Rivista Siti - Aprile Giugno 2009

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SITI • SOMMARIO

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Editoriale Valore reale e valore percepito Le politiche culturali fra sottovalutazioni e opportunità di Gaetano Sateriale

8 L’intervista “Nulla può essere valorizzato senza adeguati investimenti” Le preoccupate riflessioni di Marisa Dalai, presidente dell’Associazione Bianchi Bandinelli di Claudia Sonego 14

Primo piano La febbre del Pianeta minaccia anche il patrimonio culturale Gli effetti del cambiamento climatico sui siti del turismo culturale di Roberto Nitti

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Alberobello I misteriosi simboli dei trulli di Alberobello La storia di una tradizione che non raggiunge il secolo di vita di Luca De Felice

24 Tivoli Villa d’Este celebra il suo Cardinale Il V centenario della nascita di Ippolito II d’Este di Marina Cogotti 28

Musei italiani Collezione Maramotti, quando la griffe incontra l’arte Il grande sogno del fondatore dell’impero Max Mara di Marina Dacci

34 L’approfondimento L’arte di fare il libro d’arte Editoria d’arte in Italia: una risorsa preziosa di Irene Guzman 38 Valle Camonica Che la festa Camuna cominci! Cent’anni fa venivano scoperte le prime incisioni rupestri dell’arte Camuna di Eletta Flocchini

42 L’associazione La nuova guida ai Siti Unesco italiani La terza edizione del volume dedicato ai “Luoghi Italiani Patrimonio dell’Umanità” di Arianna Zanelli 46

Fermo immagine Per andare dove dobbiamo andare... per dove dobbiamo andare? La segnaletica turistica pedonale di Fabio Adranno

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In evidenza Herity e l’Unesco: percepire la qualità del “valore eccezionale” Classificazione e monitoraggio dei beni culturali di Gaia Marnetto

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Il progetto Il patrimonio culturale della Chiesa Cattolica Il censimento degli istituti culturali ecclesiastici italiani di don Gianmatteo Caputo

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L’analisi Per un mondo di gusto L’enogastronomia: strategica chiave di accesso al territorio di Annalisa Baldinelli

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Reportage Una passeggiata nell’altra metà del mondo La moschea Meidan Emam ad Isfahan in Iran di Luca Rossato

70 L’intervento I Parchi letterari di Stanislao Nievo Un’originale chiave di lettura del paesaggio culturale di Stanislao de Marsanich 74

Patrimonio immateriale “U cristu longu” di Castroreale Un rito processionale siciliano di grande fascino e suggestione di Venera Leto

78 Brevi Notizie dall’Italia e dal mondo


EDITORIALE

LE POLITICHE CULTURALI FRA SOTTOVALUTAZIONI ED OPPORTUNITÀ

VALORE REALE E VALORE PERCEPITO di GAETANO SATERIALE Presidente Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale Unesco

Padova

a mia esperienza alla presidenza dell’Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale si sta avviando alla conclusione. Sono stati sei anni di lavoro, intensi e gratificanti, che mi hanno permesso di conoscere luoghi straordinari e di incontrare culture e tradizioni di grande fascino. In quest’ultimo editoriale non intendo tracciare bilanci o elencare traguardi, ma semplicemente ringraziare tutti coloro (e sono tanti) che hanno contribuito al successo del nostro sodalizio. “Chi non viaggia non conosce il valore degli uomini”, afferma un antico proverbio e, nel corso di questo mio lungo viaggio, è proprio il valore degli uomini ciò che maggiormente ha suscitato il mio interesse. Sindaci e assessori, dirigenti e funzionari, donne e uomini che, con passione e volontà, hanno sostenuto l’associazione nella consapevolezza che solo facendo fronte comune si sarebbero potute affrontare le impegnative sfide del futuro e sfruttare al meglio le grandi opportunità offerte dal prestigioso riconoscimento Unesco. A loro va tutto il mio apprezzamento e la mia stima. Dalle grandi metropoli ai piccoli centri, dalle città d’arte ai parchi naturali, tutti nella nostra associazione hanno sempre trovato ascolto e sostegno. Un legame, solido e sincero, che ci ha permesso di proporre e realizzare efficaci strategie di tutela e di promozione dei preziosi beni che ci sono stati affidati. Ed è su questo, sulla difesa, la gestione e la valorizzazione di un patrimonio culturale e paesaggistico unico al mondo che la nostra associazione deve continuare ad esprimere il meglio delle proprie capacità progettuali ed organizzative. Il momento non è certo favorevole. I venti di crisi soffiano forte ed all’orizzonte si stagliano nubi ancora più minacciose. In questa situazione hanno gioco facile coloro che sostengono la necessità di riservare le risorse disponibili ai settori percepiti come “vitali”, dimenticando che il binomio cultura e turismo genera in Italia più del 10% del Pil e che, dati alla mano, i consumi culturali rappresentano una delle poche voci in controtendenza in un mercato che continua a registrare una contrazione della domanda sempre più preoccupante. I Paesi più avveduti, infatti, rispondono alla recessione, che da Oriente ad Occidente sta travolgendo


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il mondo intero, investendo nella cultura, nella scuola, nella formazione e nella conoscenza. Ma, ancora una volta, dobbiamo costatare quanto sia di difficile acquisizione la consapevolezza della qualità e del valore del nostro straordinario patrimonio culturale e naturale. In un sistema fragile e poco dinamico, come quello italiano, la cultura può rappresentare, se adeguatamente sostenuta,

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una delle chiavi di volta dell’intera struttura economica e sociale. Una considerazione supportata dal fatto che spesso, in questi ultimi decenni, nonostante lo scarso impegno e la sottovalutazione dei vari governi, le politiche culturali e turistiche hanno trainato l’economia nazionale e favorito la crescita dell’intero Paese. Studi recenti sostengono, inoltre, che ad ogni euro investito in questo settore, ne corrispondono almeno quattro di indotto. L’Italia, però, non riesce ad ottenere dal proprio patrimonio i riscontri economici che ci si dovrebbero attendere e continua ad evidenziare un costante calo di competitività. Nelle ricerche sul web siamo, infatti, il Paese più “cliccato” al mondo, ma nelle classifiche turistiche internazionali continuiamo a perdere posizioni per una serie di croniche carenze strutturali: prezzi poco concorrenziali, offerta ripetitiva e disorganica, servizi inadeguati e scarso utilizzo delle nuove tecnologie. Paradossalmente veniamo scavalcati da Paesi meno dotati del nostro dal punto di vista culturale e paesaggistico, ma che investono molto di più nel settore e che hanno introdotto accorgimenti fiscali, come la riduzione dell’Iva, che ne hanno accresciuto la competitività. In questi anni abbiamo ripetutamente commesso un

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errore cruciale, basato su un falso assioma: credere che sia sufficiente possedere beni artistici e paesaggistici straordinari per generare crescita e sviluppo. Voglio ribadirlo anche in questa occasione: non è così. Tutela (per poter continuare ad usufruirne) e valorizzazione (per farli conoscere) richiedono impegno, risorse ed energie. Il patrimonio culturale è un motore potente ed affidabile, ma ha bisogno di carburante per poter sviluppare le sue grandi potenzialità, anche economiche. Da solo non si tutela e non si valorizza. La strada da imboccare, difficile ma obbligata, è quella della costruzione, all’interno di una visione strategica complessiva, di un sistema realmente integrato di risorse e di intelligenze che sappia coniugare in modo “virtuoso” politiche di salvaguardia e di promozione. Città, monumenti e paesaggi non possono certo essere messi sotto una teca di vetro per preservarne l’integrità, ma non possono neppure venire privati della loro identità storica e culturale per rincorrere le ragioni del mercato. Su questi argomenti, senza voler rinfocolare polemiche sugli aspetti manageriali della cultura, credo sia necessario continuare a riflettere e a confrontarsi. A tal proposito, quale occasione mi-

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Mantova

gliore per approfondire questi temi del convegno che l’Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale ha programmato il prossimo 19 aprile a Ferrara all’interno del “Città Territorio Festival”? Auguro, infine, al mio successore di proseguire con rinnovato slancio il cammino comune intrapreso. Sono certo che, con il prezioso aiuto dei nostri Soci, ciò non solo sarà possibile ma inevitabile.


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LE PROCCUPATE RIFLESSIONI DI MARISA DALAI, PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE BIANCHI BANDINELLI, PER LE SCELTE DEL GOVERNO IN TEMA DI BENI CULTURALI

“NULLA PUÒ ESSERE VALORIZZATO SENZA ADEGUATI INVESTIMENTI” di CLAUDIA SONEGO associazione Bianchi Bandinelli, come tutte le altre associazioni per la tutela del patrimonio culturale, sta vivendo una fase di massima mobilitazione…

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Sì, anche noi registriamo un malessere che sta attraversando tutta la società civile e provocando una vera e propria prise de parole da parte delle diverse categorie di cittadini che si trovano a dover fronteggiare decisioni del Governo che non sono in alcun modo condivisibili. Manifestando il nostro dissenso vogliamo

portare l’attenzione su temi che già lo stesso Bianchi Bandinelli, il grande archeologo, metteva a fuoco nella sua raccolta di scritti (L’Italia storica e artistica allo sbaraglio, De Donato editore, Bari 1974). Forse tutti dovrebbero rileggere oggi le motivazioni profonde delle sue dimissioni da componente del Consiglio Superiore di Antichità e Belle Arti (datate 28 maggio 1960). Esse rispecchiano una situazione non molto diversa da quella attuale: l’accusa principale rivolta alla classe dirigente del paese riguardava la sottovalutazione, gravissima, delle esigenze del patrimonio culturale a cui si destinavano fondi assolutamente inadeguati, un numero insufficiente di funzionari e di addetti e così via. Sono le stesse ragioni per le quali oggi ci si mobilita.

Quali sono, nello specifico, i mali di oggi? Da mettere in primo piano è la questione dei tagli delle risorse decisi con l’ultima Finanziaria, per un cifra complessiva pari a oltre un miliardo di euro in tre anni, tra il 2009 e il 2011 e quindi con una prevista riduzione del 90% dei fondi per il MiBAC. Direi che siamo alla liquidazione delle strutture e degli istituti di tutela, proprio nel momento in cui più si parla di valorizzare il patrimonio culturale, come se non si sapesse che nulla può essere valorizzato se non attraverso degli investimenti adeguati. Verrebbe voglia di invitare i responsabili di queste decisioni a recarsi a Parigi, Berlino o a Londra dove pure la crisi economica è ben presente; là ci si può rendere ben conto di cosa significhi investire sulle istituzioni culturali e sulla cultura. La differenza rispetto allo


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L’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli responsabile di un’inedita direzione centrale per la valorizzazione dei musei italiani. L’idea di fondo sembra sia quella di negare valore ed efficacia alle competenze professionali specifiche e di spostare le responsabilità del patrimonio su “esperti” esterni che, come nel caso del supermanager dei musei, per loro stessa ammissione, non possiedono alcuna cultura, alcuna conoscenza specifica del patrimonio storico e artistico.

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stato della maggior parte dei nostri musei, biblioteche e archivi è palese. Oltre alla riduzione drastica delle risorse disponibili a cosa si sta andando incontro? In questi ultimi mesi direi che è possibile individuare una netta linea di tendenza con segnali preoccupanti. Il primo e il più eclatante su tutti - quello che ha fatto esplodere una protesta, una vera ribellione condivisa da tutti gli addetti ai lavori, ma anche dai più semplici cittadini – riguarda l’annunciata nomina di un supermanager come

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’Associazione “Istituto di studi, ricerche e formazione Ranuccio Bianchi Bandinelli”, fondata da Giulio Carlo Argan nel 1991, promuove studi, ricerche ed iniziative sui problemi della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale, incoraggiando i rapporti di collaborazione fra università, istituzioni preposte alla tutela e istituti di ricerca. Svolge attività di formazione attraverso corsi e seminari su problemi legislativi, economici, di programmazione ed intervento nel campo dei beni culturali; pubblica gli “Annali” e i “Quaderni giuridici”; vuole diffondere una cultura della tutela capace di reagire ai processi di degrado, favorendo lo sviluppo della sensibilità civile e di qualificate competenze multidisciplinari, nella cooperazione fra le diverse forze operanti nel settore. Info: Associazione Bianchi Bandinelli Via Matera n. 9 b – 00182 Roma www.bianchibandinelli.it info@bianchibandinelli.it

Come si spiega questo fenomeno? Vorrei ricordare che questa linea di tendenza è iniziata, di fatto, fin dagli anni ‘80 del Novecento, quando cioè si è manifestata a tutti i livelli una forma di neoliberismo economico. Per ciò che riguarda i beni culturali, il primo episodio clamoroso risale se non erro all’intervento della “lady di ferro”, Margareth Thatcher, che d’improvviso decise di rimuovere il preparatissimo staff scientifico del Victoria and Albert Museum di Londra sostituendolo in tutto e per tutto con dei manager. Fu in quella occasione che tale figura professionale fece la sua apparizione sulla scena dei beni culturali, con scandalo degli addetti ai lavori del mondo intero. Di fatto assistiamo a una dilagante sfiducia nella cultura umanistica e nei professionisti che operano nel campo, benché formati, occorre ribadirlo, con un curriculum studiorum altamente qualificato. Torniamo alle scelte del ministro Bondi… Riaffrontando una riforma organizzativa del MiBAC, la quarta in dieci anni, a distanza di meno di un anno dall’intervento di Rutelli e utilizzando la stessa delega del ministro precedente, è sintomatico come, con quale procedura Bondi stia istituendo una nuova direzione generale centrale. In un primo tempo confonde le funzioni della Modena


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tutela con quelle della valorizzazione: così nella prima redazione lo schema di decreto prevede, ad esempio, che i poli museali delle maggiori città d’arte d’Italia (Venezia, Firenze, Roma e Napoli) debbano afferire alla prevista direzione; questo progetto incorre nel parere negativo del Consiglio Superiore dei beni culturali e paesaggistici (di fatto è stata una vittoria riuscire a separare di nuovo le funzioni della tutela da quelle della valorizzazione e a ricollocare i poli dove correttamente erano). Ma la cosa più grave è che con una modalità del tutto irrituale, cioè con un semplice comunicato stampa il Ministro abbia annunciato il nome del direttore generale, una figura del tutto estranea al mondo dei musei, prima di presentare lo schema di decreto al Consiglio dei Ministri per l’approvazione, e prima quindi che l’iter di riforma fosse concluso e la direzione per la valorizzazione effettivamente istituita. In realtà non lo è tuttora. Non le pare allarmante sentir parlare, sempre per restare in argomento, del commissariamento delle Soprintendenze archeologiche di Roma e Ostia? Direi proprio di sì. L’annunciato commissariamento di queste Soprintendenze apre una prospettiva gravissima. Ancora una volta si decide di fare ricorso a una figura estranea alla tutela del patrimonio, che potrà intervenire in deroga a leggi e norme e istituzioni preposte. Nessuno ha dimenticato, credo, le conseguenze per il destino del patrimonio culturale di certe ordinanze imposte nell’emergenza dal Commissario straordinario di turno dopo le catastrofi sismiche del Friuli (1976), o dell’Irpinia (1980). Ma chiamare in causa il responsabile della Protezione civile, senza peraltro la preliminare dichiarazione di calamità naturale (ben ardua da Roma

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dimostrare) significherà di fatto poter usufruire di risorse che appartengono a una struttura operativa dello Stato – la Protezione civile appunto - e che viceversa il MiBAC non ha, per poterle dirottare nelle casse del Comune di Roma. Con la previsione poi che il “soggetto attuatore” delle decisioni di Bertolaso sarà l’assessore all’urbanistica del Comune di Roma, mentre logica vorrebbe, a garanzia della salvaguardia del patrimonio culturale, che chi deve essere controllato non possa controllare sé stesso. Ma nello sfondo traspare un problema politico più generale, quello della devoluzione agli enti territoriali delle funzioni della tutela. L’Italia storica e artistica è davvero allo sbaraglio, come dichiarava Bianchi Bandinelli quasi cinquant’anni fa? Se guardiamo ai concorsi finalmente banditi per nuovi funzionari della carriera dirigenziale del MiBAC (archeologi, architetti, storici dell’arte, archivisti e bibliotecari), che hanno dovuto sottoporsi a una prova pre-selettiva visto l’altissimo numero di candidati, certamente non possiamo dire di sentirci sollevati. Delle 100 disparate domande di cultura generale a risposta multipla predisposte per tutti, nessuna, dicasi nessuna, riguardava il vastissimo e complesso mondo dei beni culturali e delle discipline di riferimento. Una prova a rovescio, si direbbe, con la sicurezza matematica di non selezionare, anzi di escludere i candidati competenti. Un’ulteriore conferma, se ce ne fosse bisogno, di come la cultura specifica, frutto di anni di studio, rischi continuamente di venire negata, persino dallo stesso MiBAC, benché costituisca l’unico saldo fondamento di una vera azione di salvaguardia del patrimonio culturale nazionale.


