ph. Paritani
3| SOMMARIO 5 EDITORIALE I “segni” ci salveranno
6 NOTIZIE E DINTORNI “Ci.leggo” biblioteca a Viserba Visit Viserba la tesi di Elisabetta
10 PAGINE DI STORIA Prima di tutto... una questione di fogne
10
Durante l’inverno meglio non ammalarsi 16 LA SANITÀ NELLA TERRA DELLE ACQUE Le missioni del medico patriota Medicine e Sanità dagli anni Trenta ad oggi La Farmacista “di passaggio”... Come si curano i sorrisi
Vis a Vis periodico semestrale Anno V - N.7 - FEBBRAIO 2016 • Supplemento a Il Ponte n.7 del 14/02/2016 a cura dell’associazione L’Ippocampo Viserba Laboratorio Urbano della Memoria tel. 0541 735556 info@ippocampoviserba.it www.ippocampoviserba.it
28 LUOGHI DEL CUORE Arriva, bella! La storia delle origini...
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Ricordi scolpiti e memorie di amici Come nasce un monumento L’eroe Celso Botteghi
• Direttore responsabile: Giovanni Tonelli
44 DELLE ARTI E DEI MESTIERI
• Editore: Confraternita Maria SS. Ausiliatrice di Santa Croce di Rimini
Dalla sabbia alla stampa
• Progetto creativo, contenuti culturali, servizi e foto d’epoca: Associazione Culturale L’Ippocampo Viserba Presidente: Pierluigi Sammarini • Direttore editoriale: Marzia Mecozzi AUDIO TRE s.r.l. Rimini • Caporedattore: Maria Cristina Muccioli
32 VOLTI E STORIE
Il mosaico della storia L’imprenditore ever green
58 SPORTIVI DI CASA NOSTRA Avventure su due ruote
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• Responsabile commerciale: Ruggero Testoni • Fotografi: collezioni archivio L’Ippocampo, Foto Alfredo, Nicola Sammarini • Progetto grafico e impaginazione: Rosalia Moccia AUDIO TRE s.r.l. Rimini • Hanno collaborato: Vincenzo Baietta, Sara Ceccarelli, Roberto Drudi, Nerea Gasperoni, Maria Marzullo, Manlio Masini, Marzia Mecozzi, Maria Cristina Muccioli, Pierluigi Sammarini, Ruggero Testoni • Stampa: Fotoedit s.r.l. Serravalle (RSM) - www.fotoedit.biz • Chiuso in redazione il 29/01/2016
PER LA VOSTRA PUBBLICITÀ A SUPPORTO DELLA RIVISTA E DELL’ASSOCIAZIONE L’IPPOCAMPO COMMERCIALE: 338 2341277
In copertina:
40
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Maria Teresa Scardovi Paolo Botteghi Giulia Corazza Mario Gasperoni Elisabetta Celli Adriano Bilancioni Maria Grazia Cirielli Emanuele Grossi Tonina (Pupa) Ciavatti
L’IPPOCAMPO
5| EDITORIALE
I “segni” ci salveranno La scrittura è una maniera per lasciare un ricordo, una testimonianza, un segno del nostro pensiero quotidiano; per non parlare di manifestazioni letterali più importanti, come la poesia, la saggistica o i testi storici che lasciano il loro segno, come pietre, sul nostro cammino, nella nostra memoria, dentro di noi, più o meno indissolubilmente! La lettura può essere anche indiretta: ascoltando un figlio che studia una lezione o leggendo epitaffi estemporanei sulle videate del monitor di un computer o scorrendo le pagine di un cellulare, leggendo un articolo di quotidiano al bar un sabato mattina, oppure, come dice scherzosamente qualcuno, guardando i necrologi sui manifesti funebri. Tutto ci incuriosisce, tutto ci interroga e ci fa pensare e all’interno della nostra mente accadono collegamenti che attingono alla memoria. La memoria è la capacità di conservare le informazioni nel tempo, senza la quale l’uomo non sarebbe capace di utilizzare i sensi, senza i sensi non sapremmo leggere i segni del nostro tempo e non potremmo interrogarci su come migliorare la nostra esistenza, magari evitando gli errori del passato. Il territorio che ci circonda, infine, è ricco di stimoli e di storie per allenare la memoria, il rispetto e la gratitudine per chi ci ha preceduto lasciando quei segni di conoscenza che ci salveranno. Anche nel territorio di Rimini Nord esistono dei ‘segni’ che invitano ad una sosta e al ricordo di chi, militare o civile, ha dato la vita durante i due conflitti mondiali che hanno funestato il secolo scorso. Eroi veri e propri, ufficiali e soldati semplici, partigiani, donne e uomini del popolo… Non tutti finiti sui libri di storia, ma certamente ricordati con gratitudine nei luoghi dove sono nati o dove hanno vissuto. Piccole e grandi storie private e pubbliche che oggi possiamo leggere attraverso le iscrizioni di lapidi di marmo poste in giardini e chiese o nelle insegne delle strade di Viserba e Viserbella. Con queste