Jane la bruttina

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La società è ora un’orda raffinata, formata da due potenti tribù, chi fa annoiare e chi è annoiato. Lord Byron, Don Juan

All’inizio del 1808 la nebbia trasformava Londra in una città da incubo. Non che la nebbia fosse una rarità, a Londra. La cosa strana, tetra e deprimente era che durasse così tanto. Una soffocante coltre giallo-grigia si stendeva sulla metropoli, trasformando il giorno in notte. I tedofori non erano mai stati così richiesti; facevano strada ai mezzi attraverso la nebbia opprimente illuminando la via con le loro torce accese ridotte a niente di più che rossi fanalini luminosi nell’oscurità circostante. Persino le vie eleganti del West End avevano perso il loro aspetto vivace e arioso, con le carrozze che si trascinavano come bestie preistoriche attraverso la palude grigia e le figure che guizzavano avanti e indietro come fantasmi. I passanti si allontanavano nervosi dai due imponenti segugi di ferro incatenati sulla soglia di 67 Clarges Street: la nebbia in lento ma continuo mutamento li faceva sembrare veri. All’interno del numero 67 i domestici avevano l’impressione che la nebbia gli fosse penetrata fin nell’anima, tanto grigia e miserabile appariva loro l’esistenza, al momento. 1


L’anno nuovo era cominciato, e un’altra Stagione era alle porte. Ma la sfortuna che aveva perseguitato la casa di Clarges Street non accennava a svanire, e pareva proprio che non avrebbero trovato nuovi inquilini, il che significava niente mance per aumentare la miserevole paga. La casa era proprietà del decimo duca di Pelham, un giovanotto proprietario di tanti di quegli immobili, tra cui un’imponente residenza in Grosvenor Square, da ricordarsi a malapena di quella dimora. La gestione della casa, dell’affitto e degli stipendi del personale era affidata al suo agente, Mr Jonas Palmer, imbroglione, prepotente e bugiardo. Gli eserciti di Napoleone tenevano tutta l’Europa in una morsa di ferro e minacciavano la sicurezza della Gran Bretagna. I tempi erano duri. Senza referenze, un domestico non aveva speranza di trovare un nuovo impiego. Palmer aveva detto che non avrebbe mai dato referenze alla servitù del numero 67; non solo: avrebbe messo in cattiva luce chiunque avesse manifestato l’intenzione di andarsene. Questo gli permetteva di continuare a corrispondere al personale un salario da fame, ma di percepire dal padrone l’ammontare dovuto e di mettersi in tasca la differenza. L’unica speranza dei domestici era un buon affittuario. Un inquilino generoso avrebbe fatto lievitare il loro salario per la durata del contratto, e magari dato loro le tanto agognate referenze. Ma le speranze di vedere un nuovo inquilino erano quanto mai esigue. Il numero 67 era bollato come “iellato”. Era proprio lì che il nono duca si era impiccato. L’anno dopo, la prima famiglia che aveva affittato la casa per la Stagione aveva perso tutte le sue fortune nel gioco d’azzardo del figlio; la famiglia successiva aveva perso invece la vita della bella figlia Clara. 2


Il terzo inquilino, un gentiluomo scozzese, Mr Roderick Sinclair, e la sua pupilla, Fiona, che aveva fatto passare per propria figlia, erano stati generosi con il personale; sembrava che finalmente la fortuna fosse tornata ad arridere alla casa. Ma Fiona Sinclair aveva sposato il conte di Harrington ed era partita per la luna di miele. I due erano spariti senza lasciare traccia, e si temeva fossero morti. Così, per l’ennesima volta, sui giornali comparve un annuncio che metteva in affitto la casa. Affittasi casa per la Stagione Dimora signorile 67 Clarges Street, Mayfair Casa arredata. Personale qualificato. Affitto: 80 sterline Inviare richieste a: Mr Palmer, 25, Holborn Con ottanta sterline era possibile affittare una casa in una zona decente della città per un intero anno. Ma a Mayfair, dove ci si poteva aspettare di pagare anche mille sterline all’anno per una casa non ammobiliata e priva di personale, quella stessa cifra per i pochi mesi della Stagione era molto modesta. Gran parte delle madri speranzose arrivava a Londra qualche tempo prima dell’inizio della Stagione per preparare il terreno in vista del debutto delle figlie. Quindi tutto il ton sapeva che l’affitto di una casa per la Stagione comprendeva i due mesi precedenti e almeno quello successivo. La Stagione cominciava alla fine di aprile e durava fino alla fine di giugno, quando buona parte dell’alta società, esausta, seguiva il principe di Galles a Brighton. Mr John Rainbird, maggiordomo del numero 67, sta3


