Rivista Siti - Luglio Settembre 2009

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SITI • SOMMARIO

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Editoriale Europa, musei e giovani Analisi e riflessioni del nuovo presidente di Claudio Ricci

42 L’approfondimento Le perle d’Italia come prigioni di un popolo I ghetti ebraici nelle città Unesco italiane di Giacomo Natali

6 Primo piano Viaggio nell’Aquila ferita Il capoluogo abruzzese, dopo il violentissimo sisma che l’ha colpito, riparte dalla cultura

48 Bell’Italia La Valle del Barocco I gioielli del tardo barocco nel sud dell’Europa di Sebastiana Clara Borzì

12 In evidenza Firenze, la città dei musei Intervista ad Antonio Paolucci di Carlo Francini

54 In prospettiva Verso il Piano di gestione dell’area archeologica Pompei, Ercolano e Torre Annunziata di Antonio Varone

18 L’analisi Gli investimenti culturali tra sviluppo economico e coesione sociale Pianificazione strategica dello sviluppo locale di Claudio Bocci 22 Focus Le “Memorie in viaggio” del Cinema Ambulante Promuovere il territorio utilizzando la settima arte di Luca Acito 26

Montalcino Il paesaggio del Brunello Strategie per la valorizzazione del turismo enologico di Massimo Bindi

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Reportage La città rosa dei Nabatei Il celebre sito Unesco di Petra in Giordania di Adriano Cioci

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Speciale ipogei 1 Rieti, la Venezia d’acqua dolce Un mondo sconosciuto sotto l’antica via Salaria di Rita Giovannelli

38 Speciale ipogei 2 Architetture sotterranee Osimo e il suo percorso ipogeo di Stefano Simoncini

58 Itinerari Le vie della transumanza La valorizzazione della pastorizia trasmigrante nel Lazio meridionale di Claudia Golinelli e Fabio Severino 64

L’intervento L’Ulisse di allora e l’Ulisse di oggi Perchè le persone viaggiano? di Annalisa Baldinelli

68 A proposito di L’infinita sfida alla forza di gravità Torri e campanili nelle città italiane patrimonio mondiale Unesco 74

Progetti Nel monregalese i totem distribuiscono storie La sperimentazione MP3 Mondovì podcasting di Damiano Aliprandi e Alessandro Bollo

78 Associazione È Claudio Ricci il nuovo presidente dei Siti Unesco italiani Importanti decisioni all’annuale assemblea dell’Associazione 80 Brevi Notizie dall’Italia e dal mondo


EDITORIALE

ANALISI E RIFLESSIONI DEL NUOVO PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE CITTÀ E SITI ITALIANI PATRIMONIO MONDIALE UNESCO

EUROPA, MUSEI E GIOVANI di CLAUDIO RICCI

Mantova

iascuno di noi compie un breve tratto di strada e può farlo solo perché altri, prima, hanno tracciato un percorso. Per questo tutti i Siti italiani patrimonio mondiale devono un “grande grazie” a Mario Bagnara, assessore emerito del Comune di Vicenza, nonché primo presidente dell’Associazione, e a Gaetano Sateriale, illustre sindaco di Ferrara e “presidente della crescita”, in quantità e qualità, del nostro sodalizio. Iniziamo “questo nuovo tratto di strada” per la tutela e la valorizzazione dei luoghi patrimonio dell’umanità con grande impegno e con l’auspicio di accrescere ulteriormente la già proficua collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e con il Centro del Patrimonio Mondiale UNESCO di Parigi. Tre riflessioni iniziali: l’Europa, i musei e i giovani. Dopo l’importante risultato ottenuto con l’approvazione delle Legge 77/2006, la prima che uno Stato membro ha adottato per i propri Siti UNESCO (auspicando che possano aumentare le risorse annuali destinate dal Governo ai Siti) tocca ora al Parlamento Europeo approvare una specifica “raccomandazione” per destinare nei fondi strutturali risorse adeguate ai Siti UNESCO Europei. Come associazione metteremo tutto il nostro impegno per raggiungere questo obiettivo. Che il mitico Agenore, “padre” d’Europa, si “manifesti nel sogno” ai neo parlamentari europei e li illumini (auguri!). I musei italiani sono circa 3200, ma solo il 10% di questi si trova in una sede appropriata e risulta adeguatamente organizzato, valorizzato e utilizzato per la promozione culturale e turistica delle località. Insomma viene il pensiero che più che ai tanti fugaci festival (che passano!) si deve dedicare maggiore attenzione ai Musei italiani (che restano!) per farli diventare luoghi “educativi permanenti sulle identità dei territori”, spazi che accrescono il “tono culturale” delle città e “prodotti” da inserire negli itinerari turistici. È dai musei che bisogna ripartire, trasformandoli in “luoghi aperti di vita quotidiana”. Spero che gli intendimenti programmatici del Ministero per i Beni e le Attività Culturali possano diventare presto “concrete realtà”. “Largo ai giovani”: tra cinque anni il 64% dei contenuti che utilizzeremo per scambiarci ogni sorta di informazione sarà composto da “immagini, segni e simboli”. Un alfabeto nuovo nella forma e nei contenuti a cui i giovani si sono già adattati e con il quale dobbiamo riuscire tutti rapidamente a “sintonizzarci” (d’altronde le “scritture antiche” erano disegni simbolici). È a tutto ciò che dobbiamo pensare quando comunichiamo i Siti UNESCO, i beni culturali e paesaggistici, i valori materiali e immateriali, altrimenti sarà sempre più difficile riuscire a trasmettere alle future generazioni gli importanti messaggi di conoscenza, di cultura e di pace che da decenni ispirano il movimento Unesco. Buon lavoro a tutti e buon cammino.


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IL CAPOLUOGO ABRUZZESE, DOPO IL VIOLENTISSIMO SISMA CHE L’HA COLPITO, RIPARTE DALLA CULTURA

VIAGGIO NELL’AQUILA FERITA

Il campanile della basilica di San Bernardino

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i sono due elementi, nella tragedia che ha colpito l’Abruzzo Aquilano, che il mondo non conosceva appieno e che ora conosce. Il primo è la grande dignità di questa popolazione, davanti ad uno dei drammi più impressionanti della sua storia secolare, fatta non soltanto di terremoti – i più violenti riportati dalle cronache si riferiscono al 1315, 1349, 14611462, 1703 – ma anche di penalizzazioni che in varie epoche hanno frenato la valorizzazione e lo sviluppo del territorio. Il sisma del 6 aprile ha lesionato gravemente l’impianto architettonico della città e dei centri vicini, ha distrutto interi palazzi, ha minato la stabilità di molti altri, ha aperto una

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fase di grande incertezza nel tessuto economico e – soprattutto – ha strappato agli affetti delle persone i propri cari. Assenze che mai, nella vita di ognuno, potranno essere dimenticate. Davanti alla inaudita violenza della natura, ed alle conseguenze che ne sono derivate, questa popolazione sta dimostrando un decoro che diventa esempio per l’intera umanità. Una nobiltà d’animo fuori dall’ordinario, come quella dei soccorritori, sin dalla prima ora, nessuno escluso, alla quale si sta aggiungendo la solidarietà di un’intera nazione e di molte altre, sensibili ai drammi dell’uomo. Il secondo elemento è riferibile all’immenso patrimonio storico-artistico di cui questa terra è custode. Chiese, monumenti, castelli, palazzi gentilizi, dipinti sembrano uscire dai testi


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l’ordine, sin da subito, hanno stretto il perimetro del centro storico con un cordone invalicabile per motivi di sicurezza e per evitare atti di sciacallaggio. Il principale asse cittadino, Corso Federico II e Corso Vittorio Emanuele, e le altre strade dentro le mura, sono sinistramente deserte: le poche persone che le percorrono fanno parte delle stesse forze dell’ordine, dei Vigili del Fuoco, del gruppo di tecnici incaricati dei sopralluoghi per stabilire l’agibilità degli edifici. Corso Vittorio Emanuele, dai “quattro cantoni” sino a Piazza Duomo – il cosiddetto salotto buono, ma anche il ritrovo dei giovani - sembra essersi trasformato in una scena da film inquietante: il silenzio è assoluto e fa paura. I palazzi sono tutti in piedi, ma lo sguardo si posa spesso

degli studiosi e dalle guide turistiche per essere proiettati, in immagini ferite, in ogni angolo del pianeta. Un vero e proprio tesoro, fatto di pietre scolpite e di scenari suggestivi di cui ora ogni continente viene improvvisamente a conoscenza. Eppure, tutto era lì, e in parte lo è ancora, a testimonianza della laboriosità e della sensibilità artistica dei suoi abitatori. I cui padri, all’alba di questa città, intuirono l’importanza di stringere gli sforzi per una causa comune: associarsi. Seppure storia e leggenda, agli inizi del Duecento, si compenetrarono, rimane intatto il fascino ed il significato di questa unione: dare vita ad un grande centro urbano per sconfiggere le incertezze e i disagi che il vivere, a quel tempo, in luoghi relativamente distanti e non sicuri, poteva compor-

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tare. Così, gli incastellamenti e le case fortificate si svuotarono e sorse l’Aquila: mirabile esempio di rafforzamento di un’identità. Anche solo questo elemento, potrebbe bastare all’UNESCO per avviare un dossier ed iniziare un percorso che conduca, una volta completata la ricostruzione, al riconoscimento dell’Abruzzo Aquilano e all’inserimento quale luogo Patrimonio dell’Umanità. Una proposta della quale si farà prossimamente carico l’Associazione delle Città e dei Siti Italiani Patrimonio Mondiale. Ad appena cinque giorni dal sisma abbiamo documentato, con l’ausilio del personale della Squadra Mobile della Questura dell’Aquila, i luoghi più significativi del nucleo antico. Questa ne è la triste cronaca. Le forze del-

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sulle facciate degli edifici, dove le crepe corrono, i cornicioni minacciano di cadere e le luci dei negozi sono ancora accese: qui tutto si è fermato alle ore 3 e 32 del 6 aprile 2009. Le vie laterali, Via Sallustio e quelle ad essa afferenti, testimoniano la gravità dei danni con strutture (anche recenti) fortemente menomate e crolli diffusi. A Piazza Duomo, l’area più elegante della città, le ferite sono aperte e squarciano il cuore. La facciata della Cattedrale di San Massimo, patrono dell’Aquila, sembra intatta, ma il portone principale è serrato ed una croce posticcia di legno simboleggia dolore e speranza insieme. Sulla torre di sinistra la grande campana si è staccata dal suo ancoraggio ed è precipitata. La porta della Curia Vescovile è semiaperta, ma ingombra di calcinacci: un

La chiesa del Suffragio


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monito per quanti intendano superarla. All’interno i fianchi sono in bilico è più avanti una montagna di detriti anticipa il triste spettacolo del crollo di una parte del tempio. A metà della Piazza, sul lato meridionale, primeggia la facciata della settecentesca Chiesa del Suffragio, o delle Anime Sante, tristemente assurta a simbolo della distruzione apportata da questo terremoto, con la cupola del Valadier ampiamente squarciata. All’inizio del Corso Federico II una grata in ferro è stata letteralmente catapultata dalle scosse. Nella vicina zona della Prefettura, la Chiesa di San Marco presenta un’ampia apertura laterale dalla quale si scorge l’interno completamente devastato; analoga è la situazione nella barocca Chiesa di Sant’Agostino (sec. XVIII), mentre l’adiacente Palazzo del Governo, altro simbolo di questa tragedia, si presenta quasi completamente crollato. In Via XX Settembre

Palazzo Ardinghelli Franchi

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(XIV sec.) ha accusato danni notevoli; il Castello Cinquecentesco, mirabile architettura spagnola, sede del Museo Nazionale d’Abruzzo, ha riportato il parziale crollo del tetto e danni da valutare al suo interno e alle opere custodite. Anche il simbolo per eccellenza, la Basilica di Santa Maria di Collemaggio (XIII sec.), custode delle spoglie del Papa del “grande rifiuto” Celestino V e di mirabili opere d’arte, è stata violentemente scossa e i crolli hanno interessato soprattutto la parte del transetto. L’elenco potrebbe continuare ancora per molto, ma bastano questi pochi cenni per far comprendere, seppure non ce ne fosse il bisogno,

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la devastante situazione nel capoluogo abruzzese e nei comuni limitrofi. Ma lo spirito che aleggia nelle gente che incontriamo non è quello della rassegnazione; nel loro sguardo, nei loro occhi, vi è ancora, nonostante tutto, la fierezza di un tempo. E l’Aquila risorgerà, più bella di prima. (a.c.)

Un ringraziamento agli uomini della Squadra Mobile della Questura dell’Aquila e, in particolare, al sostituto commissario Sabatino Romano e all’ispettore Umberto Lorenzetti.

Il castello cinquecentesco

alcuni palazzi sembrano usciti da un bombardamento, ivi compresa la Casa dello Studente, tristemente nota alla cronaca di questo evento. La zona prossima al Piazzale Pasquale Paoli ha ricevuto danni notevolissimi: alcuni palazzi di recente costruzione si sono letteralmente afflosciati su se stessi ed ampie voragini si sono aperte nel terreno. Risaliamo sino alla Chiesa di Santa Giusta (seconda metà del ‘300) dove il fianco sud riporta profonde menomazioni e crolli. Per raggiungere nuovamente la Piazza Duomo si devono percorrere strade strette e pericolose, ingombre di macerie. Negli altri angoli della città gli scenari non cambiano: la importantissima Basilica di San Bernardino (tardo-rinascimentale), con le spoglie del Santo, ha riportato danni ingenti ed il suo campanile si è letteralmente frantumato; la Chiesa di Santa Maria Paganica (1308) è completamente sventrata; la Chiesa di San Silvestro La chiesa di Santa Maria Paganica


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anno quinto • numero tre • lug/set 2009 www.sitiunesco.it Palazzo Vecchio e gli Uffizi

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INTERVISTA AD ANTONIO PAOLUCCI, EX MINISTRO DEI BENI CULTURALI ED ATTUALE DIRETTORE DEI MUSEI VATICANI

FIRENZE, LA CITTÀ DEI MUSEI di CARLO FRANCINI

correndo la sua biografia mi ha colpito che, a parte Rimini, dove lei è nato e che è comunque una bellissima città d’arte, la sua carriera di studioso, di funzionario e di soprintendente dei musei statali, fino alla direzione dei musei vaticani, si è dipanata in una rete incredibile di siti patrimonio dell’umanità: Firenze, Mantova, Venezia, Verona, Roma, la Città del Vaticano e l’esperienza molto importante del terremoto di Assisi. E proprio

nel finale la cittadinanza onoraria di Urbino, la città di origine della sua famiglia. Insomma, una vita scandita da genius loci potentissimi. Si, ciò che lei dice è assolutamente vero. Devo dire che il momento apicale della mia carriera è stato quando, negli anni fra il ’95 e il ’96, sono stato ministro tecnico del governo Dini, per un anno e qualche mese. Perché in quella occasione ho potuto veramente fare il Soprintendente d’Italia. Avevo il privilegio, essendo ministro tecnico, di non occuparmi degli aspetti politici di quel governo, ma ho potuto veramente visitare l’Italia, le cento città, da Altamura a Salerno, da Enna a Belluno, i cento campanili, le cento piazze. Ho capito cos’è veramente l’identità italiana. Il fatto che il museo da noi esce dai suoi confini, si moltiplica nelle piazze, nelle strade ed occupa ogni piega del territorio. L’Italia è il paese del museo diffuso, lo sapevo anche prima, ma l’ho verificato proprio in quell’occasione. E poi ci sono state nella mia carriera professionale le città del Il David di Michelangelo


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servizio: Venezia, Verona, Mantova, Firenze, tutti luoghi che mi hanno permesso di consolidare questa mia profonda convinzione sulla unicità dell’Italia, che non è questione di percentuali dei beni culturali mondiali, come spesso stoltamente si dice, ma è questione di visibilità, di pervasività del patrimonio. Il fatto che davvero qui da noi il museo è ovunque. E questo è quello che ci fa davvero unici e invidiati nel mondo, il nostro vero privilegio. Quindi ho avuto una carriera molto bella, senza avvertire la fatica da lavoro, perché non ci si può affaticare o annoiare occupandosi dei monumenti di Venezia o di Mantova.