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GLI EFFETTI DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO SUI SITI DEL TURISMO CULTURALE

LA FEBBRE DEL PIANETA MINACCIA ANCHE IL PATRIMONIO CULTURALE

di ROBERTO NITTI onostante al giorno d’oggi godano di grande attualità, le problematiche del cambiamento climatico rimangono spesso inopinatamente sottovalutate. Le lacune conoscitive sono particolarmente evidenti nell’ambito della tutela del patrimonio culturale e naturalistico mondiale: all’interno dei programmi di ricerca e di divulgazione di pur impeccabili enti internazionali come l’Intergovernmental Panel on Climate Change, non sono stati ancora pubblicati studi approfonditi riguardo i probabili impatti del cambiamento climatico sul patrimonio stesso, che pure paiono potenzialmente molto gravi. I cambiamenti climatici stanno infatti influenzando tutti gli aspetti dei sistemi umani e ambientali, comprese le proprietà naturali e culturali del Patrimonio dell’Umanità UNESCO, e i loro nefasti effetti hanno il potere di amplificare e accelerare quei problemi di management che già di per sé minano l’integrità del patrimonio, vale a dire estinzione di specie viventi, cambiamento dei loro habitat, disastri naturali, inefficiente gestione dei flussi turistici, inquinamento, con-

flitti armati. Attraverso la conduzione di tre case studies, riguardanti altrettanti siti UNESCO, ho voluto inquadrare il complesso, mutuo rapporto tra cambiamenti climatici e attività turistiche internazionali, focalizzandomi in particolare sulle conseguenze che, nei prossimi anni, potrebbero derivare per il turismo cosiddetto “culturale” nel nostro Paese. Il primo caso tratta del Centro Storico di Firenze. Le possibili ripercussioni del cambiamento climatico sul sito in questione si presentano essenzialmente in due forme principali: da un lato, vi è la concreta possibilità che l’incombere di ondate di caldo, come quelle che hanno colpito la città nelle estati del 2002 e 2003, abbiano un consistente effetto deterrente sui flussi turistici, soprattutto su quelli internazionali, nella stagione di punta; a livello di impatti fisici sul patrimonio, invece, la questione principale riguarda la preoccupazione per eventi estremi quali le esondazioni dell’Arno, che già in passato hanno procurato ingentissimi danni alla città e ai suoi tesori. Il primo problema presenta, nel breve termine, un grado di criticità medio: ad ogni modo, stando al Piano di Gestione del sito UNESCO, la percezione del maggior rischio di Firenze


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ondate di caldo come diretta conseguenza del cambiamento climatico è molto scarsa e ancora non sono state intraprese azioni di adattamento su larga scala. Il secondo problema presenta invece una criticità alta, già dal breve termine, e il grado di attenzione delle autorità è massimo. La memoria storica dei danni che il fiume può provocare ha, infatti, portato alla preparazione del Piano di Bacino dell’Arno: gli strumenti attivati comprendono sistemi di monitoraggio, di allerta e simulazioni computerizzate, a loro volta collegate al periodico aggiornamento dei lavori di rafforzamento degli argini, un piano di salvaguardia delle opere d’arte, e l’assicurazio-

Una recente pubblicazione Unesco

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ne contro i rischi di inondazione degli immobili (strutture ricettive, maggiori musei) situati in prossimità del fiume. Ulteriori possibili strategie constano nell’incentivazione di interventi di manutenzione degli edifici che combinino materiali e pratiche tradizionali (per preservare il loro valore estetico) e tecniche di ingegneria moderne, al fine di assicurarne la longevità; inoltre, sarebbe necessario completare la copertura assicurativa di quegli edifici storici e di quelle istituzioni culturali che ancora ne sono sprovvisti. Il secondo caso riguarda il sito del Delta del Po. Gli impatti del cambiamento climatico nella zona si riferiscono soprattutto ad un progressivo innalzamento del livello del mare, con conseguenti aumenti nella frequenza di eventi estremi legati alle sue anomalie (ad esempio inondazioni), che potrebbero causare un’accelerazione dei processi di erosione costiera, di perdita e dislocazione di aree umide e pianure, di contaminazione degli acquiferi e di salinizzazione del territorio. Del resto, l’area rappresenta dal punto di vista altimetrico e morfologico un territorio peculiare, con depressioni medie di circa -2 m. La problematica riguarda in primis il patrimonio naturalistico, e di riflesso le attività turistiche; presenta un alto grado di criticità, nel breve termine per ciò che concerne gli eventi estremi, nel medio/lungo termine per quanto riguarda le inondazioni permanenti. La percezione del cambiamento climatico

Fenicotteri nel Parco del Delta del Po

come possibile catalizzatore di tali fenomeni è incerta, ma ad ogni modo le autorità sono molto attive sul fronte della protezione sostenibile delle coste della regione (mediante interventi di ripascimento): tali lavori sono seguiti da attenti monitoraggi, i cui dati vengono poi inseriti in un catalogo informatizzato delle opere di difesa realizzate nel corso degli anni, utili alla successiva pianificazione del territorio. Ulteriori strategie da attuare consistono nel moderare l’estrazione dal sottosuolo di risorse naturali quali acqua di falda e gas metano, nel contrastare l’impermeabilizzazione dei suoli e nell’integrare le reti di monitoraggio scientifico della costa e del livello del mare, combinando le osservazioni scaturenti con quelle provenienti via satellite e andando così a formare dei sistemi di valutazione delle misure di protezione necessarie, nonché dei

veri e propri sistemi di allerta delle inondazioni. Un secondo possibile impatto del cambiamento climatico sul sito in questione è rappresentato dall’aumento delle temperature marine e costiere, che presenta un grado di criticità media nel medio/lungo termine, potendo portare alla frammentazione e alla perdita di habitat, ossia alla migrazione o all’estinzione, relativamente al contesto locale, di alcune specie animali, marine e ittiche tipiche del parco, affette da stress ambientale e da cambiamenti nella vegetazione, peraltro anch’essa colpita dalla medesima minaccia. Anche se la percezione del problema è modesta, sono state predisposte zone tampone che “isolano” le aree protette diminuendo conseguentemente la veemenza di qualsiasi impatto antropico e ambientale. Le possibili strategie di adattamento constano nella riduzione


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delle fonti di stress esterne, nella formazione di corridoi migratori e nell’istituzione di banche dei semi, nell’ottica di preservare le risorse genetiche delle specie impossibilitate a sopravvivere nell’ambiente deltizio. Il terzo caso tratta della Valle dei Templi di Agrigento. I possibili impatti del cambiamento climatico nella regione sono da un lato essenzialmente riconducibili a una maggiore ricorrenza dei periodi di siccità (criticità alta nel breve termine) e all’aumento delle temperature medie (criticità media nel medio/lungo termine), che avranno consistenti effetti negativi sui flussi turistici internazionali, e dall’altro alla maggiore frequenza di piogge acide (criticità media nel breve termine) ed eventi di precipitazione estremi (criticità media nel breve termine) e all’avanzare del fenomeno di desertificazione (criticità alta nel lungo termine), che congiuntamente all’azione continuata delle radiazioni solari potrebbero rappresentare un aggiuntivo fattore di degrado delle rovine archeologiche, accentuando i fenomeni di erosione e di decadimento dei materiali. La percezione del cambiamento climatico come potenziale fattore di rischio riguardo all’accentuarsi di tali fenomeni è soddisfacente solo in relazione alla minaccia di piogge acide (da qui, la conduzione di specifici interventi di manutenzione e restauro) e di periodi siccitosi (ne è derivata l’attivazione di sistemi di previsione della siccità e di gestione delle risorse idriche). Ulteriori accorgimenti attuabili per contrastare la scarsità delle risorse idriche consistono nell’investire in impianti di desalinizzazione, trattamento e depurazione delle acque, nonché nella sensibilizzazione dei turisti contro gli sprechi eccessivi e nella rea-

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lizzazione di più capienti e funzionali bacini di stoccaggio. Indiscussa sarebbe inoltre l’utilità di una connessione con un sistema di previsione delle piogge acide, per avere la possibilità di condurre interventi manutentivi preventivi. Per la preservazione del patrimonio archeologico, infine, sono fondamentali: la formazione di zone tampone e il miglioramento dei canali di scolo delle acque e dei sistemi di drenaggio, così da evitare, in caso di piogge torrenziali e del conseguente shock in termini di umidità, l’eccessivo danneggiamento dell’integrità stratigrafica dei terreni dove ancora rimangono sepolti reperti archeologici; le opere di restauro che combinano materiali tradizionali, tali da non stravolgere l’aspetto e la sostanza dei beni tutelati, e tecnologie e tecniche avanzate, al fine di renderli meno vulnerabili alle radiazioni solari, alle intemperie e alle modificazioni del clima. In conclusione, dall’analisi dei case studies emerge che i cambiamenti climatici potrebbero avere pericolose conseguenze, dirette (fisiche) ed indirette (socioeconomiche), sulla conservazione del patrimonio culturale e naturalistico italiano, e anche i flussi turistici relativi potrebbero subire profonde modificazioni. Il grado di attenzione e reazione al cambiamento climatico delle istituzioni poste alla tutela e valorizzazione turistica dei beni culturali è stato finora, a mio avviso, insufficiente. Il panorama delle strategie di adattamento site specific proposte ed implementate per minimizzare gli impatti negativi del climate change non sembra, infatti, adeguato a garantire la conservazione e la fruizione futura di un patrimonio che è tra i più importanti del mondo.


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LA CURIOSA STORIA DI UNA TRADIZIONE CHE NON RAGGIUNGE IL SECOLO DI VITA

I MISTERIOSI SIMBOLI DEI TRULLI DI ALBEROBELLO

di LUCA DE FELICE in da piccolo mi ha sempre appassionato l’ascoltare con quanta fantasia ad Alberobello venivano generate e raccontate “le storie” del mio paese, la cura con cui ci si sforzava nel rendere reali anche i particolari più leggendari, ed ovviamente, a queste fantasiose interpretazioni non sfuggivano “I misteriosi simboli”, che forse più di tutti, per la loro stessa natura si prestavano a questo tipo di lettura. Oggi, nel rispetto di questa “singolare Città” è giusto avere un approccio più scientifico nella ricostruzione della storia e nei confronti di chi, con grande sacrificio, l’ha scritta. Prima di entrare nel vivo delle argomentazioni sui “misteriosi simboli dei trulli di Alberobello”, considero giusto fare una breve introduzione sul “simbolismo”, per comprendere quali sono le sue origini, qual è il valore che esso ha ed ha avuto nel tempo. Il “linguaggio dei simboli” è da conside-

rarsi un elemento dell’astrazione e della comunicazione umana e come tale acquista nel tempo una notevole importanza soprattutto nelle religioni; è uno strumento di comunicazione immediato, semplice, universale ed indipendente dalla lingua e dall’appartenenza di un popolo. Siamo nel 726 in Puglia: durante la dominazione bizantina giungono nel Salento i monaci Basiliani, seguaci di San Basilio, il fondatore dell’ordine. L’imperatore bizantino Leone III l’Isaurico, con un editto, ordina la distruzione delle immagini sacre e icone in tutte le province dell’Impero per combattere una venerazione considerata come superstizione e idolatria. Mosaici e affreschi, simboli di quella cristianità a cui i basiliani erano fedeli, vengono distrutti e diversi monaci vengono uccisi. Oggi, per gli storici, è considerazione giusta e

diffusa, andando alla ricerca della derivazione etimologica di “Valle D’Itria”, ricondurla proprio all’operato dei Monaci Basiliani in questa parte di Puglia. Il toponimo Valle d’Itria, infatti, deriverebbe dal culto orientale della Madonna Odegitria (cioè che indica la via) o di Costantinopoli, protettrice dei viandanti, quali erano i monaci Basiliani, che nel 977 qui si insediarono in fuga dai territori dell’impero bizantino. Lo sviluppo del simbolismo religioso in questa parte di Puglia sicuramente è imputabile all’operazione di antropizzazione e civiltà portata avanti nel tempo dai Basiliani che, oltre alle tecniche di lavorazione delle terre, della tessitura e della falegnameria, porteranno in questa parte di Puglia un notevole fermento religioso caratterizzato, ovviamente, anche da una ricca produzione artistica. La Madonna di Costantinopoli, quindi, è la

rappresentazione iconografica classica dei basiliani, che più di frequente si incontra lungo le viuzze dei centri storici di Cisternino, Locorotondo, Martina Franca, Ceglie Messapica, ma non ad Alberobello. Perchè? Diventa quindi, molto utile, ed interessante, per poter rispondere a quest’interrogativo, definire i comuni che compongono oggi la valle D’Itria. La Valle si compone “geograficamente” dei tre comuni: Cisternino (BR), Locorotondo (BA) e Martina Franca (TA). Per ragioni di politiche turistiche e culturali è stato successivamente compreso il Comune di Alberobello e per affinità “territoriali e culturali” oggi si parla di Valle d’Itria anche per Ceglie Messapica (BR). In questa valle il centro più giovane è proprio Alberobello (l’unico a nascere e svilupparsi dopo il XV secolo), l’unico quindi a non risentire direttamente dell’operato dei basiliani nel suo sviluppo.


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Dunque, il simbolismo caratterizzante le coperture dei trulli è chiaramente di rimando religioso, e conserva, in modo evidente, l’impronta della presenza dei basiliani qui in Puglia. Il trullo era un ricovero temporaneo, utilizzato per animali o per depositare attrezzi di lavoro, presente almeno a partire dall’Ottocento nelle campagne della Valle d’Itria e, che per la premessa precedentemente fatta, non può nascere ad Alberobello, ma che invece ad Alberobello, per diverse ragioni storiche e sociali, a partire dal 1600, ne vede il massimo sviluppo come abitazione “stabile”. Di certo, non può essere considerato un semplice caso che statisticamente i trulli più ricchi di simboli siano nell’ordine proprio quelli delle campagne dei Comuni di Ceglie Messapica, Martina Franca e Locorotondo, (come emerge dallo studio effettuato dalla dottoressa Troccoli

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Verardi ne “I Misteriosi Simboli dei Trulli”, ADDA Editore, 1984). È storicamente appurato, invece, che fino al 1934 ad Alberobello non sono mai stati presenti simboli sui trulli, e che “il simbolo non apparteneva alla Tradizione del Trullo di Alberobello” (Pietro Lippolis) e lo provano diversi fattori. Nel 1897 sulla pubblicazione “Una Città singolare – Alberobello, di Cosimo Bertacchi, V. VECCHI – Trani” appare una veduta panoramica del Rione Monti (considerabile, a buona ragione, uno dei documenti fotografici più antichi ritraenti Alberobello) senza traccia alcuna di simboli in copertura. Nel 1961, in occasione del Primo Centenario dell’Unità d’Italia, Pietro Lippolis pubblica “Alberobello nella Murgia dei Trulli e delle Grotte, DE LUCA” in cui spiega e motiva la polemica proprio Veduta panoramica con simboli dipinti per la visita del Duce nel 1934

relativa alla allora recente apposizione dei simboli sui trulli “…questa arbitraria apposizione contribuisce evidentemente, una deformazione della tradizione e della realtà storica e finisce con l’ingenerare impressioni poco gioconde ed erronee interpretazioni...”. In particolare, c’è un momento storico ad Alberobello che risulterà determinante per il diffondersi di questa simbologia ed è il settembre del 1934, quando il Comitato Provinciale del Turismo di Bari, in previsione di una eventuale visita del Duce durante il suo viaggio in Puglia per l’inaugurazione della V Fiera del Levante, ordina che i simboli vengano dipinti sui trulli. Da notare che nel 1910 venne notificato il Trullo con simbolo della tradizione Cristiana Cattolica: “Il Sole – Cristo”

Decreto del Ministro P.I. che dichiarava il Rione Monti di Alberobello di “notevole interesse pubblico” ed in quella data i trulli non presentavano alcun simbolo sui tetti. Le paure del Lippolis, tutto sommato, non erano infondate. Il simbolismo ad Alberobello così arcano nella sua interpretazione ha un valore la cui storia non raggiunge il secolo. È noto come sia una tentazione piuttosto pericolosa per lo storico o lo studioso l’affannosa ed incontrollata ricerca del preistorico, del misterioso e dell’esoterico per aumentare il valore ed il prestigio delle ricerche. Questo diventa ancora più pericoloso quando magari è una leggenda a diventare storia.


