Volti e Storie Dalla Terra Delle Acque N.5 - FEBBRAIO 2015
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3| SOMMARIO 5 EDITORIALE Scrivere con la luce
6 NOTIZIE E DINTORNI
Volti e Storie Dalla Terra Delle Acque N.5 - FEBBRAIO 2015
Ippocampo su Facebook La sorpresa di Gualtieri
16 PAGINE DI STORIA Dalle lanterne alle lampadine
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Viserba era... molto “scich“ Carità e accoglienza, una storia di sorelle
26 SPECIALE FRA VILLE E VILLINI Ombre e misteri fra la vegetazione Tanto amore, nel nome di una donna Il fotografo della Belle Époque cover Vis a Vis_5.indd 3
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Storie di Ville e di Guerra
Vis a Vis periodico semestrale Anno IV - N.5 - FEBBRAIO 2015 • Supplemento: Il Ponte del 08/02/2015 a cura dell’Associazione Ippocampo Viserba Laboratorio Urbano della Memoria tel. 0541 735556 info@ippocampoviserba.it www.ippocampoviserba.it
48 PERSONAGGI
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Zaira di Nomadelfia mamma di vocazione
• Editore: Confraternita Maria SS. Ausiliatrice di Santa Croce di Rimini
60 PROSPETTIVE
• Progetto creativo, contenuti culturali, servizi e foto d’epoca: Associazione Culturale Ippocampo Viserba Presidente: Pierluigi Sammarini
• Caporedattore: Maria Cristina Muccioli • Responsabile commerciale: Ruggero Testoni
Viserbella nel diario di Gina L’architetto con la passione per lo sport
• Direttore responsabile: Giovanni Tonelli
• Direttore editoriale: Marzia Mecozzi AUDIO TRE s.r.l. Rimini
I cent’anni di Vanda da Des Vergers a Baracca
Le Social Street, via Turchetta fa scuola Il ritorno delle figurazioni di sabbia
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• Ufficio promozionale: Nerea Gasperoni, Paolo Morolli • Fotografi: Angelini, collezioni archivio Ippocampo, Rosalia Moccia, Nicola Sammarini
In copertina:
• Progetto grafico e impaginazione: Rita Magrini, Rosalia Moccia AUDIO TRE s.r.l. Rimini • Stampa: La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio s.r.l. • Hanno collaborato: Silvia Ambrosini, Roberto Drudi, Nerea Gasperoni, Davide Lucrezio, Maria Marzullo, Manlio Masini, Marzia Mecozzi, Maria Cristina Muccioli, Sabrina Ottaviani Francesca Perazzini, Pierluigi Sammarini, Ruggero Testoni
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Giorgio Casadei Gina Donati Lele Zamagna Franco Eugenio Bernabè Barbara Lametti Isabella Sabbatini Vanda Pasini Parma Giacomo Canducci Zaira Pari
• Chiuso in redazione il 28/01/2015
PER LA VOSTRA PUBBLICITÀ A SUPPORTO DELLA RIVISTA E DELL’ASSOCIAZIONE IPPOCAMPO COMMERCIALE: 338.2341277
Sfoglia la rivista on line su www.ippocampoviserba.it
L’IPPOCAMPO
In questi anni, in rete e in collaborazione con i comitati, le associazioni e i privati dell’area di Rimini nord ha dato vita a numerose iniziative e a piacevoli momenti conviviali. Il laboratorio urbano della memoria d’inverno si riunisce il giovedì sera presso lo studio Pianoterra per analizzare e commentare archivi fotografici e documenti reperiti, per organizzare serate a tema e per confrontarsi sui contenuti della rivista “Vis a Vis”.
L’Ippocampo, Laboratorio Urbano della Memoria, con sede a Viserba, è un’associazione di volontariato nata nel febbraio del 2010 con lo scopo di salvaguardare e valorizzare la storia e la cultura del suo territorio favorendo lo scambio e la relazione fra le persone che in esso vivono ed operano. Il lavoro finora svolto è raccolto nel sito
www.ippocampoviserba.it
L’Associazione L’Ippocampo, sede della redazione di Vis a Vis si trova in via Panzacchi, 21/c PARTECIPA ANCHE TU. Aggiungi un tassello alla storia comune. Foto e ricordi personali sono l’anima della nostra ricerca. INFO: Associazione Ippocampo via Panzacchi, 21/c - Viserba di Rimini tel. 0541 735556 info@ippocampoviserba.it www.ippocampoviserba.it
l’ippocampo
piazza del Mercato Viserba
5| EDITORIALE
Scrivere con la luce Scrivere con la luce. Bella frase, vero? L’ho letteralmente copiata dal significato etimologico di “fotografare” e la trovo pienamente attinente a questo quinto numero di “Vis a Vis”. Questo giornale è un insieme di scritti e immagini vecchie e nuove che nascono dalle fatiche di mesi di donne e uomini che sul territorio e per il territorio si prodigano a raccogliere testimonianze, memorie, emozioni, gioie e sogni di una vita che trascorre lasciandosi dietro segni. Un’immagine è la rappresentazione oggettiva di una storia vissuta, raccontata e ascoltata o carpita o studiata. Pensiamo ad esempio a quei primi turisti che, arrivando sulle nostre spiagge dai rigagnoli salmastri, tra gli orti e le ospitali dimore estive con zampillanti fontane, incontravano i nostri nonni o bisnonni, strani figuri che raschiavano il fondo del mare per scovare il pesce da mangiare; quei turisti, imparando a prendere un bagno di sole quasi vestiti o camminando per un lungomare sabbioso, inventarono il rito della passeggiata pomeridiana in attesa di più aggiornati lampioni per addentrarsi nel saluto serale. Se non ci fosse stata lei, la scrittura con la luce, non avremmo capito le sfumature raccontate sul dorso di una cartolina postale, nella cronaca raccontata a parenti e amici rimasti a casa... Che grande stimolo ha sempre dato l’immagine di un luogo di vacanza! La fotografia è l’archetipo della modernità che fa incontrare la favola della scrittura con lo stupore della luce rubata da una lente, è l’impressione su pellicola di una mente che, scegliendo la scena giusta, compie il miracolo della storia. La fotografia racconta la vita. Leggendo le pagine che seguono scoprirete il perché… Questo numero del nostro magazine è la scommessa che continua, la voce della terra delle acque dove volti e storie si scoprono narrandosi. Fil rouge questa volta sono le ville dei nostri litorali e, tra le tantissime, ne abbiamo scelte alcune emblematiche e assai diverse tra loro; da quelle costruite sulle dune ancora vergini, alle successive, già dimore di facoltosi o coraggiosi artefici di arti e mestieri; ne abbiamo scelte di suggestive per collocazione e privilegio, abitate da donne e uomini che hanno costruito le loro vite intrecciate ad altre vite e ad altre storie. Intorno a questi contenitori ruotano le nostre quotidianità che si sono stratificate nel tempo con stile e continuità culturale ma anche con una modernità non sempre rispettosa del passato. Il fatto è che la vita continua e ci appare sempre più evidente la ricerca di un progresso e di un benessere che non devono dimenticarsi degli altri, dobbiamo sapere fare tesoro infatti delle storie di dedizione agli altri come quelle di Gina o di Zaira e con discernimento trovare insieme la strada giusta per andare avanti. Dove sarà la strada sicura per costruire insieme ai nostri figli un futuro migliore? Ancora ci appare nebbiosa, sembra che la luce tardi a raggiungerci, come succedeva al tempo della storia raccontata dall’articolo di Manlio Masini “dalle lanterne alle lampadine” che apre le nostre pagine. Ma la luce è dentro ognuno di noi. Macchina fotografica di Attilio Vigolo fotografo delle prime cartoline di Viserba 1900
Pierluigi Sammarini - presidente associazione Ippocampo
6| NOTIZIE E DINTORNI La bottega, oggi come ieri… Sorriso sempre pronto, semplicità e cura dei prodotti. Giacomo Canducci, riminese, classe 1951, con la sua bottega alimentare, in via San Martino in Riparotta (nella rotonda vicina alla chiesa) è diventato un vero personaggio. A tutte le ore lo trovi dedito al lavoro, pronto a fornire agli abitanti della zona, aumentati numericamente negli ultimi anni, pane, latte, frutta fresca, ma anche prodotti tipici locali come cassoni chiusi con forchetta, prosciutto tagliato a coltello, pasta fatta a mano. Vi è anche la possibilità di ricevere la spesa a domicilio tutti i giorni dalle ore 12.00 alle 15.00. Il negozio è aperto al mattino anche nei giorni festivi e durante i grandi eventi fieristici. Giacomo nasce a Montebello da famiglia contadina, dopo gli studi e il servizio di leva, la sua famiglia prende in gestione il bar pizzeria Helvetia in via Porto Palos a Viserbella, sotto l’allora Hotel Gallia, ora
trasformato in residence. “Durante le undici stagioni estive – racconta – nelle quali ho gestito il bar pizzeria, si iniziava a lavorare dalla Pentecoste con i tantissimi tedeschi che arrivavano e si proseguiva fino a ottobre inoltrato.” Nei mesi invernali, Giacomo si recava in Germania a Darmstadt vicino a Francoforte sia per lavorare che per promuovere il locale riminese. “Recuperavo la carta dei menù giornalieri - ricorda sorridendo - per riproporli ai numerosi e facoltosi (grazie al cambio favorevole) turisti estivi.” Nel 1983 apre un negozio di alimentari in via Madonna della Scala che gestisce fino al 2005. Fino ad arrivare, dieci anni fa, nella zona nord di Rimini, a Viserba Monte dove rappresenta un’eccellenza nel suo settore. Entrando nel negozio ci si chiama ancora per nome, si fanno due chiacchiere proprio come nelle botteghe di una volta...
Ippocampo su Facebook zione si è dotata di una nuova pagina Facebook dove chiunque potrà partecipare attivamente in diverse modalità: commentando i post, richiedendo informazioni, inviando materiale digitale e prenotando incontri presso l’associazione sita in via Panzacchi 21 a Viserba. La nuova pagina Facebook di Ippocampo è una sorta di vetrina su una piazza già consolidata da quattro anni che si pone l’obiettivo di attrarre nuovi utenti e che si relaziona con essi attraverso tempistiche più ristrette. Il tutto contornato da una grafica contemporanea ed intuitiva. Se siete curiosi di visitare la pagina il link da visitare è: www.facebook.com/IPPOCAMPOVISERBA 2015: L’Ippocampo è anche su Facebook! L’associazione “Ippocampo” è cresciuta grazie all’interazione tra i propri membri fondatori e i cittadini che hanno contribuito in maniera attiva rilasciando
e donando: interviste, documenti scritti, documenti iconografici e collaborando alle iniziative socio-culturali promosse dall’associazione viserbese. Per rendere più agevole questa interazione l’associa-
Immagine di copertina della pagina Facebook
foto Rosalia Moccia
8| NOTIZIE E DINTORNI Nuove strutture d’eccellenza Da Milano a Viserba. Da hotel Milano a hotel Madalù. È la storia di una struttura finalmente tornata all’antico splendore. La famiglia Squillace, composta dal signor Giancarlo con la moglie Rita Calegari e i figli Matteo, Davide e Gianluca, ha acquistato lo storico hotel Milano che, dalla prossima estate, con il nome di Madalù, darà nuovo lustro al lungomare, dalla sua centralissima posizione in viale Dati 41. Il nome Madalù è composto dalle iniziali dei nomi dei tre fratelli Squillace, la struttura alberghiera comprenderà una decina di stanze e suite, e poi ancora: biblioteca, sala riunioni, e piscina panoramica sul tetto per un tota-
le di circa 600 metri quadri che saranno inaugurati a fine maggio. Alla Famiglia Squillace, nuovi concittadini e impren-
ditori viserbesi, un caloroso ‘in bocca al lupo’ dall’associazione Ippocampo. L’hotel Milano negli anni ‘50
Natale con ‘Sei di Viserba se…” Gruppo degli amici di “Sei di Viserba se…” in posa in piazza Pascoli con babbo Natale durante le ultime festività. Il gruppo conta oggi quasi duemila membri accomunati da ricordi, amicizie, radici e identità. Ideatrice e ‘anima’ del gruppo è Letizia Neri, promotrice anche di quest’ultimo appuntamento “di piazza”, perché il gruppo oltre che “virtuale” possa favorire anche incontri e amicizie reali.
ttica “Non ConGelateci il Sorriso” compie otto anni Promuovere la conoscenza reciproca tra i ragazzi e l’apertura verso la diversità, ma anche imparare ad affrontare i conflitti invece che negarli. Queste le motivazioni di “Non ConGelateci il Sorriso”, il progetto nato otto anni fa dall’idea di Claudia Pari, titolare con la famiglia del Café Matisse di Viserba, e di alcuni suoi colleghi gelatieri attenti al sociale. Gli obiettivi? Educare all’amicizia, contrastare il bullismo e creare nuove connessioni attraverso scuola, famiglia e gelaterie artigiane. Tutto questo è stato reso possibile attraverso la rete di collaborazione formata da CNA Rimini, Confartigianato Rimini, Sigep, Mo.Ca Spa, Provincia di Rimini, Uni.Rimini, Ufficio Scolastico Provinciale, con la partecipazione della Fondazione Francolini. Nell’edizione 2014/2015 sono state coinvolte quattro classi di scuola media: una a Rimini (la Fermi-Alighieri) e tre a Santarcangelo. Attraverso gli “Assaggi d’amicizia”, carnet di degustazioni gratuite, e ospitando in gelateria i “Caffè pedagogici” e i disegni dei ragazzi, tante gelaterie artigiane, fra cui il Café Matisse di Viserba, hanno attivato una rete sociale di solidarietà tra imprenditori, in un’alleanza con la scuola e la famiglia, per la sicurezza e la prevenzione del disagio dei giovani.
Da sinistra, Claudia Pari con Pierluigi Sammarini e Maria Cristina Muccioli
Ottica Galassi VIS 5_2015.indd 2
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10| NOTIZIE E DINTORNI
C(u)ORI UNITI… oltre i “Lunedì di Viserba” Viserba, Viserbella, Torre Pedrera, San Martino in Riparotta e Viserba Monte si sono trovati a condividere una delle
esperienze più belle dell’estate: il 7 luglio 2014, sul sagrato della chiesa di Viserba, i gruppi parrocchiali della zona pastorale aprono i “Lunedì di Viserba” (la proposta culturale della parrocchia ai turisti), con un grande concerto di canti liturgici. Il colpo d’occhio per chi guardava verso la piazza era emozionante: un tappeto di gente, tanti residenti, insieme ai turisti,
erano accorsi a festeggiare un evento preparato in meno di due mesi da 60 coristi e 12 musicisti sotto la direzione di Silvia Branducci. L’idea di don Aldo Fonti, sacerdote illuminato da una visione popolare dell’evangelizzazione, ha consentito a un’esperienza di cultura religiosa di “uscire dal tempio” e diventare motivo di condivisione trasversale di valori umani.
originario amore: quello per il disegno. Con le inseparabili matite colorate prende vita una bellissima serie di particolari quadretti che fanno da contraltare alle gigantesche opere della produzione giovanile e che nel testo sono riportate, come spiega Yvette, rispettando i cromatismi, affinché non si nuocciano l’una con l’altra. Alla ’partenza‘ c’è Viserba, luogo
magico dell’infanzia dell’artista, raffigurata come una barca, cui fanno seguito statuette orientali, paralumi, bicchieri, uccelli, racemi di edera, fiori, pipe, libri, conchiglie… un guazzabuglio, come direbbe Manzoni, quello del cuore di Fernando che ha viaggiato il mondo in senso vero e metaforico, sorretto sempre dall’amore della sua cara Yvette.