La basilica di Santa Croce

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Proprio in riferimento al concetto di museo diffuso, mi piace prendere spunto dalla parte finale della sua introduzione al Piano di gestione di Firenze: “Firenze non città museo, ma città dei musei perché se è vero che i musei fanno lo scheletro dei musei, la innervano e la significano, è altrettanto vero che in nessun altro luogo d’Italia si avverte con altrettanta evidenza il museo uscire dai suoi confini, occupare le piazze, le strade, false città con antica naturalezza”. Quindi, si può immaginare che Firenze sia una specie di paradigma, valido anche per tutte le altre città della penisola? E cosa può mettere in crisi questa realtà? Le scelte urbanistiche, le politiche del turismo, il decoro della città, per esempio il commercio ambulante? Quando io dico che Firenze è la città dei musei dico una cosa che qualifica, distingue l’unicità di Firenze. In questo senso Firenze è unica anche nel panorama italiano. Per far capire meglio cosa intendo, porto un esempio: gli Uffizi. Perché gli Uffizi sono speciali? Cosa hanno di così singolare rispetto agli altri tanti grandi musei del mondo? Le opere d’arte che ci stanno dentro? Si, certo, ce ne sono di meravigliose, ma ci sono tanti museo del mondo che ne hanno di più, penso al Prado di Madrid, penso all’Ermitage di San Pietroburgo, con decine e decine di Rembrant accumulati l’uno accanto all’altro, penso alla National Gallery di Londra e così

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La cupola del Brunelleschi

via, ma nessuna città del mondo ha un museo che entra nella città. Io dico sempre ai miei amici e a i miei colleghi: “quando venite per la prima volta agli Uffizi non vi preoccupate di vedere le varie opere d’arte di Michelangelo, Botticelli, lo farete in un secondo tempo, agli Uffizi ci tornerete ancora, la prima volta limitatevi a percorrere i corridoi. E allora capirete una cosa fondamentale: che gli Uffizi camminano sopra la città, cavalcano la città, sono la città e capirete anche che la bellezza che sta fuori dalle finestre (la cupole del Duomo, la torre di Arnolfo, i ponti sull’Arno, il colle di Belvedere fitto di ville e di chiese, le

nuvole, i colori dell’acqua) la bellezza che sta fuori si riflette e si riverbera nella bellezza delle opere d’arte, nella sfilata delle sculture archeologiche, nelle sale Botticelli, Michelangelo, Leonardo e quant’altro”. Naturalmente la seconda parte della domanda è la più complessa: il decoro della città, le scelte urbanistiche, le politiche del turismo, il caos, il disordine possono mettere in crisi questo sistema? Il fatto è che queste cose risultano a Firenze particolarmente stridenti e lesive perché ogni città del mondo è fissata da una certa immagine, Firenze è la città dell’ordine, dell’equilibrio, è la “camera con vista” sul


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miracolo di arte vita e natura armoniosamente coniugata. Questa è Firenze. Per cui il disordine che a Napoli può anche essere trovato simpatico, città bellissima ma caotica, un “paradiso mescolato all’inferno”, come la definiva Goethe, oppure Roma, caos disordine, folle di pellegrini, rumore e quant’altro, ma abituata a metabolizzare, a digerire, ad assorbire, a Firenze tutto ciò diventa estremamente sgradevole proprio perché ferisce l’immagine cristallizzata della città “camera con vista”. Sempre rimanendo nell’ambito dei musei, il recente saggio di Jean Claire “La crisi dei musei” si scaglia contro l’uso disinvolto del patrimonio culturale e fa un riferimento particolare all’esperienza recente del Louvre di aprire una sede distaccata ad Abu Dhabi, ma in Italia dell’istituzione museo nei suoi aspetti peculiari, si può parlare di una crisi di funzioni o la situazione è ben diversa rispetto a quella di altri Paesi? La crisi dei musei attraversa tutto il mondo e il libro di Jean Claire fotografa il disagio e la muta-

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zione in atto. È successo che il museo è gradualmente slittato negli ultimi cinquanta anni da una certa idea di museo da “luogo dell’incivilimento”, “luogo dell’educazione”, “luogo dell’orgoglio patriottico” ad un’idea di museo come luogo del tempo libero, dello svago, del divertimento, dello spettacolo. Questo è oggi nella percezione dei più il museo. Un museo che si unisce al concetto di tempo libero, di gita, di week-end con la famiglia o con la fidanzata. Tant’è vero che tanti musei civici d’Italia, pur bellissimi, sono costantemente vuoti e non ci va nessuno neanche per sbaglio. La gente va negli attrattori di tipo spettacolare. Nel 1938 agli Uffizi entravano 50mila persone, adesso ne entrano un milione e mezzo. Io sono personalmente convinto che c’era molta più gente che usciva dagli Uffizi avendo capito qualcosa, che ricordava qualcosa fra quei 50mila del 1938 rispetto al milione e mezzo di oggi. Oggi il popolo dei musei è fatto di gente che guarda solo la televisione, non ha mai letto un libro, non saprebbe scrivere nella sua lingua madre una riflessione di mezza cartella senza errori. Questa è la democrazia dei consumi.

Ponte Vecchio, il Corridoio Vasariano, gli Uffizi e il Ponte alle Grazie

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Forse bisognerebbe immaginare dei linguaggi più specifici, o rischiamo di banalizzare…? Un’altra stupidaggine dei nostri tempi è che si possa trasmettere la cultura attraverso il divertimento. La cultura è fatica, ripetitività, è noia, è tenere il sedere sulla sedia, ridurre il tempo del sonno… questa è la porta stretta. Non ce ne sono altre. Concludendo vorrei da lei delle suggestioni legate all’educazione del bello. La scuola, l’amministrazione pubblica, il mondo del volontariato, tanto importante a Firenze, dovrebbero fare qualcosa di più per arrivare ad un innalzamento della consapevolezza del patrimonio inteso proprio come “heritage”, eredità da trasmettere? Il mio maestro Roberto Longhi, in tempi non sospetti, cinquant’anni fa, quando ero studente, sosteneva che “la lingua fondamentale degli italiani è la lingua figurativa” e che questo ci aveva resi egemoni nel mondo. “E se questo è vero come è vero - aggiungeva il

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mio maestro - allora bisognerebbe che si desse alla lingua figurativa degli italiani (Giotto, Piero della Francesca, Raffaello, Caravaggio, ecc.) la stessa importanza che diamo alla nostra lingua letteraria, che comparativamente è meno importante”. Da una riflessione come questa derivano conseguenze che dovrebbero essere applicate soprattutto alla scuola, all’educazione al bello,appunto. Ancora non si è percepito a Firenze, in particolare, e in Italia, in generale, che un rapporto molto stretto lega la consuetudine col bello alla produzione di cose belle. L’artisticità italiana nel design, nella moda, nella meccanica fine, nell’invenzione tecnologica, nella gastronomia nasce da un popolo che ha vissuto in mezzo al bello, anche se non aveva una istruzione scolastica di qualche significato, però stava in mezzo al bello. Se la percezione del bello si offusca, se la gente vive in posti sempre più brutti, in periferie sempre più orrende, io credo che si recide questo rapporto osmotico che gli italiani hanno sempre avuto fra la bellezza che li circonda e la bellezza che esce dalle loro mani.


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UNA VISIONE STRATEGICA DELLO SVILUPPO, CENTRATA SULLA VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE

GLI INVESTIMENTI CULTURALI TRA SVILUPPO ECONOMICO E COESIONE SOCIALE di CLAUDIO BOCCI Direttore Sviluppo Federculture o sviluppo economico è sempre di più sviluppo competitivo tra territori e la cultura (nell’accezione più ampia del termine di economia della conoscenza e di industria creativa), si sta dimostrando come uno dei

più potenti agenti di attrazione dei fattori produttivi finalizzati alla crescita non solo economica ma, soprattutto, sociale delle comunità. Nell’ambito di tale competizione esiste un’oggettiva convergenza d’interesse allo sviluppo locale tra tutti i soggetti, pubblici e privati, che insistono sul territorio. I Poteri Locali delle Città, in particolare, possono giocare un ruolo fondamentale in questo processo a condizione che riescano ad interpretare in maniera innovativa il loro ruolo, passando da un obiettivo di buona e sana amministrazione a quello di principale agente dello sviluppo locale. Tale processo può essere attivato, infatti, se l’Amministrazione Comunale, in coordinamento con i diversi livelli istituzionali so-

vraordinati, si pone in una prospettiva di lungo periodo e intraprende un percorso di pianificazione strategica dello sviluppo locale. Questa prospettiva sembra particolarmente attinente al processo di valorizzazione dei Siti Unesco, determinato dalla L. 20/2/2006 n.77 che destina specifiche risorse alla predisposizione di studi e progetti e impegna alla redazione del ‘Piano di Gestione’ come strumento principale per definire le priorità di intervento, da definirsi con il concorso, anche finanziario, di soggetti privati. Tale processo, infatti, oltre che ai Poteri Locali, può e deve interessare a una pluralità di soggetti privati che hanno a cuore lo sviluppo locale sia sotto il profilo economico che sotto quello sociale: le Associazioni di rappresentanza delle Imprese, il sistema bancario, le Istituzioni, le Organizzazioni no-profit; a tutti questi corpi intermedi si aggiungono, ovviamente, i Cittadini. Una visione strategica dello sviluppo, centrata sulla valorizzazione del patrimonio culturale, determina importanti interventi di rigenerazione urbana del territorio, fortemente collegati ad una programmazione di investimenti in ‘infrastrutture culturali’ di servizio pubblico (musei, biblioteche, teatri, parchi scientifici, laboratori creativi, ecc.) in grado di promuovere, animare e gestire efficacemente le attività culturali della città. Si tratta, quindi, di innovare profondamente il tessuto urbanistico riqualificando, ad esempio,

aree ex-industriali o pianificando la creazione di nuovi ‘presidi’ culturali nelle periferie, destinandoli a centri di produzione culturale e creativa, in grado di favorire, tra l’altro, la coesione e l’integrazione sociale e il dialogo interculturale, con particolare riferimento ai giovani e alle fasce più disagiate. Nell’esperienza italiana, emerge in maniera significativa quella della Città di Torino che, alla fine degli anni Novanta, sotto la pressione di una violenta crisi industriale del settore automobilistico, ha intrapreso con successo un percorso di riconversione produttiva, attraverso l’implementazione di una pianificazione strategica centrata sulla cultura e sull’economia della conoscenza. Il risultato del processo di pianificazione strategica e di indirizzo politico dà luogo, di solito, alla creazione di nuove ‘imprese’ culturali, chiamate a gestire parti dell’offerta culturale della città. L’esperienza

Torino, il Castello del Valentino


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italiana, rappresentata da Federculture, in questo settore è molto significativa. Negli ultimi anni, città grandi e piccole, hanno dato vita un’ampia gamma di modelli giuridici (fondazioni di diritto privato); si tratta di vere e proprie ‘imprese culturali’ (Fondazione Musica per Roma, che gestisce l’auditorium di Renzo Piano, Fondazione Musei Civici Veneziani, Fondazione Torino Musei, ecc.) che hanno dimostrato di poter gestire efficacemente e professionalmente una nuova e crescente offerta culturale diminuendo progressivamente il ricorso al finanziamento pubblico. In questo modello, i Poteri Locali partecipano in misura diversa, ma sempre prevalente, al patrimonio delle nuove ‘fondazioni’ (che, quindi, mantengono il loro carattere pubblicistico) riservandosi compiti di indirizzo e di controllo ma affidando ad esse la programmazione e la gestione di una più qualificata offerta culturale. Un

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elemento-chiave del successo dei modelli gestionali autonomi risiede nella declinazione della visione strategica in un commitment esplicito, valutabile e rendicontabile. Nella distinzione dei ruoli tra la sfera politico-amministrativa, di indirizzo, e quella gestionale, deve essere resa esplicita l’indicazione di obiettivi chiari, definiti e misurabili su cui la performance dell’impresa culturale può essere valutata. Ovviamente, non va dimenticata la finalità primaria dell’offerta culturale organizzata dalle istituzioni pubbliche che non è certo quella del risultato economico! La cultura è, prima di tutto, uno straordinario vettore di integrazione e coesione sociale. Si tratta, quindi, di individuare parametri qualitativi e quantitativi che tengano insieme le finalità sociali ed economiche degli investimenti culturali che rendano conto dell’ampia gamma di valori qualitativi e quantitativi che ne derivano. Sotto questo profilo, gli attuali indicatori di renVenezia

dicontazione sociale non sembrano ancora adeguati a restituire efficacemente i risultati degli investimenti culturali. In questa visione, la programmazione di nuovi investimenti pubblici orientati alla cultura e all’innovazione, accanto alla creazione di nuovi ‘stabilimenti’ culturali (nuovi sia dal punto di vista del ‘contenitore’ che del ‘contenuto’) deve essere accompagnata da risorse finanziarie e professionali adeguate agli obiettivi strategici (sviluppo sociale ed economico del territorio) ad essi assegnati. In particolare, rileva particolarmente l’introduzione di criteri di management e accountability (qualcuno comincia a parlare di culturebility!) sofisticati e la creazione di nuovi e qualificati profili professionali. Questo processo, se correttamente proL’auditorium di Roma

grammato e realizzato, rende più dinamico, attrattivo e produttivo il territorio ed è di grande interesse non soltanto per i Poteri Pubblici Locali ma anche per le rappresentanze istituzionali delle Aziende private (Associazioni delle Imprese, Camere di Commercio, sistema bancario). La nuova offerta culturale, particolarmente dinamica e qualificata promossa dalle imprese, attira Aziende Sponsor che, in alcuni casi, coproducono eventi culturali o comunque sono interessate a ‘posizionarsi’ in maniera privilegiata nei confronti dei loro pubblici di interesse. E’ del tutto evidente che, per questa via, gli investimenti in cultura, programmati e gestiti correttamente, incentivano gli attori economici ad impegnarsi nelle azioni culturali contribuendo, in maniera significativa, allo sviluppo territoriale.


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UN AFFASCINANTE PROGETTO CHE PROMUOVE IL TERRITORIO UTILIZZANDO LA MAGIA DELLA SETTIMA ARTE

LE “MEMORIE IN VIAGGIO” DEL CINEMA AMBULANTE di LUCA ACITO l cinema è un potente mezzo che veicola informazioni, trasmette emozioni ed evoca suggestioni di luoghi e persone. Il mercato turistico fa sempre più riferimento alla settima arte per favorire la promozione del territorio. Le amministrazioni più attente investono ingenti risorse per fornire servizi di supporto alle produzioni cinematografiche (vedi film commission), per valorizzare location già utilizzate e “mappare” nuove potenziali

(informazione e intrattenimento) uniti al fascino della lanterna magica rendono i prodotti audiovisivi gli strumenti più efficaci per la promozione turistica e la valorizzazione del territorio, forse secondi solo al (caro vecchio) passa-parola. La domanda che nasce spontanea è: “in che modo promuovere il territorio con l’audiovisivo?”. Io sono un regista e la questione per me è fisiologica, penso che il cinema non possa essere fine a sè stesso. Come si fa

location. Sono investimenti che garantiscono visibilità al territorio, incremento dei flussi turistici e arricchimento dell’offerta culturale a favore di un turismo di qualità. La riproducibilità (cinema, dvd), la facilità di comunicazione e messa in condivisione (web, tv, cellulari), il piacere di una fruizione immediata

a comunicare il fascino di un territorio con un video? La risposta l’ho trovata con l’associazione culturale Cinefabrica (www.cinefabrica.com). Da quattro anni lavoriamo con il progetto “Cinema Ambulante – memorie in viaggio”. Il progetto è nato dalla nostra terra, la Basilicata, e dalla nostra

città, Matera, una location cinematografica unica, resa famosa da film come “Il vangelo secondo Matteo” di P. P. Pasolini e “The Passion of Christ” di Mel Gibson. Musa ispiratrice di “Cinema Ambulante – memorie in viaggio” è stata la voglia di raccontare la bellezza della nostra terra, dei nostri luoghi, di condividere con altri qualcosa di più profondo e affascinante di una bella immagine da cartolina; la voglia e l’urgenza di raccogliere e conservare le tante storie che appartengono a questa terra. Sono storie che rischiano di scomparire con la gente che le ha vissute, testimoni di un processo di trasformazione troppo rapido, detentori di un sapere che racconta con la propria esperienza l’identità di un luogo. Crediamo che per promuovere un “territorio” non sia sufficiente “l’immagine patinata” ma sia necessario il racconto di un contesto territoriale, sociale, storico e umano. Il cinema ambulante nasce proprio da questa urgenza. Per dare vita al nostro

luoghi suggestivi e utilizziamo l’audiovisivo per raccontare le tappe del nostro viaggio. In ogni posto che raggiungiamo realizziamo un reportage partendo da un personaggio locale, da una storia, da una caratteristica del territorio, per poi proiettarlo nel nostro “cinema delle piccole memorie”. Il viaggio è funzionale alla scoperta dei luoghi e delle storie. È un modo per distribuire, condividere e promuovere le storie che raccogliamo. Il reportage è il nostro punto di forza, è la memoria in viaggio. Le arene sono il luogo votato alla fruizione cinematografica, uno dei momenti più emozionanti del progetto. La suggestione nasce innanzitutto dal luogo: scegliamo scorci particolari, piazze famose e non, spazi che meritano di essere valorizzati o location già note alla cinematografia, cornici perfette per una serata speciale.

p r o g e t t o abbiamo mescolato tre ingredienti fondamentali: il viaggio, i reportage, le arene cinematografiche. Da quattro anni giriamo con un furgone attrezzato, allestiamo arene cinematografiche in

Prima della visione del film in programma proiettiamo alcuni reportage del nostro “archivio delle piccole memorie” per poi presentare l’ultima creazione: il reportage relativo alla