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IL V CENTENARIO DELLA NASCITA DI IPPOLITO II D’ESTE

VILLA D’ESTE CELEBRA IL SUO CARDINALE

di MARINA COGOTTI Direttore di Villa d’Este l 25 agosto del 1509 nasceva a Ferrara il secondogenito di Alfonso I d’Este e di Lucrezia Borgia, cui veniva imposto il nome di Ippolito, come lo zio paterno del quale seguì anche la carriera ecclesiastica. Nominato arcivescovo di Milano in giovanissima età, trascorse diversi anni alla corte francese, stringendo rapporti di intensa amicizia con Francesco I che gli varranno, oltre alla nomina a cardinale, cariche e benefici

Il cardinale Ippolito II d’Este

ecclesiastici che faranno di lui uno dei porporati più ricchi dell’epoca. Al di là delle vicende politico – religiose che hanno caratterizzato la sua vita, dipanatasi nella cornice dei profondi cambiamenti introdotti dal clima della controriforma, la figura di Ippolito II d’Este è oggetto di una rinnovata attenzione per il ruolo di propulsore delle arti, ruolo testimoniato dall’attività esercitata in tutti i luoghi interessati dalla sua presenza. Rampollo di una delle corti più raffinate e liberali del tempo, centro di cultura umanistica frequentato da artisti e letterati di primaria importanza, fin dagli anni della sua giovinezza Ippolito si dedicò alla ricerca e alla realizzazione di opere d’arte. Gli anni trascorsi alla corte francese accentuarono le sue naturali inclinazioni verso una liberale munificenza che mise sempre a dura prova le pur notevoli risorse finanziarie di cui poteva disporre. A Roma divenne uno dei personaggi più brillanti della vita mondana, politica e artistica, come testimoniano, oltre alle cronache dell’epoca, le sue residenze di Montegiordano e Montecavallo, luoghi che videro avvicendarsi una innumerevole schiera di artisti, letterati, musicisti. Di rilievo anche il suo rapporto con gli architetti, sostenitori delle vivaci e personali iniziative tradottesi in diversificate campagne edilizie, a partire dai possedimenti ferraresi, alle realizzazioni francesi,

La statua di Roma e il viale delle Cento Fontane

ai palazzi romani, al soggiorno senese fino all’esperienza più completa e conclusiva, quella della villa – ritiro di Tivoli. Proprio la villa tiburtina, che ne rappresenta emblematicamente stile di vita, interessi, ideali, sancisce il valore del rapporto di Ippolito con l’arte e l’architettura se, quasi 500 anni dopo, la comunità internazionale ha riconosciuto alla villa il valore di patrimonio dell’umanità, ratificando così l’universale apprezzamento che, fin dall’epoca della sua costruzione, visitatori e viaggiatori di tutto il mondo le hanno tributato. La Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Roma, Rieti e Viterbo, che ha in gestione la Villa d’Este a Tivoli, promuove, in occasione della ricorrenza del V centenario della nascita di Ippolito II, una serie di iniziative finalizzate all’approfondimento della figura e del ruolo di “animatore culturale” del cardinale estense. Si pensi agli scambi culturali tra Francia ed Italia realizzati per il suo tramite, anche

grazie alla circolazione degli artisti al suo seguito; alle innovazioni introdotte, come il campo per il gioco della palla; alle sperimentazioni nel campo della produzione agricola, come l’introduzione dei vitigni francesi nella campagna tiburtina; ai progetti ed ai lavori di irreggimentazione idraulica del fiume Aniene; all’originalità della villa e del suo giardino, vero e proprio prototipo delle realizzazioni che seguiranno. Proprio la villa tiburtina, unico manufatto ad aver conservato in buona parte l’aspetto programmato da Ippolito e dai suoi architetti, può rappresentare il punto di partenza e di arrivo di un percorso che, attraverso le realizzazioni della sua ampia cerchia di artisti, letterati, musicisti, restituisca il clima di una corte che è stata anche un cenacolo culturale. Le iniziative proposte sono articolate intorno a tematiche rappresentative dei vari aspetti dell’attività di Ippolito, da quelli maggiormente con-


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nessi alla produzione artistica, in quanto mecenate e collezionista, al ruolo giocato nelle politiche del tempo, fino alla sua attività di governatore di Tivoli. Il Convegno internazionale di studio che darà l’avvio al programma triennale di lavori, previsto nell’autunno dell’anno in corso, costituirà il punto di convergenza delle conoscenze a livello internazionale sull’argomento in ordine alle tematiche individuate negli obiettivi programmatici. Il triennio di lavori si concluderà invece con una grande mostra dedicata alla “vita in villa” alla corte di Ippolito II ed all’universo estetico e culturale del cardinale; attraverso l’esposizione di opere

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d’arte, modelli e ricostruzioni, si vuole fornire una rappresentazione complessiva del corpus di architetture, opere d’arte e d’artigianato commissionate o a lui dedicate, consentendo di apprezzare, nella giusta ambientazione della Villa d’Este, la produzione di oggetti ed opere in un unicum in grado di restituire l’idea anche del corredo spaziale, degli allestimenti, degli arredi e degli usi che caratterizzavano la vita in villa. Affiancherà queste attività, uno sforzo editoriale finalizzato alla pubblicazione e divulgazione di una serie differenziata di contributi sull’argomento. E’ già in fase di organizzazione, inoltre, il Centro di

La fontana dei draghi

La fontana della Rometta

documentazione di Villa d’Este. L’interesse che la villa tiburtina ha sempre suscitato tra gli studiosi ed i visitatori di ogni condizione sociale proveniente da tutto il mondo, con i conseguenti diversificati livelli di fruibilità che ne derivano, rendono improcrastinabile l’adozione di strumenti aggiornati per la gestione della notevolissima quantità di dati afferenti all’oggetto di studio. A tal fine è in fase di elaborazione un gis dedicato alla consultazione ed all’elaborazione dei vari data-base in fase di organizzazione e la loro successiva trasformazione con interfaccia amichevole spendibile in rete. Infine, a corollario dell’attività di studio, ricerca e divulgazione, sta per prendere avvio il restauro di una delle opere più rappresentative dell’approccio innovativo e originale di Ippolito committente: il restauro della fontana detta “dell’Ovato”, o “di Tivoli”,

vera e propria icona della villa tiburtina. Definita “principalissima” di tutte le pur celebri fontane di Villa d’Este, la fontana dell’Ovato rappresenta un vero e proprio omaggio al territorio tiburtino e nella sua configurazione architettonica così come nei motivi iconologici che ne hanno guidato l’ideazione, celebra il rapporto tra il paesaggio tiburtino e quello romano (rappresentato dalla fontana della Rometta), allegoria del rapporto tra il cardinale estense e la Roma pontificia. Per il restauro della fontana è già stato redatto il progetto esecutivo, un primo lotto del quale fruirà di un finanziamento già stanziato; si auspica di poter disporre del finanziamento necessario a completare il restauro, consentendo così di realizzare, in contemporanea con le manifestazioni del V centenario, il pieno recupero della più celebre fontana di Villa d’Este.


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IL GRANDE SOGNO DEL FONDATORE DELL’IMPERO MAX MARA

COLLEZIONE MARAMOTTI, QUANDO LA GRIFFE INCONTRA L’ARTE

di MARINA DACCI Direttrice della Collezione Maramotti inque motivi per visitare la Collezione Maramotti: • Perché è un interessante esempio di relazione fra la struttura architettonica e le opere d’arte basata anche su criteri storico-biografici. • Perché è una collezione “di carattere” e di lunga storia e racconta del collezionista e delle sue passioni. • Per la qualità di molte opere presentate. • Perché il visitatore è posto “al centro”. • Perchè è un work in progress, una collezione in continua crescita che prevede uno spazio progettuale dedicato ai giovani artisti. La relazione tra la struttura e le opere L’equilibrio tra contenitore e contenuto è una operazione complessa e delicata nell’arte contemporanea. Non giova forse né una sottrazione estrema rendendo muto e anonimo lo spazio che accoglie le opere, né un suo “protagonismo eccessivo” trasformandolo pura scenografia che prevarica le opere, a meno che l’artista stesso non renda lo spazio protagonista e parte del suo lavoro. La Collezione Maramotti è stata aperta dopo

un trentennio di riflessione sul “dove” e “come” condividerla con i potenziali visitatori. La scelta di utilizzare lo spazio della vecchia sede aziendale è sicuramente stata agevolata dal trasferimento dell’azienda in altro luogo ma anche dalle caratteristiche progettuali dell’architettura, improntate all’alta versatilità e flessibilità degli spazi, all’enfasi della relazione tra interno ed esterno dell’edificio attraverso l’uso peculiare della luce, elementi estremamente innovativi all’epoca della sua realizzazione nel 1957. Tuttavia le motivazioni che ne hanno determinato la scelta comprendono anche un aspetto “emozionale”. Questo edificio fin dalla fine degli anni Sessanta ha sempre ospitato a rotazione molte delle opere che Achille Maramotti comprava, che qui venivano esposte con una volontà di “condivisione” con chi si occupava di progettare fashion. Così l’intera storia della Collezione cominciò qui e qui si respira un senso di continuità anche se lo spazio è stato parzialmente trasformato per la sua nuova vocazione. E’ un luogo perciò portatore di una forte memoria e questo senz’altro rappresenta un valore aggiunto che il visitatore può percepire durante la sua visita.

Una collezione di lunga storia Le opere esposte in modo permanente sono circa duecento, rappresentano un highlight dei focus di interesse di Achille Maramotti. Attraverso questo percorso è possibile così ricostruire una sorta di biografia del collezionista che dalla fine degli anni Sessanta iniziò ad acquistare opere d’arte contemporanea. Fermo restando il suo gusto personale, la collezione non si propone certo con obiettivi di esaustività rispetto alle varie correnti o alle molteplici forme di espressione artistica nel periodo di riferimento, ma come una

personalissima focalizzazione sul lavoro di artisti che sperimentavano nuove strade soprattutto nel linguaggio della pittura che, peraltro, è la peculiarità di questa raccolta. L’allestimento è stato messo a punto con riferimento ad una serie di criteri: la cronologia nella produzione dei lavori, all’interno del quale sono state valutate le compatibilità e le consanguineità fra le opere (correnti artistiche, ambito culturale in cui gli artisti hanno operato) unitamente al criterio di datazione degli acquisti nonché alle compatibilità e relazione con lo spazio. Coesistono pertanto sia sale monografiche sia sale “plurime” con lavori che si confrontano e si rafforzano vicendevolmente. Una grande attenzione è stata attribuita allo spazio che accoglie i lavori e alla luce che divengono elemento fondamentale per una corretta visione delle opere stesse. Le opere Le prime opere che Achille Maramotti acquista sono di Manzoni, Fontana, Fautrier, Bacon, Twombly, Burri, artisti che considera generazionalmente suoi contemporanei. Alle loro opere

La grande scultura sospesa di Claudio Parmiggiani


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Lo stabilimento Max Mara negli anni Cinquanta

succedono quelle di Licini e Capogrossi. In una fase di poco successiva comincia a interessarsi

I quadri di Enzo Cucchi e Mimmo Paladino

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ad una generazione “nuova” in senso anche formale, tra cui soprattutto Kounellis, riconoscendo da subito l’originalità del suo lavoro. Interesse che prosegue con l’acquisto di lavori della scuola romana degli anni Sessanta tra cui Schifano, Pascali, Festa, Uncini, Tacchi. Kounellis funge anche da “cerniera” verso il movimento denominato “arte povera”, del quale acquisisce lavori di Merz, Paolini, Penone, Pistoletto, Zorio, Boetti, Anselmo, Calzolari. Dal 1979 il focus organico del suo interesse collezionistico

Le opere di Tom Sachs, Mark Manders e Barry X Ball

lo stesso è stato, prima ancora, per le opere di Fisi sposta verso il neo-espressionismo italiano, e schl, Schnabel, Salle, acquisite subito dopo la loro subito dopo quello tedesco e quello americano. realizzazione. La focalizzazione sulla produzione Un ampio spazio nella collezione permanente artistica americana avviene però verso la fine trovano infatti le opere di Cucchi, Chia, Paladino, degli anni Ottanta, quando Maramotti ravvisa un Clemente, Kiefer, Polke, Baselitz, Salle, Schnabel, Fischl. Tutte le opere europee dal 1946 alla discorso artistico primario soprattutto nel lavoro fine degli anni Ottanta sono raccolte nelle sale e degli artisti newyorkesi. Dopo l’esplorazione della nello spazio aperto del primo piano dell’edificio New Geometry (Halley, Bleckner, Taaffe, Burton) che ospita la collezione. Maramotti si concentra Anche per le opere degli infatti sulla generazione artisti presenti al secondi giovani artisti rappredo piano, soprattutto sentata in modo particolare da Ellen Gallagher, americane, è visibile il Matthew Ritchie, Tom desiderio di organicità, Sachs, ricercando semmai disgiunto comunque pre una continuità ideale dal valore intrinseco dei col suo amore, mai velavori. Le opere di Katz, nuto meno, per la pittura ad esempio, sono state metafisica e la costante acquistate quando l’artista non aveva ancora reivenzione del linguaggio pittorico. una visibilità europea, e Jannis Kounellis, Senza titolo, 1961


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LA COLLEZIONE MARAMOTTI

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l sogno di Achille Maramotti si è avverato il 29 settembre 2007, quando è stata inaugurata, nella sede storica della società a Reggio Emilia, la Collezione Maramotti, una grande raccolta di arte contemporanea internazionale dal dopoguerra ad oggi. Purtroppo Achille Maramotti, deceduto agli inizi del 2005, non ha potuto assistervi. La collezione comprende dipinti, sculture e installazioni realizzate dal 1945 a oggi nella quale sono rappresentate alcune delle principali tendenze artistiche italiane e internazionali affermatesi nel secondo Novecento. La collezione permanente, che si sviluppa su due piani del vecchio corpo di fabbrica in un percorso di quarantatre sale e due open space, inizia con alcuni importanti quadri europei indicativi delle tendenze espressioniste e astratte degli ultimi anni Quarantaprimi anni Cinquanta definite come movimento informale e un gruppo di opere italiane protoconcettuali (Fontana, Burri, Fautrier, Manzoni). A seguire consistenti nuclei di dipinti della cosiddetta Pop romana (Angeli, Festa, Schifano, Tacchi), dell’Arte Povera nella sua duplice articolazione romana e torinese (Kounellis, Boetti, Merz, Penone, Pistoletto, Zorio, Anselmo) e dell’Arte Concettuale. A queste opere succedono dipinti fondamentali della Transavanguardia (Cucchi, Chia, Clemente, De Maria, Paladino), significativi esempi del neo-espressionismo tedesco (Kiefer, Baselitz, Polke, A.R. Penck) e americane (Basquiat, Schnabel, Salle). Fa loro seguito un gruppo di opere della New Geometry americana degli anni Ottanta-Novanta (Halley, Scully, Taaffe, Burton, Bleckner) e le più recenti sperimentazioni americane e inglesi (Ritchie, Gallagher, Barry X Ball, Sachs, Essenhigh, Craig-Martin, Maloney). Collezione Maramotti - Via Fratelli Cervi 66, Reggio Emilia Tel. 0039 0522 382484 (Visite gratuite solo su prenotazione) www.collezionemaramotti.org info@collezionemaramotti.org Le opere di Anselm Kiefer e Mario Merz

Venticinque, il numero “perfetto” La visita alla Collezione permanente è gratuita ed aperta a venticinque visitatori alla volta, previa prenotazione. Questa scelta, culturalmente precisa, è decisamente controcorrente rispetto alle modalità di fruizione dell’arte oggi, è sicuramente un “lusso” per il visitatore, ponendolo al centro della relazione con l’opera. Chi non apprezzerebbe poter visitare con la calma e con tranquillità una collezione d’arte dove è possibile un contatto intimo con le opere? Questa idea era già chiara nel progetto di Achille Maramotti trent’anni fa e questa è stata la scelta della famiglia al momento dell’apertura al pubblico. Il gruppo di visitatori è facilitato durante la visita da un accompagnatore che fornisce informazioni sulla Collezione, consentendo di meglio comprendere la sua lettura come corpus organico di opere.

Le nuove attività Dopo l’apertura al pubblico della Collezione permanente, i nuovi progetti afferiscono alle esposizioni temporanee che saranno realizzate seguendo due direttrici. Da un lato, una programmazione di progetti commissionati a giovani artisti, le cui opere vengono successivamente acquisite dalla Collezione. Sono previsti tre progetti ogni anno. Ogni mostra/progetto è accompagnata da un catalogo con contributi critici di volta in volta di soggetti diversi. Dall’altro lato, mostre temporanee tese a far conoscere, in modo tematizzato, la restante parte del patrimonio iconografico non esposto in collezione permanente. Nel 2009 è poi prevista la presentazione della terza edizione del premio “Max Mara Art Prize for Women” e l’acquisizione del lavoro di Hannah Rickards, giovane artista concettuale inglese, vincitrice della seconda edizione del premio.

