Il libro di Miss Buncle

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2 Disturbatore della quiete pubblica

Il mercoledì mattina Mr Abbott guardò molto spesso l’orologio mentre sbrigava i propri affari. Era emozionato al pensiero di incontrare John Smith. Anni di editoria non erano riusciti a offuscare il suo entusiasmo né a trasformarlo in un amaro e incallito pessimista. Ogni autore nuovo e promettente conquistava i suoi favori. Aveva rinunciato a qualsiasi tentativo di prevedere il successo o l’insuccesso dei romanzi che pubblicava, però continuava a pubblicarli nella speranza che ogni libro potesse rivelarsi un bestseller. Il venerdì mattina precedente, suo nipote, Sam Abbott, da poco assunto nella società Abbott & Aromy, era comparso all’improvviso nello studio privato di Mr Abbott con deplorevole mancanza di cerimonie, annunciando: “Zio Arthur, il tizio che ha scritto questo libro deve essere un genio, oppure un imbecille”. A quelle parole scattò qualcosa in Mr Abbott (una specie di sesto senso, forse), che lo costrinse ad allungare la mano verso il manoscritto dall’aspetto disordinato con una certa eccitazione… finalmente un bestseller? Il suo côté di uomo d’affari ed editore assennato lo mise in guardia sul fatto che Sam era nuovo di quel mestiere e gli 1


rammentò di altre deplorevoli occasioni in cui autori che promettevano di diventare cigni si erano spiacevolmente tramutati in oche, ma il fuoco che gli bruciava dentro si rianimò davanti alla sfida. Il manoscritto era rincasato con lui quella sera e alle due del mattino lo stava ancora leggendo. Ancora immerso nella lettura, e ancora in dubbio. L’esagerazione di Sam era giustificata dall’inesperienza e dalla giovane età, ma su Cronache di un villaggio inglese aveva ragione, e Mr Abbott non poté far altro che condividere la sua opinione. Non era opera di un genio, ovviamente, e non erano neanche i vaneggiamenti di uno sciocco, ma l’autore doveva essere un uomo molto intelligente che scriveva con intento ironico oppure uno sprovveduto che scriveva in perfetta buona fede. Qualunque cosa fosse, Mr Abbott non ebbe alcuna esitazione nel decidere se pubblicarlo. Le novità dell’autunno erano già stabilite, ma si poteva trovare spazio per Cronache di un villaggio inglese. Quando Mr Abbott spense la luce – verso le tre del mattino – e si accovacciò comodamente nel letto, la mente stava già pensando allo strillo che avrebbe fatto conoscere al mondo quell’insolito libro. Certo, l’autore avrebbe potuto avere le sue idee in proposito, ma Mr Abbott decise che andava formulato con grande attenzione per non fornire alcun indizio – di nessun genere – che facesse capire se il libro fosse una raffinata satira (paragonabile solo al primo capitolo de L’abbazia di Northanger) o semplicemente la cronaca di eventi visti con gli occhi innocenti di un sempliciotto. Era certamente una satira, pensò Mr Abbott chiudendo gli occhi – quella scena d’amore nel giardino al chiaro di luna, per esempio, e quella in cui il giovane impiegato di banca fa una serenata con il mandolino al suo amore cru2