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Cinefabrica per l’Abruzzo

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el mese di Aprile il Cinema Ambulante è arrivato a L’Aquila per portare il Cinema tra le tendopoli abruzzesi. Il progetto a cura di Cinefabrica ha coinvolto le maggiori case di produzione e distribuzione cinematografica, oltre ad attori, produttori e registi protagonisti del cinema italiano. Ogni giorno un campo diverso, ogni giorno una proiezione pomeridiana per i bambini e una serale per tutti. Il progetto ha incontrato il favore degli spettatori e ha avuto l’appoggio dei medici-psicologi dei campi: il Cinema è motore di aggregazione, ricrea uno spazio sociale e uno spaccato di “normalità” fondamentale per la difficile condizione in cui si trovano gli sfollati. Attualmente Cinefabrica sta lavorando per cercare di dare continuità al progetto.

realtà ospitante. Ogni reportage inizia il suo viaggio con Cinefabrica dal suo luogo di nascita. La serata di cinema si trasforma in un rito emozionante: la gente a cui quella storia appartiene, le signore affacciate ai balconi, i bambini sulle biciclette, le persone comodamente sedute sulle nostre “sedie ultraconfort con vano porta bevanda” diventano padrini e madrine, lo schermo ne è testimone! Promuovere un territorio e intrattenere il pubblico utilizzando il cinema come un raccontastorie. L’intuizione di Cinefabrica è stata quella di valorizzare i luoghi attraverso le storie che li rendono unici. Se il pubblico non è particolarmente attratto dal reportage come “spot turistico” si lascia sicuramente coinvolgere e affascinare dal

Il backstage (foto di Gerardo Fornataro)

reportage che racconta una storia. Tanto più questa esperienza è autenticamente legata al territorio tanto più quell’immagine e quella storia resteranno impresse nella memoria dello spettatore. In questo modo anche le realtà più piccole, più aliene riescono a farsi conoscere, a raccontare la loro bellezza. Spesso ci è capitato di portare il Cinema ambulante in piccole realtà. Un caso su tutti è Montescaglioso, un paese di 10.000 abitanti a pochi chilometri da Matera. Qui abbiamo raccontato la realtà locale attraverso la tradizione del fornello, ovvero mangiare la carne di cavallo nei retrobottega delle macellerie. Il racconto audiovisivo è stato realizzato con una tecnica narrativa simpatica e originale. Il risultato è che chiunque veda il reportage

sul video è emerso che si diverte innanzitutto e gli utenti sono stati subito dopo si informa “forestieri” e stranieri, per visitare il paese (e emigranti e amici degli mangiare la “carne da emigranti che attraverso Monte”). il filmato hanno potuto Andare di piazza in ritrovare quei racconti piazza ci garantisce il tipici ascoltati mille volte. contatto con il pubblico In conclusione, il e ci permette di unire alla progetto di Cinefabrica componente puramente nasce da un grande promozionale il fascino di amore per la settima una esperienza emotiva Le interviste di Cinefabrica arte: la magia del cinema e culturale. La natura rivive per il nostro pubblico nelle piazze d’Italia. nomade e charmant del nostro progetto va a braccetto con la tecnologia: i reportage continuano Barattiamo le grandi storie, raccontate dalle il loro viaggio in maniera indipendente sfruttando i pellicole, con le piccole storie raccontate dalla canali moderni di condivisione (DVD, TV, web). A gente e dai luoghi. Accanto alle star di Hollywood questo proposito è esemplare il reportage realizzato trovano spazio personaggi tipici con le loro a Senise, un piccolo centro dell’entroterra potentino, piccole/grandi storie di ogni giorno, storie che che su youtube ha avuto migliaia di accessi ci appartengono e che rendono speciali e uniche (visualizzazioni) da tutto il mondo. Dai commenti le terre che amiamo.

La proiezione (foto di Gerardo Fornataro)


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PROGETTO VITOUR II: NUOVE STRATEGIE PER LA VALORIZZAZIONE DEL TURISMO ENOLOGICO

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IL PAESAGGIO DEL BRUNELLO di MASSIMO BINDI

l Comune di Montalcino insieme al Parco delle Cinque Terre è uno dei due territori italiani che fanno parte del progetto Vitour II. Il progetto presentato alla Commissione Europea, naturale sviluppo dell’ormai concluso Vitour I, coinvolge undici aree europee patrimonio mondiale dell’umanità e famose per le loro produzioni vitivinicole. Ne fanno parte, oltre ai due siti italiani sopra menzionati, i seguenti territori comunitari: Pico Island, Douro in Portogallo, Tokaj in Ungheria, Valle della Loira e Saint Emilion in Francia, Rhineland-Palatinate in Germania, Neusiedler See e Wachau in Austria e Lavaux in Svizzera quale paese extracomunitario. L’iniziativa cerca di coniugare sviluppo e ambiente in territori molto famosi per far sì che un eccessivo sviluppo non danneggi il valore universale del bene. Si mira, in pratica, a promuovere nuove strategie regionali e locali ai fini

ambientali e paesaggistici attraverso lo scambio di buone pratiche fra i partners, il trasferimento di studi di fattibilità innovativi e la progettazione di nuove metodologie. Il progetto, della durata di tre anni, per un importo di due milioni di euro, prevede anche eventi di grande rilievo per valorizzare le strategie concretamente attuate dai singoli siti od in comune. Montalcino, negli anni è divenuto un sistema forte che punta alla qualificazione delle proprie produzioni e dell’offerta turistica attraverso la salvaguardia e la valorizzazione della cultura e dell’identità locale. Si sta costruendo un sistema dove i vari “attori” iniziano a lavorare in sinergia, con la consapevolezza che la competitività diventa mondiale. Ma tutto questo non basta. Da un lato, per tanti dei territori inseriti nel progetto si rischia la “sanmarinizzazione”, dall’altro si corre il pericolo, sull’onda del successo e della notorietà, di vedere attuate speculazioni o pressioni sui territori

Montalcino


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L’ultimo baluardo delle libertà comunali

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ulle origini di Montalcino (il cui nome deriva da “Mons Ilcinus” ossia monte dei lecci) e sulla sua storia mancano notizie attendibili dal momento che nel 1444 un incendio devastò l’archivio comunale dove erano conservati documenti relativi alle vicende più antiche della città. Numerosi sono comunque i ritrovamenti archeologici di insediamenti risalenti all’epoca etrusca e romana. La nascita di Montalcino, come insediamento di una certa importanza sotto l’aspetto urbanistico ed economico, si può far risalire al X secolo. Un secolo dopo il borgo, già autonomo, ebbe un rigoglioso sviluppo delle attività artigianali, prima fra tutte quella della ceramica, di seguito la calzoleria, la concia, la lavorazione della lana, del ferro e del legname. Per la sua posizione strategica, Montalcino si ritrovò a più riprese nel corso del XIII e XIV sec. a combattere con i senesi per mantenere la sua autonomia, finché la perse definitivamente quando i montalcinesi furono riconosciuti cittadini di Siena. L’importanza sociale ed economica della comunità crebbe e proprio per tale motivo, nel 1462, fu elevata al grado di città ed eretta a diocesi dal Papa Eneo Silvio Piccolomini, ossia Pio II. Nel 1555, dopo che Siena si era arresa ai Medici, molti esuli senesi si rifugiarono nel libero Comune di Montalcino dando vita alla “Repubblica di Siena in Montalcino” e si dotarono di leggi e ordinamenti civici simili alla vicina Siena. Nel 1559, con il trattato di CateauCambrésis, venne stipulata la definitiva pace tra Spagna e Francia e la piccola Repubblica di Montalcino si arrese. Tra il XVII e il XVIII sec. vi fu un periodo di particolare ripresa economica, dovuta sopratutto al gran numero di artigiani che operavano all’interno della città, e insieme rifiorì l’agricoltura e l’allevamento del bestiame. Nel secolo XIX Montalcino seguì le sorti del Granducato di Toscana fino all’annessione al Regno d’Italia ed a partire dalla seconda metà del ‘900, il suo nome diventerà indissolubilmente legato alla fama di prodotti enogastronomici di eccellenza, in primis il Brunello.

L’Abbazia di Sant’Antimo

che mutino gli aspetti di unicità ed eccezionalità riconosciuti dal World Heritage, per questo forse, trovare soluzioni a livelli sopranazionali, può avere un grande valore ed anche un interessante futuro. Ormai le grandi regioni vitivinicole europee hanno incentrato gli sforzi di valorizzazione e

promozione anche sulle altre produzioni tipiche, l’arte, la storia, l’ambiente, il tempo libero. Il marketing del territorio insieme alla sua tutela rappresenterà per il futuro, forse l’unica, ulteriore, scommessa vincente per le realtà rurali come quelle coinvolte nel progetto Vitour ma anche per tante altre…

A proposito di bel paesaggio...

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ercorrendo le strade tortuose che da ogni luogo conducono a Montalcino, oltre a vedere mari di vigne e boschi, paesaggi mozzafiato, orizzonti indimenticabili, anche il viaggiatore più distratto avrà ammirato, in cima ad ogni filare, rose multicolori da far invidia ai più riforniti vivai. Vi siete mai chiesti il senso? Forse vi avranno detto che si tratta di un antichissimo metodo per prevenire alcune malattie della vite. Le foglie della rosa vengono aggredite prima da alcuni funghi, come l’oidio, e quindi permettono di curare in anticipo e prevenire gli attacchi sulla pianta di bacco. Altri vi avranno raccontato che le fioriture profumatissime delle rose attirando insetti inevitabilmente incrementano l’impollinazione dei futuri grappoli. Qualche romantico vi avrà raccontato che il contadino una volta finita la giornata di lavoro raccoglie un mazzo di quei fiori profumatissimi per portarli all’amata consorte. Non vi è sorto un dubbio? Non farà parte questa usanza della cultura del bello? Vi siete chiesti perché le rose si trovano quasi esclusivamente nei filari che costeggiano le strade? I vigneti del Brunello


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PETRA, IN GIORDANIA, LA MITICA CITTÀ SCAVATA NELLA ROCCIA

LA CITTÀ ROSA DEI NABATEI di ADRIANO CIOCI lcune cose bisogna viverle per capirle”, è questo il commento di uno dei tanti viaggiatori della nostra epoca al termine della visita di Petra, una delle nuove “sette meraviglie del mondo”. Il momento più emozionante si consuma alla fine del siq, quando la percezione del tempo sembra velocemente accelerare ed allinearsi ad un turbinio di battiti d’ansia: tra due altissime pareti

Tombe scolpite nella roccia

di roccia arenaria, affacciate nel buio della memoria, si intravede parte della sagoma di un monumento. Si percorrono ancora pochi metri e d’improvviso la clessidra sembra frantumarsi. Nel suo splendore appare una visione sognata da un’intera esistenza: la facciata di el-Khazneh, il Tesoro del faraone, uno dei monumenti simbolo della “città rosa”. Ma di simboli Petra è un crogiolo. Non vi sono soltanto quelli legati all’arte e alla storia, ma anche all’anima, all’assoluto, alla libertà. Forse è per questo che il luogo rappresenta per il turista di oggi una delle tappe irrinunciabili. L’atmosfera che irretisce il visitatore è il frutto di una somma di componenti: l’ambiente naturale, dove la città è stata ideata e costruita, incassata in una vallata aspra e inaccessibile; l’opera dell’uomo, che nella roccia ha scolpito con maestria linee di elevata eleganza; l’azione del vento e di altri agenti atmosferici (vero grattacapo per gli studiosi!) che hanno impresso alle pareti rocciose e alle facciate degli edifici un movimento lento e inesorabile che accende policromie e giochi di luce; la suggestione, infine, che muove i bagagli della storia, fatta di re, di beduini, di uomini che nel deserto hanno lasciato una traccia di indelebile fascino. L’UNESCO ha eletto Petra, anche per questi motivi, patrimonio dell’umanità nel 1985, definendone le sue peculiarità come un capolavoro del genio creativo umano. L’alba di Petra (il cui significato è “roccia”) è riferibile al XIII secolo a.C. con la presenza degli edomiti, discendenti di Esaù. Ad essi si sostituirono i nabatei, a partire dal VI secolo, al cui popolo è legato lo sviluppo della città. La loro capitale divenne ben presto il centro nevralgico delle più importante rotte commerciali del vicino oriente, ivi compresa la epica Via dell’Incenso che dallo Yemen risaliva l’Arabia e terminava

Il Tesoro del Faraone


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al porto di Gaza. I nabatei intuirono che un sito così difeso dagli elementi naturali poteva essere sopraffatto soltanto dalla sete. Per questo si prodigarono in imponenti opere idrauliche, sfruttando non soltanto le sorgenti naturali della zona, ma soprattutto incanalando l’acqua piovana, facendola defluire in centinaia di cisterne. In tal modo gli attacchi perpetrati dai vari eserciti, ivi compreso quello macedone, non ebbero successo. Tra i sovrani nabatei spicca il nome di Aretas III (87-62 a.C.) che estese la sua influenza sino a Damasco. Durante il suo regno vennero edificati i templi e le tombe più importanti giunti a noi. Gli imperatori Traiano e Adriano compresero le potenzialità di Petra, tanto che durante il loro governo la città ebbe nuovi impulsi sotto il profilo architettonico e commerciale. Dal VI secolo il luogo iniziò un graduale declino sino al totale abbandono ed alla completa dimenticanza, ad eccezione di una breve parentesi dovuta ai Crociati. Le rovine di Petra vennero, così, frequentate soltanto da alcuni beduini. Nel 1812 lo svizzero Johann Ludwig Burckhardt seppe di una città interamente scavata nel-

La Via Colonnata

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la roccia; per entrarvi dovette vincere il sospetto degli uomini del deserto. Si travestì da arabo, facendosi chiamare Ibrahim, dichiarando il suo desiderio di offrire una capra alla tomba di Aronne, fratello di Mosé, che la tradizione vuole sul gebel Harun, la cima (1.350 m) più alta a guardia del sito. A seguito delle sue descrizioni e di esplorazioni successive, il mondo si riappropriò di uno dei luoghi più mirabili dell’antichità. L’ingresso alla zona è anticipato da un’area adibita a parcheggio e servizi. Da qui si percorre a piedi il letto di un antico torrente in secca, un largo sentiero in discesa che per circa un chilometro concede un primo anticipo dell’attività di scavo dei nabatei: la Tomba degli obelischi (metà del I secolo) di influenza egizia, la Tomba del Triclinium e, dirimpetto, le Tombe dei Ginn. Si arriva presto all’ingresso del siq, una gola percorribile per più di un chilometro, le cui pareti si elevano per oltre cento metri e il cui punto più stretto ne misura appena due. Il fondo dello stretto passaggio è stato recentemente sistemato per permettere più agevolmente il passaggio a piedi e anche il transito dei piccoli calessi per il trasporto dei turisti. Il siq si fa ovunque spettacolo, con la presenza di tombe, nicchie, rocce modellate dal vento (il pesce, l’elefante, ecc.) e i resti delle opere di canalizzazione dell’acqua. Qui l’attesa per la fine del tunnel si fa crescente, dopodiché appare, nella sua strabiliante bellezza, la facciata rosa del Tesoro del faraone. E’ l’edificio più noto di Petra ed anche il meglio conservato, nonostante i beduini l’abbiano

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preso a fucilate credendo di essere in presenza di un vero e proprio tesoro. Lo slargo prospiciente è animato dai turisti (se ne calcolano oltre un milione l’anno), ma questo non toglie maestosità al monumento ed emozione al suo cospetto. Le linee richiamano lo stile ellenistico, ma la sua datazione è piuttosto controversa e comunque non anteriore al I secolo a.C. Nei quaranta metri di altezza per poco meno di trenta di larghezza si armonizzano colonne corinzie, architravi, timpani, sculture, bassorilievi e fregi vari. La curiosità si spegne al suo interno, costituito da una semplice e spoglia camera. Dal el-Khazneh si volge a destra e, dopo una breve gola, le montagne si allontanano lasciando correre lo sguardo del viaggiatore su una vasta area digradante, cinta da rilievi punteggiati di tombe, caverne e reperti. Dapprima si incontra la Via delle Facciate, che ha l’epilogo nel suggestivo Teatro (I sec.) capiente di almeno 3.000 posti, poi (dalla parte opposta), in successione, le stupende tombe dell’Urna, della Seta, Corinzia, del Palazzo e di Sextus Florentinus. Di fronte si apre la via Colonnata, il vero centro della città, riordinata da Traiano, alla quale si innestano gli itinerari per

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raggiungere il Grande tempio, le Terme, la Piscina, la Porta Monumentale, il Palazzo della figlia del faraone (che è l’unico edificio in muratura giunto a noi in buone condizioni) e, di fronte, il Tempio dei Leoni Alati, la cappella Azzurra, la Chiesa Bizantina, con mosaici di incomparabile bellezza. Dal punto più basso del sito si può optare per una visita al cosiddetto Monastero, sul gebel ed-Deyr, un imponente santuario dedicato forse al re nabateo Obodas e simile, nella composizione, al più conosciuto Tesoro del faraone. Dalla strada Colonnata si può raggiungere il gebel-Attuf, il luogo Alto del Sacrificio, nei cui pressi si dispongono il Triclinium e altre tombe monumentali: del Frontone Spezzato, del Soldato Romano, del Giardino e l’area degli Obelischi. Una città dal fascino irresistibile, dove ognuno ha la percezione della “scoperta”. I giordani considerano la “città rosa” come uno dei luoghi per eccellenza e, sicuramente, la risorsa nazionale più importante, anche sotto il profilo economico. Per loro, che di oro nero non dispongono, Petra rappresenta non soltanto il passato ma anche, e soprattutto, il futuro.


