ATB MAG – PERIODICO DI ARTE E CULTURA – ANNO 2018 – NUMERO 1 –GENNAIO / MARZO
TORNIAMO ALL’ A-B-C Un nuovo anno si è appena aperto. ignoranti che, senza l’ausilio del E’ questo il momento per impegnarcritico illuminato, poco sanno e si in nuovi progetti, scoprire nuovi ancor meno conoscono i loro gusti mondi, gettare le basi per i lavori estetici. Ecco, quest’anno intendiache ci accompagneranno in questo mo iniziare così, in piena polemi2018. Per consuetudine, quando fica. Anche perché ci sembra il monisce un anno mi “ritiro nella fortezmento di finirla con le prese in giza della solitudine” - quella mentale ro. Gli artisti non sono mentecatti TRADIZIONE intendo – e mi prendo un momento e neanche alcuni sedicenti lo sono. per tirare le somme sull’anno appeGli estimatori dell’arte contempoE na trascorso: le conquiste, le sconfitranea non sono babbei. Semmai i FUTURO te, le delusioni, le gioie. Allo stesso critici improvvisati e i curatori tempo chiarisco bene cosa intendo della domenica lo sono. Quelli che raggiungere nell’anno che si prepara a nascere. che confondono l’arte moderna con quella Lo voglio fare anche qui! Chiamiamola una vecontemporanea, quelli che interpretano a rifica dell’anno passato di Atb Mag In. Il 2017 modo loro e del tutto arbitrariamente le opere ha portato con sé collaborazioni internazionali riconducendole a questo o quello stile lo sono. e con istituzioni pubbliche, indagini importanti Ecco quello di cui ci occuperemo quest’anno; sul valore dell’arte, sugli artisti e il loro ruolo del “qualunquismo” dell’approssimazione del nella società odierna, sul phatos , sul valore edilettantismo che spesso spadroneggiano mozionale e cognitivo dell’arte. Non ci siamo nell’arte italiana! Vorremmo vedere risparmiati neanche sulle polemiche nei contramontare l’era in cui pseudo dotti si fronti della cultur a italiana, degli artisti e di vendono per un tozzo di pane (o più spesso tutti coloro che, a vario titolo, come curatori o per un pranzo di sei portate con caffè e pousacritici o semplici appassionati, sono parte del caffè) magnificando croste inguardabili e variegato mondo dell’arte. Cosa ci porterà l’anvorremo invece scorgere all’orizzonte l’era in no nuovo? Come sempre, saremo attenti alle cui gli artisti tornano a fare quello per cui più recenti tendenze dell’arte contemporanea, sono nati, comunicare il loro mondo interiore, racconteremo storie personali, le nostre pagine esprimere loro stessi! Siamo ancora lontani da daranno voce agli artisti, quelli veri ... non gli quell’era, purtroppo! Oggi sempre più artisti imbrattatele pieni di loro stessi dediti più al deproducono per vendere, seguono le mode più naro che allo spirito. Saremo aperti a tutti quevantaggiose, sono “Politically correct” o gli artisti che non sempre riescono a farsi ascolforzatamente provocatori. Tutto per la fama, tare nonostante le loro grida, ma che sempre la gloria effimera anche di un giorno! Ma “Fu hanno qualcosa da dire! Già, perché gli artisti vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza”, noi veri hanno qualcosa da dire, non lordano tele possiamo solamente portare il nostro contriper puro e semplice guadagno o perché è più buto sincero nel totale rispetto degli artisti e comodo usare il pennello piuttosto che la cazdei fruitori dell’arte proponendo in queste zuola; hanno concetti da esprimere e lo fanno pagine coloro verso i quali “Chiniam la nel modo a loro più congeniale. Pensate: ho senfronte” dato che “il Massimo Fattor, volle in tito un critico d’arte (o sedicente tale) che afferloro più vasta orma stampar”. mava tronfio e cattedratico “il compito del critico d’arte è interpretare per il pubblico il lavoro dell’artista che non sempre sa cosa vuol dire ...” Praticamente è come dire che l’artista è un mentecatto che crea capolavori a sua insaputa e Alessandro Allocco il pubblico che li guarda è composto da babbei
N. 1 Gennaio 2018 Fondatore/coordinamento editoriale Alessandro Allocco alessandro.aitmart@gmail.com Editore Atb Associazione Culturale sede legale: Corso Verona, 21 10152 Torino Cod.Fisc/P. IVA: 97794780011 email: email: atbartgallery@gmail.com Apporti giornalistici Melania Barberis Ignazio Coppola Laura Perrone Stefania Scutera
ATB Mag In coordinamento editoriale Alessandro Allocco alessandro.aitmart@gmail.com Editore Atb Associazione Culturale sede legale: Corso Verona, 21 10152 Torino Cod.Fisc/P. IVA: 97794780011 email: email: atbartgallery@gmail.com Apporti giornalistici Dublin / Ireland Daniel Crowder Firenze
con il contributo di
Arts>Life
Ringraziamenti/Contributi Emanuele Paschetto Daniela Siccardi
Magna Grecia
con il contributo di
Laura Perrone
Copertina Andrey Remnev
Ortigia Con il contributo di Emanuela Volcan
Progetto grafico Paola Di Giorgio
Paris / France Contribution Elsa Da Messina
Pubblicità A cura dell'Editore Piattaforma issuu.com
Ringraziamenti Giacomo Trimarchi di Villa Marchese
Contatti atbartgallery@gmail.com Facebook https./www.facebook.com/ ALL-THE-BEST-Associazione-Culturale Web www.atbassociazioneculturale.com Newsletter atbartgallery@gmai.com
Comunità Europea Regione Piemonte Città di Ivrea Città di Collegno Associazione Amici della scuola di Leumann
le illustrazioni delle pagine precedenti sono tavole originali di Andrey Rmnev
IN QUESTO NUMERO
Libri Se ben che siamo donne
7
un libro di Melania Barberis
Pensieri
13 La non violenza in Auschwitz con il contributo di Emanuele Paschetto
15
Artisti
Vita d’Artista e luoghi comuni di Stefania Scutera
Personaggi
19
Fu vera gloria? Gramsci nutrirebbe molti dubbi grazie ad un contributo di
Società
21
Ignazio Coppola
da “un’idea “ di Melania Barberis
Insegnare è un’arte: elucubrazioni in libertà al netto di ogni buon senso
Riflessioni
25
Una parola d’aiuto – tra gli archivi e la poesia intervista a Daniela Siccardi
29
France
L’art français, je ne l’ai jamais vu Contribution de Elsa Da Messina
33
Ortigia Noto – Quadrilatero contemporaneo
con la collaborazione di Giacomo Trimarchi di Villa Marchese contributo per Notabilis di Emanuela Volcan
37 Ireland
Julie French: The unpredictable nature of stitch Contributions of Daniel Crowder
41
Magna Grecia IL CRAC DI TARANTO contributo di
INACCESSIBILE CATTEDRALE
Mariangela de Giorgi
di redazione
47
Firenze
L’onda del cambiamento –
Da Manager a Pittore -
51
intervista a MARIA DEBORAH DE LUCIA
ritratto di
Giuseppe Bellia
news-progetti-Associazione
Immagine originale di Melania Barberis
Giornata fredda oggi anche in presenza di un debole sole. Il treno è stranamente in ritardo di soli cinque minuti. Giunto a destinazione cerco in stazione un volto amico e, da dietro una piglia di giornali dell’edicola, scorgo una manina attaccata al corpo di Melania che mi saluta! “Come sei elegante oggi!” - “E certo, un’amica ieri mi ha detto che mi trovava un po’ sciupata… gliela faccio vedere io!” Davanti ad un caffè, inizio ad incalzare con le domande un po’ a braccio, giusto per conoscerla e capire dove vuole andare a parare con il libro di imminente uscita “ Se ben che siamo donne – tra passato e futuro” per AtbEdizioni. Come mai questo interesse per le streghe? Innanzitutto parliamo di Masche che è il termine più corretto per identificare quelle donne di un passato remoto tutto piemontese che, povere loro, sono state vittime di abusi di ogni genere. E, per rispondere alla domanda, credo di aver avuto un interesse nei confronti delle streghe o delle fate o di tutto quel mondo vagamente favoleggiante fin da piccolissima, quando mia nonna mi raccontava le favole delle sue terre. Crescendo e studiando arte poi, mi sono resa conto che il mondo della favola era ancora parte della mia cifra espressiva. Devo però confidarti che è stata l’Università ad indirizzarmi definitivamente verso le Masche.
Melania Barberis
Studia restauro del tessuto e storia dell’arte, tesi sul teatro piemontese, grazie al professore Massimo Scaglione, che le ha concesso di trattare un argomento “femminista”, sono il bagaglio ufficiale, corredato da infiniti attestati, i più disparati e su tutti i tipi di arte, in particolare grafica e fumetto. Una carriera poliedrica con esperienze più variegate hanno portato a questo lavoro.