zionava sulla soglia e osservava sconfortato lo scenario infernale. Solo la Stagione prima la vita gli era sembrata così promettente. La generosità degli inquilini era stata tale che aveva deciso di comprare una piccola locanda a Highgate e di portare con sé la sua “famiglia”, cioè il resto del personale. Ma mentre erano via da casa, al matrimonio di Fiona Sinclair, il denaro gli era stato rubato. Tutti sospettavano di Jonas Palmer, anche se non c’erano prove. Così, invece di godersi una splendida, indipendente libertà, ora si ritrovavano ancora prigionieri di quella dimora cittadina, incatenati come i cani di ferro sulla soglia ai piedi di Rainbird. Le lunghe guerre contro Napoleone imperversavano; una pagnotta di poco più di un chilo costava uno scellino e nove pence, e ogni giorno i poveri morivano di fame per le strade. I domestici, il cui salario bastava per rimanere al limite della sopravvivenza, tiravano a campare come potevano. Solo quel mattino Angus MacGregor, il cuoco delle Highlands, era uscito di casa diretto nella campagna fuori Kensington in cerca di legna da ardere; Mrs Middleton, la governante, l’istruita figlia di un curato, aveva chiamato a raccolta il coraggio ed era andata a Covent Garden per racimolare un po’ di verdura; e Lizzie, la sguattera che lavorava nel retrocucina così come ai piani superiori, era dal panettiere in cerca di una pagnotta di pane raffermo da comprare. La cameriera, Jenny, e la domestica, Alice, erano in casa, sconsolatamente occupate a pulire e lucidare le stanze vuote; Jonas Palmer amava infatti le visite a sorpresa, durante le quali si spostava da una stanza all’altra indossando un paio di guanti bianchi di cotone che faceva passare su ogni piano orizzontale per assicurarsi che non ci fosse neppure un granello di polvere. 4


Rainbird sospirò e rabbrividì. Joseph, l’alto valletto, salì i gradini ancheggiando e gli si mise accanto. I due uomini osservavano silenziosi la nebbia in perpetuo movimento. Joseph era alto, biondo e di bell’aspetto, con tondi occhi azzurri frangiati da chiare ciglia corte e rade che erano la sua disperazione segreta. Rainbird era molto più basso di Joseph, con un muscoloso corpo da acrobata e un viso da attore comico. Gli occhi erano grigi, scintillanti e dallo sguardo intelligente, solitamente splendenti di buonumore; tuttavia negli ultimi tempi erano cupi e tristi, proprio come il cielo. Un grosso fiocco di neve scese a spirale e atterrò sul naso di Joseph. Lui se lo pulì via. “Accidenti a ’sto tempaccio,” disse con voce acuta e affettata. “Ti fa scendere il morale giù in cantina.” “Forse non ti sentiresti tanto giù se ti mettessi a fare qualcosa,” replicò brusco Rainbird. “Hai lucidato gli argenti?” “No,” rispose Joseph immusonito. “Son stufo marcio di pulire quella dannata roba.” “Allora va’ a farlo subito,” disse Rainbird irritato. “Ricorda che se Palmer dovesse prenderci in antipatia, rispetto agli altri noi due siamo nella posizione peggiore.” Entrambi erano stati licenziati da dimore altolocate per crimini che non avevano commesso. Ma si erano dichiarati colpevoli, e Palmer li minacciava costantemente di rendere note le loro malefatte nel caso in cui non fossero scattati sull’attenti a ogni suo comando, il che significava che nessuno dei due aveva più speranza di trovare un altro impiego. Probabilmente era questa comune sventura a spingere Rainbird a tollerare il valletto effeminato e spesso petulante. Inoltre Rainbird era forse l’unico capace di vedere la creatura sensibile e impaurita sotto quelle affettazioni. 5


