La vita matrimoniale di Miss Buncle

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1 Mr e Mrs Abbott

“Dovremmo trasferirci,” disse Mr Abbott distrattamente. Le mani di Mrs Abbott si fermarono a mezz’aria interrompendo il tragitto verso il manico della caffettiera. Gli occhi grigi si spalancarono, la bocca si aprì (mostrando una dentatura di eccelso fulgore) e rimase aperta, senza che ne uscisse alcun suono. L’accogliente sala da pranzo era molto silenziosa, il fuoco scoppiettava nel camino, il pallido sole invernale entrava dalla finestra per posarsi sul tappeto turco di lana rossa e blu, sui mobili di quercia intagliata e sulle figure inerti di Mr e Mrs Abbott che sedevano al tavolo della colazione. Su di esso l’argento brillava e la porcellana splendeva, il che era normale quando veniva pulita e lucidata da mani premurose. Era domenica mattina, com’era facile intuire dall’ora tarda e dal silenzio innaturale che regnava fuori, oltre che dentro, la piccola ma comoda casa degli Abbott. “Ho detto che dovremmo trasferirci,” ripeté Mr Abbott. “Sì… mi era sembrato che l’avessi detto,” disse Mrs Abbott incredula. Mr Abbott abbassò il giornale e guardò la moglie da sopra gli occhiali. Era il giornale della domenica, naturalmente, e Mr Abbott stava leggendo gli annunci editoriali. Anche lui era un editore, per cui gli interessavano molto le inserzioni pubblicitarie, dalle quali però non si lasciava ingannare. La notizia che la Faction & Whiting stesse per pubblicare il Più Grande Romanzo del Seco1


lo, zeppo di Avventura, sfavillante d’Ingegno e traboccante di Humour, gli procurava niente più di un vago stupore al pensiero di quanti soldi avesse dovuto ricevere l’agente pubblicitario. Mr Abbott mise via il giornale senza rimpianti e guardò sua moglie e, guardandola, le sorrise, perché era bello guardarla, perché lui l’amava e perché lei lo divertiva e lo intrigava moltissimo. Erano sposati da nove mesi e, se a volte era convinto di sapere tutto di lei, altre volte invece gli sembrava di non sapere proprio nulla… il loro era un matrimonio molto appagante. “Sì, ho detto ‘trasferirci’,” ripeté (con quella che Barbara Abbott chiamava segretamente “la voce sorridente di Arthur”). “Perché non ci trasferiamo, Barbara? Risolverebbe tutti i nostri problemi in un colpo solo. Potremmo trovare una bella casa, lontano dalla città, con un bel giardino, gli alberi e tutto il resto…” aggiunse Mr Abbott, facendo un vago gesto con la mano, quasi a voler far comparire la casa sotto gli occhi di Barbara, e la cosa strana fu che ci riuscì. Barbara visualizzò subito una bella casa con un bel giardino, lontano dalla città. Le apparve tutto davanti agli occhi come una visione: prati e alberi e aiuole fiorite piene di rose, con una bella casa in mezzo; il tutto inondato di sole. “Sì,” disse lei trepidante, “sì, perché no? Se non t’importa di lasciare Sunnydene… non c’è motivo, intendo…” “Esatto,” concordò il marito, “vedo che capisci. Non c’è proprio alcun motivo, e poi risolverebbe tutti i nostri problemi.” Si guardarono, ridacchiando un po’ imbarazzati: i loro problemi erano talmente assurdi. Si erano mai viste due persone, all’apparenza sane di mente, infilarsi in un pasticcio tanto stupido e ridicolo? La mente umana è un congegno meraviglioso. Mentre ridacchiava imbarazzato con sua moglie, Mr Abbott tornò indietro nel tempo e rivide in un lampo i fatti delle ventiquattr’ore precedenti. Si servì altra marmellata e pensò: che strano, se solo non avessi bevuto il porto di Mrs Cluloe (e chissà perché l’ho bevuto, sapevo bene che era pessimo – non c’è da fidarsi del porto in casa di una donna – lo sapevo, ma come uno stupido l’ho bevuto lo stesso), 2


se non avessi bevuto il porto di Mrs Cluloe, ieri non avrei avuto quel terribile mal di testa, e se ieri non avessi avuto quel terribile mal di testa, oggi non me ne starei qui a suggerire a Barbara di trasferirci. È davvero strano! “A che cosa stai pensando, Arthur?” domandò Mrs Abbott. “A ieri,” rispose conciso il marito. La mattina precedente, Mr Abbott si era svegliato con un mal di testa spaventoso. Si era alzato tardi, aveva trangugiato velocemente la colazione e si era precipitato al treno delle 8:57 che portava in città. Era imperativo che prendesse il treno delle 8:57, perché aveva un appuntamento importante con Mr Shillingsworth. Sarebbero stati guai se non si fosse già trovato in ufficio al suo arrivo, pronto ad aspettarlo, tutto sorrisi e cordialità. Era davvero seccante, perché era sabato e Mr Abbott di solito si prendeva il sabato libero per giocare a golf con John Hutson, che abitava accanto a loro e aveva esattamente il suo stesso handicap. Mr Abbott aveva dovuto scusarsi con John Hutson la sera prima e correre in città, con un brutto mal di testa, agli ordini di Mr Shillingsworth. Mr Shillingsworth era uno scrittore di romanzi piuttosto famoso e Mr Abbott era il suo editore. Mr Shillingsworth aveva causato alla Abbott & Spicer più grane e seccature di tutti gli altri autori messi insieme, ma in casa editrice se l’erano tenuto stretto, rabbonendolo e adulandolo, perché i suoi libri vendevano. (Personalmente Mr Abbott era dell’idea che i libri di Shillingsworth fossero spazzatura, ma non c’erano dubbi che vendessero.) Il suo ultimo romanzo era una robaccia spaventosa – lo pensavano tutti in ufficio –, ma avevano deciso di pubblicarlo ugualmente, perché se non l’avessero fatto loro, lo avrebbe pubblicato qualcun altro, e sarebbe stato questo qualcun altro a farci un mucchio di soldi e la Abbott & Spicer avrebbe perso Shillingsworth per sempre. Mr Abbott pensò a tutto questo mentre era sul treno e s’irritò profondamente – non sopportava di dover pubblicare robaccia –, così tra la corsa, il mal di testa, una mattinata di golf persa e l’irritazione per i libri spazzatura di Shillingsworth, arrivò in ufficio in condizioni per nulla invidiabili. 3