L’ingresso del lato est


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L’ A P P R O F O N D I M E N T O EDITORIA D’ARTE IN ITALIA: UNA RISORSA PREZIOSA

La parola agli editori

L’ARTE DI FARE IL LIBRO D’ARTE di IRENE GUZMAN Italia è il Paese che possiede la parte più consistente del patrimonio artistico mondiale (c’è chi dice il 60%, chi il 75%) ma anche uno di quelli che occupano gli ultimi posti all’interno dei circuiti mondiali del rights management dei beni culturali ed artistici, fondamentali per il settore dell’editoria d’arte. Anche se il turismo culturale italiano rappresenta un fenomeno economico e sociale di dimensioni importanti, l’editoria d’arte non ha mai ottenuto l’attenzione necessaria ad una vera e propria politica industriale. Il motivo di tale mancanza si deve proprio al fatto che la filiera, per quanto ampia e articolata, forse proprio perché troppo diversificata e poco compatta, non è percepita a livello politico-istituzionale come una vera forza economica trainante. Forse per questo l’editoria d’arte italiana continua a non riuscire a espri-

mere il proprio potenziale, al punto che in un ambiente ormai globalizzato, per un editore italiano è più facile realizzare libri in collaborazione con i musei e le istituzioni straniere che con quelle del nostro Paese. Ma quale può essere il futuro per l’editoria d’arte in Italia, soprattutto a livello internazionale? Quali sono davvero le problematiche e come affrontarle con l’intento positivo di rilancio del settore? Secondo le classificazioni vigenti, l’editoria d’arte italiana è un comparto aggregato che vale un considerevole 6% del mercato complessivo. Il settore (comprese le vendite all’interno dei bookshop museali) muove un giro di affari di circa 95 milioni l’anno (dati 2007) e rappresenta un attivo della bilancia

Artelibro 2008

commerciale. Secondo Gian Arturo Ferrari, direttore generale divisione libri Mondadori, nel 2009 ci si può aspettare tuttavia una significativa flessione dovuta al drastico calo nella presenza dell’editoria d’arte in edicola congiunta a periodici e quotidiani. “La crisi economica generale si manifesta in modo difficilmente prevedibile. – sottolinea Claudio Pescio, direttore responsabile di Giunti Editore - Anche nel settore del libro d’arte, in tutti i mercati europei, è certa una contrazione al momento più percepibile da indizi che da effettivi cali oggettivi, ma che si farà via via più evidente”. Secondo Pescio la strada da percorrere è quella che riguarda operazioni di coedizione che permettano di ripartire i costi di produzione. Perché questo accada è necessario fare delle scelte oculate di ciò che è ragionevole pubblicare, selezionando la qualità dei libri. La coedizione potrebbe essere la risposta alla crisi anche per Alvise Passigli, vice Presidente di Scala Group, anche se aggiunge che sarà una strada sempre più difficile dal momento che persino i grandi editori americani stanno riducendo le collane che richiedono

più rilevanti investimenti: “Il mercato italiano dell’illustrato e del libro d’arte è sempre stato un mercato di nicchia per l’editoria internazionale. – spiega Passigli - In Europa la crisi non si è ancora manifestata al di là di prudenti ridimensionamenti delle previsioni di vendita, ma è probabile che i titoli si ridurranno di numero portando a fenomeni imprevedibili. Nell’attesa è consigliabile prudenza”. L’Italia produce circa 2700 titoli l’anno, una produzione non dunque straordinariamente elevata, se si pensa che la Francia ne realizza circa il doppio (dati 2007). Le motivazioni degli editori per il ridotto numero di titoli sono diverse, in primo luogo la rete di vendita inadeguata. Escluse le edicole, filone che come detto si sta esaurendo, in Italia restano solo un centinaio di librerie che trattano abitualmente questi prodotti, dato il prezzo notevolmente superiore a quello medio degli altri libri. L’editoria d’arte è inoltre largamente connessa ai beni e agli eventi culturali, ma in questo senso, oltre al difficile rapporto con gli enti pubblici, sembrano inadeguati anche i boo-


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Due pubblicazioni presentate ad Artelibro

kshop museali, spesso relegati in posizioni difficili o con spazi ridotti. Infine il pubblico a cui si rivolgono gli operatori del settore è un pubblico di nicchia, numericamente non sufficiente a garantire una gestione economica «prospera». Dall’altro lato, i punti di forza che possono far crescere l’economia di scala sono vocazione imprenditoriale e creatività, indispensabili per progettare una nuova centralità dell’editoria d’arte ed aumentarne le potenzialità di sviluppo e di evoluzione competitiva a fronte del sistema globalizzato, date proprio dalla sua trasversalità che attraversa le barriere linguistiche. In questo senso è lo scambio internazionale il soggetto in grado di connettere attori diversi nell’elaborazione di politiche culturali, nuovi modelli di competitività. Le fiere, in primo luogo, sono uno strumento in cui investire per diffondere e accrescere la cultura del

Lo stand del libro antico dell’Associazione Librai Antiquari

Il Festival del Libro d’Arte

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inque le edizioni di Artelibro Festival del Libro d’Arte, per un pubblico che è cresciuto negli anni da 22.000 a 35.000, come si è arricchita la presenza degli espositori (da 70 a 110) e la programmazione degli eventi culturali (da 30 a 87 con 270 relatori). La formula è mista, mostra-mercato e festival, che comprende, oltre alle esposizioni di libri d’arte, d’artista e libri antichi, incontri professionali, presentazioni editoriali, eventi di intrattenimento, con un occhio di riguardo per il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza. L’arte di fare il libro d’arte è il tema guida anche della prossima edizione, che si terrà a Bologna dal 24 al 27 settembre 2009.

libro, la cui affluenza dimostra che c’è una domanda straordinaria di cultura da parte di un segmento di pubblico consistente, seppure di nicchia, che non deve essere trascurato. Luoghi di incontro con i distributori internazionali, con i rappresentanti dei musei e delle grandi istituzioni artistiche e personalità del mondo dell’arte e dell’editoria; eventi in risposta ad una concreta domanda che segnalano anche una risposta delle istituzioni nei confronti dell’investimento culturale. Tra le manifestazioni internazionali c’è Londra Book Fair, il cui ruolo di fiera complementare alla Fiera di Francoforte sta crescendo di anno in anno. In Italia la manifestazione

specialistica del settore dell’editoria d’arte è rappresentata da Artelibro Festival del Libro d’Arte di Bologna, una leva importante per gli editori italiani, soprattutto alla luce del fatto che nel campo dell’arte, in Italia, spesso sono i privati i veri portatori di progetti culturali. “Oggi si deve parlare di mercato dell’editoria d’arte non più focalizzato su un preciso mercato nazionale ma da intendersi su tutti i mercati dell’editoria d’arte – dichiara Federico Motta presidente dell’Associazione Italiana Editori - Chiaramente il libro d’arte è cambiato molto negli ultimi anni, funzionalmente non solo alle diverse tipologie di edizione ma alle tipologie stesse degli editori”. Per l’editore di 24 Ore Motta Cultura è molto difficile in questo contesto economico generale poter prevedere come andrà il mercato: “Chiunque operi in questo settore dovrà porsi una serie di domande circa l’orientamento del libro d’arte e del mercato delle sponsorizzazioni, aspetto importante del libro d’arte, e dell’evoluzione del mondo delle mostre e delle manifestazioni culturali”. In questo senso, un forte limite all’attività è costituto dalla frammentazione dei centri decisionali: la storia del nostro Paese ha prodotto una situazione

per cui molti luoghi d’arte e museali appartengono ai più disparati soggetti, comportando un enorme sforzo logistico e amministrativo nel relazionarsi con esigenze gestionali e normative differenti. Per Umberto Allemandi, le capacità degli editori e stampatori italiani rimangono buone. Sono però molto cresciute quelle di altri Paesi, spesso a prezzi più convenienti. “Gli editori italiani soffrono di un certo schematismo – aggiunge l’editore - con progetti editoriali spesso troppo rigidi e ripetitivi. Non c’è dubbio che i progetti più innovativi non nascono più qui, specialmente dal punto di vista della creatività grafica”. La flessione, secondo Allemandi, pare inevitabile per vari motivi. In primo luogo l’eccesso dell’offerta: libri prodotti più per essere mostrati che per essere letti. In secondo luogo l’effettiva disponibilità di tempo e di denaro del pubblico. La capacità di reazione consiste per Umberto Allemandi nella competenza tecnica, nel rinnovamento progettuale, nell’umiltà e nella severità della selezione culturale. L’inevitabile ridimensionamento e rinnovamento sarà più penoso per le più grandi case editrici: “Era più facile, troppo facile operare entro schemi fissi e ripetitivi. Ma l’invenzione non abita lì”.


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CENT’ANNI FA NEI BOSCHI DI CAPODIPONTE VENIVANO SCOPERTE LE PRIME INCISIONI RUPESTRI DELL’ARTE CAMUNA

CHE LA FESTA CAMUNA COMINCI!

di ELETTA FLOCCHINI Responsabile Comunicazione Distretto Culturale della Valle Camonica icorre quest’anno in Valle Camonica un duplice anniversario: il Centenario della scoperta delle Incisioni rupestri e il Trentennale del loro ingresso nella lista del Patrimonio Culturale Mondiale dell’Unesco. Si tratta di due tappe fondamentali, che segnano un nuovo passaggio nel lungo percorso di studi, ricerche e scoperte che nel corso dei decenni si sono sviluppati attorno all’arte rupestre camuna, considerata a livello internazionale una delle principali testimonianze della nascita e dell’evoluzione della civiltà europea. La ricchezza iconografica delle rocce istoriate della Valle Camonica, distribuite lungo un’area che comprende 180 località in oltre 30 comuni, rappresenta senza dubbio una straordinaria fonte di conoscenza sulla vita quotidiana, sociale e religiosa degli antichi abitanti di questo territorio, lungo un arco di tempo di quasi 12 mila anni. E’ quindi evidente come i due anniversari, che ci si prepara a celebrare, siano

un’occasione imperdibile per tornare a sottolineare la straordinaria valenza culturale di una delle maggiori collezioni d’arte rupestre preistorica che esistano al mondo. Oggi questo immenso sito risulta suddiviso in sette diversi parchi archeologici: il Parco archeologico comunale di Luine, la Riserva Naturale delle Incisioni rupestri di Ceto, Cimbergo e Paspardo, il Parco archeologico comunale di Sellero, il Parco archeologico comunale “Coren de le Fate” di Sonico, il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane, il Parco archeologico comunale di Seradina – Bedolina e il Parco Archeologico Nazionale dei Massi di Cemmo. Fu proprio qui, a Cemmo, nei boschi sopra Capodiponte, che nel 1909 il professore bresciano Gualtiero Laeng durante una passeggiata s’imbattè in “due grossi trovanti con sculture e graffiti simili a quelli famosi del lago delle Meraviglie nelle Alpi Marittime”. Si trattava dei massi di Cemmo. Una delle due rocce era rimasta scoperta dalla vegetazione e la gente del posto la chiamava “la pedra dei pitoti”. La pietra dei pupazzi.


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Dopo secoli di dimenticanza e forse anche di disinteresse, cui aveva contribuito l’azione di oscuramento naturale di terra e di piante, il prof. Laeng riscoprì così l’arte rupestre e sui massi istoriati di Cemmo inviò

La mappa di Bedolina

una scheda scientifica al “Comitato nazionale per la protezione del paesaggio e dei monumenti” istituito presso il Touring Club. Fu l’inizio di una serie di spedizioni e ricerche che negli anni a venire portarono in Valle Camonica i più importanti studiosi di arte rupestre, fra i quali, nel 1956, il professor Emmanuel Anati, fondatore del Centro Camuno di Studi Preistorici. Assiduo accompagnatore di Anati, durante le prime escursioni nei boschi camuni, fu un falegname di Capodiponte, Giovan Battista Maffessoli, che sin da bambino era solito trascorrere il tem-

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po alla ricerca delle rocce istoriate lungo i pendii della montagna, nascoste fra l’erba e il muschio. In paese, come si diceva, la presenza delle pietre incise non era una novità, ma Battista ne fu un tale appassionato conoscitore da divenire a tutti gli effetti una preziosa guida per gli archeologi in cerca di scoperte. Dopo 70 anni di eccezionali studi e ritrovamenti, pubblicazioni e mostre, la notorietà delle incisioni rupestri della Valle Camonica accrebbe al punto da sollecitare un importante movimento d’opinione nelle istituzioni archeologiche mondiali, che sfociò, durante la III sessione del 22-26 ottobre 1979 al Cairo, nell’ inserimento dell’arte camuna nella lista dei Patrimoni culturali dell’Umanità. La Valle Camonica fu il primo sito italiano a entrare nell’Unesco.

Il masso di Cemmo

Nel corso di quest’anno le istituzioni valligiane, il Distretto Culturale della Valle Camonica, i Parchi e i Comuni legati ai siti delle incisioni rupestri, con la collaborazione della Soprintendenza archeologica e della Provincia di Brescia, si apprestano a celebrare questi due anniversari con un ricchissimo programma di manifestazioni ed eventi che si snoderà fino al mese di novembre e si articolerà in una serie di appuntamenti che prevedono mostre, inaugurazioni, incontri, rievocazioni storiche, visite e pubblicazioni e che si concluderanno con la rassegna “Archeoweek”, il Primo “Festival della Preistoria” (infopoint@vallecamonicacultura.it) che si svolgerà dal 5 al 13 settembre.


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L ’ A S S O C I A Z I O N E PUBBLICATA LA TERZA EDIZIONE, AGGIORNATA E RINNOVATA, DEL VOLUME DEDICATO AI “LUOGHI ITALIANI PATRIMONIO DELL’UMANITÀ”

LA NUOVA GUIDA AI SITI UNESCO ITALIANI di ARIANNA ZANELLI

urata come le precedenti da motivazioni per cui un sito viene riconosciuTommaso Gavioli, esce, quasi to come patrimonio dell’umanità, non deve in contemporanea a questo nuincorrere nell’autocelebrazione, non deve esmero della rivista Siti, la terza sere un atlante e nemmeno un catalogo, ma edizione della “Guida Unesco”, deve costituire un punto di contatto dialogico come hanno iniziato da subito affinché il lettore si senta incuriosito da ciò a chiamarla quasi confidenzialche rappresenta il Patrimonio dell’Umanità e mente tutti coloro - davvero tanti- che hanno imdal perché viene riconosciuto universalmente parato a conoscerla e come tale. consultarla dal 2004, Incuriosire, coadiuva“Tutte le nostre attività sono legate re, informare e stimodata della prima usciall’idea del viaggio. E a me piace lare, indirizzare verso ta, ad oggi. Accingendomi a pre- pensare che il nostro cervello abbia una direzione prestisentarla, mi è parso un sistema informativo che ci dà giosa e consapevole riduttivo il termine ordini per il cammino e che qui stia come quella costituta “riedizione”, perché la molla della nostra irrequietezza.” da itinerari strutturati questa, insieme alla Bruce ChatwIn lungo le vie del Patrimonio italiano Unesco: continuità di dialogo “Anatomia dell’irrequietezza” questo è l’obiettivo che rappresenta la che con questa nuova rivista Siti, può considerarsi il frutto maturo dell’attività editoriale pubblicazione ci siamo posti. dell’Associazione, attenta a cogliere le suggeMa è l’idea del viaggio, della ricerca inquiestioni ed i cambiamenti prospettici del lettore, ta ma attenta di “un posto per appendere il turista, studioso, o semplice curioso che sia. cappello” il filo rosso che attraversa questa La struttura di una “guida Unesco”, viste le nuova guida.

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La Guida 2009: le novità La nuova Guida non è una ristampa, ma una rielaborazione cosciente di tutto il lavoro svolto nelle edizioni precedenti, di cui è certamente figlia, ma le rinnova con il patrimonio di esperienze ed informazioni acquisite nell’analisi dei risultati raggiunti. Ovviamente vi vengono descritti e illustrati i tre nuovi siti iscritti nella Lista del Patrimonio italiano dopo la seconda edizione del 2006, Mantova e Sabbioneta, Genova e il complesso del Palazzo dei Rolli e la Ferrovia Retica nei paesaggi di Albula e Bernina, ma viene anche inserito nuovo materiale istituzionale che rende la Guida il più completa ed esauriente rispetto al panorama reale del 2009.

Nuova veste grafica E’ immediatamente evidente l’operazione di rinnovamento grafico dei capitoli, completamente rivisitati e adattati alle novità inserite. Ne risulta una grafica fresca ed ordinata, che invoglia e facilita la consultazione, ed una scelta di immagini più incisiva: due sole fotografie, forti e rappresentative, che vivono di vita propria e divengono un’integrazione funzionale ai testi, finalmente

indipendenti, con un effetto di eleganza diffusa che rende la lettura agevole e piacevole.

Nuovi testi Quando non completamente riscritti i testi sono stati rinfrescati, ri visitati, corretti e reimpostati attraverso un nuovo lavoro di ricerca e scrittura, per rendere lo strumento il più accattivante e completo.


Nuove foto

Attraverso il coinvolgimento diretto dei Soci, gran parte delle immagini sono state rinnovate ed il nuovo aspetto iconografico, oltre ad esaltare la leggibilità, rende un effetto più raffinato e contemporaneo.

Nuova copertina

L’operazione di restyling della pubblicazione si completa nel radicale cambiamento della copertina, primo approccio al libro. Semplice e sobria, non richiama nessun sito in particolare, ma, grazie a pochi effetti grafici, si riferisce a tutto il panorama Unesco italiano, celebrando bellezza ed arte, genio ed ingegno dell’uomo.

Assisi

La Guida 2009: l’oggetto turistico

Non solo una guida, ma uno strumento che possa coniugare contenuti e praticità, celebrazione del patrimonio dell’umanità e percorso logico – conoscitivo all’interno dei suoi più reconditi anfratti, immagine e parola fra il lettore e ciò che descrive. Una guida che sia interprete dei valori profondi ed universali del patrimonio dell’umanità, ma vocata anche ad un uso immediato e strutturato, che suggerisca i migliori approcci verso le magnifiche realtà che costituiscono la nostra memoria storica sul pianeta.. Quindi i “Luoghi Italiani Patrimonio dell’Umanità” anche come oggetto turistico di pregio e risorsa anche per chi si occupa di turismo e di promozione oltre che degli aspetti squisitamente culturali dei propri siti.

