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ATB MAG – PERIODICO DI ARTE E CULTURA – ANNO 2017 – NUMERO 2 – APRILE / GIUGNO



ARTISTA OGGI HA SENSO?

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Facciamo un po’ di chiarezza in D’altra parte gli artisti la devono questo momento storico che non lasmettere di ripetere come un man______________________________ scia spazio a speculazioni interpretatra “A che serve continuare ad tive di sorta. La crisi sociale prima esporre se tanto i galleristi -cattiviancora che economica è reale ed in non vendono i miei quadri?”. Certo questo buco nero in cui è precipital’odierno meccanismo dell’arte è ta la cultura italiana, a farne le spese percepito come iniquo, capace solo sono soprattutto gli artisti! Mi sono di mandare avanti i soliti noti, i più domandato però è davvero solo ricchi a discapito dei meno fortunaquesta la pestilenza che ammorba il ti. In realtà, credo che sarebbe più lavoro dei creativi o c’è dell’altro? TRADIZIONE giusto e onesto domandare a sé stesDa più parti si sentono lamentele per si il motivo profondo ed urgente che E le continue delusioni a cui sono spinge a disegnare, dipingere, scolsottoposti i malcapitati creativi rei pire e, se si scopre che l’obiettivo è FUTURO solamente di aver creduto in un quello di arricchirsi per riscattare sistema dell’arte ormai incancrenito. una vita anonima attraverso la celeSpesso spuntano come margherite a brità…? Essere artisti non vuol diprimavera coloro che propongono re seguire le mode, non vuol dire un nuovo sistema dell’Arte, uno possibile uno aspettare il tempo in cui anche l’ultimo degli “Altro”, salvo poi scimmiottare quello già imbrattatele o il neo diplomato all’Accademia esistente ricavandone indebiti guadagni sulle diventino campioni d’incassi. Essere artisti, spalle dei meno accorti. L’odierno sistema della significa avere una visione, misurarsi con arte data idealmente 1847 anno della prima coraggio ogni giorno con un campo vuoto su cui mostra degli “Artisti Indipendenti”, organizcreare, una tela bianca da riempire, studiare ozata dagli impressionisti che presero parte al sempre senza attendersi di diventare milionari “Salon des refusés”, presso lo studio del fotocome un giovane calciatore o un cantante di grafo Nadar. Questi artisti compresero che una Amici. Ma allora a che pro fare l’artista se non vera rottura con il sistema elitario delle mostre paga! E no, paga eccome! Ma, visto che di Accademiche, poteva essere portato avanti tempi migliori non se ne vedranno molto presto solamente dall’interno del sistema stesso sostie i compratori sono coloro che possono trarre tuendo al principio dell’esclusione quello della profitto dalla crisi sconquassando tutti gli inclusione. Personaggio chiave di questo camambiti del fare, soprattutto quello culturale, biamento epocale quel Paul Durand-Ruel che, paga innanzitutto con la crescita personale e da vero pioniere, cominciò ad offrire un’arte di professionale e solo successivamente pagherà cui ancora non si sentiva il bisogno, procon quella economica. Il mercato della cultura ponendo per primo le opere degli imprese dell’arte è brutale, come qualunque altro sionisti e garantendosi di fatto il monopolio mercato. Ha le stesse regole spietate in tutto il della loro produzione artistica, investendo nelle mondo: qualcuno spende, altri guadagnano; c’è opere pagandole in anticipo e garantendo enchi fa gavetta tutta la vita e chi neanche un po’ trate fisse agli artisti, fondando riviste di critie il potenziale artistico di un ragazzo può ca d’arte, introducendo le mostre personali. essere immenso, ma restare commercialmente Queste, per i più, dovrebbero essere ancora nullo. Il mercato però è solo una parte del oggi le caratteristiche fondanti del mestiere di mondo dell’arte:continuare a biasimarne il mercante d’arte. Ma vi rendete conto! E’ sistema perché al suo interno si occupa un ancora possibile oggi un sistema di questo tipo? ruolo marginale, significa solo sottrarre tempo Sono passati quasi due secoli! Siamo in un’era ed energia al proprio lavoro. In questo di cultura globale, di meschini speculatori reinparticolare momento gli artisti devono superare ventatisi mercanti d’arte, di collezionisti intei vecchi concetti, rimboccarsi le maniche con ressati ad avere deduzioni dalle tasse più che a umiltà, essere professionisti, investire su loro comprendere il messaggio di un artista, come si stessi, lasciare ad altri la sterile arroganza di può pensare che un tale sistema sia sostenibile chi si sente arrivato, vendere alle persone o etico al giorno d’oggi! realmente interessate a capire il messaggio delle


vostre opere e se qualcuno non dispone di grandi mezzi, accordategli agevolazioni e soprattutto non siate esosi o “ridicoli” nelle vostre richieste economiche anche con chi se lo può permettere! Tutti meritano la bellezza e se ai vostri potenziali compratori riservate le stesse “attenzioni” che certi galleristi riservano a voi … poi non potete lamentarvi se nessuno vi conosce o vuole acquistare le vostre opere. Dobbiamo tutti piantarla di credere che il mondo sia quello della tv, dello star system. Il mondo è fatto di dirigenti d’azienda, sì, ma anche di ortolani, panettieri, insegnanti, operai. Mentre cerchiamo di superare le leggi non scritte del mondo dell’arte sostituendole con altre più contemporanee ed etiche, facciamo in modo di applicare le parole di Albert Eintein “Parlare di crisi significa promuoverla; non parlarne significa esaltare il conformismo. Cerchiamo di lavorare sodo, invece. Smettiamola, una volta per tutte, l’unica crisi minacciosa è la tragedia di non voler lottare per superarla.”...Ne gioveremmo credo, un po’ tutti quanti. Alessandro Allocco


N.2 Giugno 2017 Fondatore/coordinamento editoriale Alessandro Allocco alessandro.aitmart@gmail.com Editore Atb Associazione Culturale sede legale: Corso Verona, 21 10152 Torino

Editore Atb Associazione Culturale sede legale: Corso Verona, 21 10152 Torino Cod.Fisc/P. IVA: 97794780011 email: email: atbartgallery@gmail.com

Cod.Fisc/P. IVA: 97794780011 email: email: atbartgallery@gmail.com Contributi giornalistici Mariella Bogliacino Maria Erovereti Silvana Nota

Contributi giornalistici Dublin - Cork Tony May Firenze Edward Piastro

Ringraziamenti Paola Barbarossa Emanuele Paschetto Piero D’Agostino Livio Taricco

Magna Grecia Antonio Fontana

In collaborazione con

Mina Castronovi

Copertina Jeremy Mann

Ortigia Alessandro Allocco Con il contributo di Antonio Zito

Progetto grafico Paola Di Giorgio

Paris - Bordeaux Cleméntine Mercier

Pubblicità A cura dell'Editore

Ringraziamenti Giacomo Trimarchi di Villa Marchese Tony Fanciullo

Piattaforma issuu.com Contatti atbartgallery@gmail.com

Fondazione Inda

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ATB Mag In coordinamento editoriale Alessandro Allocco alessandro.aitmart@gmail.com

Comunità Europea Puglia Promozione Regione Puglia

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le illustrazioni della pagina precedenti sono tavole originali di Jeremy Mann


IN QUESTO NUMERO Illustrazione

7

Artista dall’età incerta: Andrés Abré di Alessadro Allocco

Libri

11

L’albergo dei gatti - Giovanni Cordero con il contributo di Paola Barbarossa

Poesie

13

Non Credo - Dorothee Solle con il contributo di Emanuele Paschetto

Immagini

15

il bosco delle possibilità 2 un racconto di Maria Erovereti

Personaggi

19

La Bellezza, il Sogno - Cosimo Savina con il contributo di Piero D’Agostino – Livio Taricco

Mostre

21

Fotograf(ars)i è … amarsi di più di Redazione

Società

25

grazie alla collaborazione di Silvana Nota

Il Tempo e la Memoria 2017 – Palazzo Lomellini Arte Contemporanea


29

France

Autoportrait AnoNyme

par Cleméntine Mercier

33

Ortigia TEATRO CLASSICO e GIOVANI TALENTI

amore per il passato , sguardo al futuro redazione

37 Ireland

Street art Becomes stamp art – Express yourself

41

Contributions of Tony May

Magna Grecia

grazie a Unione Europea, Regione Puglia, Puglia Promozione

ONIRICO...SURREALISTA O...FERRETTI? Con il contributo di

Antonio Fontana

MASSA’-FARA

Incontro con l’archeologa Mina Castronovi

47

Firenze

Realistico Toscano

con la collaborazione di Antonio Zito

51

news-progetti-Associazione


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Artista

etĂ

dall’

incerta


In questo numero intendiamo fare chiarezza. Intendiamo quindi confondervi le idee, confutare certezze, instillare dubbi. Non esiste in realtà una cosa chiamata arte. E’ un’affermazione che ci viene dall’esperienza che l’età porta con sé. L’arte non è neanche un concetto astratto come la passione o l’amore è piuttosto una summa di tutti i sentimenti umani. Esistono poi quelli che chiamiamo artisti che sono un po’ dei catalizzatori e “traduttori” se vogliamo di tutte quelle emozioni. Sono uomini e donne che riescono ad oggettivare, a dare una forma consapevole all’arte. Da sempre esistono questi “fari nella notte”: un tempo segnavano la roccia con strumenti appuntiti tracciando le sagome di bisonti, cervi, uomini, oggi invece acquistano colori, pennelli, matite, penne, aspettano davanti ad un obbiettivo che sia il momento giusto, raccattano rifiuti per strada e li trasformano, passano ore davanti ad un pc ed un programma di grafica, scrivono su cartelloni pubblicitari o passano in loop video nelle metropolitane.Non sbagliamo certamente se definiamo tutte queste attività come arte. Dobbiamo però tenere ben presente che questa parola “Arte”, può assumere caratteri e significati assai differenti tra loro. Di questo concetto ha fatto tesoro Andrés Abré, un artista dalle mille connotazioni che difficilmente riusciremmo a imbri-