“Ma però anche Dave non sta facendo niente,” piagnucolò Joseph. “Dave sta pulendo le canne fumarie.” “È a lui che gli tocca,” sghignazzò Joseph con aria di superiorità, “visto che è l’unico mestiere che sa fare.” Un tempo Dave faceva lo spazzacamino, ed era stato salvato da Rainbird da un padrone violento. Palmer era all’oscuro della sua esistenza. In via ufficiosa, Dave era lo sguattero. “Va’ dentro. Hai il potere di sfinirmi, Joseph,” disse Rainbird. Joseph si allontanò stizzito, e Rainbird riportò lo sguardo sulla nebbia vorticante. Correndo a piccoli passi e producendo un clic-clac di zoccoli sulla pietra, Lizzie emerse dal grigiore. Portava qualcosa avvolto in uno scialle. Con gran sorpresa di Rainbird, ignorò il suo saluto e si precipitò giù per le scale di servizio come un animale che corre a rintanarsi. Lui la seguì svelto. Lizzie entrò in casa diretta alla stanza dei domestici, con qualunque cosa ci fosse nello scialle stretto al seno come un neonato. “Cos’hai lì?” chiese Rainbird. La nebbia aleggiava in filacce nella stanza fiocamente illuminata da una puzzolente candela di sego al centro del tavolo. Senza parlare, Lizzie disfece l’involto ed estrasse una grossa pagnotta dalla crosta spessa, che posò sul tavolo. Poi sedette a capo chino. Rainbird si avvicinò e prese la pagnotta. “Questa è appena sfornata, Lizzie,” disse. “E tu avevi solo un penny per un po’ di pane raffermo. Come te la sei procurata?” Gli occhi di Lizzie, enormi sul viso smunto, fissavano 6


addolorati il maggiordomo. Due grosse lacrime tracimarono lasciando tracce chiare sulle guance sporche del grigio dell’aria. Un pensiero improvviso e orrendo balenò in testa a Rainbird. “Non l’avrai fatto, Lizzie? Voglio dire, non sarai andata con qualche uomo…?” “Peggio,” rispose Lizzie tremante. Rainbird sedette. Alice e Jenny entrarono in cucina, volevano sapere cos’era successo, e Dave fece sobbalzare tutti sbucando dal camino completamente coperto di fuliggine. “Mi sa che ne ho tre sacchi pieni, Mr Rainbird,” annunciò allegramente. “Oggi pomeriggio vado a vendere fuliggine. Cos’ha la nostra Liz?” “Ha quello che abbiamo tutti quanti,” disse Joseph con voce strascicata. “Fame.” “Su, Lizzie,” la sollecitò Rainbird. “Racconta.” La sguattera si asciugò le lacrime con la mano. “Sono andata da Partridge,” disse. Indispettito, Rainbird fece schioccare la lingua. “E cosa ci sei andata a fare? È il panettiere più caro di Mayfair.” “Al mercato, di pane raffermo Brown non ne aveva più. Ho pensato che un panettiere di lusso forse ce l’ha, ma che magari alla gente non viene in mente di chiederglielo. È per questo che ci sono andata.” “E?” chiese Jenny, la cameriera. “E c’era questa gran dama con le sue due figlie.” “Oh già,” disse Dave. “Le gran dame non vanno in giro per negozi a comprarsi il pane.” “Stavano facendo una specie di gioco,” spiegò Lizzie. “‘Vedete, mie care,’ diceva l’elegantona, ‘non dovete lasciare che sia sempre la servitù a fare la spesa. Ogni tanto dobbiamo andarci anche noi per controllare che i prezzi si7