La sorpresa di Gualtieri Per festeggiare le novantacinque primavere dell’artista, Yvette Lichtenberg ha dedicato all’amato marito e grande pittore Fernando Gualtieri, un nuovo libro catalogo che è anche una biografia. Ma soprattutto, ‘Gualtieri. La sorpresa dei disegni‘ è ciò che promette il suo titolo: una sorpresa. L’opera, e con essa la collezione dei 60 disegni contenuta, è stata presentata in due occasioni: sabato 8 novembre a Talamello presso il Museo Gualtieri e venerdì 28 novembre a Rimini presso il Museo della Città alla presenza dell’assessore alla cultura del Comune di Rimini, Massimo Pulini. Ispirati ai personaggi secondari della produzione dello Splendore del Reale e alla natura, “i disegni fanno scoprire – scrive Yvette - una giovinezza sorprendente, una innocenza romantica“ del maestro che, dal 2014, lasciata la pittura, è tornato al primo
11| NOTIZIE E DINTORNI Capodanno a Viserba 2000 Oltre seicento soci che periodicamente organizzano incontri di festa, corsi di ginnastica, serate danzanti, gite, tombolate; una realtà fortemente radicata nel territorio viserbese, punto di socializzazione per donne e uomini che hanno voglia di condividere e di stare insieme: si tratta del centro sociale “Associazione Viserba 2000”, facente parte della rete ANCESCAO (Associazione Nazionale dei Centri Sociali Comitato Anziani e Orti), presente a Viserba, in via Baroni, da oltre 25 anni. Il presidente, Lino Perazzini, sottolinea l’importanza di “Viserba 2000” per la società locale ed invita al tesseramento nuovi soci, senza limiti di età. Nella foto, le tavolate festose all’ultimo veglione di Capodanno.
Le sane abitudini che deliziano il palato Alle sei del pomeriggio, quell’orario ormai dedicato ad un aperitivo spizzicato, nell’attesa di riproporsi sempre più tardi a tavola per cena, percorrendo la via Dati a Viserba, ci avvolge un piacevole profumo di piada che proviene da quel negozietto all’angolo con via Burnazzi e ti pren-
de per la gola: la ‘Bottega della piada’. Qui, da otto anni, Elena e Lele, entrambi riminesi della zona nord, ci soddisfano il palato. “Sono cresciuta nelle campagne di San Giovanni in Bagno da famiglia agricola, fra allevamento di tacchini e commercio di verdure – racconta Elena Pasini – poi quando in famiglia abbiamo smesso l’allevamento, io e mio marito Lele abbiamo deciso di rilevare questa attività in essere da oltre vent’anni. Oggi ci riteniamo molto soddisfatti sia del lavoro che della clientela, special-
mente locale, ormai affezionata e fidelizzata, che ci permette di lavorare con prodotti freschi e di qualità acquistati direttamente dai produttori sul territorio. Anche molti occasionali turisti e villeggianti abituali non disdegnano di partire con riserve di piade, cassoni e altre varie specialità già preparate o precotte. Ricordo – dice sorridendo – quel tedesco che per una settimana ogni giorno è tornato a mangiare piadina e salsiccia, e mi diceva che in quel sapore di salsiccia lui ci sentiva la naturalezza ed il lavoro dell’artigiano che non riscontrava altrove. Da qualche anno sono cambiate le fasce orarie di lavoro: anni fa si chiudeva alle due di notte con molta gioventù ancora in giro, ora non si supera la mezzanotte, ma in compenso sono aumentate le richieste, principalmente nel periodo estivo, di pasti consumati sulla spiaggia. Tutto questo è dovuto anche alla presenza di Milena Evangelisti, mia grande amica e collaboratrice, ma soprattutto alla figura di zia Rosetta, artefice e suggeritrice della memoria dei mangiari di una volta.”
12| NOTIZIE E DINTORNI Viserbella eventi estivi Tra le varie attività che contraddistinguono l’operato dell’associazione L’Ippocampo Viserba c’è anche l’attività di strada che ha da sempre come fulcro la partecipazione estiva ogni martedì sera alla “Fiera degli artigiani, antiquari e collezionisti in piazza” di Viserba Mare in piazza Pascoli organizzata dal Comitato Turistico di Viserba che l’associazione ringrazia della grande collaborazione.
Quest’anno Ippocampo ha partecipato alle riuscitissime feste del Comitato Turistico di Viserbella; nella serata del 25 luglio “Esposizione di quadri e foto antiche” e del 18 agosto sempre presso la piazza de Calboli “Calici di Bacco percorso con degustazione di vino ed intrattenimento”. Questa esperienza viserbellese è stata esaltante per la freschezza e la curiosità degli ospiti di Viserbella e dei residenti che hanno invaso il centro, strade e piazza, divertendosi e partecipando alle iniziative organizzate, concedendosi anche una sosta allo stand dell’associa-
zione. Qui sono state raccolte testimonianze verbali, scritte e immagini fotografiche familiari di grande interesse storico. Presto, in un prossimo “Vis a Vis” scopriremo cosa hanno riservato gli amici di Viserbella. Patrimonio che si aggiunge alle raccolte storiche di cui l’Ippocampo già dispone: centinaia di foto dai primi del novecento ai giorni nostri, che vanno ad arricchire il comune sapere. È superfluo ma giusto ringraziare tutti gli operatori del Comitato Turistico di Viserbella nel rinnovato consiglio con l’attuale presidente Luca Donati e con i consiglieri Davide Neri, Angela Lucchi, Stefano Benaglia (presidente uscente), Guerriero Bernardi, Daniele Donati, Marco Pagliarani, Marco Arlotti e Maurizio Rossi, insieme ad altri volontari ed operatori turistici con in testa gli “amici dello Scaion”, museo della marineria di Viserbella. Grazie, amici di Viserbella!
Nella foto da sinistra, Stefano Benaglia presidente uscente del Comitato Turistico di Viserbella e il consigliere Maurizio Rossi
Un paio di pedalate Spinning per un amico. In memoria dell’amico scomparso Stefano Vittori, per gli amici “Paio”, si sono svolte presso il Presepe di sabbia di Torre Pedrera due sessioni di spinning con quattro istruttori. Sulle cinquanta bici messe a disposizione dalle palestre Athletic, Champion e Gelso e “a.s.d. Belligea”, gli istruttori hanno fatto pedalare un centinaio di sportivi che hanno voluto ricordare in questo simpatico modo il loro amico scomparso nel novembre 2013. Dopo le due ore intense di sport i partecipanti si sono rifocillati con un ricco aperitivo offerto dal Comitato Turistico di Torre Pedrera.
13| NOTIZIE E DINTORNI Il Presepe di sabbia “Da Rimini ad Ariminum. Alla scoperta della città romana”. Dal 7 dicembre all’11 gennaio presso il bagno 65 di Torre Pedrera si è tenuta l’ottava edizione de ‘Il Presepe di sabbia’ realizzato con duro lavoro da un’équipe di grandi artisti di fama internazionale su un’area di seimila metri quadrati, utilizzando oltre un milione di chili di sabbia (la stessa con cui giocano i bambini in estate) mescolata con acqua pressata e poi scolpita utilizzando spatole e pennelli, prendendo spunto da dipinti e fotografie. E’ così che i cumuli di sabbia pian piano prendono forma e si trasformano in splendide sculture di sabbia. I manufatti rappresentavano una natività classica immersa in ambientazioni locali con scorci dell’architettura dei primi secoli d.C. in un percorso suggestivo tra monumenti, arti e mestieri tutti risalenti alle origini della nostra città. Una spettacolare scultura esterna da lontano dominava sulla spiaggia. Per l’inaugurazione ed anche nei giorni successivi il Presepe di sabbia è stato vegliato da una delegazione
Bagno di Capodanno a Torre Pedrera Il primo di gennaio 2015 allo scoccare del mezzogiorno a Torre Pedrera anche quest’anno ha avuto luogo il tradizionale bagno al mare. Da cinque anni un appuntamento fisso per chi vuole cominciare in modo diverso il nuovo anno con i migliori propositi. Coraggiosi, folli, audaci temerari in costume hanno sfidato il mare. Al rientro, dopo il bagno, il Comitato Turistico di Torre Pedrera ha offerto a tutti i partecipanti un buffet e brindisi per salutare il nuovo anno. Attivi coordinatori del Comitato sono: Pier Paolo Pronti insieme a Moreno Ricci; presidente in carica è Gianni Berardi.
della legio XIII Gemina (rievocazione di una storica Legione Romana del 31 a.C.). Il Presepe è stato realizzato all’interno di una struttura riscaldata di oltre 300 metri quadri che ha rallegrato il periodo natalizio con eventi, mostre e serate a tema per
grandi e piccini. E’ qui infatti che negli ultimi anni per i più piccoli viene organizzata una grande festa con tombolate e befane per tutti i partecipanti. Organizzazione e Direzione Tecnica: Torre Pedrera Eventi.
14| NOTIZIE E DINTORNI Giovani imprese, sul territorio Stefano Giannini e Angelo Jommi, giovani imprenditori nel settore automobilistico, da qualche mese sono i titolari della Carrozzeria Rimini Nord, presente sulla circonvallazione ovest di Rimini, in prossimità della nuova fiera. Fin da molto giovani, Stefano (a sinistra) prima e Angelo qualche anno dopo, imparano il mestiere lavorando negli stessi ambienti della carrozzeria, fondata nel 1983 da papà Jommi e soci. Verificatasi l’opportunità di subentrare alla precedente gestione, con decisione e consapevoli della grande opportunità, hanno dato avvio alla loro giovane impresa. Intraprendenti, con buona
Incontrarsi a piano terra “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi…” Le parole di
esperienza, ottimi rapporti con l’indotto di tecnici e liquidatori, rispettosi della clientela, svolgono riparazioni e verniciatura con professionalità e perizia ben supportate dalla nuova e moderna tecno-
logia delle attrezzature a disposizione. Sul nostro territorio, un’altra bella storia di giovani intraprendenti, professionali e coraggiosi. Anche a Stefano e Angelo un grande ‘in bocca al lupo’!
Albert Einstein sono più che mai attuali; insegnano come un periodo “difficile” possa generare qualcosa di grande e positivo se solo ci si mette nell’ottica di cambiare, di mettersi in discussione, rivedere noi stessi e, se vogliamo, anche la nostra professione. Il progetto Pianoterra unisce i talenti, le capacità, l’esperienza di un gruppo di professionisti e li mette
al servizio dell’utente con una filosofia nuova, basata sul dialogo e il confronto per offrire molteplici servizi economicamente vantaggiosi, attenti alle esigenze di privati, albergatori, commercianti. Pianoterra è una rete dinamica di professionisti nell’ambito dell’architettura, della grafica, del design e della fotografia che lavora in rete con una visione giovane e innovativa e al tempo stesso attingendo agli insegnamenti che l’esperienza può garantire. Pianoterra non è solo la collocazione dello spazio in cui il team si trova, ma l’approccio che il gruppo intende avere con il cittadino, vicino alle sue problematiche, alle molteplici necessità e ai suoi dubbi, con consulenze e servizi. Altro aspetto fondamentale di Pianoterra è il legame con il territorio su cui opera. I suoi protagonisti da anni studiano e generano proposte che hanno come soggetto e oggetto Viserba e si augurano che Pianoterra possa diventare un punto d’incontro per studiare e realizzare progetti concreti in grado di rispondere alle esigenze di un territorio particolare come quello di Rimini Nord.
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Qualche ricordo inedito del secolo scorso, quando le auto si contavano sulla punta delle dita e a Viserba villeggiavano i più noti artisti dell’epoca.
Dalle lanterne alle lampadine di Manlio Masini | foto archivio Ippocampo
Sul settimanale cattolico “L’Ausa” del 19 luglio 1902 un forastiero si lamenta della mancanza di «lumi sulla spiaggia» di Viserba e chiede al Municipio di provvedere affinché le “sue” passeggiate serali siano confortate da qualche fanale a petrolio. Una richiesta modesta e garbata, che tuttavia rivela come la spiaggia di questa frazione, pur essendo frequentata da tanti villeggianti, non abbia ancora una lanterna che le rischiari le tenebre. Alla gentile istanza del forastiero il Municipio risponde immediatamente con la sistemazio-
ne di tre lampioni (1). Nonostante l’atto di “grande” generosità, l’illuminazione del lido continua ad essere manchevole e a sollecitare non poche proteste. La luce delle borgate, nei primi anni del secolo, è ancora considerata un lusso: non a caso la sua manutenzione implica una spesa che l’Amministrazione comunale non può permettersi, neppure in un luogo balneare e di sicuro sviluppo. Nel luglio del 1907, proprio per l’insistenza dei villeggianti, la litoranea viene dotata di altri lampioni (2). L’illuminazione che si ottiene risulta
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ancora modesta e invece di placare il nervosismo lo esaspera. A sottolineare il disagio, seppure con moderazione e savoir-faire, ci pensa il “Gazzettino Verde”: «le tortuose viuzze disselciate ed oscure del delizioso centro estivo necessitano ancora di qualche sprazzo di luce acetilene» (3). Il 14 giugno 1910 il Consiglio Comunale delibera alcuni «lavori di illuminazione pubblica». Ancora cose di poco conto: una dozzina di pali di abete con agganciate altrettante lanterne ad acetilene che nelle sere di luna piena, per risparmiare, vengono addirittura spente (4). Una grettezza che “La Riscossa”, voce autorevole dei repubblicani riminesi, stigmatizza con un pepato trafiletto: «Alla Marina di Viserba, dove si trova una colonia di bagnanti numerosissima (circa 3000) il Municipio di Rimini, il quale incassa un rilevante introito per tassa fabbricati, tassa di esercizio e dazio consumo, usa la taccagneria di sopprimere la
pubblica illuminazione nelle sere in cui dovrebbe brillare la luna» (5). Insomma la graziosa stazione balneare, per avere un po’ di luce, deve fare i conti con la «taccagneria» del Comune. La luce pubblica di questo «delizioso centro estivo» – meglio chiamarla penombra pubblica – continuerà ad essere del tutto inadeguata sino al 1911. Quell’anno il Consiglio Comunale decide di dotare le borga-
Nella pagina accanto, la Litoranea in un’immagine del 1906 Sotto, il Lungomare nel 1904 e via Rimini nel 1916
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te di Riccione, Bellaria e Viserba di illuminazione elettrica. «L’incremento importante verificatosi in questi ultimi anni nelle tre stazioni balneari – si legge sul verbale della delibera – giustifica una trasformazione radicale dell’antiquato ed inefficace sistema d’illuminazione a petrolio od acetilene». A detta dei delegati comunali il passaggio alla luce elettrica, oltre ad apportare «un notevole aumento dell’illuminazione», procura anche «un notevole risparmio»; le lampade a petrolio o ad acetilene, infatti, sono «soggette ai danni e alle interruzioni causate spesso dai forti venti e dalle intemperie» (6). Anche se il cambiamento è motivato da una questione di meschina “economia domestica”, i viserbesi lo apprezzano e gioiscono. «I lavori per l’impianto dell’illuminazione elettrica – riferisce “Il Momento” il primo giugno 1911 – procedono con alacrità, così che presto questa verrà inaugurata. In tal modo uno dei desideri di que-
sta industriosa popolazione è esaudito. Altri ne restano da soddisfare e di non minore importanza e urgenza». Dopo Viserba anche Viserbella, nel 1913, è rifornita di luce elettrica, ma solo lungo la litoranea. «La luce elettrica – riporta “Il Momento” del 7 agosto 1913 – da giorni funziona egregiamente. Però, se è gaio tro-
Sopra, Villino Ischirol (Viserba) in un’immagine del 1919 Sotto, la Litoranea sulla quale si notano i primi pali della luce elettrica
vare le ville profusamente illuminate, è sconfortante vedere nei viali scarsamente e malamente rotte le tenebre da preistorici fanali a petrolio». Nonostante l’esiguo tratto illuminato, l’arrivo dell’elettricità è un evento da solennizzare e il Comitato “Pro Viserbella” predispone addirittura una festa con banda musicale, fuochi d’artificio e luminarie. Sulle principali vie di Viserba e Viserbella la luce elettrica sarà definitivamente attivata dopo la guerra del Quindici. Chiudiamo il brano dedicato all’illuminazione con la dolente nota degli atti di vandalismo, «passatempo preferito da certi mascalzoni» (7). «Domenica notte – comunica il 9 ottobre 1913 “Il Momento” – alcuni eroi delle tenebre fracassarono parecchie lampadine elettriche di quelle che illuminano il viale. Questi atti teppistici si vanno moltiplicando e impressionano». Anche a causa queste azioni di teppismo, da tempo si sollecita la presenza di una stazione dei RR. Carabinieri. Argomento da trattare a parte.
