Siti cresce e si rinnova ~
La prima donna alla guida dell’Unesco ~
Unesco, dalla salvaguardia alla pianificazione ~
L’importante collaborazione fra Verona e il Louvre ~
Le capitali europee della cultura ~
I Palazzi dei Rolli ~
Il Deposito Rotabili Storici di Pistoia ~
Autismo urbano ~
La genesi dei trulli di Alberobello ~
Città in scala ridotta ~
I luoghi dell’anima ~
Di luce e di ombra ~
Alla scoperta del deserto ~
La riscoperta di un crocifisso dimenticato ~
Fondazione Torino Musei ~
Internet e partecipazione ~
Da Pyrgi sulle rotte del mondo antico ~
I Parchi letterari ~
Avventure, sciarade e misteri nel mondo Unesco
SITI – anno sesto numero uno – periodico trimestrale – gen/mar 2010 – Poste Italiane S.P.A. – Spedizione in abbonamento postale – D L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n° 46) Art. 1, comma 1, DCB Ferrara
SITI • anno sesto • numero uno
SITI • GENNAIO/MARZO 2010 • ANNO SESTO • NUMERO UNO
gennaio/marzo 2010 • anno sesto • numero uno
TRIMESTRALE DI ATTUALITÀ E POLITICA CULTURALE
Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale
UNESCO
AUTORI E INTERLOCUTORI
Siti Trimestrale di attualità e politica culturale dell’Associazione città e siti italiani patrimonio mondiale Unesco gennaio/marzo 2010 • anno sesto • numero uno (diciannove) Sede: Piazza del Municipio, 2 44100 Ferrara tel. 0532419969/902 fax 0532419909 redazione@sitiunesco.it www.sitiunesco.it Direttore responsabile Fausto Natali Redazione Adriano Cioci, Maria Cristina Favero, Mara Fustini, Paola Giovannini, Francesco Raspa, Roberto Vitali, Arianna Zanelli Hanno collaborato a questo numero Gino Angiulli, Neri Baldi, Claudio Bocci, Sebastiano Cariani, Adriano Da Re, Stanislao De Marsanich, Arnaldo Gioacchini, Gianni Lobosco, Salvino Maltese, Antonello Mennucci, Alessio Postiglione, Gabriele Ren, Maurizio Spina, Camilla Talfani, Corrado Valvo Autorizzazione del Tribunale di Ferrara n. 2 del 16/02/05 Impianti e stampa SATE Industria Grafica Via Cesare Goretti, 88 – Ferrara Si ringraziano Comuni, Province e Regioni per l’invio dei testi e del materiale fotografico Crediti fotografici Archivio fotografico Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale Unesco, Gaetano Bufalino, F. Gerbi, Montefeltro Leader Scarl, Archivio Comuni italiani it, Cristina Lamberti, Mauro Gennaro. Giuseppe Muccio, Bruna Biamino, Luca Capuano, foto Ethnos Modica Scarl, Gino Angiulli, Arnese Fotografia, Comune di Verona L’editore è a disposizione degli aventi diritto per quanto riguarda eventuali illustrazioni non individuate. In copertina: Ravenna, Basilica di San Vitale
Gino Angiulli – Geologo e insegnante. Dirigente dell’Associazione “Apulia” di Varese e direttore del notiziario mensile Informapulia. Collaboratore di diversi giornali e riviste e socio di varie associazioni culturali e filantropiche. Studioso e profondo conoscitore della storia, del dialetto e delle tradizioni alberobellesi, è autore di numerose pubblicazioni, fra le quali: Alberobello, una città singolare; L’agro di alberobello; La città dei trulli; L’alabastro di Alberobello; I trulli…. perché; The trulli – Where did they come from? Neri Baldi – Avvocato. Presidente dell’Associazione Toscana Treni Storici – Italvapore. Nell’ambito di un rapporto ultradecennale con FS ha concorso ad organizzare varie iniziative di successo, acquisendo l’abilitazione alla condotta di caldaie a vapore e collaborando alla manutenzione delle locomotive circolanti in Toscana. Autore di diverse pubblicazioni di carattere ferroviario, da molti anni scrive sul mensile iTreni. Claudio Bocci - Amministratore Unico di Federculture Servizi srl, la società interamente partecipata da Federculture con l’obiettivo di assistere gli associati nei processi di innovazione gestionale. Tra i progetti più significativi realizzati, la progettazione esecutiva della Campania ArteCard e numerosi studi di fattibilità di nuovi modelli gestionali autonomi (tra i quali: il sito Unesco di Barumimi Su Nuraxi, la rete museale della Città di Alghero, la Fondazione ‘Per Leggere’ in Provincia di Milano). Sebastiano Cariani – Laureato in Economia delle Pubbliche Amministrazioni e Istituzioni Internazionali, segue attualmente la Politica Regionale Europea dal Programma INTERACT II, Valencia Point, per chiudere un percorso di Master in Integrazione Economica tenuto presso l’Universitá di Valencia (E). Ha seguito per la Provincia di Ferrara i progetti di cooperazione territoriale; da anni segue con interesse le dinamiche economiche della cultura. Adriano Da Re – È attualmente Segretario Generale della Fondazione Torino Musei. Nel passato è stato al vertice di alcune direzioni presso il Comune di Venezia e presso il Comune di Torino. In particolare ha diretto settori connessi all’arte, alla comunicazione istituzionale e alle nuove tecnologie. Stanislao de Marsanich – Laureato in Diritto Pubblico Comparato. Nel 2006 è stato chiamato da Stanislao Nievo per occuparsi della rivalutazione dei “I Parchi Letterari” e della riorganizzazione delle attività della Fondazione Ippolito Nievo di cui è stato responsabile per la pianificazione e le relazioni esterne. Attualmente è Amministratore Unico di “Paesaggio Culturale Italiano Srl”, società che ha acquisito i marchi “I Parchi letterari”. Arnaldo Gioacchini – Giornalista, Sociologo, Demodoxalogo. Laureato in Sociologia all’Università di Urbino. È Addetto Stampa del Gruppo di Lavoro Unesco del Sito di Cerveteri e del Gruppo Archeologico del Territorio Cerite. Capo Redattore della rivista “CostaAntica esplorando il Mediterraneo”, è stato fondatore del quindicinale “Archeologia & Cultura”. È Presidente della Commissione Rapporti Internazionali dell’Associazione Nazionale Sociologi. È Cavaliere e Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana. Gianni Lobosco – Architetto, è co-fondatore di ncuc/architects, studio che si occupa a varie scale e su più livelli dei temi riguardanti le città e i territori. Svolge attività di ricerca legata all’ambito accademico e collabora con il Centro dipartimentale Sealine dell’Università di Ferrara per lo sviluppo sostenibile dei sistemi costieri e del turismo. Salvino Maltese – Architetto e dottore di ricerca in pianificazione urbana e territoriale. Ha svolto attività di ricerca ed incaricato professore a contratto presso l’Università di Reggio Calabria. Cultore di parchi, giardini e piazze, con particolare riguardo all’immagine della città ed all’architettura del paesaggio. Autore di diverse pubblicazioni scientifiche è stato incaricato per interventi di recupero urbano a Siracusa, Ragusa, Erice e Noto. Paola Marini – Conservatore delle raccolte d’Arte Medievale e Moderna dei Civici Musei e Gallerie d’Arte di Verona. Dal 1997 dirige il complesso dei Musei d’Arte e Monumenti del Comune di Verona. E’ membro del Consiglio Scientifico del Centro Internazionale di Studi dell’Architettura “A. Palladio”, del Comitato Nazionale Italiano del CIHA (Comité International d’Historie de l’Art), dell’Edizione nazionale degli scritti di Antonio Canova, del Direttivo di ANMLI (Ass. Nazionale Musei di Ente Locale e Istituzionale) e della Commissione Musei della Regione del Veneto. Diletta Nicastro – Laureata in Storia della Comunicazione di massa. Scrittrice. Da sempre attenta al sociale, ha, tra l’altro, sostenuto la CRI subito dopo il terremoto in Abruzzo con una vendita di beneficenza. Attualmente è impegnata nell’iniziativa ‘Mauro & Lisi per l’Aula Manfredi’ (attraverso l’associazione Onlus Se.A.Mi. – www.seami. it) a sostegno della costruzione di una scuola in Africa. Alessio Postiglione – Laureato in Scienza Politica con plauso accademico e pubblicazione, con il prof. Percy Allum, presso l’Università Orientale di Napoli. Master in Valutazione delle politiche pubbliche, presso lo IUAV di Venezia. È addetto stampa di Comuni-Italiani.it, giornalista del quotidiano ecologista Terra, consulente della Pubblica Amministrazione, animatore del portale politiche.wordpress.com, esperto di web e comunicazione. Gabriele Ren – Laureato in Giurisprudenza, è Direttore dell’Area Cultura del Comune di Verona. Si occupa dell’organizzazione di attività culturali, di turismo culturale, della gestione e valorizzazione dei beni culturali. Svolge attività di formazione interna ed esterna all’Ente Locale. Maurizio Spina – Architetto. PhD in Pianificazione Territoriale. Ricercatore Universitario in Tecnica e Pianificazione Urbanistica presso l’Università di Catania. È docente di diverse materie urbanistiche. Pubblica su varie riviste specializzate italiane e straniere ed è autore di numerosi volumi, fra i quali: L’area metropolitana catanese, Trasporto pubblico e parcheggi, Paesaggio & Mobilità, Greenways dalla tecnica alla prassi urbanistica.
SITI • SOMMARIO
5 Editoriale Siti cresce e si rinnova di Claudio Ricci 6 Unesco La prima donna alla guida dell’Unesco È Irina Bokova il nuovo direttore generale 8
Primo Piano Unesco, dalla salvaguardia alla pianificazione L’evoluzione del concetto di cultura attraverso le Convenzioni Unesco di Maurizio Spina
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Verona Dal prestito delle opere alla progettazione culturale L’importante collaborazione fra Verona e il Louvre di Gabriele Ren
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In evidenza Le capitali europee della cultura, un laboratorio per lo sviluppo Alcune riflessioni dalla IV edizione di RavelloLab di Claudio Bocci
22 Genova I Palazzi dei Rolli Testimoni dello splendore della Repubblica Genovese di Camilla Talfani 26
Bell’Italia Terre di Toscana, bellezze in treno Il Deposito Rotabili Storici di Pistoia di Neri Baldi
30 L’analisi Autismo urbano Dialogo sociale e pianificazione delle città di Sebastiano Cariani e Gianni Lobosco 34 Alberobello La genesi dei trulli di Alberobello Uno studio sulle origini delle celebri costruzioni pugliesi di Gino Angiulli 38 Curiosità Città in scala ridotta Assisi e San Gimignano in miniatura
40 Noto I luoghi dell’anima Il palazzo Nicolaci di Villodorata di Corrado Valvo e Salvino Maltese 46 Fermo immagine Di luce e di ombra A Tivoli la prima mostra fotografica dell’Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale Unesco di Arianna Zanelli 50
Reportage Alla scoperta del deserto Viaggio fra le distese di finissima sabbia nel Sud della Tunisia di Adriano Cioci
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San Gimignano La riscoperta di un crocifisso dimenticato Opera scultorea di Benedetto da Maiano di Antonello Mennucci
60 Torino Fondazione Torino Musei Una scelta vincente per il patrimonio artistico e culturale di Adriano Da Re 64
La riflessione Internet e partecipazione, come cambia la cultura Le opportunità offerte dall’economia della conoscenza di Alessio Postiglione
68
Cerveteri Da Pyrgi sulle rotte del mondo antico Il Museo del mare e della navigazione antica di Arnaldo Gioacchini
72
L’approfondimento I Parchi letterari, un’esperienza di viaggio nel paesaggio vivente La valorizzazione dei luoghi dell’ispirazione letteraria di Stanislao De Marsanich
76 Editoria Avventure, sciarade e misteri nel mondo Unesco Una saga letteraria tutta italiana ambientata nei luoghi più belli della Terra 80 Brevi Notizie dall’Italia e dal mondo
EDITORIALE
SITI CRESCE E SI RINNOVA di CLAUDIO RICCI Presidente Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale Unesco
Ferrara
al prossimo numero la Rivista Siti, pur conservando le sue peculiarità culturali e scientifiche, si implementa nel formato e nella “tiratura” con una nuova grafica, ampio spazio alle fotografie e una versione On Line (che sarà aggiornata continuamente). Rimarrà, questo è l’obiettivo, un trimestrale anche se, in aggiunta ai “contenuti tradizionali”, ci saranno più riferimenti all’attualità e argomenti tecnico applicativi di tutela e valorizzazione del patrimonio. Una evoluzione, grati a quanti hanno dato vita alla “prima edizione”, che avrà come riferimento l’esperienza editoriale, sinora fatta dalla Rivista SITI, a cui si aggiungerà un Editore e alcuni Sponsor di “caratura” Istituzionale. La Rivista SITI è, e rimarrà, uno strumento importante dell’Associazione con il compito “fondamentale” di far conoscere le numerose attività e diffondere, in Italia, la cultura verso il “Patrimonio Mondiale” UNESCO. ll pensiero va alle prossime evoluzioni tecnologiche (già in corso di applicazione) del Sito Internet (www.sitiunesco.it), che includerà una Web TV, e sarà “linkato” (collegato) alla Rivista SITI On Line (www.rivistasitiunesco.it). In questo momento sono molti i progetti in corso di realizzazione e pianificati dall’Associazione (di cui alleghiamo una sintesi) legati a tre “filiere principali”: la ricerca delle risorse con la Legge 77/2006, emendamenti alle Leggi finanziarie, coinvolgimento delle Regioni e, per il 2010, una “dichiarazione” da far approvare al Parlamento Europeo per “consolidare” l’attenzione e adeguati finanziamenti verso i Siti UNESCO dell’Unione; attività di promozione culturale e turistica coinvolgendo anche aziende “istituzionali” e le reti di trasporto in attività di Co-Marketing come per la WeBox Alpitour (“pacchetto turistico”, per i Siti UNESCO, che include una “esperienza emozionale”, e sarà distribuito in molti canali tra cui la grande distribuzione) o la Guida ai Siti del Touring Club; progetti di diffusione culturale e nelle scuole con la Guida ai Siti UNESCO per Ragazzi (in elaborazione) e il prospettato Album di Figurine (con la “storica” azienda Panini). L’Associazione si sta “radicando” in Italia cercando di coinvolgere tutti i Siti nelle attività: la Mostra Fotografica prevista, nel Marzo 2010, a Tivoli e l’Osservatorio Energie Rinnovabili a San Gimignano sono “solo” alcuni esempi. Oltre all’implementazione dei Piani di Gestione (in tutti i Siti italiani) si lavora in prospettiva 2012 (40 anni della Lista del Patrimonio Mondiale) per: elaborare delle Linee Guida sul tema nuova Architettura, restauro Urbanistico e relazioni con l’Ambiente e i Siti; Giro Ciclistico d’Italia per alcuni Siti UNESCO (è un “inciviso” veicolo di promozione culturale e turistica); Mostre di Opere d’Arte, rappresentative dei Siti, a Firenze; trasformare la nostra Associazione in Fondazione per “consolidarne”, sempre più, la struttura e l’operatività. La nuova Rivista, “in uscita” per il 18 Aprile 2010, Giornata del Patrimonio Mondiale, accompagnerà le iniziative dei Siti nella consapevolezza che questi luoghi sono le eccellenze del Patrimonio Italiano per la promozione del nostro paese all’estero, ma rappresentano, anche, “modelli di tutela e valorizzazione” utili allo sviluppo dell’economia culturale e turistica in Italia.
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È IRINA BOKOVA IL NUOVO DIRETTORE GENERALE
LA PRIMA DONNA ALLA GUIDA DELL’UNESCO o scorso ottobre la 35a sessione della Conferenza Generale dell’Unesco ha nominato il decimo Direttore generale dell’UNESCO. La scelta è caduta sulla bulgara Irina Georgieva Bokova, ambasciatrice di Bulgaria in Francia e delegata permanente presso l’UNESCO. Nata a Sofia nel 1952, madre di due figli, Irina Bokova ha studiato all’Istituto Statale di Mosca per le Relazioni Internazionali e alla Scuola di Affari Pub-
La sede Unesco di Parigi
blici dell’Università del Maryland e di Harvard, negli Stati Uniti. Oltre alla sua lingua madre, parla il russo, l’inglese, il francese e lo spagnolo. Ha ricoperto l’incarico di vice ministro degli Affari Esteri (1995-97) e Ministro degli Affari Esteri (1996-97) della Bulgaria. Nel 1996, come candidato alla carica di Vice Presidente della Bulgaria, ha auspicato l’adesione del suo Paese alla NATO e all’Unione Europea. Come fondatrice e presidente della European Policy Forum (‘think tank’ britannico di studi internazionali), il nuovo direttore generale ha
Irina Bokova
lavorato per il superamento delle divisioni in Europa e la promozione del dialogo, della diversità, della dignità umana e dei diritti umani. Il cammino di Irina Bokova verso la direzione Unesco era cominciato lo scorso settembre, allorquando la sua candidatura era stata sottoposta ai 58 membri del Consiglio Esecutivo dell’UNESCO. Alla quinta votazione, dopo aver vagliato con grande attenzione le proposte relative ad altri otto candidati (Ina Marciulionyte -Lituania, Mohammed Bedjaoui - Algeria, Farouk Hosny - Egitto, Sospeter Mwijarubi Muhongo - Repubblica Unita di Tanzania, Alexander Vladimirovich Yakovenko - Federazione Russa, Ivonne Juez de A. Baki - Ecuador, Benita Ferrero-Waldner - Austria, Nouréini
Tidjani-Serpos - Benin), il Consiglio Esecutivo, a maggioranza, aveva espresso la propria preferenza per la diplomatica bulgara (31 voti contro i 27 del ministro egiziano della cultura Faruk Hosni, dato per favorito alla vigilia). Il nuovo Direttore Generale è entrato in carica il 15 novembre scorso, sostituendo il diplomatico giapponese Koïchiro Matsuura, che con grande perizia ha guidato l’Unesco per ben due lustri. Irina Georgieva Bokova, nel ringraziare per il prestigioso incarico, ha sostenuto la necessità di impegnarsi strenuamente per l’affermazione di una società tollerante, ugualitaria, unita e prospera attraverso la promozione dello sviluppo dell’educazione, della tecnologia e della cultura.