ano gli stessi di quelli segnati sui registri della governante.’ Una delle figlie mi ha fissato e ha detto: ‘Ma mamma, nei negozi si incontra gente rozza come questa servetta’. ‘Non sta bene neppure notare questo genere di persone,’ ha risposto la madre. Tutte avevano dei cestini che sembravano cappelli di paglia di Firenze, piatti, aperti e decorati con fiori di seta. Da Partridge una pagnotta grande costa due scellini e tre pence, e loro ne hanno comprate sei,” riferì Lizzie; il ricordo di tanto sbalordimento le aveva prosciugato le lacrime. “Poi mi sono passate davanti. ‘Scansati, contadinella,’ dice la madre, e mentre mi superano questa pagnotta cade dal loro stupido cestino. Allora io l’acchiappo veloce come il fulmine prima che tocca terra. Ma loro non hanno aspettato. Gli sono corsa dietro mentre salivano in carrozza e gli ho detto: ‘Tenete, signora, vi è caduta la pagnotta’. “‘Oh, mamma,’ dice una delle ragazze, ‘non toccarla. Capace che la ragazza ha i pidocchi.’ “‘In tal caso la daremo alla servitù,’ ha detto la madre, e si è sporta dal finestrino della carrozza per prenderla. “Mi sono ritrovata a gridare: ‘Allora me la tengo io,’ e l’ho avvolta nello scialle e mi sono messa a correre più veloce che potevo. Loro hanno urlato: ‘Ferma, al ladro!’ e ho sentito delle mani afferrarmi nella nebbia, ma mi sono tuffata in un androne e me ne sono stata nascosta finché le voci hanno smesso di gridare. E ora eccomi qui,” concluse con aria infelice. Rainbird fece un lungo sospiro. “Lizzie, se ti avessero presa ti avrebbero impiccata, o nel migliore dei casi portata alle colonie.” “Ho fatto peccato mortale,” sussurrò Lizzie. “Difatti,” gongolò Joseph. “Il tuo papa ti condannerà 8


all’inferno.” Poi boccheggiò: Jenny gli aveva piantato un gomito puntuto nel plesso solare. “Io credo che Dio ti perdonerà,” disse Rainbird, “mentre è da vedere se perdonerà quella donna e le sue figlie. Asciugati le lacrime, Lizzie. E non fare mai più una cosa del genere.” L’alta e giunonica Alice fece lentamente il giro del tavolo; tutto ciò che faceva Alice era lento e languido. Circondò Lizzie con le braccia e disse: “Non piangere. Tu sei una brava ragazza”. Rainbird sospirò. A quali bassezze stavano mai sprofondando tutti loro se una persona come la piccola Lizzie si trasformava in ladra? Dei passi lenti e pesanti sulle scale annunciarono l’arrivo della governante, Mrs Middleton, una donna stanca e ansiosa di età incerta e con la faccia da coniglio impaurito. Aprì la capace borsa a cordoncino e con aria trionfante posò sul tavolo un grosso cavolo che sembrava mangiucchiato dalle tarme. “Quanto?” chiese Rainbird. “Niente,” rispose raggiante Mrs Middleton. “Siete stata anche voi in giro a rubare?” domandò Dave. “Tornatene su per il camino e bada a come parli,” lo redarguì Rainbird severo. “Ditemi, Mrs Middleton, cos’è successo?” “A Covent Garden c’era un facchino,” sorrise Mrs Middleton nel togliersi l’enorme cuffia che ricordava un secchio per il carbone. “L’ha fatto cadere, allora l’ho raccolto e sono andata da lui. ‘Ecco, buon uomo’, gli ho detto. ‘Ehi, tu, chi ti credi d’essere per chiamarmi in ’sto modo?’ mi apostrofa. ‘Puoi prendere questo cavolo e…’ Le guance di Mrs Middleton si colorirono. “Non ho capito il resto di 9


quel che ha detto, ma sembrava così violento che gli ho risposto: ‘Grazie’, e ho infilato il cavolo nella borsa. Cosa intendeva dire Dave quando ha chiesto se sono stata anch’io in giro a rubare?” Joseph aprì la bocca, ma la richiuse non appena vide l’occhiataccia di Rainbird. “Spicciati a finire quei camini,” ordinò Rainbird a Dave. “Angus MacGregor è andato in campagna a far legna, perciò forse stasera avremo un po’ di calore.” “C’è fuliggine dappertutto!” strillò Mrs Middleton. “Alice, cosa ci fai abbracciata a quella sciocchina d’una sguattera? Lizzie, comincia a pulire per bene questa stanza, e quando hai finito va’ a lavorare in cucina.” “Ecco, sta arrivando MacGregor,” ridacchiò Joseph. “Fa tanto di quel rumore che sembra il seguito del principe Carlo quando se ne va da Derby.” Marciarono tutti in cucina, dove il cuoco scozzese si stava togliendo dalla spalla un grosso sacco. “Nevica forte,” grugnì. “Sangue!” gridò Jenny la mora. “Dal sacco sta colando del sangue!” “Cos’hai lì?” chiese Rainbird. “Un cervo,” rispose il cuoco in tono disinvolto. “Un cucciolo. Stasera cacciagione.” “Sei andato a cacciare di frodo nella proprietà di qualche lord,” lo accusò Rainbird. “No,” rispose laconico il cuoco dai capelli rossi tirando con uno strattone il laccio che teneva chiuso il sacco. “È un piccolo. L’ho preso a Green Park.” “I cervi del re,” articolò Rainbird sottovoce. “Razza di idiota. Ci impiccheranno tutti.” “Era lì, bastava prenderlo,” fu la risposta del cuoco im10