Note 1) Cfr. “L’Ausa”, 19 luglio 1902; 9 agosto 1902. 2) Cfr. “Gazzettino Verde”, 23 giugno 1907. 3) Cfr. “Gazzettino Verde”, 28 luglio 1907. 4) Cfr. ACCR, seduta pubblica del 14 giugno 1910. 5) “La Riscossa”, 20 agosto 1910. 6) Cfr. ACCR, sed. pub. dell’8 aprile 1911. 7) “Il Momento”, 14 marzo 1912; 19 settembre 1912.
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Viserba era... molto “scich”
di Maria Cristina Muccioli | foto archivio Ippocampo
Da una testimonianza vergata a mano nel 1909, apprendiamo che la stazione balneare, oltre ad essere “veramente scich”, era apprezzata per le virtù salutari e curative.
Come i collezionisti più appassionati, gli amici dell’Ippocampo sono capaci di passare serate intere a guardare e riguardare vecchie fotografie e cartoline alla ricerca di ogni particolare che possa aiutare a ricostruire la memoria dei luoghi e delle persone. Nel vastissimo archivio di immagini raccolte fino ad oggi (di cui molte a disposizione di tutti, pubblicate nel sito www.ippocampoviserba.it) ci sono scatti e vedute che basterebbero a creare un’enciclopedia o una lunghissima serie di filmati. Patrimonio non solo visivo, ma anche testuale,
se non altro per le storie che certe inquadrature ispirano; oppure, come spesso succede, proprio per le parole scritte su foto e cartoline, che rimandano a persone con nomi e cognomi, a date ben precise, a luoghi e avvenimenti. Fra le tante cartoline d’inizio Novecento ce n’è una spedita da Viserba nell’estate del 1909. “Viserba. Corderia meccanica” è il titolo tipografico che descrive l’immagine in bianco e nero dell’allora famosa fabbrica “Dossi Giuseppe” (come scritto sull’edificio sulla sinistra). Ma la curiosità più intrigan-
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Nelle pagine, la cartolina vista fronte e retro che rappresenta la Corderia di Viserba datata 1909
te è il lungo messaggio vergato col pennino ad inchiostro nella parte chiara della foto, che evidentemente voleva essere un post scriptum a quanto indicato sull’altro verso. Ecco cosa scrive “zia Angioletta”, la mittente del saluto viserbese: “Gentilissima Signora Carolina, Perdonerà se sono un po in ritardo a rispondere alla graditissima sua cartolina inviatami solo ora dall’Anita. Grazie a Lei e signorina Felicina de’ suoi cari auguri. Dacché sono costì mi sento molto meglio di salute e mangio con più appetito: presto verrà anche Anita che la desidero tanto, ora sono sola con Renzo.” Sul retro, oltre al timbro postale “VISERBA (FORLI) 18 – 7 – 09”, la stessa grafia d’altri tempi continua con l’indirizzo del destinatario: “Gentil Signora Adelaide Colombo Sartore, Casa Orelli, Rodi Fiesso (Svizzera), Linea del Gottardo”. Anche il testo del messaggio è creativo: scritto in tutto lo spazio a disposizione, con tre righe aggiunte in alto, ma capovolte rispetto al verso della cartolina. “Carissima, grazie delle tue buone notizie, che speriamo ed auguriamo sempre buone; non diventare però la ‘donna cannone’. Noi tutti bene, qui ci troviamo colla solita amabile compagnia e quindi bene,
avevamo un tempo un po’ autunnale, ora però sembra, purtroppo, che metta giudizio regalandoci un caldo che fa desiderare e invidiare il tuo soggiorno. Viserba è diventata una stazione balneare veramente scich e molto frequentata. Tanti saluti a Vito, baci a Carluccia e baci affettuosi a te dalla tua affez. Zia Angioletta.” Sorridendo un po’ su quel “scich” vergato e poi corretto, che denota qualche dubbio sulla sua esattezza, ecco che, dopo più di un secolo, questo documento ci conferma che Viserba nel giro di pochi anni ha avuto uno sviluppo turistico fuori dal comune (“è diventata una stazione balneare veramente scich e molto frequentata”) e che era apprezzata per le virtù salutari e curative (“Dacché sono costì mi sento molto meglio di salute e mangio con più appetito”). La nostra cronista d’antan è lei, zia Angioletta, che con semplicità e spontaneità ci comunica in diretta quanto poi documentato dagli storici più referenziati sullo sviluppo della Viserba balneare.
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Carità e accoglienza una storia di sorelle di Silvia Ambrosini | foto archivio Ippocampo
Nel 2015 ricorre l’ottantesimo anniversario della presenza a Viserba delle Suore Francescane Missionarie di Cristo, esempio di grande accoglienza all’interno della nostra comunità.
Bambini che corrono tra i fiori, turisti che passeggiano, ragazze che studiano… È un quadretto del secolo scorso, un’immagine in bianco e nero dove, se sovrapposta a quella che ritrae l’attualità, è quasi impossibile scorgere tratti in comune, tanto sono cambiate la geografia urbana e la società di questo angolo cittadino. Le Suore Francescane Missionarie di Cristo, dal 1935, anno in cui diedero avvio alla fondazione viserbese, si sono prese cura di tanta parte della comunità, realizzando e gestendo, nel corso degli anni, un asilo, una
pensione per villeggianti e una casa di riposo, dapprima in via Polazzi affittando Villa Sobrero, e successivamente in via Roma dove tuttora risiedono. A Viserba, fin dai primi anni della sua istituzione, l’attività dell’istituto religioso era stata rivolta all’educazione dei giovanissimi: le sorelle gestivano l’asilo e una scuola di lavoro per le bambine, uno spazio per le ripetizioni e la sede dell’Azione Cattolica. Fra le mansioni che costituivano il loro impegno, data la vicinanza al mare, vi era anche il centro estivo. Infat-
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Nella pagina a fianco una foto di gruppo delle sorelle Sotto, Villa Sofia in via Roma che, negli anni ‘70, fu sostituita con l’attuale struttura
ti durante l’estate accompagnavano i bambini in spiaggia. Nel 1936 gli spazi troppo ristretti portarono al trasferimento in via Roma, a Villa Sofia, struttura che fu successivamente demolita, negli anni settanta, per lasciare spazio a quella attuale. “Negli anni seguenti, - ricordano le sorelle che ancora oggi gestiscono la casa di riposo San Francesco - per ripagare i debiti contratti per svolgere le tante attività di carità e di sostegno, fu organizzata anche l’attività di pensione per villeggianti. Erano anni duri e di difficoltà per tutti. La guerra e la miseria facevano sì che tanti si rivolgessero ad istituti come il nostro. In quegli anni, tuttavia, c’era molta attenzione verso l’ordine: conoscen-
do il compito che qui veniva svolto, c’era chi portava frutta e verdura dei propri campi, cercando insomma di rendersi utile e di contribuire alla carità verso chi più aveva bisogno.” Vittoria Ceccarelli, classe 1937, frequentatrice abituale della casa di riposo San Francesco, ci offre una testimonianza significativa della vita dell’istituto nel cuore di Viserba, essendo stata lei stessa una dei piccoli ospiti dell’asilo: “Sono entrata in asilo a soli quattordici mesi, visto che quella volta si poteva essere accolti anche prima dei tre anni. Ricordo bene suor Leopoldina, che ci sorvegliava quando noi bambini correvamo tra i fiori. Poi c’è stata la guerra, in tanti sono sfollati. In quel periodo la comunità delle suore francescane è stata anche un orfanotrofio, accogliendo i bambini che avevano perso i genitori.” Una storia di grande accoglienza e assistenza verso i più bisognosi. Ma pure di molte vocazioni, fra cui ricordiamo Madre Augusta
Le Suore Francescane Missionarie di Cristo sono un istituto religioso femminile di diritto pontificio la cui sede generalizia è a Rimini. Le origini della congregazione risalgono al collegio istituito nel 1885 presso la Chiesa di Sant’Onofrio a Rimini dalla terziaria francescana riminese Suor Teresa di Gesù Crocifisso (Faustina Zavagli). L’istituto, aggregato all’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, si è sempre dedicato all’istruzione e all’educazione, attraverso scuole materne ed elementari, alla catechesi, all’assistenza agli anziani e agli ammalati in ospedali e case di riposo, alla pastorale parrocchiale e all’attività missionaria. La congregazione ha case in Emilia Romagna e in altre regioni italiane, oltre alla presenza missionaria in Etiopia in Tanzania e in Brasile. Un immobile vicino alla chiesa di Sant’Onofrio a Rimini accoglieva ragazze povere bisognose di istruzione ed altre come educande. Fu lì che iniziò l’esperienza che si diffuse poi in Italia e anche oltre confine.
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La comunità di Viserba fu aperta il 24 giugno 1935 con il fitto annuo di 6.000 lire di Villa Sobrero (via Polazzi 15) su sollecitazione del parroco don Arcangelo Biondini e di un comitato parrocchiale formato dalla contessa Lazzarini, dal cavaliere Lugaresi segretario politico, dal cavaliere Druetti, dalla signorina Nasi, dalla signorina Capponi, dalle maestre elementari del paese, dalla contessa Della Porta, dal professore Serafini, dal commendatore farmacista Egisto Morri, dal signor Luigi Semprini, idrauilico, dal signor Mario Morolli, falegname e da tanti altri. La signorina Capponi e la nipote, abitanti a Modena e iscritte all’Azione Cattolica, trascorrendo le vacanze a Rimini, videro la necessità di collaborare con il parroco e predisposero due piccole villette per un servizio apostolico: una serviva per l’asilo, l’altra fungeva da cappella, da scuola di lavoro e da abitazione delle suore. La prima comunità era formata da suor Teresa Pelliccioni, superiora, suor Elena Giovagnoli, suor Annunziata Teneggi, suor Alfonsina Caroli (per il cucito e il rammendo), suor Maria Levoni (per le ripetizioni) suor Maria Virginia Zanoli (per la cucina), la probanda Pia Mazzacani.
Macrelli, che tanto si impegnò per la comunità viserbese e per la congregazione di cui è stata Economa Superiora Generale per diversi anni. Oggi la moderna struttura ospita la scuola materna, la casa di riposo e l’abitazione delle suore. Nella casa di riposo vivono cinquanta persone, dagli ottanta ai centotre anni. Sì! Infatti la signora Elisabetta Tordi ha già vissuto più di cento primavere! Durante il giorno, oltre alla preghiera, vengono svolte alcune attività, ricreative e motorie, e qualche lavoretto manuale. I ricordi
si snodano fra i racconti dei tempi passati, sedute l’una accanto all’altra nella luminosa struttura, dove l’aria che si respira è di grande serenità. In una parte dell’istituto risiedono anche le suore a riposo. Il tempo non ha ingiallito i ricordi. Incontrandole ascoltiamo storie di “suore sarte” che cucivano cappotti con la stoffa delle divise abbandonate dai tedeschi… di “suore cuoche” che cucinavano per i poveri, gli orfanelli, i bimbi dell’asilo, gli anziani… di “suore portinaie” sempre all’opera. Ora, raggiunta l’età del riposo, pregano, nella loro
le antiche botteghe di via Panzacchi
quotidianità fatta di poche e semplici cose. Nella vicina scuola materna i ritmi sono diversi. Novanta bambini divisi in tre sezioni a seconda dell’età (dai tre ai cinque anni) svolgono varie attività con le loro maestre. Oltre alle normali occupazioni di qualsiasi asilo, i piccoli ospiti vengono coinvolti in progetti artistici che permettono loro di incontrare pittori e insegnanti di musica e di imparare così i primi passi delle varie discipline. La struttura gode di spazi agevoli e orari flessibili. Tutto è molto ben organizzato. Visto che nel 2015 si celebrerà l’ottantesimo anniversario della presenza a Viserba delle Suore Francescane Missionarie di Cristo, esempio di grande accoglienza all’interno della nostra comunità, ci fa piacere usare le pagine di “Vis a Vis” come tramite per un calorosissimo “buon compleanno!” da parte di tutti i viserbesi.
Queste e altre informazioni all’interno dell’articolo sono tratte da “Storia della congregazione delle suore francescane missionarie di Cristo dalle origini (1885) ad oggi. Autore: Ulderico Parente, Pazzini Editore
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via Panzacchi, 18 Viserba • 47922 • tel. 0541 738167
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Nella pagina a fianco, il giardino della congregazione viserbese dove hanno sede la casa di riposo San Francesco, l’asilo e l’abitazione delle suore
via Panzacchi, 29 Viserba • 47922 • tel. 0541 738049
26| SPECIALE FRA VILLE E VILLINI
Ombre e misteri fra la vegetazione
di Maria Cristina Muccioli | foto Nicola Sammarini, archivio Ippocampo
27| SPECIALE FRA VILLE E VILLINI Oggi in rovina, le pietre di quella villa misteriosa trasudano vite e storie, dai fasti alla guerra, dalla miseria alla carità. Di proprietà in proprietà, la villa ‘ombrosa’ si svela fra leggende e testimonianze.