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SOTTO L’ANTICA VIA SALARIA SI APRE UN MONDO STRAORDINARIO, FATTO DI VOLTE, ARCHITRAVI E ANTICHI VICOLI

RIETI, LA VENEZIA D’ACQUA DOLCE di RITA GIOVANELLI ochi conoscono l’esistenza di ampi ambienti che inglobano vestigia romane sotto l’odierna via Roma a Rieti. E questo non sorprende se si considera che fino a pochi anni fa, i primi a non saperlo erano i reatini stessi. Le cose fortunatamente sono cambiate, ma ancora oggi passeggiando lungo la principale via cittadina, l’antico cardo, ossia la via Salaria, l’antica via del sale, non tutti riescono ad immaginare di camminare su un pia-

Sopra (via Roma, l’antica Via Salaria)

no rialzato, sostenuto da archi, resti di una poderosa costruzione realizzata dai romani per evitare l’impaludamento dell’importante via consolare. Eppure sotto il piano di calpestio si apre un mondo straordinario ed affascinante, fatto di volte, architravi, antichi vicoli, che conduce al viadotto romano e che aspetta di essere scoperto dai visitatori. Anticamente occupata da un grande bacino, la città di Rieti, fu conquistata insieme al resto della regione sabina, nel 290 a.C. da Manio Curio Dentato. Le acque del fiume Velino, ricche di sostanze minerali, avevano nel corso dei secoli incrostato le rocce, creando una barriera travertinosa che impediva il deflusso delle stesse a valle. Il console romano fece eseguire il taglio delle Marmore, consentendo così al fiume di precipitare nel Nera e liberare la pianura di Rieti dalle acque del “lacus Velinus”. Questa importante opera idraulica, citata spesso nelle fonti antiche, è considerata uno degli interventi paesaggistici più interessanti e spettacolari della storia, che da una parte mise Reate in urto con Terni per i contrastanti interessi connessi alla regolamentazione delle acque del fiume Velino, dall’altra trasformò la città in un importante centro agricolo, naturale fornitore di Roma, “vocazione” che Rieti non ha mai abbandonato nel corso dei secoli. Dopo la conquista Rieti fu sempre molto legata a Roma e collegata ad essa dalla Salaria, la via più antica che usciva da Roma. La denominazione dell’importante arteria si deve alla sua funzione originaria che consentiva alle popolazioni dell’entroterra sabino e dell’agro reati... e sotto!


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no di raggiungere Roma per rifornirsi di sale nel Foro Boario, trasportato qui dalle saline della foce del Tevere ed alle popolazioni del Piceno di trasportare numerosi prodotti verso la capitale. Inizialmente la strada doveva giungere a Rieti, e solo successivamente venne prolungata fino all’Adriatico, in seguito all’assoggettamento del Piceno avvenuto nel 268 a.C. L’ampliamento del percorso richiese un notevole dispendio di energie e di risorse economiche, se si pensa che per aprirsi un varco in direzione del mare, i romani furono costretti a realizzare subito dopo l’abitato di Interocrium, l’odierna Antrodoco, tagli verticali nelle rocce che ancora oggi caratterizzano le “gole del Velino”. In loco il fiume ha scavato una forra profondissima , forse la più selvaggia e suggestiva di tutto l’Appennino, dove è possibile ammirare il “Masso dell’Orso”, rupe tagliata dai romani per un’altezza di circa 30 metri e una lunghezza di 20

Volte, architravi ...

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a perpendicolo sul fiume. Queste ed altre modifiche, furono necessarie per rendere la consolare Salaria, la principale via di comunicazione per l’intero territorio sabino, utilizzabile in qualsiasi periodo. L’abbondanza delle acque della città di Rieti infatti, e le ricorrenti piene del Fiume Velino, resero altresì necessaria la costruzione di un viadotto formato da fornici rampanti per elevare la Salaria. Questo manufatto, superando il fiume con un solido ponte in pietra dove sono visibili i profondi solchi lasciati dalla ruote dei carri utilizzati per il trasporto del sale, permetteva alla strada di raggiungere la città sviluppatasi su una rupe, evitando allagamenti ed impaludamenti. La struttura inglobata nei sotterranei di alcune dimore patrizie reatine è formata da grandiosi fornici romani costruiti con enormi blocchi squadrati di travertino cavernoso, a sostegno del piano stradale. Dopo aver attraversato il foro, situato dove oggi si

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estende piazza Vittorio Emanuele II, la strada piegava a destra sulla via Garibaldi, formando gli antichi cardo e decumano che rappresentano ancora oggi i due assi su cui imperniare una visita ai luoghi di maggiore interesse della città di Rieti. Nei sotterranei di casa Sciarra si apre un ambiente straordinario formato da un fornice romano e da archi utilizzati successivamente come fondaci per la vendita di olio e vino. Più tardi tra il 1600 ed il 1700 questi locali divennero magazzini mercantili, utilizzo testimoniato dalla presenza in loco di antichi dolii oleari della capacità di circa 200 litri cadauno. Interessante risulta visitare il magazzino di casa Parasassi ed i sotterranei di Palazzo Rosati Colarieti dove è rintracciabile parte del viadotto con fornici seminterrati e dove un imponente muro mostra il piano di inclinazione della via consolare dalle rive del fiume Velino fino alla rupe di travertino dove si era sviluppato il primo nucleo abitativo della città. L’ambiente più antico di palazzo Napoleoni, cronologicamente successivo al manufatto romano, è appoggiato verticalmente ad uno degli archi del viadotto, conservato per una larghezza di 5,40 m, un’altezza di 3,40 m ed una profondità di 7,10 m. E’ forse il fornice pervenutoci con la visibilità più completa, risulta infatti quello meno interrato e caratterizzato, nella parete di fondo da una botola, che nel passato assicurava il passaggio tra i palazzi Napoleoni e Vecchiarelli. Quanto alla quota rispetto al piano stradale dell’attuale via Roma si è invece ad un’altezza inferiore di 2,90 m, che documenta che nel fornice Napoleoni ci troviamo ad una quota più elevata rispetto a quella dei due fornici precedenti. Nella zona più bassa della città di Rieti, sempre sulla riva destra del fiume Velino, era invece posizionato un porto fluviale ampio e sicuro attracco per le barche che trasportavano granaglie dalla valle reatina ai sotterranei degli edifici citati. In loco, la presenza di archi ribassati testimonia i continui aumenti di livello delle rive del fiume, tesi ad evitare l’annoso problema

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... e antichi vicoli

delle inondazioni delle case. Nel passato infatti, le acque si addentravano per diversi metri lungo l’odierna via del Porto trasformandola in un canale navigabile. Così Rieti, con stretti canali formati da case torre appoggiate al viadotto romano, si trasformava in un piccola “Venezia di acqua dolce” per poi tornare, per brevi periodi, alla percorribilità delle sue strade. Una interazione in continua evoluzione del rapporto città-acqua-fiume-viadotto romano. Un rapporto di odio ed amore dove tutti hanno trovato vantaggi quotidiani e problemi da risolvere: dalle lavandaie ai contadini, dai mugnai alle ricche famiglie. Oggi dopo i lavori di sistemazione del Velino degli anni Trenta, dopo la costruzione delle dighe del Salto e del Turano, l’acqua, croce e delizia di Rieti, non costituisce più una minaccia per la popolazione ma un bene da salvaguardare ed uno strumento di studio attraverso il quale comprendere le vicende del passato.


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OSIMO E IL SUO PERCORSO IPOGEO

ARCHITETTURE SOTTERRANEE di STEFANO SIMONCINI Assessore alla Cultura del Comune di Osimo rroccata su un poggio a 265 metri sul livello del mare, immersa nella ridente campagna marchigiana, si estende la città di Osimo, vicinissima al Conero e a soli 70 chilometri dai monti Sibillini. La sua forma ricorda l’impronta d’un gigantesco piede sinistro, quasi a voler simboleggiare le tracce delle popolazioni antichissime che si sono succedute sul suo territorio. Infatti, come si evince

dal vecchio appellativo di Vetus Auximum, il luogo vanta una storia millenaria, che addirittura risale alla preistoria. Questo anche grazie alla sua favorevole posizione geografica, che offre alla città sia un clima favorevole per la maggior parte dell’anno, sia una vista panoramica che spazia dal mare Adriatico fino agli Appennini. Furono proprio i Piceni, fin dal IX secolo a.C., a porre il primo insediamento, di cui sono stati ritrovati i resti nell’avvallamento che oggi corrisponde al mercato coperto. E’ durante il periodo romano, però, che l’abitato divenne florido

Panoramica di Osimo

Una città sotterranea scavata nell’arenaria

centro e nodo economico fondamentale. L’assetto urbanistico all’interno delle mura romane, di cui ad oggi si conserva un breve tratto nella zona settentrionale, era caratterizzato dalla presenza di vie che si incrociavano più o meno perpendicolarmente, imitando la tipica struttura dell’accampamento romano: il decumano attraversava la città da est ad ovest, mentre il cardo da nord a sud. All’incrocio di questi due assi, corrispondente all’attuale piazza del Comune, sorgeva il foro. La città visse anni di prosperità fino a diventare una delle civitas più importanti della zona del Conero, titolo che mantenne anche in epoca medievale. Le sole testimonianze tangibili di questo periodo sono l’ampliamento della cinta muraria verso

oriente (corrispondente all’attuale rione San Marco), e la cattedrale di San Leopardo, magnifico esempio di architettura romanico-gotica, edificata a cavallo tra il XII e il XIII secolo. Tranne un breve periodo, in cui Osimo fu sottoposta al dominio prima dei Malatesta di Rimini, poi dei Visconti di Milano, le sue vicende e la sua vita politica furono indissolubilmente legati allo Stato Pontificio fino all’Unità d’Italia: tracce di questa influenza si trovano dovunque nell’abitato, dal Comune alle chiese, dai numerosi palazzi nobiliari alle piazze sulle quali si affacciano. Ancora più suggestiva ed indimenticabile di quella in superficie è poi la città sotterranea scavata nell’arenaria, una fitta rete di gallerie, cunicoli ed am-


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bienti disposti a più livelli e in collegamento tra loro mediante condotti verticali - pozzi o camini - provvisti di pedarole. Degne di rilievo sono le Grotte del Cantinone sottostanti il Mercato coperto ed il Convento di San Francesco. L’interesse storico ed archeologico è dovuto soprattutto alla loro ubicazione. E’ opportuno, infatti, ricordare che, in questa stessa zona, scavi condotti dalla Soprintendenza di Ancona hanno portato al ritrovamento di resti di un abitato dell’età del Ferro e più recentemente di tracce riferibili all’età del Bronzo. Inoltre la soprastante chiesa, la Basilica di San Giuseppe da Copertino, è la più grande di Osimo dopo il Duomo e fu costruita nel 1234 sulle fondamenta di un altro edificio di culto dedicato a Santa Maria Maddalena Penitente. Importante è poi l’essere a ridosso delle possenti mura romane, nei pressi della celebre Fonte Magna citata da Procopio da Cesarea, cronista al seguito di Belisario durante la guerra greco-gotica. Vi sono resti ancora visibili di cunicoli e pozzi molto antichi che un tempo dovevano essere collegati con quelli che sfociano in direzione della fonte, proprio gli stessi usati dagli Osimani nel 538 d.C. come vie strategiche per rifornirsi d’acqua all’interno delle mura. Queste grotte vantano, inoltre, peculiarità tali da presentarsi come una sorta di compendio delle varie tipologie di cavità caratterizzanti il sottosuolo della città. Da cunicoli idraulici a servizio di cisterne e fonti, a nascondigli e vie di fuga indispensabili alla difesa in situazioni di pericolo; da luoghi di culto, di cui sono testimonianza le caratteristiche sale circolari e i bassorilievi a tema religioso, a vere e proprie abitazioni sotterranee oppure cave per l’estrazione del materiale poi adoperato per la costruzione della città superficiale. Sono rarissimi i Le Grotte del Cantinone (foto Bruno Severini)

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La cripta della Cattedrale

riferimenti a queste grotte in documenti e fonti scritte, un silenzio che si deve necessariamente collegare a ragioni di segretezza, derivanti dalla necessità di salvaguardare luoghi indispensabili alla sopravvivenza di un’intera comunità. Le grotte di Osimo sono un’ulteriore prova di come il mondo sotterraneo possa rivelarsi un inaspettato ed inesauribile archivio di dati storici, un museo più che mai vivo e discreto in grado di riportare alla mente secoli e secoli di memorie nascoste. Si ringrazia per la preziosa collaborazione padre Giulio Berrettoni, rettore della Basilica Santuario San Giuseppe da Copertino di Osimo (AN).


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L’ A P P R O F O N D I M E N T O I GHETTI EBRAICI NELLE CITTÀ ITALIANE PATRIMONIO UNESCO

LE PERLE D’ITALIA COME PRIGIONI DI UN POPOLO di GIACOMO NATALI on avremmo sofferto che le bestie della stalla e del campo stessero così disagiate, come stettero per secoli e secoli migliaia di creature umane nelle più colte e magnifiche città della terra” affermava Niccolò Tommaseo, in un articolo del 1848 nel quale sosteneva la richiesta di emancipazione degli ebrei a Venezia.

Se oggi la parola ghetto richiama alla mente prima di tutto gli orrori dei rastrellamenti nazisti in Polonia, è importante ricordare come né in Polonia, né in altri paesi dell’Europa centro-orientale ci furono ghetti prima della seconda guerra mondiale (con l’illustre eccezione di Praga). Come denunciava Tommaseo, furono invece le principali città italiane, che, proprio nei loro momenti di maggiore splendore, inventarono questa forma di reclusione e ne rappresentarono più a lungo gli aspetti più caratteristici e infami. I più importanti ghetti italiani sorgevano in quelli che oggi sono centri storici riconosciuti dall’Unesco come patrimonio dell’umanità: Torino, Firenze (creato da Cosimo I nel 1571), Mantova (nel quale risiedevano oltre duemila persone, più del 7% dell’intera popolazione), Ferrara, Modena, Roma (il ghetto più duro, povero e malfamato) e Venezia, la città che per prima istituì il ghetto e gliene diede il nome.

La Mole Antonelliana, sorta come sinagoga di Torino, ora sede del Museo del cinema


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L’ A P P R O F O N D I M E N T O

Il ghetto ebraico di Venezia

Le origini di una tortura I primi insediamenti di ebrei nel Veneto risalivano al IV-V secolo, ma la comunità si incrementò considerevolmente, come nelle vicine Mantova e Ferrara, in seguito all’espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1492. Fin dal IV secolo, da quando il Cristianesimo era divenuto religione ufficiale dell’Impero romano, gli ebrei erano stati costretti in molte zone a subire discriminazioni di ogni tipo, che ne limitavano le azioni, i diritti e lo status stesso di cittadini. Fino al medioevo, tuttavia, non si era mai giunti a limitare la libertà di abitare dove si volesse, o si potesse, né quella di possedere terreni o fabbricati. Il 29 marzo 1516, invece, il Senato della Serenissima dispose che tutti gli ebrei dovessero obbligatoriamente risiedere nel “Ghetto

Novo”, ovvero un quartiere del sestiere di Cannaregio dove si trovava in precedenza una fonderia di metallo fuso, il “gèto”, in veneziano. Nonostante la reclusione, la comunità riuscì a consolidarsi economicamente, anche grazie all’esercizio dell’attività creditizia, che ai cristiani era allora impedita da motivi religiosi, ed era ricca di fermenti culturali. Col tempo, nonostante le sopraelevazioni, si rese dunque necessario ricorrere ad ampliamenti e i ghetti divennero tre: Ghetto Vecchio, Novo e Novissimo. L’esempio di Venezia venne presto copiato da città italiane ed europee, che ne ripresero anche il nome, allargato nel tempo a indicare genericamente i quartieri ebraici. La segregazione delle comunità ebraiche, che rifiutavano di convertirsi al cristianesimo e per ciò erano regolarmente accusate di ogni nefandezza, divenne un fatto abituale e comunemente accettato, che si protrasse per secoli.