dele, e le due morigerate signore che comprano calzoni da cavallerizzo e partono per il lontano Est – eppure c’è molta semplicità in tutto questo, una freschezza simile al profumo del fieno appena falciato. Fieno appena falciato, suona bene, pensò Mr Abbott. Doveva inserire “fieno appena falciato” nello strillo o era meglio che il lettore lo scoprisse da solo? Quant’erano stupidi i lettori! Proprio come pecore… pensò Mr Abbott assonnato… una segue l’altra, trascurano un libro o ne comprano un altro solo perché altri lo stanno comprando, anche se non hanno la minima idea di che cosa manchi a uno e che cosa abbia in più l’altro. Ma questo libro, si disse tra sé e sé Mr Abbott, questo libro venderà – bisogna farlo vendere. Piacevoli visioni di librerie ingombre di copie di Cronache di un villaggio inglese impilate con ordine e il pubblico che reclama altre ristampe gli passarono nella mente come un sogno. Doveva chiedere un incontro all’autore, pensò Mr Abbott, riemergendo dal sonno. Allora avrebbe saputo, dopo aver visto quell’uomo, se il libro era una satira o una storia sincera, doveva saperlo (il mistero lo intrigava), solo lui e nessun altro. John Smith doveva essere invitato nel suo ufficio il prima possibile, perché non c’era tempo da perdere se il libro doveva rientrare nelle novità dell’autunno – John Smith, che nome! Uno pseudonimo, certamente, e anche abbastanza buono considerata la natura del libro. Il sonno sorvolò oscuramente su Mr Abbott e posò su di lui le sue ali spiegate. Il sabato sera, dopo una giornata di golf, Mr Abbott lesse di nuovo il libro. Lo prese tra le mani con una certa trepidazione – con ogni probabilità non era bello come aveva pensato, le cose appaiono diverse alle due del mattino – sarebbe stata una delusione rileggerlo. 3


Ma Mr Abbott non rimase minimamente deluso quando lo rilesse, oggi era bello tanto quanto la notte prima – a dire il vero, era anche meglio, perché ormai conosceva il finale e poteva apprezzare le sottigliezze. Lo aveva fatto ridere, lo aveva tenuto incollato alla sedia fino a tardi, lo aveva trascinato con sé e lui si era fatto trascinare, perdendo la cognizione del tempo. A fare il libro, decise Mr Abbott, era la caratterizzazione. Le persone erano così reali, ogni singolo personaggio così convincente. Ognuno possedeva il soffio vitale. Nessuno nel libro era piatto o bidimensionale – cosa piuttosto inusuale! C’erano evidenti difetti nella costruzione delle vicende (in realtà, non si intravedeva un grande sforzo costruttivo), senz’altro un novellino questo John Smith! Ma lo era veramente? Davvero? I difetti nella costruzione delle vicende non erano forse parte integrante del fascino del libro? La prima parte di Cronache di un villaggio inglese era una banale serie di fatti: una cronaca di vita in un villaggio inglese a tutti gli effetti. Avrebbe potuto essere noiosa se i personaggi non fossero stati così ben delineati o se la scrittura non fosse stata di una semplicità tale da indurre a chiedersi di continuo se fosse volutamente ironica oppure no. La seconda parte consisteva di una serie di fantasticherie: un ragazzo dai capelli d’oro che camminava per il villaggio suonando un piffero e la sua musica che induceva gli abitanti del villaggio a fare cose strane. Era bizzarro, inusuale, provocatorio e, cosa abbastanza strana, era anche estremamente divertente. Mr Abbott sapeva, per esperienza personale, che nessuno avrebbe potuto richiuderlo prima di arrivare alla fine. Il titolo del libro era debole, pensò Mr Abbott, Cronache di un villaggio inglese suonava noioso, ma non sarebbe stato difficile trovarne un altro, uno che focalizzasse l’attenzione 4