Le lingue straniere

Nell’intenzione di rendere il libro anche strumento promozionale, in quest’edizione è stata inserita, oltre a quell’inglese già presente dalla seconda edizione, anche la versione francese che, oltre ad essere la lingua ufficiale dell’Unesco, è un’altra lingua europea straordinariamente diffusa e significativa. Ogni testo italiano è stato quindi ridotto e tradotto in francese ed inglese per permettere la più ampia distribuzione anche ai lettori stranieri.

Gli Uffici Informazioni Turistiche

L’edizione 2009 contiene due pagine dedicate all’elenco degli Uffici turistici istituzionali dei vari siti, con rispettivi numeri di telefono e riferimenti vari. Il lettore potrà così, volendo,

non solo approfondire la propria conoscenza, ma costruire la propria visita secondo un’idea di turismo culturale specializzato “in Unesco” grazie ai contenuti delle informazioni della rete dei Siti Unesco.

I box geografici con le coordinate GPS

Il box geografico è promosso ad elemento fondante delle pagine, insieme con la motivazione e le informazioni geografiche specifiche del sito. In quest’edizione offre un quadro spaziale ampio ed articolato fornendo non solo le coordinate geografiche per i navigatori satellitari, ma anche le distanze in chilometri e le direzioni dei siti Unesco più vicini, nell’intento di stimolare il turista o il lettore ad assecondare l’intento della Guida e a creare il suo viaggio.


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I M M A G I N E LA SEGNALETICA TURISTICA PEDONALE: VERA RISORSA PER LE CITTÀ D’ARTE

PER ANDARE DOVE DOBBIAMO ANDARE... DA CHE PARTE DOBBIAMO ANDARE?

di FABIO ADRANNO alorizzare le risorse artistiche, culturali e urbanistiche di una città, in particolar modo di una città d’arte, è problema che richiede un approccio multidisciplinare. Inevitabile quindi, trattando di promozione turistica, considerare l’aspetto della comunicazione ed uno dei suoi temi più importanti: la questione dell’orientamento e della segnaletica turistica urbana. La progettazione di sistemi segnaletici funzionali è un tema fondamentale e delicato che coinvolge tutti gli ambienti complessi ove esista il problema della mobilità. Sistemi come quelli costituiti dai centri urbani richiedono soluzioni articolate, non semplicistiche, che tengano in-

sieme i diversi punti di vista e gli interessi in gioco. In particolare, l’obiettivo che la progettazione di segnaletica turistica pedonale deve porsi è quello di promuovere la conoscenza della città e, conseguentemente, la città stessa. Attraversare un luogo, non importa se per raggiungere una mèta o meno, è in fondo intraprendere un percorso di apprendimento, per certi versi di iniziazione. Esplorare un nuovo territorio urbano, in qualche caso anche perdersi in esso, esprime il desiderio di scoprire, allargare il proprio patrimonio esperienziale. Ed è proprio l’esperienza, nei suoi aspetti di percezione, che incrocia un altro tema di fondo: quello dell’impatto con l’ambiente. Il tema è delicato perchè è vero che la segnaletica deve in-


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Chi più ne ha...

durre al realizzarsi di un’esigenza cognitiva e pratica, ma deve farlo senza interferire negativamente con l’esperienza estetica e percettiva. La segnaletica deve svolgere il proprio compito senza invadere la risorsa, cioè la città stessa, al cui servizio vuole mettersi. Invasività e sovradimensionamento della segnaletica (soprattutto quella automobilistica) spesso installata nei centri storici quando le ZTL erano ancora poche e ristrette, sono sotto gli occhi di tutti. Segnali deteriorati, superati, aggiunti progressivamente in modo

disomogeneo e disarmonico sono spesso più dannosi che inutili. Occorre invece pensare a strumenti studiati apposta per la mobilità pedonale, che ha tempi, esigenze e modalità di lettura completamente opposti a quella veicolare (sempre più relegata fuori dai centri storici), e necessità estetiche particolari. Enfatizzare la qualità estetica del sistema segnaletico serve anche per aumentarne l’efficienza: oltre che “leggera”, la segnaletica pedonale deve essere chiara, presente e rassicurante, non solo per l’agevole fruizione dei luoghi d’interesse, ma anche per tornare di corsa, se serve, alla stazione o al parcheggio di partenza. La necessità di ripulire la città dai segnali in eccesso e sviluppare nel contempo un sistema unitario e coerente, duttile ai bisogni che possono mutare, deve guidare tutto il percorso progettuale. Può sembrare banale ma non lo è affatto: la forza di un buon progetto di segnaletica sta nel fatto che l’obiettivo che persegue deriva da un interesse vero di committenti e amministratori per produrre un risultato concreto con soluzioni tecniche efficaci e durevoli. Tornando alla questione originale, all’obiettivo di promuovere la conoscenza della città, non si può non considerarlo strettamente collegato alla questione temporale. Si deve partire da un dato di fatto: nel mondo in cui viviamo, l’accelerazione di tutte le attività veicolari e di tutte le trasmissioni di informazione

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sta facendo saltare i tempi necessariamente più lenti della comunicazione. L’incessante iperstimolazione sensoriale a cui tutti siamo sottoposti nelle città, e soprattutto nei luoghi della mobilità, come stazioni e strade ad alta densità di traffico, produce una specie di assuefazione per eccesso. Contemporaneamente, in altri punti, succede il contrario: stimoli e informazioni mancano quasi del tutto in una sorta di altalena tra opposti. In molti borghi e città d’arte, per fortuna ancora vivibili, la situazione non è sempre così drammatica. Qui è ancora possibile inseguire la sostenibilità del sistema di orientamento, tra assolvimento del servizio alla mobilità delle persone e rispetto del contesto urbano. La città che si offre, con il suo patrimonio culturale, storico e artistico è essa stessa il servizio e la segna-

letica non ne è disgiunta: ne fa parte integrante. Essa non è, come viene purtroppo spesso considerata, un lusso, un “di più”. Essa è parte integrale, se non cruciale, del servizio di fruizione della città e della resa delle informazioni necessarie a valorizzarla e farla “conoscere”. Al pari di altri servizi essa contribuirà alla costruzione di un’esperienza gradevole e positiva. La teoria della corporate identity, considera esattamente la possibilità di contribuire alla costruzione dell’identità con interventi e programmi sistemici. La consapevolezza e l’ambizione di costruire un tassello significativo di questa visione identitaria non può essere estraneo alla progettazione segnaletica. Il sistema diventa così l’interfaccia diffusa della città, che parla un linguaggio identitario e più omogeneo. Di questo sistema potranno far


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parte anche alcuni prodotti editoriali turistici: mappe che riproducono i percorsi proposti dalla segnaletica e opuscoli informativi sullo stesso tema, così come un coordinamento delle resa online delle stesse informazioni. Forma del segnale, dimensioni, caratteri, colori e materiali sono in un certo senso lo strumento con cui il servizio è reso. Esso dovrebbe essere quanto possibile visibile quando serve e invisibile, nel senso di essere discreto e poco appariscente, quando non serve, nella consapevolezza di non potere, e la scelta di non volere, dare troppe informazioni. Il sistema visivo deve essere il più possibile semplificato e accessibile. Maggiore è il numero dei turisti, e quindi più varia la

Inutili o dannosi?

sua composizione, minore sarà il livello delle convenzioni grafiche condivise e della stessa abilità visiva media. Segnali che non aiutano o non ci sono quando dovrebbero, diventano subito fin troppo visibili e concreti. La non-presenza o la presenza poco funzionale di segnaletica ha un impatto negativo sulla fruizione del servizio, sul processo di conoscenza della città. La sfida riguarda quindi la capacità di fornire informazioni dove, come e quando servono. È qui infatti che il rischio di disturbare la risorsa “estetica” dei luoghi da promuovere è maggiore. La segnaletica, per quanto ridotta, essenziale e discreta, non è allo stato totalmente sopprimibile dalle pareti della città storica perchè è proprio lì che essa serve. È vero: questa considerazione getta lo sguardo su uno scorcio diverso e futuribile a cui guardare già oggi, come quello dell’utilizzo di sistemi di orientamento immateriali, basati sulla teletrasmissione di informazioni precise e dettagliate direttamente ad utenti attrezzati a riceverle. Ma oggi, per la mag-

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gioranza dei fruitori potenziali e per molto tempo ancora, il segnale fisico rimane fondamentale. Il segnale è elemento importante dell’orientarsi: spesso infatti iniziamo a relazionarci realmente con un luogo solo quando lo stiamo attraversando. Non solo perchè non tutti studiamo in anticipo i luoghi dove dovremo muoverci, ma anche perchè la visita, il perdersi, sono frutto di azioni volutamente o inconsapevolmente non programmate nel dettaglio. Il processo di “esplorazione” può richiedere allora un aiuto, laddove i riferimenti per orientarci da soli non sono più sufficienti. La città assolve in questo preciso momento ad una funzione di accoglienza. Se sarà in grado di farlo in modo adeguato si dimostrerà attenta e premurosa. Ma potrà anche operare scelte più impegnative, quali quella di disvelare alcuni scorci poco conosciuti, assecondare o ridisegnare i flussi delle persone, incrementarli o, al contrario, decrementarli. Se dunque è così importante per un luogo di cultura o una città d’arte disporre di un adeguato sistema di segnaletica turistica pedonale, viene da domandarsi perché nel nostro Paese ve ne siano ancora così

pochi validi esempi. Vale o no la pena investire sulla progettazione segnaletica? Noi (progettisti), ovviamente, siamo dell’idea che un sistema di indicazioni funzionale ed efficiente sia non solo utile ma indispensabile per la valorizzazione dei luoghi d’arte e di cultura e lo sviluppo della risorsa turistica.


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CLASSIFICAZIONE E MONITORAGGIO DEI BENI CULTURALI

HERITY E L’UNESCO: RICONOSCERE LA QUALITÀ DEL “VALORE ECCEZIONALE” di GAIA MARNETTO ilevanza operativa, fondamento scientifico e credibilità” con queste parole il Direttore del Centro del Patrimonio Mondiale UNESCO, Francesco Bandarin, sintetizza i risultati del sistema di certificazione introdotto da HERITY. Tra i Beni Culturali materiali sono ormai certificati, dopo anni d’intenso lavoro, chiese, musei, biblioteche, archivi, siti archeologici, ecomusei, e monumenti in generale, pubblici e privati purché aperti al pubblico. È infatti il pubblico il destinatario della certificazione di qualità HGES (HERITY Global Evaluation System) perché i flussi turistici sono pur sempre il risultato di scelte operate per diversi motivi: a volte sono la moda o la visibilità, a volte sono indicazioni trovate sulle guide oppure luoghi consigliati, “da vedere”. Sì, ma quanto è elevata per il visitatore la consapevolezza della qualità del bene che vuole visitare e dello sforzo dei gestori per garantirne una buona fruizione? Migliorare quello che ci “appartiene” da vicino

è per tutti naturale, per i figli si cerca la scuola migliore, per il cibo il miglior rapporto qualitàprezzo; ma allargando il punto di vista al Patrimonio Culturale, che è di tutti e del quale siamo singolarmente responsabili, il comune senso di vigilanza viene un po’ meno e ci si affida a canali di controllo diversi, perché direttamente non si può o non si vuole gestire sistematicamente tutto. HERITY si incontra con l’esigenza del pubblico di avere uno strumento che non solo aiuti a chiarire il livello di qualità di un bene, ma che in più coinvolga chi viene a contatto con questo nella percezione della rilevanza, della conservazione, della comunicazione e dei servizi offerti da quel sito, e il cui giudizio affianchi quello degli esperti del settore. Chi oggi varca la soglia del Pantheon a Roma, trova esposto in biglietteria il bersaglio HERITY, che non dà solo la sintesi del livello raggiunto nei quattro settori coinvolti nella certificazione (cfr. Siti n°2/2005 pag. 32) ma anche il riferimento ad un preciso arco temporale, dal 2008 al 2010, in cui si sono riscontrati quei risultati. Certificazione di qualità vuol dire anche “monitoraggio continuo”, perché il bene culturale deve Il Pantheon


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essere inteso come un “organismo” e non come un luogo. La sua gestione tiene conto di variabili collegate tra loro, perciò anche la valutazione dovrà rispettare questo dinamismo, per essere credibile. I Beni Culturali riconosciuti dall’UNESCO come di “valore universale eccezionale”, essendo tra i più esposti al pubblico interesse, sono monitorati dai loro responsabili al fine di mantenere un’elevata qualità. Tuttavia, una novità dello scorso dicembre è la proposta da parte dell’UNESCO di studiare, sulla base dei principi di HERITY, gli scenari del mondo delle città d’arte ad alta pressione turistica, partendo da un’area pilota in Italia, ancora da individuare.

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In effetti esiste un paradosso nel caso dei siti aperti al pubblico: gli obiettivi del gestore sono la fruizione e la trasmissione di valori culturali, ma questo sforzo si scontra con la conservazione di quel bene che inevitabilmente così si “consuma”. Come trovare quindi il giusto equilibrio fra queste esigenze? Una risposta concreta sono gli strumenti di pianificazione e controllo dei processi e l’informazione/educazione/coinvolgimento del pubblico. La prevenzione garantisce di limitare gli eventi critici e, in particolar modo in questo campo dove si ha a che fare con risorse non rinnovabili, si devono programmare sia un controllo di progetto che di metodo. Il Project Cycle Ma-

Le conclusioni della Prima Conferenza Internazionale HERITY Roma, 5-9 Dicembre 2006 Raggiunte con il contributo di ICCROM, UNESCO-WHC, UN-WTO, HERITY INTERNATIONAL

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al punto di vista della Cultura, non esistono Paesi poveri al mondo: ogni territorio ha una Ricchezza Culturale significativa e senza prezzo. Questo Patrimonio costituisce la memoria collettiva dell’Umanità. Trattandosi di una risorsa non rinnovabile, il Patrimonio Culturale dovrebbe essere gestito secondo principi di qualità, assicurandone la preservazione nel contesto di uno sviluppo sostenibile. Per questo: 1) E’ essenziale, oggi, avere una chiara classificazione di monumenti, siti e musei per orientare gli operatori del turismo e il pubblico in generale, permettendo al visitatore di avere una comprensione migliore dei luoghi che visita, in modo da motivarlo sempre di più a sostenerne la conservazione, la gestione e il lavoro degli specialisti. 2) Monumenti, siti, musei, biblioteche e archivi non dovrebbero essere classificati semplicemente come luoghi di “prima” o “seconda” classe, ma riconosciuti per il significato che essi hanno per uno o più gruppi di persone e per la capacità di trasmettere il messaggio che incarnano; cosa che include le loro caratteristiche correlate, lo stato di conservazione, l’informazione trasmessa, i servizi offerti. Conseguentemente, i sistemi di classificazione esistenti dovrebbero essere aggiornati e, possibilmente, unificati. 3) In questo processo il turismo può essere un fattore chiave per i siti culturali, generando una maggiore consapevolezza del loro valore come pure risorse finanziarie per migliorare gli sforzi per la loro conservazione. Conseguentemente il turismo nei luoghi di cultura dovrebbe essere gestito avendo in mente principi di qualità e di sostenibilità. 4) Per raggiungere questi obiettivi la Gestione del Patrimonio Culturale dovrebbe essere una priorità nell’immediato futuro; in aggiunta, la salvaguardia e la valorizzazione del Patrimonio Culturale dovrebbe essere considerata una responsabilità collettiva in tutto il mondo.

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nagement è uno strumento che permette di verificare in corso d’opera l’aderenza agli obiettivi prefissati, quindi allineare i risultati con le attese, a partire da sostenibilità e compatibilità, concetti che HERITY, dal 1996, definisce rispettivamente come “capacità di permanere e crescere nel tempo oltre l’input iniziale” e “rispetto del contesto in cui il bene si inserisce”. Entrando nello specifico, la prima Conferenza internazionale HERITY dal tema “Classificare i monumenti aperti al pubblico: criteri, metodi, finalità usi”, del dicembre 2006, i cui atti sono stati editi in questi giorni, ha gettato le basi per un linguaggio condiviso nel campo della certificazione di qualità, a partire proprio da casi di studio, piccole e grandi realtà del Patrimonio Culturale.

“Misurare il Valore del Patrimonio Culturale Materiale” è invece il tema della seconda Conferenza, ospitata ancora una volta a Roma lo scorso dicembre 2008 e rappresenta il primo dei quattro appuntamenti concepiti come un focus su altrettanti settori che compongono il bersaglio HERITY. I numerosi contributi hanno messo in evidenza in modo particolare la tensione tra valore culturale e valore economico. È una questione ancora aperta, ecco perché si torna a parlare dell’ambivalenza del concetto di “sviluppo sostenibile”. È chiaro a tutti che i Beni Culturali richiedono tanti punti di equilibrio perché ormai toccano trasversalmente numerose discipline; è anche per questo che promuovere un dibattito internazionale sta portando grandi risultati.