28| SPECIALE FRA VILLE E VILLINI
Imponente e signorile, situata un po’ più in alto rispetto alle altre. “Noblesse obblige”, verrebbe da dire… E infatti la meravigliosa grande villa “sulla costa”, che tutti adocchiamo passando in via Sacramora, sbirciando curiosi tra le sbarre del cancello malconcio e oltre la vegetazione ormai allo stato selvaggio, ha origine decisamente nobile, essendo stata fatta costruire da una contessa. Come spesso accade con le ricerche dell’associazione Ippocampo Viserba, ricaviamo la storia di que-
sta antica dimora attraverso vari testi pubblicati negli anni, ma soprattutto ascoltando le voci delle “memorie viventi”: i concittadini più anziani. Testimonianze che, incastrate al posto giusto, aiutano a ricostruire un puzzle quasi completo, dove diventano utili, se non indispensabili, anche alcune rare fotografie d’epoca reperite in archivi o con l’aiuto di appassionati collezionisti. Iniziamo dalla prima immagine: una cartolina intitolata “Viserba Auto-Garage Gemmamaria”, che dovrebbe risalire al
1910. Evidentemente la villa e il suo grande parco erano stati costruiti da poco, a giudicare dalla statura degli alberelli che sembrano appena piantati. La signora con cappello e grembiulone da giardiniere immortalata sul vialetto è lei, non c’è dubbio: la contessa Gemmamaria Carini. Poco distante, il suo amato cagnolino. Dietro a lei, il garage, con inferriate artistiche alle finestre. Questo edificio è tuttora esistente, anche se purtroppo in rovina come la villa padronale. Poi, oltre il cancello – i cui pilastri sopravvivono anche oggi, pur se incastrati nel muro di cinta a confine con un condominio di recente costruzione - si scorgono il portico e il tetto con camino di una casa colonica. E qui iniziamo a dare spazio alle nostre voci narranti, iniziando da quella di Maria Morolli, classe 1918, scomparsa qualche anno fa ma ascoltata nel 2010. “I miei nonni, Giuseppe Morolli e Lucia Porcellini, nella seconda metà dell’Ottocento erano mezzadri dei conti Spina. Prima nei possedimenti di Covignano, poi sui
29| SPECIALE FRA VILLE E VILLINI poderi di Viserba, dove vennero trasferiti quando avevano un paio di figli piccoli. Abitavano nella casa colonica (allora isolata in mezzo ai campi) che sorgeva sulla “costa”. Qui nacquero altri dieci figli (in tutto ne ebbero dodici: sei maschi e sei femmine). Mio padre Davide (classe 1887) raccontava che agli inizi del secolo, quando tutti i signori venivano a farsi le ville a Viserba, il conte Spina vendette una lunga striscia del suo terreno alla contessa Gemmamaria Carini, che desiderava costruire una casa per i suoi soggiorni estivi. Si raccontava che quando misero giù le fondamenta, ci nascosero dentro una manciata d’oro! E la contessa era così ricca che in una sola giornata si cambiò diciotto vestiti!” Fondamenta dorate e una castellana che sfoggia abiti sfarzosi, per questa villa di tre piani più cantina, con grande terrazza, dépendance e autorimessa-garage e, a farle da cornice, un enorme parco con alberi di ogni tipo, bei vialetti fiancheggiati da fiori variopinti, fontane zampillanti. Il colpo d’occhio doveva essere proprio meraviglioso, tanto che gli ospiti romani della contessa erano sempre numerosi. La famiglia Morolli per tanti anni visse in simbiosi con i proprietari della Villa: Davide fungeva da custode e uomo tuttofare, Rosa sempre disponibile per vari lavori e, soprattutto, in cucina a preparare le specialità locali, tra cui l’ormai introvabile “piada sfogliata”, che i signori ospiti gradivano tantissimo e prenotavano già prima del loro arrivo in Riviera. Il rapporto dei Morolli con la contessa Carini rimase vivo anche quando lei non abitò più a Viserba, tanto che, quando nel 1941 Maria diede alla luce la prima figlia, in segno di omaggio la chiamò Gemma; la nobildonna da Roma fece da madrina
“per procura” ed inviò in dono una ingente somma di denaro. Il nome “Villa Carini” è ancora presente in alcune mappe catastali di Viserba. Negli anni ’30 la villa venne venduta, tramite un passaggio curato dal mediatore viserbese Pozzi, alla famiglia Gattegno. Ma nel periodo in cui questi vi abitò ci furono alcuni screzi con i cittadini viserbesi, pare a causa di un episodio violento che giunge a noi tramite i “si dice”, un po’ sfocato nei dettagli. In ogni caso, da quel momento Gattegno reputò Viserba non più ospitale e vendette ai Cameo, professori universitari di religione ebraica, che ribattezzarono la dimora “Villa Cameo”. Esiste anche una cartolina con la dedica alla giovane figlia: “Villa Cameo ‘Sara’ – Viserba (Rimini)”. Una decina di anni dopo avvenne il successivo “passaggio di proprietà”, se così vogliamo chiamarlo, frutto delle leggi razziali promulgate dal Regime Fascista che prevedevano “la confisca di beni appartenenti a persone di razza ebraica”. Documenti ufficiali del 1944 riportano che i beni confiscati a “Cameo Giuseppe fu Emanuele, domicilio fiscale in Roma” consistevano in “terreno agricolo sito in Rimini frazione Viserba via Sacramora (imponibile L. 164,12); fabbricati ad uso abitazione civile siti in Viserba via Sacramora, 113: a) di piani 4 e vani 20 (imponibile L. 1820); b) di piani 2 e vani 4 (imponibile L. 280); c) di piani 1 e vani 2 (imponibile L. 186,65).” Quindi, in un sol colpo, il grande parco, la villa padronale, una dipendenza, l’autorimessa-garage divennero di proprietà dello Stato. A costo zero, come fu per tutti i beni mobili ed immobili posseduti dagli ebrei. Gli anni della guerra li racconta Augusto Morolli (classe 1932), uno dei
Nella pagina precedente una suggestiva veduta della Villa come si presenta oggi Nella pagina a fianco, sopra: una cartolina dei primi del ‘900 che ritrae la contessa Gemmamaria Carini; sotto: Villa Ombrosa negli anni in cui era di proprietà della famiglia Cameo e un dettaglio dell’antico muro di cinta in corrispondenza del cancello laterale Sotto, particolari degli infissi interni ed esterni
30| SPECIALE FRA VILLE E VILLINI fratelli più giovani di quella Maria conosciuta sopra. “Col primo bombardamento di Rimini, il primo novembre del 1943, ben sette bombe caddero sulla zona della Sacramora. - ricorda Augusto – Colsero tutti di sorpresa. Molti miei parenti stavano tornando dal cimitero e si salvarono saltando nel fosso che costeggiava la strada. Per i successivi bombardamenti tutta la numerosa
dire, avevano risparmiato dalle bombe, sapendo che era bella e grande, per poterne fare successivamente il loro quartier generale. E così fu: per un certo periodo ospitò una base del servizio di controspionaggio, con il nostro campo, lì vicino, che fungeva da pista di atterraggio. Nel dopoguerra Villa Ombrosa divenne di proprietà di don Pietro Lodolini, detto “don Zuclòn”, in passa-
lungo gruppi di giovani senegalesi (i primi che approdarono a Rimini). Situazione che innescò non poche polemiche e che si risolse con lo sgombero forzato diversi anni dopo la morte del prete, quando i nuovi proprietari vollero prendere possesso effettivo della villa. Poi si sa di altri due - tre passaggi di proprietà. Chi voleva ristrutturarla per ottenere una residenza per anzia-
famiglia e altri viserbesi pensarono bene di rifugiarsi nelle cantine di questa grande casa. Si dormiva tutti ammassati, chi sui mucchi di carbone, chi in piccoli ripostigli: una volta eravamo ben 102 persone! Ci sembrava un rifugio sicuro, anche se sopra di noi, nei piani nobili della villa, si era acquartierato un comando tedesco. Quando arrivarono gli alleati, ci fecero vedere una mappa dove era cerchiata ‘Villa Carini’, che, a loro
to aiutante parroco nelle parrocchie di Viserbella e di Viserba Mare, che l’acquistò nel 1954 e vi abitò fino alla sua morte avvenuta una ventina d’anni fa. Negli anni ’60-’70 don Lodolini trasformò la villa padronale in albergo per la gioventù, ricavando piccole stanzette e di fatto alterando l’interno della struttura originale. In un’altra palazzina di epoca più recente, sempre all’interno del parco, negli anni ’80 don Pietro ospitò a
ni, chi per la mega villa di famiglia… Nel 2009 lungo il lato sud del parco è stata tracciata una strada che da un nuovo cancello sulla via Sacramora conduce ad una palazzina con diversi appartamenti costruita ex novo ai confini estremi della proprietà. Oggi il tutto appartiene ad una società che, da diversi anni, ha esposto all’ingresso un bel cartello: “vendesi”. In definitiva, la villa è un regno di fantasmi da quando è deceduto il
31| SPECIALE FRA VILLE E VILLINI suo ultimo custode, don Lodolini. Nessuno vi ha più abitato (i ragazzi senegalesi vivevano in una dépendance). Dall’esterno, sbirciando fra le inferriate del cancello, si nota che la costruzione perde i pezzi a ritmi scanditi dal tempo che passa. Osservando l’imposta che sbatte e la vetrata d’epoca rotta in più punti, i vecchi viserbesi ricordano il parco aperto al pubblico da don Lodolini, i bambini
giocare fra vialetti e panchine mentre le famiglie andavano alla messa nella cappella ricavata dall’autorimessa della contessa. Altri, noi compresi, attendono di vincere qualche milione di euro alla lotteria per poterla acquistare, o sperano che una banca o pubblica amministrazione la voglia acquisire per farne un luogo a disposizione della collettività. Già: la speranza è l’ultima a morire…
Nella pagina accanto, una delle sale principali come si presenta oggi Sotto, la facciata con la scalinata d’ingresso
Anche il ricordo del grande poeta Elio Pagliarani contribuisce a creare mistero attorno a questo luogo. Tenendo presente che era nato nel 1927 e il racconto è riferito all’età della sua infanzia, il quadro che il poeta ci propone dovrebbe essere databile agli anni ‘30 – ‘40 del secolo scorso. Ecco cosa scrisse nel 1979 nella sua autobiografia: “Poche grandi ville delimitavano Viserba. C’era villa Cameo (Cameo e Pincherle, alta borghesia ebraica, università di Bologna) con parco grandissimo, vigilata da mastini ringhiosi e terrificanti – noi bambini non ci azzardavamo nemmeno a passargli vicino – che separava il paese dalla campagna vera e propria (adesso ciò che rimane di Villa Cameo è di don Zuclòn già reggente della parrocchia di Viserba, e poi allontanato dal giro parrocchiale).”
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Tanto amore,
nel nome di una donna di Sabrina Ottaviani | foto archivio Ippocampo
Ci sono spiriti che aleggiano nelle ville antiche, come passaggi impalpabili di chi le ha vissute, ne ha calpestato l’impiantito, ne ha respirato l’essenza che scaturiva dagli spessi muri e dalle poderose travi…
Nelle ville antiche ci sono gli spiriti di chi le ha amate e che forse continua ad amarle nonostante il tempo che scorre… Questa è la certezza di chi oggi abita ‘Villa Laura’, l’antico villino costruito ad inizio del secolo scorso secondo lo stile Liberty allora in voga, che si distingue per la sua eleganza al civico 52 sulla via Porto Palos a Viserbella. Di colore giallo, è ornato da una doppia scala esterna che dà accesso al piano nobile. Sotto lo scalone si nota una nicchia che accoglie una piccola fontanella, mentre a lato sud una bella terrazza panoramica fronteggia la marina. Il destino ha voluto che questa villa,
ormai decadente, a inizio degli anni ’70 divenisse proprietà di una donna speciale, la signora Giovanna Santucci che, insieme alle tre figlie Antonella, Marta e Maria Rosa, restaurandola l’ha fatta risorgere, così come la villa ha aiutato lei a risollevare le sorti della sua famiglia. È prima di tutto una storia di donne, quella che raccontiamo in queste pagine, di coraggio, di forza di volontà e d’amore, giunta a noi grazie alla testimonianza di Antonella Brighi, una delle figlie di Giovanna, autrice di racconti (contenuti nel libro “Donne. Racconti al femminile” a cura di Narda Fattori) legati a questa
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casa. Antonella ci accoglie e ci mostra quella che nel libro definisce a ragione e a sentimento ‘La casa delle Donne’ e a noi piace pensare che Laura, cui era stata dedicata la villa nel lontano 1911, ci abbia messo lo zampino e che ancora continui a mettercelo… Andiamo con
ordine. Sicuramente la costruzione della villa scaturì dall’amore di un medico: Galliani prof. Giuseppe del fu Domenico, allora primario dell’ospedale di Bagnacavallo, per la sua bella Laura. Ma chi era Laura? La moglie, la madre, la figlia, l’amante? Non lo sappiamo, ma certamente di Amore (quello con la ‘A’ maiuscola) si trattò, di questo possiamo esserne certi! Via Litoranea, via Cristoforo Colombo, via Porto Palos… I nomi della via cambiano nel corso del tempo, così come i diversi proprietari. La famiglia Costa dott. Achille di Ferrara la acquista nel 1919; eredita quindi il figlio Ing. Antonio nel 1932 per poi passare nelle mani del Marazzi Cav. Armando Ermenegildo e del Sodini Monsignor Giovanni fu Venceslao nel 1942 che, con un atto di donazione siglato nel
1945, cedono la proprietà della Villa all’Opera Nazionale “I piccoli di Padre Beccaro”, opera pia con sede in Milano. Il villino di piani 3 e vani 18 come da dicitura dell’antica mappa di san Martino in Riparotta, diviene quindi, per un certo periodo, luogo ricreativo di
piccole anime di orfanelli raccolti nei brefotrofi di tutta Italia, essi stessi vittime della recente guerra, o piccoli delinquentelli salvati dalla strada ad opera dell’associazione. Come scrive Antonella nel suo libro “(Villa Laura) ... consolò, abbracciò e strinse al cuore tante tenere vite che, piangendo
Nella pagina accanto, Villa Laura in un’immagine ritratta dal fotografo Vigolo In basso, le donne di Villa Laura con al centro la mamma Giovanna Santucci e le tre figlie Antonella, Marta e Maria Rosa Sopra, da sinistra la spiaggia antistante Villa Laura in uno scatto di fine ‘50 Un ritratto del fotografo Vigolo risalente agli inizi del XX secolo Sotto, il Viale Litoraneo con un suggestivo scorcio dei villini viserbellesi
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nella notte, invocavano i genitori che non avrebbero mai più rivisto…” E di un altro atto d’amore, ci parla ancora Antonella, con lo sguardo rivolto al passato. Suo padre, emigrato a Ginevra, dopo aver lavorato duramente come muratore, morì d’infarto all’età di 39 anni. Rimasta sola in una terra straniera, Giovanna, con le sue tre bambine, decise di fare ritorno a casa, a Longiano, nella casa paterna. Antonella racconta la difficoltà di quel momento e la ricerca non solo di un nuovo luogo in cui vivere ma anche di un lavoro che potesse sostenerle. L’idea fu quella di acquistare, grazie all’aiuto del nonno, il padre di Giovanna, una pensione o un piccolo albergo che potesse essere una soluzione lungimirante per sé e per le sue tre ragazzine, bambine prima e ragazze poi che stavano crescendo e che sarebbero state un valido aiuto in quel lavoro. La ricerca condusse la mamma a Viserbella, dove ebbe modo di vedere e valutare Villa Laura. Era un impegno oneroso e, pur innamorata di quella casa affacciata sulla spiaggia di Viserbella, andava cercando il coraggio di fare quell’ardito passo. “Fu nostro padre, dal cielo, che trovò il modo per assicurare un futuro alla sua famiglia… - dice Antonella - le parole ‘questa è la tua casa, il tuo futuro… cosa aspetti?’ sono state quelle che il babbo rivolse in sogno alla mamma il giorno che ci venne proposto l’acquisto della villa e che, quasi con incoscienza, ci spinse ad acquistarla! E fu un consiglio profetico visto che ci indusse a versare al signori Berardi di Savignano una sostanziosa caparra che si rivelò fondamentale per dissuaderlo a rescindere il contratto come avrebbe voluto la moglie che nel frattempo si era pentita della vendita.” Iniziarono i lavori di
manutenzione e restauro e immensa fu la gioia quando, scrostando gli intonaci che si erano sovrapposti, comparve la piccola targa con la scritta ‘Villa Laura’, il nome di una donna che forse aveva voluto aiutare altre donne, che le aveva volute nella sua casa e che stava dando loro il benvenuto. “Per far fronte ai debiti iniziammo la nostra attività di vitto e alloggio. – prosegue Antonella Erano gli anni del boom e la sorte ci fu favorevole. Lavoravamo come piccoli soldatini capitanati dalla mamma e in estate si aggiungeva anche la nonna che da Longiano lasciava il lavoro dei campi per aiutare mamma in cucina, dove deliziava i clienti con le sue prelibatezze della più genuina tradizione romagnola.” Quattro donne, cinque con la nonna e sei con… Laura. Ecco perché, nel cuore di questa famiglia e nei ricordi di Antonella la bella villa gialla che ancora oggi s’affaccia sulla via Porto Palos di Viserbella, viene definita con amore ‘La casa delle Donne’.
Nella pagina accanto, sopra l’interno della Villa oggi Sotto, un’immagine d’epoca che ritrae lo spiaggiamento di una balena sulla spiaggia antistante Villa Laura Sotto, Antonella Brighi (a destra) con da sinistra Nerea Gasperoni e Sabrina Ottaviani dell’associazione Ippocampo
Generali Assicurazioni VIS 5_2015.indd 2
Una testimonianza di Marina Ioli, che risale al 1997, dove si parla di Maria d’Ugo, che ricorda Villa Laura. “Maria d’Ugo (…) è la prima di sette sorelle, la famiglia è povera e la vita le è del tutto grama e questa bambina deve lavorare nei primi anni della sua fanciullezza. Ad undici anni lavora, come lavandaia nell’attuale Villa Laura gestita da una signora chiamata Dirce venuta da Ferrara. Dopo qualche anno Dirce fallisce, perde tutto, e mentre gli esattori delle tasse gli portano via quello che ha nella sua casa, fa una scenata da circo equestre, all’aperto di fronte al popolo viserbellese. (È solo un ricordo visivo)”.