Vivere nel ghetto Le condizioni di vita all’interno dei ghetti variavano in maniera considerevole a seconda dei luoghi e del periodo storico. A Mantova la po-

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polazione ebraica poteva uscire dal ghetto durante il giorno, ma veniva rinchiusa all’interno al calare della sera. Nella vicina Sabbioneta, invece, Vespasiano Gonzaga, diede asilo alla popolazione di religione ebraica, non ghettizzandola, e ancora oggi è possibile vederne la sinagoga perfettamente integrata nel tessuto urbano della piccola città rinascimentale. Il ghetto di Roma, creato nel 1555 da Papa Paolo IV, rappresentò invece uno dei massimi esempi di miseria e umiliazione. Gli ebrei erano forzati a vivere in una piccola area ed erano sottoposti a pesanti e assurde restrizioni, che sarebbero state in vigore per secoli. Il ghetto di Roma fu infatti l’ultimo a venire abolito in Europa occidentale, nel 1883. Un giornalista tedesco, che poté visitare il ghetto romano poco prima di quella data, raccontò, nel proprio reportage, di poche strade umide, sporche e buie, nelle quali erano ammassate oltre 4700 persone. Ogni acquisto di immobili fuori dal ghetto era vietato. Il commercio di prodotti industriali e quello dei libri erano proibiti, gli studi superiori erano vietati. Le professioni dell’avvocato, del farmacista, del notaio, del pittore, dell’archi-

tetto erano interdette, così come qualunque funzione pubblica. Un medico ebreo poteva curare solo altri ebrei. Gli ebrei dovevano inoltre pagare tasse superiori agli altri, per il mantenimento dei funzionari cattolici che controllavano il ghetto, nonché delle istituzioni che avevano l’incarico di lavorare per la loro conversione. Le pressioni di Papa Pio V, affinché tutti gli stati confinanti istituissero i ghetti, ebbero un successo tale che nel corso del XVII secolo tutte le principali città italiane ne avevano uno, con le uniche eccezioni di Livorno e Pisa. Fu solo con il diffondersi degli ideali della Rivoluzione Francese e con l’avvento di Napoleone che in molte parti d’Italia furono eliminate le discriminazioni nei confronti degli ebrei, assieme alle porte dei ghetti e all’obbligo di residenza.

Il ghetto ebraico di Roma


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Ferrara e il Museo Nazionale della Shoah L’evoluzione della comunità ebraica ferrarese costituisce un esempio tipico dell’alternarsi di momenti di tolleranza e armonia a tempi di repressione e oppressione. La comunità, presente fin da tempi remoti, prosperò per tutto il ‘400 grazie alla particolare protezione accordata dai duchi d’Este, i quali accolsero in città i fuggiaschi dalla Spagna, dal Portogallo, dalla Germania, da Milano e da Napoli, oltre che dallo stato della Chiesa. La comunità giunse a superare i 2000 membri, furono aperte diverse sinagoghe e la

Il cimitero ebraico di Ferrara

cultura ebraica fiorì, intrecciandosi con quella vivacissima della cittadina. Con il passaggio di Ferrara al papato, però, gli ebrei subirono progressivamente imposizioni sempre più dure: prima portare “il segno” sull’abito, poi il divieto di proprietà, infine, nel 1627, furono segregati nel ghetto, dal quale poterono uscire definitivamente solo con l’Unita d’Italia. Ancora oggi è possibile vedere, a due passi dal castello e dalla centrale Piazza Trento Trieste, la tipica struttura urbanistica e architettonica del ghetto. Non potendo uscire dai confini del ghetto, infatti, durante i periodi di crescita della popolazione le case venivano rialzate con piani aggiuntivi, andando a creare labirinti di stretti vicoli a fondo chiuso e case alte e affollate, con una piccola piazzetta a costituire il centro di quella che rappresentava una piccola città nella città. Rappresentazione in fondo reale anche dal punto di vista amministrativo, se si pensa che i residenti del ghetto avevano addirittura un sistema giudiziario indipendente e vivevano secondo tempi e ritmi del tutto legati alla propria cultura e religione. Come in altri luoghi, infatti, l’isolamento del quartiere ebraico, che aveva certamente rappresentato uno stato di segregazione forzata e di discriminazione sociale, aveva anche significato la sopravvivenza di un complesso di valori, di riti e di tradizioni.

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La sinagoga di Ferrara

Dopo la parentesi della chiusura del ghetto, gli gestito congiuntamente dal Comune e dalla Provincia ebrei ferraresi torneranno a vivere in maniera dramdi Ferrara, insieme al Ministero dei Beni Culturali, alla matica le vicende del ‘900, come raccontato nei roRegione Emilia Romagna, alle comunità ebraiche e manzi di Giorgio Bassani. Dei centocinquantasei ebrei all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, al Centro ferraresi deportati, solo cinque torneranno a casa. di Documentazione Ebraica Contemporanea e ad altri La comunità ebraica ha però saputo superare le soggetti pubblici e privati. avversità e ancora oggi costituisce una realtà solida Il Museo nazionale andrà ad arricchire ulteriormente gli itinerari culturali legati al mondo e importante, con il ghetto a rappresentare un importante punto di riferimento ebraico ferrarese e costituirà parte integrante turistico e culturale. Le mellah marocchine di una rete di MuseiA chiudere il cerchio di na mellah è in Marocco un quarMemoriali della Shoah questo lungo rapporto tra tiere ebraico recintato da mura, in Italia, alla quale partela città e il mondo ebraico, analogo ad un ghetto europeo. La pociperanno anche un Mesarà la prossima creazione polazione ebraica visse confinata nelle moriale della Shoah di del Museo Nazionale dedimellah marocchine dal XV secolo fino cato all’ebraismo italiano e Milano e un Museo della all’inizio del XIX secolo. La mellah era alla Shoah. Il Museo sarà Shoah di Roma. circondata da mura e vi si accedeva da una porta fortificata.

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I GIOIELLI DEL TARDO-BAROCCO NEL SUD DELL’EUROPA: UN’ESCLUSIVA TUTTA ITALIANA, ANZI SICILIANA

LA VALLE DEL BAROCCO di SEBASTIANA CLARA BORZÌ

se un’intera regione fosse dichiarata Patrimonio dell’Umanità?” Mediterraneo, sole, luogo d’incontro di mondi e di genti, mandorli in fiore, profumi di zagara, lava e fichi d’India. Eccola la Sicilia, almeno quella che conosco io. La stessa Sicilia in cui è possibile trovarsi in paesini dove il tempo sembra essersi fermato, lasciando al visitatore intensi sapori vivi di tempi ormai passati ma esistiti prepotentemente, luoghi dove si comprende che per poterci vivere bisogna esserci nati, dove la vita cittadina è scandita dall’attesa della festa del patrono e dal montaggio delle luminarie che di lì a poco illumineranno

Catania

tersi cieli stellati. La Sicilia in cui ti capita di sentirti dire, se abiti vicino la costa, “Beato te che vivi vicino al mare!”, ma se abiti in un paese isolato dell’isolata Sicilia ti sentirai dire con non poca ironia “Sei siciliano e da casa tua non vedi neanche il mare!!”, “Beh! Sono siciliano perché lo sono dentro, perché chi nasce in un’isola si sentirà un’isola per tutta la vita…!”. È quella stessa Sicilia che quando la lasci vieni sopraffatto da un’inguaribile “isolitudine”, che per lungo tempo non ti lascerà in pace. È una terra ricca di testimonianze ataviche, di tesori da proteggere, alcuni dei quali non sono

Modica

rimasti indifferenti all’UNESCO: le Isole Eolie, Piazza Armerina con la sua Villa romana del Casale, l’area archeologica di Agrigento, Siracusa e la Necropoli rupestre di Pantalica e le città barocche del Val di Noto. Era il 2002 quando a Budapest, al termine di un’intensa sessione di lavoro e di un lungo iter iniziato nel 1997, veniva annunciato ufficialmente che le otto città del tardo-barocco del Val di Noto, nella Sicilia sud-orientale, entravano nella World Heritage List. Era l’inizio di una nuova era. I “gioielli” interessati dal prestigioso riconoscimento sono: Noto, Caltagirone, Militello Val di Catania, Catania, Modica, Palazzolo Acreide,

Ragusa e Scicli. Centri, questi, che nel 1693 sono stati accomunati da uno stesso destino, quando un terribile terremoto sconvolse l’area del Val di Noto, radendo al suolo intere città. Per la ricostruzione si pensò, all’epoca, di partire da una vera e propria rinascita, anziché affrontare una mera riparazione, seguendo l’esigenza della nobiltà e del clero siciliani di avviare una modernizzazione del tessuto e dell’aspetto urbano, perseguendo dunque ideali di bellezza ed equilibrio che potessero rispecchiare al meglio grandezza e potere. La Valle del Barocco (così il Centro internazionale di Studi sul Barocco ha proposto di chiamare l’intera area) è come uno scrigno


Noto

che al suo interno racchiude un tesoro che rappresenta un fenomeno unico nella sua eccezionalità per il suo stile, per la presenza incombente di maschere grottesche, di volti di uomini ed animali che spuntano dalle facciate dei palazzi e delle chiese, di puttini impegnati in danze eleganti che sembrano che stiano per animarsi da un momento all’altro, di drappi in pietra pronti a sventolare e sfumare nel caldo scirocco. Ma perché proprio queste città? La motivazione dell’UNESCO fuga qualsiasi ipotesi. “Queste otto città nella Sicilia sud-orientale rappresentano un’eccezionale testimonianza dell’esuberante

arte ed architettura tardo barocca e rappresentano il culmine e l’ultimo periodo fiorente dell’arte barocca in Europa…[…]…inoltre esse descrivono particolari innovazioni nella progettazione urbanistica e nella costruzione di città”. Per di più sembra essere molto esplicito ed interessante anche uno dei quattro criteri che hanno portato al raggiungimento di tale riconoscimento, in cui si afferma che “l’eccezionale qualità dell’arte e dell’architettura del tardo barocco del Val di Noto si fonda sulla sua omogeneità geografica e cronologica, nonché sulla sua abbondanza, risultato della ricostruzione dopo il terremoto che

distrusse l’area nel 1693”. Il Val di Noto (questo il nome di uno dei tre valli in cui era divisa, in epoca araba, la Sicilia, gli altri erano quelli di Mazara e Demone) è caratterizzato pertanto da un’unità di stile e di tendenza, che però non impedisce ad ognuna delle otto città di distinguersi per delle proprie caratteristiche, come l’utilizzo di materiali diversi per la costruzione; una “unità nella diversità”, dunque. Infatti, non sarà difficile notare il contrasto tra l’uso della pietra dal colore rosato di Noto e Scicli, che dona loro una luce luminosa simile al miele, e la nera pietra lavica che caratterizza la

città etnea di Catania. Si dice che Noto, la piccola grande capitale siciliana del barocco, sia una delle città più belle della Sicilia, offrendo un panorama architettonico unico al mondo. La città nuova è stata costruita orientando il borgo con i punti cardinali, in modo da avere una perfetta illuminazione per le facciate dei palazzi. L’effetto è quasi scenografico e suggestivo soprattutto al tramonto. La città ha rivissuto una seconda rinascita dopo che nel 1996, a seguito di forti scosse di terremoto, i cinque metri di macerie della Cattedrale di Noto commossero tutto il mondo.


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Piazza Armerina

Caltagirone trova l’origine del suo nome dall’arabo “Qual’at al Gharum”, ovvero Collina dei Vasi: un nome che racchiude il suo destino di famosa città della ceramica. Chi si troverà a visitare il suo centro storico si imbatterà nei Carruggi, un intrigante labirinto di vicoli di scale e slarghi improvvisi. La maestosa scalinata di S. Maria del Monte del 1602 lancerà una sfida a chiunque voglia percorrere i suoi 142 scalini di lava decorati da formelle in maiolica policro-

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ma, ma, statene certi, arrivare fino in cima è una grande soddisfazione! È lì, tra l’Etna e il mare, che si erge elegante la città di Catania, che per sette volte fu sommersa dalla lava e per sette volte riuscì a risorgere sempre più bella. Il continuo e vivo rapporto tra il Vulcano e la città viene ricordato anche, e soprattutto, nei colori dominanti della città, il nero e il bianco, che creano un suggestivo e marcato contrasto. Il colore scuro spesso caratterizza i monumenti, le case, i portoni e che, quando non è pietra lavica, viene prodotto nell’intonaco. Dopo il terremoto del 1693 rinacque con un nuovo assetto urbano, grandi arterie, piazze e monumenti e il principale fautore è stato l’architetto Giovanni Battista Vaccarini (1702-1768). Il barocco domina a Catania, per farsi ammirare in Via Crociferi, la via del barocco catanese per eccellenza, ed esplodere in Piazza del Duomo, centro monumentale della città. Questa piazza deve il suo armonioso aspetto barocco agli edifici che la delimitano. La piazza è dominata dalla facciata del Duomo, dedicato a S. Agata patrona della città, subito seguito dal Palazzo Vescovile e da porta Uzeda. Il Palazzo Senatorio o degli elefanti, oggi sede del Municipio, domina il lato settentrionale della piazza. A quindici chilometri da Catania è pronta a rivaleggiare con il suo sontuoso barocco la città di Acireale, ricca di autentici salotti a cielo aperto. L’aver descritto qui solo alcune città non significa che le altre siano da meno, ma vogliono essere esempio di ciò che i lettori potranno trovare visitando la Valle del Barocco, dove non sarà necessario cercarlo, il Barocco: sarà “iddu” a venir loro incontro. “E allora? Ci venite o no in Sicilia?” Ragusa Ibla


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P R O S P E T T I V A POMPEI, ERCOLANO E TORRE ANNUNZIATA

VERSO IL PIANO DI GESTIONE DELL’AREA ARCHEOLOGICA di ANTONIO VARONE Archeologo della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei Area Archeologica di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata è stata iscritta nell’elenco dei siti patrimonio mondiale dell’umanità nella sessione del 6 dicembre 1997 in base ai criteri (iii), (iv), (v), in considerazione della straordinaria consistenza delle vestigia delle città di Pompei ed Ercolano e delle ville a loro collegate, sepolte dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., le quali forniscono una vivida e completa fotografia della società e della vita quotidiana in un preciso momento nel passato che non ha paralleli in nessun posto nel mondo. Dette aree sono, come è noto, tra le località archeologiche più conosciute e visitate al mondo e ad esse il Parlamento italiano ha dedicato particolare attenzione dotando la Soprintendenza Archeologica di Pompei, di autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria ed amministrativa. Essa si è fatta pertanto parte attiva nel coordinamento delle attività volte alla formulazione di un piano di gestione del sito concepito come uno strumento di orientamento politico, strategico e condiviso, in grado di elargire benefici sociali, ambientali, economici e culturali. Di comune accordo con gli Enti locali presenti sul territorio, è stato affidato alla TESS Costa del Vesuvio Spa, una società a maggioranza di capitale pubblico, compartecipa-

ta dalla Regione Campania, il compito di redigere il piano di gestione. Una prima basilare bozza del piano di gestione ha come obiettivo principale la tutela e la valorizzazione dei siti archeologici, anche attraverso la promozione dei contesti territoriali in cui essi sono inseriti. Per raggiungere questo obiettivo esso attua strategie in grado di contemperare i diversi interessi presenti nelle comunità nel pieno rispetto dei valori culturali ed ambientali presenti. Nell’ottica di operare per il raggiungimento di questo obiettivo si è provveduto innanzitutto ad effettuare l’analisi relativa ai punti di forza e di debolezza del sito, con le conseguenti minacce ed opportunità riscontrabili. Punti di forza: • Offerta: unicità del sito (museo a “cielo aperto” senza pari nel mondo). • Offerta: compresenza di altre risorse culturali ed ambientali (“i turismi”). • Domanda: potenziamento ed integrazione tra i vari “turismi”. • Domanda: elevata utenza di oltre i 2,5 mln di visitatori. Punti di debolezza: • La complessità del sistema (criticità territoriali e sociali). • Una ancora inadeguata predisposizione


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di servizi al visitatore per quanto riguarda la segnaletica, il parcheggio, la ristorazione, i trasporti, l’intrattenimento. • Limitatezza del tempo di permanenza del visitatore. • Limitatezza della spesa giornaliera del visitatore. Minacce: • Rischio Ambientale (possibile nuova eruzione del Vesuvio, su cui c’è poco da fare, ma anche l’inquinamento ambientale, sul quale molto si può fare e si sta di fatti facendo soprattutto per la bonifica del fiume Sarno). • Rischio Sociale, trattandosi di area di crisi occupazionale con conseguente forte radicamento della criminalità organizzata. Opportunità: • Trasformazioni radicali, ove si colga il rischio Vesuvio come opportunità di diradamento abitativo con conseguente riorganizzazione degli spazi. • Immense volumetrie di aree dismesse da poter trasformare in spazi di accoglienza turistica. • Dalla trasformazione ed innovazione nelle politiche di governo grazie all’introduzione di nuovi strumen-

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ti (contratto d’area, programmi complessi, STU, Project Financing). L’elemento che emerge con maggiore chiarezza da tale analisi (che include anche lo studio dei servizi, museali, delle attività di ristorazione e del sistema dei trasporti) è la necessità di un impegno compatto di tutto il territorio, e con esso di tutte le componenti economiche, sociali, istituzionali, in un’ottica di sistema integrato che, molto spesso dichiarata, è di complessa attuazione sul piano operativo. Il piano di gestione del sito UNESCO, in questo senso, può e deve essere un punto di (quasi) arrivo per le strategie di gestione dei siti e per una loro effettiva “valorizzazione organizzata”, ma allo stesso tempo è solo il punto di partenza delle strategie di sviluppo turistico d’area, che può attuarsi unicamente con il conforto degli stakeholders e della presenza di numerose altre risorse umane e finanziarie. Le strategie di promozione rappresentano un elemento di fondamentale importanza nell’economia del Piano di Gestione del sistema archeologico. Oltre che il risultato del complesso di studi, analisi e approfondimenti che hanno portato alla definizione delle stesse strategie della gestione, il piano di marketing ne rappresenta la facciata esterna, quella in grado di attivare una serie di processi fondamentali per la sostenibilità e l’efficacia del modello gestionale. Il marketing territoriale, quindi, deve essere inteso nella sua accezione più ampia, composto, da un lato, da iniziative finalizzate ad attrarre o a incentivare

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impiego di risorse e capitali privati, dall’altro, dall’insieme delle attività dirette alla promozione presso il pubblico del prodotto turistico e alla diffusione della risorsa culturale. Inoltre, affinché il sistema archeologico Unesco si ponga effettivamente alla base di un sistema integrato locale in grado di generare crescita, il piano di conoscenza e promozione deve mirare al più ampio coinvolgimento della collettività locale, che finora è stata quasi del tutto estranea ai diversi e ripetuti tentativi di valorizzazione dei siti archeologici. In particolare, in primo luogo, si ritiene che il piano di comunicazione, attraverso strumenti da definire, debba indirizzarsi ai seguenti soggetti: amministrazioni degli enti locali, regionali, statali; residenti, imprenditori della filiera turistica già presenti nell’area, potenziali investitori esterni o interni all’area; professionisti, consulenti e operatori della filiera turistica e culturale; tessuto produttivo imprenditoriale e artigia-

nale; altri soggetti o strutture a vario titolo interessati. Il coinvolgimento, il più ampio possibile, come detto, può essere impostato, a seconda delle iniziative e dei soggetti, a vari livelli (conoscitivo, partecipativo, decisionale). A seconda del modello di partecipazione, inoltre, potranno essere messi in campo strumenti diversi, dall’organizzazione di forum, ai focus group su temi specifici, tavoli di concertazione locale, fino ad accordi formali e procedure istituzionalizzate. La promozione più direttamente mirata al supporto al turismo e alla fruizione, con riferimento a siti in gran parte noti come affermate mete turistiche internazionali (pur con le debolezze evidenziate), deve mirare a diffondere, da un lato, una conoscenza “allargata” dell’intero sistema archeologico, dall’altro, promuovere i valori culturali, testimoniali e di esistenza di un patrimonio unico e irriproducibile la cui tutela, per questo, è sotto l’egida dell’UNESCO.