In che senso? Nel senso che sono sempre stata, da che mi ricordi, una persona “ribelle”o meglio“controcorrente”. Fino almeno ai 28 anni per me non esisteva il grigio, tutto era o bianco o nero. Quando al Dams chiesi la tesi, mi resi conto che ai docenti poco importava quale fosse il mio interesse, io avrei dovuto sviluppare temi a loro cari. Tra questi non erano previste trattazioni su Artemisia Gentileschi o Properzia De’ Rossi o ancora Sofonisba Anguissola e quindi, nel modo tutto mio di andare controcorrente incamminandomi per la strada più tortuosa, chiesi al Professor Scaglione, docente di Storia del teatro piemontese la possibilità di dedicarmi ad una tesi “femminista” e lui me la concesse. Streghe
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Grazie a questo ebbi la possibilità di rielaborare, in chiave teatrale ovviamente, le favole della nonna e fare ricerche approfondite sulle donne e sulla loro condizione a partire dall’alto medioevo concentrandomi in special modo sugli abusi da queste subiti. Di qui il passo è breve fino alle Masche, ingiustamente accusate, torturate e uccise. Perché parli di tesi femminista? Sai che forse hai ragione? Non è stata una vera e propria tesi femminista, più una ricerca sulla condizione della donna in passato. Non ritengo che sia cambiato molto nella contemporaneità. Certo di acqua sotto i ponti ne è passata, ma certi condizionamenti sociali sono ormai diventati quasi retaggio. Fin dalla preistoria la donna si è trovata a dover lottare per emergere in un mondo dominato dal pensiero monolitico maschile e, nonostante i secoli, anche oggi penso che le donne abbiano serie difficoltà a trovare una loro precisa identità al di fuori dello stereotipo della madre, moglie, sposa, amante. La donna che raggiunge il successo o “ha le palle” oppure “la dà via come se piovesse”. Penso sia questa la realtà: imbrigliare ogni cosa in categorie specifiche. Nel caso della donna di potere l’identificazione con l’uomo o l’oggettivazione sessuale. E questo come si ricollega alla tua decisione di progettare la stesura di un libro? Ti dirò, fu già il Professor Scaglione ad incoraggiarmi. E più ancora San Giorgio e il Drago l’interesse suscitato dall’argomento. Mi laureai al termine di una sessione lunghissima e massacrante. Ero convinta che, essendo l’ultima, mi avrebbero fatto mezza domanda quasi alzandosi dalla sedia per tornare a casa. Con mia grande sorpresa non fu così! L’argomento piacque talmente tanto che mi fecero mille domande e mi lasciarono andare solo perché era ora di cena. Detto questo il prof. Scaglione mi indirizzò verso Giancarlo Ricatto della Famija Albeisa che in quel periodo stava scrivendo copioni teatrali, invitandomi a sottoporgli le 400 pagine del mio monumentale lavoro. Non se ne fece nulla poi per mancanza di fondi, ma l’idea di convertire le ricerche fatte per la tesi in un formato adatto alla divulgazione, da allora non mi abbandonò più. Puoi parlarmi un po’ del libro o è top secret? Per carità non c’è nulla di segreto. Ho riportato per iscritto ciò che fa parte del retaggio culturale delle nostre nonne, quella che viene definita l’antica saggezza popolare grazie alla quale, anche le favole hanno una morale o un monito. Atb Mag 9
Il libro presenta una struttura un po’ eccentrica, inconsueta, esattamente come la sua autrice. Tre sono le storie identificate con tre diverse grafie che possono essere lettere insieme come unico 7 racconto o separatamente come storie a se stanti. Il difficile è stato rendere i racconti coerenti e accattivanti amalgamandoli con il rigore accademico decisamente più sterile. Cosa ha regalato l’esperienza di diventare scrittrice oltre che restauratrice ed insegnante? Certamente molte domande e molti spunti di riflessione sulla società, sulla fede, sulla condizione servile dell’essere umano nei confronti delle entità economiche e finanziarie. Mi ha portato ad una evoluzione e mi ha fatto capire quanti stereotipi o sbagliati retaggi culturali abbia seguito pur senza rendermene conto. Una nuova te insomma Direi che scrivere questo questo libro mi ha slegato e, in qualche modo, mi ha reso anche un po’ più libera. Mi ha dato l’occasione di anestetizzare un poco la testa. ? Lo so che non capisci. Per me, il 2017 è stato decisamente destabilizzante, ma se penso al futuro non posso che avere una visione positiva. Questo perché dopo anni di lavoro su me stessa, anche grazie alla scrittura, sono riuscita ad affidarmi più al mio istinto che è l’unico in grado di evitare le manipolazioni: quelle spirituali e quelle intellettuali. La ragione spesso inganna, si lascia affascinare dall’oscurantismo, dal radicale, dall’ostracismo. L’istinto è maggiormente collegato alle ragioni più profonde Vanitas, Pieter Claesz Atb Mag 10
dell’essere umano, meno sensibili al fascino delle regole. Una delle mie letture preferite è Sibaldi, studioso di teologia, filosofia, filologia e storia delle religioni nonché autore di best sellers sullo sciamanesimo e sulle Sacre Scritture. Sono completamente d’accordo con il suo approccio culturale che porta a farsi domande rispondendo a queste con altre domande. Trovo che una simile prassi sia ottima per una crescita personale. Una curiosità Le donne sono da sempre un po’ streghe! Chi di voi non ricorda la bacchetta magica? Beh, la bacchetta è un’evoluzione del primo calendario inventato dalle donne collegando il proprio ciclo mestruale alle fasi lunari. Su un ramo privo di foglie le donne incidevano delle tacche con la funzione di controllare il proprio ciclo in relazione alle variazioni della luna. Il ramo era per loro un segno di potere e di indipendenza nonché una forma rozza e primitiva di contraccezione. La bacchetta magica si è da qui evoluta divenendo nella fantasia essa stessa, segno di potere. E questo lo troviamo sul libro? Mistero ...
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Aradia - Charles Godfrey Leland - il Vangelo delle Streghe (1899) . Aradia è presentata in tale testo come la figlia messianica della dea Diana, venuta sulla Terra per insegnare ai poveri e agli oppressi la stregoneria, come mezzo di resistenza sociale.
Opere delle pagine precedentiriprodotte dal blog “Il tempo ritorvato�
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Si ringrazia per il contributo il Pastore Emanuele Paschetto
La non violenza In
Auschwitz
Etty Hillesum nata nel 1914 in Olanda da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica muore ad Auschwitz nel novembre del 1943.
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Ieri, per un momento, ho pensato che non avrei potuto continuare a vivere, che avevo bisogno di aiuto. La vita e il dolore avevano perso il loro significato, avevo la sensazione di "sfasciarmi" sotto un peso enorme, ma anche questa volta ho combattuto una battaglia che poi all'improvviso mi ha permesso di andare avanti con maggiore forza. Ho provato a guardare in faccia il "dolore dell'umanità". Ho affrontato questo dolore, molti interrogativi hanno trovato risposta, la assurdità ha ceduto il posto ad un po' più di ordine e di coerenza: ora posso andare avanti di nuovo. E' stata un'altra breve ma violenta battaglia, ne sono uscita con un pezzetto di maturità in più. Mi sento come un piccolo campo di battaglia su cui si combattono i problemi o alcuni problemi del nostro tempo. L'unica cosa che si può fare è offrirsi umilmente come campo di battaglia. Quei problemi devono pur trovare ospitalità in qualche parte, in cui possono combattere e pla- carsi e noi dobbiamo aprire loro il nostro spazio interiore senza sfuggire. Il marciume che c'è negli altri c'è anche in noi, continuavo a predicare; non vedo nessun'altra soluzione, veramente non ne vedo nessuna altra che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappare via il nostro marciume. Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi. E' l'unica soluzione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove. Le minacce e il terrore crescono di giorno in giorno.
Dappertutto c'erano cartelli che ci vietavano le strade per la campagna: Ma sopra quell'unico pezzo di strada che ci rimane c'è pur sempre il cielo, tutto quanto. Non possono farci nulla, non possono veramente farci niente. Possono renderci la vita un po' spiacevole, possono privarci di qualche bene materiale e di un po' di libertà di movimento, ma siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori col nostro atteggiamento sbagliato: col nostro sentirci perseguitati, umiliati ed oppressi, col nostro odio e con la millanteria che maschera la paura. Certo che ogni tanto si può essere tristi e abbattuti per quello che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così. E tuttavia: siamo soprattutto noi stessi a derubarci da soli. Si deve anche avere la forza di soffrire da soli e di non pesare sugli altro con le proprie paure e con i propri fardelli. Lo dobbiamo ancora imparare e ci si dovrebbe reciprocamente educare a ciò, se possibile con la dolcezza e altrimenti con la severità. Esistono persone che all'ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d'argento e altre persone che sono ridotte a ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: me non mi prenderanno. Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessun se si è nelle tue braccia. Mio Dio è un periodo troppo duro per persone fragili come me. So che seguirà un periodo diverso, un periodo di umanesimo. Vorrei tanto poter trasmettere ai tempi futuri tutta l'umanità che conservo in me stessa, malgrado le mie esperienze quotidiane. L'unico modo che abbiamo di preparare questi tempi nuovi è di prepararli fin d'ora in noi stessi. Vorrei tanto vivere per aiutare a preparare questi tempi nuovi: verranno di certo, non sento forse che stanno crescendo in me, ogni giorno? La miseria che c'è qui è veramente terribile, eppure alla sera tardi quando il giorno si è inabissato dentro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato e allora dal mio cuore s'innalza sempre una voce: non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire in mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzettino di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere. E se sopravviveremo intatti a questo tempo, corpo e anima ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita. La vita è difficile ma non è grave: dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà da sé. Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso; se ogni uomo si sarà liberato dall'odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo; se avrà superato quest'odio e l'avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore, se non è chiedere troppo. E' l'unica soluzione possibile. E' quel pezzettino d'eternità che ci portiamo dentro. Sono una persona felice e lodo questa vita, nell'anno del Signore 1942, l'ennesimo anno di guerra. Le mie battaglie le combatto contro di me, contro i miei propri demoni: ma combattere in mezzo a migliaia di persone impaurite, contro fanatici furiosi e gelidi che vogliono la nostra fine, no, questo non è proprio il mio genere. Non ho paura, non so, mi sento così tranquilla. Mi sento in grado di sopportare il pezzo di storia che stiamo vivendo, senza soccombere. Mi sembra che si esageri nel temere per il nostro corpo. Lo spirito viene dimenticato, s'accartoccia e avvizzisce in qualche angolino. Viviamo in un modo sbagliato, senza dignità. Io non odio nessuno, non sono amareggiata: una volta che l'amore per tutti gli uomini comincia a svilupparsi in noi, diventa infinito...Quel che fa paura è il fatto che certi sistemi possono crescere al punto da superare gli uomini e da tenerli stretti in una morsa diabolica, gli autori come le vittime.