L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI TUTELA ATTRAVERSO LE CONVENZIONI UNESCO
UNESCO, DALLA SALVAGUARDIA ALLA PIANIFICAZIONE di MAURIZIO SPINA
Matera
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UNESCO, istituita nel 1945, ormai da più di sessant’anni si occupa in modo attivo di sostenere il dialogo ed il confronto tra culture, religioni, etnie e metodi educativi differenti. In particolare essa opera attraverso la Conferenza Generale che, riunendo ogni biennio tutti i rappresentanti degli stati membri, istituisce le linee programmatiche principali e adotta raccomandazioni o convenzioni internazionali. Rileggendo le principali carte e convenzioni che l’UNESCO ha prodotto nel corso degli anni, si possono individuare le evoluzioni culturali del concetto di tutela. La Convenzione Unesco per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, stabilita a L’Aja il 14 maggio del 1954, introduce il concetto di “bene culturale” sostituendolo a quello di “monumento”, favorendo il cambiamento culturale dell’epoca che inizia ad attribuire valore anche a quegli elementi del patrimonio che, pur non avendo necessariamente carattere di monumentalità, sono testimonianza importante della cultura di un luogo. Attraverso la convenzione si intendeva dare risposta all’emergenza registrata durante i due conflitti mondiali che avevano causato perdite di ingenti porzioni del patrimonio culturale, per cui gli stati firmatari si impegnano ad adottare tutte le misure necessarie per salvaguardare i beni in caso di conflitto armato, preoccupandosi di contrastare il vandalismo, il saccheggio
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e scongiurare il deterioramento o, peggio, la distruzione. Probabilmente la convenzione più nota dell’UNESCO, che riassume tutti i principi perseguiti dall’organizzazione, è quella sulla Protezione del Patrimonio Mondiale, culturale e naturale, dell’Umanità, firmata a Parigi nel 1972. La necessità di questo atto nasceva dalla presa di coscienza che la crescente pressione antropica è spesso causa di degrado e/o di distruzione del patrimonio culturale mondiale, per cui diventa necessario agire non tanto per sostituire gli interventi dello Stato interessato, ma per contribuire, attraverso un’azione sinergica internazionale, con azioni condivise ed efficaci. Per tali ragioni vengono definiti gli elementi del patrimonio culturale (monumenti, agglomerati e siti) e naturale (monumenti naturali, formazioni geologiche e fisiografiche e zone di habitat particolari, siti naturali) affidando a ciascuno Stato l’incarico di censire il patrimonio del proprio territorio. Ogni membro aderente viene responsabilizzato nel proprio compito riconoscendo l’obbligo a garantire «l’identificazione, protezione, conservazione, valorizzazione e trasmissione alle generazioni future del patrimonio culturale e naturale di cui agli articoli 1 e 2, situato sul suo territorio, gli incombe in prima persona» (art. 4 della Convenzione) ed allo stesso tempo viene istituito un Comitato intergovernativo per la protezione del patrimonio culturale e naturale di valore universale. Inoltre, per poter garantire non solo la tutela dei beni ma anche una loro valorizzazione, i diversi stati si impegnano a portare avanti una
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politica generale e di pianificazione che riconosca nel patrimonio culturale e naturale un ruolo “attivo” nella vita della società. Nel 1978 viene stilata la Carta delle Commissioni Nazionali affinché ogni stato si organizzi per dare il proprio contributo, attuando azioni che coinvolgano anche la popolazione. Alle Commissioni Nazionali, inoltre, viene affidato il compito di associare e incrociare le attività promosse dall’UNESCO con quelle delle Istituzioni, dei Ministeri, di organizzazioni pubbliche e private in modo da favorire i processi attuativi dei principi che sono alla base dell’Organizzazione. Il ruolo delle Commissioni è quindi quello di collaborare con i rispettivi governi nelle questioni di competenza dell’UNESCO, di interessare le varie istituzioni nazionali nei programmi dell’Organizzazione, di diffondere principi e scopi, coinvolgendo sempre più l’opinione pubblica. A quasi sessant’anni di distanza dalla sua fondazione, l’UNESCO promulga, nel 2001, la Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale. In essa, riferendosi all’impegno profuso per il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali proclamati a partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, si afferma il concetto di cultura come insieme di aspetti materiali e immateriali, compresi valori e tradizioni; inoltre si ritiene che rispetto, tolleranza e dialogo tra le diverse culture rappresentino le migliori garanzie per la pace internazionale, quindi viene proclamata patrimonio dell’umanità la diversità culturale. Essa, infatti, è immagine dell’unicità e della pluralità delle
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identità culturali delle diverse società e può essere considerata necessaria tanto quanto la biodiversità si reputa necessaria per la natura. La diversità diventa pluralismo culturale, quindi arricchimento all’interno di un processo politico democratico, favorisce lo scambio istruttivo diventando fattore essenziale di sviluppo. Nello stesso anno (2001), a Parigi, nasce la Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo, in cui si promuove la cooperazione tra i diversi stati per tutelare e valorizzare questo particolare bene, sottolineando la necessità di operare con tecniche non distruttive conservando in situ, per quanto possibile, il materiale reperito. Questa nuova convenzione, al di là dei contenuti specifici, dà l’idea di come i confini per la definizione del patrimonio culturale si siano ampliati sempre più (e di come continuino a farlo), vista la sempre maggiore sensibilità mostrata nei confronti delle testimonianze della storia e cultura dell’umanità; inoltre solleva questioni che riguardano una nuova concezione della pianificazione, che interessa anche elementi, quali il mare ad esempio, che fino ad adesso erano rimasti, spesso, estranei al processo. La convenzione emessa a Parigi nel 2003 si occupa, in particolare, di salvaguardia del patrimonio culturale immateriale. Anche con lo scopo di creare maggiore consapevolezza sull’importanza di questo tipo di patrimonio, definito come «le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi L’Opera dei Pupi (patrimonio immateriale)
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– che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale», vengono sanciti principi, norme, azioni volte alla tutela e valorizzazione del patrimonio immateriale. Di questa tipologia di bene culturale viene considerato l’importante ruolo che riveste nell’avvicinare gli uomini, favorendone scambi ed intese; esso inoltre, trasmesso di generazione in generazione, contribuisce in modo sostanziale a consolidare il senso di identità dei popoli. Al fine di garantirne la salvaguardia si istituisce una Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale che necessità di essere urgentemente tutelato, elaborata ed aggiornata da un apposito Comitato su suggerimento degli stati interessati, attraverso programmi e progetti specifici. Nel 2005 vengono ripresi i temi relativi alla diversità culturale attraverso due carte, la Dichiarazione universale sulla bioetica ed i diritti umani e la Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali. Nella Dichiarazione (adottata il 19 ottobre 2005), in particolare, si esprime la consapevolezza che gli uomini siano parte integrante della biosfera e abbiano doveri e responsabilità nei confronti del sistema terra e di tutte le altre forme di vita, coinvolgendo tutti gli aspetti sia antropici che naturali, sia materiali che immateriali. Gli scopi della Dichiarazione sono quelli di fornire un sistema “etico universale” di principi e procedure per garantire che i benefici derivanti dallo sviluppo scientifico siano sempre rispettosi della dignità e dei diritti umani, e di promuoveVenezia
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re un dialogo multidisciplinare e pluralista sulle questioni bioetiche. In essa, inoltre, si sostiene l’esigenza di tener conto, nelle scelte in materia, del background culturale, dei sistemi di valori e delle credenze religiose di ciascuna società. Nella Convenzione (adottata, Parigi, 20 ottobre 2005) si afferma il valore della diversità culturale come caratteristica congenita dell’umanità e, quindi, patrimonio da tutelare e valorizzare, integrandolo nelle politiche nazionali ed internazionali di sviluppo e ravvisando nei saperi tradizionali un’importante fonte di ricchezza ed impulso per lo sviluppo sostenibile. In merito a quanto premesso si devono perseguire gli obiettivi di tutela e promozione delle diversità delle espressioni culturali - intese come la molteplicità delle forme con cui si manifestano le culture dei gruppi e delle società - e di creazione delle condizioni affinché le “culture diverse” possano interagire ed arricchirsi vicendevolmente. Dalla rilettura delle Carte e Convenzioni promulgate dall’UNESCO in oltre un sessantennio di attività, si evince come sia mutata e maturata una sempre maggiore sensibilità verso la tutela dei beni ritenuti patrimonio per l’umanità. Il processo culturale a cui si assiste va, comunque, ben oltre il concetto di pura salvaguardia; infatti guardando ai beni antropici e naturali, materiali ed immateriali, culturali e sociali in modo sempre più trasversale e interdisciplinare ci si proietta verso una concezione che individui nelle risorse culturali di un territorio i principi ispiratori per una pianificazione qualificata, raffinata e sostenibile.
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CON LA MOSTRA DI COROT, VERONA INAUGURA L’IMPORTANTE ACCORDO DI COLLABORAZIONE CON IL LOUVRE
DAL PRESTITO DELLE OPERE ALLA PROGETTAZIONE CULTURALE di GABRIELE REN Direttore Area Cultura del Comune di Verona
difficile resistere al tono enfatico quando si deve dare conto di un accordo di collaborazione come quello stipulato dal Museo del Louvre e dal Comune di Verona l’11 dicembre 2008 e che copre il periodo 2009/2015. In primo luogo per l’ampiezza del suo campo di applicazione. Questo parternariato culturale infatti si muove da un preciso punto di partenza, la mostra Corot e l’Arte Moderna – Souvenirs et Impressions che è ospitata al Palazzo della Gran Guardia dal 27 novembre 2009 al 7 marzo 2010, e si prefigge già un grande obiettivo espositivo futuro quale è la mostra su Paolo Caliari detto il Veronese, prevista per il 2015. In mezzo, nel cuore tra questi due eventi, è previsto un interscambio sul fronte culturale, un confronto di saperi finalizzato in particolare alla trasmissione delle esperienze maturate dalla prestigiosa istituzione cultu-
rale francese nel campo della divulgazione e della didattica. In secondo luogo perché non risultano esserci accordi di questo genere fra il Museo del Louvre ed altre città europee al di fuori della Francia. Ma al di là delle condizioni dell’accordo, già dalla partenza di questa collaborazione emerge, nel comportamento degli attori, la consapevolezza dell’importanza, della valenza delle specificità di ciascuno, così come si sono storicamente determinate e sono divenute patrimonio di una memoria e una identità inscindibili dal territorio di appartenenza. Non si tratta quindi di prestare semplicemente delle opere per “paracadutarle” poi in mostre del tutto decontestualizzate dai territori. E’ invece il fare riferimento alle esperienze di ciascuno, agli ambiti sviluppati nel campo della ricerca scientifica e storico artistica, della pratica divulgativa e formativa, nonché della cura della funzione espositiva. La lente giusta con cui guardare a questa espeJean-Baptiste Camille Corot, Autoritratto, Firenze, Galleria degli Uffizi
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COROT E L’ARTE MODERNA SOUVENIRS ET IMPRESSIONS di PAOLA MARINI Dirigente Musei d’Arte e Monumenti del Comune di Verona
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Palazzo della Gran Guardia
rienza, che ha avuto un anno di lavorazione per raggiungere un primo risultato concreto, è quella che guarda all’integrazione europea. Con il trattato di Maastricht in particolare si è riconosciuto il ruolo della cultura come attivatore dei processi di emancipazione sociale. Le dinamiche culturali non sono utili solo per permettere la tanto auspicata unione e coesione tra i popoli, ma anche per garantire il loro sviluppo, il loro progredire sul fronte sociale ed anche economico. Sviluppo sostenibile dei territori, ovviamente, dove non appare più fuori luogo il rapporto tra mondi, a volte troppo snobisticamente tenuti distanti, quali quello della cultura, del turismo e dell’economia più in generale. Si deve doverosamente segnalare che il Comune di Verona non è stato solo nel rag-
giungimento di questo risultato, ma ha avuto molti compagni di viaggio, primo fra tutti il Ministero per le Attività Culturali, sia a livello centrale che nelle sue organizzazioni periferiche. Il percorso futuro è stato quindi tracciato e in questa fase si auspica che il primo importante passaggio, la mostra su Corot e l’Arte Moderna ottenga davvero un successo, come si usa dire, di pubblico e di critica. Si dice che si ha fortuna quando una opportunità incrocia una competenza. In questo caso non mancano né l’una né l’altra, l’opportunità di lavorare con il Museo del Louvre è stata colta, la competenza e la qualità del primo progetto espositivo sono assicurate. Con ottimismo non rimane che attendere le prime verifiche e le prime informazioni di ritorno.
a prima iniziativa congiunta realizzata nell’ambito della collaborazione pluriennale fra il Comune di Verona e il Musée du Louvre è un’esposizione dedicata a Corot, uno dei maggiori artisti francesi nel secolo dell’Impressionismo, nella cui formazione hanno inciso profondamente i viaggi in Italia (dal 1825 al 1828, nel 1834 e nel 1843), considerato dai più come “l’ultimo dei classici e il primo dei moderni”. La mostra, curata da Vincent Pomarède, direttore del Dipartimento di Pittura del Musée du Louvre e fra i massimi studiosi di Corot, e organizzata dal Museo Civico di Castelvecchio, vuole essere la dimostrazione visiva di questa celebre affermazione, con un percorso espositivo di 100 dipinti, del maestro francese e degli artisti a cui si è ispirato o che ha influenzato, in un arco temporale di quasi quattro secoli, da Poussin a Picasso. Le opere provengono dal museo del Louvre e da altri musei francesi come l’Orsay e il Marmottan e da oltre 30 prestigiosi musei e collezionisti internazionali, da Los Angeles a Philadelphia, da Rotterdam a Ginevra. L’esposizione ha luogo nella magnifica sede del Palazzo della Gran Guardia in Piazza Bra, e si avvale dell’allestimento elegante e suggestivo di Alba Di Lieto e Nicola Brunelli. La posizione di rilievo che Corot occupa nella pittura del XIX secolo è strettamente connessa con il suo ruolo di ponte tra tradizione e modernità. La sua particolare interpretazione del paesaggio trae ispirazione dalla grande tradizione italiana e soprattutto francese del Seicento. Nel percorso espositivo emerge progressivamente il suo stile sobrio e luminoso e si potrà comprendere come l’arte di Corot abbia profondamente influenzato non solo la prima generazione di impressionisti, ma, a suo modo, anche i fauves, i cubisti e l’arte astratta, in una qualità di rapporti e sfumature che saranno evidenziati dall’accostamento tra le sue creazioni e quelle di tali artisti. Con dipinti di Annibale Carracci, Poussin e Lorrain, la mostra si apre con una sezione introduttiva dedicata al paesaggio come genere. Ammiratore di Poussin e di Lorrain, formatosi con maestri del Neoclassicismo come Michallon e Bertin, Camille Corot ha costruito i suoi principi estetici sull’eredità dei grandi paesaggisti del XVII secolo. Non abbandonerà mai il paesaggio storico, sino alla fine della sua vita, esponendo al Salon dipinti di questo genere. Corot è stato il più grande interprete della pittura di paesaggio nell’Ottocento, il secolo in cui quest’ultima ha preso il sopravvento sulla rappresentazione della storia e della figura, fino ad allora prevalenti. La seconda sezione porta il visitatore a fianco dell’artista nella costruzione del dipinto: dal momento in cui egli coglie, lavorando en plein air, gli “ornamenti della natura” classificati dai teorici in precise tipologie, a quando li rimonta in studio con paziente lavoro, svolto anche a distanza di anni (sono i famosi souvenirs). L’ultima sezione dimostra come Corot, dopo avere assimilato la tradizione classica e averla rigenerata, è un essenziale riferimento per l’evoluzione della pittura, toccando allo stesso tempo la ricerca sulla rappresentazione dei movimenti e delle vibrazioni della natura e della luce e la scomposizione pittorica della forma, ma anche la seduzione di una visione più interiore ed emozionale, che porta verso l’astrazione. Questa interpretazione dell’influenza di Corot sugli impressionisti e sulle prime avanguardie del Novecento si sviluppa in due parti quasi uguali, una dedicata al paesaggio e l’altra alla figura umana. Si svolge in particolare con una spettacolare serie di confronti, tra opere di Corot e opere di Signac, Sisley, Monet, Maurice Denis, Derain, Cézanne, Mondrian, Braque, Picasso. Palazzo della Gran Guardia - Piazza Bra, Verona 27 novembre 2009 - 7 marzo 2010 Orari: dal lunedì alla domenica 9,30 - 19,30 / 31 dicembre: ore 9,30 - 18,00 / 1 gennaio: ore 13,30 - 19,30 Chiuso il 25 dicembre Biglietti: intero 10 euro, ridotto 8 euro Info: www.corotverona.it Tel. 199.199.111
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ALCUNE RIFLESSIONI DALLA IV EDIZIONE DI RAVELLO LAB – COLLOQUI INTERNAZIONALI
LE CAPITALI EUROPEE DELLA CULTURA: UN LABORATORIO PER LO SVILUPPO di CLAUDIO BOCCI Consigliere Delegato Comitato Ravello LAB1
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Agenda europea per la cultura in un mondo in via di globalizzazione2, dal 2007 alla base della nuova politica culturale europea, ha tradotto in chiave programmatica l’interessante realtà emersa dall’ormai celebre studio sull’economia della cultura in Europa, voluto proprio dalla Commissione europea e pubblicato nel 2006. Questi i principali impatti socio-economici quantificabili del settore cultura e creatività in Europa: - 2003. Il settore raggiunge un fatturato di 654 miliardi di euro (il settore automobilistico nel 2001 ha registrato un fatturato di 271 miliardi di euro). - 2003. Il settore cultura e creatività ha contribuito per un 2,6% al prodotto interno lordo europeo mentre il contributo del settore manifatturiero cibo, bevande e tabacco si è fermato al 1,9%. - 1999-2003. La crescita del settore è stata del 12,3% maggiore della crescita complessiva dell’economia europea. - 2004. il 3,1% della popolazione dell’Europa a 25 è stata impiegata nel settore cultura e creatività. Mentre nel biennio 2002-2004 il tasso di occupazione in Europa è diminuito, nel settore cultura e creatività è cresciuto dell’1,85%. Questi dati hanno costantemente fatto da sfondo alle riflessioni di “Ravello LAB – Colloqui Internazionali” che, giunto quest’anno alla sua IV edizione si è definitivamente accreditato come il forum di analisi, elaborazione e proposta sulle politiche culturali europee declinate in chiave di sviluppo. Già nel 2007, al tavolo di lavoro dedicato all’industria culturale per la competitività e la crescita territoriale, emerse con forza la considerazione che la qualità dell’offerta culturale, lo sviluppo della conoscenza, e la promozione
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dei talenti e delle creatività, fossero elementi in grado di generare un circolo virtuoso di incremento della domanda, e importanti fattori di successo per lo sviluppo di un territorio. Per dare ancora più rilevanza a questo concetto, la prima delle Raccomandazioni di Ravello LAB 2007 fu quella, appunto, di promuovere la relazione 3C: Cultura, Creatività, Competitività L’attenzione nei confronti di questa tematica è stata poi confermata l’anno successivo. Nel 2008, infatti, Ravello LAB ha scelto che uno dei due tavoli continuasse ad approfondire la relazione creatività/ competitività, nello specifico, questa volta, nel contesto delle politiche urbane. Questa scelta è stata dettata dalla considerazione che circa il 60% della popolazione UE vive in città con più di 50.000 abitanti. In questa cornice, dal 29 al 31 ottobre si è tenuta l’ultima edizione di Ravello LAB, dedicata al tema: 2007-2013: Cultura e Sviluppo – Azioni, strumenti e progetti per la politica di coesione europea, la politica che nel periodo ha stanziato circa 347 miliardi di euro allocati per l’82% sull’obiettivo “Convergenza” che sostiene interventi nelle aree in ritardo di sviluppo. I tavoli di lavoro hanno riunito oltre 60 tra esperti, operatori ed amministratori internazionali, che insieme, hanno delineato nuove opportunità di collaborazione fondate sulla consapevolezza della particolare, duplice rilevanza dell’impatto economico e sociale degli investimenti in cultura. Ai lavori hanno portato il loro contributo 15 giovani ricercatori selezionati attraverso il bando Ravello LAB Re-
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search finanziato dal Dipartimento per la Gioventù. Il laboratorio dedicato alle strategie di sviluppo delle industrie culturali per la coesione territoriale ha visto la partecipazione dei rappresentanti dei diversi livelli istituzionali nazionali e comunitari deputati alla programmazione e all’attuazione delle politiche di sviluppo del territorio. Al centro del dibattito le Politiche di Coesione, la descrizione delle risorse disponibili e le difficoltà operative incontrate dai diversi soggetti istituzionali territoriali. Il punto di osservazione privilegiato quest’anno è stato quello delle politiche urbane e in particolare delle Capitali Europee della Cultura che in alcuni casi hanno dimostrato come proprio la cultura possa essere usata per ridefinire e rivitalizzare il tessuto urbano e le dinamiche relazionali della comunità. L’esperienza delle Capitali Europee della Cultura, nata nel 1985, si è rivelata ottima occasione di sperimentazione sul territorio urbano e locale del rapporto che lega cultura e sviluppo. Le città che vogliono diventare capitali della cultura devono infatti preparare un piano d’interventi che, ruotando intorno alla cultura, comprenda alcune dimensioni considerate centrali nella progettazione dell’evento e degli spazi come, ad esempio, la dimensione europea della manifestazione e delle iniziative in programma, il coinvolgimento attivo dei cittadini,
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sia da un punto di vista partecipativo sia in un’ottica di progettazione di un avvenimento catalizzatore di medio e lungo termine anche e soprattutto in chiave infrastrutturale. Secondo alcune stime, la spesa totale generata complessivamente da queste esperienze, nel corso degli anni, si attesta intorno ai 3,5 miliardi di euro; si tratta di un livello molto elevato, soprattutto se rapportato al modesto ammontare dei finanziamenti europei (1,53% degli introiti complessivi). Il contributo del settore pubblico alle capitali europee della cultura (fonti cittadine, regionali, nazionali ed europee) rappresenta il 77,5% del totale, mentre le sponsorizzazioni private raggiungono il 13,2%. La mole di investimenti dedicati alla realizzazione di questi progetti non fa che confermare quelle che sono le potenzialità di uno sviluppo economico e sociale su base culturale. Oltre a ciò, sta diventando sempre più evidente il legame fra cultura e creatività, affrontato recentemente dallo studio commissionato a “KEA European Affairs” dalla Commissione Europea – Direzione Generale per la Cultura e la Formazione dal titolo “Impact of culture on creativity” e pubblicato lo scorso giugno 2009. Sottolineata in questo studio la nuova posizione dell’economia europea che oggi, nel mondo, si trova a doversi confrontare con le economie emergenti di
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Cina, India, Brasile e Russia: se negli anni Cinquanta del secolo scorso, infatti, le economie occidentali rappresentavano da sole il 64% della produzione mondiale, nel 1980 la percentuale era calata al 49%, e si prevede che essa costituirà il 30% entro il 2013. Alla luce di queste prospettive di breve termine, risulta evidente come il posizionamento dell’Europa dipenderà in larga misura dalla sua capacità di innovazione economica e sociale: la cultura, la creatività (la cosiddetta “culture-based creativity”), e le industrie creative costituiscono il motore di questa capacità innovativa. Nel corso dei lavori di Ravello LAB, sono state presentate molte esperienze di Capitali Europee della Cultura, da Liverpool 2008 che ha illustrato le interessanti risultanze del valore non solo economico, ma anche sociale e di riqualificazione urbane di un’antica città industriale, alla portoghese Guimaraes (il cui centro storico è nella lista del Patrimonio Mondiale) che riepiloga il dossier della candidatura appena aggiudicata per il 2012. Di particolare interesse il caso di Ruhr 2010 in cui, per la prima volta, nella scelta della candidatura si è considerata un’intera area subregionale caratterizzata da un tessuto omogeneo. Si tratta, come è noto, dello storico cuore industriale tedesco investito da una profonda crisi economica e che sta cercando proprio nella cultura e nelle industrie
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creative un nuovo sentiero di crescita. Si tratta di una vasta area in cui insiste uno straordinario patrimonio industriale (tra cui l’impressionante stabilimento carbominerario Zollverein ad Essen appartenente alla lista Unesco) che è ora al centro di importanti progetti strategici di riconversione industriale, di riqualificazione urbanistica, di riorganizzazione dei servizi di offerta culturale. Proprio in riferimento ai casi presentati e alla approfondita discussione che ne è seguita, l’esperienza della candidatura e del lavoro preparatorio delle Capitali Europee della Cultura è parsa di particolare interesse e, nelle ‘Raccomandazioni’ conclusive che Ravello LAB rilascia con l’intenzione che possano essere utili spunti per l’adozione di politiche ai diversi livelli istituzionali, è stato auspicato che il modello progettuale delle Capitali Europee della Cultura possa diventare la modalità di intervento ordinario nella pianificazione strategica dello sviluppo. Note 1. Promosso da Federculture, Centro Universitario per i Beni Culturali di Ravello e Formez Italia. 2. L’Agenda europea per la cultura in un mondo in via di globalizzazione, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, 10 maggio 2007.