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IL CENSIMENTO DEGLI ISTITUTI CULTURALI ECCLESIASTICI NEL PROGETTO DI INVENTARIAZIONE INFORMATIZZATA DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

IL PATRIMONIO CULTURALE DELLA CHIESA CATTOLICA

di DON GIANMATTEO CAPUTO Responsabile Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici del Patriarcato di Venezia uante volte ci si è chiesti quale sia l’importanza del patrimonio culturale ecclesiastico e come sia distribuito sul nostro territorio? Quanto spesso si sono cercati i riferimenti per risalire alle fonti e ai documenti che ne danno testimonianza? Come potersi orientare fra le sedi e i soggetti istituzionali che di questo patrimonio sono i custodi e conservatori? A queste domande cerca di dare una prima risposta il progetto dell’Anagrafe degli istituti culturali ecclesiastici italiani, che sfruttando l’agilità e le potenzialità di uno strumento on-line semplice nell’uso e allo stesso tempo rispettoso degli standard consente di raccogliere e distribuire le informazioni che consentono di rispondere a queste e altre domande. Si tratta di un ambizioso progetto che l’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana presenterà all’interno di Koinè, XIII Rassegna internazionale di arredi, oggetti liturgici e componenti per l’edilizia di culto (Vicenza, 18-21 aprile 2009) durante una giornata di studi dedicata al tema degli inventari ecclesiastici.

L’iniziativa vede coinvolti musei, archivi e biblioteche della Chiesa cattolica italiana, con priorità alle strutture diocesane, e intende offrire agli utenti della rete un dettagliato servizio di informazione. Se voglio organizzare una gita a Vicenza per il week-end con la mia famiglia avrò interesse a conoscere tutti i musei della città e dintorni. Dove si trova il museo diocesano di Vicenza? Come posso avere informazioni? Quando è aperto? Ha un biglietto d’ingresso? Prevede visite guidate? Oggi la rete offre queste informazioni attraverso una ricerca affidata ai motori che cercano nei diversi siti le richieste dei navigatori. Ma spesso ci si scontra con risultati non del tutto corretti e coerenti, con quello che in linguaggio tecnico viene definito il rumore dei risultati, tanto che interrogando la rete con il nome di una chiesa si può ottenere come risultato una serie di pagine che pubblicizzano dei bed & breakfast. Per questo la C.E.I. ha pensato di predisporre un servizio la cui cura è affidata direttamente ai responsabili delle istituzioni in modo che le informazioni possano essere costantemente verificate e aggiornate. L’evidenza dell’urgente opportunità

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Città del Vaticano

Koinè: arte, progettazione e ricerca al servizio della liturgia

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’imminente edizione di Koinè, che si svolgerà a Vicenza dal 18 al 21 aprile 2009, celebrerà il ventennale della manifestazione, nata proprio nel quartiere fieristico vicentino nel 1989 come primissimo esempio di evento espositivo capace di stimolare nuove dinamiche di comunicazione e interscambio fra quanti operano e sono interessati al variegato mondo degli arredi liturgici e dell’edilizia di culto. In questi 20 anni la rassegna ha offerto al mondo produttivo del settore un contributo di idee, proposte e stimoli creativi coinvolgendo architetti, designer e liturgisti nell’approfondimento degli orientamenti tracciati dal Concilio Vaticano II e dalle note liturgiche CEI. Trecentoventi gli espositori internazionali tra aziende, artigiani, artisti, fornitori della Chiesa e della Filiera distributiva religiosa mondiale che quest’anno parteciperanno a questa vetrina espositiva, unica per qualità e presenze. Mostre, retrospettive, giornate di studio per liturgisti, architetti, designer e operatori del settore animeranno le quattro giornate della manifestazione. Di grande interesse, inoltre, la sezione dedicata alla ricerca scientifica, nella quale sarà allestita una mostra sul design degli oggetti per uso liturgico. Info: www.koinexpo.com

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offerta dal progetto è implicita. Per gli archivi, le biblioteche e i musei aderenti all’Anagrafe è uno strumento di tutela e valorizzazione che non ha precedenti per organicità e trasversalità del materiale raccolto e per la semplicità di integrazione e aggiornamento dei dati. La messa in rete di queste informazioni è autorizzata, sezione per sezione, dal responsabile dell’istituto di cultura e prevede il passaggio, per presa visione, dall’incaricato diocesano. Tutti quei dati ritenuti sensibili o inopportuni alla pubblicazione in rete rimarranno patrimonio dei soli utenti autorizzati. Per gli utenti finali, il solo inserimento dell’indirizzo della struttura permetterà una precisa collocazione nelle mappe GPS - sempre a disposizione sullo schermo; numeri di telefono, fax e e-mail faciliteranno i contatti; e l’erogazione di servizi on-line, come l’acquisto di biglietti o la prenotazione di una visita guidata, agevolando la presenza nei centri di cultura. Naturalmente si possono estendere le ricerche intrecciando interessi diversi sul territorio e adoperando il cross domain, ovvero le richieste su più tipologie. Se sono uno studente in procinto di stendere la mia tesi di laurea, può essere utile sapere quanti e quali archivi, biblioteche e musei ecclesiastici esistono nella mia Regione, e ancor di più conoscere il patrimonio in essi conservato. Ciò non sarà più impossibile dal momento che potrò consultare prima il luogo di conservazione e poi andare nel dettaglio del patrimonio custodito; quest’ultimo schedato e inventariato nella piena aderenza degli standard catalografici nazionali e internazionali di settore, anche con le relative immagini digitali, quando previsto dalle normative. Il progetto, già tecnicamente definito e realizzato, entra ora nella fase operativa. L’Ufficio

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nazionale per i beni culturali ecclesiastici ha già provveduto a recuperare i dati delle istituzioni ecclesiastiche già raccolti in passato grazie ad un proficuo lavoro di confronto con l’ABEI e l’AMEI da una parte, e con l’Istituto Centrale per il Catalogo Unico e le informazioni bibliografiche del MiBAC dall’altra. L’appuntamento di Vicenza costituirà la prima grande presentazione ufficiale ai responsabili e operatori che potranno verificare le potenzialità del sistema e conoscere come procedere per l’aggiornamento e completamento delle descrizioni caricate on line da questi precedenti inventari. Il progetto viene in questa prima fase avviato all’interno della rete intranet per poi convogliare nel più ampio e articolato Portale dei beni culturali della Chiesa cattolica di futura pubblicazione sulla rete internet per tutti gli utenti della rete.


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L’ENOGASTRONOMIA: STRATEGICA CHIAVE DI ACCESSO AI VALORI E ALLE RADICI DEL TERRITORIO

PER UN MONDO DI GUSTO di ANNALISA BALDINELLI piegare la motivazione che induce le persone a viaggiare è estremamente complesso. Si riferisce certamente ad uno stato di bisogno percepito dall’individuo come una carenza, che spinge ciascuno di noi a ricercare quel qualcosa che possa ridurre o eliminare tale stato negativo. Tra le nuove motivazioni che inducono gli individui a viaggiare vi è senza dubbio quella enogastronomica, che coinvolge un numero sempre maggiore di appassionati che hanno scoperto come filo conduttore e motivazione dei loro viaggi, la ricerca

dei sapori e di tradizioni autentiche. Assunto che ogni popolo ha gusti alimentari differenti che rispondono a diverse necessità biologiche dell’organismo e che dipendono dalle condizioni climatiche dell’ambiente circostante, il cibo assume un nuovo ruolo, divenendo espressione di una cultura e di valori saldamente legati al territorio di riferimento e alle sue radici. Non dimentichiamoci che il cibo arriva ad assumere significati simbolici nella nostra società, si pensi ad esempio alla tradizione dei confetti e del riso per i matrimoni, della torta di compleanno, dei dolci legati alle feste: Natale, Pasqua, Carnevale. Per il turista enogastronomico, l’Italia e tutta l’area del Mediterraneo sono senza dubbio una meta privilegiata riconoscendo ai prodotti gastronomici un elemento di connotazione identitaria dei Paesi di riferimento (si pensi alla paella per la Spagna, al vino per l’Italia e la Francia, all’olio ancora per l’Italia, alle olive per la Grecia, ai datteri per il Marocco e al cuscus per i Paesi Arabi…). Il pensiero comune è quello di vedere l’area del Mediterraneo come sinonimo di “buona cucina”. Gli stessi prodotti italiani sono divenuti tanto appetibili nel mondo da riscontrarsi la nascita di un “mercato dei falsi”, comportando un decremento del valore originario del prodotto stesso, che per difendersi è costretto ad aumentare il prezzo di vendita sul mercato. Difficile poi diventa giustificare tale prezzo agli occhi dell’acquirente se non ha la possibilità di conoscere come viene realizzato, quali sono le materie prime

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300 denominazioni di origine, 4000 specialità tradizionali, 150 “strade dei vini e dei sapori”, 18.000 agriturismi e circa 60.000 fra frantoi, cantine, malghe e cascine

utilizzate e le lavorazioni per la realizzazione del prodotto finale che lo differenziano dal prodotto contraffatto. In Argentina esiste, ad esempio, il “Reggianito”, in Brasile il “Parmesao”, in Pennsylvania il “Classic basil Pesto”, in California il “Chianti Forest Ville” o addirittura il “Sangiovese” e l’olio extra vergine di oliva. Si è quindi compreso che esistono due tipologie di turista enogastronomico. Il primo si muove in funzione del cibo e solo in un secondo momento si interessa all’ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico o architettonico. È questo vero turismo enogastronomico? Vi è, invece, il turista che non si accontenta di assaggiare un buon salume o di bere un eccellente bicchiere di vino, ma vuole sapere di più, vuole conoscere il produttore e visitare il laboratorio, il frantoio, la cantina in cui è stato prodotto. L’elemento cibo diventa così solo un pretesto per andare alla scoperta del territorio sul quale insistono i prodotti. Si comprende allora il grande successo che hanno avuto e continuano ad avere gli agriturismi, che favoriscono la valorizzazione del territorio, soprattutto per chi

Vigneti a Montalcino

vive normalmente in contesti fortemente lontani dalla realtà che si trovano a visitare. Le culture locali si sentono quindi sempre più coinvolte nel riscoprire le proprie tradizioni, con lo scopo di coltivare, far conoscere e promuovere la propria originalità nel mondo. Ci si è resi conto che il “sistema cibo”, può essere considerato una vera e propria chiave di marketing territoriale per attrarre i visitatori a conoscere le realtà originali di produzione. Gli enti locali nutrono un fortissimo interesse verso questa forma di turismo perché permette di far conoscere il territorio creando il cosiddetto indotto e si adoperano al fine di far conquistare ai prodotti certificazioni riconosciute in tutto il mondo quali la DOP, la DOC, la DOG, l’IGP, la DOGP. Una volta ottenuto il connubio perfetto che lega il prodotto al territorio e una volta portato a conoscenza del grande pubblico, il gioco è fatto. Grazie agli incentivi che gli enti locali possono offrire ai produttori, riescono ad innescare un meccanismo di promozione e pubblicità a costo zero che coinvolge non solo il bene ma tutto il territorio,

Un’acetaia modenese

stimolando l’interesse a conoscere l’intera area geografica che a sua volta ne beneficia. In questo modo ad essere coinvolti nel circuito sono numerosi soggetti che divengono contemporaneamente soggetti attivi e passivi del sistema. All’interno della categoria turista enogastronomico si possono riscontrare comportamenti diversi attribuibili ai nostri turisti e che hanno fatto sì che si distinguessero categorie differenti: il foodtrotter, il gastronauta e il gastronauta motivato da un evento. Ecco allora che si affaccia sulla scena quel turista, il foodtrotter, che vuole trascorrere una vacanza, anche di breve periodo, dove il giacimento goloso è l’elemento centrale del viaggio ma non l’unico, perché un ruolo importante lo giocano anche altre risorse del territorio. C’è poi il gastronauta, che è, invece, attirato dal prodotto raro, lavorato manualmente, legato al territorio e che rappresenta l’unico motivo del viaggio. E’ presente

in lui il desiderio di degustarlo, di conoscere come e dove viene prodotto, i segreti e le potenzialità del prodotto stesso e le ricette con l’intento poi di farlo conoscere ad amici e parenti. Vi è, infine, il gastronauta legato ad un evento che si muove con lo scopo di visitare una manifestazione: il Salone del Gusto di Torino, Eurochocolate a Perugia, Frantoi aperti, Cantine aperte, le innumerevoli Fiere del tartufo, ecc. Al nostro turista insomma non mancano le occasioni per poter viaggiare gustando i sapori e imparando a conoscere le tradizioni dei territori che visita, riscoprendo l’autenticità del luogo e avendo la possibilità di compiere un viaggio autentico, grazie agli ormai irrinunciabili mezzi che ha a disposizione quali: Internet (numerosi sono i siti dedicati al turismo enogastronomico), la televisione con rubriche e servizi dedicati e le riviste specializzate.


LA MOSCHEA MEIDAN EMAM AD ISFAHAN IN IRAN

UNA PASSEGGIATA NELL’ALTRA METÀ DEL MONDO

di LUCA ROSSATO

sfahan nesf-e jahan, Isfahan è la metà del mondo, con questa bizzarra rima veniva descritta anticamente la città iraniana di Isfahan, splendida perla mediorientale famosa per la bellezza dei suoi edifici. Collocata nell’Iran centrale a quattrocento chilometri a sud dalla capitale Teheran, Isfahan è uno di quei luoghi in cui è difficile non rimanere ammaliati dallo splendore dell’antica Persia, scrigno colmo di miti e leggende, grandi sovrani e abili artisti. Più di un milione e mezzo di persone affollano i diversi quartieri, un insieme

di umanità che a prima vista può lasciare spaesati in un territorio dalla cultura e dalle tradizioni così diverse da quelle europee. Per le alberate vie della città nuova, mentre si cammina tra le masse di persone in movimento, capita a volte di essere fermati in quanto occidentali e di essere oggetto di curiosità e domande poste specialmente dai più giovani. Spesso si è invitati ad entrare nelle scuole coraniche e nelle diverse moschee, all’interno delle quali si trova sempre un rifugio ospitale contro il calore diurno e dove vengono offerti tè e pasticcini come segno di ospitalità verso persone gradite.


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Così come gli abitanti anche la grande piazza nel cuore della città lascia sbalorditi, per le sue dimensioni (è la seconda piazza al mondo dopo quella di Tiananmen a Pechino) e per la raffinatezza degli edifici posti lungo il suo perimetro. Imam Square viene iscritta nella lista del patrimonio mondiale dall’UNESCO già nel 1979 per l’evidente valore artistico dei suoi edifici e come testimonianza della vita sociale e culturale dei persiani nell’ultimo periodo dell’epoca safavide durante il XVII secolo. Con una lunghezza di più di mezzo chilometro, lo spazio aperto della piazza intimorisce per

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la sua vastità all’interno della quale l’occhio è immancabilmente rapito dalle morbide forme delle coperture degli edifici principali. Le diverse cupole delle due moschee fatte costruire dallo Scià Abbas I, catturano lo sguardo ed attraggono il visitatore con gli sgargianti colori delle loro piastrelle decorate. Tra queste si trova la moschea dell’Imam, definita da molti come una delle più belle del mondo islamico, sicuramente un capolavoro per le perfette proporzioni delle sue architetture. Il portale d’ingresso all’edificio, costato quattro anni di duro lavoro alle mae-

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DALLA CULLA DELLA CIVILTÀ SPUNTANO NOVE GEMME

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ltre ad Isfahan, altri otto Siti iraniani fanno parte della World eritage List Unesco:

• Persepoli (1979) Criteri: (i)(iii)(vi) Fondata da Dario I nel 518 a.C., Persepoli è stata una delle cinque capitali dell’impero achemenide. L’importanza e la qualità delle monumentali rovine ne fanno un sito archeologico di straordinaria importanza. • Tchogha Zanbil (1979) Criteri: (iii)(iv) Fondata nel 1250 a.C., è la città santa del Regno di Elam. Circondata da tre enormi muri concentrici, la città, come dimostra il ritrovamento di migliaia di mattoni inutilizzati, è rimasta incompiuta dopo l’invasione di Ashurbanipal, • Takht-e Soleyman (2003) Criteri: (i)(ii)(iii)(iv)(vi) Il sito, che ha fortemente influenzato l’intero sviluppo dell’architettura islamica, comprende un santuario zoroastriano del XIII secolo e un tempio del periodo Sasanian (VI-VII secolo) dedicato a Anahita. • Bam e il suo paesaggio culturale (2004) Criteri: (ii)(iii)(iv)(v) Arg-e Bam è l’esempio più rappresentativo di città fortificata costruita durante l’impero partico con la semplice tecnica degli strati di fango. • Pasargadae (2004) Criteri: (i)(ii)(iii)(iv) È stata la prima capitale della dinastia achemenide, fondata da Ciro il Grande nel VI secolo a.C. Eccezionale testimonianza di arte e architettura persiana. • Soltaniyeh (2005) Criteri: (ii)(iii)(iv) La città di Soltaniyeh è stata la capitale della dinastia Ilkhanid, fondata dai mongoli. Il mausoleo di Oljaytu, costruito nel 1302-12, conserva la più antica doppia cupola del mondo. • Bisotun (2006) Criteri: (ii)(iii) Il principale monumento di questo importante sito archeologico è il bassorilievo con iscrizione cuneiforme ordinato da Dario I Il Grande quando salì al trono dell’impero persiano nel 521 a.C. È l’unica iscrizione monumentale achemenide conosciuta sulla rifondazione dell’impero. • I monasteri armeni dell’Iran (2008) Criteri: (ii, iii, vi) Luoghi di culto che mostrano un panorama molto ampio e raffinato degli aspetti architettonici e decorativi offerti dalla cultura armena nella sua relazione con le altre culture regionali: ortodossa bizantina, assira, persiana, musulmana.