Pseudonimo dal sapore latino americano che identifica la creatività di un artista tutto italiano. Poliedrico, mai uguale a se stesso Andrés Abrè è illustratore, scrittore, creativo esperto di marketing; una miscela esplosiva, un artista dalle idee e colori esplosivi, un artista non solo dall’età incerta, impossibile da catalogare.

gliare, come d’abitudine per noi, in sterili categorie. E’ uno scrittore; i suoi libri storici uniscono al rigore accademico nell’identificazione delle fonti una scrittura agile e dinamica tale da rendere piacevoli e fruibili periodi oscuri della storia umana; è illustratore in grado di condensare in una tavola lo spirito di un intero libro; è pittore; è creativo e anche ottimo venditore. Un artista senza tempo, senza età, senza “fissa dimora” artisticamente parlando. Riesce con le sue opere ad esorcizzare il concetto di Arte con la A maiuscola tanto caro a critici e pubblico quasi a diventare un feticcio di cui non si può fare a meno. Spesso i critici d’arte (personaggi devianti) sembrano avere certezze dogmatiche su cosa sia arte e cosa non lo sia e altrettanto frequentemente sentenAtb Mag 8


ziano sulle opere definendole ed incasellandole in categorie precostituite. Abre le supera queste categorie. Non esistono modi giusti o sbagliati per fruire di un’opera d’arte. A qualcuno sono più congeniali i ritratti o i paesaggi o le opere astratte, ma certamente tutti sono indotti a ricordare mille cose capaci di influire sulle nostre reazioni alle emozioni che dalle opere scaturiscono. Abré su questo fa leva. Le sue opere sono la summa di ricordi, di sollecitaZioni visive, di segni, di attenzioni, frugano nella nostra mente superando anche i pregiudizi o i preconcetti facendoci scorgere la bellezza che desideriamo vedere nelle immagini che ci vengono proposte. Ma veniamo ai tratti distintivi dell’opera di Abré. E’ innanzitutto illustatore, ma anche scrittore appassionato. Una dualità che si percepisce in tutte le sue creazioni artistiche che fondono l’originalità con il rigore dello scrittore abituato a verificare le fonti e ad ordinarle in un complesso coerente ed organico. Una prerogativa stilistica la sua, un linguaggio dominato da personaggi ricorrenti che costituiscono elemento di continuità anche tra opere in palese rottura con i temi del passato. Rappresenta complessi mondi Abré, più interiori che esteriori, densi di significato in perenne esplorazione di nuovi universi narrativi. Alcuni suoi lavori sono iconici, ma non scadono mai nel banale, recano sempre un profondo significato nascosto quel tanto che basta da costituire per lo spettatore un piacevole impegno intellettuale necessario al fine di assaporare e comprendere meglio il concetto sotteso, lo spessore artistico, formativo e letterario dell’opera. Abré non si limita a produrre illustrazioni. Lo spirito critico connaturato alle opere stimola il piacere della scoperta negli spettatori, abitua il fruitore all’anticonformismo lontano dall’omologazione del gusto al comune sentire, affascina, attrae, stupisce quanto a originalità e passione. Il primato indiscusso della comunicazione di massa, la dittatura delle immagini e delle loro valenze simboliche ovunque presenti oggi come mai in tutta la storia umana, sono le caratteristiche preminenti dell’era che stiamo vivendo.

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Il nostro XXI secolo propone le immagini con una tale esuberanza che gli altri modelli comunicativi appaiono talvolta scarni, quasi complementari o meramente di supporto 7 all’esperienza visiva. Approfondire le relazioni tra linguaggio verbale e linguaggio visivo attraverso racconti che diventano immagini ed immagini che si trasformano in racconti è l’obiettivo di Andrés Abré, pseudonimo dal sapore sudamericano che identifica un’artista, illustratore, scrittore del tutto italiano. Le opere di Abré sono mezzo espressivo di un contemporaneo “Troubadour” che attraverso di esse racconta, declama, canta la sua terra, le sue esperienze; sono un percorso quasi salvifico e fintamente anacronistico, direi quasi controcorrente, attraverso paesaggi reali e mentali che violentano le barriere visive proiettandoci oltre la rappresentazione. Monitors, televisori, computers, sono oggetti sempre più ossessivamente presenti nel nostro quotidiano. Da questo assunto Abré parte e dalle immagini ossessive che dai display sono proposte trae il colore, i cromatismi arricchiti e sovrabbondanti, le forme essenziali, le linee curve e spezzate, la bidimensionalità voluta e ricercata in una sorta di gioco straordinariamente essenziale. Sono questo i lavori di Abré, con un particolare pregio su tutti: il racconto, la narrazione non ridotta a banale slogan, didascalia o a sgrammaticato sms, ma vero e proprio “verbo” incomparabile veicolo di memoria e conoscenza. I nuovi orizzonti artistici che Abré ricerca attraverso lo spettro cromatico e l’uso delle forme geometriche asservite al racconto caratterizzano le sue opere volte al futuro, ma estremamente attente a proseguire con costanza una continuità con quei quadri che sembrano aspettare che qualcuno li racconti o con quelle storie che anelano ad essere illustrate.

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Da Granville

a

NEW YORK

a tempo di rivoluzione

Un filo temporale che va dal 1793 fino ai giorni nostri e a una apocalittica visione di un Nuovo Evo Rivoluzionario è quello attorno al quale si intrecciano le vicende narrate in questo romanzo. Fanno da palcoscenico varie località, da Granville, in Normandia, a Lagačevo, in Russia, fino alla moderna New York. Tutto ha inizio con la scomparsa di Frances Cassignac, una appassionata e pericolosa anticonformista, la cui storia personale sarà poi oggetto della seconda parte del romanzo. Scopriremo pagina dopo pagina i limiti e i pericoli del potere, la ferocia e la bestialità umana e il grande valore dell’emancipazione femminile, mentre dalle pagine fanno man mano capolino dei bizzarri gatti i cui nomi, Thomas, Petra, Mozart, Sophie, ricorrono nel tempo. Tutto sembra scorrere come in un ciclo magico, personaggi che compaiono, scompaiono e poi ricompaiono trasversalmente in luoghi e momenti differenti, reincarnazioni di loro stessi in cerca della verità e della risposta a Atb Mag 11

domande profonde e scomode che l’uomo si pone da intere generazioni sul senso della vita. «Ovunque io sarò, in questo o in unaltro mondo, l’Albergo dei Gatti saràcon me, sarà il mio stesso spirito,la zattera che mi trasporterànell’oscurità come nella luce… E levatosi appena il copricapo con la coccarda tricolore in un accenno di saluto se ne andò, facendogli intuire che non voleva essere coinvolto nella storia della Cassignac e del suo strano club di intellettuali…». Tre epoche diverse, uno stessoluogo, un intreccio spettacolare tra realtà e narrazione, ad opera del critico d’arte Giovanni Cordero, tra le onde di un tempo che ci trasporta, lieve ed intenso. Questo l’ultimo libro di Giovanni Cordero presentato a maggio alla Galleria d’arte Contemporanea e Laboratorio Creatio Martinarte di corso Siracusa, 24/a da Paola Barbarossa. Giovanni Cordero, psicologo e critico d’arte, vive e lavora a Torino. Ha pubblicato nel 2012 il romanzo Silenzi e Il destino alle 18 per la casa editrice Psiche di Torino


Selezionato al Premio Pannunzio 2013, e il racconto lungo “Il velo da sposa” all’interno del libro antologico Il gusto del Piemonte, Conti Editore, Morgex (AO) nel 2012, primo classificato al premio nazionale “Libri da gustare 2014”.

con il contributo di Paola Barbarosa

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Dorothee Sölle Atb Mag 13

Non credo al diritto dei più forti, al linguaggio delle armi, alla potenza dei potenti. Voglio credere ai diritti dell'uomo, alla mano aperta, alla potenza dei non-violenti. Non credo alla razza o alla ricchezza, ai privilegi, all'ordine della forza e dell'ingiustizia: è un disordine. Non credo di potermi disinteressare a ciò che accade lontano da qui. Voglio credere che il mondo intero è la mia casa e il campo nel quale semino, e che tutti mietono ciò che tutti hanno seminato. Non credo di poter combattere altrove l'oppressione, se tollero l'ingiustizia qui. Voglio credere che il diritto è uno, tanto qui che altrove, che non sono libera finché un solo uomo è schiavo. Non credo che la guerra e la fame siano inevitabili e la pace irraggiungibile. Voglio credere all'azione semplice, all'amore a mani nude, alla pace sulla terra. Non credo che ogni sofferenza sia vana. Non credo che il sogno degli uomini resterà un sogno e che la morte sarà la fine. Oso credere invece, sempre e nonostante tutto, all'uomo nuovo. Oso credere al tuo sogno, o Dio, un cielo nuovo, una terra nuova dove abiterà la giustizia