pagine ‘Vis a Vis’, tra i tanti interessantissimi articoli, vuole partecipare, nel suo piccolo, alle celebrazioni per il Centesimo anniversario della Grande Guerra. In un ipotetico itinerario dedicato ai caduti delle due guerre del nostro territorio, è d’obbligo partire dalla targa marmorea presente nella chiesa di Santa Maria al Mare, a Viserba. Dalle immagini d’epoca sappiamo che questo omaggio, che riporta nomi, era stato inizialmente posto sulla facciata della vecchia chiesa, sulla destra, rispetto al portone di ingresso. Un secondo omaggio, ben più recente, è il monumento ai caduti dei giardinetti cosiddetti ‘ex Kursaal’, sul lungomare di Viserba, all’incrocio con via Puccini. Inaugurato nel novembre del 1998, il monumento è stato fortemente voluto e realizzato, con l’intervento di diversi interlocutori, da un gruppo di reduci ed ex combattenti del secondo conflitto mondiale e uno di loro, il signor Luigi Berardi, ne racconta la genesi. Oltre a targhe e monumenti, abbiamo anche la toponomastica, cioè l’intitolazione di vie e piazze. Nello specifico, grazie a un testimone d’eccezione (il nipote Paolo, oggi 89enne), presentiamo la figura di un vero eroe: il carabiniere e pilota Celso Botteghi, perito in battaglia nel 1917, a cui il Comune di Rimini, il 16 maggio 1938, ha dedicato un viale di Viserba. Concludiamo la carrellata delle figure viserbesi che hanno avuto un ruolo importante negli anni più bui del Novecento, consapevoli di non aver completato l’opera (che magari si farà nei prossimi numeri del nostro giornale), con Quinto Sirotti: per oltre trent’anni medico di tanti viserbesi, ma, prima di questo, partigiano combattente, comandante di battaglione, amico di tutti. Come sempre, buona lettura. Pierluigi Sammarini - presidente associazione L’Ippocampo
6| NOTIZIE E DINTORNI “Ci.leggo” biblioteca a Viserba É aperta al pubblico ogni martedì e giovedì dalle 17 alle 19 e mette a disposizione dei cittadini libri, banche dati, e-book, cataloghi on line. E’ la “sede dislocata” della Biblioteca Gambalunga che è stata inaugurata a Viserba nell’ex sede del quartiere, in via Mazzini 22, lo scorso 17 ottobre. L’iniziativa è stata resa possibile grazie alla collaborazione tra il Settore Servizi al cittadino del Comune di Rimini, la Biblioteca Gambalunga e i giovani volontari del gruppo Ci.vi. vo che già gestiscono nella stessa sede un’aula-studio per studenti universitari. Il taglio del nastro è stato effettuato dal sindaco Andrea Gnassi alla presenza di Lorenza Ghinelli, la scrittrice riminese che nel 2013 è stata finalista del premio Strega con il romanzo “La Colpa”. I ragazzi dell’aula-studio sono stati protagonisti della lettura scenica “Con i libri non si fa il brodo”, con la regia di Pier Paolo Paolizzi. Nella stessa occasione gli alun-
ni del liceo artistico Serpieri hanno donato alla biblioteca alcuni dei loro disegni eseguiti appositamente. “L’apertura della biblioteca è resa possibile dai volontari del Ci.vi.vo. di Viserba, che offrono gratuitamente il loro tempo per permetterne il funzionamento. - scrivono i ragazzi su Facebook - In futuro speriamo di poter potenziare fascia oraria e giorni di apertura. Per questo chiunque
fosse interessato ad aiutarci prestando servizio come volontario può contattarci tramite la pagina Facebook. ‘Biblioteca Ci.leggo’”. L’associazione Ippocampo, per sottolineare il proprio consenso a questa utile iniziativa, era presente con una sua delegazione ed ha donato la collezione della rivista “Vis a Vis” e una copia del libro “Viserba e Viserba” (Luisé edizioni), oramai raro.
Passeggiando tra le note Sabato 10 ottobre, in occasione della festa della parrocchia, la corale Nostra Signora di Fatima di Rivabella ha regalato ai presenti uno spettacolo unico: ha ripercorso un secolo di storia della canzone italiana attraverso nuove formazioni di cantanti del coro. Il direttore artistico, Loris Tamburini, ci racconta che l’originale idea risale a un anno fa e per l’occasione è stato contattato anche Gianni Morandi. Non potendo venire a causa dei suoi impegni con il ciclo di concerti ‘Capitani Coraggiosi’, Gianni ha ringraziato con una bellissima lettera inviata al parroco don Giuseppe. Lo stesso concerto sarà forse riproposto in estate, per sfruttare la scenografia della lunga scalinata della chiesa.