penitente. “Ero stanco di trasportare il sacco pieno di legna, allora l’ho messo giù per riposarmi, la camminata per tornare era lunga, e qualche mascalzone me l’ha portato via ed è sparito di corsa nella nebbia.” Quando aveva sentito Angus MacGregor arrivare, Rainbird gli era andato incontro con una candela di sego. Nel fioco alone di luce dorata, le facce dei domestici erano bianche come lenzuoli. “Non fate quella faccia spaventata,” proseguì contrariato il cuoco. “Mentre tornavo attraverso il parco ho trovato questo cerbiatto con una zampa rotta e quasi morto di freddo. Ho preso il pugnale e gli ho tagliato la gola. Mi ero portato un sacco in più, così l’ho preso e sono venuto qui di corsa.” Inclinò la testa per sentire meglio, e tutti si irrigidirono: un passo pesante di piedi in marcia risuonava di sopra, in Clarges Street. “Lasciando colare sangue per tutta la strada,” aggiunse Rainbird, preso dal panico, “ci hai tirato addosso l’intera milizia. I volontari si addestrano nel parco tutti i giorni…” “Legatemelo sulla schiena,” disse Dave. “Svelti!” “Perché…?” fece per dire Rainbird. “Legatemelo,” strillò Dave. Ora il rumore di passi pesanti scendeva le scale. Mentre Angus MacGregor legava svelto il cervo alla schiena dello sguattero, e con movimenti frenetici Alice e Jenny ripulivano il pavimento dalle macchie di sangue, ci fu un imperativo bussare alla porta. “Aprite, in nome del re!” esclamò una voce autoritaria. Dave scavalcò in fretta e furia la grata del camino spento della cucina con il cervo sulla schiena. Si afferrò al primo dei pioli di ferro fissati all’interno della canna fumaria per la salita degli spazzacamini. “Spingetemi su,” sussurrò a denti stretti rivolgendosi a MacGregor. Spesso Mrs Middleton si era lamentata dell’ampia ca11


miniera vecchio stile con la grande canna fumaria, ma ora ringraziò febbrilmente il cielo per la parsimonia di Jonas Palmer. Rainbird aprì la porta. Un alto capitano con la neve che luccicava sulla divisa rossa del reggimento fece il suo ingresso in cucina. Assieme a lui entrarono un sergente, un soldato e un gendarme. “State fuori, voi altri, finché non vi chiamo,” gridò il capitano da sopra la spalla. “Cosa posso fare per voi?” chiese Rainbird. “Dov’è il vostro padrone?” chiese il capitano. “Il mio padrone,” rispose Rainbird, “è il duca di Pelham. È all’Università di Oxford. In sua assenza sono io il responsabile, qui.” “Nome?” “Mr John Rainbird.” Il capitano fece un brusco cenno del capo, e il sergente alzò una lanterna a illuminare la faccia del maggiordomo, che il capitano studiò da cima a fondo. Rainbird indossava la livrea acquistata dal precedente inquilino: giacca nera a code, panciotto bianco, pantaloni neri di seta al ginocchio, calze bianche e scarpe con la fibbia. “Si tratta di questo,” esordì il capitano, ora con una riluttante vena di rispetto nella voce. “Una donna riferisce di aver visto un uomo uccidere un cervo a Green Park. Quel che è certo è che sulla neve c’era del sangue. Abbiamo seguito la pista di sangue, e ci ha guidato dritti fin qui. Ragion per cui dobbiamo perlustrare la casa dalla soffitta alla cantina.” “Scandaloso,” sbuffò Rainbird. “Io non sono un ladro, signore mio.” “Forse. Ma uno di voi lo è. Come spiegate la traccia di sangue?” 12