Vita da da Artista e
luoghi comuni comuni luoghi
di Stefania Scutera - Fiberqualcosa Extravaganza – crochet painting -2017- Paris – Joana Vasconcelos
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Gennaio, mese di bilanci, ci si rivolge all'anno appena passato e si tirano le somme. Dò uno sguardo anch'io e mi accorgo di quante esperienze nuove abbia fatto, di quante persone abbia incontrato, quanti discorsi e scambi di idee siano passati nella mia testa e nel mio cuore. Un anno intenso, ricco di emozioni e di sperimentazioni artistiche non prive di difficoltà ma immensamente gratificanti. Ripensando a tutto ciò, ho raccolto alcuni aneddoti relativi a situazioni in cui mi sono trovata e che mi hanno fatto riflettere su come ancora siano vivi e presenti tra noi alcuni luoghi comuni sull'arte e sulla vita degli artisti e che, passato un primo momento di incredulità mi hanno fatto pensare sì, ma anche sorridere. LA TELEFONATA Una gentile signorina mi chiama per una breve intervista a scopo statistico. Dopo le prime domande classiche, in che città vivo, quanti anni ho, titolo di studio... arriviamo alla fatidica domanda: “la sua professione?” Io: “ Artista” Silenzio per un attimo. Signorina: “Ah...ma io intendevo che lavoro fa?” Mi scappa già da ridere. Io: “ L'artista” S: “ Allora non lavora?” Io (ormai ho deciso di divertirmi): “in che senso non lavoro?” Percepisco il disagio della signorina che si sta rendendo conto di essersi infilata in un vespaio. S: “ No, ecco... nel senso che, cioè volevo dire allora dipinge?” Io: “ No, non dipingo, ho dipinto in passato, ma adesso no, e sa com'è, esistono anche altre forme d'arte oltre alla pittura!” S: “ ah giusto!”- silenzio. E' evidente che non sa più come uscirne. Decido di essere magnanima. Io: “guardi signorina, facciamo così, scriva che sono casalinga”. (Anche la casalinga NON lavora ma è molto più semplice da capire e da scrivere). S (risatina nervosa): “ ah allora va bene... grazie”. (Sicuramente avrà pensato perché non gliel’ho detto subito). Concludo la telefonata con la consapevolezza di aver sconvolto per un attimo le certezze di quella ragazza e di essere stata anche un po' perfida. Primo luogo comune: Fare l’artista NON è lavorare Nell'immaginario comune l'artista vive arrabattandosi tra arte e vita reale. Di solito è un essere solitario alle prese con i suoi demoni interiori che quando gli gira bene disegna qualcosa su una tela o scolpisce un blocco di marmo e crea un'opera d'arte, magari svegliandosi alle tre del mattino... ma d'altro canto non fa niente tutto il giorno, può anche permettersi di stare sveglio la notte! Nella realtà l'Artista invece lavora eccome. E studia. Le tecniche, la storia, segue altri Artisti, osserva il mondo, si informa. Come un'antenna capta le vibrazioni intorno a lui e poi (ecco la parte più difficile), cerca di tradurle e riprodurle in immagini, colori, suoni o in un'altra qualunque forma espressiva ritenga giusta a trasmettere il suo messaggio, incontrando spesso molte difficoltà a volte non facili da superare. E se tutto questo non è lavoro ditemi voi cos'è! Atb Mag 16
Secondo luogo comune: se sei un artista allora DIPINGI. Le altre forme d'arte? Non pervenute. Di solito Arte è = a Pittura. Se si prova a chiedere a un gruppo di persone di pensare ad un'opera d'arte, la maggioranza di sicuro penserà ad un quadro. Niente di male per carità, riporto solo un dato di fatto, probabile retaggio del passato con la classificazione in Arti Maggiori e Arti Minori, non so ipotizzo. Oggi però con i nuovi media e la disponibilità di materiali innovativi l'Arte si è ampliata in modo esponenziale e racchiude in sé nuove forme espressive che sarebbe opportuno prendersi la briga di conoscere.
AL VERNISSAGE Una sera al vernissage di una mostra collettiva, ci sono molte persone che parlano, si salutano, ridono, c'è una bella atmosfera. Noto un distinto signore che sta guardando con interesse una mia opera. Mi avvicino. Earth - repetition of an act of mourning - 193 x 173 cm – Barbara Wisnoski Io: “Buonasera, le piace?” Signore: “Mi piace molto, è particolare e interessante...” Poi si guarda intorno e mi chiede: “ Mi scusi ma sa se c'è l'artista che l'ha fatto? Mi piacerebbe conoscerlo”. Io: “Guardi, sono io l'artista”. Signore: “Oh ma pensa... non credevo, cioè non mi aspettavo... sa lei è così normale...cioè volevo dire...ben vestita insomma”. Dalla mia espressione deve aver capito la gaffe e cerca di rimediare – “No sa com'è, è che gli artisti di solito si vestono in modo strano, anche appariscente...”. Gli sorrido, glisso sulla questione abbigliamento non sapendo bene se ho ricevuto un complimento oppure no e dopo aver chiacchierato ancora un momento mi allontano pensando tra me e me che la prossima volta mi infilerò delle piume di struzzo in testa e mi vestirò in modo improbabile per essere riconosciuta come artista... Terzo luogo comune: gli artisti sono persone eccentriche che si vestono in modo strambo. Mai come in questo caso è più giusto il detto che “l'abito non fa il monaco”. Abbiamo tutti in mente un Salvador Dalì artista effettivamente eccentrico ma d'altro canto ci sono anche personaggi come Kandinskij o Casorati che sarebbero potuti tranquillamente passare inosservati se giudicati solo dal loro abbigliamento. Purtroppo è un luogo comune fomentato anche da tutti coloro che per rientrare nel cliché del bravo artista si atteggiano a “personaggio” con abbigliamento e comportamento stravagante pur di apparire. Ma noi sappiamo che l'Artista (quello con la A maiuscola) è ben altro. UN PO' DI SANA IGNORANZA (di colui cioè, che ignora) Ricevo una telefonata da un'associazione culturale che ha visto alcuni miei lavori.
Associazione: “Buongiorno, volevamo farle sapere che ci sono piaciuti molto i suoi lavori, sono molto particolari. Potrebbe spiegarci come sono fatti? E lei di cosa si occupa?” Io: “ Grazie per l'apprezzamento, sono pannelli fatti con corde intrecciate con la tecnica del Macramè che non prevede l'uso di strumenti ma solo l'aiuto delle dita e io sono un'artista che si occupa di Fiber Art”. Ass.: “ Mi scusi... Faib cosa... non ho capito” Io: “ non si scusi, non sono in molti a conoscere la Fiber Art”. Spiego brevemente per sommi capi che cos'è, l'uso da parte degli artisti di materiali tessili e delle infinite possibilità di impiego e che io nello specifico uso la tecnica del Macramè. Ass.: “ Ah! Ma allora lei dipinge anche?” Eccoci di nuovo al secondo luogo comune... sei un artista quindi dipingi... alzo gli occhi al cielo (e mi sorge il dubbio di non parlare italiano, ma forse non mi sono spiegata bene). Io: “ No, cioè sì, ho dipinto in passato ma adesso mi sto dedicando ad altro... alla Fiber art...” Ass.: “ Ah ecco... ma pensa di tornare a dipingere?” Io: “ Non so... non posso escluderlo ma per il momento mi sto dedicando ad altro, come ha potuto vedere”. A chiamata conclusa mi rimane il dubbio di essere passata per una mentecatta che molla la pittura per dedicarsi alla... faibqualcosa. (Valli a capire ‘sti artisti!). C'è poi chi ha confuso il Macramè con il Karkadè e questa cosa mi fa ridere ancora adesso. Nel caso mi stufassi di intrecciare corde saprei a cosa dedicarmi... alla preparazione di tisane a base di Karkadè tanto più o meno Macramè...Karkadè suonano simili dai! Ultima “chicca”: Per i miei lavori ho necessità di corde che devono avere determinate caratteristiche Il Canto della Terra – Macramè – 25x140 cm - 2017 – Stefania Scutera di spessore, tipo di filato, consistenza … insomma non sono così facili da reperire, soprattutto in Italia. Quindi mi sono affidata alla ricerca su internet, specialmente su siti stranieri. E ho avuto alcuni momenti di imbarazzo quando mi sono resa conto che nei motori di ricerca, scrivere “corda” significa quasi in automatico trovare siti degli amanti del “bondage”… Chi l’ha detto che l’Arte è noiosa e priva di sorprese? Mi sono permessa di prendere un po’ in giro non solo me stessa in quanto artista, ma anche l’Arte, perchè a volte fa bene non prendersi troppo sul serio, ma senza dimenticare la sua immensa importanza. Arte è un enorme forziere in cui sono racchiusi tesori di inestimabile valore, non solo economico ma soprattutto in termini di esperienze, cultura, storia… E’ in grado di superare le barriere del tempo e le differenze linguistiche perché parla un linguaggio universale condivisibile e fruibile da tutti, a patto che ci si avvicini abbastanza da aprire lo scrigno senza alcun timore.
Fu vera GLORIA?
Statisti del passato vs
ciarlatani del presente articolo realizzato grazie ad un contributo di Pop Off – Ignazio Coppola - immagine di Esseblog
“Radunata rivoluzionaria”, ecco come uno dei padri nobili e grande intellettuale della sinistra storica definì la “gloriosa” spedizione garibaldina simbolo del risorgimento italiano e del socialismo. L’onestà intellettuale di Antonio Gramsci, che certo nel secolo scorso non poteva essere tacciato di derive separatiste, antiunitarie o filo borboniche, al giorno d’oggi è pressoché estinta; in politica, nella cultura, nell’arte. Nonostante il suo retaggio, senza alcuna faziosità Gramsci bollava l’impresa dei Mille come una grande mistificazione storica, una “rivoluzione passiva” o meglio ancora una “rivoluzionerestaurazione” buona solo a cambiare tutto perché nulla cambi. Quando ho letto queste parole in un articolo a firma di Ignazio Coppola per “La voce di New York”, il raffronto con i nostri tempi è stato immediato. Cambiamo tutto perché nulla cambi! Mi pare che l’Italia sia maestra in questo assioma. Da secoli, qui non cambia nulla anche se formalmente tutto è cambiato: i politici vanno ancora a braccetto con i potentati economici proprio come al tempo di Cesare, il popolo si lamenta cinque giorni a settimana perché il sabato si riposa e la domenica va allo stadio, le donne dagli anni sessanta “gestiscono la loro f**a”, come recitavano gli slogan femministi, ma sono ancora discriminate, oggettivate, molestate, uccise. Recentemente una giovane studiosa e critica d’arte, Alessia Miglioli, mi ha fatto notare che, fino all’unificazione del 1861, non si dovrebbe parlare di arte italiana, ma di arte della penisola italica e mi rendo conto di essere d’accordo e che l’argomento andrebbe approfondito. Atb Mag 19
Due secoli fa le popolazioni italiche ebbero un ruolo del tutto marginale o meglio subalterno nel complesso quadro risorgimentale che portò all’unificazione. L’unità fu frutto di conquista più che di autodeterminazione visto che al popolo mancava una coscienza nazionale e certamente non fu un’unità culturale, men che meno artistica. Il popolo allora era estraneo al moto unitario come oggi è estraneo all’Europa (vista come entità economica giacché non è entità politica), il popolo allora non coglieva la bellezza e la modernità degli artisti, come oggi è confuso dall’arte contemporanea. Ma se oggi parliamo con un artista, presto o tardi salterà fuori la frase “la mia arte non è per la massa, direi che è un prodotto di nicchia” e allora perché lo stesso artista vuole essere universalmente riconosciuto e chiede in continuazione dati sulle vendite, le quantità e i coefficienti di prezzo? Non dovrebbe bastargli fare bene il suo lavoro ( che tanto è di nicchia, per pochi cultori scelti) e dedicarsi al suo piccolo, ma sincero pubblico? Molti gridano a squarciagola che un altro sistema dell’arte è possibile che tutto deve cambiare (per non cambiare nulla) che la cultura non si fa sui libri, che la scuola non funziona, che la gente non capisce e tutto deve cambiare (per non cambiare nulla). La realtà è che oggi, come ieri, nemmeno ci accorgiamo di quanto siamo ininfluenti, di quanto il popolo sia ininfluente (visto che pare che le classi dirigenti non facciano parte del popolo, ma rientrino in una categoria a parte), non realizziamo che la cultura è per pochi, il talento per pochissimi, la bellezza esclusiva. Quando saremo in grado di opporci a tutti coloro che intendono dirigerci, model- larci, piegarci ai loro inte- ressi, livellarci verso il bas- so? Una cosa mi pare particolarmente buffa: il fatto che tutti gli artisti più grandi vengono dal popolo e non vedono l’ora di differenziarsi, di staccarsene, di far parte di qualcosa di diverso. E allora chiedo: quand’anche si raggiunga il successo, la sicurezza economica, il potere, ma non si tenga in nessuna considerazione la società perché nulla si è fatto per migliorarla; si è raggiunta una vera gloria? Gramsci, intellettualmente onesto e di una autorevolezza oggi defunta, avrebbe dei forti dubbi!