Visit Viserba la tesi di Elisabetta Ancora una volta Viserba è spunto di riflessione per una tesi di laurea. Questa volta è Elisabetta Celli che, dedicandolo alla nonna Annalena, traduce la terra delle acque in un interessante progetto dal titolo “Visit Viserba”. La storia di Viserba dà vita ad un ‘Museo Diffuso’ sul territorio; partendo da quattro edifici (alcuni dei quali ormai abbandonati), il territorio viene raccontato da quattro prospettive diverse: industriale, con la Corderia; storica, con villa Bonci; religiosa e mitologica con la fonte Sacramora e letteraria con Elio Pagliarani. Con il fine di dare al turista tutte le informazioni storiche e culturali necessarie, Visit Viserba è un’idea di guida interattiva, tecnologica e pratica che supporterà la visita itinerante con strumenti, applicazioni, segnaletiche e mezzi di trasporto. Il percorso su tablet, è stato pensato in modo che sia il più possibile intuitivo, così che possa essere utilizzato sia dai meno esperti sia da coloro che non parlano la nostra lingua. Tradizione e modernità si fondono in un’idea brillante e suggestiva in grado di traghettare Viserba nel futuro.
8| NOTIZIE E DINTORNI Hai del tempo? Mettilo in banca! Nel primo fine settimana di ottobre il Centro Giovani Rimini5 di Santa Giustina ha ospitato un convegno internazionale in cui si è discusso di un’economia fatta di scambi basati su bisogni quotidiani e aiuto reciproco, ma dove non viene usato alcun tipo di moneta o banconota. Un mondo dove il bene più prezioso, di cui ciascuno dispone, è il proprio tempo: ore che valgono sessanta minuti per il professionista, il pensionato e la casalinga, senza differenze di ceto, età o colore della pelle. Si tratta delle Banche del Tempo, una forma di “cittadinanza attiva” che in Italia ha esordito proprio in Romagna, a Santarcangelo. Esperienza seguita a ruota, vent’anni fa, da quella riminese di Santa Giustina, a cui aderiscono, come soci attivi, anche diversi residenti di Viserba, Viserbella e Torre Pedrera. Nel 2014 sono state scambiate 3.800 ore. Sono tante le occasioni di scambio: compagnia a persone anziane o malate, riparazioni di sartoria, cura dei giardini, organizzazione di feste, passaggi in auto, preparazione torte, assistenza all’uso del computer, corsi di lingua o di cucina… Nella prima giornata di lavori del convegno si sono tenuti due workshop informativi, con esperti del settore, su come aprire e gestire una Banca del Tempo. Il giorno successivo si è tenuto l’incontro “Quando il Tempo è anche economia: l’evoluzione delle Banche del Tempo in epoca di crisi”, condotto da Leonina Grossi, presidente delle Banche del Tempo di Rimini. Oltre ai saluti delle Autorità e di Maria Luisa Petrucci, presidente dell’Associazione Nazionale delle Banche del Tempo, è stato dato spazio a
testimonianze, esperienze e progetti innovativi raccontati da Banche del Tempo dell’Emilia-Romagna e di altre regioni italiane. Ospiti d’onore: la spagnola Josefina Altez, coordinatrice delle Bdt dell’associazione “Salud y Familia” di Barcellona e la portoghese Eliana Madeira, dell’associazione Graal di Lisbona. Informazioni sulle Banche del Tempo dell’Emilia-Romagna sono pubblicate nel sito della Regione: www.banchedeltemporimini.org (di Maria Cristina Muccioli)
Il tempo come valore aggiunto Lo scorso ventisette giugno la Banca del tempo di Rimini e la Banca del tempo di Predappio, alla presenza dei rappresentanti delle rispettive amministrazioni comunali, hanno siglato un gemellaggio. Evento unico in Italia, forse anche in Europa, in quanto di solito sono le città a gemellarsi. La neo banca di Predappio, dopo un periodo di formazione effettuato sotto la guida