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TESTIMONI DELLO SPLENDORE DELLA REPUBBLICA GENOVESE
I PALAZZI DEI ROLLI di CAMILLA TALFANI
ll’inizio del XVI secolo Genova pose le fondamenta economiche e istituzionali di una fortuna e di un prestigio destinati a durare fino alla fine del XVIII secolo. Nel corso di questi secoli, la città ebbe un importante ruolo economico e politico nella politica internazionale del tempo. Testimoni dello splendore che la potenza della Repubblica Genovese raggiunse in quel periodo sono le tante dimore dell’aristocrazia cittadina erette nel
Rollo 9, Pantaleo Spinola
Centro intorno alla Strada Nuova, ora via Garibaldi. Quarantadue palazzi, costruiti tra il Cinquecento e il Seicento dalle famiglie genovesi più importanti, dal 2006 sono entrati ufficialmente nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO. Questi edifici, ammirati, disegnati e portati ad esempio presso le maggiori corti europee da Pietro Paolo Rubens, erano denominati dei Rolli, ovvero delle liste dei palazzi e delle dimore eccellenti delle famiglie nobili, destinati, attraverso un sorteggio pubblico, a ospitare le alte personalità in visita di Stato. Ogni rollo era suddiviso in tre bussoli, a secon-
Rollo 14, Nicolosio Lomellini
da dell’importanza: il primo per cardinali, principi e vicerè, il secondo per feudatari e governatori, il terzo per nobili di grado inferiore e ambasciatori. Molti palazzi sono concentrati nella famosa Strada Nuova, o via Aurea e stupiscono per la grandiosità e la serie incredibile di opere che contengono. L’appartenenza ai diversi bussoli e lo slittamento tra l’uno e l’altro non sono quindi riferiti solamente alla maggiore o minore rilevanza della tipologia architettonica dei palazzi, ma anche alle migliorie nel frattempo realizzate, ad esempio per ciò che riguarda la decorazione e l’arredo degli ambienti interni e alla situazione socio-economica della famiglia proprietaria, legata alle vicende alterne della sua fortuna economica. I quarantadue edifici iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale rappresentano uno spaccato significativo del sistema dei palazzi dei Rolli sia dal punto di vista architettonico che dal punto di vista urbanistico. Sistema, che si inserisce nell’insediamento
medioevale con una lottizzazione nobiliare unitaria di nuovo impianto, dando luogo ad una nuova gerarchizzazione della città medioevale. I palazzi, generalmente alti tre o quattro piani, sono caratterizzati da spettacolari scaloni, cortili e logge che si affacciano su giardini, costruiti su diversi livelli in uno spazio relativamente ristretto. Essi offrono una straordinaria varietà di soluzioni architettoniche differenti, adattandosi alle caratteristiche del terreno su cui sorgono e alle esigenze di una specifica organizzazione sociale ed economica. A differenza degli edifici costruiti nel Cinquecento, dalla Firenze tardo medievale a Roma, Vicenza e Venezia, i palazzi di città e di villa genovesi si sono conservati più numerosi oltre l’epoca industriale, perché le classi aristocratiche genovesi, per mantenere inalterata più a lungo possibile la potenza economica della famiglia, hanno utilizzato la pratica del fedecommesso di primogenitura in funzione fino alla fine della rivoluzione francese e all’intro-
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duzione del codice napoleonico. I palazzi genovesi presentano modelli architettonici singolari, condizionati sia dalle caratteristiche del luogo dove sono costruiti che da una committenza con grandi pretese d’innovazione, servita in più da maestranze notoriamente pendolari, i magistri antelami, scultori ed architetti assieme. Il sistema atrio-cortile-scalone loggiato che spesso si apre sul giardino retrostante, oltre che la sontuosità dei saloni esterni e la presenza di affreschi e stucchi per impreziosire la facciata, danno vita ad un ambiente urbano unitario e sontuoso, quasi un salotto all’aperto. La modernità e la funzionalità residenziale dei palazzi più prestigiosi, concentrati in gran parte in Strada Nuova, sorprese a tal punto Rubens da indurlo a raccogliere i disegni che circolavano in città e a pubblicarli quasi come un manuale per i suoi concittadini di Anversa, descrivendo ogni novità funzionale e di comfort. Ed è proprio questa urbanistica innovativa che ha permesso a Genova di inserirsi a pieno titolo nel Patrimonio dell’Umanità UNESCO.
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Rollo 19, Rodolfo e Francesco Brignole Sale
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Rollo 13, Gio Battista Spinola
a Fondazione, nata nel febbraio del 2008 a seguito della modifica statutaria della Palazzo Ducale S.p.A., riunisce sotto un’unica regia le attività di Palazzo Ducale ed interagisce sinergicamente con i musei civici per la comunicazione, la promozione e i programmi culturali e espositivi. Questa trasformazione è stata l’ultimo atto di un processo che, dal 2004 al 2006, ha visto il consolidarsi di Genova come città d’arte e di cultura, con una presenza sempre più crescente di visitatori. Il bilancio di un anno di Fondazione è stato di tutto rispetto, da maggio 2008 ad aprile 2009 ha registrato 240 mila visitatori alle mostre Fabrizio De Andrè e Lucio Fontana, oltre 15 mila presenze agli incontri, seminari e spettacoli. La programmazione per i prossimi mesi e per tutto il 2010 è completata da tempo e , oltre a concludere il ciclo delle mostre e degli incontri e lezioni con grandi nomi della cultura internazionale, organizzate intorno al ventennale della Caduta del Muro di Berlino, ha incentrato le attività del prossimo anno sul tema del Mediterraneo. Dalla grande mostra, Isole mai trovate, con opere dei maggiori artisti internazionali, all’esposizione interattiva e multimediale , Meditazioni Mediterraneo, dalla retrospettiva dedicata a Daniel Spoerri, alla numerose rassegne di fotografia, al Festival del Comico, dalle giornate dedicate alla Storia in Piazza con oltre 60 eventi al ciclo d’incontri, Mediterranea. Voci tra le sponde, alle Giornate dell’estetica per finire con un omaggio a Edoardo Sanguineti per i suoi ottant’anni.
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IL DEPOSITO ROTABILI STORICI DI PISTOIA
TERRE DI TOSCANA, BELLEZZE IN TRENO di NERI BALDI l deposito locomotive di Pistoia ha la sua principale ragion d’essere nella ferrovia Porrettana, rimasta a lungo il principale collegamento fra la Pianura Padana e l’Italia centrale, per il cui servizio fu costruito e con la quale ha condiviso fasti e oblio. La linea, esercìta per moltissimi anni con trazione a vapore, ha visto transitare ogni tipo di convogli, dai lussuosi direttissimi alle tradotte militari in tempo di guerra. Nel 1927 fu inaugurata la trazione elettrica trifase che comportò un sensibile miglioramento di prestazioni e percorrenze. La decadenza era però dietro l’angolo: il 21 aprile 1934 fu l’ultimo giorno di vita sostanziale della Porretta-
na. La nuova ferrovia Direttissima – via Vernio e Prato – con la sua galleria appenninica di 18 kilometri, opera e vanto del regime fascista, era compiuta: in meno di un’ora si poteva giungere da Bologna a Firenze per proseguire celermente verso Roma e il meridione. Iniziò così il lungo e inarrestabile declino della Porrettana che ha comportato una progressiva perdita di importanza del deposito locomotive di Pistoia. Il deposito non subì gravi danni nel corso della seconda guerra mondiale. Al termine del conflitto i lavori di ricostruzione della Porrettana procedettero abbastanza rapidamente, tanto che l’esercizio fu riaperto nel 1947 fino a Porretta e nel 1949 sull’intera linea. La ferrovia, pur ricostruita in tempi solleciti, non seppe però riconquistare un adeguato numero di viaggiatori che andasse al di là del semplice interesse loca-
significativo. Il deposito di Pistoia conservava però una certa importanza, dovendo fronteggiare le esigenze non solo della Porrettana, ma anche delle linee per Firenze e per Lucca, quest’ultima elettrificata solo nel 1960. Per lungo tempo ha quindi conservato una significativa dotazione anche di locomotive a vapore. Negli anni ’80, nonostante gli interventi di FS tesi al miglioramento delle infrastrutture e l’avvicendamento dei mezzi di trazione via via più moderni, la Porrettana conobbe un ulteriore ridimensionamento, accentuando ancor di più il carattere prettamente locale delle due tratte Pistoia-Porretta e Porretta-Bologna divenute due tronconi sostanzialmente indipendenti dal punto di vista operativo. Il deposito era ormai al lumicino, dotato di pochi mezzi e divenuto un impianto satellite di Firenze, sostanzialmente non più indispensabile per l’esercizio ferroviario: l’impianto fu formalmente chiuso all’esercizio regolare nel 1994 e appariva destinato allo smantellamento definitivo a seguito della politica di riassetto delle FS, nel tentativo di contenere i costi di esercizio e razionalizzare le risorse esistenti. Nel 1995 fu però fondata a Firenze la Italvapore - Associazione Toscana Treni Storici, con lo scopo, tra l’altro, di favorire la conservazione e il recupero operativo dei rotabili storici. L’associazione ha consentito di formalizzare la collaborazione di un primo nucleo di persone, ferrovieri e non, che già si stava impegnando nel tentativo di mantenere efficiente al-
meno una macchina a vapore e comunque di sottrarre alla demolizione alcuni dei mezzi di trazione più vecchi, man mano che venivano tolti dal servizio a seguito della costruzione di rotabili più moderni. Le FS hanno avuto fiducia nell’iniziativa ed hanno dato luogo ad un rapporto del tutto nuovo nel panorama italiano: nella primavera del 1996 fu stipulata una convenzione in virtù della quale alcuni membri dell’associazione vengono oggi impegnati concretamene nell’ambito della gestione dei rotabili storici che sono conservati in Toscana. Questa attività di supporto viene prestata, a titolo volontario e del tutto gratuito, con lo scopo di cercare di ridurne i costi di esercizio e manutenzione. In questo contesto le FS hanno affidato in comodato all’associazione una parte dei locali dell’ex deposito di Pistoia, che ospita oggi i rotabili storici preservati per l’effettuazione dei treni storici sulle linee ferroviarie toscane, mantenuti efficienti grazie all’attività sinergica di volontari e ferrovieri in servizio. Il deposito locomotive di Pistoia, morto come impianto ordinario, è resuscitato nella nuova veste di Deposito Rotabili Storici, sicuro punto di riferimento operativo per tutta la regione ed una delle poche strutture del genere esistenti in Europa. Non si tratta di una mera infrastruttura ferroviaria, né di un semplice museo; è invece una struttura di eccellenza, cogestita da Italvapore e Trenitalia ed unica nel suo genere, che coniuga le primarie finalità operative (con lavorazioni meccaniche ormai desuete e perciò solo da tramandare) con indubbie potenzialità culturali da sviluppare mediante una valorizzazione complessiva.
Torrenieri, 625.100 in servizio come Treno Natura sulla linea della Val d’Orcia
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È grazie all’attività svolta nel Deposito Rotabili Storici che in Toscana ogni anno un cospicuo numero di treni storici percorre le ferrovie della regione, dalla Val d’Orcia ormai famosa in tutto il mondo, alla Garfagnana, senza poi dimenticare le colline intorno a Siena e Firenze. Con l’impegno dei volontari e dei ferrovieri che le hanno prese in cura per mantenerle in perfetta efficienza Littorine d’epoca e locomotive a vapore sono divenute non solo cimeli degni di per sé di essere conservati, ma soprattutto strumento di valorizzazione del territorio che il turismo più intelligente e più rispettoso dell’ambiente
La stazione di
Pistoia nel prim
o dopoguerra
ha già dimostrato di apprezzare in modo estremamente soddisfacente. L’impianto – vero e proprio museo vivente – ospita stabilmente varie locomotive già efficienti, sia a vapore che elettriche e Diesel, ed altre in corso di riparazione, anche di proprietà del’associazione stessa. Fra tutte, alcune sono da segnalare per il notevolissimo interesse storico: - la più vecchia locomotiva a vapore del parco FS, in origine costruita per la Rete Adiatica e poi trasformata dall’azienda di Stato con distribuzione Caprotti (625.308); - ben 2 locomotive a vapore del Gruppo 685, il più veloce del parco FS, di cui sono purtroppo sopravvissute solo 5 unità (685.089 e 685.222);
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o di Pistoia, 19
. 690 al deposit Locomotiva Gr
- l’unico esemplare di locomotiva a vapore efficiente al mondo con preriscaldo dell’acqua sistema Franco-Crosti (741.120); - la locomotiva che ha trainato l’ultimo treno espresso a vapore sulla rete FS (740.254); - la locomotiva che ha trainato l’ultimo treno viaggiatori a vapore sulla rete FS (940.026); - il locomotore che trainò il treno di Hitler in visita a Firenze (E.428.014); - l’unico locomotore esistente al mondo con frenatura elettrica, ultimo superstite di quelli costruiti per la Porrettana (E.424.005); - l’elettrotreno che nel 1939 stabilì il record mondiale di velocità commerciale (ETR 232). La struttura è periodicamente aperta al pubblico e visitabile con visite guidate e previa prenotazione.