sull’evento principale del libro, quello intorno al quale ruotava tutta la storia. Magari Il ragazzo dai capelli d’oro oppure Il pifferaio passa? Forse l’ultimo era troppo sofisticato per una storia così priva di ingegno (o ingegnosa). Si sarebbe potuto intitolare Disturbatore della quiete pubblica, pensò Mr Abbott. Sì, era un buon titolo. Aveva il suono giusto, era facile da ricordare e dava il necessario risalto al ragazzo. Avrebbe suggerito quel titolo a John Smith. Si sarà dedotto da quanto sopra che Mr Abbott era scapolo – quale moglie avrebbe permesso al marito di restare sveglio fino a tardi per due notti consecutive a leggere il manoscritto di un romanzo? Nessuna. Mr Abbott era scapolo, viveva a Hampstead Heath in una casetta molto graziosa con un giardinetto. Un uomo e sua moglie – i Rast – “lavoravano” per Mr Abbott, rendendogli la vita estremamente comoda. Le loro divergenze matrimoniali erano frequenti e violente, ma restavano confinate ai locali delle cucine e i due non permettevano che interferissero con l’agio del padrone. Da un gancio sulla credenza della cucina pendeva una lavagnetta e, nei periodi in cui i Rast non si rivolgevano la parola, comunicavano tra loro con un gessetto stridente. “Sveglialo alle 7.30” scriveva Mr Rast, così Mrs Rast avrebbe dato un’occhiata alla lavagna mentre andava a dormire e sarebbe apparsa accanto al letto di Mr Abbott alle 7.30 in punto con un immacolato vassoio da tè per la colazione. Che uomo fortunato Mr Abbott! La lettera di convocazione per John Smith fu inviata il lunedì mattina – fu la prima cosa a cui provvide Mr Abbott appena arrivato in Brummel Street – e adesso che era mercoledì mattina Mr Abbott stava aspettando John Smith. Sul suo tavolo c’era la solita scatola di sigari e due scatole di sigarette – tabacco turco e virginia – così che qualsiasi tipo di 5


uomo fosse stato John Smith, i suoi gusti avrebbero potuto essere soddisfatti con il minor ritardo o fastidio possibili. Mr Abbott quella mattina non si sentiva completamente in sé, era eccitato e la dattilografa lo aveva trovato distratto. Non si stava concentrando appieno sulla stesura di un contratto di ferro con Mr Quattrosoldi, che era un autore di bestseller e litigava sempre con tutti i suoi editori, ed era importante, di più, imperativo, che la mente di Mr Abbott fosse tutta concentrata su quella faccenda. “Credo che farà bene a tornare più tardi,” stava dicendo Mr Abbott. “Devo pensarci con attenzione.” In quel momento bussarono alla porta e il fattorino annunciò con voce rauca: “Miss Buncle desidera vederla, signore. La faccio entrare?”. “Buncle!” esclamò Mr Abbott. “Buncle… chi è Buncle?” “Dice di avere un appuntamento con lei alle dodici.” Mr Abbott guardò fisso il ragazzo mentre faceva ordine nei pensieri. Miss Buncle… John Smith… perché non aveva pensato che potesse essere una donna? “La faccia entrare,” disse brusco. La dattilografa raccolse le sue carte e se ne andò via con il rapido silenzio della sua tribù, e pochi minuti dopo Miss Buncle era in piedi davanti al grand’uomo. Tremava un po’, in parte di eccitazione e in parte di paura. “Ho ricevuto la sua lettera,” disse con voce sommessa, mostrandogliela. “Così lei è John Smith,” annunciò con un ironico sopracciglio sollevato. “È il primo nome che mi è venuto in mente.” “È un nome facile da farsi venire in mente,” osservò. “Avevo pensato che fosse troppo brutto per essere vero.” “Non mi importerebbe cambiarlo,” si affrettò a dire. 6


“Non voglio cambiarlo,” disse Mr Abbott. “Non c’è nulla di sbagliato in John Smith. Ma perché non Buncle? È un bel nome Buncle.” Lei si fece pallida. “Ma io vivo lì!” gridò con il fiato sospeso. Mr Abbott capì al volo quello che intendeva dire. (Che intuito, pensò Miss Buncle. Molti avrebbero chiesto “Dove vive?” o “Che cosa ha che fare con Buncle?”, invece quell’uomo aveva afferrato il problema in un attimo.) “In questo caso…” disse, sollevando un po’ le mani, con i palmi all’insù – entrambi sorrisero. Il contatto era stato definitivamente stabilito, Miss Buncle si sedette e rifiutò entrambi i tipi di tabacco (non le vennero offerti i sigari, ovviamente). Mr Abbott la guardava e continuava a interrogarsi. Come si era sentita a scrivere le Cronache? Era una storia vera o una satira? Era ancora dubbioso. Lei era con ogni evidenza una persona semplice, vestita in modo sciatto con una giacca e una gonna di flanella blu. Il suo cappello era orribile, il viso era pallido e piuttosto sottile, con un mento appuntito e un naso difficilmente classificabile, ma d’altro canto gli occhi erano belli – di un azzurro scuro con ciglia lunghe – e luccicavano un po’ quando sorrideva. Aveva anche una bella bocca e i denti – se erano veri – erano magnifici. Se avesse incontrato Miss Buncle per strada, Mr Abbott (un conoscitore piuttosto raffinato del fascino femminile) non si sarebbe girato a guardarla due volte. Una donna magra e trasandata sulla quarantina – questo avrebbe detto (eccedendo nell’indelicato argomento dell’età) e sarebbe passato oltre verso pascoli più verdi. Ma lì, nel suo ufficio, sapendo che aveva scritto un romanzo divertente, la guardò con occhi diversi. 7