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di Leonina Grossi, presidente della Banca del Tempo di Rimini, è stata inaugurata nel corso del 2015. Non è stato facile istituire una Banca del Tempo in una città dove la storia ha creato anche dei punti di rottura. Forse proprio per questo motivo necessitava identità e autonomia, magari un legame d’affiliazione e sostegno nella sua crescita. Essendo quella di Rimini la seconda Banca del Tempo in Romagna, per istituzione e autorevolezza, è nata l’idea del gemellaggio. Questo è stato possibile solo dopo aver elaborato un documento stilato sulla base della legge europea che tratta la normativa sulla fratellanza. Nella Casa Comunale di Predappio il gemellaggio è stato siglato e registrato dalle autorità istituzionali: per il Comune di Rimini l’assessore alle Politiche europee Irina Imola e per il Comune di Predappio il sindaco Giorgio Frassinetti. Hanno sottoscritto il documento anche Leonina Grossi, presidente dell’associazione “Banca del Tempo di Rimini - Gli Amici del Tempo” e Miria Gasperi, presidente dell’associazione “Banca del Tempo di Predappio - Tempo per Amico”. Dopo le firme e il consueto scambio di doni è stata letta una lirica della poetessa Elli Michler, che descrive l’operato e le filosofie delle Banche del Tempo. L’auspicio di tutti è che questo gemellaggio fra il territorio a mare e l’entroterra della Romagna dia inizio a una proficua collaborazione fatta di dialogo interculturale e scambio non solo del tempo, ma anche di esperienze, conoscenze e valori. (di Maria Marzullo)
Nella pagina accanto, gruppi di volontari della Banca del Tempo
Residenza per anziani Oasi Serena, la casa del buon vivere Uno dei fattori che determina il successo delle case di riposo per anziani è sicuramente quello di riuscire a ricreare un ambiente familiare il più possibile vicino alle abitudini di vita degli ospiti. Ciò richiede un continuo aggiornamento e importanti investimenti, in termini di servizi e strutture ma anche per quanto riguarda la formazione degli operatori. A Viserbella, dal 1993 la residenza per anziani Oasi Serena ha fatto della massima soddisfazione degli ospiti la propria ‘mission’: “Un modo di interpretare l’accoglienza - sottolinea Daniela Bezzi, proprietaria della struttura di via Bartoli - che deriva dalla lunga attività in ambito alberghiero della mia famiglia”. Infatti, il complesso residenziale, risalente agli anni ‘70, è stato per molti decenni un rinomato e apprezzato hotel per le vacanze.” Oggi la residenza per anziani Oasi Serena è una moderna casa di riposo con 52 posti letto, priva di barriere architettoniche, dotata di parcheggio privato e con un ampio giardino che consente agli ospiti di poter soggiornare anche in compagnia dei loro piccoli animali domestici. Letti automatizzati, sollevatori per i malati di Alzheimer e standup ne fanno una struttura indicata anche per i portatori di handicap. Il fiore all’occhiello, per quanto riguarda la qualità alberghiera, è rappresentato dalla cucina interna con menù alla carta. Dal 2015 la gestione dei servizi è affidata alla Società Cooperativa Sole che condivide appieno con la proprietà i valori dell’aiuto, della cura e del supporto alla fragilità. “Ci piace pensare – interviene la dottoressa Giulia Merendi, presidente della Società Cooperativa Sole – a un ambiente di vita viva, dove la felicità si intreccia con i ricordi.” Un ambiente accogliente, caldo e sereno in cui si percepisce subito il valore delle persone che vi lavorano. “Tutto questo non avviene casualmente, - aggiunge Roberta Massi, coordinatrice della struttura - ma è il risultato di un’intensa attività formativa interna riguardante la comunicazione interpersonale, la gestione efficace dei processi gestionali, la condivisione delle procedure fra i vari reparti”. Per queste ragioni le attività collaterali sono sempre tenute in grande considerazione: dal parrucchiere al podologo, dalle feste di compleanno all’animazione, dallo yoga della risata ai salottini per raccontare e raccontarsi.
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Prima di tutto... una questione di fogne di Manlio Masini | foto collezione Vigolo, archivio L’Ippocampo
Chi si cura dell’igiene della borgata? La località, cresciuta troppo in fretta, presenta il grave inconveniente del ristagno delle acque sorgive e piovane.