Corbezzi al La stazione di
zione trifase
tempo della tra
Castagno, 741.120 in servizio sulla Porrettana
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LA STRETTA RELAZIONE FRA DIALOGO SOCIALE E PIANIFICAZIONE DELLE CITTÀ
AUTISMO URBANO di SEBASTIANO CARIANI E GIANNI LOBOSCO enza ombra di dubbio, la congiuntura economica e sociale che le economie occidentali stanno attraversando non è delle più favorevoli. Tutt’altro. L’indice di “morìa” delle PMI è quanto mai indicativo del fatto che il tessuto economico italiano si trovi a fronteggiare una delle crisi più profonde. Una crisi originata dalla mancata regolamentazione dei mercati finanziari, così come dal mancato rinnovamento degli stessi agenti economici sul mercato. In un certo senso, il motore dell’economia ha ridotto “il numero di giri”: si tratta di una minaccia grave per il processo di sviluppo di un paese, ma come ogni manifestazione, essa ha un lato positivo. E’ questo il momento per riprendere carte alla mano, e con efficienza ri-pensare molti degli schemi di
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funzionamento della nostra società. Con il motore a basso regime abbiamo l’opportunità di intervenire sugli aspetti più delicati della nostra economia, a cominciare dai meccanismi di redistribuzione della ricchezza. In questo senso, parlare di economia urbana assume oggi un significato notevole. La città come base del motore socio-economico. Ma quella contemporanea è una città autistica. Nelle sue forme di crescita, di cambiamento, d’uso e di governo. Questo autismo urbano trova la sua ratio nella natura sociale ed economica. dei fenomeni che la interessano. Si pensi al settore turistico, alla sua rilevanza (economica in primis) in Europa: più di 400.000 imprese dedicate al settore (EU-27, Eurostat, 2008). Le città, o interi ambiti territoriali, tendono molto spesso a scindersi in zone di interesse distinte: aree per i residenti e aree per quelle che ormai potremmo definire le comunità in transito. L’organizzazione dei servizi, i programmi
culturali, talvolta la morfologia del costruito risentono di questa dicotomia. Ed ecco che lo spazio pubblico si trasforma in spazio collettivo privato. Assistiamo ad uno snaturamento dello spazio pubblico: la città è organizzata per canali di interesse specifico che difficilmente si incontrano e si incrociano, e anzi agiscono in maniera centrifuga rispetto ad una chiara vocazione urbana. I metodi con cui la componente pubblica ha affrontato e affronta tale situazione sembrano molto spesso inadeguati e risentono di una tendenza all’automatismo nelle risposte. Questo atteggiamento, tipico degli apparati rigidi quando si sentono attaccati, in fondo denuncia un’incapacità, altrettanto autistica, delle istituzioni di valutare nel complesso la strategia da adottare. Il risultato? Una serie di iniziative razionali se lette “da vicino”, ma sconnesse se analizzate “da lontano”. La ricerca ossessiva di risposte invece che di proposte, da parte delle amministrazioni, riduce la governance delle città ad un esercizio passivo anziché attivo. E in un certo senso, esprime una mancanza di interesse forte alla pianificazione del territorio, un dialogo tra le parti volto ad indirizzare lo sviluppo della città, e con essa della società che la vive. Negli ultimi anni, il potere contrattuale del pubblico nei confronti dei privati sicuramente è diminuito in termini economici. Questo si è accompagnato ad una più o meno esplicita
rinuncia nel formulare contenuti o anche solo ad immaginare in quali direzioni si possano attivare forme di sviluppo condiviso. La risposta più evidente, e negativa, a cui si è pervenuti è stata quella di tendere alla normatività: un controllo generalizzato attraverso prescrizioni infinite e non selettive. L’incapacità di guidare il cambiamento spesso si tramuta in volontà di “normalizzazione”1 e controllo. Un chiaro esempio: in gran parte dell’Europa oggi si vanno affermando politiche governative volte a recuperare e a riqualificare. Spesso, politiche condotte attraverso decreti ministeriali anziché atti legislativi. Si tratta di politiche statali variamente intitolate a programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio, a patti territoriali, a contratti di quartiere e a programmi integrati di intervento (questi ultimi anche regionali), tra le cui caratteristiche vi sono la accentuata eterogeneità dei fini (recupero, riqualificazione, nuovi interventi) e dei mezzi (compartecipazione di risorse pubbliche e private). Codeste politiche hanno il merito di affermare una visione integrata delle azioni sul territorio secondo una logica, per così dire, di “piano-progetto”, innovando rispetto alla tradizionale scissione tra pianificazione territoriale e programmazione attuativa. Dall’altro lato, risentono dell’eccessiva genericità delle categorie e dei fini individuati: politiche troppo
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“micro-orientate”. Si accentua, così facendo, l’automatismo delle risposte, e si appiattiscono le scelte delle amministrazioni su temi pre-impostati. Infine, causano una sorta di omologazione delle politiche per lo sviluppo di città tra loro anche molto differenti. Il caso della Riviera adriatica è esplicativo. Questo comparto, un tempo basato sul turismo di massa, è entrato in crisi, ed ora sta cercando di differenziare la propria offerta al fine di intercettare segmenti specifici di mercato, le cosidette nicchie. Il problema è che, per farlo, occorrono servizi e strutture che spesso andrebbero in contrasto con le possibilità date dal quadro normativo. Ed ecco la gabbia. Inoltre, molte città della Riviera sono cresciute in maniera dicotomica, andandosi a zonizzare nettamente in “parte turistica” e “parte per i residenti”. Ma la domanda turistica sta cambiando ed il contatto tra comunità residente ed in transito è sempre più visto come un valore aggiunto per il turista. Si manifesta anche in questo caso la necessità del dialogare2 , del confrontarsi, e del discutere sul dove tendere lo sviluppo della città, ed ancora, della società che la abita. In questo contesto si impone la necessità di
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cercare nuove strade da percorrere per uscire dal circolo vizioso degli automatismi della programmazione e per dare risposte più aderenti alla condizione autistica della città. E’ necessario rivisitare alcuni schemi di pensiero: 1) In primo luogo, riconoscere quali sono le variabili che agiscono sul modello “città”: quali sono le forze che agiscono parallelamente, e implicitamente? Le variabili da considerare non sono tanto di carattere morfologico (periferia, aree dismesse centrali/decentrate, da recuperare, da demolire, restaurare, conservare, etc) quanto di carattere economico-sociale, e fanno riferimento alla componente umana, più complessa; 2) Secondo, investire su alcune di queste variabili per agire in maniera differita sugli altri3. 3) Terzo, dotarsi di strumenti normativi adeguati: le regole devono incanalare la sperimentazione, e non limitarla. Ad esempio, pensare ad eccezioni normative in determinati settori, al fine di sperimentare soluzioni che poi potrebbero essere estese ad altri campi, una volta testata la validità degli strumenti. 4) Quarto, puntare sul principio di sussidiarietà, ovvero lasciare alcuni vuoti
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Il villaggio industriale di Crespi d’Adda
programmatici, dentro i quali possa operare proattivamente l’iniziativa della società civile. 5) Ultimo, e non meno importante, riconoscere il principio di “meritorietà dell’investimento pubblico” ad alcuni ambiti che non presentano chiare prospettive di rientro economico. Uno fra tutti, il paesaggio. Il paesaggio come ultimo luogo pubblico, o meglio come ambito di riconoscibilità di alcune comunità. Paesaggio da difendere e promuovere nella sua integrità, soprattutto rispetto ai nuovi sobborghi o alle periferie che sono caratterizzate da uno sradicamento bidirezionale: verso la città e verso il paesaggio rurale, vocando queste aree a limbo indefinito, la cui identità viene meno a favore delle necessità di connessione tra città e città. In conclusione, possiamo affermare che stiamo assistendo in questi anni ad un progressivo impoverimento del dialogo sociale e politico nel processo di pianificazione delle città, artefatto umano che basa sull’organizzazione dello spazio lo sviluppo della società civile. Il venir meno di questo dialogo consuma la spinta propositiva che spetta alla pianificazione, la trasforma in strumento di controllo, automatico e sordo.
Il bisogno di incontro e confronto è quindi assolutamente necessario, oggi come ieri: dobbiamo tornare ad una presa di coscienza dello sviluppo urbano e paesaggistico, antropizzando ove necessario con adeguati strumenti, controllandone la diffusione/dispersione, e non meramente adempiendo a richieste di mercato, vincolate alla crescita di bolle speculative. Esplosa la bolla, cosa rimane? Note 1. Esulando in questo caso dal concetto norma, intesa come regola da rispettare. 2. Uno dei temi su cui concentrarsi per valorizzare il turismo è la la ricerca della specificità locale (culturale, naturalistica, gastronomica, etc...), che assume un ruolo preponderante proprio nelle forme di turismo di nicchia. 3. Un esempio interessante è quello di Curitiba (Brasile): si costruiscono scuole dentro le favelas. Questo investimento, su variabile strategica, ha ricadute indirette su fattori quali la sicurezza sociale ed urbana. I collettori sociali diventano in questo caso volàno dello sviluppo, partendo ancora dalla base: la città.
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UNO STUDIO, AUTOREVOLE E APPROFONDITO, SULLA ORIGINI DELLE CELEBRI COSTRUZIONI PUGLIESI
LA GENESI DEI TRULLI DI ALBEROBELLO di GINO ANGIULLI e problematiche riguardanti i “trulli”, queste meravigliose fiabesche costruzioni che continuano a incuriosire, a stupire e affascinare migliaia e migliaia di visitatori, sono molteplici e non sempre di facile risoluzione. Proverò a sottoporre alla vostra cortese attenzione quelle più interessanti nella sintesi rispettosa del breve spazio a mia disposizione. I trulli sono la testimonianza di una cultura e di una civiltà della pietra che ha il proprio presupposto nella storia delle relazioni fra i popoli mediterranei. Fino al 1870 queste caratteristiche costruzioni pugliesi, ad eccezione dei dolmen e dei menhir, risalenti al XIII-XII sec.a.C., non sono state oggetto di ricerca e di studio. Solo a partire dalla seconda metà del sec. XIX troviamo tracce di studi storici, riflessioni, appunti di viaggio, ipotesi più o meno verosimili riguardanti i nostri trulli. Ma la vera origine delle costruzioni a trullo in Puglia, e particolarmente dell’agglomerato di Alberobello, è tuttora oggetto di ricerche e di erudite disquisizioni. Si può affermare che le costruzioni trulliformi trovano i loro antenati in edifici risalenti al III millen-
nio a.C. della Mesopotamia e nelle tombe a tholos interrate della Grecia (i tholoi di Micene), di Cipro e di Creta. Il trullo ha lo schema classico della cupola micenea del tesoro di Atreo, databile fra il 1500 e il 1250 a.C. Di questo tipo di abitazioni, più o meno primitive e in pietra a secco, se ne trovano in molte contrade del mondo, soprattutto dell’Europa e particolarmente nei paesi mediterranei. Per questo la maggioranza degli studiosi (archeologi, antropologi, etnologi, paletnologi, speleologi, architetti, geologi, ingegneri) ritengono che l’architettura del trullo nelle sue forme primitive sia giunta a noi dal vicino Oriente. Fra le testimonianze più antiche si segnalano quelle di Harran, nel Kurdistan turco, località menzionata nella Genesi perché da quel luogo partì Abramo verso Ur. Sono migliaia di trulli monovano di colore ocra perché costruiti con conci di terra cotti al sole. Anche in Irak ad Arpachiya, vicino a Mossul e a est di Ninive vi sono ruderi di villaggi con case di mattoni di fango che hanno la parte superiore a cono. Emblematiche le piccole case a trullo scavate nel tufo vulcanico della Cappadocia e dell’Anatolia. Inoltre le quhab, koubba dell’Africa (Tripolitania, sud-ovest del lago Ciad, Sud Africa) e gli stupas dell’India che hanno la medesima forma di base
della tomba di Atreo in Micene, ma il tetto fatto di sterpi. Costruite interamente in pietra sono: • le piccole case di roccia di Aleppo, e a Koum in Siria, agglomerato di capanne in pietra simili ai trulli di Alberobello; • le rosse ghirna a Mellieha (Malta) e nell’isola di Creta; • le casitas, cabane, orno, cabala, citania in Spagna; • le navetas, talayot, barracas, garrite delle Baleari e delle Canarie; • le cazun, kazeta, casite dell’Istria e della Croazia; • le kaniavà delle isole del Dodecaneso; • le hisica del carso Sloveno e triestino; • le bunja, cemeri, poljarice, kucerice della Dalmazia; • le castella della Corsica; • le longbarrow dell’Inghilterra; • le oratory, clochan, both dell’Irlanda, del Galles e della Scozia;
• le burg, brock, brough delle isole Shetland; • le bechive house delle isole Harris e Lewis; • le manè della Bretagna; • le masures rustiche di Limoges; • le capitelles della Linguadoca francese; • le cabanons delle Alpi marittime; • le orris dei Pirenei; • le borjes di Gordes, in Provenza; costruzioni di pietra a secco che, come tecnica costruttiva e aspetto, sono simili ai nostri trulli di campagna. In Italia fra le principali testimonianze rileviamo: • le sesi di Pantelleria; • le casela di Alassio in Liguria; • i megalitici nuraghi in Sardegna; • le pinnéta, barraca della Barbagia, in Sardegna. E in Puglia • le specchie della Murgia alta; • i pagghiare di Mattinata, nel Gargano meridionale;
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• i ‘tturr di S. Ferdinando di Puglia; • le rare casiedde, caselle, pagghiaie del Nord Barese; • i truddhu, ruddo, turri, furnieddhu, furnu, pajaru, chipuru, calvari, liama del sud Salento; e, naturalmente: • le casedde della Murgia dei Trulli che comprende Alberobello, Locorotondo, Martina Franca, Costernino e la Valle d’Itria, sulle quali ci soffermeremo. Tutte le costruzioni in pietra a secco sin qui citate sono legate dalla similitudine geologica della disposizione tettonica e stratigrafica del suolo. In pratica la struttura a trullo è stata adottata nelle zone del mondo dove è disponibile una particolare forma di pietra e scompare quando questo materiale non è più reperibile. Ma i nostri trulli si discostano dai tipi analoghi citati, relitti di epoche lontane, per la continuità di uso di cui sono stati fatti oggetto, che ha favorito il formarsi di una caratteristica architettonica più perfezionata. Vediamo più da vicino il fenomeno Trulli nella nostra terra di Puglia, anche se, come ho innanzi accennato, è ancora discusso e non accertato. Si suppone che questo tipo di ricovero fu importato dalle genti pelasgiche (Elleni, I millennio a.C.), messapiche, fenicie (1200 a.C.), che nelle epoche preistoriche pervennero numerose dall’Oriente; la prima terra italiana che incontravano era la Puglia
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dove si stanziavano e necessariamente introducevano il tipo della casa rustica con la cupola conica a loro ben nota. Questo tipo includeva le capanne, che erano rifugi con le strutture del tetto in legno o in sterpi, le grotte naturali o scavate dall’uomo, le strutture megalitiche comprendenti dolmen, menhir e nuraghi, e le microlitiche, cioè le specchie e i trulli, con la cupola che li caratterizza. In Puglia non si conoscono trulli millenari. Nei trulli non si riscontrano contrassegni, stemmi, date incise, epigrafi, che indichino la proprietà e l’anno di costruzione. I più antichi sono databili alla fine del XVII secolo. Questi hanno la forma semplice e primitiva del trullo di campagna e, come abbiamo evinto, non sono esclusivi della Puglia. Perché si diffusero in Puglia? Come ho accennato, innanzitutto per le vistose testimonianze lasciate dai flussi transmarini di popolazioni mediterranee sbarcate sulle nostre coste e quindi attraversato o occupato e popolato la Puglia. In particolare: 1) la seconda colonizzazione greca, attuata in Puglia da Bisanzio nel secolo X, che ha lasciato vistose testimonianze nella lingua, in campo amministrativo, artistico, negli usi e nei costumi; 2) le successive scorribande dei musulmani
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turchi sulle nostre coste; 3) i continui contatti con i mercanti orientali Magnogreci, Bizantini, con i crociati, con i Veneziani, tutti favoriti dalla vicinanza e dall’agevole approdo che offrivano i nostri porti. Molti di loro, rimasti per vari motivi in Puglia, portavano indelebile nelle loro menti l’immagine ricordo delle costruzioni a secco che all’occasione hanno riprodotto nelle nostre contrade. Per far questo sono stati facilitati: a) dalla natura del nostro sottosuolo calcareo che, in superficie, è costituito da strati rocciosi di limitato spessore. Determinante pertanto è la geologia del suolo e ciò è avvalorato dalla constatazione che la diffusione del trullo in pietra termina bruscamente dove si interrompe la particolare natura geologica di calcare stratificato, abbondante in superficie. b) da ragioni economiche, dettate dalla minima o quasi nulla spesa nel costruire con materiale offerto direttamente dal suolo e sul posto. Per i nostri avi era più facile ed economico servirsi della pietra abbondante in superficie che usare il troppo resistente legno delle querce, pur copiose nei nostri boschi, legno, questo, restio alla lavorazione con la sola scure. c) da ragioni di sicurezza: il trullo protegge dalla
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pioggia e dalla neve; il fuoco acceso nel rudimentale focolare interno non costituisce pericolo d’incendio per la propria abitazione, né per la comunità e soprattutto per la vegetazione boschiva circostante. d) dalla facilità di edificazione: per erigere il trullo non occorreva numerosa presenza di mano d’opera: il materiale usato, piccoli conci, è manovrabile da un singolo operatore, essendo a portata d’uomo le pietre utili alla sua costruzione. Il trullo, pertanto, era edificato dallo stesso contadino col solo aiuto dei parenti o degli amici e, in genere, con lo stesso materiale lapideo reperibile nel podere. e) dalla facilità di riparazione ed eventualmente di ricostruzione, potendo utilizzare lo stesso materiale ricavato dalla demolizione del trullo reso inabitabile dal suo uso negli anni. Originariamente i trulli primitivi pugliesi, rozzi e semplici, furono costruiti da pastori e contadini, con le pietre raccolte sul posto, e ciò è vero; per questo qualche studioso non esclude che la tecnica possa essere stata inventata in Puglia indipendentemente dalla sua adozione in altre parti del mondo. Una tesi che non condivido. In quale modo, con il passare del tempo, queste rustiche dimore diventarono i trulli che tutti ammirano sarà l’argomento di un prossimo articolo, sempre sulle pagine di SITI.
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ASSISI E SAN GIMIGNANO IN MINIATURA
CITTÀ IN SCALA RIDOTTA iprodurre in scala ridotta è una tendenza che non conosce incertezze, soprattutto nelle città dove la storia si compenetra con l’arte, richiamando un numero crescente di visitatori che, accanto ai monumenti veri, amano assaporare la creatività e la suggestione delle miniature. I due esempi che vi proponiamo – ma saremmo grati di altre segnalazioni – giungono da Assisi e San Gimignano, entrambe luoghi Patrimonio Mondiale. Ad Assisi è nata “La città del Sole”, ovvero un’Assisi medievale realizzata da Giancarlo Bocconi in ben
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diciassette anni di lavoro, dei quali poco meno della metà a ritagliare quasi 250.000 pezzetti di pietra e tegole che – oggi assemblati – hanno fatto raggiungere a questo artista il sogno della propria vita, spinto dalla fede e dalla devozione verso San Francesco. Dalle mani ormai esperte di Bocconi è scaturita in tutta la sua grandezza architettonica l’Assisi del XIII secolo con chiese, edifici pubblici, campanili, tratti di mura, vicoli, personaggi e scene di vita. Esterni ed interni sembrano palpitare ed inducono il visitatore in un percorso, anche scenico, che riconduce al passato, per conoscere non soltanto i luoghi del tempo, ma anche il paesaggio e le ambientazioni che lo distinguevano. Particolarmente emozionanti sono le soste davanti al Tempio di Minerva, al Foro Romano, alla
Porziuncola, all’Eremo delle Carceri e negli altri siti che hanno fatto di questa città unica al mondo un faro illuminante per l’umanità. Giancarlo Bocconi si è avvalso della collaborazione di Lorenzo Granieri, imprenditore edile, la cui sensibilità ha reso possibile questo progetto adeguando la struttura nella quale l’opera è collocata. La “Città del Sole” si trova in Via Risorgimento, a circa duecento metri dalla Basilica di Santa Maria degli Angeli (per informazioni 075-8041775). A San Gimignano è sorto il Museo San Gimignano 1300. Ubicato negli antichi locali del Palazzo Ficarelli, nel cuore della città stessa ed ideato dai fratelli Raffaello e Michelangelo Rubino, il museo propone un’imponente ricostruzione in ceramica decorata del centro storico come era tra il XIII e il XVI secolo. La ricostruzione, in scala 1:100, è distribuita su una superficie di 31 mq e permette di osservare l’armonioso impianto urbanistico delle 72 case-torri che hanno simboleggiato la potenza della
città nel medioevo, affiancate dai magnifici palazzi delle famiglie di mercanti e notabili costruiti lungo la via Francigena insieme agli ospedali, ai conventi e alle chiese che ospitarono i pellegrini in cammino dal centro Europa verso Roma. Decorazioni, merli, stucchi, personaggi e scenografie sono stati realizzati attraverso due anni di intenso lavoro di ricerca tecnico-architettonica, storica e di applicazione di difficili ed elaborate tecniche artistico-artigianali. Tutto ciò per cui la città è rinomata è qui ricostruito nei minimi particolari per riportare il visitatore al tempo del massimo splendore cittadino. Il museo non mancherà di stupire con curiosità, come la ricostruzione del convento di San Francesco – demolito nel XVI secolo – e intrattenervi con ampi approfondimenti. Nelle postazioni interattive si potranno osservare le fasi di allestimento della città in ceramica e ampliare gli aspetti storici del medioevo toscano attraverso una selezione di documentari e filmati (per informazioni 0577-941078).
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IL PALAZZO NICOLACI DI VILLADORATA A NOTO
I LUOGHI DELL’ANIMA di CORRADO VALVO e SALVINO MALTESE
uesto è un luogo che, se uno ci capita, resta ammaliato, intrappolato e felice. Così Gesualdo Bufalino parla di Noto. È proprio vero che si amano luoghi così come si amano le persone …. a volte con la stessa intensità emotiva. L’anima di un singolo luogo va scoperta come l’anima di una persona.
