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Formazione e Pace Flavio Lotti
Please Stop the War! Per questo serve la scuola
“Please, Stop the War!”. E’ l'appello di un bambino siriano di 13 anni in fuga dalla guerra. Un appello semplice e diretto, raccolto da un giornalista di Al Jazeera il 2 settembre 2015, a Budapest, mentre la polizia ungherese tentava di bloccare un gruppo di profughi che voleva salire sul treno per andare in Germania. “Vi prego aiutate i siriani” dice Kinan Masalmeh parlando in inglese. "Lo so che la polizia non ama i siriani… in Serbia, in Ungheria, in Macedonia, in Grecia... Ma noi non vogliamo venire in Europa. Vi chiedo solo di fermare la guerra!… Se fermate la guerra noi non veniamo in Europa… Per favore, aiutate i siriani. I siriani hanno bisogno di aiuto adesso! Basta che fermate la guerra… vi chiedo solo quello…” Nelle parole di questo bambino siriano c’è quello che molti non vogliono capire. Se vogliamo risolvere la crisi dei rifugiati dobbiamo andare alla radice del problema e fermare le guerre. Ma come si ferma una guerra? Chi può farlo? Con quali strumenti? Il problema è difficile. Tant’è che molti “responsabili della politica internazionale” ci rinunciano o scaricano su altri la responsabilità di intervenire. Per questo la guerra in Siria continua incessante da più di cinque anni, facendo strage di vite umane, di legalità e di diritti, spargendo odio e violenza in ogni dove. Il problema è difficile ma ineludibile. La guerra non conosce confini. E’ un mostro mutante capace di rigenerarsi e dilagare dappertutto. 100 anni fa, due soli colpi di pistola a Sarajevo bastarono a dare inizio alla Prima Guerra Mondiale e al secolo più violento della storia. Oggi, nell’era della
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Formazione e Pace
Flavio Lotti
globalizzazione e dell’interdipendenza, può bastare un clic. Si sa che i problemi difficili spaventano e spesso tendiamo a ignorarli. Eppure non abbiamo alternative. Questo è il tempo in cui dobbiamo imparare a fare cose difficili: fermare la guerra, fare le paci, azzerare la fame, debellare la sete, sradicare la miseria, proteggere il pianeta. Il primo posto da dove cominciare è la scuola e l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti è un ottimo strumento di lavoro. Dopo un anno di sperimentazioni didattiche effettuate in 10 scuole, elementari, medie e superiori, del Friuli Venezia Giulia possiamo tracciare alcune prime indicazioni.
1. Non è facile parlare di guerra a scuola. Spesso lo si fa in modo estemporaneo e occasionale. Il più delle volte si preferisce parlare delle guerre del passato, quasi mai si affrontano quelle contemporanee. Le guerre dei nostri giorni entrano ed escono dalla classe con lo stesso ritmo mediatico delle stragi più efferate. Quasi sempre dipende dalla sensibilità e dalla preparazione dell’insegnante.
2. Una scuola connessa con il presente sa che per aiutare i nostri ragazzi a conoscere e capire le guerre e i conflitti dei nostri giorni è necessaria una programmazione didattica coerente con gli obiettivi di educazione alla cittadinanza glocale (locale, nazionale, europea, mondiale).
3. Il tema è brutto e difficile, ma ci sono tanti modi per affrontarlo in ogni classe, ad ogni età. Si può partire dalla presenza di un rifugiato in classe o a scuola e avviare un percorso straordinario che consentirà ad ogni studente di conoscere alcune delle principali dinamiche della società contemporanea, sviluppare capacità e consapevolezza critica, rivedere concezioni stereotipate e pregiudiziali della realtà, sentire la costruzione della pace e dei diritti umani come compito di ogni persona.
4. Si può cominciare con la presentazione dell’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo, una riflessione sulle principali dinamiche della guerra moderna e il confronto storico con la prima guerra mondiale. Ma poi si deve allestire un vero e proprio laboratorio di studio e ricerca centrato sul protagonismo degli studenti, l’educazione all'uso critico dei vecchi e nuovi media e sull’intervento della scuola nel territorio in collegamento con le amministrazioni locali e la società civile.
5. Il percorso didattico si può articolare in tre esercizi: lo studio del problema (il conflitto prescelto) e la costruzione di una mappa concettuale; la ricerca delle soluzioni possibili e il confronto tra le diverse tesi emerse; la presentazione alle famiglie, alle istituzioni locali e alla cittadinanza delle proposte elaborate a scuola.
Anche educare è difficile. Ma non per questo ci abbiamo rinunciato. Buon lavoro.
“E’ difficile fare le cose difficili: parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco. Bambini, imparate a fare le cose difficili: dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi. Gianni Rodari