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LA VALORIZZAZIONE A FINI TURISTICI DELLA PASTORIZIA TRASMIGRANTE NELLE AREE DEL LAZIO MERIDIONALE

LE VIE DELLA TRANSUMANZA di CLAUDIA GOLINELLI e FABIO SEVERINO

ella logica che il turismo contemporaneo è ormai solo tematico, al fine di sostenerne un costruttivo sviluppo, molte organizzazioni sia pubbliche che private che operano sul territorio, si stanno attivando in progetti di marketing di tradizioni e folklori, soprattutto quando i tematismi sono di tipo rurale, naturalistico e storico. È interessante al tal proposito raccontare l’esperienza della valorizzazione a fini turistici del fenomeno della transumanza nelle aree del Lazio meridionale. Il progetto nasce dall’iniziativa dei GAL (Gruppi d’Azione Locale) “Terre Pontine e Ciociare”, “Versante Laziale del Parco Nazionale d’Abruzzo” ed “Ernici Simbruini”. Con una morfologia per la maggior parte montuosa o collinare, questi territori sono caratterizzati da aree verdi molto estese e da un’economia fortemente orientata al settore agro-pastorale. In questo ambiente il recupero di elementi legati all’identità tradizionale dei luoghi e delle genti è sembrato il modo più corretto per trovare prospettive di sviluppo efficaci e sostenibili. L’importanza dell’elemento naturalistico (molte zone sono di fatto aree protette o parchi) e l’attuale panorama socio-economico delle aree hanno trovato nel fenomeno della transumanza un tema di intersezione settoriale ideale, su cui poter poi

costruire strategie di valorizzazione. Con il termine “transumanza” si intende un tipo di pastorizia trasmigrante – trans (di là da) e da humus (terra) – che consiste nel trasferimento periodico del bestiame, specialmente ovino, dai pascoli di pianura a quelli di montagna per consentirne lo sfruttamento stagionale. La pastorizia trasmigrante rimane a livello globale una delle più antiche e diffuse attività dell’uomo. Nell’area abruzzese già fra i secoli XVI e XII a.C. in piena Età del Bronzo, la pastorizia risultava ampiamente praticata e gli antichi romani la consideravano arte nobile oltre che redditizia, facendone un settore portante della loro economia. Da allora il fenomeno transumante ha rappresentato una realtà economica complessa, un sistema rivolto al mercato. I detentori delle greggi erano di rango sociale elevato, molto spesso confraternite religiose o abbazie monastiche, (in particolare monaci benedettini) che affidavo il proprio capitale, stipendiandoli, ai pastori. Questo sistema ha avuto importanti risvolti culturali tanto da poter parlare di una “civiltà della transumanza” con elementi culturali tipici come, ad esempio, produzioni artigianali specifiche (lavorazione del vimini e del legno) e lo strumento musicale zampogna. Sugli antichi tratturi (i percorsi su cui si muovono le greggi) sorsero numerose locande e luoghi di culto che ad oggi corrispondo a un patrimonio artistico e culturale con numerose occasioni di sviluppo turistico.


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In questa direzione, particolare interesse hanno i tratturi, ai quali viene riconosciuto un fondamentale valore per la storia socioeconomica e culturale delle regioni da essi attraversate. Accanto alla preminente funzione economica e commerciale, essi ne hanno svolto una di carattere culturale ugualmente importante, in quanto hanno rappresentato, nel tempo, un insostituibile mezzo di comunicazione fra popoli e di trasmissione di usi, tradizioni, forme culturali, modelli espressivi. Le antiche vie quindi riproducono una corretto rapporto di visita, sono già “tematizzate” e in territori poco antropizzati costituiscono modalità di accesso privilegiato che danno ulteriori prospettive di turismi come quello naturalistico, rurale e culturale. Recuperare i valori della transumanza vuole altresì diventare un’occasione per rivitalizzare i localismi in una prospettiva di lungo periodo; e non solo dal punto di vista storico o culturale ma per ricreare oggi, laddove possibile, una “rete dei tratturi”. Da questo scenario territoriale, si è andato a

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delineare un progetto di più interventi di organizzazione e comunicazione con alcuni obiettivi strategici prioritari. In primo luogo, si è trattato di agire sul territorio con due azioni distinte: riqualificare opportunamente il territorio per sostenere la crescita culturale, sociale ed economica; costruire, sul patrimonio disponibile, luoghi di forte attrazione turistica (musei locali, elementi del paesaggio pastorale ecc.) che diventino non solo siti da visitare e fruire, ma anche occasioni di incontro e di riflessione. A questo si è inteso creare un mercato del lavoro con nuove opportunità di occupazione e nuove professionalità, in particolar modo per le donne e per i giovani. In altri termini, si è voluto attivare un processo di rivalutazione basato sulla riscoperta dell’identità locale, intesa come risorsa turistica e come valore motivazionale per l’intera collettività. Le prime implementazioni di queste strategie di medio/lungo periodo hanno puntato sulla costruzione dei contenuti, sulla preparazione di offerte turistiche nuove e sulla predisposizione di adeguati strumenti di marketing e di comunicazione. Riprendendo il tema dei tratturi, per un’offerta turistica nuova sono stati studiati dei pacchetti turistici ad hoc. È stato costruito nell’ambito di ciascun GAL un insieme di percorsi (“Trekking della transumanza”), che riprendono in parte gli antichi passaggi e collegano in modo integrato le varie emergenze legate al tema. Poiché la transumanza

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laziale è fortemente caratterizzata da aspetti naturalistici e culturali, i percorsi di trekking offrono l’opportunità di rivivere il fenomeno in tutte le sue componenti (naturalistiche, enogastronomiche, culturali e religiose). I pacchetti turistici prevedono per ogni GAL attività differenziate per rispondere ai vari target (gruppi, trekkers, famiglie, scolaresche), permettendo di diversificare l’offerta e in generale di avviare a livello allargato una destagionalizzazione dei flussi in ambito regionale. Collegato all’organizzazione degli itinerari e delle attività connesse, non si è voluto tralasciare l’elemento della partecipazione diretta, sia essa dei visitatori o della popolazione locale, al processo di valorizzazione. A tal fine sono stati progettati dei laboratori sulle attività del mondo pastorale (ad esempio, un laboratorio sulla qualificazione della lavorazione del formaggio con addetti al settore, un laboratorio sulla lavorazione della lana o tintura vegetale o tessitura, un laboratorio sulle erbe utilizzate dai pastori, ecc.). Queste attività hanno lo scopo di promuovere e far rivivere un rapporto fertile con il paesaggio rurale e pastorale. Nel quadro delle attività previste, si è ulteriormente ricercata una partecipazione di pubblico e allo stesso tempo una maggiore visibilità del progetto generale attraverso l’ideazione e la realizzazione di un grande evento complessivo. Il Festival della transumanza ha visto la sua prima edizione nel 2008 e si è strutturato con un calendario di inizia-

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tive quali incontri di musica e canti popolari, teatro, esposizione di prodotti tipici organizzate nei territori dei tre GAL. Questa iniziativa nasce per essere non solo un richiamo per i turisti, ma anche un’opportunità per i residenti di recuperare e valorizzare un aspetto significativo della cultura del proprio territorio e, quindi, della propria identità. Sul piano della comunicazione e della promozione, sono stati previsti appositi media e supporto alla promozione. È stato realizzato un sito web bilingue (italiano e inglese) dedicato alla transumanza ciociara-pontina. Il sito contiene una sezione in cui si espone l’intero progetto e permette al turista una programmazione self-made del soggiorno lungo i vari itinerari. Sono fornite informazioni sulle emergenze artistico-culturali, sui prodotti tipici, sugli eventi con una galleria fotografica dei luoghi interessati. Inoltre, un sistema GIS (Sistema Informativo Geografico) consente di creare una propria mappa. Non sono poi state tralasciate le potenzialità del web 2.0: è infatti presente una sezione community con blog.


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Come strumento versatile di divulgazione e promozione, è stata prevista la realizzazione di un video “Le vie della transumanza” che illustri tutti gli aspetti della transumanza, dalla sua storia ai prodotti, e che promuova la fruizione turistica dei territori legati a questo fenomeno. Altro strumento di promozione è rappresentato dalla Leader Card della transumanza, una card di fidelizzazione, progettata per massimizzare gli effetti promozionali sia sul sistema territoriale sia sull’offerta turistica legata ai percorsi della transumanza. Per differenziare l’offerta e rispondere alle esigenze del maggior numero di turisti, la Card prevede di declinare la proposta rispetto a tre diversi segmenti

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turistici: gli short breaker, i turisti abituali e i gruppi composti da almeno cinque soggetti. La Leader Card ha più funzioni: di biglietto di accesso per le attrattive culturali; di carta sconto per la ricettività e la ristorazione certificata; e una funzione promozionale per le produzioni tipiche locali. Queste iniziative e attività rappresentano solo una prima fase del percorso intrapreso. Le evoluzioni successive dipenderanno dai risultati maturati e dal grado di coinvolgimento del territorio per un progetto mirato in ultima analisi alla creazione di nuove realtà ed iniziative che sappiano rispondere in modo dinamico e innovativo alle esigenze di un’area ancora da valorizzare nel modo opportuno.


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DAI TEMPI ANTICHI AI GIORNI NOSTRI: PERCHÉ LE PERSONE VIAGGIANO?

L’ULISSE DI ALLORA E L’ULISSE DI OGGI di ANNALISA BALDINELLI primi viaggiatori riconosciuti come tali furono coloro che compirono spedizioni a scopo di conquista: Persiani, Ittiti, Greci, Galli. Per non parlare dei Romani appartenenti alle classi agiate, che andavano regolarmente in vacanza, possedevano ville nelle località di mare, usavano unguenti per proteggersi dal sole, distinguevano addirittura i feriari (giorni in cui erano in ferie) dai rusticari

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(giorni in cui soggiornavano in campagna). Era già per altro diffuso il fenomeno di quelli che oggi chiamiamo “topi di appartamento”, che svaligiavano le case di chi si trovava in villeggiatura, per questo forse i “turisti” erano soliti portare con loro tutti gli oggetti preziosi. Nel Medioevo invece compaiono pellegrini, crociati, giullari, mercanti. I viaggi potevano durare anche molti anni come accadeva per chi si recava in luoghi di culto quali: Roma, Gerusalemme,

Santiago de Compostela. Grazie a loro nacquero le prime guide turistiche che indicavano le strade che i pellegrini avrebbero dovuto seguire, le locande e le osterie dove era consigliato fermarsi. E’ nel Cinquecento che nasce il concetto di vacanza termale perché accessibile a tutti i ceti (per i Romani era una normale attività quotidiana recarsi alle terme), pur essendo condannata dalla Chiesa che considerava le terme luogo di peccato. Nelle case dei contadini andavano a villeggiare i signori benestanti delle città. Basti ricordare che nel Settecento il Goldoni scriveva opere quali: La Villeggiatura, Le smanie per la villeggiatura, L’avventura della villeggiatura e Il ritorno dalla villeggiatura. Qualcuno ha voluto vedere nelle figura descritta da Goldoni dello “scroccone”, cioè di colui che si aggira per le residenze dei ricchi intrattenendoli e facendoli divertire allo scopo di rimediare delle vacanze, una sorta di primordiale animatore turistico.

Le cattive condizioni delle città spingono gli abitanti alla fuga e gli scrittori dell’epoca a scrivere opere quali: La salubrità dell’aria di Giuseppe Parini. Il ‘700 è l’epoca del Gran Tour, viaggio in Europa che doveva fare dei giovani nobili europei, dei veri gentlemen. Si dovrà aspettare l’Ottocento per avere l’istituzionalizzazione del primo giorno di vacanza prescritto dalla legge con il Bank Holiday (la vacanza della banca). Negli stessi anni sarà grazie a Thomas Cook che nascerà il primo tour operator. E’ l’idea di organizzare escursioni e gite a scopo di lucro che diede alle donne l’occasione di girare l’Europa da sole. Erano i primi sintomi del turismo di massa. E’ stata poi l’evoluzione dei mezzi di trasporto ad incrementare la pratica della vacanza perché aveva reso più facili e brevi gli spostamenti. Si pensi alla ferrovia, alla metamorfosi dei transatlantici che si “alber-


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ghizzano” fino alle moderne navi da crociera, l’avvento dell’automobile fino agli aerei dei nostri giorni. Per non parlare delle evoluzioni politiche (durante il periodo fascista si moltiplicarono le colonie per i bambini, si istituirono treni popolari per permettere ai meno abbienti di viaggiare con tariffe ridotte, lo stesso Mussolini con la sua famiglia inaugurava la spiaggia di Riccione), delle evoluzioni sociali (la nascita delle cabine da spiaggia, la conquista per le donne di poter fare il bagno al mare insieme agli uomini, la funzione terapeutica del sole come dell’aria di montagna e dei luoghi in genere dove il clima è mite, la conquista delle ferie pagate), la diffusione di pratiche sportive(lo sci, l’alpinismo, il ciclismo). Dopo secoli di conquiste da parte dell’uomo, perché oggi più che mai le persone vanno in vacanza? In periodi di ristrettezze economiche, di difficoltà a tro-

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vare o mantenere il proprio posto di lavoro, di ridotta circolazione di liquidità, di mancanza di tempo libero, in cui il pensiero comune sarebbe quello di tagliare i cosiddetti beni superflui, i mass media dicono che i viaggi non hanno subito quel crollo che tutti avrebbero pensato, anzi laddove manca la liquidità immediata per le proprie vacanze, si assiste al fenomeno del finanziamento della vacanza. Gli studi sulla motivazione al turismo sono derivati dall’applicazione delle più importanti ed influenti teorie psicologiche. Va sottolineato che la motivazione al turismo è un concetto molto vasto. La motivazione è la forza che ci spinge all’azione. La spinta a viaggiare deriva senza dubbio dai bisogni attuali di un individuo che, in momenti diversi della propria vita, può sognare e scegliere vacanze completamente diverse le une dalle altre.