A Noto, città “di fondazione”, ricostruita in un nuovo sito dopo il terremoto del 1693, l’anima della comunità riesce a tramutare una sciagura come quella del terremoto in occasione, favorendo la realizzazione di audaci e spettacolari trasformazioni urbanistiche. Esprimendo, quindi, un immaginario collettivo di una città eterna, che ha governato un terzo del territorio dell’isola sin dal XII secolo a.c. Si concretizza, cioè, un’idea di città, una città ideale appun-
Il Portale
to, tra sogno e realtà, ancorata al passato ma che guarda al futuro, sia nella riconfigurazione del paesaggio urbano e sia nell’applicazione di principi di prevenzione sismica. Il processo di ricostruzione del val di Noto, a detta di Giulio Carlo Argan, è l’esempio più importante dell’isola nella ricostruzione di new town, e tra i più riusciti nel panorama europeo. Noto, città di antiche e nobili tradizioni culturali, ricca di monumenti religiosi e civili è stata definita “Giardino di pietra” dal critico d’arte Cesare Brandi. L’impianto urbano modulato sui valori della proporzione aurea e della simmetria, con lotti dimensionati secondo rapporti classici e armonico-musicali è tale da valorizzare al massimo la percezione e la varietà plastica della città barocca, secondo il principio delle tre “s” sorprendente, sbalorditivo, stupefacente. Sono proprio queste le relazioni che hanno permesso all’uomo la creazione del proprio habitat, con le orme lasciate dagli avi, per rendere unico e differente lo specifico contesto territoriale e rendere così questo luogo “unico”, perché diverso, e perché diventa esito concreto di un
processo evolutivo dinamico che ha conosciuto un suo tempo e un suo spazio. È quello che gli antichi chiamavano “genius locis”, lo spirito del luogo. Un luogo, cioè, dotato di un suo precipuo spazio, di un carattere distintivo che al tempo stesso ne sottolinea l’identità e la diversità; identità che ci viene dal passato, il risultato di una continua modificazione, e che da vita a popoli e luoghi, li accompagna dalla nascita alla morte e determina il loro carattere o essenza. La città di Noto è stata definita come ingegnoso manipolo di egregi architetti che seppero inventarsi linguaggio di lusso e di risparmio insieme: “lusso” con l’ostentazione dei palazzi e delle chiese favorito dalla pietra tenera; “risparmio” con la disposizione della città a terrazze sul declivio del colle tale da valorizzare la percezione scenografica dell’insieme, esaltata dalla variazione cromatica della luce nel corso della giornata, che la fa apparire d’oro di giorno e d’argento la notte. Si realizza, così, il legame edificio-città, il continuum urbano caratteristico di Noto all’insegna di un’unica scenografia della città
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Il salone delle feste
come teatro, a voler ricordare il principio che vede la città come una grande casa e la casa come una piccola città. È in questo contesto che la volontà ambiziosa del principe Giacomo Nicolaci di Villadorata trova la sua espressione nella residenza nobiliare che la pone come un fatto unico nello specifico contesto architettonico-urbanistico della città. La famiglia Nicolaci di Villadorata non risulta tra l’elenco delle famiglie nobili di Noto antica, è solo acquistando feudi con titoli nobiliari annessi e combinando matrimoni che completa l’ascesa alla nobilitazione. I Nicolaci gestivano le tonnare della Sicilia sud orientale, la fortuna della famiglia fu determinata dal monopolio e dalla commercializzazione all’ingrosso del tonno.
Eleonora Nicolaci, nel 1718, riuscì ad acquistare tre quarti del lotto urbano dove insiste il palazzo, successivamente la famiglia riuscì nell’accorpamento dell’ultimo quarto con una sorta di esproprio per pubblica utilità, facendo appello a uno dei più importanti strumenti di legislazione urbanistica in uso fino al seicento: i Privilegi di Toledo e Maqueda permettevano l’acquisto o l’esproprio di lotti al fine di edificare un intero isolato. È la straordinaria figura del signor Don Giacomo Nicolaci (1711/1760), che rimaneggia nel 1737 il primo impianto del palazzo conferendogli l’aspetto attuale con l’ausilio di diversi architetti locali Conosciuto come Giacomo il “gobbo” a causa del suo aspetto, fu celebre matematico, filosofo, alchimista esperto astronomo in gno-
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monica, ideatore dei primi orologi solari della città. Principe dell’Accademia dei Trasformati di Noto, conoscitore di nove lingue tra cui il greco, arabo e il provenzale. Come tutti gli intellettuali aristocratici dell’epoca che nei “Grand Tour” si spostavano fino all’Italia meridionale considerata il giardino d’Europa, la tappa fondamentale di Giacomo è rappresentata dalla città di Montpellier dalla quale egli portò gli schizzi e i progetti della Casa Senatoria, di Villa Falconara e del costruendo palazzo dove installò un osservatorio astronomico, facendo arrivare da Francia e Inghilterra compassi, livelle, astrolabi, quadranti etc. Interessato all’ermetismo ed alle scienze occulte, sempre mediate dal pensiero cristiano, vista la sua vicinanza con il suo maestro ed amico il gesuita Francesco Maria Sortino architetto, filosofo e matematico. A quest’ultimo sono stati attribuiti il Collegio dei Gesuiti, la torre del SS. Salvatore, la copertura ottagonale della chiesa della S.S. Trinità conosciuta come “Battistero”. Poco tempo prima, del Sortino, un altro gesuita, Fra Angelo Italia, si era occupato della ricostruzione della città disegnando, numerose piante di altre città ideali tardo barocche come Avola, dedicando particolare interesse al bilanciamento delle piazze, al rapporto tra i vuoti e i pieni urbani. Non è un caso che l’isolato del palazzo Nicolaci ricada nella circoscrizione di uno
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degli ordini ecclesiastici più colto e prestigioso, quello dei gesuiti, appunto. Nel progetto del palazzo Nicolaci il coinvolgimento del Sortino sembra certo, visti gli stretti legami con il principe Giacomo, ma anche di altri architetti come il Labisi, Sinatra e numerosi intellettuali locali e stranieri che frequentavano la residenza in cui si respirava l’atmosfera dei Viceré spagnoli e degli ultimi Gattopardi. Quindi il palazzo di Villadorata a Noto è paragonabile al palazzo Biscari di Catania, al Beneventano a Siracusa e al castello di Donna Fugata a Ragusa, per la ricchezza di particolari di facciata e la qualità degli interni affrescati e finemente arredati con tendaggi e mobilia provenienti dalle principali città europee. Distribuito su novanta vani con tre
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dei fanciulli simsaloni uno giallo, uno in verde, e uno boleggiava la prosperità. Complessiin rosso, che prendevano il nome dal vamente il palazzo colore della tappezsfoggia sei balconi zeria dei sofà, era dai mensoloni antropomorfi, con funziodotato di sala della ne apotropaica per musica, del the, del allontanare gli spiriti gioco e del fumo. maligni. Mascheroni Il superbo salone grotteschi dalle figudelle feste, dalla re umane, ippogrifi, volta affrescata con sirene, centauri, scene mitologiche, l’immaginario dele dalle pareti con le la Sicilia trova qui raffigurazioni delle Un particolare del balcone dei fanciulli una delle massime passioni e le distrazioni (archeologia, astronomia, architettura, espressioni. Sfingi, leoni, cavalli alati, putti musica, caccia etc. ) di Don Giacomo; tutto allegorici, il tutto completato dalle sinuose inferriate ricurve “gelosie”. Definiti i balconi più doveva essere grandioso e superare ogni limite in vista dell’altissima qualità architettonica. belli del mondo sono diventati l’icona delle città tardobarocche del val di Noto e del distretto Il processo costruttivo della residenza nobiliare è il risultato di un lavoro a più mani di saculturale del sud-est. Infine, la figura centrale pienti architetti, ricalcando l’esplosione barocca della balconata detta anche dei mori, sembra dell’epoca con la sua lussureggiante fantasia. avere una postura incurvata come quella mitica Il simbolo araldico indicato nel blasone di fadi Giacomo Nicolaci che regge un flauto nella miglia raffigura un levriero che si poggia ad una mano sinistra a ricordo che nel seicento in Europa la sapienza umana era rappresentata da colonna in segno di fiducia, forza e fedeltà. Il palazzo si presenta a corte o “baglio” con un uomo con un flauto, non un musicista ma un il pozzo, l’acqua come elemento centrale di vita saggio che non si lascia incantare dalla bellezza dei suoni. è sempre presente nell’architettura barocca. L’ultima stratificazione architettonica del paL’ascesa nobiliare della famiglia continua spostando gli interessi dal mare, simboleggiato dai lazzo è la costruzione della loggia del mercato “un balconi a sirena/chimera, alla terra simbolegmercato ittico coperto”, con un fontanone centrale giata dai balconi con uomini che guardano in ed un loggiato con pilastri in ghisa provenienti dalla dismissione di pali per la pubblica illuminazione. direzioni opposte, che controllano il territorio. Dal ritrovamento di un’istanza del Decurionato del I balconi dei leoni rappresentavano, invece, la 1838 si legge: “Per volere del principino di Villaforza e l’aggressività della famiglia, il balcone
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dorata si concede di costruire la loggia con tredici botteghe, per ragioni di carattere igienico-sanitario e per sgomberare gli indecorosi venditori ambulanti dalle parti più rappresentative della città”, permettendo, così, alla famiglia di battere giornalmente il prezzo del pesce anche al dettaglio. L’ultimo restauro del palazzo, a cura della Soprintendenza BB.CC.AA., ha restituito l’antico splendore alla corte, alla loggia, all’intero stabile, ed è auspicabile un ulteriore restauro filologico, su base documentale, per la ricostruzione dei mobili originali e per la realizzazione del futuro museo della nobiltà e dell’ aristocrazia siciliana. Nell’intero complesso monumentale sono percepibili, infine, i temi della luce, del tempo, della memoria che disegnano spazi ed anime. Una è l’anima della gente che rende vivi e unici i luoghi,
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non come semplici luoghi, ma come luoghi dove vive il genius loci insieme all’anima degli uomini. La rigenerazione della memoria, quindi, attraverso un principio etico attento non solo ai beni materiali ma soprattutto a quelli immateriali, per una nuova sensibilità estetica del paesaggio: fare paesaggio è fare anima. Troppe volte l’edilizia ha sostituito l’architettura e i veri principi sono stati rimpiazzati da principi senza princìpi e i turisti hanno sostituito, quasi del tutto, i viaggiatori in cerca di emozioni. “È in noi che i paesaggi hanno paesaggio. Perciò se li immagino li creo: se li creo esistono; se esistono li vedo come vedo gli altri. A che scopo viaggiare? … I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo”.
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SI INAUGURA IL 13 MARZO 2010 A VILLA D’ESTE DI TIVOLI LA PRIMA MOSTRA FOTOGRAFICA D’AUTORE DELL’ASSOCIAZIONE CITTÀ E SITI ITALIANI PATRIMONIO UNESCO
DI LUCE E DI OMBRA di ARIANNA ZANELLI ’Associazione nel corso della sua attività ha utilizzato l’immagine fotografica per promuovere e valorizzare i territori e le comunità che possono fregiarsi del titolo di Patrimonio dell’Umanità in varie forme ed in vari contesti. Sono state riprodotte immagini suggestive e di alta qualità messe a disposizione dai Siti per farne mostre fotografiche in occasione di Fiere ed altri Eventi, altre si possono trovare sul sito web, sulle pubblicazioni edite a cura dell’Associazione, quali la Guida “Luoghi Italiani Patrimonio dell’Umanità”, giunta di recente alla sua quarta edizione, sulla stessa rivista “Siti” e perfino sulle bustine di zucchero da collezione prodotte e distribuite come strumento di comunicazione e divulgazione nel corso degli ultimi anni. Al di là dell’apprezzamento ricevuto in ogni occasione e del patrimonio qualitativo e quantitativo di immagini acquisito, grazie alle sempre più ampie collaborazioni di soci e non, si sentiva non tanto la mancanza di organicità e di spessore, quanto di una “visione” capace di dare oltre che corpo anche anima a quell’oggetto tanto affascinante quanto complicato e frammentato, sia dal punto di vista geofisico che da quello culturale, costituito dal Patrimonio Italiano Unesco. Queste considerazioni hanno guidato la scelta di candidare, sulle prime misure di finanziamento
della legge “Unesco” 77/06, un progetto dedicato a dotare l’Associazione di una propria mostra fotografica che costituisse un efficace supporto all’attività istituzionale della stessa, un biglietto da visita da proporre in Italia ed all’Estero, nelle Città ed in occasione di eventi, da affidarsi non ad un reporter ma ad un autore. L’opportunità di realizzare tale obiettivo si è concretizzata con l’ammissione ed il finanziamento del progetto da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, consentendo l’inizio di quella che può considerarsi un’avventura a lieto fine, visto che, a distanza di pochissimi mesi dal suo inizio, è possibile annunciare la data dell’inaugurazione della mostra.
Luca Capuano
Un autore, si è detto, e non un reporter. La scelta è caduta su Luca Capuano, classe 1974, bolognese, fotografo specializzato nell’immagine architettonica, dopo averne guardato i lavori, foto algide, rigorose, elusive di corse e di accelerazioni, in cui l’atto del muoversi è trasfigurato in sequenza narrativa, montata a tavolino pezzo per pezzo, in cui i tempi del movimento sono sostituiti dal tempo della narrazione, cosicché l’osservatore, o meglio il lettore, sfogliando le immagini può arrivare a scoprire il finale della storia. Immagini reali, ma con un costante tono visionario, ereditato da una certa fotografia colta e concettuale di scuola ghirriana. L’approccio di Luca Capuano al tema
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Siena (foto Luca Capuano)
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Tivoli, Villa d’Este
della mostra è in sintonia con il suo stile sommesso ma, fin dai primi scatti, lo sguardo è solo apparentemente distaccato e distante, scremato da qualsiasi partecipazione emotiva. Ben presto si fa trasecolato, a volte trasognato. La tecnica e la perizia mutano poco a poco in coinvolgimento, curiosità e capacità di vedere da lontano, poi da vicino, sempre più da vicino, fino all’interno e dall’interno fino nell’anima, fino a fare coincidere l’immagine fissata dall’obbiettivo con il genius loci. Epoche storiche, stili architettonici, ambienti, prospettive, natura e paesaggio si fanno metafora della dialettica fra rappresentazione e spettatore, realtà e finzione, luce ed ombra, dello scorrere del tempo nei secoli e negli attimi. Ne nasce un racconto per immagini che si snoda per circa quattrocento pagine/scatti, tanti sono quelli esposti in mostra. Appunti di viaggio a volte struggenti, sempre ispirati, uno sguardo con occhi incantati sul nostro patrimonio che invita ancora una volta a conoscerlo, amarlo e difendere.
La mostra
La mostra sarà allestita in un percorso di oltre quattrocento scatti, in uno stile che ne asseconda il ritmo narrativo e ne sottolinea il tono concettuale. Sarà inaugurata a Tivoli il prossimo 13 marzo 2010 presso la Villa d’Este sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, oltre ai Patrocini del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco, il Ministero per gli Affari Esteri e quelli delle Istituzioni e degli Enti della Regione e della Provincia di Roma. Rimarrà aperta al pubblico fino a fine aprile per poi proseguire presso altre sedi espositive ospitanti facente parte della ‘rete’ dei Siti italiani Patrimonio Unesco. Contestualmente all’inaugurazione verrà pubblicato il catalogo della mostra, edito da Logos, che sarà disponibile nelle librerie specializzate oltre che nelle sedi della mostra. Sarà possibile consultare il calendario e seguire tutte le notizie della mostra sul nostro sito www. sitiunesco.it.
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Val d’Orcia (foto Luca Capuano)
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VIAGGIO FRA LE STERMINATE DISTESE DI FINISSIMA SABBIA NEL SUD DELLA TUNISIA
ALLA SCOPERTA DEL DESERTO di ADRIANO CIOCI
l deserto è più vicino di quanto si possa immaginare. Ne sono coscienti quei turisti con spirito d’avventura che si spingono fuori dall’ordinarietà per raggiungere uno dei tanti luoghi del silenzio. Per quelli che vogliono calarsi, almeno per una volta, tra le dune basta sfogliare le pagine dei cataloghi dei tour operator: ci si accorgerà che l’impresa è tra le più semplici, poco dispendiosa e, soprattutto, a portata di mano. Ad un’ora e mezzo di volo dall’Italia, infatti, c’è l’aeroporto di Djerba, la leggendaria isola dei Lotofagi (i mangiatori di loto), base di partenza per uno dei più esilaranti e completi itinerari nel sud tunisino, alla conquista, naturalmente, del “grande nulla”. In poco meno di quattrocento km in linea d’aria,
dal confine libico a quello algerino, si estende una porzione di territorio dove incidono ambienti desertici e affascinanti: la steppa, la roccia, la sabbia, il sale. Il paesaggio della cosiddetta steppa, inframmezzato da alberi di eucalipto e frequenti distese di olivi e palme da dattero, si spinge dalla costa sino a Medenine, famosa per i ghorfas (granai a forma cilindrica risalenti al XVII secolo) e Tataouine, al centro di un’area segnata da molti villaggi berberi sedi di ksour (granai) tra i meglio conservati del nord Africa. La strada panoramica che compie un anello a sud di Tataouine, consente già di godere in parte dell’ambiente del deserto roccioso, ma fornisce anche la possibilità di osservare i centri di Ksar Ouled Soltane e Ksar Ezzarah. Il primo complesso è costituito
da due cortili affiancati sui quali si aprono centinaia di vecchi granai (secc. XV-XVI) allineati e sovrapposti sino a quattro piani uniti da ripide ed insicure scale esterne. Le costruzioni appaiono ancora integre e danno perfettamente l’idea di una fortificazione utilizzata dalla tribù Ouled sia per la difesa che per la conservazione degli alimenti. Ad ovest di Medenine e Tataouine si estende la porzione di deserto roccioso che comprende tre autentiche perle: Matmata, Chenini e Douiret, lungo un asse nord-sud. Matmata, in verità, si adagia su una serie di rilievi facilmente scavabili per ricavarne abitazioni. In questo luogo, infatti, sin dall’antichità le popolazioni berbere vi trovarono uno stabile rifugio grazie all’ingegno di aprire nel terreno veri e propri crateri, ai lati
dei quali sorgevano su più piani le stanze. Una galleria metteva in comunicazione l’esterno con il cortile dell’abitazione troglodita. Ed era proprio il cortile il fulcro della vita domestica di questi abitanti che utilizzavano le varie nicchie nella roccia come camere da letto, cucina, ambiente per il lavoro (un telaio primordiale permetteva di confezionare coperte e tappeti), dispense e granai, dentro i quali la temperatura, sia d’estate che d’inverno, si mantiene costantemente attorno ai 20°. Oggi alcune famiglie abitano ancora queste caverne e dispensano ai turisti soffice pane e the alla menta preparati all’istante secondo le modalità di un tempo. Per la conformazione del terreno, assai simile alla superficie lunare, George Lucas ha voluto qui realizzare molte scene del suo Guerre Stellari.
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All’interno dell’hotel Sidi Idriss vengono ancora gelosamente custodite molte testimonianze di quelle storiche riprese. Nel pieno deserto roccioso, alla sommità di una sella che spazia su un panorama spettacolare di picchi ed altipiani, si erge l’antico abitato di Chenini, il cui nucleo più antico affonda indietro per circa un millennio. La candida moschea svolge ancora il ruolo di sentinella a guardia delle allineate e semidirute abitazioni di pietra ove un tempo pullulava la vita in questo silenzioso angolo di deserto. A poca distanza si trova uno dei luoghi più misteriosi del pianeta: la cosiddetta moschea dei Sette Dormienti con annesso cimitero berbero. Su questo sito molto si è fantasticato: una delle storie ricorrenti parla di sette cristiani,
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minacciati e inseguiti dai romani, che qui trovarono rifugio e sonno per circa 400 anni. Al loro risveglio i sette personaggi accolsero la religione dell’Islam e ne diventarono santi. Altre storie, riferite ai Sette Dormienti, hanno risvolti ben più inquietanti. Ad una quindicina di chilometri si eleva l’arroccato villaggio, ora disabitato, di Douiret, contrassegnato da celle contigue simili a piccole grotte asserragliate l’un l’altra. La popolazione che qui risiedeva poteva contare su una quasi totale inespugnabilità. Nelle vicinanze la strada asfaltata lascia il posto alla pista, percorribile solo dai fuoristrada, che conduce, dopo 97 km, all’oasi sahariana di Ksar Ghilane. Siamo già nel territorio del Grande Erg Orientale e nella larga La moschea dei Sette Dormienti
Tamerza
fascia di deserto sabbioso. Un abile autista, attento conoscitore della zona, riesce a percorrere l’accidentato percorso, costituito da un appena percettibile tracciato, in poco più di un’ora e mezzo. Colpisce l’assoluta mancanza di riferimenti: non un edificio, non un albero, non una sagoma particolare, ma soltanto sabbia rossa, cumuli di pietre e radi cespugli. In verità, prima di agguantare l’agognata meta si arriva ad un punto di sosta, residuato di un antico bivacco, per distendere gli arti doloranti, e più avanti, alla Colonna Leclerc, la cui targa recita testualmente: “Qui dal 23 febbraio al 10 marzo 1943 il Generale Leclerc e la forza L venuti dal Ciad hanno sostenuto vittoriosamente l’assalto delle Forze nemiche infliggendo loro perdite severe”.