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Il fotografo
della Belle Époque di Marzia Mecozzi | foto archivio Enrico Colonna
Alcune fortunate circostanze riportano alla luce una bella storia di famiglia e un patrimonio fotografico unico che ritrae una Viserba d’autore nei primi del Novecento. Un’antica passeggiata alla Fonte Sacramora e uno scatto fotografico d’artista diventano oggetto, un secolo più tardi, di una curiosa vicenda di ‘ritrovamenti’ e ‘scoperte’ grazie alla quale oggi l’associazione Ippocampo può vantare una delle collezioni di fotografie d’epoca fra le più interessanti e preziose che si conoscano. La storia ha per protagonisti un collezionista di antiche cartoline viaggiate, una collezione privata di fotografie dei primi anni Venti e un signore veneto di nome Attilio Vigolo che durante l’estate, a Viserba, ritraeva con professionalità e passione amici, famigliari e tutta la nobile compagnia che da qualche tempo aveva preso a frequentare quel lido. La vicenda, che ha origine da quella ‘passeggiata alla Fonte’ in una soleggiata giornata dei primi del Novecento e che, attraverso una collezione fotografica unica, rivela
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Nella pagina accanto, Enrico Colonna con la moglie Anna Maria Bruni Sopra, una foto di gruppo davanti a Villa Laura scatta da Attilio Vigolo nei primi del secolo Sotto, a sinistra, ritratto di Attilio Vigolo (1864-1949) Sempre Vigolo alla sua scrivania e, a destra, Enrico Colonna da bambino con la mamma e la sorella Olga
tanti e interessanti aspetti dello spaccato sociale e culturale dell’epoca, la racconta Enrico Colonna, classe 1928, di origini lombarde e residente con la moglie Anna Maria Bruni a Treviso, proprietario a Viserba del villino di famiglia situato in via Bellini, nipote per via materna di Attilio Vigolo. Attraverso le preziose informazioni fornite da Colonna è stato così possibile risalire alla vita e all’opera di uno dei più raffinati autori di
fotografie e cartoline che ritraggono la vita di Viserba nei primi anni del Novecento, di cui in queste pagine proponiamo alcune immagini tratte dalla collezione privata che gli eredi hanno messo a disposizione dell’associazione Ippocampo. Chi era Attilio Vigolo? “Il nonno Attilio - racconta Enrico - era nato a Vicenza nella seconda metà del diciannovesimo secolo ed era stato un funzionario dell’Ufficio Postale della sua città. Quella per la fotografia era nata come passione e diletto e negli anni lo aveva coinvolto sempre più, fino a possedere tutti gli strumenti necessari alla realizzazione delle fotografie e persino una ‘camera oscura’ dove stampava le sue lastre.” Negli anni della sua formazione la fotografia era un’esperienza nuova che aveva acceso vivaci e brillanti discussioni in ambito artistico. In uno spaccato culturale ben distante dai salotti nei quali si era consumata la disputa fra estimatori e detrattori della nuova ‘arte’, appannaggio - secondo alcuni intellettuali intransigenti - dei pittori meno apprezzati e che quindi poco avevano da perdere sposando
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la nuova tecnologia del ritratto fotografico, l’ hobbista Vigolo si muove con il suo apparecchio e il suo cavalletto sulle dune di sabbia e i giardini della nuova località balneare. Piuttosto benestante, tanto da potersi permettere una strumentazione all’avanguardia, il fotografo-villeggiante ritrae il mare e le piccole imbarcazioni piaggiate; immortala gruppi di giovani e famiglie numerose che si affacciano dai balconi, i cui volti e pose testimoniano una società incuriosita e compiacente di fronte alla modernità rappresentata da un apparecchio fotografico portatile in grado di realizzare, in tempi brevi e con apparente semplicità, il ritratto della realtà, lasciando ai posteri ricordi e momenti di vita su carta. La famiglia Vigolo trascorreva tutte le sue estati a Viserba, dove aveva acquistato un villino che si era chiamato dapprima ‘Villino Vigolo’ e successivamente ‘Villino Margolga’ dal nome delle due figlie dei proprietari, Maria e Olga. Nei
decenni seguenti la famiglia aveva costruito un’altra villetta, quella in cui ancora oggi ci accolgono con grande ospitalità i coniugi Colonna. “Come si può osservare dai ritratti fatti dal nonno nelle diverse epoche, - spiega Enrico - il villino ha subito alcune variazioni rispetto all’architettura delle origini. In particolare è stato eliminato l’arco sovrastante la porta d’ingresso che
Sopra, la prima delle abitazioni estive del fotografo Vigolo, denominato dapprima Villino Vigolo e successivamente Villino Margolga Sotto, il villino della famiglia Vigolo tuttora di proprietà di Enrico Colonna Nella pagina accanto, due scatti di gruppo, uno ritratto in piazza Pascoli d’innanzi al sagrato della chiesa e sotto in riva al mare
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caratterizzava l’antica facciata.” Quella facciata che, anche nei fregi che impreziosivano gli affacci, mostrava una certa attinenza al Liberty che aveva influenzato anche a Viserba alcune costruzioni locali. Superato il dibattito artistico, nei primi del Novecento la fotografia divenne per lo più strumento del viaggiatore e del giornalista che la utilizzarono in maniera pratica e
accessibile a tutti, per divulgare eventi e luoghi altrimenti difficilmente documentabili. Alcune immagini di città e paesi presto divennero cartoline, perché chi non poteva permettersi di scattare o farsi scattare fotografie, poteva acquistare nelle botteghe locali immagini seducenti e suggestive da spedire ad amici e parenti, a testimonianza e ricordo dei giorni di vacanza trascorsi. A Viserba
le cartoline venivano pubblicate dall’editore Zanotti, il cui villino nei primi anni del Novecento sorgeva sul luogo in cui oggi hanno sede l’erboristeria Vis-herbae e l’edicola, all’angolo dell’accesso a piazza Pascoli. Tante cartoline d’epoca, edite da Zanotti, e che ritraggono una Viserba in lunghi abiti chiari e parasole, portano la firma di Attilio Vigolo e sono merce molto
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L’ immagine “Passeggiata alla fonte” della collezione Vigolo, che ha ispirato il racconto di queste pagine
apprezzata dai collezionisti per la bellezza e l’originalità degli scatti. Ed ecco il ritrovamento: il signor Sergio Fava, collezionista viserbellese, al mercato di Porta Portese, a Roma, aveva trovato ed acquistato una serie di cartoline viaggiate di Viserba e Viserbella degli anni attorno alla prima guerra mondiale, arricchendo con grande orgoglio la personale collezione, unica per vastità e originale. Un giorno, nel corso di una mostra dal titolo “Viserba ieri e oggi” organizzata da don Antonio, parroco della chiesa di Viserba Mare, il collezionista si era reso conto che una delle fotografie in mostra mancava alla ‘sua’ preziosa serie! La fotografia ritraeva un gruppo di persone in posa su un carro, con una capra, accanto ad una fonte. Il parroco allora, su espresso desiderio del collezionista, lo aveva accompagnato a conoscere il proprietario della foto e… Sorpresa! il proprietario era addirittura il nipote (ed erede) di quel Vigolo, autore di tante immagini della sua preziosa collezione di cartoline! Enrico Colonna è proprietario anche di tutte le ‘lastre’ delle più famose e antiche cartoline di Viserba ivi editate
e che ancora oggi riposano nella cantina della sua casa di Treviso. La foto, appesa oggi alla parete del salottino nella bella villetta viserbese dei Colonna e grazie alla quale sono stati riportati alla luce una bella storia di famiglia e un patrimonio fotografico mai divulgato in tempi moderni, è l’oggetto della nostra chiacchierata. “Al centro, vestita di bianco c’è mia madre, Olga Ines Vigolo – spiega Enrico – alla sua sinistra c’è sua sorella Maria, morta di influenza Spagnola nel 1918 e che era stata una madrina di guerra; a destra, vestita di nero, la cugina Maria Ortolani (sposata Piovesan), la cui famiglia era proprietaria di una villa in via Piacenza. I bambini facevano parte di una famiglia di conoscenti del luogo che non sono in grado di identificare, e anche il carrettino e la capretta che rendono bucolico l’insieme. L’occasione è molto semplice: una passeggiata alla Fonte Sacramora conosciuta per le sue qualità e proprietà termali, qui nella sua più antica sede, quando sgorgava dal coppo. Dietro l’obiettivo c’è naturalmente nonno Attilio.”
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Storia di Ville e di Guerra
di Vincenzo Baietta | foto famiglia Malavasi, Nicola Sammarini, archivio Ippocampo
Sulla via Porto Palos, a Viserbella, in zona antistante alla storica e leggendaria sorgiva a sabbie mobili denominata Sourcion, ai civici 28 e 30 vi sono due villini: villa Costanza e villa De Conciliis, costruite tra la fine degli anni Venti e inizio anni, Trenta in stile architettonico Belle Époque dal capomastro ‘Bigion’, Luigi Canini, cugino di mio nonno ‘Togna’. Sono due costruzioni ‘gemelle’, di due piani, in pianta quadrata, con una terrazza coperta al piano terra e
una scoperta al piano superiore. La Baronessa Rachele De Conciliis e la figlia Virginia, moglie del generale Lodovico Malavasi, acquistarono la villa dall’avvocato Giani nella primavera del 1941. Io e mio fratello Nello acquistammo la gemella, villa Costanza, dalla dottoressa bolognese Costanza Cavalazzi nell’autunno del 1973 (poi diventò mia residenza nella primavera del 1974). Data la vicinanza, ben presto ebbi modo di fare conoscenza e amicizia con la
signora Virginia e il marito, generale Lodovico Malavasi. Fu dalla loro viva voce che venni a conoscenza di accadimenti storici di cui erano stati protagonisti negli anni della seconda guerra mondiale, fatti storici avvenuti nelle due ville, che permisero al generale e ai suoi familiari di aver salva la vita. Mi colpì in particolare il racconto del generale sul dopo-firma dell’armistizio dell’8 settembre, che lo portò a nascondersi nella villa di loro proprietà ma anche nella
Erminia, figlia del generale Lodovico Malavasi, racconta la storia della sua famiglia e il profondo legame di affetto con Viserba e Viserbella, a partire dalla primavera del 1941.
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Nella pagina accanto, il Generale Lodovico Malavasi, qui a lato villa De Conciliis di proprietà della famiglia Malavasi Sotto, villa Costanza di proprietà della famiglia Baietta
vicina villa Costanza. Il generale mi confidò che per sfuggire all’arresto a volte si nascose nel sottotetto di villa Costanza; inoltre, avendo questa, a differenza della loro, uno scantinato sotterraneo, quest’ultimo costituì per la moglie e i quattro figli (Erminia, Antonio, Marco e Alberto) un rifugio durante i bombardamenti degli aerei angloamericani. Ho ritenuto giusto portare nell’ambito dell’associazione culturale Ippocampo la memoria di questo evento storico; pertanto ho contattato la signora Erminia Malavasi, primogenita del Generale, che si è subito gentilmente prestata a concederci una testimonianza scritta della storia vissuta dalla sua famiglia nelle nostre località. Con un ringraziamento da parte mia e dell’associazione Ippocampo, il racconto che segue è di Erminia Malavasi, riportato fedelmente. …Era la primavera del 1941 E’ stata la guerra a portare la nostra famiglia a Viserba. Vivevamo a Torino, dove papà, ufficiale di artiglieria, insegnava alla Scuola di Guerra
e spesso ci recavamo a Milano e a Bologna, dove avevamo nonne, zii e cugini. Andavamo in villeggiatura a Rapallo, che non era molto distante dalla zona in cui si svolgeva la nostra vita. La nonna aveva intenzione di comprare, per noi nipoti, una casa per le vacanze, che allora duravano da giugno a settembre, e pensava proprio a Rapallo, dove, già da qualche anno, passavamo l’estate. Dopo l’inizio della guerra si cercava di allontanarsi il più possibile
dalle grandi città continuamente bombardate. Quell’anno papà non volle che andassimo a Rapallo perché sapeva che la IV Armata era schierata lungo la costa ligure con i cannoni puntati verso il mare come difesa per un possibile sbarco alleato sulla costa italo-francese. Per allontanarci da un possibile teatro di guerra i nostri genitori pensarono che fosse meglio cercare una sistemazione estiva sulle coste dell’Adriatico. Così, per l’interessamento di alcuni
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parenti che conoscevano la zona, affittammo un appartamento a Viserba. L’appartamento non c’è più; la strada, che si chiamava Francesco Baracca, ora si chiama Don Minzoni. La Viserba di allora non c’è più. Era un piccolo paese fatto di villette con giardini e fontane perenni, alimentate dall’acqua della Sacramora. Tutto era verde e tranquillo e i pochi negozianti (ricordo fra gli altri Elvira, Guerrino, Fava) cercavano di aiutare la popolazione in un periodo di tesseramenti e di mancanza di tutto. Nelle città si soffriva la fame, e noi ne avevamo avuto un esempio a Milano. A Viserba la vita era ancora agibile. Si trovava tutto, dalla carne al formaggio al pane, tutti alimenti tesserati e introvabili altrove. Il mare sicuro e la spiaggia tranquilla hanno fatto assaporare, a noi bambini, una libertà che prima non conoscevamo. Spesso, nel pomeriggio, andavamo, a piedi o in bicicletta, a Viserba Monte, dai Pironi, a prendere latte appena munto, uova di giornata, caciotte fresche. Là vivevano e lavoravano alcune famiglie di contadini che avevano ragazzi della nostra età che erano diventati nostri amici e con
loro facevamo giuochi nuovi per dei “ragazzi di città” come eravamo noi. Quell’estate di vacanza è stata meravigliosa ed indimenticabile e così, quando la nonna ci ha chiesto se l’anno seguente volevamo tornare a Rapallo o preferivamo che comperasse una villa a Viserba, la nostra risposta è stata immediata e certa: Viserba! Noi abbiamo lasciato la villeggiatura di Viserba ai primi di ottobre ed abbiamo iniziato il nuovo anno scolastico a Milano. Papà, lasciata Torino, era stato mandato a Mentone
alla Commissione di Armistizio con la Francia. A Milano avevamo i parenti e la casa, ma le difficoltà erano tante e la nostra vita era già molto diversa da quella di prima. La mamma e la nonna intanto cercavano casa a Viserba. Dati i tempi difficili, c’erano varie ville in vendita, ma scelsero la villa di via Litoranea 24 (ora via Porto Palos 30) perché, oltre ad avere un bel giardino ed il mare proprio davanti, aveva anche un pezzetto di terreno coltivato ad orto che era sempre stato il sogno della nonna. Era la primavera del 1941! È un villino tipico dell’architettura viserbese dell’epoca, costruito, come tanti altri, da “Bigion” (Canini). Costruita intorno al 1930; mia nonna la comprò dalla famiglia Giani di Bologna. Quello che si deve notare in questa casa è che fino ad oggi non ha subito modifiche. Sono originali le planimetrie, il tetto in legno, i pavimenti, le ringhiere delle terrazze. La nostra intenzione è di continuare a mantenere quello che di allora è arrivato fino a noi; ma le difficoltà sono molte perché ora si pensa che fare ex novo sia più facile e più efficiente che mantenere