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La motivazione turistica comprende ciò che dispone una persona o un gruppo a viaggiare, racchiudendo naturalmente sia aspetti coscienti che elementi inconsci, sia necessità stabili che bisogni transitori. Anche la motivazione turistica, come altre spinte comportamentali, può essere positiva o negativa cioè può derivare, nel primo caso, dalla ricerca di qualcosa da ottenere o, nel secondo, dall’evitare situazioni indesiderate. La motivazione consiste insomma in forze, bisogni, atteggiamenti interni all’individuo, pertanto è dinamica e in continua evoluzione. Due sono le forze che spingono a viaggiare: quella della fuga e quella della ricerca di stimoli. L’equilibrio tra le due che agiscono spesso simultaneamente crea un risultato diverso per ogni individuo, influenzato per di più dal suo stesso processo di socializzazione e dalle sue interazioni con persone e oggetti significativi. Ecco che nascono innumerevoli classificazioni: fisiologiche, culturali, psicologiche, interpersonali, amGenova

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bientali, a cui si identificano i diversi tipi di turismo. In realtà il fenomeno turistico non è altro che la possibilità di partecipare ad attività che soddisfano i diversi bisogni e che consentono di sganciarsi da obblighi e vincoli esterni. Il fenomeno affonda le sue radici in bisogni profondi, molteplici e a lungo termine in cui la motivazione intrinseca è l’autorealizzazione. Questo porta il turista ad infrangere il tempo cercando il sole in inverno e il freddo in estate, a rinsaldare i rapporti familiari, amicali, a compiere una piccola rivoluzione della psiche rompendo la quotidianità con le sue regole, le sue preoccupazioni, i suoi dettami, a concedersi la cosiddetta “vacatio”, la tregua appunto. È grazie quindi all’unione tra i bisogni interni dell’individuo e i cambiamenti sociali, il rapporto tra turismo – lavoro – tempo libero che possiamo capire le motivazioni che spingono le persone al viaggio e di conseguenza classificare le differenti tipologie di turismi.


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PER SECOLI TORRI E CAMPANILI HANNO SCANDITO I RITMI DELLA VITA CIVILE E RELIGIOSA ED OGGI CONTINUANO AD ESSERE I PIÙ TANGIBILI SIMBOLI DI APPARTENENZA AD UNA COMUNITÀ

L’INFINITA SFIDA ALLA FORZA DI GRAVITÀ uanti sono i campanili italiani? E le torri civiche? Difficile dirlo, ma certamente molti più dei proverbiali mille con i quali si è soliti dipingere il nostro Paese. In Italia, infatti, non esiste città, borgo o frazione che nel corso della storia non abbia lanciato la propria sfida alla forza di gravità

per affermare prestigio e autorità. Grandiose costruzioni, più o meno ardite, più o meno belle, che per secoli hanno svolto l’essenziale funzione di segnare il passare delle ore e di comunicare i principali eventi della comunità; prima grazie alla preziosa opera dei campanari e poi con ci. Torri l’ausilio degli orologi meccanie campanili, svettanti vessilli di una comunità, richiami collettivi e simboli scandidi appartenenza, da sempre scono i ritmi di

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vita e di lavoro, l’inizio e la fine della giornata lavorativa e di ogni altro avvenimento cittadino, differenziandosi essenzialmente per la funzione svolta: le prime coordinano i momenti della vita profana e i secondi di quella religiosa. Apparentemente semplici strumenti acustici, ma, in effetti, potenti ed efficaci “mezzi di comunicazione di massa” che con lo squillante suono delle campane, ora triste ora gioioso, hanno unito le persone, richiamato alle armi, scongiurato la grandine e invocato soccorso. La costruzione di questi svettanti edifici ha riscosso in Italia particolare successo, grazie ad una grande devozione popolare e ad una capillare diffusione dei governi comunali, ma anche nel resto d’Europa ha trovato terreno fertile, soprattutto al nord del continente, al punto che alcune fra le più belle torri civiche delle Fiandre sono state inserite nel novero dei Patrimoni dell’umanità. Nel nostro Paese sono molte le strutture, fra torri e campanili, a par parte dei beni

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Unesco, non singolarmente, ma inseriti all’interno di siti più estesi. Fra i più celebri: la Torre di Pisa, il Campanile di Giotto a Firenze, il Campanile di San Marco a Venezia (anche se ricostruito – non troppo fedelmente – all’inizio del XX secolo, dopo il crollo dell’originale quattrocentesco), la Torre del Mangia di Siena, la Ghirlandina di Modena, il Campanile di Pomposa, i Torricini di Urbino, la Torre Bissara a Vicenza, la Torre dei Lamberti a Verona, la Lanterna di Genova (un faro, non una vera e propria torre, ma simbolo del capoluogo ligure ed emblema della genovesità), la Torre del Popolo ad Assisi, il Campanile di San Giovanni e Paolo a Roma e il Campanile di Sant’Andrea ad Amalfi. Prima di proseguire con questa sintetica rassegna, rischiando inevitabilmente di urtare le sensibilità di qualcuno dimenticando un bel campanile (non per niente è stato coniato il termine campanilismo), è necessario sottolineare che si è scelto di segnalare solo le costruzioni più significative da un punto di vista meramente storico-architettonico,


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Il campanile di Caorle

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ma che moltissimi altri avrebbero meritato un’opportuna citazione. Tuttavia, coloro che dovessero rimanere delusi non disperino, in redazione si sta valutando la possibilità di realizzare un numero monografico della rivista interamente dedicato a questi straordinari capolavori edilizi. Ma andiamo avanti, dando conto di un’altra struttura di notevole imponenza: la Mole Antonelliana. Simbolo di Torino, costruita alla fine del XIX secolo, si eleva per ben 167 metri di altezza partendo da una base in stile neoclassico e culminando in un’appuntita guglia che ricorda le cattedrali gotiche del Medioevo. La Mole, fra l’altro, è stata a lungo il più alto edificio in muratura al mondo ed oggi ospita il bellissimo Museo Nazionale del Cinema. Non ancora inclusi nel patrimonio Unesco, ma di grande interesse culturale sono anche le torri di Bologna (Asinelli e Garisenda), il Torrazzo di Cremona (uno dei più alti campanili in laterizio del mondo), il Campanile del Duomo di Messina (costruito dopo il terremoto del 1908 e dotato del più grande oro-

I campanili Unesco di Belgio e Francia

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traordinarie testimonianze architettoniche dell’indipendenza civica dalle influenze feudali e religiose (poi evolutasi in democrazie locali di altissimo significato per la storia dell’umanità) i campanili di Belgio e Francia sono un insieme di 56 edifici costruiti nel corso dei secoli nelle Fiandre e nelle regioni circostanti e inseriti nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco (32 torri hanno ottenuto il riconoscimento nel 1999 e altre 24 nel 2005). Fra le località più importanti: Gand, Brugge, Lier, Charleroi, Mons,Tournai in Belgio e Soissons, Douai, Béthune, Arras in Francia. L’elenco include, oltre ai campanili civici, alcuni edifici religiosi che furono anche utilizzati come torri d’osservazione: il campanile della cattedrale di Notre Dame ad Anversa, ad esempio, o quello della cattedrale di Saint Rumbolds a Mechelen, o ancora quello della chiesa di San Leonardo a Zoutleeuw, tutti e tre nelle Fiandre.


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Le Torri civiche... una lunga storia di alti e bassi

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ome strategiche postazioni militari di osservazione poste sui tracciati di mura e fortificazioni, le torri esistevano già nel mondo romano, ma è nel Medioevo che ebbero il periodo di maggior diffusione, quando vennero utilizzate sia per ragioni difensive che per esigenze abitative. Le torri, infatti, grazie a finestre minuscole, ingressi rialzati e mura imponenti permettevano un’efficace protezione delle città e dei singoli nuclei familiari dai nemici interni ed esterni. Le dimensioni delle torri esprimevano la potenza e la magnificenza delle nobili famiglie che le possedevano e non di rado il desiderio di prevalere ha causato disastrosi crolli. Nei secoli successivi le torri sono state gradualmente abbandonate o incorporate in più confortevoli palazzi. Dal punto di vista militare l’introduzione delle armi da fuoco rese le torri pericolose, perché i colpi di cannone potevano farle rovinare all’interno della città e vennero, pertanto, rapidamente sostituite da più solidi bastioni. Un fugace riapparizione si ebbe nell’Ottocento, grazie alla moda neomedievale del Romanticismo.

logio astronomico al mondo, con numerose figure animate) il bellissimo campanile cilindrico del Duomo di Caorle e l’originale campanile in basalto nero e calcare bianco della chiesa della Santissima Trinità di

Saccargia, in provincia di Sassari. A partire dall’epoca rinascimentale questa tipologia costruttiva è lentamente caduta in disuso, sostituita, quando la tecnologia lo ha permesso, da altri

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simboli di potere e supremazia: i grattacieli (dall’inglese skyscraper, “coloro che grattano il cielo”). Torri e campanili hanno così perduto la loro funzione comunicativa, ma mantenuto gran parte di quella simbolica, tant’è che immediatamente è ricominciata la corsa ai primati. Da Oriente ad Occidente, infatti, la sfida a chi costruiva l’edifico più alto e più spettacolare si è fatta sempre più aspra. Una gara alla quale il nostro Paese ha partecipato in veste di comprimario, ma, probabilmente, per la preservazione dell’identità delle nostre città e del paesaggio, non è stato un gran male. La compatibilità ambientale di queste avveniristiche strutture, in un territorio così ricco di storia, d’arte e di cultura come il nostro, è tutta da verificare, come confermano le accese discussioni intorno ai progetti torinesi di Renzo Piano e Massimiliano Fuksas. In ogni caso, non dobbiamo farci cogliere dall’invidia inseguendo con lo sguardo le cime di quei giganti che oltreoceano penetrano le nubi con tanta superbia, l’Italia la sua Manhattan già ce l’ha: è in Toscana e si chiama San Gimignano. (f.n.)

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L’Abbazia di Pomposa

I grattacieli più alti del mondo

Fonte: World’s Tallest Skyscrapers Emporis.com

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Burj Dubai Taipei 101 Shanghai World Financial Center Petronas Tower 1 Petronas Tower 2 Greenland Square Zifeng Tower Sears Tower Guangzhou Finance Center Jin Mao Tower International Finance Centre

Dubai Taipei Shanghai Kuala Lumpur Kuala Lumpur Nanchino Chicago Canton Shanghai Hong Kong

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TECNOLOGIE AL SERVIZIO DELLA VALORIZZAZIONE DI AREE “MINORI”: LA SPERIMENTAZIONE MP3 MONDOVÌ PODCASTING

NEL MONREGALESE I TOTEM DISTRIBUISCONO STORIE di DAMIANO ALIPRANDI E ALESSANDRO BOLLO Fondazione Fitzcarraldo rmai da tempo l’impiego di nuove tecnologie è considerato uno dei passi fondamentali, quasi imprescindibili, verso l’efficace valorizzazione del patrimonio culturale. Un approfondimento critico sulla validità di tale prospettiva ormai ampiamente diffusa tra gli operatori culturali e non - e sui risultati effettivamente conseguiti in termini di miglioramento quali-quantitativo dell’offerta esula dalle finalità di questo contributo. Tuttavia, merita attenzione il fatto che a tutt’oggi sono pochissimi, se non nulli, gli studi e le analisi che valutano l’efficacia di specifiche soluzioni tecnologiche (podcasting, au-

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dio-guide, “palmari intelligenti”, ricevitori gps, ecc.) per far conoscere, promuovere e valorizzare i grandi luoghi d’arte, così come i tanti percorsi e centri minori del nostro Paese. Non esistono infatti valutazioni empiriche sugli effettivi livelli di utilizzo (se non per le audioguide noleggiabili dentro i musei), sulle tipologie di utenti, sull’usabilità di applicazioni e terminali che richiedono gradi diversi di familiarità con le tecnologie. Di conseguenza, non è ancora chiaro quanto e a quali condizioni le innovazioni di processo e di prodotto apportino un effettivo miglioramento dell’esperienza di visita, se cioè abbiano colto le esigenze del residente, dell’escursionista e del turista e siano state in grado di fornire risposte che partano realmente da

tali esigenze ed istanze. La necessità di un approccio “critico” all’impiego della tecnologia nella valorizzazione del patrimonio culturale di un territorio ha rappresentato l’elemento centrale del progetto “MP3 Mondovì Podcasting per Percorsi Personalizzati”. L’opportunità offerta dal bando promosso da Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo nel 2007 a sostegno di progetti di ricerca fortemente innovativi e finalizzati allo sviluppo del territorio cuneese, ha permesso di sviluppare una infrastruttura tecnologica attenta alle esigenze di un territorio, il Monregalese, caratterizzato da un patrimonio culturale non ancora sufficientemente valorizzato. Entrando più nello specifico del progetto, MP3 Mondovì consiste nella realizzazione di un sistema integrato di soluzioni tecnologiche1 capace di garantire il massimo grado di libertà, flessibilità e facilità di utilizzo da parte dei utilizzatori del sistema portatori di diverse esigenze, intenzioni di visita, dimestichezza con i dispositivi tecnologici. Tale sistema ha portato alla realizzazione di una serie di totem interattivi funzionanti come “distributori di storie” e collocati sul territorio. Dal punto di vista tecnologico, il carattere distintivo di tali “distributori” è quello di consentire lo scaricamento gratuito e libero di file audio semplice-

Un totem interattivo

mente collegando il proprio lettore mp3 per mezzo di plug oppure tramite la tecnologia bluetooth. A differenza di altre esperienze simili di podcasting - che operano solo “in remoto” attraverso Internet e consentono all’utente di acquisire in anticipo file audio e video per preparare la visita - l’intenzione di Mp3 Mondovì è anche quella di favorire un incontro casuale e inaspettato


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con un oggetto di design dal forte impatto comunicativo (il totem), capace di invitare “sul momento” alla scoperta del luogo, proponendo una modalità alternativa e divertente di visita. Anche i contenuti, ovvero le tracce audio scaricabili dai totem si presentano con un profilo fortemente innovativo, anche queste “dettate” dalle caratteristiche del territorio. Non trattandosi di un’area a vocazione turistica, infatti, né di una destinazione di visita particolarmente conosciuta fuori dall’ambito provinciale/regionale, il Monregalese richiedeva l’individuazione di soluzioni efficaci nel coinvolgere il visitatore “casuale”, capaci cioè di attivare la sua curiosità e di stimolarlo a conoscere in modo più ap-

La torre civica di Mondovì

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profondito il patrimonio culturale locale. Sulla base di tali considerazioni, lo storytelling - frutto di un lavoro congiunto e fortemente interdisciplinare tra i ricercatori di Fondazione Fitzcarraldo e del Politecnico di Torino insieme alla compagnia teatrale “Accedemia dei Folli” e all’agenzia di comunicazione “Kalatà” - è stato concepito come volontario distanziamento dai canoni e dai registri stilistici e contenutistici delle classiche audio-guide per perseguire la forma del racconto a più voci - destrutturato, ironico e a volte un po’ surreale – orientato a restituire suggestioni, frammenti di discorso che aprono a possibili letture e interpretazioni del territorio e dei personaggi chiave che l’hanno plasmato. Il progetto MP3 Mondovì, quindi, ha portato alla sperimentazione sul campo di un sistema capace di assolvere a due funzioni fortemente sentite nel Monregalese: da una parte, di intercettare il visitatore casuale (e, in tale categoria, può essere compresa anche la popolazione residente), che oggi, una volta sul territorio, trova una limitata offerta organizzata di servizi capace di orientarlo e di fornirgli le chiavi di lettura necessarie per leggere e scoprire il territorio. Dall’altra, di rappresentare una infrastruttura tecnologica che, in futuro, sia in grado di erogare servizi e contenuti anche per una domanda più ampia e differenziata. Infine, nel progetto MP3 Mondovì è stato dato un rilievo fortissimo tanto alla valutazione dei risultati quanto a quella dei processi. Rispetto alla necessità di avviare una riflessione critica sull’apporto delle nuove tecnologie alla valorizzazione del patrimonio culturale, la logica valutativa applicata è stata orientata a un duplice scopo, ovvero: 1. migliorare “il prodotto” in corso di progettazione attraverso la realizzazione di una formative evaluation (indagini osservanti e focus group con

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differenti target di utenza); 2. valutare ex post la capacità dei totem di attrarre i visitatori e di invogliarli al download delle tracce audio2. La valutazione del funzionamento dei totem, invece, ha fornito risultati che sono andati ben oltre le aspettative. Nel periodo di rilevazione (tra novembre e gennaio, un periodo di scarso afflusso turistico) sono state registrate ben 1039 interazioni con il totem, dato che lascia supporre che circa un migliaio di persone abbiano notato e “utilizzato” in qualche modo il sistema. In media si tratta di 11,5 contatti al giorno. Se si considera un’inevitabile differenza tra i giorni festivi e quelli feriali negli arrivi turistici, è stato stimato che, durante i fine settimana, il numero di contatti sia stato nell’ordine dei 30-40 giornalieri. Molto interessanti inoltre i risultati inerenti la capacità del totem di invogliare al download dei percorsi narrati. Circa un utente su quattro ha infatti attivato la connessione per scaricare i file: si tratta di un risultato più che soddisfacente che è molto superiore rispetto alle perfomance previste (uno su dieci) tenendo conto che non tutti gli utenti sono dotati di una device compatibile (lettore file audio o telefonino bluetooth) e che il download dei file richiede una navigazione mediamente attenta e comunque non superficiale. Si tratta di piccoli ed esplorativi elementi di valutazione che comunque già consentono di evidenziare l’importanza di alcuni elementi chiave nella progettazione di questo tipo di applicazioni: la conoscenza del territorio e l’attenta analisi delle criticità su cui si intende intervenire attraverso sistemi tecnologici; l’ attenzione al design degli oggetti sulla base non solo di criteri estetici ma anche in termini di “usabilità” e di riconoscimento da parte dell’utente; la localizzazione e le condizioni di fruizione3 , i contenuti narrativi delle tracce audio; infine, il testing in corso d’opera sui risultati e sui processi territoriali attivati.