Teologa e scrittrice femminista tedesca, nasce nel 1929 a Colonia. Nell’Università della sua città, oltre a quelle di Friburgo e Gottinga, si dedica allo studio dell'antichità classica, della letteratura tedesca, della filosofia e della teologia e, dopo un breve periodo di insegnamento ad Aachen, accetta la cattedra all’Università di Colonia nel 1972 conseguendo nel contempo un’abilitazione all’insegnamento della teologia evangelica presso l’Università di Magonza. Docente di teologia sistemica a New York, deve la sua notorietà alla metà degli anni Sessanta in quanto annoverata tra gli esponenti della cosiddetta "Teologia della morte di Dio". Sua la proposta di una «cristologia postteistica»: per l'uomo che dopo la "morte di Dio" vive in una situazione di alienazione, il modo di avere un'esperienza di Dio (ritrovando così la propria identità) è dato dalla possibilità di assumere come proprio "rappresentante" il Cristo. Questa teologia della "rappresentanza" ha suscitato molte polemiche e reazioni. In seguito il suo pensiero si è accentuato sulle dimensioni della prassi e della politica. Compito dell'uomo è quello di impegnarsi a fondo per la «causa di Gesù nel mondo». È morta nel 2003 spesso questa teologa ha affidato la sua riflessione alla poesia, com'è il caso anche di questa composizione. Con un testo di immediata comprensione, l'autrice comunica le dimensioni della sua fede e l'opposizione a tutto ciò che non è riconducibile allo sviluppo della giustizia nel mondo. Autrice di molti libri, si presentò al pubblico nel 1966 con il saggio Steilvertretung. Influenzata dalla demitizzazione di Rudolf Bultmann e dal dibattito sulla fine del teismo e dei concetti tradizionali di Dio, la teologa tedesca elaborò il concetto di Gesù Cristo come rappresentante di Dio tra gli uomini, In due successivi lavori, Sofferenza del 1973 e Simpatia del 1978, la Solle attaccò inoltre quello che lei definiva “sadismo teologico”, un’esasperata forma di rimarcare i temi della sofferenza e del dolore a cui contrapponeva una compassione, simpatia ed empatia che noi sviluppiamo in presenza del dolore altrui. Il rifiuto inoltre dell’etica dell’ubbidienza, dell’autoritarismo dogmatico e patriarcale, porta a favorire una libera e consapevole scelta degli uomini, una comune lotta contro il sessismo, l’antisemitismo e le forme autoritarie al fine di sviluppare una vera comunione. Attivista contro la guerra in Vietnam, la corsa agli armamenti e la guerra fredda si distingue per il suo pensiero progressista fino al 2003, anno della sua morte.

con il contributo di Emanuele Paschetto

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Il bosco delle possibilitĂ

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Com’è piccola! Una fatina davvero minuscola! I suoi compagni si voltano verso di lui. - Siamo arrivati – annunciano. Un’improvvisa gioia l’assale, gli sembra di essere tornato bambino e d’aver ritrovato i suoi favolosi amici, più reali che mai! Il posto è animato da un brulichio variopinto e luminoso. Quante strane creature! Sembrano riunite per un evento speciale. Dodi e Colorella lo conducono tra loro. - Siediti pure – lo invita Colorella indicando un morbido e gigantesco fungo. Acconsente ma con un certo sforzo, e mentre guarda in basso per verificarne l’altezza, poiché non raggiunge il terreno coi piedi, scopre che… questi sono piccolissimi, e le gambe… minuscole e morbide… come quelle di un bambino… E anche le mani… rosee e delicate manine di bimbo! - Iridio, sai bene che un adulto non può entrare nel Bosco delle Possibilità! – gli fa notare Colorella. Ma come ha fatto a tornare bambino senza accorgersene? Quando è accaduto? - Da quando ti ho preso la mano per attraversare la Porta Verde – spiega la fatina – hai cominciato ad abbandonare l’aspetto che avevi. - Quando ci siamo incontrati – lo informa l’orsetto – eri già così. Ma io non sono un bambino, ho solo l’aspetto di un bambino! - No, quello che noi abbiamo invitato a seguirci è il bambino che si nascondeva nell’adulto – dice Colorella. - Se non avessimo riconosciuto il nostro amico, non saremmo tornati – aggiunge Dodi. Iridio si guarda intorno, tutte le creature gnomi, fate, folletti e farfalle multicolori - si sono avvicinate al fungo su cui sta seduto come su un trono. Comprende che l’evento per cui sono riunite è proprio la sua presenza lì. - Ecco il Grande Saggio, – dice Colorella indicando uno gnomo con una lunga barba bianca – ha voluto che c’incontrassimo presso il suo albero per poterti salutare. - Bentornato Iridio, sono proprio contento di vederti!

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– l’osserva con occhi ridenti – Era da tanto che non s’incontrava un bambino da queste parti! – aggiunge in tono più sommesso. Ha l’aria d’essere molto, molto vecchio, quanto o più dell’albero in cui dimora, ma è uno strano modo d’essere vecchio, non come gli umani: non è cadente, lo sguardo è pacato eppure vivace, e i movimenti sono lenti e maestosi, sì, lenti e maestosi e tuttavia decisi ed energici. È una vecchiezza senza età, nata con lui, dall’inizio fino alla fine del tempo. - Ciao, Grande Gnomo Verdone! – si sente salutare. Rimane senza fiato: come fa a sapere il suo nome?! L’altro sorride felice, guardandolo divertito. - Caro Iridio, che piacere! Ti ricordi ancora di me nonostante sia passato tanto tempo! Tanto tempo? - si chiede stupito – tanto tempo da cosa? - Già, abitavi ancora nella casa sulla collina, vicino al bosco… Ah, la sua indimenticabile casetta! - …Poi, dopo che sei andato nella Grande Città… le tue visite sono diventate sempre più rade – conclude con un sospiro malinconico. - È vero, diventava sempre più difficile trovarvi tra quelle case altissime, tutte uguali e senza un bosco… e poi – aggiunge dopo un attimo di riflessione – non c’era nemmeno il piccolo gnomo della porticina segreta… Durante il trasloco il pastello si era irrimediabilmente rovinato; papà gli aveva promesso di farne un altro, ma poi non aveva mai trovato il tempo per mantenere la promessa. Infine, ritenendolo ormai grande, gli aveva regalato il poster di un metallico eroe volante. - Anche noi voliamo! – dice una vocina acuta sopra la sua testa. - …E siamo molto più belle! – osserva un’altra. - Perché non hai scelto noi?! - Il Grande Saggio non ha ancora finito – interviene un piccolo gnomo – non siate le solite impertinenti, lasciatelo parlare! - Verdicchio ha ragione, non potete essere sempre voi in primo piano! – aggiunge un altro gnometto. - Ben detto, Pistacchio! – approva Verdicchio – voi volete sempre primeggiare! - Uffa…! E voi allora?!…. Iridio sente un concitato batter d’ali allontanarsi alle sue spalle, ma non riesce a vedere di chi si tratti. Gnomo Verdone riprende la parola. - Eh, sì, da voi i boschi diventano sempre più rari …così come da noi le visite dei bambini… - Davvero?!… - Oh, prima era una continua festa! – ricorda eccitato Verdicchio. Il luogo si anima improvvisamente. - Ben detto, ben detto! Era una continua festa – conferma Pistacchio – proprio così, non ci si fermava mai! - …E quanti personaggi popolavano il Bosco! – continua il Vecchio Saggio con lo sguardo scintillante di gioia. Fantastiche creature dalle forme e dai colori più disparati svolazzano per un po’ sul prato e tra le piante, poi svaniscono. - Ed ora perché non ci sono più? – chiede Iridio – Anche il Bosco è stato invaso dalla Grande Città? - Oh, no! La Grande Città non potrebbe mai invadere il Bosco Illimitato delle


delle Possibilità! – protesta un coro di vocine intorno a lui. - Il nostro mondo non è in quello della Grande Città – spiegano Dodi e Colorella. - È così, – conferma Gnomo Verdone – si tratta di due differenti dimensioni… però la Grande Città ha invaso i bambini… - conclude tristemente dopo una pausa. Iridio lo guarda perplesso: ha invaso i bambini? - Sono loro il tramite tra i nostri mondi – spiega – ora però i bambini non sanno più cos’è un bosco e, …nonostante i nostri tentativi di aiuto, non riescono ad arrivare fin qui… - Quindi non ci conoscono! - Ben detto, Verdicchio, ben detto! – approva Pistacchio – nonostante i nostri sforzi, non ci conoscono! - Le loro possibilità sono ora racchiuse in piccole scatole senza alcuna magia e in cui non possono viaggiare liberamente – sospira Colorella, mentre i colori del suo vestito si smorzano. - E anche quei pochi che son capaci di farlo, non riescono ad arrivare da noi… aggiunge Dodi. - …e gli amici che li accompagnano sono pochi e sempre gli stessi… - si duole una graziosa fatina da sotto un cespuglio...e sono...sono enormi- esclamano all’unisono …proprio tanto tanto enormi! – ripetono i coniglietti, spalancando gli occhi e le braccia. - …ma hanno poca magia e svaniscono presto! – obietta la piccola fata. - Oh, sì, Libellula ha proprio ragione! – interviene una Farfalla esibendosi in una serie di trasformazioni floreali – non hanno certo la nostra magia! Una nuova visione si allarga dinanzi agli occhi di Iridio: in un Bosco sconosciuto e selvaggio scorrazzano Giganteschi! Draghi senza fuoco e incapaci di volare. Se s’incontrano diventano terribili: ingaggiano tra loro delle lotte feroci che si concludono sempre, spietatamente, con la fine del più debole. La scena si ripete più volte sotto il suo sguardo stupito. Non aveva mai visto tanta cattiveria: nel Bosco nessuno mai soccombeva e anche i draghi più temibili, che nulla potevano contro la buona magia di gnomi e fatine, sconfitti, avevano sempre la possibilità di fuggire altrove. - Purtroppo è così, la Grande Città, con la sua apparente tolleranza, li invade senza rimedio – conclude Gnomo Verdone allargando le braccia intorno al capo come per indicare la testa dei bambini – li invade senza rimedio – ripete desolato – e noi non riusciamo più a raggiungerli. Poi di nuovo il suo sguardo s’illumina. - Quanti simpatici amici ci hai portato tu! – sorride tra sé, inseguendo i propri ricordi. Iridio ha la sensazione che i colori del Bosco diventino più intensi e vari così come le creature che lo circondano. - Ci è consentito parlare adesso? – La vocina penetra acuta nel silenzio vivacemente colorato che il Grande Saggio ha diffuso intorno a sé. Non si ha il tempo di rispondere che un fruscio di petali sciama e si posa ovunque intorno ad Iridio... II Parte di un racconto di Maria Erovereti