L’oasi di Ksar Ghilane è il vero avamposto nel deserto, circondata come è da sterminate distese di finissima sabbia rossa. Se si volge l’orizzonte verso il quadrante sud-ovest le dune si rincorrono a vista d’occhio, perdendosi sino al profondo sud algerino. Il nostro campo tendato è sobrio, ma permette di vivere una notte a stretto contatto con le presenze di questa porzione di paradiso, scorpioni, scarafaggi e cibo frugale compresi. Ma ciò che colpisce di più è il cielo di notte quando, grazie all’assenza totale di inquinamento luminoso ed acustico, appaiono in tutta la loro maestosità stelle e costellazioni: uno spettacolo grandioso e irripetibile! Si prosegue per Douz, altra porta del deserto e grande mercato degli animali
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ancora assai frequentato dai nomadi. A sud si possono impegnare due interessanti itinerari: il primo con fuoristrada verso le dune bianche di Ben Cherud e l’altro, più ad occidente, di Es-Sabria, alla riscoperta di un vecchio fortino della leggendaria Legione Straniera. Ancora più ad ovest, si attraversa il paesaggio incantato dello Chott El Jerid, una interminabile distesa di sale che poggia su una piattaforma instabile. E’ un trionfo di cromie e di miraggi dove d’estate la temperatura si spinge ben oltre i 50°. Per non correre il rischio di essere “aggrediti” da un ambiente irreale e fantastico si punta verso nord-ovest, all’oasi
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di Tozeur, impreziosita da oltre 200.000 palme che producono, insieme a quelle di Nefta, i datteri più gustosi del Nord Africa. Qui si consiglia una visita al Museo Dar Chéraiet, dove sono magistralmente esposti personaggi e scene di vita delle famiglie berbere più facoltose. Il viaggio si conclude nelle oasi di montagna di Chebika e Tamerza, a pochi chilometri dalla frontiera algerina, dove le acque, sotto forma di cascate e ruscelli corroboranti, si mescolano nella fantasia de Le mille e una notte, Alì Babà e “apriti Sesamo” compresi.
L’UNESCO IN TUNISIA
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beni tunisini iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale sono complessivamente otto. Sette di questi sono classificati “culturali”: l’anfiteatro romano di El Jem (1979), la città punica di Kerkouane e la sua necropoli (1985), Dougga (1997), Kairouan (1988), la Medina di Sousse (1988), la medina di Tunisi (1979), il sito archeologico di Cartagine (1979) ed uno è classificato come “naturale”: il Parco Nazionale dell’Ichkeul (1980). Vi sono poi quattro luoghi sottomessi alla Lista indicativa: il Parco Nazionale di El Feija, il Parco Nazionale di Bouhedma, lo Chott El Jerid e l’Oasi di Gabès.
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UN’OPERA DI BENEDETTO DA MAIANO, UNO DEI MAGGIORI SCULTORI FIORENTINI DEL QUATTROCENTO
LA RISCOPERTA DI UN CROCIFISSO DIMENTICATO di ANTONELLO MENNUCCI Direttore dei Musei Civici l 21 marzo scorso, presso il plesso espositivo del Conservatorio di Santa Chiara, comprendente il Museo Archeologico, la Spezieria di Santa Fina e la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada” e facente parte dei Musei Civici di San Gimignano, è stata inaugurata una mostra di grande importanza dal titolo “Benedetto da Maiano a San Gimignano. La riscoperta di un crocifisso dimenticato” che chiuderà i battenti, dopo un grande succes-
so di critica e di pubblico, il 10 gennaio. Benedetto da Maiano, uno dei maggiori scultori fiorentini della fine del Quattrocento, voce autorevole di quella generazione di artisti capeggiata dal Verrocchio e comprendente comprimari del calibro di Antonio Rossellino e Mino da Fiesole, rappresenta una delle personalità più profondamente legate alla famosissima cittadina toscana. Formatosi c o m e intagliatore presso la bottega paterna, Benedetto giunse a San Gimignano sulla scia del fratello Giuliano, al quale Onofrio di Pietro
San Gimignano
Vanni, depositario della fiducia civica in materia di amministrazione patrimoniale e di cultura, rettore dello Spedale di Santa Fina, custode della biblioteca dell’umanista Mattia Lupi e, soprattutto, operaio della Pieve, aveva commissionato il radicale rinnovamento del principale edificio di culto della città. Dell’ambizioso progetto, tuttavia, vennero realizzati soltanto alcuni ampliamenti all’area presbiteriale e le due cappelle speculari dedicate rispettivamente a Santa Fina e all’Immacolata Concezione. La cappella della Beata Fina de’Ciardi, giovinetta morta nel 1263 in odore di santità e da subito divenuta oggetto della venerazione dei Sangimignanesi, era stata voluta dall’intera comunità che, da tempo, ne auspicava la canonizzazione. L’intera compagine architettonica della cappella, ispirata alla brunelleschiana sacrestia vecchia di San Lorenzo, a Firenze e alla cappella del Cardinale di Portogallo, a San Miniato al Monte, sempre a Firenze, costituisce la testimonianza
più preziosa dell’intero progetto di rinnovamento della pieve. La struttura architettonica, aggiornatissima testimonianza delle tendenze artistiche del periodo, era completata dall’apparato scultoreo realizzato da Benedetto, comprendente la tomba altare della santa. Per Benedetto si trattava dei primi incarichi ufficiali fuori da Firenze commissionati, in ambito sangimignanese, nell’arco di circa un ventennio, pur non consecutivo. Alla commissione per l’altare della Beata Fina (1475-77), presso la Collegiata, fece infatti seguito quella per la realizzazione dell’altare maggiore della stessa chiesa (1478-82), di cui oggi rimangono pochi ma preziosi frammenti e, più tardi, quella per lo splendido altare-monumento del beato Bartolo Buonpedoni nella chiesa di Sant’Agostino (1492-95), sempre su commissione comunale. Alla bottega dei da Maiano si devono anche il busto-ritratto postumo di Onofrio di Pietro (1483-94) e un crocifisso ligneo, entrambi conservati presso il Museo d’Arte Sacra.
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al Cristo un’espressione di serena accettazione del destino dell’uomo, oppure la minuziosa plastica del corpo che, tramite la morbida flessione delle gambe e delle braccia, pare fermare l’attimo del definitivo abbandono alla morte. L’opera, di discrete dimensioni (l’altezza è pari a circa 107 centimetri), è stata probabilmente realizzata da Benedetto durante l’ultimo quarto del Quattrocento per il più antico ente assistenziale della città, dove per lungo tempo ha ornato la corsia maschile fino a transitare, durante gli anni sessanta del Novecento, nell’appartamento delle suore di Santa Marta, scomparendo dalla vista e, progressivamente, dalla memoria collettiva. In questo luogo, il crocifisso venne “riscoperto”, nel 1994, a seguito di uno specifico sopralluogo effettuato da Michele Maccherini, all’epoca direttore dei musei, che per primo, nonostante il precario stato di conservazione dell’opera,
Prima del restauro
La vera novità è comunque offerta dall’esposizione di un altro crocifisso ligneo, anch’esso attribuito a Benedetto, recentemente riscoperto presso lo Spedale di Santa Fina e ora presentato al pubblico per la prima volta dopo il lungo e complesso restauro commissionato dai Musei Civici di San Gimignano. Si tratta di un’opera di straordinaria bellezza, eseguita da una delle maggiori personalità del primo Rinascimento che manifestava, col suo stile personale, un preciso interesse per l’anatomia e le proporzioni del corpo umano, frutto della concezione artistica e filosofica del periodo. L’eccezionale qualità scultorea del crocifisso riflette pienamente le tendenze circolanti durante gli ultimi decenni del Quattrocento, come testimonia il volto, di forma abbastanza stretta, cui le palpebre leggermente abbassate, il dischiudersi delle labbra e la lieve inclinazione della testa verso la spalla destra paiono conferire
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ne propose l’attribuzione a Benedetto da Maiano, paternità in seguito confermata dai massimi studiosi del settore. Il lungo e delicato restauro della scultura, condotto a partire dal 2002 a spese dell’Amministrazione Comunale, con il coordinamento dell’attuale Direzione dei Musei Civici e la direzione scientifica di Alessandro Bagnoli, funzionario della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le Province di Siena e Grosseto, fu eseguito dalla restauratrice fiorentina Barbara Schleicher. La rimozione dello strato scuro che copriva la scultura, composto da pitture posteriori e dal deposito di nerofumo, ha consentito di riscoprire l’originale policromia, perfettamente conservata nonostante il tempo e le manomissioni. L’originaria bellezza di questo straordinario crocifisso, che ben si inserisce nella produzione Maianesca, è ormai pressoché integralmente recuperata. L’esposizione, che documenta puntualmente il percorso di restauro e che si svolge sotto l’Alto Patronato
del Presidente della Repubblica e con il Patrocinio della Regione Toscana, è stata realizzata dal Comune di San Gimignano in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le Province di Siena e Grosseto, la Fondazione Musei Senesi, la Parrocchia di Santa Maria Assunta, la ASL 7 di Siena, proprietaria dell’opera e con il contributo della Fondazione Monte Dei Paschi. L’opera rimarrà fruibile al pubblico anche dopo la chiusura della mostra, in quanto, al termine dell’iniziativa, sarà prontamente trasferita presso la Pinacoteca, ospitata nell’antico Palazzo Comunale, sede storica dei Musei Civici di San Gimignano, ove rimarrà esposta in permanenza accanto ad altri capolavori come L’annunciazione di Filippino Lippi, le tavole di Benozzo Gozzoli e quella del Pinturicchio. La riscoperta del crocifisso e l’itinerario maianesco sangimignanese sono inoltre corredati da uno specifico catalogo bilingue (italiano e inglese). Info: Musei Civici di San Gimignano, 0577/990340 musei@comune.sangimignano.si.it
GLI AFFRESCHI DI MEMMO DI FILIPPUCCIO
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Dopo il restauro
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empre a San Gimignano, nel plesso museale del Palazzo Comunale, Pinacoteca e Torre Grossa, sede storica dei Musei Civici, è iniziato il restauro degli affreschi inerenti il tema dell’amore, realizzati tra il 1303 e il 1310 da Memmo di Filippuccio e unanimemente considerati capolavori assoluti dell’arte senese del XIV secolo. L’intervento, economicamente sostenuto dalla Fondazione Musei Senesi col cofinanziamento del Comune di San Gimignano, avrà per oggetto l’intera “camera del podestà” e si protrarrà fino al prossimo mese di marzo. Il cantiere consentirà comunque l’accesso alla sala permettendo ai visitatori di fruire delle storie affrescate e, contemporaneamente, di assistere in diretta alle operazioni di restauro.
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IL PRIMO COMUNE ITALIANO A COSTITUIRE UNA FONDAZIONE PER IL PROPRIO PATRIMONIO ARTISTICO E CULTURALE
FONDAZIONE TORINO MUSEI, UNA SCELTA VINCENTE di ADRIANO DA RE ata nel 2002 per incentivare e ottimizzare l’attività dei musei cittadini, la Fondazione Torino Musei, oltre alle classiche funzioni istituzionali di conservazione, manutenzione e valorizzazione dei beni artistici ricevuti o successivamente acquisiti dal Comune di Torino, si è caratterizzata da subito per un coinvolgimento diretto di organismi privati, attuando una loro protagonista partecipazione al governo dell’ente. La Fondazione si colloca in ogni caso nella complessa strategia organizzativa dell’amministrazione comunale torinese che, in materia di gestione di rilevanti servizi pubblici, ha da tempo inteso distinguere proprie funzioni di indirizzo, programmazione e controllo, da specifiche caratteristiche di conduzione affidate a soggetti di nuova istituzione, caratteristiche funzionali a un progressivo miglioramento di performance funzionali. Da non dimenticare inoltre che Torino è stato il primo Comune italiano a costituire una fondazione a cui affidare il proprio patrimonio artistico o culturale – formalmente sempre di proprietà della Città -, utilizzando modelli organizzativi snelli e funzionali.
Oltre a favorire nei cittadini un’autentica identità culturale, per così dire, un orgoglio civico verso un patrimonio artistico fra i più ricchi in Europa, due sono gli elementi che hanno indotto la Città a ritenere fondamentale la costituzione di un nuovo ente. Innanzitutto, attraverso la Fondazione si completa la costruzione di una serie di sistemi artistici d’eccellenza che comprende i numerosi musei della città. Inoltre, attraverso il deciso avvio di forti e mirate attività promozionali, si è pensato di attrarre sempre più visitatori verso una Torino entrata a pieno titolo tra le città d’arte. Fra le finalità principali della Fondazione, oltre alla volontà di migliorare la gestione dei Musei e di renderli da un punto di vista organizzativo più agili e funzionali, si collocano quindi: 1. il rafforzamento dell’identità dei musei e della loro immagine; 2. una maggior snellezza nella gestione e, conseguentemente, una migliore efficacia operativa; 3. la partecipazione anche finanziaria di soggetti terzi nella gestione. Per quanto riguarda gli aspetti più legati alla gestione delle strutture museali, dalla costruzione di un unico ente è assicurata una maggiore qualità dei servizi offerti.
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Ciò non significa ridurre oppure rimuovere le particolarità dei singoli musei, la loro eterogeneità, di sede, di missione, di ambito di riferimento: la Fondazione, pur nella sua unicità di indirizzo e di gestione, ha invece il compito di valorizzare le singole identità presenti, attuando un’accentuata specializzazione di prodotto e al tempo stesso definendo un’organica logica di sistema, in grado di realizzare una politica fortemente unitaria. Il fatto poi che un insieme di attività siano svolte da un unico soggetto, costituisce la premessa indispensabile sia per ottenere un miglioramento della qualità del servizio offerto, sia per una diminuzione dei costi, diretti, grazie alle economie di scala e al miglior coordinamento degli interventi, e indiretti, a carico dell’amministrazione comunale, che potrà trattare con un unico interlocutore. Fanno parte della Fondazione la GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, il Borgo e la Rocca Medioevale, il Museo d’Arte Orientale e Palazzo Madama - Museo Civico d’Arte Antica.
La Sala baronale della Rocca
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La GAM possiede un patrimonio artistico che supera le 40.000 opere (dipinti, sculture, installazioni, fotografie) a cui si aggiunge una ricca collezione di disegni e incisioni. Le raccolte, che datano dalla fine del XVIII secolo ai giorni nostri, documentano l’arte italiana ma non mancano esempi importanti di arte straniera. Il Borgo Medievale, realizzato da un gruppo di artisti coordinati da Alfredo D’Andrade in occasione dell’Esposizione Generale Italiana del 1884, è un notevole esempio di ricostruzione condotta con rigorosi criteri filologici di edifici e decorazioni tardo-medievali piemontesi. Oltre quaranta siti hanno fornito i modelli che hanno ispirato gli ideatori. Il Borgo è oggi divenuto un museo del tutto particolare, luogo di studio, divulgazione, divertimento, attrazione turistica, con una diversificazione di iniziative in funzione delle esigenze di differenti tipologie di pubblico. Il Museo d’Arte Orientale è ospitato nella storica sede di Palazzo Mazzonis, riadattato a funzione museale. Il patrimonio del museo comprende opere di particolare pregio e spettacolarità provenienti da aree culturali ben definite: Gandhara, India e Sudest Asiatico, Cina, Giappone e paesi islamici. Infine, il Museo d’Arte Antica di Torino ha sede a Palazzo Madama, uno degli edifici storici e monumentali più rappresentativi del Piemonte, inserito nel complesso delle Residenze Sabaude tutelate dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità. Le collezioni comprendono oltre 70.000 opere databili dal Medioevo al Barocco: dipinti,
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sculture, codici miniati, maioliche e porcellane, ori e argenti, arredi e tessuti che testimoniano la ricchezza e la complessità di dieci secoli di produzione artistica italiana ed europea. La grande Sala del Senato è destinata alle mostre temporanee. Negli anni, la costruzione di un unico ente ha assicurato una maggiore qualità dei servizi offerti, senza ridurre o rimuovere le particolarità dei singoli musei, la loro eterogeneità di sede, di missione, di ambito di riferimento. La Fondazione, pur nella sua unicità di indirizzo e di gestione, ha invece avuto il compito di sviluppare le singole identità, attuando un’accentuata specializzazione di prodotto e al tempo stesso definendo un’organica logica di sistema, in grado di realizzare una politica fortemente unitaria. I rapporti fra la Fondazione e la Città di Torino sono regolati da una specifica Convenzione al cui interno sono individuate le modalità attraverso cui il Comune esercita le funzioni di sostegno e supporto, nonché di indirizzo e controllo nel pieno rispetto dell’autonomia di gestione organizzativa, finanziaria, scientifica e culturale della Fondazione. In esso sono definiti i criteri tecnico-scientifici e gli standard minimi che la Fondazione si impegna a osservare nell’esercizio delle attività attribuite. Sono infine stabiliti gli impegni che le parti reciprocamente si obbligano a rispettare, e le forme, le modalità e le sedi di valutazione, concertazione e deliberazione di tali impegni. Logica di sistema e capacità di rafforzare le identità dei singoli musei costituiscono quindi gli aspetti centrali del progetto confermati dall’esperienza maturata negli anni in cui la Fondazione ha operato e degli obiettivi che si sono determinati. In questi anni i risultati sono stati molti e assai rilevanti. Oltre a realizzare attività che hanno contribuito alla promozione e alla conoscenza del patrimonio culturale museale torinese, sovente at-
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La Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
traverso la collaborazione di istituzioni e musei cittadini, nazionali e internazionali, la Fondazione ha operato in modo determinante alla riapertura dopo quasi vent’anni di Palazzo Madama, un successo di pubblico e di critica che ha valorizzato l’immagine della nostra città. Inoltre, più recentemente, ha avuto luogo l’apertura del Museo d’Arte Orientale, un altro importante appuntamento che ha proiettato la nostra città in un ambito internazionale di estrema importanza per lo sviluppo del sistema culturale torinese. Pertanto, un’esperienza la nostra che conferma ancora una volta la vivacità di Torino, la voglia di sperimentare e di ricercare nuove forme di gestione per offrire ai cittadini servizi migliori, efficienti, di qualità.
