5 minute read
L'Isis e la guerra in Siria e Iraq: tra clima e controllo delle risorse Cdca
Conflitti Ambientali
Cdca
Advertisement
fiume. I sistemi di irrigazione necessari all’agricoltura intensiva, lo sbarramento operato dalle dighe e i bacini artificiali, uniti al riscaldamento globale e alla siccità, potrebbe ridurre del 70% l’afflusso di acqua al lago Turkana con conseguenze facilmente intuibili. Il livello delle acque, secondo gli studi idrogeologici, potrebbe subire un calo compreso tra i 16 e i 22 metri a fronte di una profondità media dell’invaso pari a 31 metri. A rischio i fragili ecosistemi, le riserve di pesca e la piccola agricoltura da cui dipendono le tribù Bodi, Daasanach, Kara, Kwegu, Mursi e Nyangatom che vivono sulle rive del Turkana e del fiume Omo. Altri popoli, come gli Hamar, i Chai, i Suri e i Turkana possono accedere alle risorse generate dalle piene attraverso un antico sistema di alleanze etniche. Anche se tra le varie tribù ci sono rapporti di cooperazione e scambi commerciali, l’accesso a risorse scarse è da sempre motivo di periodici conflitti ma la sottrazione di risorse e il loro deterioramento ha accentuato la competizione e messo la popolazione in costante rischio di “catastrofe umanitaria”. L’introduzione delle armi da fuoco ha poi radicalizzato la pericolosità di questi conflitti rispetto al passato. A tutto ciò, bisogna aggiungere le operazioni militari condotte dai soldati etiopi a danno, ad esempio, dei pastori Hamar e delle altre tribù che si oppongono alle politiche governative di “villagizzazione”. Nel 2013, la guerra armata per il controllo dell’acqua causò decine di morti e 60mila profughi. Nello stesso anno l’Unesco ha scoperto, proprio nel deserto del Turkana, una delle falde acquifere sotterranee più grandi al mondo, circa 250miliardi di metri cubi di cui possono esserne sfruttati 3,4 l’anno senza intaccare la portata della falda. Tutto ciò a patto di non stravolgere l’ecosistema in superficie. L’anno precedente, nella stessa Regione, era stato scoperto un giacimento di petrolio, il cui valore sembra irrisorio rispetto alle enormi riserve d’acqua.
L’Isis e la guerra in Siria e Iraq: tra clima e controllo delle risorse
Il conflitto siriano, innescato nel marzo 2011 dalle proteste contro il regime monopartitico del Presidente Baššār al-Asad e velocemente sfociato in guerra civile ha ridotto in povertà il 60% della popolazione e generato 7milioni di profughi. Al comando della ribellione armata vi era inizialmente l’Esercito Siriano Libero il cui ruolo è andato però marginalizzandosi a vantaggio dell’estremismo jihadista di stampo salafita che mira all’istituzio-
ne della Shari'a in Siria, in particolare nella parte Orientale del Paese. Al Fronte al-Nusra, affiliato ad Al-Qaeda, si è affiancato a partire dal luglio 2013, lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (Isis), esercito composto in prevalenza da miliziani non siriani. Il conflitto ha così assunto connotazione internazionale e carattere religioso legando le proprie sorti ai giochi di potere per il controllo delle risorse strategiche. Dal canto suo, l'Isis è ben presto entrato in guerra anche con l’Esercito Siriano Libero accusato di secolarismo, eresia e di essere sostenuto dall’Occidente. La guerra si è così estesa all’Iraq e ha messo in moto un complicato gioco di alleanze internazionali. Il presidente Baššār al-Asad e l’establishment del Partito Ba’th appartengono alla comunità alawita, componente sciita minoritaria in Siria e appoggiata da Iran e Iraq, Paesi a maggioranza sciita che mirano alla creazione di una macroregione estesa fino al Libano. I ribelli, ma sempre più la componente jihadista, sono invece sostenuti dai Paesi a maggioranza sunnita: Arabia Saudita, Qatar e Turchia. Stati Uniti, Francia e Regno Unito, inizialmente ostili al regime di Baššār al-Asad, hanno ripreso rapporti diplomatici con il Governo siriano in seguito all’avanzata dell’Isis e di Al-Qaeda, in questo modo allontanandosi però anche dall’Esl (Esercito Siriano Libero). Cina e Russia appoggiano il regime siriano. Risorse naturali e concause ambientali hanno assunto un ruolo mutevole a seconda delle fasi del conflitto. Le manifestazioni antigovernative del 2011, di carattere laico e alimentate da istanze democratiche e richieste di maggiore equità sociale ed economica, si inserivano nel contesto delle primavere arabe. Fattore accelerante di queste tensioni furono il riscaldamento globale e l’inaridimento dei terreni agricoli, nell’ambito di un lungo periodo di siccità che ha colpito la Siria tra il 2006 e il 2011, portando un milione e mezzo di contadini a trasferirsi verso i centri urbani. Questi migranti interni, una volta giunti in città, hanno trovato condizioni di vita difficili a causa dell’innalzamento dei prezzi dei generi alimentari e di prima necessità, anch’esso correlato alla siccità e alla crisi agricola. L'aumento del rischio di guerre proporzionato a quello delle temperature, soprattutto nell'Africa subsahariana, è un fenomeno osservato da anni. Anche in Egitto, sempre nel 2011, l’innalzamento dei prezzi dei generi di consumo fu uno dei motivi scatenanti del conflitto. Secondo il Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Ipcc) e il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti il cambiamento climatico è un fattore che acuisce le minacce per la sicurezza nazionale e internazionale. Con l’internazionalizzazione del conflitto siriano e l’avanzata della componente jihadista, siccità, cambiamenti climatici e lotta per il controllo delle risorse strategiche hanno inciso invece da un altro punto di vista. L’Isis ha puntato al controllo delle dighe dell’ex mezzaluna fertile, come quella di Tabqa che rifornisce di acqua le maggiori città della Siria e rappresenta la principale fonte di energia per 5milioni di persone. In secondo luogo, il controllo dei campi petroliferi ha significato per l’Isis la produzione e la vendita di 50milioni di barili al giorno in Siria e 30milioni in Iraq. I proventi di queste attività hanno permesso stipendiare i combattenti ingrossandone le fila. Infine, le risorse idriche sono diventate obiettivi militari sempre più importanti per il controllo delle città e delle campagne circostanti. La minaccia di sospendere i rifornimenti idrici, ha caratterizzato l’avanzata dell’Isis in Iraq e in Siria, con gli attacchi agli impianti del Tigri e dell’Eufrate per costringere la popolazione a spostarsi. Questo tipo di minaccia è acuito dalla perdurante siccità che rende ancora più difficile la produzione di generi di prima necessità. Anche questa, tuttavia, non è una novità introdotta dal conflitto siriano ma solo un aspetto meno raccontato. Negli anni ’80, Saddam Hussein utilizzò gli stessi metodi contro i ribelli sciiti mentre i fiumi Tigri ed Eufrate sono sempre stati al centro di conflitti e l’acqua un elemento di ricatto e strategia militare.