relativi al I° bimestre andrà aggiunto almeno 2 punti di penalizzazione.
Le stesse sanzioni verranno applicate in caso di mancato pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi
Enpals e del Fondo di Fine Carriera. C) Il mancato pagamento entro il 16 marzo 2021 degli emolumenti dovuti fino alla chiusura del III° bimestre (1 gennaio – 28 febbraio 2021) comporta l’applicazione della sanzione pari ad almeno 2 punti di penalizzazione in classifica. Inoltre, per il persistente eventuale mancato pagamento degli emolumenti relativi al I° e II° trimestre andrà aggiunto almeno 2 punti di penalizzazione (per trimestre).
Le stesse sanzioni verranno applicate in caso di mancato pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi
Enpals e del Fondo di Fine Carriera. D)Infine, premesso che le disposizioni relative al pagamento degli emolumenti relativi ai mesi fino a giugno 2021 vanno necessariamente coordinate con quelle fissate annualmente dal Consiglio Federale per l’ottenimento delle Licenze
Nazionali, il mancato pagamento degli emolumenti dovuti fino alla chiusura del IV° (1 marzo – 30 aprile 2021) e V° trimestre (1 maggio - 30 giugno 2021), comporta l’applicazione della sanzione pari ad almeno 2 punti di penalizzazione in classifica da scontarsi nella sta- gione sportiva successiva. Inoltre, per l’eventuale persistente mancato pagamento degli emolumenti relativi al I°, II°, III° bimestre andrà aggiunto almeno 2 punti di penalizzazione (per bimestre). Le stesse sanzioni verranno applicate in caso di mancato pagamento delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e del Fondo di Fine Carriera.
Eventuali ricorsi al Collegio Arbitrale
Premesso che le tutte scadenze sopra riportate devono essere rispettate dalle società esclusivamente per non dover incorrere in sanzioni, è importante sottolineare che i calciatori non devono necessariamente attendere le varie scadenze (il 16 del secondo mese successivo ai vari bimestri o trimestri di riferimento) per ottenere il pagamento delle mensilità arretrate. Si deve infatti ricordare che, in ossequio a quanto stabilito dagli accordi collettivi, ciascuna mensilità contrattuale deve esser corrisposta entro scadenze prefissate e decisamente più favorevoli e quindi i calciatori, in qualsiasi momento della stagione e a loro esclusiva discrezione, a partire rispettivamente dal giorno 20 del mese solare successivo se tesserati con società di Serie A e B, dal giorno 1 del mese successivo se tesserati con società di Lega Pro, hanno il diritto di chiedere al Collegio Arbitrale la condanna delle società a corrispondere tutte le mensilità arretrate. Pertanto, in estrema sintesi, il pagamento entro i termini di ciascun bimestre o trimestre contrattuale da parte del club vale di per sé ad evitare le sanzioni previste dal CGS ma, contestualmente, in ogni momento della stagione il calciatore conserva il diritto di proporre vertenza avanti il Collegio Arbitrale per recuperare qualsiasi mensilità arretrata.