Cupole e minareti della moschea dell’Imam


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La grande piazza della moschea dell’Imam

stranze dello Scià, è interamente rivestito da un mosaico con disegno solo apparentemente simmetrico che se analizzato da vicino mostra chiare discrepanze volute proprio dagli artisti autori dell’opera in segno di umiltà nei confronti di Allah, l’unico perfetto. Spostandosi poi nei cortili interni, raggiungendo la grande vasca per le abluzioni, si gode della fantastica vista delle sue cupole e degli alti minareti azzurri con mosaici finemente decorati e piastrelle recanti iscrizioni calligrafiche. Altro edificio posto a breve distanza, di grande bellezza anche se di minori dimensioni, è la moschea dello sceicco Lotfollah, opera di straordinario valore artistico dedicata dallo Scià

al suocero, ed usata in passato principalmente dalle donne dell’harem del sovrano. In questo caso il colore tenue delle piastrelle della cupola le permette di assumere diverse tonalità durante il corso della giornata fino ad incendiarsi all’ora del tramonto di un rosso vivo. Ciò che colpisce in questi spazi religiosi sono l’alternanza di luci naturali ed ombre all’interno degli stessi, prezioso esempio di una progettazione che esalta la sacralità di questi luoghi ed invita a sedersi ed a contemplare i raffinati mosaici illuminati dai raggi solari filtrati dalle grate di pietra sapientemente traforate. Dopo un tortuoso percorso attraverso scale affrescate (anche se irrimediabilmente danneggiate durante la rivoluzione islamica) si giunge

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alla terrazza del palazzo di Ali Qapu, fatto costruire dallo Scià come porta d’accesso dalla piazza ai maestosi giardini circostanti; passeggiando tra le diciotto colonne lignee che sostengono la sua copertura e beneficiando della brezza costante che anche il sovrano adorava, si ha un’affascinante veduta d’insieme della piazza: si possono così ammirare da una differente prospettiva le cupole della moschea dell’Imam, le perfette dimensioni della moschea minore ed il portale di accesso al bazar, vero cuore pulsante della città. Qui, nelle sue infinite gallerie commerciali, illuminate un tempo solo da lucernai posti nelle volte del tetto, pare di penetrare uno spazio perso nel tempo. Il forte odore di spezie permea ogni ambiente ed una folla indaffarata in mille trattative cattura lo sguardo più di ogni altra cosa. Il perdersi in questi meandri diventa allora un’esperienza degna di essere vissuta seguendo il luccichio di vetrine colme d’oro o il sordo suono di un artigiano che modella una pentola di rame. A volte, nelle polverose gallerie, nel bel mezzo del fiume

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umano di persone, una motoretta o un carretto colpiscono qualcuno: si crea sempre un capannello di gente attorno, più che altro curiosi, ma nessun insulto, nessuna minaccia, lascia sbigottiti la calma totale degli iraniani. Gli altri passanti scorrono attorno indifferenti, come l’acqua di un ruscello di montagna si scontra e poi scivola attorno al sasso che sporge dal suo letto non curandosene. Forse sarò impopolare nell’affermare che il tentativo di alcuni paesi di resistere alle influenze dell’occidente è condivisibile ma studiando la storia di questa regione così densa di saperi e di antiche tradizioni non può che nascere in tutti noi una spontanea ammirazione e simpatia verso un universo così ricco di diversità. Citando il grande Tiziano Terzani, vorrei ricordare che a noi può parere strano ma ci sono ancora oggi nel mondo persone che non aspirano ad essere come noi, che non inseguono i nostri sogni, che non hanno le nostre aspettative ed i nostri desideri, che sono semplicemente diverse da noi ma che portano con se un’umanità che forse noi abbiamo perduto per sempre.

Decorazione della cupola della moschea dello sceicco loftollah


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UN’ORIGINALE CHIAVE DI LETTURA DEL PAESAGGIO CULTURALE

I PARCHI LETTERARI® DI STANISLAO NIEVO

di STANISLAO DE MARSANICH l criterio con il quale negli ultimi anni è stato proposto il tema della valorizzazione del patrimonio culturale, consiste nel recuperare sul territorio un insieme di risorse culturali materiali ed immateriali che siano l’espressione vivente di una realtà locale, del suo passato ma anche di un suo futuro sviluppo. Un principio, questo, sviluppato dalla Convenzione Europea del Paesaggio ed indicato nei criteri Unesco per i Paesaggi Culturali da inserire nella lista del World Cultural Heritage. Un Paesaggio Culturale può essere un giardino, un parco, una zona rurale, urbana o industriale; ma può essere anche un Paesaggio Culturale integrato, ovvero un paesaggio che associ un elemento naturale ad un fatto religioso, artistico o storico. Si tratta di una evoluzione sensibile dell’idea di patrimonio, non più legato a monumenti isolati ma ad un luogo, che supera la netta separazione tra natura e cultura e che soprattutto prevede la partecipazione attiva delle popolazioni ad un processo di riappropriazione della propria identità. Il paesaggio diventa così comprensione del territorio, testimonianza dell’evoluzione dell’interazione tra uomo e ambiente ed identificazione delle sensibilità locali, delle credenze e delle tradizioni. Un territorio incontaminato che ad un visitatore può sembrare vergine ed addirittura selvaggio, agli occhi di un nativo può rappresentare un libro aperto sul proprio

passato, la propria storia, i propri miti; è bello potere pensare che sia poi anche l’arte dei pittori, dei cineasti, dei compositori, dei fotografi e degli scrittori ad aiutare questi territori a svelarsi e ad identificarvi dei veri e propri percorsi culturali. L’idea che Stanislao Nievo ebbe più di venti anni fa di tutelare il paesaggio attraverso la chiave dell’ispi-

Il Parco D’Annunzio ad Anversa degli Abruzzi (AQ)

Il Parco Carducci a Castagneto (LI)

razione letteraria si inserisce perfettamente in questo contesto. I Parchi Letterari di Nievo sono angoli magici, i luoghi dell’ispirazione di grandi autori e poeti, luoghi ancora presenti nel paesaggio. Un ponte tra natura e cultura che apre nuovi orizzonti in antichi panorami; un ponte di cui già 150 anni prima il prozio Ippolito confessava l’importanza. I Parchi Letterari sono appunto parti di territori caratterizzati da diverse combinazioni di elementi naturali e umani che illustrano l’evoluzione delle comunità locali attraverso la letteratura. Sono i luoghi stessi che comunicano le medesime sensazioni che hanno ispirato tanti autori per le loro opere e che i Parchi pretendono di fare rivivere al visitatore elaborando interventi che ricordano l’autore, la sua ispirazione e la sua creatività, attraverso la valorizzazione dell’ambiente, della storia e delle tradizioni

di chi quel luogo abita. Le comunità locali hanno cercato e spesso trovato nei Parchi Letterari un aiuto nel rinvigorimento del proprio orgoglio di appartenenza, ed hanno nella maggior parte dei casi colto opportunità di sviluppo compatibile legate al turismo, all’ambiente, alla cultura. Molte delle più celebri opere letterarie e poetiche, ambientate in luoghi reali legati alla vita o alle vicende di un autore o scelti per affinità culturale, possono offrire un metodo nuovo di interpretazione dello spazio; consentono anzi di reinterpretare il territorio e di dare un significato ai luoghi in un equilibrato connubio tra paesaggio, patrimonio culturale e attività economiche, in cui l’esperienza del passato rivela una proposta per il futuro. Il lettore dispone così di una chiave di lettura che stimola la visita di luoghi altrimenti considerati solo


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Dove sono i “Parchi letterari”?

Il Parco Pasolini a Ostia (RM)

per il loro panorama: un viaggio reso reale ed attuale dall’incontro con personaggi viventi che introducono ad un racconto inseparabile dalla località che li ospita. Il risultato è che una visita ai territori leviani di Grassano ed Aliano compresi nel Parco Levi in Basilicata, ci rende inevitabilmente protagonisti del Cristo si è fermato ad Eboli; così come passeggiando per Anversa degli Abruzzi non si può non essere coinvolti dalle sensazioni che ispirarono D’Annunzio nella stesura de La

Fiaccola sotto il Moggio, ambientata in quello che oggi è considerato a ragione uno dei Borghi più belli d’Italia; per non parlare poi dei cipressetti, dei villaggi, delle sgambate e delle pantagrueliche mangiate di carducciana memoria nel territorio di Castagneto. Una sfida, quella di Nievo, che è diventata una realtà in molte parti del Paese e che conta oggi una ventina di Parchi dal Nord al Sud, da Dante a Savarese, da Montale a Campanella. E’ tuttavia evidente che la funzionalità dei singoli Parchi può essere garantita solo se esiste un reale interesse locale alla loro realizzazione ed al loro sviluppo. Ed è in questo contesto che le Politiche del Paesaggio e la loro attuazione da parte delle autorità territoriali assumono un peso determinante anche se non esaustivo: l’operatività dei Parchi sarebbe infatti impensabile senza la passione ed il lavoro dei singoli gestori che la sfida di Stanislao Nievo, impegnativa e difficile, hanno raccolto e portato avanti. Un lavoro si-

La Fondazione Ippolito Nievo

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a Fondazione Ippolito Nievo cura in tutta Italia la realizzazione de I Parchi Letterari®. Nasce Per il volere dei pronipoti dell’autore de “Le Confessioni d’un Italiano” ed in particolare dello scrittore Stanislao Nievo, suo primo presidente. Ha lo scopo di salvaguardare e promuovere il patrimonio storico, artistico e paesaggistico, la figura del letterato garibaldino prematuramente scomparso e tenere viva la memoria dei maggiori autori della letteratura italiana attraverso l’organizzazione di manifestazioni ed incontri. Mario Luzi, Giuseppe Bianchini d’Alberico, Giulio Sacchetti e Rita Levi Montalcini hanno aderito fin dall’origine al Comitato dei Garanti. Info: Piazza Trasimeno, 6 00198 Roma – tel. 06.8841392www.fondazionenievo.it

Abruzzo Basilicata Calabria Campania Lazio Liguria Lombardia Marche Sardegna Sicilia Toscana Veneto

Gabriele D’Annunzio, Anversa degli Abruzzi (AQ) Carlo Levi, Grassano (Matera); Don Giuseppe de Luca, Potenza Franco Costabile, Lamezia Terme (Catanzaro); San Nilo, Rossano (CS); Tommaso Campanella, Cosenza Plinio Il Giovane, Napoli; Pomponio Leto, Teggiano (Salerno) Omero, Agro Pontino (Latina); Pier Paolo Pasolini, Ostia (Roma); Publio Virgilio Marone, Pomezia Dante in Lunigiana, Ameglia (La Spezia); Eugenio Montale, Monterosso a Mare (La Spezia) I Nievo, Rodigo (Mantova), Gazoldo degli Ippoliti (Mantova) Paolo Volponi, Montefeltro (Pesaro Urbino) Adelasia Di Torres, Burgos (Sassari) Elio Vittorini, Siracusa; Giovanni Verga, Vizzini (CT); Nino Savarese, Enna; Salvatore Quasimodo, Modica (RG) Dante nel Casentino, Casentino (Arezzo); Giosue Carducci, Castagneto Carducci (LI) I Nievo, Montecchio Precalcino (VI), Soave (VR), Fossalta di Portogruaro (VE)

curamente avvincente, ma che solo chi è effettivamente legato al territorio può intraprendere. L’impegno è oggi indirizzato ad approfondire i rapporti con chi del territorio e dell’ambiente si occupa e con chi è interessato a valorizzare questo tipo di risorsa sia essa turistica che culturale. L’idea è quella di creare sinergie ed offrire valore aggiunto a realtà che sulla tutela e la valorizzazione dell’ambiente basano i loro principi. Gli esempi sono numerosi ed i frutti tangibili. Molti Parchi Letterari collaborano o addirittura sono gestiti direttamente da Enti o Associazioni ambientaliste che attraverso la tutela dei luoghi di ispirazione letteraria completano i loro obiettivi: per iniziativa del Centro Habitat Mediterraneo-LIPU è nato il Parco dedicato a Pier Paolo Pasolini all’Idroscalo di Ostia; la preziosa collaborazione con il Corpo Forestale dello Stato e con l’Ente Parco Nazionale del Circeo permette ormai da un decennio la valorizzazione e lo sviluppo delle attività sociali, didattiche e promozionali del Parco Omero a Fogliano, in provincia di Latina. Lo stesso Parco D’Annunzio ad

Anversa degli Abruzzi è coinvolto e partecipa alle attività dell’Oasi del WWF Gole del Sagittario, così come è in corso la riorganizzazione del Parco Plinio sul Vesuvio per iniziativa di Legambiente. La genialità di Nievo è stata anche questo: capire quanto l’opera letteraria sia potente nell’avvicinare il lettore all’ambiente descritto da un autore, è stato sicuramente il primo passo per offrire allo stesso lettore i mezzi per essere coinvolto e partecipare alla tutela di quell’ambiente. I Parchi Letterari non si limitano a custodire e divulgare la letteratura attraverso i luoghi, ma pretendono di salvaguardare i luoghi attraverso la letteratura.

Il Parco Quasimodo a Modica (RG)


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PATRIMONIO IMM ATE RI A LE UN RITO PROCESSIONALE SICILIANO DI GRANDE FASCINO E SUGGESTIONE NEL QUALE SACRO E PROFANO SI FONDONO IN UN’UNICA MEMORIA COLLETTIVA

“U CRISTU LONGU” DI CASTROREALE di VENERA LETO astroreale è un paese in provincia di Messina che sorge arrampicato su una rocca di tufo a 300 metri sul Tirreno, in una collocazione che consente alla vista di abbracciare da Capo Milazzo a Tindari. La leggenda identifica la cittadina con l’antica Krastos fondata dal re Artenomo prima della nascita di Cristo. I primi dati storiografici risalgono all’età normanno-sveva, quando l’insediamento assumeva il nome di ”Cristina” o “Crizzina”. Il piccolo borgo medievale, che ancor oggi mantiene l’originale impianto urbano, è di fondazione federiciana: Federico II, infatti, per premiare la fedeltà dimostrata dall’antico casale durante la lotta contro gli angioini ordinò la costruzione del castello, del quale ancor oggi si preserva un torrione, ed offrì privilegi e agevolazioni agli abitanti. Per lungo tempo il paese mantenne una posizione egemone godendo sino al XIX secolo di una florida posizione economica. Il borgo, oggi di tremila abitanti circa, mantiene oltre a valenti testimonianze architettoniche del suo glorioso passato un rito processionale molto suggestivo e particolare. Le tradizioni religiose, nel sud Italia specialmente, assumono un significato atavico in cui sacro e profano si fondono sotto un’unica memoria collettiva che non giace impolverata bensì arde vivida. Castroreale è devota alla vara del S.S. Crocifisso di

S.Agata che viene chiamato in dialetto per le caratteristiche uniche nel suo genere “U Signuri Longu”. La vara è infatti costituita da un robusto fercolo di legno sul quale viene issato un palo di 13 metri anch’esso ligneo sulla cui sommità si colloca il simulacro in cartapesta e stucco a tutto tondo ed a grandezza naturale

La processione per le vie del paese

La “vara” del S.S. Crocefisso di S. Agata


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PATRIMONIO IMM ATE RI A LE

Il Crocefisso davanti alla Chiesa Madre

del crocifisso. Sul suo volto d’ebano, scurito dal tempo ad anche dal nero fumo delle candele, scivolano dei lunghi capelli veri che gli furono donati nel tempo dalle donne del paese come atto devozionale. Ai piedi del crocifisso si colloca una sfera argentea simbolo dell’Universo su cui sono dipinti i segni zodiacali. L’altezza della vara supera tutti gli edifici di Castroreale eccetto la Chiesa Madre entro cui attraverso delicate manovre il Cristo può essere issato svettando verso la navata centrale. La vara viene portata in processione in spalla e mediante pesanti forcelle di ferro per le vie pendenti del paese. Alla devozione si mescola la paura poiché il trasporto ma soprattutto l’innalzamento e l’abbassa- I portatori

mento del Crocifisso costituiscono dei momenti molto delicati del rito processionale. Tutto si basa infatti, sull’equilibrio ottenuto dal preciso coordinamento dei portatori di forcelle e basta un minimo scompenso per causare temibili oscillazioni: tutto il pellegrinaggio si svolge dunque col fiato sospeso. Sul palcoscenico offerto da sembianze architettoniche di altri tempi e dal paesaggio che cattura lo sguardo lungo l’anello di colline degradanti verso il mare questo simulacro si erge maestoso assumendo un fascino unico. La carica simbolica è palese ed emozionante: un crocefisso che all’ombra della sua croce abbraccia l’intero paese mentre, paterno e mi-

Castroreale

naccioso, si staglia verso il cielo. Anche la possibilità offerta ai fedeli di pregarlo e toccare, al rientro della processione nella chiesa di Sant’Agata, quest’effigie che riempie l’intera chiesa crea nel devoto una sorta di soggezione e umiltà. La storia di questa macchina processionale è incerta. La tradizione lega la data di celebrazione di questa festività, che si celebra il 25 agosto, alla liberazione dal colera che imperversava a Messina e provincia nel 1854. Prima di quest’episodio, infatti, pare che la processione avvenisse unicamente il venerdì santo, tradizione che si è comunque mantenuta. La storia narra che per scongiurare il grave male di cui incominciavano a manifestarsi i primi segni nel paese “u Signuri longu” venne portato in processione e in seguito la donna che manifestava i sintomi del morbo guarì. Il miracolo compiuto dal Cristo in quell’occasione potrebbe rendere attendibile l’ipotesi che la vara venne issata su di un palo per consentire ai malati di colera di vedere l’immagine sacra dai propri

letti attraverso le finestre. In realtà esistono delle testimonianze che collocano la presenza della vara già in un periodo anteriore al XIX secolo e attribuirebbero la realizzazione del crocifisso a manifatture gaginiane1. La magia di queste processioni ove religiosità e tradizioni popolari si fondono è che sembrano non subire gli effetti del tempo: dopo oltre un secolo la tradizione, infatti, si perpetua attraverso le nuove generazioni. I più anziani insegnano ai giovani l’arte di portare la vara e quest’ultimi accettano con orgoglio questo insegnamento. Il 25 agosto è tutt’oggi l’unico evento capace di riempire, anche oltre la loro portata, le quiete viuzze del paese attirando devoti, paesani emigrati e curiosi che guardando verso l’alto assistono insieme a questo spettacolare evento. Note 1 Antonello Gagini, scultore e architet to (Palermo, 1478 – 1536)


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* Notizie dall’Italia e dal mondo

WORLD HERITAGE MAP 2008-2009

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disponibile sul sito dell’Unesco (http://whc. unesco.org/) la nuova mappa del Patrimonio Mondiale, realizzata dal Comitato del Patrimonio Mondiale in collaborazione con il National Geographic. La mappa, prezioso strumento di apprendimento e di sensibilizzazione, contiene la localizzazione su un grande planisfero (cm 78x50) di tutti gli 878 Siti Unesco Mondiali, brevi spiegazioni della Convenzione del Patrimonio Mondiale e bellissime foto con didascalie esplicative. Le versioni originali della mappa sono inglese, francese e spagnolo, ma attraverso la collaborazione con National Geographic la mappa sarà pubblicata anche in rumeno, serbo, danese, finlandese, norvegese e svedese.