“Bene,” disse, sorridendole amichevolmente, “ho letto il suo romanzo e mi è piaciuto.” Lei unì i palmi delle mani e i suoi occhi brillarono. Questo lo indusse ad aggiungere – andando piuttosto contro i suoi principi – “Mi è piaciuto davvero molto”. “Oh!” esclamò lei estasiata. “Oh!” “Mi dica tutto di questo libro,” disse Mr Abbott. Quell’incontro stava proseguendo secondo linee molto diverse da quelle che aveva immaginato, previsto e deciso; in modo molto diverso, in realtà, da qualsiasi altro incontro tra autore ed editore al quale Mr Abbott avesse mai preso parte. “Tutto di questo libro!” gli fece eco Miss Buncle senza controllarsi. “Perché l’ha scritto? Come si è sentita mentre lo scriveva? Aveva mai scritto altro prima?” spiegò lui. “Volevo i soldi,” disse Miss Buncle semplicemente. Mr Abbott ridacchiò. Era una nuova tipologia di autore. Certo, tutti volevano i soldi, nessuno escluso. Il vecchio detto per cui soltanto un asino scrive per qualsiasi cosa tranne che per i soldi era ancora vero come in passato e come lo sarebbe sempre stato in futuro, ma erano pochissimi gli autori disposti ad ammetterlo con quella semplicità! Ti raccontavano che qualcosa di più forte di loro li costringeva a scrivere o che sentivano di avere un messaggio da trasmettere al mondo. “Oh! Dico sul serio,” fece Miss Buncle, obiettando alla risatina di Mr Abbott. “Vede, i miei dividendi sono molto miseri quest’anno. Certo, avrei dovuto saperlo che sarebbero diventati così, lo dicevano le carte, ma in qualche modo non l’ho capito. I dividendi erano sempre arrivati regolarmente e pensavo… beh, non ci ho mai pensato,” disse Miss Buncle con sincerità, “così quando non sono più arrivati – o 8


almeno quando è arrivata solo metà della solita cifra – è stato un duro colpo per me.” “Certo,” fece Mr Abbott. Poteva vederla Miss Buncle, seduta in mezzo a un mondo in rovina, che aspetta con piena fiducia l’arrivo dei dividendi, e quando questi non arrivano, Miss Buncle si preoccupa e si rende finalmente conto che il suo mondo sta crollando insieme al mondo esterno. Riusciva a immaginarla mentre passava le notti in bianco con una specie di fredda sensazione nel cuore, chiedendosi quale fosse la cosa migliore da fare. “Quindi ha pensato di scrivere un libro,” concluse Mr Abbott comprensivo. “Beh, non come prima cosa,” rispose l’autrice. “Lì per lì ho pensato a molte altre cose – allevare galline per esempio. Ma non mi interessano molto le galline. Non mi piace toccarle, sono così svolazzanti, non trova? E neanche a Dorcas piacciono. Dorcas è la mia governante.” “Susan?” domandò Mr Abbott con un sorriso e un movimento delle mani in direzione del manoscritto di Cronache di un villaggio inglese, che giaceva sul tavolo, in mezzo a loro. Miss Buncle arrossì, senza confermare né negare che Dorcas fosse Susan (o Susan Dorcas). Mr Abbott non insistette. “Beh, quindi le galline sono state definitivamente escluse,” riprese lui. “Sì. Allora ho pensato di prendere degli inquilini a pagamento, ma c’è già una pensione a Rivargenton.” “Non poteva togliere il pane dalla bocca di Mrs Hood.” “Mrs Robin,” lo corresse subito Miss Buncle. “Davvero ingegnoso,” commentò Mr Abbott, “e di certo Susan – voglio dire Dorcas – non avrebbe gradito neanche gli inquilini.” 9