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il vecchio, anche se è ancora in ottimo stato, e si dimentica il fascino irripetibile delle vecchie cose. Oltre alla casa principale c’è una seconda costruzione più piccola, costituita da garage e dispense e, sopra, tre camere che sono state ristrutturate e trasformate in un confortevole appartamentino dotato di riscaldamento per l’inverno. I primi di ottobre del 1942 lasciammo definitivamente Milano e ci trasferimmo a Viserba. A Milano i bombardamenti erano aumentati e anche la nostra casa era stata colpita da uno spezzone incendiario caduto proprio nella camera da letto della nonna. Papà, sempre forzatamente lontano, non poteva pensare che la mamma restasse sola a Milano con la responsabilità di noi quattro figli. Così volle che lasciassimo la città in tutta fretta senza portate via i mobili. Nel frattempo papà aveva preso il comando del 41° reggimento Art, in Albania e, terminato questo comando, era stato nominato Sotto Capo di Stato Maggiore della IV Armata di stanza a Mentone. In Albania aveva contratto la malaria ed una ricaduta aveva provocato una broncopolmonite,
per cui fu ricoverato all’ospedale militare di Nizza. Fu dimesso proprio il giorno prima dell’armistizio con una licenza di convalescenza e la prescrizione di un soggiorno prolungato in montagna. Proprio il 7 settembre, per la prescritta cura, partì per Cortina, dove era la sorella. Non arrivò a Cortina: sfuggendo a Ferrara
ai rastrellamenti dei tedeschi, tornò a casa. Intanto a Viserba, proprio in via Busignani, era arrivato un piccolo reparto tedesco, formato da riservisti. Avevano alcuni cavalli che stavano in strada, ed i soldati dormivano in tenda. Il comandante ci chiese di usare il garage come magazzino e naturalmente glielo demmo. In fondo
Nella pagina accanto, una fotografia di bombardamenti aerei su Viserba e Rimini ove si possono notare bombe sganciate per colpire il porto e la stazione di Rimini da alta quota Sopra, immagine del bunker situato in via XXV Marzo confine Viserba - Rivabella successivamente demolito A lato, un’immagine che ritrae un gruppo di sfollati che cercano di allontanarsi dai bombardamenti
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al garage c’è ancora una stanzetta con finestra alla quale si accede da una sola porta dal garage stesso. Chiusa quella, rimane solo la finestra come apertura. Quindi, nascondendo la porta, è difficile accorgersi dell’esistenza della stanzetta. E così è stato. In quei giorni, nascondemmo la porta mettendoci davanti delle casse di libri ed aprimmo la finestra. Tutto il resto del garage era occupato dal materiale tedesco. È stato il nascondiglio che ha salvato la vita a nostro padre insieme alle proroghe delle licenze di convalescenza (ben cinque) effettuate da tutti gli ospedali militari della zona (Forlì, Bologna, Rimini). Mentre attendeva la chiamata della Commissione Medica dell’Ospedale Militare di Bologna per la terza proroga della licenza di convalescenza, ormai scaduta,
giunse l’ordine di presentazione al Comando Militare di Forlì e lì gli venne chiesto di giurare fedeltà alla Repubblica Sociale. Si rifiutò di giurare alla presenza degli ufficiali del Comando e di quelli chiamati a giurare dopo di lui perché di grado inferiore. Malgrado l’esempio di papà tutti giurarono. Non vennero presi provvedimenti diretti e immediati. Tuttavia, da quel momento, cominciarono le perquisizioni in casa. Il 16 luglio alle tre e trenta, durante la perquisizione, venne arrestato e portato, insieme agli altri arrestati, nella palazzina del Kursaal (un edificio liberty sul tipo del grande Kursaal di Rimini, ora distrutto) con l’accusa di essere un capobanda. Subì due interrogatori e dopo l’esibizione di un documento secondo cui era stato messo in pensione per malattia
contratta in servizio, verso le undici venne rilasciato. Prevedendo nuove perquisizioni e nuovi arresti, e siccome le perquisizioni avvenivano sempre di notte, la notte si nascondeva fuori casa, mentre di giorno lo sorvegliavano due italiani, gente del posto, armati, chiamati “guardie alle comunicazioni”. Infatti, la sera dell’8 ottobre, alle ore ventidue, nuova perquisizione in casa per cercarlo. Ma questa volta non c’era. Noi dicevamo a tutti, oltre che ai tedeschi, che, essendo malato, era andato a Bologna a cercare le medicine che gli occorrevano, ma non era tornato. Lui invece era nascosto nella stanzetta dietro al garage dove era entrato dalla finestra. Alla fine della perquisizione il sottufficiale altoatesino che era al comando disse
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a nostra madre: ‘signora sia felice che suo marito non è in casa questa sera’. Dopo vari anni dalla fine della guerra, abbiamo saputo da un amico che lavorava al Ministero della Difesa che se lo avessero trovato lo avrebbero fucilato. Dopo quella prima ci sono state altre perquisizioni (in tutto sono state cinque), così papà rimase giorno e notte nello stanzino dietro al garage, al buio e per circa un mese e mezzo. All’avvicinarsi dei combattimenti una granata colpì l’angolo del tetto della casa dove papà era nascosto. Eravamo tutti in cucina e la mamma, che aveva sempre sostenuto con tutti che non sapeva dove fosse papà, uscì di corsa gridando: Lodovico! Lodovico! Quasi nello stesso momento lo scalpiccìo sui calcinacci caduti dal tetto… Ancora una volta era salvo! Passò allora nel sottotetto della casa vicina, abitata da amici bolognesi. Oramai i tedeschi erano in fuga; abbandonarono anche il cannoncino anticarro piazzato all’angolo di via Busignani, che papà riuscì a rendere innocuo inceppandone l’otturatore. Alle sei e trenta del mattino del 23 settembre arrivano i carri armati neozelandesi. E’ difficile descrivere cosa si prova ad essere liberati da un incubo e forse solo chi ha avuto questa esperienza può capirlo. Pochi giorni dopo, e cioè il 25 settembre, papà accettò l’invito a diventare “sindaco di Viserba” su richiesta del governatore di Viserba “Tesauro Civil Affairs Officer”. C’era da provvedere ad una popolazione di circa 20.000 persone tra residenti e sfollati. Superata l’emergenza, papà chiese la sostituzione, dopo aver avuto l’assicurazione dal Governatore che gli alleati avrebbero liquidato tutte le spese resisi necessarie nel periodo
di emergenza. Con il trasferimento a Roma, riprese, anche se lentamente, la vita normale per noi. Ormai sono tante le estati passate a Viserba, ma il piacere di tornare in quel paese, in quella casa, è sempre vivo in tutti noi, figli e nipoti. (Erminia Malavasi)
Nella pagina accanto, manifesto “Soldati d’Italia” di Viserba e Celle anni ‘30 Sotto, soldati neozelandesi fotografati a Viserba
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I cent’anni di Vanda da Des Vergers a Baracca di Maria Cristina Muccioli | foto famiglia Parma
Cresciuta nella sontuosa villa della marchesa Des Vergers e vissuta a Viserba nel villino fatto costruire dai familiari del famoso aviatore Francesco Baracca, Vanda Pasini Parma ci accoglie nel suo angolo di paradiso. Bella, elegante, sempre sorridente, splendidi occhi azzurri. Fino a qualche mese fa i viserbesi potevano incontrare questa gentile signora al supermercato, in chiesa, a passeggio…. Ha partecipato anche a molte feste dell’Ippocampo, sempre a braccetto del figlio Pierpaolo o della figlia Maria Grazia. E, a chi le rivolgeva un saluto, immancabilmente rispondeva, orgogliosa: “Ci credi, se ti dico che ho quasi cento anni?” Un secolo di vita portati con lo spirito di ragazza: Vanda Pasini Parma può a ragione definirsi una nonna “super”. L’andiamo a trovare a casa sua, luogo delizioso ed elegante, che ci riporta alle atmosfere della Viserba di un secolo fa. Un piccolo angolo di Paradiso - oggi circondato e quasi soffo-
cato dagli edifici moderni sorti lì attorno - salvato e recuperato “com’era e dov’era” dall’amore per il bello della famiglia Parma. Si tratta del “villino Baracca” in via Pallotta. Un piano con torretta, che si può scorgere al di là del cancello antico, al termine del vialetto ben tenuto, con fiori e piante ordinate che fanno cornice. Molti viserbesi lo conoscono per averlo frequentato, negli anni ’70/’80, per battesimi, matrimoni e comunioni, avendo funzionato come sede provvisoria della parrocchia di San Vicinio e del gruppo scout. Nel salottino in penombra, accomodati su morbide poltrone e circondati da arredi e oggetti che dichiarano il buon gusto e l’amore per l’arte dei
padroni di casa, sfogliamo l’album dei ricordi di Vanda, guidati dalla voce dei due figli. “Gli anni e la malattia non hanno velato la memoria di nostra madre. raccontano Maria Grazia e Pierpaolo - Lo scorso 14 luglio ha festeggiato i cento anni circondata da amici e parenti (oltre a noi figli, il genero, i nipoti e il pronipote Luca). Fino a tre mesi prima del centesimo compleanno nostra madre ha vissuto in modo valido, sia mentalmente che fisicamente, tanto da riuscire anche a ballare il valzer! Purtroppo nell’aprile di quest’anno un ictus le ha paralizzato la parte sinistra del corpo. Fortunatamente, però, la capacità di parlare e di ragionare è rimasta, così come quella di ricordare.”
49| PERSONAGGI Infatti il passato è particolarmente vivo nei ricordi di Vanda. Specialmente quello relativo agli anni dell’infanzia e della giovinezza vissuti, in quanto figlia di un dipendente della marchesa Des Vergers, presso la nobile famiglia proprietaria della sontuosa villa di San Lorenzo in Correggiano. “Il padre della mamma, nostro nonno Francesco, era rimasto orfano da piccolo. – spiegano Maria Grazia e Pierpaolo – Anche lui era vissuto a corte: appena diciottenne venne inviato dalla marchesa a Versailles, in Francia, a studiare botanica. Tornò dopo cinque anni, si sposò e divenne capo giardiniere dell’enorme parco della villa Des Vergers.” Vanda, quindi, nacque e visse fino al matrimonio in un ambiente aristocratico e ricco di benessere. Bambina e ragazza privilegiata, in un periodo in cui la maggior parte della gente viveva in condizioni piuttosto precarie. “Ancor oggi la mamma ricorda le visite alla marchesa da parte di artisti e personaggi altolocati, la fastosa vita di corte che lei, bambina, ammirava incantata. E’ anche in grado di ram-
mentare i versi in francese di una poesia beneaugurante che ogni anno recitava alla marchesa nel giorno di Natale, dopo averle offerto un mazzo dei fiori più belli raccolti dal padre nelle vaste serre della villa.” Sposatasi nel 1936 con Virgilio Parma, Vanda si trasferì a Viserba, dove risiedeva il marito. Qui, agli inizi degli anni Cinquanta, insieme alla famiglia divenne albergatrice, aprendo la pensione Grazia. Attività gestita con discreto successo per trent’anni, ceduta in affitto in seguito alla morte del marito, successivamente venduta. Quindi Vanda si trasferì col figlio nel villino in via Pallotta. “Avevamo acquistato questa casa nel 1969 – spiegano i fratelli Parma – Era stata fatta costruire ai primi del novecento dai familiari del famoso aviatore Francesco Baracca, che lo utilizzavano come residenza estiva. Per quattordici anni (dal 1974 al 1988), il villino venne dato in uso alla neonata parrocchia per la sede provvisoria della chiesa di San Vicinio-Sacramora. In seguito, con la costruzione della nuova chiesa, la nostra famiglia l’ha ristrutturato,
mantenendo le caratteristiche originarie risalenti allo stile liberty e deco, così da non seguire i consigli di chi, negli anni del boom economico, suggeriva di abbatterlo per costruire un condominio.” Scelta coraggiosa, ai tempi della corsa al mattone che ha coinvolto tutto il territorio riminese! Ma grazie a questa decisione oggi nonna Vanda continua la sua vita, curata amorevolmente dai familiari e dalla cara Maria, nella tranquillità della sua bella casa. Talvolta, visionando vecchie fotografie risalenti ai primi del novecento, si lascia andare alla dolcezza dei ricordi. Le tocca e sorride… Pensieri che contribuiscono, insieme alla presenza affettuosa dei familiari e delle persone amiche, a tenerle compagnia.
Nella pagina accanto, il vialetto d’ingresso del Villino Baracca Sopra, da sinistra Vanda e Virgilio fidanzati a Villa Des Vergers, 1935 Vanda a vent’anni e oggi
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Viserbella... nel diario di Gina
di Marzia Mecozzi | foto famiglia Donati, Nicola Sammarini, archivio Ippocampo
“Amo l’inverno, perché in questo periodo dell’anno il nostro paese torna ad assomigliare a quello della mia giovinezza, un luogo famigliare e raccolto, dove tutti si conoscevano e il forestiero passava accompagnato da sguardi curiosi...”
Gina Donati
51| PERSONAGGI Questo, fra i tanti pensieri, apre l’album dei ricordi di Maria Luisa Donati che i viserbellesi conoscono come “la Gina” ad Maièn, classe 31. La grande famiglia Donati, blasonata di ben due soprannomi, Capuciòn e Maièn, in quello stralcio di secolo che va dal Ventennio alla Guerra, era composta da diciassette persone che spesso si ritrovavano tutte attorno alla stessa tavola e che, per la gioia dei ragazzi, condividevano fra le loro tre abitazioni un grande cortile comune, in una Viserbella che da pochi decenni aveva visto la luce, fra marineria e agricoltura, mentre le ricche famiglie del nord acquistavano lotti ‘vista mare’ sul tratto di riviera dove ancora era possibile accaparrarsene a prezzi stracciati. Viserbella, che deve il suo nome al ragioniere Giulio Cesare Gamberini cui si deve anche la costruzione del primo villino gentilizio, fino a quel momento era stata una landa semideserta (a inizio secolo vi abitavano un centinaio di persone), sguarnita di qualsiasi attrattiva che non fosse uno specchio d’acqua e un arenile soleggiato e invitante per chi ricercava i benefici effetti della talassoterapia a prezzi meno proibitivi di quelli proposti dalla nota Rimini o anche dalla più modesta ma già frequentata e vicina Viserba. Nel pensare al nome da attribuire alla nascente località e affinché il nome avesse un certo effetto nonché un significato preciso e contenesse - perché no - un auspicio, Gamberini propose, appunto, Viserbella, per evidenziare il suo legame con Viserba, quasi un quartiere della stessa, ma con la speranza di vederla diventare un giorno ‘la Viserba più bella’. La famiglia di Gina era composta dal padre, Angelo Donati, nato nel 1901, di mestiere muratore; dalla mamma Augusta Fantini che fa-
ceva la donna di servizio; da Maria Luisa, da tutti chiamata Gina, e da Adamo Giovanni, detto “Ciccio”, di otto anni più giovane della sorella e che, dalla morte della loro mamma avvenuta nel 1953, ha sempre vissuto insieme a lei. “Ci vogliamo un gran bene - dice con un sorriso - lui è il mio buon ‘ragazzo’, il fratellino che ho tanto desiderato e che, con la sua nascita, mi ha regalato la gioia più grande e che resta fra le cose più belle della mia vita.” I Donati, nei primi decenni del secolo, erano stati mezzadri dei Campogrande, una ricca famiglia che possedeva estesi terreni nei dintorni della ferrovia, dove si coltivavano grano, granturco e fagioli. “I miei nonni avevano un po’ di
terra, qualche mucca, alcune pecore, una vigna. Non erano ricchi - afferma sorridendo - ma avere la terra e un po’ di animali, quella volta, significava avere sempre da mangiare, che non era una cosa scontata.” Vanno e vengono in ordine sparso, i ricordi, e seguono la memoria del cuore, degli affetti, ritrovano immagini lontane ma vivide di una infanzia felice che la consapevolezza acquisita con gli anni e la saggezza traducono in nostalgia. “Eravamo pochi, quella volta, poche case sparse fra il mare e gli orti.