Su Viserba “Regina delle acque” abbiamo già innaffiato alcune pagine di questo periodico1; l’argomento che ora ci preme di affrontare va ancora a nozze con l’acqua, ma si contrappone decisamente al motto “sposa bagnata, sposa fortunata”. Nel nostro caso, infatti, la sposa, Viserba, per convivere con il genere d’acqua di cui parleremo, dovrà penare parecchio. Detto ciò, entriamo in tema. «Viserba – si legge nel verbale del Consiglio Comunale riminese del 27
aprile 1906 –, che ha per sé l’immensa ricchezza dell’acqua e forse ne ha perfino abusato perforando pozzi ovunque, ora si trova senza scoli, con la minaccia non lontana di rendere paludosi e per molti anni insanabili i terreni che circondano le numerose sue ville: urge, quindi, senza indugio provvedere»2. Provvedere vuol dire creare una rete fognaria: un’opera di edilizia urbana che il Municipio non ha mai preso in considerazione per la troppa onerosità della spesa. A causa
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Nella pagina a fianco, viale Polazzi in una immagine dei primi anni del Novecento In questa pagina, due prospettive dei villini alla spiaggia, nelle quali si nota la condizione delle strade con fondo in terra battuta
di questa carenza, la rassegnazione dei borghigiani, costretti a guazzare nelle pozzanghere e ad essere infestati da una miriade di insetti, minaccia di trasformarsi in collera e persino di esplodere in gesti clamorosi. Tanto clamorosi da costringere il Comune ad approvare rapidamente, in via sperimentale, una parte del progetto tecnico relativo alla sistemazione degli scoli messo a punto dall’ingegnere bolognese Dino Zucchini3. I lavori, deliberati in agosto, prendono il via nella primavera inoltrata del 1907, ma, limitati ad una minuscola area di litorale e portati avanti in economia, non solo non arrecano alcun beneficio al territorio, ma peggiorano anche la situazione, poiché i pochi scarichi diretti al mare – compiuti in tutta fretta – spesso impediti dalla barra che si forma sul lido, producono il fenomeno del riflusso con effetti devastanti. Insomma una presa in giro che aumenta il nervosismo della popolazione allarmata anche per alcuni casi di sospetta febbre malarica e tifoidea verificatisi in paese4. Sul finire di novembre del 1909, l’Amministrazione comunale decide «la costruzione della chiavica di smaltimento delle acque piovane e di lavaggio per la piazza della marina di Viserba»5. L’operazione, circoscritta al luogo che prenderà il nome di piazza Pascoli, è necessaria ma insufficiente a placare i brontolii sempre più irrequieti della popolazione, che non si rassegna a campare con strade
e quartieri impastati di fanghiglia. Al disagio della quotidianità si aggiungono gli imprevisti. Il 23 settembre 1910 a far piovere sul bagnato ci pensa il Marecchia con uno straripamento da diluvio universale, che sommerge i campi e manda a catafascio tutto il raccolto dell’uva di Viserba. In precedenza, l’11 febbraio di quello stesso anno, una petizione popolare indirizzata «alle Autorità comunali» aveva segnalato per l’ennesima volta «l’urgente necessità di provvedere al convogliamento delle acque stagnanti con razionale sistema di chiaviche per eliminare i gra-
vissimi inconvenienti, specie riguardo all’igiene». Parole al vento. Nel 1912 la pioggia torrenziale delle ultime due settimane di agosto esaspera a tal punto gli animi che sessanta proprietari di ville, stanchi di dover sottostare all’inerzia municipale, in data primo settembre inviano al sindaco Gaetano Facchinetti la seguente istanza: «I sottoscritti, proprietari di villini in questa frazione del Comune, fanno presente alla S.V. le deplorevoli condizioni di scolo delle acque piovane e dei pozzi artesiani con pregiudizio grave delle condizioni igieniche e sanitarie della
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In questa pagina, due vedute di Viserba nei primi anni del Novecento Nella pagina accanto, il lavatoio pubblico e i villini al mare