La BELLEZZA, il SOGNO COSIMO SAVINA

con il contributo di Piero D’Agostino, Livio Taricco

La fotografia in Italia oggi è sempre più annoverata tra le forme d’arte e gode di egual considerazione al pari di pittura e scultura. Molti passi si sono fatti negli ultimi decenni per portare il nostro Paese al livello degli altri Paesi europei, moltissimi sono ancora da compiere per far in modo che i nostri connazionali considerino l’arte e la cultura come importante componente della vita quotidiana. Purtroppo, nonostante gli sforzi, molta critica ufficiale accetta malvolentieri di riconoscere la qualità di opera d’arte quando si parta di fotografia e questo nonostante il riconoscimento culturale e giuridico che questa forma espressiva si è guadagnata sul campo non senza difficoltà. Diatribe interminabili tra gli oppositori per i quali un procedimento chimico/meccanico a consumazione pressoché istantanea non contiene in sé quell'attività intellettiva propria della creazione artistica e i caldeggiatori che invece proclamano che la macchina fotografica deve essere considerata un mezzo, alla stregua di un pennello o di uno scalpello, attraverso la quale l'artista-fotografo arriva a concretizzare una propria idea creativa. Diatribe francamente inutili, soprattutto se tra le mani ci capita un’opera di un artista di talento come Cosimo Savina. Ho avuto la fortuna di conoscere quest’uomo semplice, dal tono di voce tranquillo che non riesce però a celare un’inquietudine e una passione tipiche degli artisti. Conversiamo per più di qualche ora, è molto interessante tutto quello che ha da comunicare come certo sanno i suoi innumerevoli allievi. Scopro alcune sue opere che, al contrario di quelle odierne poco conoscevo e mi trovo coinvolto in un modo decisamente inusuale per me. Atb Mag 19


Grigi e neri intensi appena smorzati da una sottile patina, quasi un velo di nebbia che ammanta paesaggi immaginari elevandoli alla dignità del ricordo; forme naturali che oscillano tra l’immaginario e il reale assumendo aspetto e sostanza proprie; consistenze immateriali poetiche e prosaiche allo stesso tempo. Mi ritrovo catapultato nel suo mondo in cui la luce scolpisce corpi, oggetti, dona loro candore, vita, sensualità, energia...posso solo immaginare come Savina percepisca il mondo che certamente è un luogo diverso rispetto a come lo concepisce la maggior parte delle persone! Le “Schiene” diventano organici paesaggi di marmo, le “Foglie” si trasformano in esseri di carne e sangue simbolo della solitudine o elogio della dualità amorosa struggente e passionale, i “Corpi umani” si dissolvono in un turbine di luce incoerente fatta della stessa sostanza della materia. Torno alla realtà e mi chiedo come l’Italia abbia potuto impiegare 30 anni dal 1948 (Convenzione di Berna sulle opere di ingegno) per adeguarsi ed includere anche le fotografie come possibili opere d’arte. Alla fine però, artisti come Cosimo Savina e alcuni suoi allievi che forse, con il tempo, supereranno il maestro saranno certamente ripagati; non solo con la crescita personale. Il loro studio, la professionalità, la creatività, la fatica, la passione, l’impegno, riconosceranno loro un posto tra gli artisti del XXI secolo.

Cosimo Savina nasce in provincia di Lecce nel 1955, vive e lavora a Torino. Dal 1982 è fotografo professionista e, a fianco alla quotidiana pratica professionale affianca la sua ricerca nel campo della fotografia d’espressione. -Tra le sue ricerche più significative ricordiamo: -1989 “schiene” -1992 “foglie” -1995 “più luce nelle cose della vita” -1998 “il corpo tra luce e materia” -2003 “il particolare ritratto”. Nel 2006, dopo un periodo in cui prevalentemente si dedica all’insegnamento fonda, grazie al bellissimo dialogo con i suoi allievi, il gruppo “Exilles 34”e, con loro porta avanti i progetti: “Come mi vedono gli altri”“Natuaramortanaturaviva” - “Il Vecchio, il Nuovo” - “Torino: la Storia, la Bellezza, il Sogno”


di Redazione Nature morte (o come si usa dire ora Still Life), figure, monumenti o parti di essi, rivelano la complessa bellezza della vita, in particolar modo se cristallizzate attraverso l’obbiettivo, vera e propria estensione degli occhi degli artisti che partecipano alla mostra Fotograf(ars)i ispirata dal fotografo artista Cosimo Savina, attualmente una delle figure più rilevanti nel panorama della fotografia d’arte contemporanea italiana. Gli artisti Vincenzo Acconcia, Manuela Albertengo, Paola Barbarossa, Guido Campanella, Massimo D’Oronzo, Luca Serafino, sono stati protagonisti dell’esposizione alla Martinarte di Torino. Bianco e nero, carte fotografiche dalla patina antica, formati accattivanti, allestimento d’avanguardia, sono tutti elementi che tessono abilmente la narrazione del mondo in prospettiva raccontato nella successione delle immagini all’interno della galleria. L’immagine immutabile che congela l’attimo, la fotografia, diventa parte di una invenzione dinamica nello spazio creativo dell’installazione. Le stesse immagini esposte, infatti, non hanno una tessitura narrativa rigida passando dall’uno all’altro degli artisti senza soluzione di continuità che muta in base al fluire narrativo di volta in volta scelto dagli artisti.

E allora ecco che una cipolla diventa omaggio alla fisica della teoria delle stringhe o una mela diventa protagonista di un quadro dal sapore metafisico o ancora un calice sublime elegia filosofica della solitudine. L’idea originale degli artisti era quella di riscoprire il mondo e se stessi attraverso autoscatti o studi del particolare per librarsi oltre la logica massificata e omologata dei selfie. Un punto da cui partire per celebrarsi e praticare la tecnica fotografica, capirla a pieno, superarne i limiti, testarne le potenzialità. Il risultato è stato un’esperienza ludica dietro e davanti l’obbiettivo; con la stessa disinvoltura che ha messo in luce la bellezza dell’unicità colta in maniera intima e personale da ognuno degli artisti. “La creazione di qualcosa di nuovo non è il mio interesse. Mi piace osservare molto da vicino, molto profondamente e documentare con precisione la mia visione. Cerco di usare il mio istinto, come se fossi un animale predatore. Cerco di non pensare. Resetto il pensiero e ascolto se vibra il cuore”. Con queste parole il maestro Kenro Izu identifica il suo lavoro, il suo impegno. Con queste parole possiamo descrivere il viaggio attraverso le metafore della vita, morte e decadimento attraverso il quale gli artisti di Fotograf(ars)i esprimono e rivelano la complessa bellezza della vita. Ma conosciamoli meglio questi artisti: Vincenzo Acconcia – un po’ lo sperimentatore del gruppo che nelle sue creazioni fonde inspiegabilmente (almeno per me) il rigore della tecnica fotografica con uno spirito ludico dando vita ad opere quasi camaleontiche che cambiano con il cambiare dei punti di vista e portano lo spettatore a chiedersi quale sia l’angolazione giusta – fisica o spirituale - per comprenderle. Emanuela Albertengo: all’apparenza seria, timida, posata e riflessiva è certamente forte, determinata e creativa un po’ impulsiva. E’ quella del gruppo maggiormente attenta al messaggio da trasmettere. Forse perché ha un passato da ballerina o perché fin da piccola ha respirato arte in famiglia. Le sue opere esprimono una perfetta dualità in linea con il suo carattere. Il chiaro-scuro delle sue composizioni non è però scomposto, segue rigide regole autoimposte che la aiutano a raccontare, a fare quasi della letteratura senza l’ausilio di alcuna parola.


Fotograf(ars)i è… amarsi di più Paola Barbarossa di formazione scientifica è quella che nel gruppo ama la sperimentazione. Da sempre attratta da tutte le forme letterarie passa dalle scienze del liceo alle materie umanistiche dell’università per poi sperimentare tutte le forme d’arte statiche o dinamiche alla costante ricerca della purezza delle forme, del reale, della verità come l’immagine che ci ritorna attraverso lo specchio. Guido Campanella: timido, ottimista è quello che del gruppo filtra le immagini attraverso la luce. La fotografia per lui è stata una scoperta, un mezzo per esprimere le sensazioni e le emozioni che lo coinvolgono e lo appassionano. Racconta attraverso un’estrema simmetria quasi scultorea della luce riflessa sugli oggetti il suo mondo, le sue immagini, il suo “nuovo inizio” come artista. Atb Mag 22



Massimo D’Oronzo: da sempre appassionato di fotografia tanto che da molto piccolo sperimentava e armeggiava con la vecchia macchina fotografica del padre è l’artista fotografo più “puro” del gruppo. Dalle vecchie vasche per lo sviluppo e la stampa attraverso l’informatizzazione (Massimo è informatico) e il digitale D’Oronzo si concentra sulla purezza focalizzando la sua attenzione sul togliere piuttosto che sull’aggiungere. I suoi lavori spaziano dal paesaggio allo still life, al ritratto, al time lapse (suo il lavoro costituito da circa 10.000 immagini proiettate a fianco delle opere di Ugo Nespolo nella metropolitana di Torino). Nonostante lo spirito inquieto che lo porta ad indagare i diversi campi dell’arte proposti al pubblico attraverso lavori di alta cifra culturale, Massimo D’Oronzo è profondamente innamorato della fotografia. Con questa tecnica realizza e propone splendide opere di livello internazionale. Ahimè però D’Oronzo è più artista che commerciale e per questo spesso, il pubblico non gli tributa il successo che merita.