“Non ne ho idea,” rispose Rainbird rigidamente formale. Dall’interno della canna fumaria giunse una debole imprecazione. “Chi c’è?” lo interrogò brusco il capitano. “È solo lo spazzacamino,” rispose MacGregor. “Siete scozzese, eh?” disse il capitano con aria sospettosa. Eccezion fatta per chi apparteneva alle classi alte, gli scozzesi venivano ancora guardati con diffidenza e spesso insultati per strada. Non erano forse selvaggi stranieri calati al Sud in orde per togliere posti di lavoro agli onesti inglesi? Abbassò lo sguardo sulle scarpe di MacGregor, e ridusse gli occhi a due fessure nel vedere tracce di fango e neve sciolta. “Darò un’occhiata a quella canna fumaria,” disse. “Aiuto!” Giunse una voce dal retro cucina. “Oh… sto morendo.” “È Lizzie!” esclamò Rainbird. Mosse in direzione del retrocucina, ma la porta si spalancò e Lizzie oltrepassò la soglia barcollando. Sangue vivo zampillava dalla vena del polso, e gli occhi erano dilatati dalla paura. “Dio del cielo!” esclamò l’ufficiale. Rainbird si levò rapido di tasca il fazzoletto, afferrò un cucchiaio di legno e improvvisò un laccio emostatico attorno al braccio di Lizzie. “Cosa ti sei fatta, ragazza?” domandò, reso immemore da questa nuova paura del pericolo che correvano. “Ero a Green Park,” sussurrò Lizzie con labbra esangui. “Sono scivolata, sono caduta nella neve e mi sono tagliata il polso con i cocci di una bottiglia di vino.” “Dobbiamo portarla al St George’s Hospital,” intervenne Alice, facendosi avanti nell’alone di luce. “Voi ci aiuterete, capitano.” Era una dichiarazione, non una richiesta. Il capitano guardò le ali dorate dei capelli di Alice che brilla13


vano sotto la cuffietta inamidata, il sollevarsi e l’abbassarsi del bel seno, la pelle lattea del viso e l’enorme azzurro degli occhi. Il cervo fu dimenticato. Vi fu uno sbraitare di ordini. Un fiacre fu condotto davanti alla porta. Rainbird sollevò tra le braccia il fragile corpo di Lizzie, imprecando sommessamente mentre la portava su per le scale. Seguiva Joseph, le mani sprofondate nelle tasche della livrea. Ne estrasse un fazzoletto di pizzo e cambrì, e lo osservò con struggimento. Era il suo tesoro più prezioso. Poi si chinò sopra a Lizzie, reclinata in un angolo del fiacre, e glielo porse. “Prendi, Lizzie,” disse in tono sommesso. Si abbassò per baciare la guancia scarna e pallida. Va detto che Lizzie nutriva un amore segreto per l’alto valletto fin dal primo giorno in cui aveva preso servizio al numero 67. “Grazie, Mr Joseph,” bisbigliò prendendo il fazzoletto e infilandoselo in seno. Tempo dopo il capitano avrebbe detto di non aver mai visto una servetta così coraggiosa. Mentre un chirurgo del St George’s Hospital le suturava la ferita, Lizzie sorrideva estatica. Era talmente trasfigurata dalla felicità che un’anziana signora presente in ospedale era caduta in ginocchio colta da timore reverenziale, credendo che Lizzie fosse una piccola moribonda sulla soglia del paradiso. Mentre mettevano a letto Lizzie nella più bella camera del piano superiore, la neve cadeva fitta e rapida. Con un tempo del genere Palmer non si sarebbe avventurato fuori casa, e Lizzie, che si era tagliata il polso per salvare tutti loro, meritava il meglio. Poi un terrorizzato Dave, che non aveva la più pallida idea di ciò che era successo, dovette essere recuperato dalla canna fumaria. Singhiozzava per lo sfinimento: aveva do14