Sotto, gruppo famigliare dei Donati e, sul moscone, Adamo detto “Ciccio”, fratello di Gina, con i cugini Marco, Marino e Franca
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- prosegue Gina - Poi, con l’estate, arrivavano i forestieri che si erano fatti costruire ville e villini di vacanza sulla spiaggia e molte donne del posto, con la stagione, andavano a servizio da questi signori. Anche io, che pur avevo imparato il mestiere di sarta, a vent’anni ho iniziato ad andare a servizio presso le case dei villeggianti. Il turismo aveva già il suo peso nell’economia modesta delle nostre vite.” La semplicità di quelle vite racconta la povertà da una prospettiva diversa, non umiliante ma comune, capace di ispirare ben più di oggi la solidarietà. E, nelle parole di Gina, quella povertà, come un mito, si riappropria di un significato morale profondo e sulla ricchezza, in quei ricordi genuini, filtra con gli anni una considerazione realista: “Ma anche i ricchi non erano tutti signori. Alcuni erano arroganti e trattavano noi umili lavoratori con la condiscendenza che si presta agli inferiori. Mia madre diceva spesso questa frase: ‘il pane dei ricchi ha sette croste, l’ultima rompe i denti’. Ma per tanti ricchi senza signorilità, ce ne erano anche alcuni con belle idee, propositi importanti per quest’area nascente, generosità e buon senso. Dopo il pioniere Gamberini, che era stato uno di questi e tanto si era prodigato per il suo ‘gioiello’ balneare, il secondo estimatore del luogo era stato il pittore friulano Augusto Aviano che, da bravo artista, si era disegnato il progetto della propria villa cui nel tempo si erano aggiunte, come si può ricostruire dalle cartoline dell’epoca, villa Laura, le ville Galliani e Strinasacchi, e poi quelle di Locatelli, Rossi, Pozzi, Betti, Pari, quella della contessa Piccinini, quella dei Campogrande, la villa degli Angeli e tante
altre che successivamente, soprattutto negli anni del boom turistico, sono state sostituite da costruzioni più moderne e certamente meno pregiate, dalle pensioni e dagli alberghetti che oggi caratterizzano tutta l’area. “Del tempo della mia infanzia – racconta Gina - ricordo la villa dei Masciadri, quella della contessa Piccinini, che ancora oggi resta una delle più belle e prestigiose proprietà della zona; la villa dei Vecchi, nel cui giardino, durante la guerra, era stato posizionato un cannone. A villa Quartaroli viveva con la famiglia il dottor Contarini, che aveva la sua clinica a Rimini. E per
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Nella pagina accanto in alto, Gina (la bimba in piedi con le trecce nere) con la famiglia nella spiaggia antistante la villa nella quale sua madre lavorava come governante A lato, Gina tra Laura e Gianna, figlie dei signori presso i quali la madre prestava servizio e un’immagine d’epoca di Villa Enrica Sopra, Gina a passeggio con l’amica Luisa
quelle di cui non sapevamo il nome, noi ragazzi supplivamo con la fantasia. Per esempio mi ricordo della villa ‘dei lupi’ che chiamavamo così per i due cani lupo sempre presenti dietro ai suoi cancelli e che la mareggiata del 1948 ha completamente spazzato via; o della villa ‘degli Angeli’, cosiddetta dai fregi che impreziosivano la sua facciata.” Durante la guerra Angelo Donati, che era stato un antifascista, fu mandato in Germania a lavorare in una miniera di Essen. “Era la punizione per non aver voluto prendere la tessera del partito, - dice Gina - così gli facevano scontare la sua ‘ribellione’. Mio padre era un uomo di ideali, serio e altruista, in un mondo difficile e pericoloso. Per tanta felicità e spensieratezza che avevano accompagnato la mia infanzia, l’adolescenza fu difficile e dolorosa. Le cose che fino a poco tempo prima erano state normali, improvvisamente erano diventate completamente diverse: nel nostro campo erano stati posizionati ventidue cannoni e la nostra casa era stata presa dai tedeschi. Noi ce ne siamo dovuti andare senza fare tante storie. Siamo sfollati a villa Serena che ha una cantina molto grande, a forma di ‘sette’. Da ogni finestra della nostra casa spuntavano due mitragliatrici.” Quando, nell’ultimo anno di guerra, il fronte si spostò sulla Linea Gotica, nella storica battaglia che distrusse Rimini, anche le zone nord rimasero interessate. Di quei giorni Gina ricorda soprattutto la paura dei bombardamenti. “Con il bombardamento dal mare è morta l’intera famiglia Gobbi. - ricorda - Quando suonava l’allarme tutti correvamo a rintanarci nei rifugi. Mio padre ne aveva costruiti tre, perché potessero prendervi posto più persone. Li aveva costruiti
raccattando i materiali qua e là. Per completare l’ultimo aveva utilizzato il legno di un capanno della spiaggia! Anche mia madre aveva lo stesso altruismo di mio padre e ricordo che in quel momento così pericoloso, con i bombardamenti e le ripercussioni dei tedeschi, metteva a rischio anche la sua vita per aiutare altri in difficoltà.” In seguito alla ritirata dei tedeschi, la casa si riempì di soldati alleati: inglesi, americani, ma soprattutto polacchi, che, come ricorda Gina, erano gentili e pieni di attenzioni. La vita tornò a poco a poco alla normalità e presto iniziò la cosiddetta ‘ricostruzione’. Per Viserbella e Viserba, dove non era stato distrutto quasi nulla, si trattò semmai di una ‘costruzione’ vera e propria, di uno slancio verso la ricchezza per come la conosciamo oggi. “Molti, in quel momento, tentarono la fortuna, - ricorda Gina - con debiti, impegni, sacrifici e rischi. E bisogna ammettere che, chi ha rischiato, ce l’ha fatta. - osserva con il realismo che la contraddistingue Chi non ha rischiato, però, non l’ha fatto per paura dei sacrifici, ma per paura di non riuscire a onorare il debito contratto. E quindi anche coloro che non hanno ‘fatto fortuna’ hanno nell’onestà il loro merito. Nella mia famiglia, per esempio, le persone sono sempre state semplici, oneste e lavoratrici, non sono mai diventate ricche, - conclude con un sorriso - ma credo che, nello spirito, siano sempre state ‘signore’.”
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L’architetto
con la passione per lo sport di Marzia Mecozzi I foto famiglia Bernabè
Franco Eugenio Bernabè, progettista e sportivo, ci ha preceduto in campo editoriale quale creatore e direttore del giornalino viserbese “Du chelz te palon”… Lo incontriamo in quello studio in cui tante geometrie del locale paesaggio urbano hanno preso forma e identità, dove le linee decise delle planimetrie si sono fuse con la linea morbida della geografia territoriale entro i limiti naturali tracciati originariamente e parallelamente dalla spiaggia e dagli orti. L’architetto Franco Eugenio Bernabè, una pietra miliare nell’architettura viserbese degli ultimi cinquant’anni, ci accoglie al suo tavolo di lavoro per fare quattro chiacchiere all’insegna delle sue passioni: l’architettura, appunto, ma soprattutto e ancor prima lo sport, anche se, da buon romagnolo, esordisce mettendo al primo posto la famiglia. Ci racconta che suo padre Alfredo, originario di San Martino in Riparotta, sposato con Adalgisa Lugaresi, sua madre, nel 1924 era arrivato a Viserba dove aveva costruito
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un incarico all’interno della pubblica amministrazione, gli aveva proposto di intraprendere un’attività insieme aprendo uno studio di geometri. “Appena diplomato – racconta – ero andato a lavorare come tirocinante da Pasquale Foschini, uno dei geometri più conosciuti e attivi in zona insieme ad altri progettisti protagonisti di quegli anni, come il geometra Giuseppe Bernardi, il geometra e architetto Remo Conti detto Moreno, l’ingegner Della BIancia e il geometra Giovan Pietro Botteghi.” Nonostante l’impegno con il lavoro, Franco decide di proseguire gli studi e nel 1983 si laurea alla facoltà di architettura. “Nei decenni dal Sessanta all’Ottanta, la visione della città aveva cambiato prospettive – spiega - assecondando la richiesta turistica e le mutate esigenze di vita e di lavoro dei viserbesi, privilegiando la funzionalità dell’edificio rispetto la casa in cui ancora oggi Franco abita ed era stato cordaio nella locale fabbrica di via Marconi e che gran parte dei suoi parenti erano stati ferrovieri. Sulle pareti dello studio, accanto ai diplomi di geometra e alla laurea in architettura conseguita presso l’Università di Firenze, ci sono la foto in bianco e nero del babbo e tutta una serie di immagini che ritraggono, a colori, le costruzioni che portano la sua firma: ville, villette e moderni condomini. Una vita piena di soddisfazioni che, come professionista, inizia negli anni Sessanta, nel periodo del boom economico e di quella costruzione edilizia che fu definita ‘corsa al mattone’, non senza critica, ma pure riecheggiando la ‘corsa all’oro’ dei mitici pionieri. La sua carriera di geometra inizia nel 1951 quando un collega, il geometra Mario Amati che aveva ricoperto
all’ideale di estetica che aveva caratterizzato il primo sviluppo della cittadina agli inizi del secolo, rivoluzionando completamente la cartolina del paese, trasformandola in quella che la modernità ci ha consegnato.” L’attività professionale prosegue oggi anche con il figlio Alfredo. Fabrizio, l’altro figlio, gestisce invece un ufficio assicurativo. Ma, architettura a parte, Franco Bernabè è noto ai viserbesi anche per un altro importante aspetto della vita cittadina: lo sport. Ed è l’argomento di cui ama di più parlare, recuperando dalla libreria un faldone colorato gonfio di ‘giornali’ che orgogliosamente ci mostra, sfogliandoli. Presidente della Polisportiva Viserba Calcio e direttore responsabile, nel decennio del Settanta, del periodico “Du chelz te palon”, organo d’informazione della Polisportiva Viserba, si diverte a scorrere
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le varie edizioni, settimanali, con il resoconto della partita domenicale come articolo di fondo e qualche notizia sportiva di carattere generale in aggiunta, contornate dalle inserzioni pubblicitarie degli sponsor di allora: Navacchi Ermanno ‘lavorazione ferro e alluminio’; la Ditta Bagli “Bevi Bagli che non sbagli…”; la Sirenetta club “si danza tutte le domeniche e giorni festivi”; Rino Bertozzi “concessionario Omega”, Campidelli Orazio “Elettrodomestici, tv, casa del disco”… Ed è singolare come, anche attraverso quelle piccole inserzioni pubblicitarie, sia tracciabile una parte memorabile della storia locale e dei suoi protagonisti. Calcio, tennis, volley, pattinaggio artistico sono discipline sportive tuttora profondamente radicate nel territorio, i cui protagonisti, dal passato al presente, attraversano gran parte della storia locale: le squadre si succedono fra campionati, tornei, vittorie e costituzioni di nuove realtà. Fra queste, Franco si sofferma su quella del Circolo Tennis avvenuta il 25 febbraio del 1973; in quella data, la prima assemblea generale aveva eletto il consiglio direttivo incaricando i signori Franco Eugenio Bernabè presidente; Franco Fabi vice presidente; Domenico Olivieri segretario; Agostino Bernardi tesoriere; Pierino Antimi, Paolo Migani, Mario Baroggi e Rodolfo Valli consiglieri. Dopo il calcio, infatti, il tennis è stato il grande amore di Franco che, proprio dalle colonne del giornalino che dirige, annuncia trionfante: “Uno dei tanti problemi di Viserba, i campi da tennis, è stato felicemente risolto: dal primo luglio scorso infatti sul terreno comunale adiacente il campo sportivo ed a lato della via Popilia sono sorti due nuovi campi da tennis in terra rossa perfettamente attrezzati e funzi-
onanti. La soluzione di questa importante esigenza (a Viserba esisteva un solo campo da tennis in via Curiel) ha trovato finalmente uno sbocco favorevole con l’encomiabile iniziativa del Comitato Turistico Viserbese il quale, affiancato nello sforzo finanziario dall’Azienda di Soggiorno di Rimini, dalla Soc. Pol. Viserba e dalla cittadinanza più sensibile si è accollata gli oneri della spesa che si spera di estinguere entro il 1973. Vogliamo sottolineare da queste colonne l’importanza turistica e sportiva della realizzazione per la nostra cittadina onde sensibilizzare e stimolare particolarmente gli operatori turistici e gli sportivi per contribuire ad alleviare l’impegno finanziario ammontante a oltre L.5.000.000”. Anche grazie a questo lavoro redazionale, svolto con cura e passione da Franco Bernabè, tornano quindi alla luce elementi importanti della storia locale che costituiscono uno dei capisaldi del lavoro dell’associazione Ippocampo e che saranno sicuramente motivo di ulteriore approfondimento nel corso dei numeri di “Vis a Vis” che auspichiamo di produrre negli anni a venire.
Nelle pagine precedenti, Franco Eugenio Bernabè alla sua scrivania e, accanto suo padre Alfredo In basso, le fotografie delle villette da lui progettate Qui a lato, due numeri del giornalino sportivo che Franco ha diretto per oltre un decennio
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Zaira di Nomadelfia mamma di vocazione di Maria Cristina Muccioli I foto famiglia Pari, archivio Nomadelfia
Zaira Pari, originaria di Torre Pedrera e mamma di trenta figli, ha dedicato la sua vita alla comunità fondata da don Zeno Saltini.
Ippocampo Viserba lo scorso 6 novembre ha organizzato presso la parrocchia di Viserba Mare un incontro con una persona davvero speciale. Zaira Pari, originaria di Torre Pedrera, dall’alto dei suoi 86 anni ha intrattenuto i presenti con simpatia e cordialità raccontando la storia della sua vita. Nota in tutt’Italia come “Zaira di Nomadelfia”, questa piccola donna dai capelli bianchi è una “mamma di vocazione”, come definiscono a Nomadelfia le donne che nella comunità fondata da don Zeno Saltini hanno scelto di consacrare la vita ad accogliere, da nubili, i bambini
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abbandonati. Lei è mamma di ben trenta figli, con una miriade di nipoti e pronipoti oggi sparsi in varie parti del mondo. Ogni tanto Mamma Zaira torna a Torre Pedrera e a Viserbella per far visita ad alcuni cugini e ai loro figli, che la accolgono con grande affetto. Il padre, Cesare Pari (detto “Ciòin ad Marnòin), possedeva terreni in via Foglino ed era sensale di bestiame. La mamma di Zaira, Maria Ferrini, morì quando la bimba aveva 18 mesi. Il padre si risposò con Lucia Venturelli. Cesare e Lucia crebbero la piccola con amore, la mandarono a scuola in tempi in cui l’istruzione era privilegio per pochi: le elementari a Torre Pedrera e a Viserba dalla maestra Perdicchi. Poi a Rimini per le commerciali e le magistrali dalle Maestre Pie. Doveva diventare maestra e metter su famiglia! L’incontro che le cambiò la vita, con don Zeno Saltini, avvenne nel 1946, quando il sacerdote portò a Torre Pedrera i ragazzi accolti dall’Opera Piccoli Apostoli da lui fondata in provincia di Modena nel 1933 (il trasferimento a Nomadelfia, in Toscana, fu successivo). Caso volle che per la colonia estiva venisse scelta una grande villa, tuttora esistente, di fronte alla casa dei Pari: “villa Pozzi”, oggi “villa Sberlati”. Nel 1947 Zaira, su invito di don Zeno, andò a fare un’esperienza a Fossoli, nell’ex campo di concentramento che la comunità aveva pacificamente occupato qualche mese prima. Rimase così affascinata, che non diede segni di voler tornare a casa. I genitori iniziarono a preoccuparsi, anche perché, non avendo ancora 21 anni, era minorenne. “Il babbo e un cugino vennero per portarmi via, ma non volli andare. Poi mandarono il parroco, don Napoleone. Ma neppure lui riuscì a convincermi.