borgata, che accoglie ormai un ingente numero di abitanti e di famiglie di villeggianti, gravati recentemente anche dalla tassa sul valore locativo. I sottoscritti si lusingano che codesta onorevole Amministrazione Comunale sarà facilmente compresa della necessità di sollecitare l’esecuzione di un’opera così vivamente richiesta da tutti gli abitanti, e per ottenere la quale essi sono disposti ad agitarsi energicamente»6. Un eufemismo, la chiusa della lettera, che sottintende un malessere non più sopportabile. L’esplicita, seppure garbata, denuncia dei “Signori delle ville” è inoltrata, per conoscenza, anche «All’Illustrissimo Prefetto di Forlì», al quale i firmatari pregano umilmente di prendere tutti i provvedimenti richiesti da «una opportuna e necessaria verifica sanitaria»7. «L’impaludamento del terreno», infatti, oltre a determinare un vero e proprio supplizio agli abitanti reca anche «grave pregiudizio all’igiene e alle reputazioni della stazione balneare»8. Parole sante, ma inchiostro sprecato. A battersi per la messa in opera di una razionale canalizzazione degli scoli, necessaria «ad assicurare il sempre crescente sviluppo della borgata»,
troviamo in prima linea il Comitato “Pro Viserba”: la sua azione consiste nel martellare il Municipio con missive, esposti e petizioni9. A fare da spalla alla combattiva associazione è “Il Momento”, settimanale radicale riminese, con una serie di pepati trafiletti. Eccone uno del 12 settembre 1912: «Nella vicina Viserba, in cui le abbondanti, limpide e salutari acque del sottosuolo richiamano sempre più la colonia bagnante già fattasi numerosa, come numerosa vi è la popolazione stabile, s’impone un provvedimento sollecito che elimini il grave inconveniente del ristagno
delle acque sorgive e piovane, e cioè che queste siano raccolte e condotte razionalmente in luoghi di scarico e protette in modo da non essere causa degli ingenti danni sanitari e materiali sin qui verificatisi». Sul finire dell’estate del 1913, con l’Amministrazione comunale in crisi, “Il Momento” torna a prendere di petto la questione e con un pungente stelloncino suona la sveglia al regio commissario prefettizio Michele Varriale. «Viserba – segnala il periodico – è un cantuccio di paradiso dove il sorriso del cielo si confonde col sorriso del mare azzurro e purissimo;
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ma il paese è lasciato dall’Amministrazione Comunale in uno stato deplorevole di incredibile trascuratezza. Il Comune, la Provincia, lo Stato traggono da Viserba redditi considerevoli (un breve articolo non può consentire cifre espositive eloquentissime), i proprietari dei villini, che biancheggiano al sole, pagano fior di quattrini agli Enti pubblici; ma tutti i servizi sono qui allo stato primitivo. La fognatura rappresenta una necessità impellente; la mancanza di scoli naturali genera le filtrazioni; l’acqua abbondantissima e saluberrima, che è un’invidiata prerogativa del paese, non tarderà ad inquinarsi. E dappertutto si parla d’igiene: ad essa gli studiosi consacrano i fulgori del loro intelletto; i Municipi più progrediti, i gettiti delle loro finanze; ma chi si cura d’igiene a Viserba? E si noti che il problema assurge qui a speciale importanza per ragioni etiche e sociali, poiché la riva di Viserba è tutta piena di bimbi, la primavera fiorente della Patria, tutte le speranze dell’avvenire»10. A forza di battere il tasto dei possibili pericoli sanitari derivanti dall’impantanamento del terreno, l’igiene della piccola frazione riminese fa il suo ingresso “trionfale” in Consiglio Comunale. Nella seduta del 27 gennaio 1914 il Commissario prefettizio approva in via definitiva il progetto stilato dall’Ufficio Tecnico «di una rete di fognatura alla marina di Viserba, che ripari al grave inconveniente dei ristagni d’acqua». L’opera, si legge sul verbale della delibera, deve compiersi entro quindici anni, incominciando dagli scoli più indispensabili, da eseguirsi «con il contributo dei proprietari di case» direttamente interessati ai lavori11. Il che, tradotto in soldoni, significa: “Volete le fogne? Pagatevele”.
Note 1) “Vis a Vis”, n. 2, Giugno 2013. 2) Cfr. ACCR, sed. pub. del 27 aprile 1906 e “L’Ausa del 5 maggio 1906”. 3) Cfr. ACCR, sed. pub. del 10 agosto 1906. Per i lavori si impronta la spesa di 4.100 lire. 4) Cfr. “Gazzettino Verde”, 23 giugno 1907. 5) Cfr. ACCR, sed. pub. del 29 novembre 1909. Stanziate 1.200 lire. 6) “Il Momento”, 12 settembre 1912. 7) Ibidem. 8) Cfr. ACCR, sed. pub. dell’11 maggio 1915. 9) Cfr. “Il Momento”, 20 novembre 1913. 10) “Il Momento”, 28 agosto 1913. 11) Cfr. ACCR, sed. pub. del 27 gennaio 1914. Il Comune impronta la spesa di circa 40.000 lire.
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Durante l’inverno meglio non ammalarsi di Manlio Masini | foto collezione Vigolo, archivio L’Ippocampo
Il medico, l’armadietto farmaceutico e la levatrice. La popolazione chiede la presenza di un sanitario fisso almeno nei mesi della bagnatura.