“L’idea non le piaceva affatto,” assicurò Miss Buncle. “Quindi ha pensato a un libro.” “È stata Dorcas in realtà,” disse Miss Buncle, dando a Cesare quel che è di Cesare. Mr Abbott sentì che la stava scuotendo. Perché non gli parlava del libro come un essere umano normale invece di farsi tirare fuori le cose con le pinze? Quasi tutti gli autori sono fin troppo pronti a discorrere del concepimento dei loro libri – fin troppo pronti. Guardò Miss Buncle, con la sensazione di volerla scuotere, e di colpo si trovò a chiedersi quale fosse il suo nome. Lei era certamente Elizabeth nel libro – Elizabeth Wade – ma qual era il suo vero nome… Jane? Margaret? Ann? “E a Dorcas è piaciuto il libro?” domandò Mr Abbott. “Non l’ha ancora letto,” rispose Miss Buncle. “Non ha tanto tempo per la lettura e a me non andava molto che lei lo leggesse. Vede, non penso che le piacerà, a lei piacciono cose più emozionanti. Il mio libro non è emozionante, vero? Almeno, non la prima parte. È che la vita a Rivargenton è piuttosto noiosa e io riesco a scrivere solo di quello che conosco. O meglio…” aggiunse, stropicciandosi le mani nello sforzo di spiegare i propri limiti esattamente come un autore e restando del tutto sincera, “o meglio, riesco a scrivere solo delle persone che conosco. Posso far sì che facciano delle cose, questo sì.” In qualche modo Mr Abbott fu sicuro che si stesse riferendo alle scene d’amore appassionate al chiarore della luna di settembre. Era ormai pressoché convinto che Cronache di un villaggio inglese fosse una storia vera – nessuna satira intenzionale – tutto sommato non importava, ovviamente, perché la maggior parte delle persone l’avrebbe pensata diversamente, ma lui voleva esserne sicuro. 10


“Come si è sentita quando l’ha scritto?” le chiese all’improvviso. “Beh,” rispose dopo averci pensato un attimo, “l’inizio è stato difficile, ma poi è andato avanti da solo come una palla di neve che rotola giù da una collina. Ho cominciato a guardare le persone con occhi diversi, e mi sono apparse tutte più interessanti. Poi, dopo un po’, ho cominciato a esserne molto spaventata perché era tutto mescolato nella mia mente – Rivargenton e Campoferrum – e alcuni giorni non sapevo più in quale dei due mi trovassi. E quando scendevo al villaggio per fare le mie spese a volte era Campoferrum e a volte Rivargenton, e quando ho incontrato il colonnello Capovent non riuscivo a ricordarmi se avesse davvero chiesto la mano di Dorothea Ardiment oppure no – e ho pensato che sarei impazzita o qualcosa del genere.” Mr Abbott aveva già ascoltato discorsi simili prima d’allora senza restarne troppo impressionato. Miss Buncle invece lo colpì perché non stava fingendo, stava semplicemente rispondendo alle sue domande al meglio delle proprie capacità e con estrema franchezza. “Campoferrum è davvero Rivargenton?” domandò Mr Abbott. “Sì… vede, io non ho alcuna immaginazione,” disse Miss Buncle con tristezza. “Ma la seconda parte… quella di certo non è completamente vera, giusto?” ansimò Mr Abbott. Miss Buncle ammise che non lo era. “È stata un’idea che mi è venuta tutt’a un tratto,” disse con modestia. “Sembrano tutti così immutabili e compiaciuti, ho pensato che sarebbe stato divertente farli svegliare un po’.” “Deve essere stato divertente,” annuì lui. Di qui in poi continuarono parlando del titolo e Mr Ab11