In alto, Zaira con alcuni membri dell’associazione Ippocampo e con amici e parenti viserbesi A lato, la casa dove è nata Zaira, a Torre Pedrera
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In alto, Zaira con le sue prime otto figlie A destra, Maria Ferrini mamma di Zaira Sotto, don Zeno circondato dai suoi ragazzi A destra, Zaira a Nomadelfia
Intanto la vita della comunità continuava. L’8 marzo del 1948, Zaira, ventenne da poco, divenne madre di otto bambine fra i due e i dieci anni. Furono le prime figlie, consegnate all’altare con la formula che sentirà ripetere ogni volta che le verrà affidato un nuovo bambino: “Donna, ecco tuo figlio; figlio, ecco tua madre.” Di fronte al “fatto compiuto”, i genitori fecero intervenire il vescovo di Rimini, monsignor Santa, e i Carabinieri. Ma la ragazza era così convinta della sua decisione, che non volle assolutamente lasciare la sua
nuova famiglia. “Tutte le incomprensioni poi passarono, anche perché nel frattempo divenni maggiorenne. Col tempo i miei genitori si fecero una ragione e accettarono la mia scelta. Mamma Lucia morì a Nomadelfia nel 1963. Il babbo morì nel 1970; negli ultimi anni della sua vita, che passò a Nomadelfia, diceva, orgoglioso, ‘io sono nonno di trecento nipoti!”
Lavoro sulle cose del passato per migliorare il nostro futuro Nella zona artigianale di Viserba, visitando una moderna impresa dedicata alle autodemolizioni e al trattamento rifiuti non pericolosi, incontriamo un appassionato estimatore del passato dalla grande umanità. “Lavoro sulle cose del passato per migliorare il nostro futuro”. Ecco come Giorgio Casadei, imprenditore nel settore della autodemolizione, descrive la sua attività. L’Autodemolizioni Casadei srl è nata nel 1976 dalla fusione di due società già operanti nel settore della rottamazione, la Casadei e la Pollini. Nel 1984 Giorgio, figlio di Gilberto Casadei, subentra al Pollini nella società ed inizia la trasformazione aziendale, rivisitando il concetto di “demolizione” da sempre indirizzato allo smembramento e rivendita occasionale di pezzi usati, limitando residui inquinanti, accumulando principalmente residui ferrosi per le fonderie. Un poco alla volta e con l’arrivo di nuove regole, l’attività di autodemolizione si evolve e si modernizza, inizia il recupero attraverso le fasi di raccolta e di trasporto, messa in sicurezza, smontaggio, cernita e commercializzazione di parti di ricambi usati anche per via telematica, quindi al trattamento rifiuti speciali non pericolosi e non ferrosi, limitandone gli ingombri mediante riduzione volumetrica. Nel 2011 la Autodemolizioni Casadei srl è il primo centro nella provincia di Rimini ad ottenere la certificazione ambientale ISO 14001 BureauVeritas-Accredia. Una visita all’interno dell’azienda ci consegna alcuni piacevoli ricordi del passato: qualche motore, alcune auto, un mosquito d’epoca, tutti finemente restaurati; e poi ancora: macchine da scrivere, stadere, bilance, oggetti rudimentali del duro lavoro contadino ormai abbandonati. È un piccolo museo che racconta il passato ed esprime l’amore per le radici e per la tradizione di un imprenditore che ha a cuore il futuro. Alla parete un bel manifesto dai colori sgargianti riporta “RIMINI FOR MUTOKO. Il torneo benefico più grande in Italia”. Giorgio spiega che l’azienda è partner del movimento a supporto dell’ospedale Luisa Guidotti in Zimbabwe, nel distretto di Mutoko, diretto dalla dottoressa riminese
Marilena Pesaresi. “Ho avuto modo di conoscerla personalmente in un mio viaggio in Africa. – racconta Giorgio – In quell’occasione ho capito il grande lavoro che sta svolgendo in una terra dove anche le più piccole necessità quotidiane diventano un miraggio... Ogni anno a luglio viene organizzato un torneo di beneficenza, con grande partecipazione di pubblico ed operatori locali, il cui ricavato è devoluto a sostegno delle necessità legate alla missione. La consegna viene effettuata direttamente da alcuni di noi alla missionaria.” La ricerca dell’associazione Ippocampo è anche scoperta, ogni volta, di belle e interessanti personalità con impegni e passioni che ci accomunano.
autodemolizione Casadei s.r.l. Centro Autorizzatoo ACI - PRA via S. Martino in Riparotta, 2/p viserba monte di rimini tel. 0541.736258
comunicazione istituzionale
Romagna terra delle Acque Romagna Acque, l’anno che verrà Poco prima di Natale, l’assemblea dei soci di Romagna Acque-Società delle Fonti spa ha approvato all’unanimità il preconsuntivo di bilancio relativo al 2014 e il budget preventivo per il 2015. Il preconsuntivo di bilancio vede un risultato attivo, prima delle imposte, di 11 milioni 661 mila euro.
Le linee guida
Gli investimenti sull’energia
Il Consiglio di Amministrazione della Società prosegue nell’attività di consolidamento aziendale su temi chiave come la trasparenza, la sicurezza, il sistema tariffario, l’efficienza, il ruolo di tutti i dipendenti e i collaboratori, il rapporto con i soci e con gli stakeholder di ognuna delle tre province. Prosegue anche, in linea con quanto indicato negli anni precedenti, la realizzazione di un piano degli investimenti assai impegnativo, da circa 300 milioni di euro, reso possibile grazie ai buoni risultati acquisiti e alla solidità finanziaria della società. Ne è conferma primaria il nuovo impianto di potabilizzazione alle porte di Ravenna (il Nip2), che dovrebbe essere completato nella seconda metà del 2015, in linea con i tempi previsti dal progetto.
Tutti gli impianti fotovoltaici realizzati ed entrati in funzione nel 2013 sono entrati nel quinto conto energia: la Società ha ricevuto comunicazione dal GSE lo scorso settembre per quanto concerne il riconoscimento dei connessi incentivi. Per quanto riguarda i nuovi impianti, nel 2015 verrà realizzata una nuova turbina per la produzione di energia idroelettrica alla base della diga di Ridracoli; mentre nell’ambito della realizzazione dell’impianto di potabilizzazione di Ravenna (NIP2) è previsto anche un impianto fotovoltaico per complessivi 800 KW. Entrambi gli impianti sono peraltro ricompresi nel piano energetico che l’azienda ha recentemente completato con lo scopo di raggiungere una autoproduzione di energia pari al 40% dei propri consumi medi. E’ stata anche svolta un’analisi per individuare i punti maggiormente energivori, individuandone una cinquantina su circa 300 punti presi ad indagine. Sarà compito dell’azienda nei prossimi mesi operare per abbattere i consumi di energia in questi ambiti.
Gli investimenti futuri sui territori In linea con il piano pluriennale, gli investimenti realizzati dall’azienda sono decisamente significativi: nel 2014 hanno ammontato complessivamente a circa 50 milioni, nel 2015 ne sono previsti per 43 milioni. E nel corso del 2015 sono previste alcune importanti novità sui vari territori, sia per quanto riguarda gli investimenti strutturali che per quanto concerne la qualità dell’acqua. Nel riminese, vanno ricordati in particolare la chiusura della condotta di connessione fra Rimini Nord e Santa Giustina e il raddoppio del depuratore: che sarà così in grado di operare con una linea fanghi per una popolazione equivalente di 560 mila persone.
I vertici dell’azienda durante l’assemblea sul preconsuntivo di bilancio: da sinistra, l’amministratore delegato Andrea Gambi, il presidente Tonino Bernabè e il vicepresidente Gianni Gregorio.
La diga di ridracoli.
La riorganizzazione aziendale Al fine di aggiornare il modello organizzativo - sulla base di quanto richiesto alla Società sia da vincoli esterni che da necessità interne - si è avviato nella seconda parte del 2014 un intervento di riorganizzazione aziendale. Alla luce delle criticità emerse nell’attuale organizzazione e delle problematiche che si intendono risolvere, sono state individuate le specifiche linee di un intervento organizzativo che ha coinvolto tutta la struttura aziendale (interessando 40 posizioni interne) e si è articolato in più fasi. L’intervento organizzativo è partito da un lavoro di analisi sui bisogni e sulle proposte di miglioramento che è stato avviato al termine del primo semestre con il diretto coinvolgimento della struttura aziendale da parte degli amministratori. La riorganizzazione ha avuto decorrenza dal 1 ottobre e prevede un aggiornamento in base ad un programma articolato che contempla sia percorsi di carriera per il personale già in forza sia nuove assunzioni: in particolare, nel 2015 sono previste 12 assunzioni (a fronte di un pensionamento).
Ricerca e sviluppo Va sottolineato il consolidamento delle attività aziendali di ricerca e sviluppo: Romagna Acque si candida sempre più a collaborare con il mondo universitario – grazie ad apposite convenzioni stipulate con l’Università di Bologna, anche nelle sedi distaccate di Forlì e Ravenna - in particolare per quanto riguarda il tema della qualità dell’acqua. Particolarmente significativo al riguardo è stato il recente convegno svoltosi a Capaccio sulla gestione delle risorse idriche.
Un sito sempre più trasparente La trasparenza nei confronti di tutti i cittadini è uno degli obiettivi fondamentali dell’operato di Romagna Acque. La scelta di chiarezza assoluta si esplicita in molti ambiti: uno di questi è ovviamente il sito web. E siccome l’attenzione dell’utente è spesso puntata sulla qualità dell’acqua, l’azienda ha recentemente aggiornato il sito inserendo una serie di dati e di informazioni per rendere ancora più puntuale, più chiara e più comprensibile l’informazione relativa ai parametri qualitativi dell’acqua distribuita da Romagna Acque. La nuova pagina – particolarmente curata e all’avanguardia anche dal punto di vista della georeferenziazione - permette di visualizzare tutti i punti di consegna presenti sul territorio romagnolo, l’ultima analisi eseguita dal laboratorio di Romagna Acque, nonché lo storico di tutte le analisi eseguite sul medesimo punto di campionamento a partire dal 2012 in poi.
www.romagnacque.it
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Le Social Street via Turchetta fa scuola di Maria Marzullo I foto archivio Ippocampo
“Un tempo si chiacchierava in strada, sulla porta di casa, all’angolo della via… Oggi Facebook ha sostituito il luogo e la modalità, ma le relazioni non sono meno importanti.” Sembrerebbe una storia come tante: due ragazzi, Isabella Sabbatini e Federico Cambrini, iniziano un progetto di vita insieme e nel 2005 decidono di comprare casa a metà percorso dai loro rispettivi posti di lavoro. Entrambi impegnati, oltre che con il lavoro, come genitori di due splendide bambine (Federico è anche vice presidente dell’associazione Alzheimer di Rimini), arrivano in via Turchetta. “Non conoscevamo nessuno, - racconta Isabella – poi, per caso, durante il corso pre-parto ho incontrato delle signore che abitano nella mia stessa via. Anche loro lamentavano la mancanza di rapporti fra residenti e la necessità di trovare un luogo dove i nostri figli potessero giocare e noi genitori iniziare ad avere quella rete di relazioni amichevoli necessarie nella vita di tutti. Come fare per
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coinvolgere e incuriosire le persone che magari avevano il mio stesso desiderio ma poco tempo? Così mi è venuta l’idea e il 18 giugno del 2012 ho fondato un gruppo Facebook per i residenti della nostra via. Le adesioni sono state tante. Il gruppo è attivo da oltre due anni: ci si scambia informazioni per varie necessità quali la ricerca di un appartamento per nuovi residenti, richieste di lavoro, la ricerca di una sarta o lo scambio di ricette di cucina, inviti per compleanni ma anche la condivisione di problematiche comuni e non ultimo avvertire se ci sono ladri in giro!” Isabella ha creato una Social Street. Nel tempo, il gruppo si è talmente allargato che oggi la pagina viene gestita da più amministratori, fra questi c’è Dario Panebianco. Cittadini attivi, e non solo in rete, che operano per fruire e valorizzare le risorse di questa parte di territorio. “Con Dario e altri residenti – spiega Isabella - ci siamo interessati con l’amministrazione comunale per la realizzazione di un parco giochi in un’area contigua
alla zona artigianale. Siamo riusciti ad ottenere i primi lavori necessari ed è stato inaugurato il parco Marcovaldo, col quale abbiamo realizzato il sogno di molti.” Dal gruppo della social, si è costituito un nuovo gruppo: CI.VI.VO (acronimo che sta per civico, vicino, volontario). Si taglia l’erba nel parco con l’ausilio dei mezzi messi a disposizione dall’amministrazione comunale, si
fanno feste e ci si incontra per interagire direttamente oltre che in rete. Il desiderio comune a tutti, manifestato da chi vive in via Turchetta anche da moltissimi anni, è che il luogo in cui si vive solleciti il senso di appartenenza per costruire, valorizzare l’identità locale, integrando con le nuove generazioni di residenti per una coesione sociale che crei contatto umano e che permetta di superare la diffidenza nei confronti di chi non si conosce. Forse i tempi sono cambiati da quando le persone avevano le sedie fuori dalla porta per una chiacchierata col vicino, ma intanto la via Turchetta vanta la nascita di una moderna Social Street prima ancora di alcune pubblicizzate sui mass media, e questo è spirito di comunità a pieno titolo.
Nella pagina accanto, Isabella Sabbatini In alto, la focheraccia di via Turchetta, uno dei principali eventi organizzati dal gruppo Sotto, Federico Cambrini e Andrea Semprini del gruppo “CI.VI.VO.”
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Il ritorno
delle figurazioni di sabbia di Francesca Perazzini | foto Angelini
Cinquantottesima edizione di uno dei concorsi più amati dai viserbesi e dai turisti.
Prima ancora di tornei sportivi, animazione e aperitivi in riva al mare, le vacanze estive hanno sempre significato lunghi bagni in mare e relax sotto l’ombrellone. Un’esperienza che accomuna tutti, residenti e turisti, è quella di creare sculture di sabbia. Sotto le mani fantasiose di bambini e genitori armati di secchiello e paletta, prendono vita interi villaggi, gallerie, piste per le biglie, cibi immaginari, tutto ciò che può essere costruito con il solo utilizzo di sabbia e acqua di mare, al massimo arricchito con conchiglie e alghe. È un’arte che non conosce età e i viserbesi hanno impresso nella memoria l’evento organizzato per tanti anni dal Comitato turistico di Viserba: “Il concorso delle figurazioni in sabbia’. A distanza di anni, la scorsa estate con sorpresa il presidente del Comitato turistico, Francesco Protti, mi ha invitato a par-
tecipare in giuria alla 58esima edizione del Concorso, riproposta dopo un’interruzione di qualche anno (l’ultima edizione risale al 2002). È una manifestazione che si presenta come un concorso ma che ha il sapore di festa, in cui si favoriscono la creatività ed il rapporto tra le persone, la passione nel creare un opera, la soddisfazione nel vederla realizzata. Le sculture fantasiose della scorsa estate rappresentavano personaggi dei cartoni animati, oggetti e luoghi. Applauditissimi sono stati i primi cinque classificati: “Ippopotamo Gloria” in pole position, seguito dallo “Gnomo Giacomino”, terza posizione per la figurazione “In bocca allo squalo”. Al quarto posto “Non fate la guerra fate la pace” e al quinto “Ballo di gruppo in spiaggia”. Degne di nota sono state anche le realizzazioni di fortezze e castelli ispirati al nostro entroterra visitato dagli stessi partecipanti. Le foto di Angelini da sempre documentano l’evento, da quando Alvaro accompagnava la giuria nella visione delle opere, fotografandole ed esponendo poi in vetrina quelle dei vincitori. Un evento che certo tornerà ad avere un posto fisso nel calendario estivo con il prestigio che l’ha contraddistinto in passato e che ne faceva un fiore all’occhiello del nostro territorio. Sopra, le premiazioni dei vincitori con il presidente del Comitato Turistico di Viserba Francesco Protti e Francesca Perazzini membro di giuria A lato, la scultura vincitrice
ph. Paritani