Luca Serafino: tra tutti mi è sembrato quasi granitico nella suo modo tutto personale di essere espansivo e solare. Granitico anche nello sfidare le convenzioni realizzando foto del tutto “unconventional”. Le sue opere non ritraggono un mondo ideale o poetico, ritraggono il reale, il quotidiano in alcuni casi il “brutto” che però, attraverso la sua sensibilità e la sua capacità nel concentrarsi sui dettagli , superano i loro limiti oggettivi diventando quasi icone in aperta sfida con il sistema. Le fotografie di questi validi artisti riescono a trasferire lontano dal loro contesto e dalla loro funzione originale, cibo e oggetti. Straniando ciò che è ordinario creano nuovi modi di percepire l'esistenza abituale. Gli oggetti non solo cambiano di significato, ma spingono, inoltre, lo spettatore a ricostruire con la fantasia i passaggi sottesi alla nuova logica dell’immagine. E pensare che qualcuno ha ancora il coraggio di pensare che i fotografi non siano artisti...che gente!

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curatrice della mostra Silvana Nota “Il progetto della mostra, caratterizzato da una forte valenza di ricerca poetico-gestuale riunisce quattro artisti di rilevante cifra culturale, Mariella Bogliacino, Maria Erovereti, Fernando Montà e Rosa Sorda. Affini e al contempo diversi dialogano, seguendo il filo della dimensione legata al tempo e alla memoria, individuando in essa il substrato originario indispensabile alla contemporaneità e alla germinazione del futuro. Il percorso si snoda attraverso quattro isole monografiche per ciascun artista impegnato nell’elaborazione della propria versione del tema, a cui si aggiunge uno spazio comune, sezione introduttiva per evidenziare quanto il gesto artistico sia in grado oggi di nutrirsi di passato lasciandolo riaffiorare senza vincoli nè schemi, come energia viva generatrice di inaspettate opportunità di conoscenza.” Questa l’idea alla base della mostra “Il tempo e la memoria 2017” nelle parole scritte dalla giornalista e curatrice d’arte indipendente Silvana Nota. La mostra è stata inaugurata nella sontuosa sede di Palazzo Lomellini di Carmagnola ed espone intense opere di Mariella Bogliacino, Maria Erovereti, Fernando Montà, Rosa Sorda. L’organizzazione a cura dell’Associazione Piemontese Arte, presieduta da Riccardo Cordero è stata promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Carmagnola, in collaborazione con Palazzo Lomellini Arte Contemporanea, Carmagnola musei, Pro Loco Carmagnola, Abbonamento Musei Torino Piemonte, Turismo Torino e Provincia, Volontario per la mia Città, Antiche Vie del Sale.



“Il concetto di tempo ha sempre rappresentato uno spunto di riflessione a cui legare innumerevoli interpretazioni, a volte positive - quando nel futuro risiede la speranza di lenire dispiaceri o ricevere giustizia per i torti subiti – e, talvolta, negative, quando la “polvere del tempo” sottrae colore e limpidezza alla condizione dell’essere umano, inesorabilmente evanescente. Favorevole o avverso, il trascorrere del tempo si ripercuote sulla nostra percezione della realtà modificandone i tratti più salienti. In tutto questo, la memoria è la sola facoltà concessa per trattenere eventi, sensazioni e immagini, nell’incessante susseguirsi della nostra esperienza. Il tema che l’Associazione Piemontese Arte ha scelto di affrontare, in questo nuovo progetto a Palazzo Lomellini, è perciò complesso e audace. Gli artisti chiamati ad approfondirlo sono però interpreti sagaci degli “affari del mondo”, e sono certo, quindi, che il successo come sempre sarà per tutti garantito”. Questo il commento dell’Assessore alla Cultura del comune di Carmagnola Alessandro Cammarata. Sempre più spesso si parla della difficoltà degli artisti emergenti a farsi notare. Per artisti emergenti intendo quelli che partecipano ad ogni fiera, festival o che inflazionano le pagine dei social media con fotografie più o meno riuscite delle loro opere e che si lamentano fino allo sfinimento mettendo subito in chiaro che il “mondo non capisce la loro sublime arte”. Ma non sarà forse che questi emergenti non hanno nulla da dire? Me lo chiedo in buona fede mentre sto ammirando le opere di quattro artisti ormai affermati: Mariella Bogliacino, Maria Erovereti, Fernando Montà e Rosa Sorda. Un tempo anche loro sono stati emergenti e ora come allora, producono opere dal rilevante peso culturale sia dal punto di vista formale che da quello contenutistico. Si può dire lo stesso per le nuove realtà? I quattro artisti della mostra “il tempo e la memoria 2017” appartengono ad un tempo in

cui era necessario comunicare emozioni, un sogno, un ideale, un pensiero; viaggiare con la mente e condividere quel viaggio con tutte le persone pronte a immaginare, vedere, leggere oltre la superficialità. Oggi mi sembra sia tutto dichiarato, esposto e maledettamente piatto, senza sostanza. Gli artisti di un tempo erano dei visionari, oggi mi paiono televisionari. Video e internet hanno preso il posto del sogno fine a se stesso e, di fatto, pochi sono coloro che realmente si emozionano o si commuovono o ancora si stupiscono non solamente di fronte ad un’opera d’arte, ma di fronte ad un qualsiasi atto poetico o creativo; ancora meno sono coloro che si fanno coinvolgere in progetti senza una logica di ritorno concreta. Gli artisti, quelli veri come i quattro di Palazzo Lomellini sono esseri che ricordano, comunicano, emozionano e si emozionano; sempre un po’ fuori dal mondo quasi osservatori della realtà che li circonda.

Lampi di Memoria – Maria Erovereti


Ritengo che le giovani generazioni sempre attente a stupire a volte anche in maniera volgare se necessario, ostinatamente contro ogni sistema, in costante rottura con i banale salvo poi abbracciarlo se lo ritengono conveniente, abbiano molto da imparare! Artisti come Bogliacino, Erovereti, Montà, Sorda, sono per loro stessa natura fuori dagli schemi, non corrotti da un sistema massificato che tende a massificare perché sono saldi nella loro formazione, nelle loro convinzioni; conoscono e rispettano la loro capacità di creare, sognare e pensare in quanto sublime capacità dell’essere umano, la condividono e non vi rinunciano neppure se allettati da possenti gruppi imprenditoriali di marketing. Forse è proprio questo “deplorevole” atteggiamento, questa impossibilità di piegarsi a compromessi quando si tratta della loro arte che molti giovani emergenti devono imparare! Un atteggiamento convinto e professionale che, se vedesse più estimatori, correrebbe il serio rischio di cambiare la mentalità italiana...pericoloso non vi pare ?

Le opere di pag. 26 Mariella Bogliacino Fernando Montà Rosa Sorda

Simbologie e il Mito di Aphrodite - Canto d’Amore alla Madre Terra: Mariella Bogliacino presenta un’indagine poetica sulla Madre feconda generatrice di vita e bellezza. Lampi di Memoria: Maria Erovereti e la memoria ancestrale della Terra che ispira la sua poetica permeata di ricordo per persone e oggetti. Tracciati/Essenza: Fernando Montà tracciati lungo le tematiche ambientali e l’emergenza del dolore inflitto al Pianeta dall’umanità Architetture mistiche, geometrie della luce: Rosa Sorda archeologa del pensiero, scava nel patrimonio del passato alla ricerca di ciò che deve essere salvato Atb Mag 28



Autoportrait aNoNyme

Par Clémentine Mercier Sous une couche de trucs, Thorsten Brinkmann est là. Grand Duc Vasario, Venus del Whitespitz, Harmon di Kill, c’est lui. Les noms des personnages aussi sont de sa plume. Les objets qu’il collecte dans son studio de Hambourg, bien réels par contre (tapis, planche, velours, passoire...), constituent sa matière première. Assemblés, ils forment une sculpture que l’artiste anime, tel un automate immobile. A l’intérieur de ces constructions visuelles et colorées, le corps est une drôle de surface, à exploiter comme les autres. L’artiste travaille seul avec son retardateur. Il installe, s’installe, shoote : sculpture, performance, photographie. Une manière étonnante de renouveler le portrait. Pourquoi as tu décidé de cacher ta tête et ton corps ? Je voulais travailler avec mon corps et les objets que je collectionne depuis quelques années déjà, mais je ne souhaitais pas êtret.

vu dans mon travail. J’en ai un peu marre des performers des années 70, leur visage sont devenus trop importants, je trouve. Parce qu’ils ne se comportent pas naturellement. Ils essaient de n’avoir aucune expression, ce que je trouve tout le temps super énervant et trop sérieux. Ils essaiyaient d’être un objet par eux-mêmes, ils utilisaient aussi leur corps comme matériel. Ma manière à moi a toujours étéet est aujourd’hui simplement de le recouvrir. Ton corps semble être un matériel, mais c’est aussi une surface à recouvrir… Le corps comme matériel, oui, mais je voudrais aller plus loin. Ce n’est pas simplement une surface à recouvrir, plutôt un corps connecté aux objets. Comme un peintre ? Dans un certain sens, oui. J’utilise les objets aussi comme «donneurs de couleur» et mon corps est celui qui leur donne la bonne direction, et la bonne expression en trouvant la pose adéquate.