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Note 1. Podcasting, totem interattivi, sito web (http://mp3. fitzcarraldo.it/), device mobili quali i lettori MP3 e telefonini 2. Dal punto di vista metodologico le valutazioni si sono basate principalmente sull’analisi dei file di log presenti nei pc delle postazioni interattive che consentono di conteggiare: il numero di interazioni con l’interfaccia, il numero di volte in cui è stata attivata una connessione, il numero di volte in cui il download dei file è andato a buon fine, il numero di abbandoni espliciti e malfunzionamenti nella trasmissione dei dati. L’interpretazione complessiva dei risultati è stata inoltre integrata da valutazioni di natura più qualitativa derivanti dalle osservazioni e dai focus group condotti su target specifici di utenti test. 3. Tranquillità, tempo a disposizione, corretta esposizione, protezione, presenza di passaggi significativi si sono rivelati fattori cruciali nel determinare le perfomance di utilizzo.


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SI È SVOLTA A FERRARA L’ANNUALE ASSEMBLEA DELL’ASSOCIAZIONE CITTÀ E SITI ITALIANI PATRIMONIO MONDIALE UNESCO

È CLAUDIO RICCI IL NUOVO PRESIDENTE DEI SITI UNESCO ITALIANI

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colarmente rilevanti, fra le varie modifiche statutarie approvate, l’istituzione di un “Segretariato permanente” presso il Comune di Ferrara e le variazioni sui compiti degli organismi direttivi. Su proposta del neo presidente Ricci, inoltre, l’associazione ha attivato una raccolta speciale di fondi fra i siti Unesco italiani da destinare al recupero dei beni culturali abruzzesi danneggiati dal recente terremoto ed ha avanzato la candidatura dell’Aquila fra i Patrimoni dell’Umanità.

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A fine maggio a Ravenna, alla prima riunione del Direttivo, il nuovo presidente ha illustrato i dieci punti che costituiranno le “Linee programmatiche” del suo mandato e presentato il nuovo logo dell’associazione, ricevendo il consenso unanime dei presenti. Sempre in questa occasione è stato deciso di affidare ad Arianna Zanelli, dirigente del Comune di Ferrara, la guida del “Segretariato permanente” dell’Associazione.

Sintesi delle Linee Programmatiche 2009-2011 (testo integrale sul sito www.sitiunesco.it) ome avrete avuto modo di intuire dell’editoriale, l’Associazione Città e Siti Italiani Patrimonio Mondiale Unesco ha un nuovo presidente. Lo scorso 19 aprile, infatti, l’organo assembleare del sodalizio, dopo aver ringraziato il presidente uscente, Gaetano Sateriale, per l’ottimo lavoro svolto e gli importanti risultati ottenuti, ha affidato al sindaco di Assisi, Claudio Ricci, l’incarico di guidare per i prossimi due

Gaetano Sateriale e Claudio Ricci

anni la prestigiosa associazione (53 soci, fra Comuni, Province, Regioni, Comunità Montane ed Enti Parco). Un’elezione salutata da numerosi e autorevoli messaggi augurali; importanti e di grande significato per gli sviluppi che prefigurano, quelli di Francesco Bandarin (Direttore del Centro del Patrimonio Mondiale Unesco di Parigi), di Giovanni Puglisi (Presidente della Commissione Nazionale Italiana) e di Sandro Bondi (Ministro per i Beni e le Attività Culturali). Nella stessa circostanza sono stati eletti anche i vice presidenti (Giuseppe Baisi e Corrado Valvo, rispettivamente sindaci di Tivoli e di Noto), il Consiglio Direttivo (composto dai rappresentanti dei Comuni di Alberobello, Andria, Barumini, Ferrara, Firenze, Urbino, Verona, Vicenza e della Regione Toscana), il Comitato di Presidenza (Assisi, Barumini, Ferrara, Noto e Tivoli) e il responsabile del Comitato tecnico-scientifico (Carlo Francini, funzionario dell’Ufficio Centro Storico del Comune di Firenze). Nel corso dell’assemblea ferrarese sono state assunte molte altre importanti decisioni riguardanti la struttura e le attività dell’associazione. Parti-

• Sollecitare un più consistente finanziamento della Legge 77/2006 e chiedere risorse all’Unione Europea per i Siti Unesco. • Visitare nel biennio tutti i Siti italiani; far iscrivere all’Associazione anche i “Beni Immateriali”; promuovere seminari di approfondimento tecnico-culturale. • Rendere “operative-connesse” le Sedi di Ferrara (Segretariato Permanente), Presidenza (Assisi protempore), Firenze (Commissione Tecnico-Scientifica), Roma (FederCulture) e Noto-Tivoli (Vice Presidenze e Riferimento); implementare il sito Internet a portale interattivo. • Ampliare la “tiratura” della rivista Siti (sino a 15-20 mila copie); distribuire su scala nazionale la guida “Luoghi Italiani Patrimonio Mondiale”; istituire il Premio annuale Siti UNESCO (legato alla rivista) nei settori: scuola, scienza, cultura e media-tv. • Attivare “Siti UNESCO Channel”, su SKY o altra piattaforma (portale Internet web-tv), coinvolgendo nel progetto il Centro del Patrimonio Mondiale UNESCO di Parigi; sollecitare la diffusione di spot televisivi istituzionali e realizzare un documentario sui Siti. • Commercializzare “prodotti turistici” legati ai Siti UNESCO italiani (Alpitour); promuovere una “Borsa Turistica” dei Siti; proporre una Guida culturale edita e distribuita dal Touring Club Italiano. • Organizzare una Mostra “L’Arte dei luoghi UNESCO” che includa un’opera rappresentativa delle motivazioni del riconoscimento UNESCO per ciascun Sito “Patrimonio Mondiale” (con relativo catalogo). • Istituire Giornata/e del Patrimonio Mondiale UNESCO (18 Aprìle di ogni anno); proporre al Ministero dell’Istruzione “un’ora all’anno sui Siti” e un Master itinerante “Modelli di Gestione del Patrimonio Italiano”; promuovere inconri fra siti di diverse nazioni. • Ridefinire il Marchio Città e Siti UNESCO e verificare la trasformazione in fondazione; individuare Società per attività di Co-Marketing e Agenzie per “reperimento sponsor”. • Marchendising: puzzle, spilla-medaglia, guidoncino-bandiera, album figurine, bustine di zucchero, orologi, penne, calendario, cravatte-foular, “chiavi” memoria computer, porta telefoni-oggetti, varie.


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* Notizie dall’Italia e dal mondo

IL PREMIO UNESCO PER LA PACE AL PRESIDENTE LULA

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’Unesco ha attribuito il Premio Félix Houphouet-Boigny “per la ricerca della pace” al presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva. “Per il perseguimento della pace, del dialogo, della democrazia, della giustizia sociale e dell’’uguaglianza dei diritti”, recita la motivazione del prestigioso riconoscimento, spesso precursore del Premio Nobel per la Pace. La giuria dell’Unesco ha riconosciuto in particolare a Lula il suo contributo per l’eradicazione della povertà e la protezione dei diritti dei minori. Il premio di 122 mila euro sarà consegnato in luglio nella sede dell’Unesco a Parigi. A ricevere il premio negli anni passati sono stati, tra gli altri, Nelson Mandela, Jimmy Carter, Yitzhak Rabin e Yasser Arafat.

I petroglifi CAMUNI diventano francobolli

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unesco • associazione città e siti italiani patrimonio mondiale

anno quinto • numero tre • lug/set 2009 www.sitiunesco.it

er la serie dedicata al Patrimonio Artistico e Culturale italiano, le Poste Italiane hanno emesso nel marzo scorso un francobollo del valore di 2,80€ dedicato alle incisioni rupestri della Valle Camonica. Si tratta di un disegno raffigurante un carro trainato da due animali (probabilmente buoi), scoperto nel comune di Capo di Ponte, dove ha sede il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane. Sono oltre 300.000 i petroglifi rintracciabili sulle pareti rocciose della Valcamonica, un patrimonio preistorico preziosissimo inserito nel 1979 dall’Unesco fra i “Patrimoni mondiali dell’umanità”

La “Giornata internazionale delle popolazioni indigene”

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i celebrerà anche quest’anno il 9 agosto la “Giornata internazionale dei popoli indigeni del mondo”. Una importante ricorrenza indetta dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1994 per rafforzare la cooperazione internazionale e cercare di risolvere i numerosi problemi delle popolazioni indigene (cultura, istruzione, salute, diritti umani, ambiente, sviluppo sociale ed economico) e difendere le culture originarie dall’incombente rischio di estinzione. I popoli indigeni, infatti, rappresentano nella storia umana il più importante esempio di rispetto per la vita e per l’ambiente, oltre che di spiritualità e di valori collettivi. Questa celebrazione costituisce un’occasione importante per riaffermare la necessità di dare nuovo impulso alla battaglia mondiale per il pieno riconoscimento dei diritti di questi popoli, che continuano, per effetto del pregiudizio, della discriminazione, dell’esclusione sociale, ad essere vittime di continui soprusi, perpetrati in nome della civiltà o del mercato.

A New York il primo museo italiano all’estero

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orgerà a Staten Island, il quartiere newyorchese nel quale quasi il 4°% della popolazione ha origini italiane, il primo museo d’arte italiana all’estero. Un accordo fra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Fitzgerald Foundation of Florence e lo Snug Harbor Cultural Center & Botanical Garden ha reso possibile questa interessante iniziativa.

Notizie dall’Italia e dal mondo *

Il museo, la cui apertura è prevista fra circa un anno e mezzo, sarà ospitato negli spazi messi a disposizione proprio dalla SHCC&BG, un centro culturale che vanta un flusso di 450 mila visitatori l’anno. La parte artistica è ancora da definire, ma probabilmente la prima mostra sarà dedicata agli Etruschi.

Le mostre del 2008 parlano giapponese

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er il terzo anno consecutivo una mostra giapponese conquista il vertice della classifica delle mostre più visitate stilata dal “Giornale dell’Arte” in collaborazione con “The Art Newspaper”. Il Nara National Museum, infatti, con la “Mostra annuale dei tesori del Shoso-in”, riesce a stabilire lo strabiliante record di 17.926 visitatori al giorno (263.765 in appena 17 giorni di apertura!). Al secondo posto i “Tesori nazionali dal tempio Yakushi–ji” al Tokyo National Museum con una media di 12.762 visitatori, ma primo in termini assoluti con quasi ottocentomila biglietti staccati. Al quarto, quinto e settimo posto altri musei giapponesi, tutti con esposizioni di arte autoctona. Parigi con le “Immagini nella notte” al Grand Palais si piazza al terzo posto, Madrid con Picasso al Museo Reina Sofía al sesto, all’ottavo, nono e decimo posto tre mostre del MOMA di New York. In Italia i risultati migliori li raccolgono due dei più rappresentativi artisti dell’arte antica: Correggio a Parma e Giovanni Bellini a Roma, rispettivamente 43° e 126° in classifica.

VENTIDUE NUOVE RISERVE MONDIALI DELLA BIOSFERA

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a 21esima sessione del Programma UNESCOMAB-ICC (Consiglio Coordinativo Internazionale Uomo e Biosfera) per la conservazione della biodiversità, svoltasi a fine maggio nell’isola di Jeiu in Corea

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del Sud, ha aggiunto ventidue nuovi siti “Riserve della Biosfera nel Mondo” ai 531 esistenti. Il Programma MAB (Man and Biosphere) dell’UNESCO, avviato nel 1971, si pone l’obiettivo di mantenere un equilibrio, duraturo nel tempo, fra l’uomo e il suo ambiente attraverso la conservazione della diversità biologica. I nuovi ingressi interessano aree di diciassette Paesi diversi: Messico, Spagna, Portogallo, Venezuela, Corea del Nord, Corea del Sud, Australia, India, Indonesia, Vietnam, Libano, Siria, Germania, Federazione Russa, Sudafrica, Ucraina e Malesia. Nella lista sono già presenti otto siti italiani: Collemeluccio-Montedimezzo, il Circeo, Miramare, il Cilento e il Vallo di Diano, il Vesuvio, la Valle del Ticino, le Isole toscane e la Selva Pisana.

MONZA CAPITALE MONDIALE DELLA CULTURA

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i terrà a Monza, dal 24 al 26 settembre prossimi, il Forum Mondiale della Cultura organizzato dall’Unesco. L’incontro, che avrà luogo alla Villa Reale, verterà su “Cultura e impresa” e vedrà la partecipazione di autorità, studiosi e intellettuali provenienti da 192 Paesi. L’obiettivo principale del forum è far crescere l’innovazione, la creatività e i talenti nelle imprese del settore culturale, che giocano un ruolo fondamentale nei processi di integrazione e nello sviluppo economico. Durante il Forum Paesi emergenti e Paesi in via di sviluppo potranno confrontare le esperienze maturate nel settore delle industrie culturali, comparto strategico per il rilancio del turismo, per la creazione di posti di lavoro, per il rilancio delle esportazioni di prodotti tipici, espressioni delle diverse identità locali.


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L’ASSOCIAZIONE CITTÀ E SITI ITALIANI PATRIMONIO MONDIALE UNESCO

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Associazione delle Città e dei Siti Italiani Patrimonio Mondiale dell’Unesco è nata nel 1997 da una felice intuizione di sette amministrazioni comunali convinte dell’utilità di costruire una collaborazione con altre città e con altri soggetti per migliorare la capacità progettuale delle proprie realtà territoriali e sviluppare politiche di valorizzazione sulle quali far convergere capacità, competenze e responsabilità a più livelli. Progetti ampi e condivisi che consentano di offrire proposte competitive in termini di qualità e di opportunità di crescita sociale, culturale ed economica. Il sodalizio, del quale fanno parte 53 soci fra Comuni, Province, Regioni, Comunità Montane ed Enti Parco (), svolge un’intensa attività di sostegno alle politiche di tutela e di promozione dei territori insigniti del prestigioso riconoscimento Unesco e rappresenta uno dei principali interlocutori per tutti coloro che hanno a cuore lo straordinario patrimonio culturale e paesaggistico del nostro Paese. È riconosciuta ufficialmente dal Governo italiano ed è l’unico soggetto, oltre ai gestori dei Siti, che può beneficiare di specifici finanziamenti per la tutela, la gestione e la valorizzazione dei Siti Unesco italiani. Oltre alla rivista SITI, l’associazione pubblica la guida ai “Luoghi Italiani Patrimonio dell’Umanità” (un volume di circa 200 pagine a colori, giunto alla terza edizione, che descrive sinteticamente tutti i Siti Unesco del nostro Paese), dispone di un sito web molto visitato (un milione e mezzo di contatti nel 2008), partecipa attivamente e con successo a convegni e a manifestazioni fieristiche e produce vari materiali promozionali.

Sabbioneta

Presidente: Claudio Ricci, sindaco di Assisi. Vice presidenti: Giuseppe Baisi, sindaco di Tivoli, e Corrado Valvo, sindaco di Noto. Il Consiglio Direttivo è composto dai rappresentanti dei Comuni di Alberobello, Andria, Barumini, Ferrara, Firenze, Urbino, Verona, Vicenza e della Regione Toscana; il Comitato di presidenza dai rappresentanti dei Comuni di Assisi, Barumini, Ferrara, Noto e Tivoli. Presidenza presso il Comune di Assisi - Piazza del Comune 06081 Assisi (PG) Tel. 075 8138676 fax 075 8138671 e-mail: assisi.unesco@ comune.assisi.pg.it Segretariato Permanente presso il Comune di Ferrara - Via Boccaleone, 19 44100 Ferrara (FE) Tel. 0532419969/902 fax 0532419909 e-mail: associazione@sitiunesco.it sito web www.sitiuensco.it. Soci: Comune di Alberobello, Comune di Amalfi, Comune di Andria, Comune di Aquileia, Comune di Assisi, Comune di Barumini, Comune di Capriate San Gervasio, Comune di Caserta, Comune di Cerveteri, Comune di Ercolano, Comune di Ferrara, Comune di Firenze, Comune di Genova, Comune di Lipari, Comune di Mantova, Comune di Matera, Comune di Modena, Comune di Montalcino, Comune di Napoli, Comune di Noto, Comune di Padova, Comune di Palazzolo Acreide, Comune di Piazza Armerina, Comune di Pienza, Comune di Pisa, Comune di Porto Venere, Comune di Ravenna, Comune di Riomaggiore, Comune di Roma, Comune di Sabbioneta, Comune di San Gimignano, Comune di Siena, Comune di Siracusa, Comune di Sortino, Comune di Tarquinia, Comune di Tivoli, Comune di Torino, Comune di Torre Annunziata, Comune di Urbino, Comune di Venezia, Comune di Verona, Comune di Vicenza, Comunità Montana di Valle Camonica, Consorzio Parco del Delta del Po, Ente Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi, Provincia di Ferrara, Provincia di Perugia, Provincia di Pesaro e Urbino, Provincia di Roma, Provincia di Salerno, Regione Lazio, Regione Toscana e Regione Veneto.


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