vuto restare appeso ai pioli con il peso dell’animale morto sulla schiena per ben due ore. “Dovresti vergognarti di te, Angus,” disse Rainbird con severità rivolgendosi al cuoco. “Due ragazzini quasi morti a causa della tua follia.” “Ah sì, eh? Beh, scommetto che stasera il ritornello sarà un altro, quando avremo tutti un po’ di selvaggina arrosto nella pancia,” replicò il cuoco impenitente, slegando il cervo dalla schiena di Dave. “Lizzie ci ha salvati tutti,” intervenne Mrs Middleton. “Che Dio la benedica.” Rainbird sospirò stancamente mentre la neve vorticava contro le finestre del seminterrato, incassate in alto sulla parete. “Fa un tale freddo,” disse. “Non abbiamo niente per fare fuoco, Angus. Non ti aspetterai che ce la mangiamo cruda, quella bestia?” “Non posso pensare a tutto,” rispose il cuoco imbronciato. “Oggi alla porta qui di fianco hanno consegnato il carbone,” annunciò Dave, già ripresosi dai traumi della giornata con la solita capacità di recupero. “Sacchi e sacchi di carbone buttati dritti nella carbonaia, in grossi blocchi lucenti.” Lo sguardo di Rainbird si fece più penetrante. “Lizzie ha bisogno di calore,” disse. “Noi abbiamo bisogno di calore.” Restò seduto qualche istante in un silenzio meditativo. Fece correre lo sguardo sui domestici che, a eccezione di Lizzie, erano tutti seduti lì attorno, resi abulici dal freddo intenso. “Nessuno dovrà mai più rubare,” dichiarò, “ma a prendere in prestito non c’è niente di male. Ora, mentre tornavamo dall’ospedale avrete notato che lord Charteris della 15


porta accanto era in partenza per la campagna con tutto il personale. Il che vuol dire che la casa è vuota.” “Giusto,” disse Joseph scoccando un’occhiata di curiosità al maggiordomo. “A me l’altro giorno Luke mi ha detto che stavano per partirsene tutti.” Luke era il primo valletto dei Charteris. “Giù in cantina,” proseguì Rainbird con aria assente, “ci sono una pala e un piccone.” Si alzò; un lento sorriso gli fece incurvare gli angoli della bocca espressiva. “Spogliati, Joseph, ragazzo mio. Stasera si va a estrarre carbone!” “Le mie mani!” gemette Joseph, regredendo alla piagnucolante nota cockney solitamente nascosta sotto un leggero strato di manierata affettazione. “E mettiti i guanti, damerino,” disse Rainbird. “Al lavoro!” Nella camera da letto al piano superiore Lizzie scivolava dentro e fuori dal sonno. A un certo punto, sentendo delle gran martellate e dei gran colpi riecheggiare per casa, si divincolò nel tentativo di scendere dal letto: credeva che fosse tornata la milizia. Ma era troppo sfinita per compiere uno sforzo del genere, e presto ripiombò in un sonno agitato. Si svegliò che era sera. Un fuoco scoppiettava nel camino, irradiando un bagliore rosato e guizzante fin sul soffitto. Mentre il calore le penetrava nel corpo, si chiese sognante dove avessero trovato il carbone. Poi, tutt’a un tratto, ecco Joseph chinarsi su di lei, nudo fino alla cintola e nero di polvere di carbone. “Hai ancora il mio fazzoletto, Lizzie?” bisbigliò. “Sì, Joseph,” rispose con voce appannata. “Non me ne separerò mai.” Joseph spalancò la bocca per lo stupore. “Per te sono Mr Joseph, sfacciatella,” bofonchiò, caracollando via. 16


Raggiunse il resto della servitù annerita e stanca nel locale domestici. “E questo cosa sarebbe?” gemette. “Solo pane e acqua?” “Più tardi mangerai qualcosa,” disse MacGregor. “Farò friggere il fegato. Prima però bisogna appendere la bestia.” Rainbird fece correre lo sguardo attorno al tavolo, sulle facce stanche e avvilite. “Su col morale,” li esortò. “Non credo che il buon Dio su in cielo intenda farci crepare di fame a Mayfair. Da qualche parte, in questo preciso istante, qualcuno sta per affittare questa casa. Lo so. Lo sento.” Ma la piega sardonica della bocca e lo sconforto negli occhi tristi smascheravano il suo ottimismo.

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Estratto da M.C. Beaton, Jane la bruttina Titolo originale dell’opera Plain Jane Traduzione dall’inglese di Simona Garavelli © 1986 by Marion Chesney © 2014 astoria srl, corso C. Colombo 11 – 20144 Milano Prima edizione: novembre 2014 ISBN 978-88-96919-92-7 Progetto grafico: zevilhéritier

www.astoriaedizioni.it


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