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Malgré cela, peut-on parler d’une série de portraits ? Définitivement, oui. C’est un autre aspect qui m’intéresse. L’artiste dans son atelier est une figure mythologique et le visage est le trait principal du portrait. Dans mon cas il s’agit aussi de l’artiste dans son atelier, mais aussi d’autoportrait et de représentation de ma façon de travailler, à travers ces portraits qui ont été pensés de manière classique. Tu as étudié avec Franz Erhard Walter, Johannes Blume, et Floris Neusüss : Trois artistes formidables qui ont développé un travail autour du corps. Qu’as tu appris auprès d’eux ? Je crois que les plus importants pour moi ont été Bernhard Johannes Blume et Franz Erhard Walther. Avec Floris Neusüss, j’ai surtout appris les performances des années 70, avec Berhard Blume je crois que j’ai appris plus de peinture et de réflexion par rapport à la vie de tous les jours. Que l’art est quelque chose de régulier, pas une religion, et que l’humour dans l’art est une chose importante. Franz Erhard Walter aussi a été bon pour moi, j’ai appris de lui que chaque chose qui t’arrive durant ton travail, devient ensuite une part de ce travail. Le théoricien Hans Joachim Lenger a aussi été très important pour moi. Grâce à lui, j’ai découvert Derrida, ce qui a énormément changé ma manière de travailler.

Thorsten Brinkmann, Calla Lampa, 2016 C-Print 84 x 63 cm, ed. 5 + 2 ap © Brinkmann + VG Bildkunst 2016 Bonn

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Cet exemple c’est juste pour faire comprendre a tous, combien soit important voyager et se confronter avec les autres cultures car j’ai eu la possibilité de connaître une conception de l’art et des artistes différente que la mienne. Ce n’est pas possible connaître soimême sans avoir connu d’autres personnes, d’autres endroits !

est né à Herne, Allemagne en 1971. Il a étudié la Communication visuelle à la Kunsthochschule Kassel et beaux-arts à la Hochschule für Bildende Künste, Hambourg. Brinkmann est mondialement connue pour ses portraits photographiques non conventionnelles et des natures mortes.

Thorsten Brinkmann, Leo D'Ohro, 2009, C-Print, framed, museum glas, 95 x 148 cm, © VG Bildkunst, Bonn 2011

Donc je remercie mon maître ébéniste et surtout la ville de Bordeaux, pour avoir me donné cet expérience.

Thorsten Brinkmann

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TEATRO CLASSICO

e

GIOVANI TALENTI amore per il passato Sguardo al futuro

XXIII Festival Internazionale del Teatro classico dei giovani

Che Siracusa fosse un centro di cultura di fama mondiale lo sapevamo già, che fosse anche un centro di produzione di specialità esportate in tutto il mondo lo abbiamo scoperto sulle pagine del numero scorso di ATB Mag In (ndr). Ora passiamo a ricordare ai lettori il lavoro creativo e di aggregazione mondiale che da anni con impegno le istituzioni siracusane portano avanti con artisti e scuole. Quella di quest’anno sarà la ventitreesima edizione del Festival Internazionale del teatro classico dedicato ai giovani. Questo raro tesoro, i giovani, che nel vecchio continente sono sempre meno e sempre meno motivati, sono ogni anno coinvolti dalla Fondazione Inda in una serie di esibizioni teatrali dall’alta cifra culturale. Oltre 2500 studenti provenienti da tutto il mondo si esibiranno al Teatro greco di Palazzolo Acreide cimentandosi con opere che vanno dalle Baccanti di Euripide alle Rane di Aristofane, al Prometeo incatenato di Eschilo a La Maschera e il Volto Plauto-Pirandello.

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Nel cartellone della manifestazione sono state ammesse quest’anno 87 scuole, provenienti da tutta Italia ma anche da Francia, Russia, Belgio, Tunisia, Germania, Serbia, Spagna e Grecia. A presentare le proprie personali letture dei testi classici latini o greci anche l’Accademia nazionale di danza di Roma, l’Académie Internationale Des Arts du Spettacle di Versailles e l’Accademia d’arte del dramma antico della Fondazione Inda che chiuderà il Festival il 7 giugno esibendosi sul palco “teatro del cielo”. Nell’anno in cui si celebrano i 2.750 anni della fondazione di Siracusa sono invece dodici gli istituti che provengono dalla provincia di Siracusa. L’impianto scenico della ventitreesima edizione del Festival è stato affidato all’artista siracusano Tony Fanciullo che ha pensato ad una imponente testa della Gorgone, un volto reciso a metà come da una colata di sangue dall’alto, dal divino, affiancata da un lato da un cavallo alato e dall’altro dalla figura di un gigante. E questo il mito da cui si lascia affascinare Fanciullo. Ma per arrivare alla sua idea definitiva, duro è stato il lavoro concretizzato in una trentina di bozzetti almeno, per poi giungere alla sua imponente Medusa, bella, fiera dalla testa riccioluta adornata di serpi. Il mito rivisitato, quindi, con la lente di ingrandimento dell’artista contemporaneo ma tremendamente innamorato dei greci. Da sempre interessato al cosmo femminile anche per questa importante scenografia l’artista siracusano non si smentisce riproponendo il pianeta Donna cosi complesso, sfaccettato, vibrante, tridimensionale. Ventri metri per quattro. Un lavoro “immenso” anche spiritualmente: “Ho sempre lavorato sulla immagine e sul feed back di rimando scenografico – commenta • Tony Fanciullo – mi appassionano la testa leonina, i lineamenti dolci del viso di una donna che spesso accomuno alla maschera teatrale. Mi lascio avvincere dalla storia affascinante del mito, penso alla Gorgone, all’alato Pegaso, e non per forza deve esserci un legame con le vicende narrate nelle trageAtb Mag 35

die rappresentate in scena”. Donna o strega a cui tanto spazio viene riservato nel teatro antico, sono gli archetipi rapportati al macro o microcosmo femminile che le enormi scenografie di Fanciullo testimoniano a Palazzolo Acreide l’amore per l’arte e per il teatro antico che guarda alle nuove generazioni. Non solo teatro dunque, ma anche mostre d’arte dedicate ai giovani talenti: “Manifesta. Il teatro e la città” un progetto che unisce arte e alternanza scuola lavoro, attraverso il quale gli studenti del liceo artistico hanno lavorato alla realizza-

zione del manifesto della ventitreesima edizione del Festival internazionale del teatro classico dei giovani di Palazzolo Acreide. Tra tutti gli elaborati la Fondazione Inda ha selezionato quello realizzato da Susanna Pastorella come manifesto ufficiale della rassegna, ma nella Sala degli Argonauti, sa-


ranno esposti tutti i lavori degli studenti che per creare le immagini hanno riflettuto sul tema del cinquantatreesimo ciclo di rappresentazioni classiche al Teatro greco di Siracusa. La mostra è organizzata dalla Fondazione Inda e dal liceo artistico “ Antonello Gagini” e rinnova un rapporto di collaborazione che unisce l’Istituto nazionale del dramma antico e lo storico istituto siracusano. “Per i ragazzi si tratta della prima esperienza professionale. Si tratta di una attività importante che si collega anche a quella portata avanti dalla Fondazione Inda” ha dichiarato Giovanna Strano, dirigente scolastico del liceo Gagini, una grande opportunità per i giovani del territorio che avranno l’occasione di farsi conoscere approfittando di un evento di levatura internazionale. L’inaugurazione della mostra è stata aperta da un intermezzo musicale degli studenti. La mostra, che consentirà di ammirare 50 elaborati, resterà aperta al pubblico fino al 30 giugno, dalle 9 alle 17, con ingresso gratuito.

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Street Art becomes Stamp Art

Express Yourself

Contributions of Tony May

From starting to paint in his 30s to de-stress, this Irishman's art is now on stamps in Australia Fin Dac didn’t discover his love for painting until he went through a particularly hard time in his personal life during his 30s. THE WORK OF an Irish street artist is now on stamps in Australia after his mural caught the eye of Australia Post. Fin DAC is the only artist who isn’t from Australia, or an Australian resident, whose work is being used in the street art stamp collection. Born and raised in Cork, DAC didn’t discover his love for painting until he went through a particularly hard time in his personal life during his 30s when he had to fight for his children in court, and turned to painting to relax. He was born in Greenmount and lived there for two years before moving to London with his family. They moved back when he was 10 and he lived in Togher until he finished school at 17. DAC told that he drew a lot as a child but that he didn’t get a chance later on as he went to the same technical school as his older brother and it didn’t do art as a subject. Instead, he did technical drawings and engineering. He wanted to study graphic design in London, but couldn’t get a university placement because he hadn’t been to art school and as a result everything in his portfolio was the same. I was living in London so I did what everyone did, I just got a job and forgot about art. I spent my 30s living with a partner who was unsuitable, we were unsuitable for each other, and 10 years ago that collapsed in a very bad way and I had to go through court cases to get access to my children and I started painting to take my mind of it.


“I was surrounded by street art in London and that the seemed obvious thing for me to try to replicate, I had no plans to be artist but it progressed rapidly.” Six years ago DAC was let go in his job as a web developer and decided to pursue art full-time. He was invited to an arts festival in New Zealand in 2015 and that’s what prompted him to visit Australia when he was “all the way down there”. He made three stops in Australia – Sydney, Adelaide and Melbourne – and painted one piece in each city. I publicise work by painting in streets. The more public work you do, the more attention you get. Australia Post reached out by emailing him after his wall in Adelaide . DAC specialises in largescale portraits, predominantly of women in masks. Describing his work, DAC told this website, “It’s about painting women in a non objectifying kind of way – street art of women used to be done in a very sexual way. Depictions of women were always scantily clad and not empowering and I wanted to change that. The mural Shinka – which is used for the stamp – mixes traditional cultural dress with western fashion, as well as black and white forms that are punctuated with vivid splashes of colour. He said his main focus at the beginning was Asian women. “There’s a western male fixation with Asian women, they can be seen as subservient or weak.” “I tend to focus on cultures that are being lost. The whole world is westernising now down to how we dress but traditional clothes are so amazing and, in terms depicting women, I think it shows how they would have been depicted years ago.”