Castel dei Mondi

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’idea che la bellezza sia universale, un valore traducibile in ogni linguaggio, un valore per tutti: è il principio ispiratore del Festival Internazionale Castel dei Mondi, che ha come simbolo e luogo privilegiato proprio Castel del Monte, il maniero federiciano, patrimonio Unesco, situato nel territorio della Città di Andria, che è anche l’Ente promotore del Festival. Giunto alla sua tredicesima edizione, il Castel dei Mondi si propone di portare il teatro al di fuori dei luoghi tradizionali, il

teatro fuori dei teatri: un vicolo del centro storico, un chiostro, una piazza e, per l’appunto, il Castello per antonomasia. Una iniziativa che prevede un mix di incontri, di nuove produzioni, laboratori, readings e collaborazioni internazionali. Un Festival, Castel del Monte, la sua Città: anche questo è un modo per tutelare e valorizzare un bene patrimonio dell’umanità, ma inserito nel tessuto connettivo di una comunità. Info www.casteldeimondi.com. Fino al 30 aprile, sempre a Castel del Monte, sarà ancora possibile visitare la bella mostra dedicata ai ventidue Siti Unesco dislocati territorialmente sulle sponde dell’Adriatico. Attraverso pannelli illustrativi plurilingue si può, infatti, seguire un affascinante itinerario che partendo da Aquileia, tocca Venezia, Padova, Ferrara, Ravenna, Urbino, Castel del Monte, Alberobello, passando poi ai siti ubicati sulla sponda opposta.

la top ten degli obbrobri architettonici

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a “speciale” classifica dei monumenti che non avremmo mai voluto vedere, stilata dal sito internazionale VirtualTourism.com tramite un sondaggio fra i suoi navigatori, vede al primo posto il Boston City Hall, un orribile palazzaccio della città statunitense. Al secondo posto l’orrenda Torre di Montparnasse, che deturpa la Ville Lumière, e al terzo il gigantesco ferro di cavallo dorato di Tuuri, in Finlandia, che fa oscena mostra di sé sul secondo centro commerciale del Paese. Completano la sgradita classifica: la Metropolitan Cathedral di Liverpool, il Terminal dei bus della Port Authority di New York, le Torres de Colon di Madrid, Spagna, il Kunst Museum di Vaduz in Liechtenstein, il Parlamento scozzese a Edimburgo, la Biblioteca Centrale di Birmingham e la Statua di Pietro il Grande a Mosca.

Notizie dall’Italia e dal mondo *

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A Napoli il Forum delle Culture 2013

Duecento lingue scomparse in tre generazioni

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arà la città di Napoli ad ospitare la quarta edizione del Forum Universale delle Culture. Un evento di grande importanza nato a Barcellona nel 2004 sotto il patrocinio dell’Unesco con l’obiettivo di promuovere l’incontro tra popoli, civiltà e cittadini per un confronto sui temi della pace, della diversità culturale e della conoscenza. Napoli è riuscita a prevalere su agguerrite concorrenti del calibro di Dakar e Istanbul. L’evento si svolgerà nell’arco di 101 giorni, dal 10 aprile al 21 luglio 2013.

il primo museo Sottomarino del mondo

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’Unesco e il governo egiziano hanno annunciato la costruzione del primo museo sottomarino in grado di mostrare la ricchezza culturale e il patrimonio storico che si trova sul fondo della baia di Alessandria d’Egitto, il più importante centro culturale dell’ellenismo. Il progetto rappresenta un importante passo avanti nello sviluppo delle mostre del patrimonio culturale subacqueo in quanto consentirà ai visitatori di osservare resti archeologici ancora sul fondo del mare. L’avveniristica costruzione, che si estenderà su un superficie di 22 mila metri quadrati, sarà la prima del suo genere e verrà costruita in parte sopra e in parte sotto l’acqua, offrendo una serie di ardite sfide ai progettisti. I lavori dovrebbero cominciare nel 2010 e terminare entro due anni e mezzo.

stata presentata a Parigi nel febbraio scorso la versione Internet del nuovo “Atlante delle lingue in pericolo nel mondo”. La nuova edizione dell’importante pubblicazione Unesco mette in evidenza alcuni dati particolarmente allarmanti: su circa 6.000 lingue esistenti nel mondo, più di 200 si sono estinte nel corso delle ultime tre generazioni, 538 sono in situazione critica, 502 seriamente in pericolo, 632 in pericolo e 607 vulnerabili. Secondo l’Unesco, sono 199 le lingue ormai parlate da meno di 10 persone, altre 178 sono invece parlate da gruppi tra 10 e 50 persone. L’Atlante, redatto da più di 30 linguisti, mette in evidenza come il fenomeno della scomparsa delle lingue si manifesti in tutti i continenti e in condizioni sociali ed economiche molto diverse tra loro.

2009 ANNO INTERNAZIONALE DELLE FIBRE NATURALI

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a vasta gamma di fibre naturali prodotte in numerosi Paesi rappresenta una fonte di reddito di fondamentale importanza per le comunità agricole, giocando in tal modo un ruolo di primo piano nell’incremento della sicurezza alimentare, nell’eliminazione della povertà e nello sviluppo del Pianeta. Per questo motivo, l’Assemblea Generale dell’ONU ha deciso di proclamare il 2009 Anno Internazionale delle Fibre Naturali e esortato i governi, il sistema delle Nazioni Unite e tutti i soggetti interessati ad approfittare di questo Anno per accrescere la consapevolezza sull’importanza di questi prodotti naturali. In Italia sono previste iniziative a Milano, Roma e Biella. Info sul sito www.naturalfibres2009.org


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unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale

anno quinto • numero due • apr/giu 2009 www.sitiunesco.it

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* Notizie dall’Italia e dal mondo

LE LINEE DI NAZCA STANNO SCOMPARENDO

L’UOMO E LA BIOSFERA

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’archeologo Mario Olaechea, “curatore” di una delle testimonianze archeologiche più singolari del pianeta, le “linee di Nazca”, ha lanciato l’allarme: le grandi figure tracciate al suolo da una civiltà scomparsa corrono il rischio di cancellarsi a causa di piogge e colate di fango del tutto anomale per il Perù meridionale, uno dei posti più aridi del mondo. Le linee di Nazca, realizzate fra il 300 a.C e il 500 d.C, e visibili nella loro interezza soltanto dall’aereo, sono state realizzate spostando la scura crosta del terreno per far emergere lo strato sottostante più chiaro. Questo le rende vulnerabili alle intemperie, che tuttavia nel pianoro sul quale sono state realizzate in pratica non esistono, trattandosi di una zona con venti debolissimi e precipitazioni inavvertibili.

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´Unesco ha annunciato i dieci vincitori del premio “Man and the biosphere programme 2009” per i giovani scienziati: Marina Rubtsova (Russia), Taher Ghadirian (Iran), Deni Rayn Villalba (Messico), Yun Son Suk (Corea del Nord), Khalid Osman Hiwytala (Sudan), Peggy Prisca Ouoko Yangounza (Repubblica Centrafricana), Steeve Ngama (Gabon), Ana Maria Abrazua Vasquez (Cile), Paula Irrazabal et Soledad Contreras (Cile), Surima Orto Pozo (Cuba). Mentre il premio biennale Michel Batisse per la gestione delle riserve della biosfera è stato assegnato a pari merito a Boshra Salem (Egitto) e a Gorshkov Yu (Russia). Ila cerimonia di consegna è prevista a maggio, in occasione della riunione del Consiglio internazionale di coordinamento del Mab che si terrà in Corea del sud.

un archeologo TIRA l’altro

L’arte dei liutai verso l’Unesco

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violini di Stradivari accanto ai “Pupi siciliani” e al “Canto a tenore sardo”: questa la speranza dell’amministrazione di Cremona. L’inserimento, cioè, della tradizione liutia cremonese nella Lista del Patrimonio Immateriale tutelato dall’Unesco. L’eventuale decisione positiva, alla quale la città lombarda sta attivamente lavorando, costituirebbe il riconoscimento dell’unicità di una scuola, quella cremonese, che da Antonio Stradivari ad Andrea Amati ha generato autentici capolavori artistico-musicali e che ancora oggi conta oltre cento botteghe nel centro città.

il professor Andrea Carandini, il nemico giurato dei “talebani della tutela”, come da sua ormai celebre definizione, il nuovo Presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali. A nominarlo, a fine febbraio, è stato il Ministro per i Beni culturali, Sandro Bondi, a seguito delle burrascose dimissioni del professor Salvatore Settis. Andrea Carandini, uno dei più autorevoli archeologi italini, è professore ordinario all’Università di Roma La Sapienza.

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Notizie dall’Italia e dal mondo *

Solo opere di Pinault a Punta della Dogana

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l centro d’arte contemporanea della Punta della Dogana a Venezia esporrà solo opere della Collezione Pinault e non prevede l’organizzazione di mostre di altro tipo. La decisione è stata ribadita nella prima riunione del Comitato scientifico che si è riunito in febbraio per organizzare l’apertura al pubblico del centro, prevista per il 6 giugno. La prima mostra delle opere di “monsieur Christie’s” dovrebbe infatti essere mantenuta nel complesso seicentesco del Benoni per circa due anni. Il Comitato scientifico è composto dal direttore della Fondazione dei musei civici veneziani Giandomenico Romanelli, dal critico d’arte Achille Bonito Oliva, dallo storico dell’arte di Ca’ Foscari Giuseppe Barbieri, dal presidente della Fondazione luav Marino Folin, da quella della Fondazione Bevilacqua La Masa, Angela Vettese e dall’artista Carlos Basualdo.

al Lazio La maglia nera dei furti di opere d’arte

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il Lazio con 158 furti a detenere il poco lusinghiero primato 2008 di sparizioni di opere d’arte. Seguono la Lombardia con 132, la Toscana con 127 e il Piemonte con 123. Meno bersagliate dai ladri si confermano la Val d’Aosta (1 solo furto) e il Molise (3 furti). Ma è il fenomeno della contraffazione, secondo i dati diffusi dal Reparto Operativo Tutela del Patrimonio Culturale dei Carabinieri, a destare la preoccupazione maggiore. Nel 2008, infatti, sono stati ben 2.328 i falsi scoperti e

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il flop delle mostre d’arte

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nno nero il 2008 per le mostre d’arte italiane. Bisogna tornare indietro di dieci anni per trovare dati di affluenza così bassi ai vertici della classifica. In vetta, con quasi 250 mila biglietti staccati, c’è “Paul Gaugin” al Vittoriano di Roma, al secondo “Roma e i barbari” a Palazzo Grassi (Venezia) e al terzo “America” a Brescia, tutti sopra i 200 mila ingressi. Seguono Pintoricchio alla Galleria Nazionale dell’Umbria, “Renoir” sempre al Vittoriano di Roma, “Canova” a Milano, “Correggio” alla Galleria Borghese (Roma), “Sebastiano del Piombo” a Palazzo Venezia (Roma), “L’ultimo Tiziano” alla Galleria dell’Accademia di Venezia, “Mirò: la terra” a Palazzo dei Diamanti di Ferrara e, infine, “Canaletto” a Treviso.

Meno soldi, meno tempo, meno vacanze

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ue o tre giorni al massimo, possibilmente in Italia e low coast. Questa la tendenza per le vacanze degli italiani emersa alla Borsa Internazionale del Turismo di Milano. Il turista nostrano è preoccupato per la crisi economica, ma non vuole rinunciare alle vacanze e decide, così, di ridurre i giorni di permanenza. Firenze, Torino, Roma e Venezia per l’Italia, Parigi, Londra, Barcellona e Amsterdam per l’Europa, le mete preferite dai nostri connazionali. Fuori dall’Europa, le più frequentate sono l’Egitto e i Paesi del Magreb. Stati Uniti e Cina restano le tipiche destinazioni dei viaggi d’affari.


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L’ASSOCIAZIONE CITTÀ E SITI ITALIANI PATRIMONIO MONDIALE UNESCO

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Associazione delle Città e dei Siti Italiani Patrimonio Mondiale dell’Unesco è nata nel 1997 da una felice intuizione di sette amministrazioni comunali convinte dell’utilità di costruire una collaborazione con altre città e con altri soggetti per migliorare la capacità progettuale delle proprie realtà territoriali. Un’intuizione diventata oggi una necessità. La crescente competitività dei paesi emergenti, europei e non, impone infatti di sviluppare, con coerenza e determinazione, politiche di valorizzazione sulle quali convergano capacità, competenze e responsabilità a più livelli. Progetti ampi e condivisi che consentano di offrire proposte competitive in termini di qualità e di opportunità di crescita sociale, culturale ed economica. Il sodalizio, del quale fanno parte 53 soci fra Comuni, nità Montane ed Enti Parco, Province, Regioni, Comusvolge un’intensa attività di sostegno alle politiche di tutela e di promozione dei territori insigniti del prestigioso riconoscimento Unesco. l’associazione è il sindaco Il presidente deldi Ferrara, Gaetano Sateriale; vice presidenti i sindaci di Assisi, Claudio Ricci e di Tivoli, Giuseppe Baisi. Il Comitato direttivo è composto dai rappresentanti dei Comuni di Andria, Barumini, Firenze, Noto, Urbino, Verona, Vicenza e dalla Regione Toscana. Presidenza e segreteria hanno sede presso mune di il CoFerrara (piazza del Munici pio n° 2. Tel.

Aquileia

0532419969/902 fax 0532419909 e-mail: associazione.unesco@comune.fe.it - sito web: www.sitiunesco.it). Oltre alla pubblicazione della rivista SITI, l’associazione produce vari materiali promozionali e cura la redazione della guida ai “Luoghi Italiani Patrimonio dell’Umanità”, un volume di 180 pagine a colori, che illustra sinteticamente tutti i Siti Unesco del nostro Paese. I soci: Comune di Alberobello, Comune di Amalfi, Comune di Andria, Comune di Aquileia, Comune di Assisi, Comune di Barumini, Comune di Capriate San Gervasio, Comune di Caserta, Comune di Cerveteri, Comune di Ercolano, Comune di Ferrara, Comune di Firenze, Comune di Genova, Comune di Lipari, Comune di Mantova, Comune di Matera, Comune di Modena, Comune di Montalcino, Comune di Napoli, Comune di Noto, Comune di Padova, Comune di Palazzolo Acreide, Comune di Piazza Armerina, Comune di Pienza, Comune di Pisa, Comune di Porto Venere, Comune di Ravenna, Comune di Riomaggiore, Comune di Roma, Comune di Sabbioneta, Comune di San Gimignano, Comune di Siena, Comune di Siracusa, Comune di Sortino, Comune di Tarquinia, Comune di Tivoli, Comune di Torino, Comune di Torre Annunziata, Comune di Urbino, Comune di Venezia, Comune di Verona, Comune di Vicenza, Comunità Montana di Valle Camonica, Consorzio Parco del Delta del Po, Ente Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi, Provincia di Ferrara, Provincia di Perugia, Provincia di Pesaro e Urbino, Provincia di Roma, Provincia di Salerno, Regione Lazio, Regione Toscana e Regione Veneto.

Cerveteri


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