Prendiamo come punto di partenza il 1905 e come dichiarazione testimoniale una lettera inviata il 21 settembre al direttore de “L’Ausa” da «un nobile, illustre e simpaticissimo signore forastiero» nel momento di lasciare, «dopo due mesi di gradita permanenza, la ridente e salubre spiaggia di Viserba». «Viserba manca di una farmacia e di un servizio medico fisso – scrive il villeggiante – e trovasi quasi completamente abbandonata dal punto di vista della sorveglianza tecnico-igienico-sanitaria. Non discendo a dettagli, perché, forastiero come sono, non vorrei mai colle mie parole eccitare la suscettibilità di chicchessia, mentre ho trovato localmente in tutti un sentimento di squisita e direi quasi ingenua cortesia; ma le deficienze alle quali io accenno, saltano troppo agli occhi
di tutti e si fanno troppo sentire perché tutti, proprietari locali, abitanti e forastieri non debbano desiderare, gradire, invocare l’opera ed il pronto, serio e illuminato intervento dell’Amministrazione Comunale»1. La «Bella plaga dell’Adriatico», – così Viserba è indicata dalla stampa – ormai avviata a divenire una piacevole stazione balneare, di «deficienze» – come ammonisce il «nobile, illustre e simpaticissimo signore» con lessico tipico d’inizio secolo – ne ha parecchie: non c’è un tutore dell’ordine, le strade sono tutte da inventare, gli approvvigionamenti sono difficoltosi, manca la chiesa, l’ufficio postale…; quelle però che toccano maggiormente la sensibilità della popolazione e che danno adito ad una sequela di proteste, sono di genere sanitario. Il medico titolare della condotta, il
dottor De Minicis, è bravo, scrupoloso e persino gentile, ma risiede fuori sede, ed è proprio la sua assenza che crea malessere: di lui si ha bisogno sempre nei momenti più impensabili, vale a dire quando l’ambulatorio è chiuso2. Da tempo i residenti chiedono invano la presenza permanente di un sanitario, almeno nei due mesi della bagnatura «per un senso di riguardo – dicono – nei confronti dei forastieri proprietari dei villini». È ovvio che averlo stabile tutto l’anno, magari in un edificio polivalente ad uso scuola e abitazione della maestra e del medico, è aspirazione di ogni borghigiano3. La discussione sulla “casa del medico” procede di pari passo con quella sulla reperibilità dei medicinali. Viserba non solo è mancante di farmacia, ma anche di un “armadietto
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farmaceutico” per le urgenze. Nella seduta del Consiglio comunale del 10 agosto 1906, Oreste Lodolini propone – su istanza dei viserbesi – di portare nella borgata l’“armadio farmaceutico” di Bellaria, dato che questa frazione si appresta ad aprire la farmacia. «Potrebbe essere sistemato nell’ambulatorio del dottor De Minicis, che si è reso disponibile a riceverlo e a somministrare i medicinali», afferma il consigliere, «in tal modo si toglierebbe l’incomodo di dover correre a Rimini ogni volta che si ha bisogno di qualche medicina»4. La proposta, ragionevole e di poca spesa, non ottiene l’approvazione del Consiglio Comunale5. Inspiegabili i motivi del diniego. La situazione si sblocca nel 1907. Quell’estate il Municipio, stanco di essere subissato di lagnanze, concede a De Minicis l’abitazione nella borgata e con essa anche un nuovo ambulatorio e un piccolo “armadio farmaceutico”; il tutto, però, solo nei mesi estivi: durante il lungo periodo invernale i viserbesi dovranno ricorrere nuovamente a Rimini per l’acquisto dei medicinali6. Il provvedimento rappresenta un balzo di qualità notevole per la piccola frazione, ma purtroppo è limitato al titolare della condotta. «Il nostro medico è in permesso regolare – riferisce “Il Momento” il 9 ottobre 1913 – ed è stato sostituito da un altro sanitario che disimpegna con premura il suo interinato, ma è doloroso che per esigenze professionali egli non possa pernottare in paese. Così gli abitanti, in caso di bisogno si troveranno senza medico. Non è il caso di provvedere?». Sembra proprio di no: la corsa a Rimini per l’acquisto dei medicinali proseguirà per anni; avrà termine con l’apertura in piazza Pascoli di una ben rifornita farmacia ad
opera di Antonio Montanari7. Il problema della sanità si coniuga con quello della levatrice. Fino al 1909, per provvedere alla nascita dei bambini, le viserbesi devono ricorrere alle cure delle ostetriche di città o arrangiarsi da sole. “La Riscossa”, settimanale riminese di orientamento repubblicano, pone il servizio ostetrico in cima alla scala dei «desideri»; una scala dove i pioli rappresentano le carenze: la Delegazione di stato civile, la caserma dei carabinieri, la rete fognaria, la luce nelle strade, gli orinatoi, la posta… 8. Nel 1910 inizia a esercitare «la libera professione di levatrice» su tutto il territorio viserbese Seconda Paggi. La “Signorina Paggi”, che ha studiato nel Regio Istituto Ostetrico-Ginecologico di Firenze ed ha frequentato «con lode» l’Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento, entra subito nelle simpatie della popolazione. «Conosce il mestiere ed è diligente», dicono di lei le future mamme che ambirebbero averla fissa9. Un «desiderio», questo, auspicabile, ma non fattibile, dato che Viserba non possiede la condotta ostetrica. Questa, per la gioia delle partorienti, arriverà nel
1914 e la levatrice, scelta attraverso un pubblico concorso, sarà proprio la “Signorina Paggi”10.