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In recent decades there has been an explosion of art practice in our urban environments. Street art describes public artistic expression that appears outside traditional art venues, such as galleries. Beginning as unsanctioned graffiti in the 1980s, street art has now evolved into a sophisticated range of practices, including stencil art, poster art, spray painting, yarn bombing and installation art. Australia has a particularly vibrant street art culture. In fact, street art is now a celebrated aspect of many urban Australian environments. For some cities, street art has even become a tourist attraction, and (perhaps ironically given its origins) a way of transforming an area and making it more attractive for the local community. The Street Art stamp issue, which will be released on 16 May 2017, features four portraits by internationally respected artists painted in the streets of Melbourne and Adelaide. Irish-born, London-based urban artist Fin DAC employed a stencil and spray paint technique to create the mural Shinka, as part of the Little Rundle Street Art Project, in Adelaide, in early 2016. Fin DAC specialises in large-scale portraits, often of women in masks. In Shinka we can see his characteristic technique of mixing traditional cultural dress with western fashion, as well as black and white forms that are punctuated with vivid splashes of colour.

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Onirico… Surrealista

...O Ferretti?

Con il contributo di Antonio Fontana

Pugliese orgoglioso, Fabio Ferretti de Virgilis è uno degli artisti contemporanei italiani che sta facendo parlare di sé. Le sue opere sono realizzate con le tecniche più diverse: acquerelli, lavori in graffite, una serie di ritratti reinvestiti di un'immaginaria sperimentazione, palesata attraverso dettagli e particolari che l'occhio scorge in ogni dipinto o disegno. L'artista si lascia condurre dal mito classico nel dipingere i volti dei suoi soggetti, trasformando e raccontando i suoi protagonisti ispirati da racconti chimerici delle divinità greche. Un succedersi di personaggi, colori araldici e diversi tagli compositivi, arricchiscono il teatro dei suoi innumerevoli protagonisti, creando la quella che Ferretti de Virgilis chiama “MitoVisione”. E' un linguaggio ludico i suo, raccontato con grazia nel saggio a cura dello storico dell'arte Roberto Maria Siena, realizzato in occasione della mostra MitoVisione appunto " … il gioco si presenta come insubordinazione nei confronti del mondo e dal buon senso che dal mondo promana…". Fabio Ferretti de Virgilis sostiene che il mito "non è mai ma è sempre".

Nello stesso tempo, afferma che il mito classico va ricondotto al delirio personale del pittore. "… la ricerca dell'artista ruota sovrana intorno al gioco, e così ruotano i suoi Dei, i suoi eroi e i suoi semidei…". Prende l'antico racconto e lo investe con quell'anti-grazioso al confine del fumetto che tanto gli sta a cuore. Fabio Ferretti De Virgilis ci appare surrealista a pieno titolo, eppure un surrealista anomalo: i suoi sogni, le sue immaginazioni, sono impregnate di quelle atmosfere giocose e misteriose dell'immaginario visivo di artisti come Mirò o Brauner, visioni figurate con un linguaggio certamente appartenente al mondo del fumetto. I suoi Personaggi che appartengono a un mondo fantasioso, giocoso, e innocente come quello di Mirò, ma anche inquietanti, misteriosi, affascinanti e ricchi di aspetti che richiamano l'inconscio freudiano, che ha caratterizzato la pittura surrealista di Brauner, quindi una visione dettata da un inconscio generante la liberazione immaginaria psichica racchiusa nell'animo dell'autore.


Affascinato dalle arti figurative fin dalla tenera età, frequenta il liceo artistico Lisippo di Taranto, durante la cui frequenza si sofferma sulle correnti del futurismo e del cubismo, restandone affascinato. Si iscrive successivamente all’Accademia di Belle Arti di Roma ma sconvolto dal turbinio della metropoli si sposta all’Accademia di Lecce, in questo periodo inizia la propria ricerca personale sulla figura umana, distaccandosi, pertanto, dalle correnti che precedentemente l’avevano influenzato. Sentendosi pronto decide di tornare a Roma, proseguendo i propri studi presso la scuola dell’arte della medaglia all’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, affinando il proprio gusto per il dettaglio e la minuzia. In seguito si iscrive a un corso di Gemmologia a Bassano del Grappa; osservando la trasparenza delle gemme scopre la passione per l’acquerello. Ferretti possiede una personalità artistica alquanto vivace e poliedrica, dedicandosi alla pittura, alla scultura, all’animazione, all’incisione e attualmente riporta sui muri le proprie opere pensando che lì possano respirare.

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Fabio Ferretti de Virgilis. Nasce a Manduria nel 1977. Durante il proprio percorso, partecipa a numerose manifestazioni artistiche, portandone avanti alcune di propria iniziativa. Ha , inoltre, esposto presso la galleria “Monogramma” di Roma e la Art&Co Gallery di Milano, . Il Ferretti possiede una personalità artistica alquanto vivace e poliedrica , dedicandosi alla pittura, alla scultura, all’incisione , ed anche alla scrittura di sceneggiature. Attualmente lavora nel proprio paese natale.

Si ringraziano per la collaborazione: l’Unione Europea, la Regione Puglia e Puglia Promozione

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Massà -FARA

di Redazione La Puglia è terra di storia e cultura: parola di Mina Castronovi archeologa e docente. Per la verità l’autorevole parere della Castronovi è condiviso urbi et orbi dagli intellettuali in terra italica e certamente nel mondo. Mina Castronovi, Presidente dell’Associazione Aulon R.E.S., archeologa, esperta nello studio della Gravina occidentale, si è distinta in ambito accademico per aver formulato una teoria che intende mettere un punto fermo sul dibattito culturale circa l’origine del toponimo sul nome della città di Massafra. A prima vista i lettori potrebbero pensare che non è poi così importante per la cultura o la storia di un popolo sapere da dove diavolo arriva il nome Massafra.


A prima vista i lettori potrebbero pensare che non è poi così importante per la cultura o la storia di un popolo sapere da dove diavolo arriva il nome Massafra. Invece no! E vi spiego subito il perché. Già sappiamo che la Puglia fu per secoli una delle gemme più belle e preziose della Magna Grecia, Taranto una tra le colonie greche maggiormente prestigiose nell’Italia meridionale. Le terre in questa parte delle Murge occidentali sono ricche di storia e bellezza: dagli impareggiabili canyons delle Gravine, alla “cultura rupestre” testimoniata da abitazioni e luoghi di culto incastonati tra le rocce quasi come fossero squarci sulla tela del maestro Fontana. Ma la cultura greca e i suoi miti ( l’eroe spartano Falanto condottiero dei Partheni che dall’Oracolo di Delfi apprese che sarebbe giunto nella terra degli Iapigi e che lì avrebbe dovuto fondare una città, alla foce del fiume Tara) non fu la sola a dare radici culturali a questa terra che oggi sembra sempre più ferita e dimenticata. Diossina e contestazioni operaie che hanno sostituito in toto le speculazioni sul culto di Poseidone o delle divinità femminili legate alla terra come Proserpina (segno tangibile dell’importanza del mare e della fertile terra per gli antichi pugliesi passatemi il termine- magnagreciani) .Secondo la teoria della Castronovi, in tempi relativamente più recenti anche i longobardi contribuirono a fare di questa parte di Puglia ciò che è stata per secoli. L’elaborazione della teoria si rifà ad un antico “Massà-fara”, composto dai sostantivi massa e fara. Il primo di origine latina, ma che durante la dominazione dei barbari in Italia acquisì l’accezione particolare di “insediamento isolato o modo di organizzare la proprietà nello spazio”. Tuttavia è attorno al termine “fara” che s’incentra la teoria di Castronovi, giacché tipicamente longobardo, di origine germanica, spesso ricorrente nei toponimi.

«In origine – spiega Castronovi – il termine longobardo stava ad indicare un piccolo nucleo demografico, una sorta di composito clan familiare. Con il tempo, prese ad indicare il luogo di residenza del nucleo stesso cristallizzandosi nei vari toponimi, molto presenti ancora oggi a sud, ma anche al centro ed al nord Italia (Fara Vicentina, Fara Gera d’Adda)». Questo è maggiormente vero se si pensa che nell’ VIII secolo dopo Cristo, quando i longobardi furono spinti a sud dalla venuta di Carlo Magno – ricorda Castronovi – sorsero insediamenti con le prime caratteristiche urbane; nella nostra zona poi le caratteristiche geomorfologiche di quel periodo, diedero impulso ad un fiorente mercato locale. La cultura longobarda, quindi – ribadisce Castronovi – pervade costantemente il territorio massafrese e, possiamo supporre, anche tarantino con ricadute non da poco sulla popolazione, se pensiamo ad esempio alla presenza del Gastaldato anche durante la seconda colonizzazione bizantina, alla sopravvivenza del diritto longobardo, che conviveva con quello bizantino, ed alla sua tradizione nella celebrazione dei matrimoni, ancora viva in età moderna. Per non pensare poi al culto dei santi, come quello di San Michele Arcangelo, patrono di Massafra, venerato assiduamente anche dal popolo barbaro». Certo è che questa parte d’Italia purtroppo molto sottovalutata ai giorni nostri, non smette di stupire per le sue ricchezze culturali che tutti dovremmo conoscere un po’ di più. E dovremmo anche fare in fretta visto che, se il disinteresse della politica per questa regione continua in modo costante, a occhio e croce fra qualche anno non sarà più possibile non solo formulare teorie, ma reperire la materia prima che le ispiri quelle teorie! Si ringrazia la Dott.ssa Mina Castronovi per la collaborazione Atb Mag 46



RealiStico toSCAno

Naturale e straordinaria sensibilità per il colore Capacità di impostazione compositiva raffinata tecnica apertura al bello che ci circonda