da un’idea di Melania Barberis Arte, professionalità, competenza, questo quello di cui parleremo per tutto il 2018. Arriviamo da un anno il 2017 che, manco farlo apposta, di professionalità, competenza e impegno ne ha profuso in quantità. Si, facciamocene una ragione! L'impegno c'è stato quando si è voluto minare le basi della cultura italiana, la competenza è stata grande quando si è voluto minare l'amor proprio dei docenti ed infine la professionalità. Beh... su quella sono combattuta. Certo c'è stata professionalità da parte di giudici che pedissequamente hanno applicato norme di legge senza la ben che minima interpretazione quando hanno consentito a volenterosi benché poco preparati "insegnanti" di stabilirsi a scadenza sulle cattedre di sostegno delle scuole superiori. Meno professionali o etici, trovo, coloro che hanno accettato quelle cattedre senza averne le competenze. E’ evidente che questo discorso non è universalmente applicabile e per di più, il lavoro è lavoro e, anche se non si riesce a pagare le bollette alla fine del mese, mangiare si deve pur mangiare! Ed è proprio questo che mi turba nel profondo. Capire che siamo tutti diventati talmente pezzenti e con il cappello in mano a pietire qualunque tipo di aiuto pur di sbarcare il lunario.
Artists for education – Nicoletta Onida – Bompiani per la scuola
Dove è finito il Belpaese? Dove sono state confinate l'arte, la cultura, la passione per il proprio ruolo nella società? Veniamo ai fatti. L'anno 2016/2017 mi ha regalato l'esperienza di essere docente di sostegno per due ragazze splendide della scuola superiore. E' vero, la Laurea Magistrale al Dams non mi candida come la migliore nell'affiancamento a ragazzi con problemi, ma so come si insegna e mi sono impegnata in validi corsi di aggiornamento professionale. D'altra parte le cattedre di arte non sono più disponibili (una prece) e gli insegnanti con formazione specifica per il sostegno sono latitanti (alcuni fanno altro, i più sono già impiegati nella scuola) o inesistenti visto le vacanze legislative e formative in materia. Perfetto direte voi! Beh, più o meno. Stimolante certamente, difficile sicuramente. Il mondo in cui sono stata catapultata è fatto di assistenti sociali, affidatari, medici psichiatri e genitori, nonchè colleghi docenti diversamente di sostegno, cioè "di cattedra", alcuni dei quali non troppo consapevoli del ruolo e della professionalità ad esso connaturata dato il loro preconcetto che, gli allievi con difficoltà di apprendimento, devono essere intrattenuti più che aiutati e valutati correttamente. Per fortuna i docenti sono in maggioranza persone capaci che fanno un lavoro immenso (non solo preparano le lezioni, correggono, interrogano, risolvono problemi burocratici, si aggiornano costantemente, ma gestiscono problemi relazionali degli allievi, le loro latitanti famiglie, vengono a patti con lo scarso impegno, il bullismo, la mancanza di educazione e di rispetto) a fronte di uno stipendio risibile. E si, perché insegnare è mestiere faticosissimo, credetemi sulla parola. Non è solamente una professione è, oserei dire, un'arte, quasi una missione. Il primo impatto è sempre...orripilante direi, ma poi ci si rende conto che è solo questione di tempo che ti porta a conoscere gli allievi , i colleghi e ti dona, oltre ad entusiasmo e gratitudine, le chiavi di lettura per comprendere questo intricato mondo. Non potete capire quanto è complesso l'ambiente scolastico: prima fascia, seconda fascia, terza fascia a disponibilità dei presidi degli istituti, SISS, mica SISS, concorso per catteAtb Mag 21
Insegnare è Arte: elucubrazioni in libertà al netto di ogni buon senso
dra sulla materia, appelli di ingresso, triennale universitaria (quella della Ministra Fedeli, la stessa delle traccie di maturità e dei sempre più migliori) ... Precariato. E già, parolaccia tipica dell'Italia post renziana ovvero post bellica. L'ansia connaturata al precario non è paragonabile a nulla di umano o di conoscibile. L'attesa della chiamata dal Provveditorato è eterna. I secondi sono minuti, i minuti ore, le ore giorni, i giorni mesi! La posta elettronica diventa incandescente, il telefono sempre libero per non perdere eventuali convocazioni. Poi ti telefona l'ex collega che ti urla con gioia la sua contezza nell'essere stata nominata. E' fatta, questione di ore e poi anch'io potrò tornare al mio lavoro a scuola pagato una misera (che però mi permetterà di mangiare), ma entusiasmante. Invece... no! Attesa vana e speranze ancor più vane! Nel giorno della mia nomina arriva la sentenza del Tar del Lazio che informa tutti della vittoria nel ricorso presentato dai sindacati che hanno appoggiato i docenti con diploma ITP. Il Tar stabilisce urbi et orbi che tutti i portatori sani di ITP, docenti o aspiranti tali, debbano essere inseriti con priorità nelle graduatorie di diritto passando davanti a tutti gli altri. Ma come?! Un collega diplomato ITP docente in un laboratorio di meccatronica o elettrotecnica (oggi ovviamente eliminato o sostituito da un'altra materia teorica), mi soppianta nell’afAtb Mag 22
Elmund Dulac – Abbecedario - 1908
Michele D’Ignazio – Storia di una Matita – Progetto Arte di Insegnare – Rizzoli Educational
fiancamento di un ragazzo svantaggiato? E si perchè, nel caso di una laureata in storia della arte, se i laboratori sono stati eliminati le uniche cattedre libere nelle scuole superiori sono quelle di sostegno. Ma per insegnare non ci vuole ... che so, una laurea? Incredibilmente non è necessario, tanto a chi importa! Non voglio assolutamente dire che gli insegnanti con ITP siano meno competenti o professionali, ma andiamo… se fino a ieri ho insegnato le basi della cucina molecolare, come posso oggi gestire le difficoltà di apprendimento della letteratura futurista di Marinetti? Sono basita, non ci credo e penso ad una candid camera, mi guardo intorno e non scorgo nulla, motivo per cui corro come Heidi per i prati verso una sede sindacale qualsiasi pensando di trovare in ogni ufficio un mondo di colleghi nella mia stessa situazione pronti a bloccare la città con striscioni e comizi in piazza. Il nulla! Sono sbigottita! Incredula ed anche un poco inebetita chiedo informazioni, mi lamento. Il sindacalista, ricolmo di fanciullesca ingenuità mi chiede, tra il sarcasmo e l'ironia, per quale motivo mai, non ho approfittato di questa bella opportunità! Ebete di un sindacalista
sornione... FORSE PERCHE' NON MI RIGUARDAVA! Io ho un percorso formativo tradizionale per una persona che vuole insegnare: liceo e Università. Solo dopo sono state istituite per legge le sette fatiche di Ercole in vece di un concorso per ottenere una cattedra! Ogni competenza, professionalità, impegno, profusi nell'insegnamento, non hanno più alcun valore. Il vecchio adagio per titoli ed esami neanche! Mi consolo. In questo dilettantismo generale, un Giudice ha deciso e la sua decisione è inappellabile ... almeno fino a febbraio! E si, perchè la sentenza inappellabile potrà essere appellata all'alba del 2018 e a tre quarti dell'anno scolastico. I miei colleghi muniti di ITP, nel mese più corto dell'anno, potrebbero essere destituiti e forse non sostituiti cosicchè gli allievi già svantaggiati, potrebbero essere lasciati senza aiuto e senza la possibilità di un appello, nemmeno quello al buon senso. Una realtà mi pare emergere in questo 2018 e mi sembra anche una tendenza. In Italia, nel fantastico mondo della scuola, gli studenti e le loro esigenze sono sempre più un ornamento marginale.
Bob the Artist – Marion Deuchars – Edizioni Laurence King
Un piccolo aiuto:
Daniela Siccardi, capelli blu oltremare, taglio corto, sorriso smagliante, occhi profondi che tradiscono qualche pena dietro gli occhiali tondi. Dal fondo delle scale vedo chiaramente un elemento nuovo; le stampelle! Che è successo? Tergiversa un po’ poi passa oltre. Sorvolerò anche io… robe complicate tra spina vertebrale e cervicale dai nomi non ripetibili per decenza e certamente dolorosi solo a parlarne. È autrice quasi inconsapevole della silloge poetica “Un piccolo aiuto” edito dall’Associaazione Turistica Pro Loco di Caselle Torinese.
Come è nata l’idea di questa raccolta? Per cominciare l’idea non è stata mia, è ascrivibile a mio marito che l’ha fatta pubblicare e a mia figlia che ha scelto le poesie da inserire. Diciamo che mi hanno fatto una sorpresa! Gradita ovviamente anche se all’inizio sono rimasta un po’ frastornata. Quando ho realizzato che avevano rovistato tra i miei scritti forse me la sono presa un “cicinin”, ma poi, vuoi met-
intervista a Daniela SICCARDI
tra archivi e poesia
t
tere l’emozione e l’orgoglio? Anche perché il lavoro finito mi rappresenta decisamente … o almeno rappresenta una parte di me!” Notevole certo, ma non sei nuova alle pubblicazioni, hai lavorato per il Museo del Risorgimento, la Fondazione Donat-Cattin, l’Archivio Storico della Città di Torino, la Fondazione Rosselli... Va bene, ma sono un’archivista e quello è il mio lavoro. Questa pubblicazione è diversa, un pezzo di me! ‘Na creatura insomma. Fammi capire, come riesci a conciliare l’archivista puntigliosa, precisa, razionale, didascalica con la poetessa creativa e ispirata? Credo di essere un’archivista sui generis. Non mi sono mai limitata a razionalizzare o catalogare. Io amo veramente gli archivi, specialmente quelli di famiglia. Mi perdo al loro interno, leggo tutto e cerco di ricostruire le storie, di capire i caratteri, le debolezze, i punti di forza di coloro che, nella mia mente, diventano personaggi di un meraviglioso racconto.