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LE OPPORTUNITÀ OFFERTE DALL’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA STANNO TRAVOLGENDO IL CONCETTO STESSO DI CULTURA
INTERNET E PARTECIPAZIONE, COME CAMBIA LA CULTURA di ALESSIO POSTIGLIONE
-democracy, e-government, Whl, virtual heritage, cultural district. L’incontro fra territori, cultura e internet ha, oramai, generato una pletora di acronimi, anglismi e neologismi che, dietro la patina del nuovo, può, in vero, generare confusione e disorientamento, anche per gli addetti ai lavori. Trasformazioni complesse che riguardano il rapporto fra cittadini, il mondo dei beni culturali, degli enti locali e internet. L’emergere di un nuovo pubblico, parcellizzato ma esigente in quanto a gusti culturali, è la novità. Il filosofo Zygmunt Bauman parla di “società liquida”, caratterizzata dal politeismo dei valori e dal sincretismo; cresce la domanda di partecipazione e di un’offerta culturale variegata composta da tanti prodotti di nicchia. Partecipazione ed interattività sono i pilastri del così detto Web 2.0, metafora di una società multipolare che ha superato sia l’economia fordista che post-fordista, per approdare a ciò che Tapscott e Williams hanno definito Wikinomics. Le opportunità offerte dall’economia della
conoscenza, uno degli obiettivi perseguiti dall’Unione Europea con la strategia di Lisbona, d’altronde, hanno travolto anche il concetto stesso di cultura. Negli ultimi anni, infatti, si è assistito ad un forte ripensamento di ciò che è cultura e del ruolo sociale che ad essa spetta. Il tema nichilista o duchampiano della “morte dell’arte” ha significato il superamento dell’Arte, con la “A” maiuscola, come espressione materiale o immateriale “alta” ed aulica. Il nuovo Museums Quartier di Vienna è uno spazio aperto che non tesaurizza più solo la saliera di Benvenuto Cellini o i capolavori di Brueghel, ma si apre a ludoteche, bookshop e perfino discoteche. La cultura e i musei cessano di essere categorie sacrali e diventano un prodotto che può essere iscritto nelle logiche di mercato, portando molti benefici economici al territorio. Soprattutto negli anni ’90, infatti, gli economisti di scuola marginalista hanno studiato come “monetizzare” i beni culturali ed ambientali per due ordini di motivi; innanzitutto, erano i ceti borghesi che fruivano di musei et similia, a prezzi politici, ingenerando una vera e propria Siracusa (foto Giuseppe Muccio)
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Amalfi (foto Gennaro Mauro)
politica regressiva di redistribuzione. Inoltre, l’economia del turismo poteva diventare una vera e propria strategia di crescita per i territori. Ci sono molti esempi a riguardo; il caso Bilbao rappresenta la storia di una città completamente sprovvista di beni culturali standard, come chie-
se gotiche e quadri di Zurbaràn, trasformatasi in un centro culturale internazionale grazie alla localizzazione del Guggenheim. Anche la Ue ha promosso questo approccio. Mentre, fino al 1999, si eleggeva, in Europa, la Città Europea della Cultura secondo un approccio “classico”, nominando città come Firenze, Atene, Parigi, oggi, la Capitale Europea della Cultura è quasi sempre una città nonstorica, proprio per favorirne lo sviluppo urbano attraverso il traino della cultura: negli ultimi anni, abbiamo avuto capitali come Essen, Linz, Liverpool, Stavanger, Cork. La logica della rete, fluida ed antiautoritaria, ha anche comportato delle trasformazioni giuridiche: si pensi alla stagione della program-
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e novità, infatti, non vengono solo dalle istituzioni, ma anche dalla società. È il caso di Comuni-Italiani. it, un portale web completamente attivo e partecipato da una vasta community, che grazie a strumenti come il wiki o il blog, dà voce a tutti: dalle guide turistiche, ai sindaci, ai semplici internauti. L’Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale Unesco sta patrocinando la seconda edizione del Concorso Fotografico Nazionale di Comuni-Italiani.it, pensato per promuovere e valorizzare i territori. Grazie ad una piattaforma aperta, istituzioni e cittadini si informano. Il concorso di quest’anno, accessibile dall’indirizzo http://rete.comuni-italiani.it/foto/ e patrocinato, tra gli altri, anche dal Ministero del Turismo, tre Regioni e 34 Province, scade il 28 febbraio 2010 ed ha come temi “Castelli e fortificazione” e “Panorami”. Una delle caratteristiche principali del concorso è che le foto competono a secondo del numero di abitanti del Comune, proprio per favorire anche i piccoli centri. I partecipanti, sul forum del sito, organizzano viaggi ad hoc per coprire quel comune che non è stato ancora fotografato, ansiosi di vincere il premio dedicato a chi fotografa più centri. I viaggi virtuali, quindi, hanno ricadute concrete nel mondo materiale. Le foto di questo articolo sono tratte dal Concorso Fotografico di Comuni-Italiani.it
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mazione negoziata e al progressivo abbandono, da parte dello Stato, di strumenti autoritativi di diritto pubblico in favore di procedure consensuali aperte agli interessi degli stakeholder, cioè di tutta la società. Negli ultimi anni, i piani di E-Government hanno promosso una crescente informatizzazione della pubblica amministrazione e dei beni culturali in genere. Il Ministero dei Beni Culturali ha implementato innovativi archivi elettronici e sistemi di interscambio documentale. Eppure gli ultimi dati disponibili ci dicono che solo il 65,9 per cento dei Comuni in Italia è dotato di sito web istituzionale e che appena il 54,6 per cento degli enti locali con meno di 10.000 anime è in rete (fonte: ICT nelle amministrazioni comunali, Istat, 2005). Vale la pena sottolineare, però, come le piattaforme più utili per i Comuni saranno ogni giorno di più i blog e i wiki, piuttosto che i tradizionali siti statici. Urbanisti e sociologi come Saskia Sassen e Patrick le Gales hanno tratteggiato un futuro di sistemi territoriali in competizione fra di loro, dove i beni culturali, le dotazioni di capitale culturale e la interattività delle amministrazioni concorreranno a determinare i territori leader. In questo scenario, il nuovo standard internet sarà un modello di comunicazione assolutamente multilineare, che superi il flusso dall’alto o top-down, e metta al centro i cittadini, non solo fruitori ma produttori da cultura: i così detti prosumer. Le comunità locali, an-
che virtuali, d’altronde, sembrano ricoprire un ruolo fondamentale nel creare quella tradizione od identità, per parafrasare lo storico Eric Hobsbawm, in grado di concorrere alla creazione della cultura immateriale, capace, d’altronde, di determinare l’amenità di un luogo e decretare il successo di un monumento. In Italia, ad esempio, sia le feste celtiche del Nord o le tarantelle del Salento rappresentano due casi di “invenzione o risignificazione della tradizione” che hanno dato vita ad un vero circuito turistico. E’ fondamentale, quindi, per le istituzioni promuovere portali web che realmente accolgano la partecipazione espressa dal basso. Assolutamente da incentivare è anche la creazione di portali web dedicati al singolo bene Unesco oggetto della tutela, come suggerisce Arthur Pedersen in “Practical Manual for World Heritage Site Managers”. Validi esempi sono i siti www.isassidimatera.it o www.sacrimonti.net. Ma è, infine, importante sostenere anche i portali non pubblici, quando la loro mission generi effetti virtuosi socialmente rilevanti.
Montalcino, l’Abbazia di Sant’Antimo (foto Cristina Lamberti)
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IL MUSEO DEL MARE E DELLA NAVIGAZIONE ANTICA
DA PYRGI SULLE ROTTE DEL MONDO ANTICO di ARNALDO GIOACCHINI n uno dei più belli e meno violati, nel corso di tutta la sua storia, castelli costieri del Mar Tirreno, quello di Santa Severa nel territorio del Comune di Santa Marinella, ha sede il Museo del Mare e della Navigazione Antica, diretto dall’archeologo dott. Flavio Enei, deus ex machina delle molteplici ed importanti attività di ricerca
Area del porto di Pyrgi con il Castello di S. Severa
e di divulgazione scientifica, condotte dal museo nel territorio in collaborazione con Enti locali, Soprintendenza ed Associazionismo Culturale (Gruppo Archeologico del Territorio Cerite). Non è casuale che tale museo sorga in questo luogo all’interno di quello che è un castello di origine normanna del 1064 d.C. che si erge praticamente a ridosso della battigia, dov’era situato il porto più importante dell’antica Cerve-
teri, quel Pyrgi che insieme a quelli di Alsium, Punicum e Castrum Novum, rappresentava la grande capacità portuale commerciale della ricca città etrusca ed il fulcro delle sue fortune. È da sottolineare come l’area di Pyrgi (odierna Santa Severa) sia stata ininterrottamente abitata dall’uomo fin dal neolitico e come abbia, con le sue stratificazioni geologiche, fornito agli archeologi ampi ed interessantissimi riscontri di tale presenza umana. Il Museo del Mare si sviluppa su più livelli (nella parte alta sono situati anche alcuni laboratori) e si avvale di una gran bella didattica che utilizza sia “pezzi” originali appartenenti a varie epoche (anfore, ancore di vario tipo pure litiche etc.) che validissime ricostruzioni lignee anche animate, come è nel caso di una stiva di una nave antica che si anima durante una tempesta fittizia con tanto di rumore di
marosi e voci concitate di marinai (con ordini impartiti, in latino arcaico, dal gubernator), per non dire poi delle validissime ricostruzioni a parete delle rotte frequentate dagli antichi navigatori dentro e soprattutto fuori dal Mare Nostrum. Fra l’altro si possono ammirare vari modellini di navi ad iniziare dalle epoche remote insieme a vari plastici di porti antichi, per non parlare poi di fondamentali strumenti in uso su tali imbarcazioni ricostruiti e resi perfettamente operativi (come nel caso di alcune tipologie di pompe di sentina) dal maestro d’ascia Mario Palmieri,che è anche comandante dell’Antonio II, una goletta di 21 metri che fa base nautica presso il porto di Civitavecchia e che è a disposizione del Museo per mini crociere culturali lungo tutta la costa etrusca con tanto di esperto a bordo che illustra tutte le realtà storiche ri-
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scontrabili sia in mare che a terra. Non è casuale neppure il fatto che, collegato con il Museo del Mare e della Navigazione Antica, sia operativo Il Centro Studi Marittimi che nasce nel 2006 in seguito ai risultati raggiunti dalla ricerca archeologica subacquea condotta dal GATC sui fondali di Pyrgi in collaborazione con il Comune di Santa Marinella e con la Soprintendenza Archeologica dell’Etruria Meridionale, ma che già prima, dal 1999, era operativo come settore subacqueo del Gruppo Archeologico. “CSM” che finalizza la sua attività alla ricerca, alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio storico-archeologico sommerso, in particolare nell’area pyrgense ove ha già condotto alcune campagne di studio, con primi importanti risultati, e dove è stato allestito un percorso di visite subacquee. È opportuno ricordare alcuni riconoscimenti ufficiali assegnati a questo validissimo Museo del Mare e della Navigazione Antica. Per esempio il Premio Qualità assegnatogli per il terzo anno consecutivo dalla Regione Lazio, la Mostra “Etruschi e Fenici sul mare: da Pyrgi a Cartagine”, tenutasi dal 12 novembre al 13 dicembre 2009, presso la prestigiosa sede del Complesso del Vittoriano a
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Roma, evento tra l’altro patrocinato dalla Provincia di Roma. Da non trascurare anche i riscontri mediatici, come nel caso della seguitissima puntata di Superquark realizzata da Alberto Angela e registrata all’interno del Museo. E sempre nell’ambito della documentazione storica per immagini va ricordato come al documentario sullo scavo di Santa Severa sia stato assegnato il “Capitello d’Oro”. Lo scavo di Santa Severa curato dai volontari del GATC con la supervisione dalla dott.ssa Rita Cosentino della Soprintendenza Archeologica, è balzato all’attenzione del grande pubblico in occasione dell’importante manifestazione romana del “Capitello d’Oro”, il Festival Internazionale del Cinema Archeologico che si è svolto a Roma nella nuova sede dell’Auditorium Parco della Musica domenica 29 marzo 2009; sono stati 1541 voti che hanno decretato la vittoria del documentario “Santa Severa tra leggenda e realtà storica” che in quarantacinque minuti racconta le straordinarie scoperte avvenute, in questi ultimi anni, all’interno del perimetro del Castello di Santa Severa ed in particolare il rinvenimento della chiesa paleocristiana risalente al V secolo nel cortile della Rocca castellana. Ma sul Museo del Museo del Mare e della Navigazione Antica è veramente illuminante ciò che scrive il suo direttore Flavio Enei: “Le genti etrusche e quelle fenicio-puniche si incontrarono sul mare e condivisero per secoli l’avventura dell’espansione commerciale verso gli empori più lontani, alla ricerca delle materie prime e della ric-
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chezza. Si fondarono empori, colonie, santuari, si definirono trattati e sfere d’influenza, si trasportarono da una sponda all’altra beni di sussistenza e di lusso, culture e tradizioni. Come ampiamente documentato dagli scavi eseguiti a partire dal 1956, nell’area del santuario etrusco di Pyrgi, antico porto di Cerveteri, viveva una consistente comunità punica, dedita agli scambi commerciali tra il mondo etrusco e quello cartaginese. Il “re su Caere” Thefarie Velianas, ricordato nelle tre famose lamine d’oro rinvenute nell’area sacra C, dedicò un tempio ad Uni, la Giunone etrusca, “gemellata” nello stesso luogo di culto con la fenicia Astarte. L’antica alleanza esistita fin dall’epoca arcaica tra gli Etruschi di Cerveteri-Pyrgi ed i Cartaginesi, ha lasciato sul piano archeologico alcune tra le tracce più significative della presenza punica nell’Italia tirrenica. Gli Etruschi, che già secondo gli autori antichi dominarono su quasi tutta l’Italia e furono veri e propri signori del mare, controllarono gran parte del Tirreno e si spinsero ben oltre, nell’Egeo e forse anche nel grande Oceano al di là delle Colonne d’Ercole. Costruirono navi veloci con cui praticare l’arte aristocratica della pirateria ma anche grandi navi onerarie per trasportare i loro prodotti fino in Africa, in Grecia, in Asia Minore, nella Gallia meridionale. Una civiltà che deve molta della sua fortuna al mare, crocevia, ieri come oggi, di idee, cultura, interessi commerciali e politici. I Fenici e i loro continuatori in occidente, i Cartaginesi, appartengono ad una civiltà ancora poco nota al grande pubblico, che
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Ricostruzione ricerca subacquea
tuttavia ha segnato per oltre un millennio la storia del Mondo antico e ha lasciato un’impronta forte nella nostra stessa cultura. Anch’essi grandi navigatori colonizzarono le sponde e molte isole del Mediterraneo, furono i primi a circumnavigare il continente africano e, usciti dallo stretto di Gibilterra, a navigare in pieno Oceano Atlantico, fondando città sulle coste africane e raggiungendo le Isole Azzorre per arrivare, forse prima di Colombo, addirittura in America”. Si parte da Pyrgi ma, come è dato a vedere, gli approdi sono ben lontani e, per alcuni versi, sorprendenti ed inconsueti. Però quei formidabili naviganti antichi tutto sole e stelle, chissà quante volte al ritorno dai loro perigliosi viaggi seduti nelle tabernae pyrgensi di fronte a vari boccali del corposo e speziato vino etrusco dopo aver fatto visita alle celle, poste a ridosso dei templi e del porto, ove si esercitava la prostituzione sacra, si saranno narrati reciprocamente (magari con un po’ di iperbole marinaresca) delle loro fantastiche navigazioni, magari “condite” anche da incontri con relativi mostri marini, fatte per i mari del globo quasi tremila anni fa con i loro gusci galleggianti di legno e tela.
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VALORIZZAZIONE DEI LUOGHI DELL’ISPIRAZIONE LETTERARIA PER LA PROMOZIONE DEL PAESAGGIO CULTURALE E LO SVILUPPO DEL TERRITORIO
I PARCHI LETTERARI®: UN’ESPERIENZA DI VIAGGIO NEL PAESAGGIO VIVENTE di STANISLAO DE MARSANICH ochi mesi fa la rivista Siti (aprile/giugno 2009) mi diede l’opportunità di raccontare I Parchi Letterari® ideati da Stanislao Nievo ed istituiti in molte parti d’Italia per fare conoscere e preservare i luoghi da cui tanti scrittori e poeti hanno tratto ispirazione. Sono passate solo poche settimane ed è nata la proposta di fare de I Parchi Letterari® un laboratorio, uno strumento sufficientemente agile ed idoneo per scoprire il territorio anche mediante la progettazione e l’attuazione di percorsi integrati di turismo responsabile ed ecosostenibile. L’Unesco stessa riconosce l’opportunità di un approccio che integri il turismo alla conservazione dei beni culturali e dell’ambiente, che metta in risalto la stretta relazione fra sviluppo turistico, crescita economica e conservazione del patrimonio culturale ed ambientale. In questo contesto intendiamo incoraggiare forme di turismo responsabile anche come stru-
mento per la tutela, la promozione e la diffusione delle diverse culture locali, regionali e nazionali. L’obiettivo è sostenere un turismo che protegga, conservi ed interpreti il paesaggio ed insista sulla necessità di garantire una partecipazione attiva delle comunità locali, per fare sì che il patrimonio culturale sia reso accessibile a tutti e presentato verso l’especorrettamente, anche attragio. rienza del viagDiventa quindi impor t an te
Montefeltro (PU), Parco Letterario Paolo Volponi
che la fruizione dei territori preveda proposte d’interpretazione volte a rendere comprensibili le componenti storiche, culturali, ambientali e produttive di un luogo. Le Città e i villaggi, ma anche i paesaggi e le campagne raccontati in un testo, sono un patrimonio culturale ed ambientale da proteggere, da valorizzare e presentare ai visitatori attraverso un viaggio discreto nella letteratura e nella memoria per mezzo di attività e manifestazioni ideate per far comprendere gli scrittori attraverso un’esperienza che ricordi ciò che
possono avere sentito, mangiato, toccato, guardato ed anche odorato. La letteratura diventa così un mezzo per contribuire a tutelare l’ambiente inteso come luogo dell’ispirazione, un metodo originale che attraverso gli autori interpreta il territorio visto come un insieme di risorse ambientali, storiche, artistiche e di tradizioni artigianali e gastronomiche. Uno strumento di sviluppo sostenibile che ha le potenzialità di gratificare il territorio e distribuire benefici socio-economici attraverso un indotto diversificato. Partendo dal principio che la “cultura non è una merce”, è stato più volte sottolineato sulle pagine di questa Rivista quanto il patrimonio
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culturale italiano sia unico al mondo ed una “risorsa preziosa, irripetibile, non clonabile né de localizzabile”, sulla quale sarebbe colpevole non investire mezzi ed energie, senza per questo arrivare ad una massificazione dell’offerta. In questo contesto, la salvaguardia e la valorizzazione dei luoghi dell’ispirazione letteraria sono elementi di grande importanza per promuovere in Italia ed all’estero la conoscenza del nostro paesaggio culturale nel suo complesso, facendone allo stesso tempo un volano per le economie locali. E’ tuttavia necessario partire dal principio per cui il paesaggio culturale, inteso come frutto dell’interazione tra l’attività umana e l’evoluzione della natura, pur potendo essere considerato una fonte economica, non è rinnovabile ed è pertanto da proteggere. Non sfruttare il territorio, quindi, ma bilanciare le necessità dei residenti e dei visitatori affinché questo genere di turismo porti benefici ad entrambi. Una delle ragioni per cui il turismo culturale cresce è che il visitatore vuole vivere esperienze originali del luogo, non omogeneizzate. Il visitatore non vuole sapere solo nomi e date, ma interpretare il territorio e farne parte. E’ fonda-
all’inizio del suo confino in Basilicata e permettono di approfondire ad anni di distanza gli aspetti più nascosti del suo messaggio. Senza un recupero del patrimonio immateriale, il lettore-viaggiatore perderebbe molti dei significati della civiltà contadina, del mondo degli artigiani e delle solfare dell’ennese raccontati da Nino Savarese; stenterebbe a comprendere la realtà drammatica descritta dal Verga, una delle realtà di quella Sicilia mitica, affascinante e a volte crudele che Salvatore Quasimodo definì “la terra impareggiabile”. Senza un rispetto attento per la natura si perderebbe il messaggio di Paolo Volponi che con un costante riferimento al paesaggio ha saputo come pochi cogliere il “genius loci” di Urbino e degli altri centri tra il Metauro, il Foglia ed il Montefeltro: “…il dittico pierfrancescano dei duchi Federico e Battista … porta nel retro il paesaggio-sintesi, storico culturale prima che fisico, del ducato urbinate, fondale devoto e insieme teatro operativo del trionfo dei duchi” (Paolo Volponi, Cantonate di Urbino). Di fatto quello che ci si propone è partire da I Parchi Letterari® per creare un mezzo per promuovere ed applicare anche attraverso un certo tipo di turismo i principi propri delle Convenzioni Unesco sul Paesaggio Culturale, sulla Diversità Culturale e sul Patrimonio Immateriale, anche in quei territori che non sono Patrimonio dell’Umanità. Per fare questo intendiamo incoraggiare un’attiva partecipazione delle Istituzioni, delle associa-
mentale quindi insistere sulla qualità dei servizi per introdurre alla storia, alla cultura, ai monumenti ed al paesaggio di un posto. Ciò che il visitatore vuole scoprire o riscoprire è il perché quel luogo debba essere considerato unico rispetto a tanti altri nel mondo e perché valga la pena andarlo non solo visitare, ma rivivere. Per questo motivo è importante non sovrapporsi a realtà che già operano localmente, ma individuarne i punti di eccellenza e offrire l’opportunità di fare parte di una rete che abbia i requisiti qualitativi necessari per presentarsi, organizzata e strutturata, anche sui mercati internazionali; la realizzazione di partnership sul territorio di riferimento diventa quindi essenziale dal momento che il turismo, e quello culturale in modo particolare, richiede delle risorse già legate al luogo. Senza la partecipazione delle realtà locali, sarebbe ad esempio impossibile rivivere emotivamente i luoghi e i momenti descritti nel “Cristo si è fermato a Eboli”, e si perderebbero il sentimento e il profondo amore che Levi aveva per la terra lucana e la sua popolazione. I panorami, ma anche le tradizioni e i racconti degli abitanti riescono ancora a suscitare nel visitatore le emozioni e lo stupore provati da Levi
PAESAGGIO CULTURALE ITALIANO Srl Paesaggio Culturale Italiano Srl nasce dalla volontà di creare uno strumento idoneo per la valorizzazione del territorio e la messa in rete di attività finalizzate alla salvaguardia, alla promozione e valorizzazione del patrimonio culturale, naturale e delle espressioni della diversità culturale mediante la progettazione e l’attuazione di percorsi integrati di turismo culturale, valendosi dell’esperienza trentennale di Viaggi dell’Elefante Spa. L’obiettivo è quello di organizzare una rete nazionale, ed internazionale, costituita da elementi di interesse turistico e luoghi che, per importanza sul piano storico-testimoniale, architettonico e di richiamo dell’identità anche sotto il profilo economico e sociale, si prestino a svolgere un ruolo di primo piano come meta di viaggio nell’ambito delle politiche di turismo responsabile e di sviluppo sostenibile. PAESAGGIO CULTURALE ITALIANO Srl Via del Fornetto 85 - 00149 Roma tel. 06 60 51 30 81 info@paesaggioculturaleitaliano.com www.parchiletterari.com
Modica, lo studio di Salvatore Quasimodo
zioni di settore e degli imprenditori locali, anche attraverso una partnership pubblico-privata, che sensibilizzi la società civile ai temi della protezione e della tutela, a partire dalla scuola. Le risorse storiche e naturali di una comunità sono uniche e insostituibili. Se il paesaggio culturale è oggi al centro anche dei piani per sviluppare il turismo, è importante che sia accompagnato nella sua naturale evoluzione, da una politica condivisa di riscoperta e recupero dell’ambiente e delle tradizioni che raccontano la storia del territorio e aiutano a conservare l’identità e l’orgoglio di appartenenza delle popolazioni.