Elena Gualtierotti, classe 1961 “Florentini Natione...” aperta al mondo intero. Un’artista italiana che proviene dalla culla della nostra cultura (è originaria di Cecina) che ha avuto il coraggio di aprirsi al mondo. Le sue opere vengono esposte a New York, San Francisco, Los Angeles, Toronto, Monte Carlo, ma anche nella vicina Firenze, Livorno o Castagneto Carducci dove la pittrice vanta un’esposizione permanente. Fin da piccola le arti figurative sono state la sua passione e l’incontro con Bruno Di Maio non ha fatto altro che alimentare questo suo trasporto. Il maestro Di Maio le ha trasmesso l’eccellente impostazione compositiva e la raffinatezza nel tratto, ma la vera differenza nel raggiungimento dei suoi elevati risultati pittorici dove la poetica è sottolineata costantemente dalla perizia tecnica, l’ha fatta la sua sua straordinaria sensibilità per il colore. Un elemento questo che da solo può determinare il risultato finale dell'opera pittorica, ma che non è intrinseco all'opera stessa visto che è parte dell’animo creativo dell’artista, nel suo occhio sensibile agli accosta-

menti tonali. Esattamente come in una composizione musicale infatti, in cui il compositore sceglie uno schema armonico, una scala musicale con toni e semitoni precisi correggendo quello che per il suo orecchio è sbagliato, Gualtierotti sceglie lo schema cromatico e corregge un tono, neutralizza un accordo dissonante che tuttavia rimane nella composizione senza comprometterne il risultato, anzi, creando “quel qualcosa in più”. Da musicista, appassionato d’arte è questa la sensazione che le opere di Elena Gualtierotti mi trasmettono e sono pronto a scommettere che le sensazioni che ho avvertito io siano condivise.

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Mi sono imbattuto in questa pittrice durante una delle mie interminabili ricerche tra gli artisti contemporanei (le riviste A rticolo realizzato con il contributo hanno le loro regole e gli articoli non si scrivono da soli!) per di confezionare un articolo e tra tanti soggetti floreali, still life, composizioni classiche, una delle artiste che maggiormente mi ha Antonio Zito impressionato è stata proprio lei. Non saprei bene spiegare per quale motivo, certamente non uno soltanto. Cercando online qualche informazione poi, ho scoperto con raccapriccio che poco è stato scritto su questa artista: quasi assenti le notizie critiche, poche o nulle le spiegazioni sulle tecniche pittoriche, cenni biografici quasi sufficienti. Mi sono poi imbattuto in un’intervista concessa dalla Gualtierotti ad Agostino Zito per Iperrealismo pittorico italiano realizzando che le mie difficoltà erano state le sue, abilmente risolte in verità (magie della rete). Ed è così che le poche righe riguardanti la biografia dell’artista e la sfilza di date riguardanti le sue esposizioni in Italia e all'estero, sono state arricchite di colori stupendi, saturi, mai grigi, accostamenti delicati, mai violenti e sapientemente armonizzati usando un linguaggio come solo i veri artisti sono capaci. Nelle sue nature morte i panneggi sono stupendamente rappresentati, nelle ombre in terra d’ombra o tera bruciata sono luminose, vivaci. E poi le trasparenze, i riflessi e le distorsioni degli oggetti vicini e retrostanti disegnati con scioltezza, senza confusione, dipinti con pochi tratti che beneficiano della stessa attenzione che merita un oggetto in primo piano. Poesia e armonia degne di un compositore navigato sono intessute nella disposizione dei soggetti che dialogano costantemente con la luce e le emozioni realizzando giochi di chiaroscuro incantevoli.

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C'è Phatos, anche nei soggetti floreali, nelle nature morte che si stagliano dal fondo scuro in primi piani ricchi di dettagli. Il colore è quasi scolpito sulla tela in un susseguirsi di ritmo, dinamismo, tridimensionalità. Nulla è lasciato al caso. Tutto ha un motivo nella composizione anche il bianco, il non colore per eccellenza che si trasforma, assorbe i toni dei toni vicini e si trasforma in un colore vero e proprio con pari dignità, considerato alla stessa stregua dei colori primari. L’iperrealismo di Elena Gualtierotti nulla ha da invidiare ai suoi colleghi americani (l’iperrealismo nasce negli Stati Uniti tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settatanta e qui si sviluppa con artisti del calibro di Chuck Close, Richard Estes, Ralph Goings) anzi, parte dalla loro esperienza e ne fa tesoro; per lei si tratta di omaggiare maestri del passato percorrendo la sua via. La sua realtà è fonte di ispirazione, la sua tecnica al servizio del colore, le sue composizioni uno sguardo al passato, la sua espressione artistica un tuffo nel presente a beneficio del futuro.


EPOREDIA Giacomino fu un cantastorie...Così il professor Carlo Nardi del Politecnico di Torino sulla pittura di Giacomino da Ivrea, pittore che all'inizio del '400 operò un'intensa attività pittorica nel canavese e in valle d'Aosta. Questo lo spirito che ha catturato l'idea di realizzare una collezione d'arte contemporanea presso la sala consigliare dell'Ordine degli Avvocati di Ivrea. Raccontare una storia… fatta di cultura unitaria tra le diverse realtà presenti sul territorio, sottolineare i passaggi creativi e “fantastici” come l'ardito accostamento tra amministrazione della giustizia e arte, semplificare il rapporto tra la realtà quotidiana e il mondo ineffabile dell'arte visuale lasciando scorrere davanti agli occhi un racconto privo di briglie tematiche. Tutto questo tralasciando quelle che i critici chiamano squisite raffinatezze estetiche a favore di una solida base concettuale e culturale ad uso e consumo degli strati di popolazione più “comuni”. La narrazione di Giacomino da Ivrea si ammantava di ingenuità, fantasia,personalità … Il racconto degli artisti contemporanei si distingue per ricchezza cromatica, profondità, fruibilità di linguaggio. Nasce a Ivrea una collezione pubblica d'arte contemporanea in esposizione permanente intitolata a “Luigi Palma dii Cesnola”..

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NEWS PROGETTI

ASSOCIAZIONE

Nasce con il 2017 Atb Edizioni una casa editrice che di tradizionale ha veramente poco! Siamo parte integrante e fondante di Atb Associazione culturale, siamo senza scopo di lucro. Tuteliamo, per conto dell’autore, la paternità dell’opera e svolgiamo l’attività di edizione, comunicazione, distribuzione destinata a promuoverne la lettura. L'attività economica è quindi secondaria e sussidiaria all'attività culturale. Noi ci occuperemo della realizzazione, della diffusione, della promozione e dell'immagine dell'opera. Proprio per presentare al pubblico il prodotto migliore possibile, collaboriamo con specialisti di settore che propongono una vasta gamma di servizi editoriali in convenzione di seguito descritti. I servizi editoriali sono rivolti a tutti coloro che hanno un libro nel cassetto e desiderano renderlo al meglio per presentarlo a noi, ad altri eventuali editori o autoprodurlo; ma anche a enti o aziende che ne facciano richiesta per scopi promozionali o divulgativi. Ognuno dei libri contenuti a catalogo è da noi editato, corretto e corredato da codice isbn.


RUBBISH BIN ART Uno dei capisaldi dell’ecologia oggi è: il riuso. Si riutilizzano scarti, oggetti che han terminato un ciclo di vita e sono stati accantonati, altri oggetti con destinazioni d'uso del tutto diverse. Non è solo un vezzo di pochi “stralunati” fissati con il naturale, forse un po' anacronistici; essere ecofriendly, riciclare è soprattutto necessità etica in tempi come questi martoriati da inquinamento e scelte dirigiste. Cent'anni di consumismo han accumulato una quantità di scarti tale da non poter essere più ignorata. Di solito chi riusa è anche più ecologico, è portatore di un’estetica modesta, scevra, dimessa, ma un’estetica molto precisa, con le sue regole formali mutuate da una vita che rinasce ciclicamente. Certo è che la realtà artistica contemporanea riconosce all’arte legata al riciclo, un posto sempre più rilevante. Atb Associazione Culturale & Art Gallery attraverso il lavoro degli artisti associati intende lanciare il progetto Rubbish bin Art con la finalità di indagare le diverse modalità d’interazione tra impresa, cultura, arte e territorio, con particolare attenzione all'etica e alla biosostenibilità, alle quali sono seguite una serie di iniziative di ricerca e di promozione e pubblicazio ni

PICTA FABULAS: AUTORI DI STORIE – AUTORI DI IMMAGINI Una rivoluzione è in atto tra gli scaffali delle librerie italiane: sempre più copertine vengono affidate agli illustratori che riescono con il loro tratto e la loro palette i colori a rinnovare l’identità di intere case editrici o a portare nuova linfa all’immagine di un autore. Merito di questo cambiamento è degli straordinari illustratori italiani che si distinguono, nel mondo, per l’originalità dello stile e la forza dei progetti. Picta Fabulas intende stimolare la partecipazione e la riflessione sulla metodologia e la tecnica oltre che la passione e la creatività nella realizzazione di illustrazioni per ogni pubblico: da quello educativo dedicato ai bambini e ragazzi attraverso la realizzazione di opere originali, alle opere che esprimano una riflessione, un pensiero, l’elaborazione di un percorso. Usando i diversi linguaggi espressivi gli illustratori creano non solo un’arte visiva, ma soprattutto aiutano la promozione di scritti: dal saggio breve, alla poesia, al racconto. l’illustratore è colui che realizza le immagini che ci permettono di vedere al di là di ciò che leggiamo perché loro per primi affrontano le tematiche alla luce delle problematiche tecniche e rappresentative...

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L’amor es ciulo – tecnica mista su tela - 90x150 – 2017 – Alessandro Siviglia


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