Un racconto ancora più entusiasmante dal momento che è vero, identificabile nella storia, nello spazio e nel tempo. Come mai le storie comuni, delle persone qualunque, ti appassionano quasi fossero romanzi? L’impressione è quella di stare di fronte ad una novella Marple o Miss Fisher! Credo sia l’impressione giusta! Talvolta mi scopro ad indagare su intricate vicende familiari tra politica, passione, denaro; vicende che intrecciano felicità e tristezza, armonia e risentimento. Proprio come un investigatore, mi solletica l’idea di scoprire le cause di questi sentimenti talvolta contrastanti. Una citazione mi ha sempre affascinato, quella che Lev Tolstoj inserisce nell’incipit di Anna Karenina: “Tutte le famiglie felici sono simili tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo – traduzione di Pietro Zveteremich”. Da questo punto partono le mie indagini (manco fossi Maigret) e devo dire che non sono mai infruttuose, mi portano sempre da qualche parte, mi regalano ogni volta una nuova consapevolezza sugli altri e su me stessa, mi fanno crescere come persona e spesso mi donano le chiavi di lettura per analizzare lati della mia personalità che ancora, nonostante l’età, devo mettere bene a fuoco. Mi sembra quasi psicoterapia attraverso il lavoro Esattamente. Attraverso gli archivi – quelli famigliari della fondazione Rosselli per la quale ho lavorato ad esempio – tento di conoscere le persone attraverso le schede e i documenti. Non di rado scopro cose che riguardano loro, ma in qualche modo anche me! Non so se riesco a spiegarmi! Perfettamente, un po’ come in un romanzo di formazione all’interno di una saga famigliare! Ok, ci sei! Torniamo alla Silloge. Come sei approdata alla poesia? Non ne parlo con leggerezza perché è davvero un pezzo del mio cuore ed io, sono molto protettiva nei confronti del mio cuore, dei miei sentimenti, dei miei cari. Tuttavia … sono Atb Mag 27
quasi certa di essermi dedicata alla poesia quasi come tributo a mia madre, Maria Laura, una donna degli anni 20 cresciuta nella Belle Epoque e maturata durante la II guerra mondiale. A 16 anni diventò staffetta partigiana, lo sapevi? E fu catturata e torturata a Torino in via Asti (famigerata). o la ricordo come una donna elegante, dal vivo intelletto, messo al servizio della politica – quando ancora i politici erano persone con degli ideali – Scriveva bellissime poesie e forse qualcosa del suo talento è passato a me. Pensa sono riuscita a conoscere molti aspetti di mia madre attraverso le carte contenute negli archivi. Ho letto tutto quello che la riguardava fino al 1979! Maria Laura? Come tua figlia Si, proprio il nome che ho scelto per mia figlia e pensa che mia madre è nata lo stesso giorno e mese in cui sono nata io. Ed è per lei che scrivi poesie e non ti sei dedicata al romanzo ad esempio?
No, le poesie le scrivo per me. Ho capito che forse da lei ho ereditato un mezzo espressivo e creativo con il quale mi sento libera, mi sento bene e quella punta di narcisismo che è in me viene appagata dalla poesia. La prosa non mi dà lo stesso brivido. D’altra parte scrivo poesie dal 1975 - mi pare. Negli anni sono cambiata. Anche il mio stile è cambiato, ma l’amore per la poesia è rimasto lo stesso. Questa raccolta cosa contiene? La scelta delle poesie è stata fatta da mia figlia Maria Laura, con un criterio affettivo. Raccoglie poesie di vari anni a partire dal 1978 fino agli albori del nuovo millennio. Ho letto le poche frasi scritte per te da tua figlia e tuo marito, in apertura del piccolo volume. Esprimono grande amore e rispetto nei tuoi confronti! Li ringrazio di questo. Loro per me sono tutto!
Lo so che è una domanda sciocca, ma quale poesia tra quelle inserite ti rappresenta di più? Lo fanno tutte – non sono certo in grado di fare una classifica, lo capisci bene - ma ce ne sono alcune alle quali sono particolarmente affezionata. Una di queste è quella del maggio 1999 dal titolo: A Maria Laura Con quel sorriso negli occhi, i tuoi grandi occhi pieni di mondo, spero che sarai le donne che avrei voluto essere e che non sarò mai, le mie contorte radici e il tuo futuro, intrecciati in un unico fiore d’amore.
Gianna Scoino – Lo sguardo crudele – Fiber libro d’artista - 2007 – aperto2 - 624x450
Torinese di nascita e casellese di adozione, archivista e ricercatrice storica: Coautrice di alcuni volumi: Gli archivi della Congregazione di Carità e dell’Ente Comunale di Assistenza, Torino 1996; Istituto Lorenzo Prinotti, Inventario, 1998 pubblicati nella collana Inventari dell’Archivio Storico Comunale di Torino, Archivio dei Musei Civici; Inventario Città
di Torino, Torino 2001; Inventario del Fondo Carlo Trabucco, Fondazione Carlo Donat-Cattin, Torino, 2004; Le carte risorgimentali dell’archivio Rosselli, Inventario Fondazione Rosselli, Torino 2006; Edoardo Cesa, Memoria di un industriale da Strona Biellese alla Montrucca di Caselle, Associazione Turistica Pro Loco di Caselle, 2008. Atb Mag 28
L’art français, je ne l’ai jamais vu
Contribution de Elsa Da Messina Emmanuel Macron à Lyon le 5 février 2017, provoquait un tollé après avoir déclaré « Il n’y a pas de culture française, il n’y a pas une culture française, il y a une culture en France et elle est diverse ». En plus à Londres le 21 février, il poursuit dans sa ligne: « L’art français, je ne l’ai jamais vu ». C’est un coup de couteau porté en plein cœur du sentiment national. Les réseaux sociaux se scandalisent. « Mais il est c** ou quoi ? », « Et ça veut devenir président de la France ? », « Il ne voit pas l’art français achetons lui des lunettes ! ». Tentant d’instruire le candidat les internautes énumèrent de nombreux exemples, artistes français, monuments français, etc… Epaulés par les journalistes qui s’en donnent à cœur joie ! Le Figaro a même invité la philosophe Bérénice Levet à débattre sur la question. Pourquoi une philosophe et non pas un(e) historien(ne) de l’art ? Allez savoir, bien que la question de savoir s’il existe un art français pourrait être à tendance philosophique …Dans son livre, La fabrique de l’art national -Le nationalisme et les origines de l’histoire de l’art en France et en Allemagne 1870–1933, Mi-
chela Passini démontre que le facteur national devient un critère décisif dans l’écriture de l’histoire de l’art. Elle dégage la dimension intrinsèquement politique de cette discipline qui étudie, classe, « raconte/construit » le patrimoine. IsabelJansen dans son livre sur Franz Marc et l’art français du XIXe siècle retrace les étapes de la rencontre entre l’expressionniste allemand et l’art français. Elle met en valeur la complexité des processus d’acculturation qui transforment, peu ou prou mais de façon certaine, l’œuvre d’un artiste. Et influence donc la production artistique du pays de rattachement de l’artiste. Paul Valéry de l’Académie Française, écrivait dans son discours du 25 octobre 1939: « J’abandonne ici le domaine des Lettres, pour jeter un regard sur la quantité de nos richesses sensibles, peinture, sculpture, arts décoratifs, musique… L’abondance et la variété de cette production découragent l’esprit qui voudrait en tirer une essence d’idées comme si ce n’était point songer à détruire les œuvres destinées à la sensibilité que de prétendre les épuiser en quelques « jugements ».
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L’art français s’est exercé supérieurement dans tous les genres : du vitrail au burin, de la cathédrale au « bonheur du jour », de la tapisserie de haute lice à l’émai, de la céramique à la typographie, — et cette simple énumération démontre à travers les âges une variété de talents aussi riche que celle que nous avons tout à l’heure fait observer dans les sites, les climats, les constituants humains de la France. Pour concevoir cette richesse, il faut se représenter qu’elle est faite d’un nombre considérable d’inventions de formes, de combinaisons et de procédés, auquel doit s’ajouter toute la valeur d’exécution qu’il fallut pour donner l’être à tant de formes possibles imaginées. La main française a fait merveille, qu’elle ait taillé la pierre ou enluminé le parchemin ». Paul Deschamp, historien médiéviste français et membre de l’Institut de France écrivait: « La France au temps de saint Louis connut son âge d’or…. L’art gothique se renouvelle alors à ce point qu’au premier coup d’œil on peut distinguer un édifice du temps de saint Louis ou de ses successeurs immédiats, d’avec les églises gothiques antérieures ou celles de la fin du moyen âge. L’épanouissement de cet fut alors prodigieux dans tous ses aspects, l’architecture, la sculpture, le vitrail, l’orfèvrerie, la miniature. Il s’affirma de telle manière qu’il s’étendit à toute la chrétienté jusqu’aux frontières orientales de la Pologne et, dans le bassin de la Méditerranée, jusqu’aux rives d’Asie. Il n’y eut plus alors qu’une forme d’art, l’art français ».Se crée dès lors un récit de l’art national français. Parler d’un art français est donc un discours éminemment politique qui ne reflète pas nécessairement une réalité historique, et certainement pas celle à laquelle on pense intuitivement. Bien avant le XIX siècle, les auteurs qui écrivaient sur les peintres du passé faisaient le distinguo entre les écoles florentine, romaine, vénitienne, bolonaise, puis française et flamande. En 2013, Arthur Dreyfus, écrivain, comédien et scénariste indiquait « Attribuer une nationalité à un style, c’est renier la belle idée d’une diaspora miraculeuse, dépourvue d’histoire officielle, de morphotype, de références ou de langage communs, qui serait celle des écrivains. ». Alors UN Art Français, DES Arts Français, un STYLE français… ? Comment faire quand les nations actuelles ne reflètent pas les réalités historiques ? Les frontières en Europe ont beaucoup fluctué : de nombreux pays européens, tels que nous les connaissons aujourd’hui, n’ont une identité propre et unique (et pas toujours encore) que de façon relativement récente. Atb Mag 31
© Véronique Pasquereau -Technique mixte sur toile
La France, quant à elle fut longtemps divisée en duchés qui étaient des centres culturels parfois plus importants que la cour royale elle-même. On peut ici penser à la cour de René d’Anjou plus fastueuse que celle de Charles VII mise à mal par la guerre de Cent ans avec l’Angleterre, ou même à l’Alsace qui a longtemps été germanique ! Comment parler d’un art national alors même que la « nation » n’existe pas ? Dans les ateliers, sur les différents sites où étaient actifs aussi bien des artistes français qu’étrangers, les productions artistiques pouvaient être aussi bien représentatives de modèles locaux que soumises aux courants artistiques étrangers – on peut ici penser à l’influence de Jan van Eyck sur toute l’Europe. Il serait alors plus juste de parler d’arts de la France que d’art français. Simple question de sémantique ? Pas seulement puisque cette expression est régulièrement utilisée comme système de classification. Cette vision a notamment été défendue par certains de plus grands spécialistes de l’art français. Jules Michelet écrivait « ce ne serait pas trop de l’histoire du monde pour expliquer la France ». Ce qui vaut pour l’histoire du pays le vaut également pour l’art, il ne peut se résumer à lui-même sans tenir compte de son contexte. La France possède des arts riches qui sont le résultat de nombreux échanges et de multiples influences. André Chastel, spécialiste de la question, s’est à juste titre appliqué à défendre cette vision de l’art français dans 5 ouvrages . Refuser un art français cloisonné, figé dans ses définitions et frontières, ou un peu opportuniste quand cela l’arrange, ce n’est pas rabaisser LA France, nier son identité, ni même son histoire comme certains l’ont clamé sur le net. C’est valoriser sa richesse, passée, présente et, espérons-le, future. Aujourd’hui essentiellement utilisé pour catégoriser plus aisément l’art et nos ouvrages en bibliothèque, le terme d’art français renvoie en Histoire de l’Art à une production artistique précise et parfaitement définit dans un temps proche de nous. Il ne peut représenter avec justesse la globalité des arts produits en France dans le temps sans les amoindrir. Ce sujet mérite de plus amples investigations et/ou débats. Il ne s’agit ici que d’un petit aperçu, une entrée en bouche qui, j’espère, vous donnera envie de continuer par vous-même et de vous faire votre propre opinion. Verre à moitié vide, ou verre à moitié plein ? Deux visions d’une même réalité… Quelle que soit l’interprétation ou les certitudes de chacun, le fait artistique s’avère l’un des témoins les plus révélateurs de nos sociétés.