bott spiegò le proprie idee in proposito. Il titolo era un po’ noioso, non un buon titolo per vendere. Suggerì Disturbatore della quiete pubblica. Miss Buncle era fin troppo pronta a inchinarsi alla sua conoscenza superiore su quelle cose. “E ora il contratto,” disse Mr Abbott allegramente. Suonò il campanello, il contratto arrivò e con esso anche Mr Aromy e due impiegati per fare da testimoni alla firma. Mr Abbott avrebbe potuto truffare Miss Buncle con grande facilità se solo avesse voluto; fortunatamente per lei, non voleva, non era da lui. Con la gallina dalle uova d’oro si fa amicizia, le si riserva un buon trattamento e solo così lei continuerà a fare uova d’oro. A suo modo di vedere, Disturbatore della quiete pubblica era un uovo d’oro ma sapere se Miss Gallina Buncle ne avrebbe fatte altre andava oltre le normali facoltà umane. Aveva detto di se stessa che riusciva a scrivere solo di quello che conosceva – o meglio (e non era forse un’importante distinzione?) delle persone che conosceva. Era un’ammissione mai fatta da nessun altro autore che Mr Abbott avesse mai conosciuto – un’ammissione sconcertante. Ma nella peggiore delle ipotesi non c’era motivo di credere che Miss Buncle avesse esaurito l’intera essenza di Campoferrum in un solo libro. Mr Abbott voleva altri libri da Miss Buncle, libri su Campoferrum o su qualsiasi altro posto che desse ai libri quello stesso sapore. Stando così le cose, a Miss Buncle fu chiesto di firmare un contratto molto onesto con la Abbott & Aromy Ltd, in cui prometteva all’editore la prima opzione sui tre romanzi successivi. “Ma potrei non scrivere nient’altro,” obiettò lei, atterrita dalla montagna di lavoro che le era spuntata di colpo lungo il cammino. Mr Aromy accolse un po’ allarmato quell’ammissione di sterilità, ma Mr Abbott era tutto sorrisi. 12


“Ma potrebbe anche farlo,” la confortò. “Scriva il suo nome qui… in un modo o nell’altro sono sicuro che lo farà.” Così scrisse il suo nome – Barbara Buncle – a chiare lettere, proprio come le era stato detto, con la paffuta penna stilografica di Mr Abbott, e gli altri inforcarono gli occhiali – almeno Mr Abbott e Mr Aromy, gli impiegati erano troppo giovani per aver bisogno di un aiuto artificiale – e firmarono anche loro, come veri uomini d’affari, e subito dopo Barbara Buncle si ritrovò per strada, un po’ inebetita e con una gran fame, perché l’orario abituale del pranzo era passato da un pezzo e aveva fatto colazione molto presto. Brummel Street era rumorosa e affollata, Miss Buncle venne spintonata dagli strilloni che vendevano le edizioni della sera di svariati giornali e dagli uomini d’affari che correvano verso appuntamenti ignoti ma evidentemente importanti. Nessuno fece caso a Miss Buncle, se non per dire “Scusi,” o “Mi perdoni,” quando la urtarono spingendola quasi in strada. Vide un rifugio nella porta aperta di un piccolo ristorante, occupò un tavolo e ordinò caffè, ciambelle e bignè al cioccolato, perché aveva un palato per nulla sofisticato e una buona digestione. Poi, posando la borsa con dentro la copia del contratto sul tavolo, accanto al piatto, si fermò a riflettere su se stessa e sulla strana sequenza di eventi che l’avevano condotta fin lì. “Sono un autrice,” disse tra sé e sé. “Che cosa strana!” *** Il colonnello Capovent era sul treno per Rivargenton – era stato in città per far visita al suo sarto – e fece cenno a Miss Buncle con il giornale non appena la vide apparire al binario. 13