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UNA SAGA LETTERARIA TUTTA ITALIANA AMBIENTATA NEI LUOGHI PIÙ BELLI DELLA TERRA
AVVENTURE, SCIARADE E MISTERI NEL MONDO UNESCO n successo nato grazie al passaparola. Questo è ‘Il mondo di Mauro & Lisi’, saga tutta italiana incentrata sul Patrimonio Unesco e definita ‘per ragazzi’, anche se i lettori che si appassionano alle avventure dei fratelli Cavalieri sono ormai di tutte le età. Uscita il 23 aprile 2007, in occasione della XII Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore, la saga, scritta dalla giornalista romana Diletta Nicastro ed edita dalla Passepartout Edizioni, al momento conta quattro capitoli: Il mistero di Lussemburgo, Il tesoro di Skara Brae, I fossili di Messel e I lillà di Padova. Le avventure sono avvincenti, frizzanti, divertenti. Lo stile, leggero e scorrevole, alterna storie sempre differenti tra loro. Si passa da un giallo classico (il furto della statua di Saint Michel nell’omonima chiesa della città di Lussemburgo e la caccia ai ladri), ad un romanzo di avventura puro (intorno al villaggio neolitico di Skara Brae, nelle isole Orcadi in Scozia, è nascosto nientemeno che un tesoro di un capo vichingo; o almeno così è scritto sulle mura della camera funeraria di Maeshowe), da un thriller politico (un giovane ricercatore dell’Università di Bonn è stato rapi-
to dopo aver scoperto dei pericolosi intrighi nel sito fossilifero di Messel a sud di Francoforte; chi troverà per primo i suoi appunti magistralmente nascosti? Mauro& Lisi o i loro sconosciuti avversari?) a un viaggio nel tempo tra il Cinquecento, la Prima Guerra Mondiale e i giorni nostri (Isabella e Rodolfo, lei italiana lui austriaco, sono innamorati ma lo scoppio della Grande Guerra li separa mentre indagano sull’arrivo del lillà all’Orto Botanico di Padova. Dopo quasi 100 anni Mauro & Lisi riprenderanno le ricerche perché qualcosa si risveglia sotto alla cenere…). E il quinto? Al momento si sa solo che sarà un’avventura mozzafiato alla 007. Il resto è top secret. Ma non per tutti. Una fortunata (e perspicace) lettrice ha indovinato, grazie a piccoli indizi disseminati nel corso dei primi quattro libri, il sito coinvolto ed ha vinto il concorso ‘Indovina la prossima avventura di Mauro & Lisi’ (in palio un soggiorno a Roma per due persone e una gita nei luoghi Unesco della Capitale e della Città del Vaticano assieme alla Nicastro). La vera arma vincente della saga sono i protagonisti, ragazzi come tanti, in cui i lettori si riconoscono (o riconoscono i propri figli); giovani pronti a lottare giorno e notte per salvaguardare le meraviglie della Terra, minacciate da
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ladri, furfanti o assassini, e tramandarle alle generazioni future. I loro nomi? Mauro Cavalieri, giovane Ispettore Unesco inviato in missione ogni volta che qualcosa di misterioso o pericoloso accade in uno degli 890 siti inseriti nella Lista, idealista, puro e punto di riferimento del gruppo; Elisabetta, detta Lisi, Cavalieri, sorella minore di Mauro, si accoda sempre alle missioni del fratello mettendosi il più delle volte nei guai, coraggiosa, generosa e altruista non si separa Diletta Nicastro mai dal ciondolo regalatole dalla “Camminavo per i vicoli medievali di Lussemmamma; l’irlandese Kieran Moynihan, conosciuburgo, quando mi sono imbattuta nella targa che to durante la missione in Lussemburgo, diventa ricordava che il centro storico della città è Patriamico inseparabile dei due fratelli, temerario e monio dal 1994. Fin da piccola ero appassionata misterioso, sembra che non vi sia nulla che non dell’Unesco. Oltre alla mia città, Roma, avevo sappia fare, quando si muove è più agile e silenvisitato tanti siti della Lista: Salisburgo, Venezia, zioso di un gatto. le ville a Tivoli, solo per citarne alcuni. Leggendo Ma come è venuta l’idea di coniugare il Paquella scritta mi si è accesa una lampadina. Ho trimonio Unesco all’avventura e alla letteratura? cominciato a pensare a quante bellezze miscoE’ Diletta Nicastro in persona a raccontarcelo: nosciute esistono al mondo, luoghi che sarebbe stato bello scoprire, studiare, approfondire. E, fermandomi sotto alla Torre Vauban, ecco che mi venne l’idea di scrivere una saga incentrata sul Patrimonio, in cui avventure e segreti si miscelavano con la storia, la cultura e le leggende dei luoghi più belli della Terra”. Per una volta quindi niente Hogwarts, Topazia o mondi incantati. Si parla di luoghi veri, di problemi reali, di monumenti che tutti noi, con una mappa in mano, possiamo visitare:
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“Prima di scrivere ogni romanzo mi documento e vado personalmente nei siti che descrivo per raccontare non solo la loro storia, ma anche le emozioni che nascono nel guardarli, viverli, assaporarli. In un certo senso faccio un po’ come nel cinema. Cerco, scruto, elaboro i set migliori per le scene”. Non è quindi un caso che la prima cosa che scrivono i lettori sul sito ufficiale della serie www.ilmondodimauroelisi.it è che le pagine della Nicastro spingono a fare immediatamente i bagagli per andare a vedere dal vivo tutti i luoghi descritti: dalle Casemates sotto all’antica fortezza di Lussemburgo (dove si incontrano Lisi e Kieran per la prima volta) al cerchio in pietra del Ring of Brodgar (dove Lisi ascolta strani discorsi relativi alla mappa del tesoro di Skara Brae); dalla conca di Messel Pit (dove Lisi rischia di rimanere intrappolata dentro alle sabbie mobili) al fortino asburgico sulle Dolomiti vicino Moena (dove Mauro, Lisi e Kieran vanno a caccia delle lettere di Isabella e Rodolfo ai tempi della Grande Guerra); dall’Eremo di Monte Rua vicino Padova (dove Lisi e Kieran si accingono a rubare un libro antichissimo) a tante altre, perché le location da mozzare il fiato sono moltissime e non possono essere citate tutte. Ma ‘Il mondo di Mauro & Lisi’ è anche molto di più. E’ un vero e proprio universo giovanile dove ai viaggi e alla cultura si alternano la moda (Agla, una delle più care amiche di Lisi, è sempre vestita “da urlo”), il calcio, o meglio il Celtic (Charlie, amico di Kieran, parla con massime ispirate esclusivamente alla squadra di Glasgow), le nuove tecnologie (Mauro è all’avanguardia in tutto quel che riguarda telefonia o computer) e un’invidiabile umorismo (vi sorprenderete a ridere da soli mentre leggete i dia-
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loghi tra i fratelli Cavalieri). Per concludere usiamo le parole di Mario Vecchione, responsabile del Patrimonio in Italia nel 2007 ed autore della prefazione all’opera: “Sono stato catturato dalle peripezie avventurose e picaresche dei due simpatici fratelli, così reali e dallo slang giovanile e moderno (…). Sono state le agili e vivide note, proprie della letteratura di viaggio, che mi hanno ancor più immerso nell’irriducibile e vivificante piacere di conoscere le culture vive locali, il patrimonio immateriale che rappresenta il crogiolo della creatività e dell’identità delle altre genti con i loro modelli, costumi e comportamenti, fino a sorprendermi nell’atto di fantasticare e pianificare le mie prossime vacanze, magari con lo zaino in spalla, verso le Orcadi”. Avete preparato i bagagli?
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Dodici nuovi membri nel Comitato del Patrimonio Mondiale Unesco
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ambogia, Estonia, Etiopia, Francia, Iraq, Mali, Messico, Russia, Sud Africa, Svizzera, Tailandia e Emirati Arabi Uniti, questi i dodici nuovi embri eletti nel Comitato del Patrimonio Mondiale durante la sessione autunnale dell’Assemblea Generale, tenutasi nell’ottobre scorso presso la sede dell’UNESCO a Parigi. I 21 membri del Comitato del Patrimonio Mondiale (il cui mandato dura quattro anni) si riunisce annualmente per discutere lo stato di conservazione dei siti iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale e per aggiungere nuovi siti alla Lista. La prossima sessione del Comitato si terrà dal 25 luglio al 3 agosto 2010 a Brasilia, Brasile. L’Assemblea Generale affronterà anche il futuro della Convenzione del Patrimonio Mondiale, e discutere il tema “2012 e oltre”, la road map verso il 40° anniversario della Convenzione.
Italia, terra dei musei
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Sono ben 4340 i musei e gli istituti similari non statali censiti dall’ISTAT in una rilevazione pubblicata nel novembre scorso su dati del 2006. Quasi un terzo dei musei italiani non statali è composto da gallerie, pinacoteche e raccolte che conservano ed espongono al pubblico collezioni d’arte antica, moderna, contemporanea o sacra, alle quali si aggiungono 460 musei che raccolgono prevalentemente beni e collezioni archeologiche (13,5 %) e 277 musei di storia (pari all’8,1 %). Circa il 16 %, è invece composto da musei etnografici e antropologici, compresi i numerosi musei agricoli
e di arte contadina. Piemonte, Lombardia, Veneto, E m i l i a - Ro m a g n a , Toscana e Marche, con oltre 300 unità ciascuna, ospitano oltre la metà del patrimonio museale nazionale, a fronte di una media nazionale pari a 1,4 istituti ogni 100 chilometri quadrati. Sommando anche i beni gestiti direttamente dal MiBAC l’Italia si colloca fra i Paesi con una delle più alte presenze di strutture museali in Europa, seconda solo alla Germania.
La “Guida ai Luoghi Unesco” è giunta alla quarta edizione
È
stata presentata lo scorso dicembre la quarta edizione della guida ai “Luoghi Italiani Patrimonio Unesco”. Il volume di 192 pagine a colori, curato dall’Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale Unesco, con i testi di Tommaso Gavioli, fornisce una breve ma circostanziata descrizione di tutti i Siti Unesco italiani, incluse le Dolomiti, ultimo ingresso nella famiglia Unesco. La quarta edizione, che contiene anche testi in francese e in inglese, si caratterizza per la presenza di itinerari per le scuole e per una sezione dedicata al Patrimonio Immateriale. Per la prima volta alla Guida viene attribuito un prezzo di copertina di 14 euro.
Notizie dall’Italia e dal mondo *
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Michelangelo su tutti
tre inviato un messaggio al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per sostenere il suo monito in favore di “una società basata sulla conoscenza, sulla valorizzazione del patrimonio cul-
S
econdo i risultati di un’inchiesta condotta da Grandimostre fra i visitatori dell’ultima edizione di “Artelibro”, la rassegna bolognese sull’editoria d’arte, il più grande artista di tutti i tempi è Michelangelo. Il grande genio toscano ottiene ben il 20,5 % delle preferenze - in una graduatoria forse condizionata dalla nazionalità degli intervistati - davanti a Caravaggio (19,1 %), Leonardo (10,2 %) e Piero della Francesca (8,9 %). La “top ten”: è completata da Marcel Duchamp, Pablo Picasso, Raffaello, Tiziano, Cézanne, Velazquez. Lorenzo Lotto, invece, ottiene il meno invidiabile riconoscimento di artista più sottovalutato. L’inchiesta ha, inoltre, messo in evidenza come Roma sia considerata la città che offre le mostre migliori, seguita da Venezia, Milano e da una sorprendente Ferrara. La classifica del museo preferito, invece, vede l’affermazione degli Uffizi di Firenze con il 21,5 % dei voti, al secondo posto il Mart di Rovereto, poi i Musei Vaticani, le Gallerie dell’Accademia di Venezia e la Pinacoteca di Brera a Milano.
LA Nuova presidente DI Italia Nostra
A
lessandra Mottola Delfino, già direttrice della cultura del Comune di Milano e del museo “Poldi Pezzoli”, è la nuova presidente di Italia Nostra. La museologa romana è stata eletta all’unanimità a fine settembre dal Consiglio nazionale dell’associazione. Nuovi anche i vicepresidenti: Nicola Caracciolo, Luigi Colombo e Urbano Barelli. Nella stessa seduta il Consiglio nazionale di Italia Nostra ha lanciato un appello alla collaborazione fra tutte le istituzioni coinvolte per la rinascita dell’Abruzzo, e de L’Aquila in particolare. La neopresidente ha inol-
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turale e del capitale umano”
“Musei Magazine” la NUOVA rivista freepress patrocinata dal MiBAC
È
stata pubblicata nel novembre scorso “Musei Magazine”, una nuova rivista freepress d’arte, design e costume, patrocinata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che intende fa conoscere e valorizzare il patrimonio culturale italiano e che viene distribuita gratuitamente a musei, associazioni culturali, librerie, enti turistici, cinema, teatri, ristoranti e alberghi. La rivista, che presenta articoli dettagliati e riccamente illustrati, utilizza un taglio giornalistico adatto ai lettori di ogni età e si prefigge l’obiettivo di contribuire all’aumento dei visitatori dei nostri musei. “Musei Magazine” offre, inoltre, calendari dettagliati delle mostre e degli eventi museali organizzati in tutta Italia e fornisce al lettore gli strumenti necessari per una visita completa: guide con cartine, informazioni pratiche con numeri telefonici, indirizzi, mezzi di trasporto, prezzi e servizi utili nei dintorni.
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anno sesto • numero uno • gen/mar 2010 www.sitiunesco.it
L’ASSOCIAZIONE CITTÀ E SITI ITALIANI PATRIMONIO MONDIALE UNESCO
L’
Associazione delle Città e dei Siti Italiani Patrimonio Mondiale dell’Unesco è nata nel 1997 da una felice intuizione di sette amministrazioni comunali convinte dell’utilità di costruire una collaborazione con altre città e con altri soggetti per migliorare la capacità progettuale delle proprie realtà territoriali e sviluppare politiche di valorizzazione sulle quali far convergere capacità, competenze e responsabilità a più livelli. Progetti ampi e condivisi che consentano di offrire proposte competitive in termini di qualità e di opportunità di crescita sociale, culturale ed economica. Il sodalizio, del quale fanno parte 53 soci fra Comuni, Province, Regioni, Comunità Montane ed Enti Parco, svolge un’intensa attività di sostegno alle politiche di tutela e di promozione dei territori insigniti del prestigioso riconoscimento Unesco e rappresenta uno dei principali interlocutori per tutti coloro che hanno a cuore lo straordinario patrimonio culturale e paesaggistico del nostro Paese. È riconosciuta ufficialmente dal Governo italiano ed è l’unico soggetto, oltre ai gestori dei Siti, che può beneficiare di specifici finanziamenti per la tutela, la gestione e la valorizzazione dei Siti Unesco italiani. Oltre alla rivista SITI, l’associazione pubblica la guida ai “Luoghi Italiani Patrimonio dell’Umanità” (un volume di circa 200 pagine a colori, giunto alla quarta edizione, che descrive sinteticamente tutti i Siti Unesco del nostro Paese), dispone di un sito web molto visitato (un milione e mezzo di contatti annui), partecipa attivamente e con successo a convegni e a manifestazioni fieristiche e produce vari materiali promozionali. Presidente: Claudio Ricci, sindaco di Assisi. Vice presidenti: Giuseppe Baisi, sindaco di Tivoli, e Corrado Valvo, sindaco di Noto. il Comitato di presidenza è composto dai rappresentanti dei Comuni di Assisi, Barumini, Ferrara, Noto e Tivoli; il Consiglio Direttivo dai rappresentanti dei Comuni di
Agrigento
Alberobello, Andria, Barumini, Ferrara, Firenze, Urbino, Verona, Vicenza e della Regione Toscana; Presidenza presso il Comune di Assisi - Piazza del Comune 06081 Assisi (PG) Tel. 075 8138676 fax 075 8138671 e-mail: assisi.unesco@comune.assisi.pg.it; Segretariato Permanente presso il Comune di Ferrara - Via Boccaleone, 19 44100 Ferrara (FE) Tel. 0532419969/902 fax 0532419909 e-mail: associazione@sitiunesco.it, sito web www.sitiuensco.it. Soci: Comune di Alberobello, Comune di Amalfi, Comune di Andria, Comune di Aquileia, Comune di Assisi, Comune di Barumini, Comune di Capriate San Gervasio, Comune di Caserta, Comune di Cerveteri, Comune di Ercolano, Comune di Ferrara, Comune di Firenze, Comune di Genova, Comune di Lipari, Comune di Mantova, Comune di Matera, Comune di Modena, Comune di Montalcino, Comune di Napoli, Comune di Noto, Comune di Padova, Comune di Palazzolo Acreide, Comune di Piazza Armerina, Comune di Pienza, Comune di Pisa, Comune di Porto Venere, Comune di Ravenna, Comune di Riomaggiore, Comune di Roma, Comune di Sabbioneta, Comune di San Gimignano, Comune di Siena, Comune di Siracusa, Comune di Sortino, Comune di Tarquinia, Comune di Tivoli, Comune di Torino, Comune di Torre Annunziata, Comune di Urbino, Comune di Venezia, Comune di Verona, Comune di Vicenza, Comunità Montana di Valle Camonica, Consorzio Parco del Delta del Po, Ente Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi, Provincia di Ferrara, Provincia di Perugia, Provincia di Pesaro e Urbino, Provincia di Roma, Provincia di Salerno, Regione Lazio, Regione Toscana e Regione Veneto.