L’Histoire de l’Art n’est pas une science exacte, il existe de ce fait des historiens de l’art qui ne partagent pas la vision de l’art que j’ai pris ici le parti de développer.
Atb Mag 32
Dici avanguardia e la mente va subito a qualcosa di nuovo, qualcosa che precorra i tempi, un'idea progettuale che possa incuriosire e stupire, meravigliare e catturare. Quadrilatero del Contemporaneo è la novità più importante nell'ambito di Notodinverno 2018 firmata dall'Amministrazione Bonfanti a cura dell'Assessorato alla Cultura retto da Frankie Terranova. Oltre 30 artisti tra pittori, scultori e fotografi protagonisti nei siti più belli ed importanti della Città di Noto e che di fatto inaugureranno una nuova filosofia di esposizione artistica, con grande forza di dialogo e ineguagliabile attrazione per il visitatore e il turista. Un'offerta artistica senza prececedenti che coinvolge anche alcuni critici d'arte di rilievo. "Abbiamo innescato un processo virtuoso, una progettualità che consacri Noto città d'arte – spiega l’assessore alla Cultura Frankie Terranova-. Un di Emanuela Volcan contenitore con nomi e numeri importanti che siano in rete tra di essi e che possano raccontare l'identità dei luoghi attraverso l'arte e la bellezza. Con l'evento del 7 dicembre inauguriamo il numero zero, verificando e collaudando potenzialità ed interesse; sarà una passeggiata con quattro tappe ed in ognuna di esse ci sarà un'esposizione da inaugurare. Un primo tassello verso un ambizioso obiettivo che si lega profondamente all'idea di promozione culturale da anni intrapresa dall'Amministrazione comunale per volontà del Sindaco Corrado Bonfanti. Ecco perché già alla fine del 2017 ed entro i primi giorni del 2018 saremo in grado di presentare tutti gli eventi espositivi del prossimo anno". Qualità e programmazione che avranno, dunque, come appuntamento, a cavallo tra anno in corso e quello che sta per arrivare, la galleria d'arte diffusa nel centro storico di Noto "Quadrilatero del Contemporaneo": h.17 Palazzo Impellizzeri "Lighea-il Mito e la Sirena" di ALESSANDRO LA MOTTA h.17,45 Bassi di Palazzo Ducezio "inContemporanea" con ANDREA ALDERUCCIO, ELIANA ADORNO, GIANNI ANDOLINA, VINCENZO ARANCIO, CORRADO CELESTRI, GIUSEPPE CIVELLO, PAOLO GOLINO, FULVIA MORGANTI, DANIELA MOSCUZZA, LAURA NAZZARO, FEDERICA ORSINI e CORRADO PAPA. h.18,30 Bassi di Palazzo Nicolaci "Cantiere Kn-Lavori in Corso" MARIO RAPISARDI, MASSIMILIANO FRUMENTI, con SALVATORE CASTELLINO, ALESSANDRO COSTAGLIOLA, MARCO DE MARCO h.19,15 Convitto delle Arti (sala piano terra) "Colour Code" di FABIO MODICA Convitto delle Arti (sala piano superiore) "Arte contemporanea polacca" con Tamar Berdowska, Leszek Oprzadek, Bartlomij Radosz, Edyta Sobieraj, Zbigniew Sprycha.
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Un circuito di mostre che sta già suscitando grandissimo interesse nel mondo dell'arte e che ha avuto la consulenza artistica di Vincenzo Medica, Studio Barnum Contemporary di Noto: "Sono davvero felice di aver realizzato, con l'input fondamentale dell'Amministrazione in generale e dell'Assessore Terranova, in particolare, questo suggestivo circuito tra le bellezze architettoniche di Noto. Quest'idea sperimentale di itinerario artistico a tappe, consentirà alle singole mostre di sostenersi l'un l'altra e di proporre una valida offerta agli appassionati di arte e cultura, nel periodo festivo. Gli artisti di grandissimo spessore, sono quasi tutti siciliani, affermati nel panorama artistico internazionale, e con grande voglia di proiettarsi su più ambiziosi traguardi. Di alcuni artisti avremo delle antologiche: le opere, tra le più belle delle proprie collezioni, che hanno partecipato ad eventi importanti e di assoluto e riconosciuto valore, inoltre alcuni di loro ci regaleranno nei giorni dell'esposizione performance live. Vorrei sottolineare come ogni artista invitato abbia accolto positivamente l'idea di esporre a Noto, città ormai riconosciuta come luogo privilegiato di arte e bellezza". Le mostre saranno aperte tutti i giorni, ad ingresso libero, dalle ore 16 alle ore 20, i venerdi, sabati, domeniche e festivi oltre all'apertura pomeridiana saranno visitabili anche al mattino dalle ore 10 alle ore 13. Dal 16 dicembre altri importantissimi artisti inaugureranno le loro personali: ENZO INDACO "Antologica 1958-2017" al Convitto delle Arti Sale superiori, e FRANCO POLITANO "Una favola antica" al Museo di Santa Chiara.
Davide Bramante – My own Rave – 2010 – esposizioni multiple in fase di ripresa non digitali plexiglass con silicone ph neutro
Atb Mag 35
appartenenti alla collezione privata di Behnam Fanaeyan, saranno immerse tra antiche architetture e scavi archeologici. Da questi emergeranno, in occasione dell’esposizione, fusti di materiale industriale in parte triturato e colorato, come a voler abbozzare l’incipit dell’opera dell’artista.
Fabio Modica - Gnosis: Hope - mixed media on canvas - cm 130x70 | 51x27,5
Infine ricordiamo che è già in corso di svolgimento la Mostra "Il pomeriggio d'un fauno" nella Sala Dante del Teatro Tina Di Lorenzo con ben otto artisti, FRANCESCO COPPA, ANGELO CORTESE, PINO DI SILVESTRO, ANNA KENNEL, GAETANO LO MANTO, SALVO RUSSO, GIUSEPPE SCIACCA, GAETANO TRANCHINO. Invece in Sala Gagliardi dal 16 al 26 dicembre in occasione del ventennale di SiciliAntica si terrà una MOSTRA FOTOGRAFICAcon immagini e testimonianze tutte siciliane.
Atb Mag 36
Julie French: The
unpredictable nature of stitch Contributions of Daniel Crowder Using the sewing machine as a tool for continuous line drawing, Julie’s work explores movement and texture with often unpredictable outcomes, which have been likened to ink illustration. Her work focuses on the wild side of nature, dance and motion. Each piece is unique and one off. The speed and capricious nature of the sewing machine, when used in this unconventional way reflect characteristics of the subjects. Using reclaimed fabric, paper and handmade felt open new opportunities to discover how the stitched marks respond to different surfaces, pulling or embossing a piece of work in sympathy with the surface. Threads are purposely left loose over or around the image to allow the illusion of more depth and movement. In this interview, Julie explains how reclaimed fabric, thread and her trusty Bernina all combine to produce her remarkable designs. We learn why travel was an instrumental pathway to her becoming an artist and how Julie finds inspiration from her students and Alfred’s racing pigeons. Julie French: I think what initially attracted me to textiles was the myriad of opportunities available through using the medium in so many different ways. In my 20’s I spent as much of my time as possible, travelling through Europe, Asia and North Africa. In Morocco, I remember being fascinated by Berber Textiles being woven and huge vats of dye being stirred to create beautiful vibrant cloth as well as visiting markets saturated with colour and pattern. In Turkey I came across an exhibition showcasing the huge mix media work by the artist Ilhami Atalay, even though they were not textile pieces, they were heavily influenced by the patterns and textures of traditional Turkish rugs and I loved the way fine art and textiles were merged. It was when I returned from travelling in India that I decided to embark on a Degree Atb Mag 38 in Printed Textiles and Surface Decoration.