“Venga, venga,” disse, abbastanza inutilmente visto che Miss Buncle si stava già avvicinando e il treno non dava segni di voler partire. “Non sapevo che fosse in città,” disse Miss Buncle mentre il colonnello le prese l’ombrello e lo sistemò sull’attaccapanni. “E io non sapevo che ci fosse lei,” replicò lui. “Ha trascorso una magnifica giornata, spero.” Il colonnello Capovent aveva un galante e vagamente scherzoso modo di fare con il gentil sesso, che veniva fuori molto bene in Disturbatore della quiete pubblica. Malgrado ciò, era un uomo davvero molto simpatico, pensò Miss Buncle. Non era stata troppo scortese con lui, lo aveva semplicemente dipinto per quello che era – e dopotutto gli aveva dato una gran bella moglie, Dorothea Ardiment era un tesoro. Miss Buncle disse che aveva trascorso una magnifica giornata. “Cappelli o dentista?” domandò il colonnello nominando le due ragioni che abitualmente spingevano gli abitanti di Rivargenton a recarsi in città. Miss Buncle disse nessuno dei due, e arrossì. Si sentiva un po’ in colpa per il suo enorme segreto. “Ah-ah… Vedo che non mi è concesso indagare oltre,” disse il colonnello maliziosamente. “Alcuni tizi hanno tutte le fortune – per Giove se non le hanno!” Miss Buncle abbassò lo sguardo e sorrise, non le avrebbe estorto nulla. Se al colonnello Capovent piaceva pensare che era andata a Londra per incontrare un uomo doveva solo continuare a pensarlo. E in effetti è quello che è successo, pensò Miss Buncle, ma non nel modo in cui crede lui – o finge di credere, perché di sicuro non pensa che sono venuta per incontrare un uomo, ma che voglio farglielo pensare. 14


Era una cosa po’ confusa messa così, ma Miss Buncle si era capita, e questo era l’importante. Il treno partì senza che nessun altro invadesse la loro solitudine. “Preferisce che il finestrino sia su o giù?” domandò il colonnello Capovent con sollecitudine. “Questo su e l’altro giù? Com’è piacevole un po’ d’aria fresca. Non capisco come si possa vivere a Londra e continuare a respirare.” Miss Buncle annuì, aggiungendo che a lei infastidiva di più il rumore. “Terribile!” disse il colonnello. “Terribile!” Una parte di lei sperava che a quel punto il colonnello Capovent si sarebbe sistemato comodamente per immergersi nell’attenta lettura dei suoi giornali e l’avrebbe lasciata in pace, ma un’altra parte sperava che avrebbe continuato a parlare. Era del materiale eccellente e, anche se Disturbatore della quiete pubblica (che titolo eccellente aveva suggerito quell’abile e simpatico Mr Abbott) era fatto e finito, aveva ormai preso l’abitudine di osservare le persone e ascoltarle. Era diventata la sua seconda natura. Il colonnello Capovent non continuò a produrre materiale per Miss Buncle, prese un giornale e lo esaminò, ma senza trovarci nulla che lo interessasse. La visita al sarto lo aveva messo di cattivo umore e stava ancora soffrendo per l’apertura delle fettucce. Cinque centimetri in più di girovita da gennaio – che cosa orribile! Scavare per un’ora nel giardino prima di pranzo avrebbe potuto aiutare, e forse anche dieci minuti extra di ginnastica da camera prima di fare colazione. Anche Miss Buncle era immersa in pensieri segreti, ma i suoi erano piacevoli. Le case sfilarono via e a esse subentrarono gradualmente pascoli e frutteti.

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Estratto da D.E. Stevenson, Il libro di Miss Buncle Titolo dell’opera originale Miss Buncle’s Book Traduzione dall’inglese di Ester Borgese © The Estate of DE Stevenson Pubblicato in accordo con Persephone Books Ltd. Pubblicato per la prima volta nel 1934 da Herbert Jenkins Ltd. © 2011 astoria srl via Aristide De Togni 7 – 20123 Milano Prima edizione: aprile 2011 ISBN 978-88-96919-08-8 Progetto grafico: zevilhéritier

www.astoriaedizioni.it


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