“Che diavolo ha il capo?” disse la sua segretaria personale, precipitandosi come un razzo fuori dalla stanza di Mr Abbott. “Non l’ho mai visto così ‘su di giri’. Mi ha sbattuto le lettere in faccia dicendomi di tornare sui banchi di scuola, solo perché ho sbagliato e ho scritto ‘omesso’ con due ‘m’.” “È il matrimonio, ecco cos’è,” commentò il capo ufficio, che era scapolo. “È il matrimonio. Ricorda quello che ti dico: lui non sarà più lo stesso.” Mr Abbott fu uno zuccherino con Mr Shillingsworth (quando questi arrivò all’appuntamento con cinquanta minuti di ritardo). Gli costò molta fatica essere uno zuccherino, e per questo gli rimase un debito di malumore da sfogare sul visitatore successivo. La testa gli faceva più male di prima e cominciava ad avvertire un senso di nausea. Così, quando Mr Spicer, il suo socio più giovane, si presentò per fare quattro chiacchiere e si sedette sulla scrivania, fumando la sua pipa puzzolente e dondolando una gamba con nonchalance, Mr Abbott non gli riservò il solito cordiale benvenuto. Mr Spicer era ignaro dell’aria di tempesta. Ciarlò amabilmente del più e del meno e poi, all’improvviso, dal nulla, diede una gomitata a Mr Abbott e gli domandò sornione: “Che mi dici del prossimo John Smith… eh? C’è un nuovo John Smith in arrivo?”. “No,” rispose laconico Mr Abbott. “Oh, ma è una catastrofe. Non va per niente bene,” si lamentò Mr Spicer, “devi dare una mossa a tua moglie. Non puoi permetterle di mollare così. Facciamo un altro bestseller come Disturbatore della quiete pubblica, andava via come focaccine, lo sai anche tu, e La penna è più forte… è andato benissimo. Ho ordinato la sesta edizione proprio oggi. Dobbiamo avere un altro libro di John Smith, è il momento giusto, dille di mettersi al lavoro su qualcosa dello stesso genere.” “No,” ripeté Mr Abbott. Mr Spicer corse incontro al suo destino e disse sorridente: “Ti dico io cosa fare: comprale una penna nuova, una di quelle 4


belle paffute, e una grossa risma di carta bianca, e vedi che cosa succede. Se questo non funziona…”. “Pensa ai fatti tuoi,” disse Mr Abbott bruscamente, “e lascia stare mia moglie. Non ci saranno altri John Smith. Mia moglie non scriverà mai più… perché dovrebbe?” “Ma santo cielo!” strillò Mr Spicer, sorpreso e costernato. “John Smith è un bestseller. Non dirmi che le impedirai di scrivere. Pensa che peccato,” continuò Spicer, torcendosi le mani, “pensa che peccato. Abbiamo fatto due libri, in assoluto i più divertenti che abbia mai letto – vera satira –, e tu mi vieni a dire che non ce ne saranno più? Lei deve continuare a scrivere, ha il suo pubblico. È un genio, e tu l’hai sposata e l’hai sbattuta in cucina a far da mangiare.” L’ultima frase era scherzosa, ovviamente, ma Mr Abbott non era dell’umore adatto. Colpì rabbiosamente il tavolo con un pugno. “Non cucina proprio niente, brutto idiota!” urlò. “Non fa altro che spassarsela, pranzi, cene, bridge…” “Oh, mio Dio!” disse Mr Spicer con tono rispettoso. Scese giù dalla scrivania e se ne andò. Mr Abbott si tamponò la fronte – è spaventoso, pensò, è proprio spaventoso. Non mi sono mai sentito così, mai. Che diavolo mi succede? È colpa di tutte quelle cene, di tutte quelle serate. Sono troppo vecchio per una vita tanto mondana. (Sentirsi troppo vecchio a quarantatré anni era un pensiero triste, un pensiero davvero terribile. E non lo fece stare affatto meglio.)

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Estratto da D.E. Stevenson, La vita matrimoniale di Miss Buncle Titolo dell’opera originale Miss Buncle Married Traduzione dall’inglese di Ester Borgese © The Estate of DE Stevenson Pubblicato in accordo con Persephone Books Ltd. Pubblicato per la prima volta nel 1936 da Herbert Jenkins Ltd. © 2012 astoria srl via Aristide De Togni 7 – 20123 Milano Prima edizione: giugno 2012 ISBN 978-88-96919-35-4 Progetto grafico: zevilhéritier

www.astoriaedizioni.it


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