And, more specifically, how was your imagination captured by stitch? I love textures and layers and although you can achieve this with paint, stitch can really encourage the viewer to speculate on how the work was achieved. I’m enticed by the unpredictable nature of stitch and the way it responds to the surface you apply it to. I’m always learning through experimentation, and even though I might use the same drawing multiple times, by using different surface no outcome is ever the same. All my work is created with the sewing machine, and anyone who uses a sewing machine will know they can test you, but sometimes those moments of the machine deciding to do something you hadn’t planned can result in a unique and cherished outcome. What or who were your early influences and how has your upbringing influenced your work? My Nan used to have a beautiful old singer machine in her garden; it was one of those ones fixed onto a wooden table with a metal pedal. It hadn’t been used for years and I would spend quite a lot of time playing with it. My mum spotted my passion for sewing machines and bought me a little plastic machine, I can’t remember the make, but I used it to make ill-fitting clothes for my Sindy and Tiny Tears dolls. My mum was very creative; she made a lot of our clothes, always knitting or on the sewing machine. She helped my sister and I make an entire farm by painting fields, ponds and streams on a large piece of chipboard, complete with paper mache hills, on the reverse side we painted roads for our matchbox cars! My dad worked at a paper factory, so my sisters Lost Pier – Julie French and I were always making use of the box es of paper he brought home, playing drawing games and drawing posters of our favourite pop stars. This year I have stitched birds that have special childhood memories. Alfred is a tribute my granddad Alfred O’Leary who I hold very fond memories of. He raced pigeons; the rear of my grandparent’s garden was full of huge sheds where the pigeons lived. My sisters and I always refer
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to pigeons we see as Granddad. Art was always my favourite lesson at school and when I left I took a Diploma in Art and Design. I wanted to be a fine artist but my tutors told me my strongest area was Textiles. I loved experimenting with found objects and manipulating surfaces with heat, piecing and weaving, but I still wanted to be a painter. After the course, I began working as a mental health support worker but continued to paint and did the odd painting commission. It wasn’t until I was 25 years old, after returning from 5 months of travelling around India, that I decided to apply for a degree course in Printed Textiles and Surface Decoration. I turned up to the interview with a mixture of life drawings and a few screen prints but I was still buzzing from the textiles I had seen in India, and the course leader pretty much gave me a place because of my enthusiasm and passion for the subject.
Crazy Mare – Julie French
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Il
CRAC
Di Taranto
Con il contributo di Laura Perrone
Nasce il CRAC, avamposto dell’arte contemporanea sul Mar Grande di Taranto, qual è la sua genesi e quali gli obiettivi? Il Centro di Ricerca per l’Arte Contemporanea è un progetto della Fondazione Rocco Spani Onlus che, nella città di Taranto, si occupa da quasi trent’anni di didattica della arte per minori a rischio di devianza.. L’idea è di estendere il carattere socio-pedagogico delle attività laboratoriali attraverso progetti di ricerca artistica che andranno a coinvolgere l’intera città. È dunque un centro di sperimentazione che intendiamo declinare con grande dinamicità attraverso workshop, mostre, laboratori, seminari, interdisciplinarietà e forti sinergie. Un impegno che guarda al processo prima che all’output. Si intende infatti ripensare il concetto di progetto artistico e generare delle riflessioni sul metodo, sulla ricerca e sul “mestiere” dell’arte, risalendo all’atto creativo attraverso le fasi del disegno, le ipotesi progettuali, le utopie linguistiche, ma anche l’errore e il fallimento.
ll CRAC apre al pubblico con una mostra permanente, nella quale è esposta l’intera collezione incentrata sul progetto d’artista e sullo studio preparatorio, e con due mostre temporanee. “Lungo le acque del bidente. Progetti e installazioni del Parco Sculture di Santa Sofia”, a cura di Renato Barilli, svela l’interesse del CRAC verso la relazione arte-ambiente. La seconda, “Ritorno a Taranto”, è invece un omaggio a Giuseppe Spagnulo. La collezione del CRAC nasce nel 2015 con ventisei donazioni per il progetto “Piano Effe” che aveva l’obiettivo di avviare un archivio storico nazionale. È una preziosissima collezione di progetti, disegni e studi preparatori – da Pascali a Beuys, da Carrino a Munari – alcuni di questi appositamente pensati per Taranto. Le due mostre di inaugurazione, invece, sono per noi assolutamente simboliche e “spirituali”. Partiamo da un caso di interesse nazionale, quello del parco di sculture di Santa Sofia, nel quale arte e ambiente vengono coniugate in forma eccellente. La mostra dei progetti scultorei curata da Renato Barilli – componente de l comitato
scientifico del CRAC insieme a Bruno Corà e Giulio De Mitri – è fondamentale per il confronto con realtà che hanno fatto di “ambienti” in difficoltà luoghi virtuosi. L’altra mostra è dedicata a Giuseppe Spagnulo, tra i primi a sostenere la collezione, e tra quegli artisti che in un certo senso rappresentano Taranto con la cultura materiale della ceramica e del metallo, materie centrali nella sua ricerca artistica. Come si posiziona il CRAC nella città di Taranto? La sede che ospita il CRAC è l’ex convento dei Padri Olivetani del XIII secolo. È un luogo fortemente evocativo perché si affaccia sulla straordinaria bellezza di un porto attraversato nel corso dei secoli dalle principali culture dell’occidente, ma nello stesso tempo, ritaglia una prospettiva sullo skyline dell’ILVA e dunque verso le più attuali criticità o forme di decadenza. Taranto ha un’urgenza collettiva che è storica, culturale, ambientale, quindi i nostri progetti andranno a toccare questi temi che sono al centro della città e quindi dei nostri più profondi interessi.
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Funestata dalle cronache degli ultimi decenni, la città di Taranto, tra i centri più danneggiati da politiche di industrializzazione discutibili, e dal conseguente spopolamento, sta affrontando un momento nevralgico che la mette al centro del dibattito nazionale e della storia culturale regionale. Proprio dalla cultura, infatti, sembra voler ripartire la città, che nel corso degli ultimi anni ha ospitato significative tappe di progetti di alto valore artistico come il MuMa e il CRAC inaugurato nel 2017.
CRAC: l’acronimo che diventa museo Centro di ricerca di Arte Contemporanea, piccolo museo curato e diretto da Roberto Lacarbonara. Tra le altre cose, saranno visibili collezioni di rilievo, creazioni, disegni e studi preparatori. Il progetto prende spunto dalla Fondazione Rocco Spani, da decenni in campo sul terreno della cultura. Il museo sarà persieduto da Giulio De Mitri
Si ringraziano per la collaborazione: l’Unione Europea, la Regione Puglia e Puglia Promozione
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Inaccessibile CATTEDRALE
CATTEDRAKE DI D. MARIA ASSUNTA - CASTELLANETA
Un vero e proprio viaggio nella storia alla scoperta dei segreti e delle curiosità della Cattedrale di Castellaneta, sarà possibile a partire dal 14 gennaio 2018 grazie alla visita guidata e gratuita organizzata dall’Info Point di Castellaneta. Il centro spirituale della Diocesi di Castellaneta, si svelerà ai visitatori attraverso aneddoti, eventi storici, arte e fede, in tutti i luoghi persino quelli solitamente inaccessibili come il campanile romanico del 1300, la sagrestìa a strapiombo sulla
Gravina, ad oltre 100 metri di altezza, il presbiterio, lo spazio più sacro della chiesa, che ospita l'altare, l'ambone e la cattedra del Vescovo. Dedicata a Santa Maria Assunta, qualcuno asserisce che prima ancora fosse invece dedicata a San Nicola, risale al XIV secolo e fu costruita in sostituzione della precedente realizzata negli ultimi decenni dell’anno mille ma di cui non si sa quasi nulla ma che fu certamente distrutta. La chiesa in stile romanico ha forma di basilica in quanto è costituita da tre navate divise da colonne in pietra, è arricchita di tre absidi e la copertura della navata centrale è a capriate. Nel corso dei secoli e dell’avvicendarsi dei secoli è stata arricchita di ulteriori particolari come la cappella del Santissimo Sacramento costruita nel 1538 cui fu poi affiancata, nel 1643 la cappella di Santa Maria Consolatrice, a cui seguì l’edificazione la cappella, la terza, del Santissimo Crocifisso. Risale invece 1771 la facciata realizzata in pietra calcare bianca. Dell’epoca medioevale sono invece gli archi trilobi e due capitelli scolpiti, mentre i quattro altari presenti in marmo a tarsie policrome sostituirono definitivamente i preesistenti. Il tour guidato, che si svolgerà dalle ore 10 alle 12, è promosso dall’Info Point Castellaneta, in collaborazione con la Diocesi di Castellaneta e la Parrocchia Cattedrale, nell’ambito delle iniziative organizzate per potenziare il punto di informazioni turistiche di piazza Principe di Napoli. La cattedrale di Castellaneta,, costituisce una delle più significative testimonianze della storia dell'arte e della spiritualità cittadina. Quasi nulla sappiamo della chiesa primitiva che fu necessario edificare con l'istituzione della sede vescovile, negli ultimi decenni dell'anno mille, in uno con la generale riorganizzazione dell'Italia Meridionale da parte dei normanni.
E' certo invece che la primitiva chiesa fu sostituita nel secolo XIV da una nuova e grandiosa costruzione nelle forme del romanico pugliese tipico, con pianta basilicale a tre navate divise da colonnati in pietra, tre absidi e copertura della navata centrale a capriate. Centro della religiosità cittadina per effetto della presenza del Vescovo e del Capitolo con le sue quattro dignità (priore, arcidiacono, cantore e tesoriere), diventò sempre più importante e oggetto di attenzione delle confraternite e dei casati nobili attraverso la testimonianza degli altari di famiglia. La cappella del SS.mo Sacramento, che prima veniva onorato sull'altare maggiore, fu fondata nel 1538 per volere dell'omonima confraternita. Dopo circa un secolo, nel 1643, a fianco fu costruita la cappella di S. Maria Consolatrice per opera della già costituita confraternita de'centuriati, e successivamente fu aggiunta la terza cappella cioè quella del SS.mo Crocifisso. Nel 1771 fu aggiunta una nuova imponente facciata realizzata in pietra calcarea bianca, che ha definitivamente cancellato ogni traccia esterna delle forme romano-gotiche che aveva precedentemente. Oggi restano ancora alcune membrature medievali, oltre che nel campanile, nelle tracce di archi trilobi sulle murature laterali sovrastanti, e nella parte sud del transetto, in corrispondenza della cappella di San Nicola, da due capitelli scolpiti uno con motivi vegetali e l'altro recante tra il fogliame di una maschera. Nel secolo XVIII oltre ad altri lavori di rinnovamento furono sostituiti quattro altari esistenti con altri più preziosi in marmo a tarsie policrome, opere d'arte di pregevole fattura, testimonianza della famosa tradizione artigianale napoletana capace di produrre particolari di qualificata fattura.
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INTERVISTA A MARIA DEBORAH DE LUCIA
Conosco Deborah, da diverso tempo ormai. E’ una donna sensibile e capace, non si lascia abbattere facilmente dai problemi quotidiani e, come architetto, di problematiche inerenti il lavoro ad esempio, ne ha tanti. Ma passando da un livello personale a quello professionale, direi che quello che mi colpisce di più è la sua estrema riconoscibilità e il suo amore per i materiali “dimenticati”. Nelle sue abili mani: bottoni , scarti di lavorazione del ferro, della plastica, del legno, diventano opere poetiche e iconiche. Maria Deborah De Lucia, nasce a Cecina, nel cuore di quella toscana che, tra Firenze, Lucca, Pisa, Siena, ha visto nascere la cultura artistica e letteraria di quella che diventerà l’Italia e che ancora oggi fa sentire forte i suo contributo nella contemporaneità. Nasce il 4 luglio (proprio come nel bellissimo film di denuncia di Oliver Stone) 1972, mostra fin da piccola una grande predisposizione per il disegno a mano libera, una forte sensibilità per i colori nella pittura figurativa, e notevoli abilità nella lavorazione artistica di alcuni materiali, ma il tipo di studi imposto dalla famiglia non le con-
Sente di dare sfogo alla sua indole di artista. Compiuta l’età maggiorenne si trasferisce a Firenze, città d’arte per eccellenza, per proseguire i suoi studi e le sue passioni laureandosi, con risultati brillanti in architettura. Soltanto durante la sua formazione di architetto si riavvicina al mondo dell’arte, prediligendo le esperienze più artistiche di questo percorso. Utilizza soprattutto il disegno a mano libera e comincia ad interpretare l’arte contemporanea con le sue prime esperienze lavorative come architetto e designer, per ritrovare quella passione per l’arte, legata a un sogno della sua adolescenza, e per esprimere finalmente la sua sensibilità artistica..
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Attualmente lavora come designer e pittrice nel suo Atelier a Pianezza in provincia di Torino. La sua ricerca artistica, come pittrice, nasce dall’esigenza personale di rappresentare attraverso l’astrattismo, la semplicità e l’essenzialità della materia, i luoghi della mente e dell’anima appartenenti ad un complesso mondo interiore che diventa anche specchio dei propri sentimenti e stati emotivi. La sua ricerca artistica, nasce dall’esigenza personale di rappresentare attraverso l’astrattismo, la semplicità e l’essenzialità della materia, i luoghi della mente e dell’anima appartenenti ad un complesso mondo interiore che diventa anche specchio dei propri sentimenti e stati emotivi. L’inconsueto e la riflessione fanno parte dell’arte di Deborah De Lucia che utilizza con modalità non tradizionale oggetti che creano sulle tele strutture geometriche cromaticamente essenziali. Manipola oggetti e simboli già fabbricati ‘per altro’ con il proposito di reinterpretare la vita ed i suoi significati, di reinventarsi. Tutto può contribuire a rappresentare il fluire degli eventi, il distruggersi e ricostruirsi: le foglie, pietre, uno spago che lega e avvolge, vetri rotti ma smussati. Alcune tele, incise secondo una certa angolazione, si presentano, per la loro costruzione complessiva, con un forte impatto pittorico. Il taglio è una formula spaziale, la tela si incurva e diventa superficie scultorea, si crea una via che permette allo spettatore di penetrare all’interno del quadro e scoprire dentro la tela il significato perché nella parte sottostante, sono trascritte emozioni e stati d’animo. Si tratta di opere raffinate, calibrate, dove la ricerca degli equilibri, l’accuratezza e la grazia sono protagoniste e nelle quali l’uso della scrittura che è parte dell’opera o la accompagna, dimostra la volontà di colmare i lavori di significati simbolici. Non è di lavorazione dei materiali scelti che si parla, ma della loro disposizione e combinazione perché nell’arte, così come nella vita, è collocando gli elementi giusti al posto giusto che si raggiunge l’armonia. Atb Mag 49
realizzato con il contributo
di ArtsLife
Da Manager a
La Biennale di Firenze è la principale esposiesposizione di arte contemporanea a Firenze, dove rappresenta una vetrina d’eccellenza per la produzione artistica contemporanea a livello internazionale. Ogni due anni anima la città medicea con un programma di eventi collaterali quali conferenze, mostre, performance e iniziative didattiche che offrono ad artisti e visitatori diverse opportunità di incontro e confronto sui vari aspetti dell’arte e della cultura, focalizzando l’attenzione sul tema dell’edizione in corso. Indipendente, libera e innovativa manifestazione per l’arte contemporanea , ha visto alternarsi negli anni centinaia di artisti provenienti da oltre cento Paesi accogliendo le principali forme di espressione artistica. Il dialogo tra i popoli attraverso l’arte è uno dei principi ispiratori della Biennale di Firenze sin dalla sua fondazione e gli artisti che partecipano all’evento si fanno ambasciatori di pace e tolleranza rivendicando l’importanza dell’arte e del ruolo degli artisti nella società. Parte di questo spirito è Beddru, pittore figurativo autodidatta che ha contribuito fattivamente ad un rinnovo concettuale e tecnico nell'arte contemporanea, abbracciando la sperimentazione di materiali non tradizionali, come gli spessi pannelli in plexiglas che l’artista sovrappone, creando un modello di pittura tridimensionale. Giuseppe Bellia, in arte Beddru, nel pieno di una promettente carriera mana-
geriale, decide di cambiare vita e dedicarsi anima e corpo al suo sogno: dipingere! Si trasforma in manager part time e si lancia senza paracadute nel mondo dell’arte. Studia – è autodidatta di talento - progetta, rappresenta i suoi soggetti fuori da ogni convenzione con una tecnica tutta sua a base di inchiostro e di pittura in negativo, ispirata dai pittori italiani del 1600 Si concentra sull'uso di pigmenti puri per ottenere quella sorprendente vitalità cromatica che è diventata, ormai, tratto distintivo del suo stile. Le sue figure enigmatiche, seducenti, accattivanti assurgono a simbolo mitologico dal misterioso equilibrio cromatico. Da Agrigento che gli ha dato i natali e ha segnato la sua ricerca estetica, Beddru si trasferisce a Bruxelles, dove attualmente vive e lavora. Nel suo atelier dipinge corpi dalla consistenza quasi impalpabile, fluida, magnetica che si stagliano nitidi e imponenti di una bellezza inafferrabile, non di questa terra. Sono corpi eterei e nello stesso tempo incredibilmente concreti e possenti. Profili lontani nel tempo e nello spazio ma molto familiari, punta-no un orizzonte infinito, misterioso e attraente. I suoi personaggi vibrano incessantemente, pulsano di vita, con compostezza. I suoi corpi sono così reali e nello stesso così surreali, lucenti, scintillanti che pare di scorgere in essi mitici ed epici eroi ed eroine. La loro gestualità è regale, ma sono uomini e donne come noi.
Pittore
Nasce ad Ivrea, all’interno delle sale dell’Ordine degli avvocati la collezione d’arte contemporanea intitolata a “Luigi Palma di Cesnola”. E’ un interessante esempio di dialogo e confronto tra il mondo degli artisti contemporanei e la giustizia unico nel suo genere. La sua missione è quella di sviluppare e promuovere la creatività artistica e la cultura nelle sue distinte manifestazioni, attraverso l’esposizione, la ricerca e la diffusione. La collezione, che parte con una selezione di undici artisti scelti da una commissione composta da avvocati estimatori dell’arte contemporanea e collezionisti, giornalisti, critici d’arte, focalizza l’investigazione sulla figura dell’artista, le sue nuove attribuzioni e le competenze necessarie per essere riconoscibile anche alle luce delle trasformazioni innescate dai processi della meta-cultura globale. Analisi dei diversi contesti e delle sinergie che raccontano nuovi aspetti della realtà contemporanea, promozione culturale, sono tra i principali fini della collaborazione tra gli artisti e l’Ordine degli Avvocati.
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NEWS PROGETTI
ASSOCIAZIONE AtbEdizioni, una casa editrice che di tradizionale ha veramente poco! Siamo parte integrante e fondanpromuoverne la lettura. L'attività economica è quindi secondaria e sussidiaria all'attività culturale. Noi ci occuperemo della realizzazione, della diffusione, della promozione e dell'immagine dell'opera. Proprio per presentare te di Atb Associazione culturale, siamo senza scopo di lucro. Tuteliamo, per conto dell’autore, la paternità dell’opera e svolgiamo l’attività di edizione, comunicazione, distribuzione destinata a al pubblico il prodotto migliore possibile, collaboriamo con specialisti di settore che propongono una vasta gamma di servizi editoriali in convenzione di seguito descritti. I servizi editoriali sono rivolti a tutti coloro che hanno un libro nel cassetto e desiderano renderlo al meglio per presentarlo a noi, ad altri eventuali editori o autoprodurlo; ma anche a enti o aziende che ne facciano richiesta per scopi promozionali o divulgativi. Ognuno dei libri contenuti a catalogo è da noi editato, corretto e corredato da codice isbn.
FAM è un museo che nasce dalla volontà di perpetuare e attualizzare la tradizione tessile del Villaggio Leumann. Unico nelle sue linee guida sul territorio sorgerà all’interno dell’Ex Cotonificio voluto alle porte di Torino dall’imprenditore svizzero Napoleone Leumann nel 1875. Dedicato a una delle più antiche e allo stesso tempo contemporaee arti , il Fiber Art Museum accoglierà i visitatori invitandoli a scoprire la storia, l’innovazione e l’originalità della creatività tessile. Autentica testimonianza della tecnica, dell’estetica, del valore sociale e culturale nella tradizione dell’uso dei tessuti e dei filati, il Museo affronterà con approccio antropologico in prima istanza, tutti gli aspetti legati alle produzioni dell’antico Cotonificio: dalla lavorazione delle fibre alla progettazione di nuovi e originali filati, dalle innovazioni tecnologiche al design di futuristici tessuti. Pilastro sul quale poggerà il Museo: la promozione della Fiber Art contemporanea come mezzo espressivo e creativo.
La cultura, per assolvere alla sua funzione quella cioè di migliorare le esistenze tendendo verso nuovi orizzonti, deve essere condivisa.. Partendo da questa riflessione Atb Associazione Culturale e Galleria d’arte, ha intenzione di creare una piattaforma di condivisione di pensiero, ricerche, scritti e analisi approfondite su temi letterari e artistici. Tutti gli iscritti potranno diffondere contenuti curati nella loro realizzazione, donando a tutti coloro che vorranno usufruirne, i loro studi e le loro analisi. La piattaforma sarà aperta, quasi come una biblioteca, e i formati pdf potranno essere agevolmente scaricati. La scommessa è quella di superare insieme quelle caratteristiche proprie e uniche che qualificano gli italiani nel loro rapporto con la cultura. L’italianità, trova la sua espressione in quella che riteniamo sia la sua più evidente caratteristica: la totale indifferenza verso tutto ciò che da cui non trae profitto. Questo comportamento fa si che le piattaforme e le informazioni in esse contenute siano utilizzate solo in parte acquisendo le nozioni di cui si necessita e ignorando deliberatamente la possibilità di condividere le stesse con gli altri, per il puro piacere di farlo.
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