Note 1) “L’Ausa”, 23 settembre 1905. 2) Cfr. ACCR, sed. del 27 aprile 1906 e “Gazzettino Verde” del 28 luglio 1907. 3) Ibidem. 4) Cfr. ACCR Rimini, sed. pub. del 10 agosto 1906. 5) Ibidem. 6) Cfr. ACCR, sed. pub. del 29 luglio 1907 e del 30 agosto 1907. 7) Cfr. Mario Becca (a cura di), “Guida di Rimini e dintorni”, 1923. 8) Cfr. “La Riscossa”, 14 maggio 1910. 9) Cfr. “Il Momento”, 1 giugno 1911; 17 ottobre 1912; 5 giugno 1913. 10) Cfr. “Il Momento”, 31 dicembre 1914; Mario Becca (a cura di), “Guida di Rimini e dintorni”, 1923.
Nella pagina accanto, piazza Pascoli, qui sotto, il lavatoio pubblico
16| LA SANITÀ NELLA TERRA DELLE ACQUE
Le missioni
del medico patriota di Maria Cristina Muccioli I archivio Famiglia Sirotti
Tra le figure di intellettuali, patrioti e benefattori, Viserba annovera Quinto Sirotti, Croce al Merito di Guerra, medico e combattente di grande statura professionale e umana. Fotografie, documenti e certificati, lettere, libri, ritagli di giornale: come sempre le storie di vita raccontate su “Vis a Vis” prendono spunto da ricordi di famiglia che gli interessati, con generosità, mettono a disposizione dell’associazione e dei lettori. La cartelletta della signora Maria Teresa Scardovi è come un piccolo scrigno del tesoro, custodito amorevolmente, che in un freddo pomeriggio di fine autunno scende con lei dall’Alta Valmarecchia (precisamente la casa di Soanne, nel comune di Pennabilli, dove si è trasferita da qualche anno) e, percorrendo la stessa strada del fiume, giunge fino al mare. Si tratta di un ritorno a casa, visto che stiamo parlando di un personaggio molto noto, che a Viserba ha vissuto e lavorato dagli inizi degli anni Cinquanta fino alla sua morte, avvenuta il 26 maggio del 1985: Quinto Sirotti, marito di Maria Teresa, ma anche medico di famiglia di tanti viserbesi. Ma non solo… Mentre sfogliamo i libri che parlano di lui e stendiamo sul tavolo le fotografie che lo ritraggono nelle varie epoche, la moglie ci racconta la vicenda umana di Sirotti, sfoggiando una memoria puntale nonostante gli ottantacinque anni dichiarati, dato anagrafico che non corrisponde alla freschezza della per-
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sona e dei suoi argomenti. Ascoltare le varie vicende che lo hanno visto protagonista ci dà conferma che, oltre ad essere stato “il medico di tutti”, Quinto Sirotti è stato “tanto altro”. “Aveva una ricca personalità e la sua esistenza è stata preziosa, soprattutto ‘agli altri’. - leggiamo in un articolo del 28 giugno 1985, firmato dall’amico Leone Cilla - Uomo colto e sensibile, amico generoso, partigiano coraggioso, medico fraterno e sapiente. Personaggio dotato di grande spirito di avventura umana, in ogni caso totalmente privo di dimensioni medie e convenzionali.” Nato a Ravenna il 26 febbraio 1921, a Sirotti venne imposto il nome di “Quinto”, poiché arrivato dopo quattro femmine. Coccolato e amato dai genitori e dalle sorelle maggiori, da subito divenne “Quintino”. Nome usato anche in seguito dai compagni di scuola, nonostante la “taglia vigorosa”. Dopo aver frequentato ginnasio e liceo, si iscrisse alla facoltà di Medicina, a Bologna. Nel 1941 venne chiamato a prestare il servizio militare. L’8 settembre 1943, con lo sbandamento dell’esercito italiano, si ri-
bellò e, insieme ad alcuni compagni romagnoli, in bicicletta, da Ravenna si recò fino a Lesina, sul Gargano, attraversando le linee nemiche, per dar vita all’ORI (Organizzazione per la resistenza italiana), prima organizzazione volontaria di combattimento a fianco degli alleati con compiti di sabotaggio, informazione e collegamento dietro le linee tedesche. Altri componenti dell’ORI, per dare un’idea, furono il futuro primo presidente della repubblica, Enrico De Nicola, e Ugo La Malfa. Col suo gruppo Sirotti operò in azioni temerarie, in collegamento con la grande organizzazione segreta americana OSS (Office of Strategic Service). Nel novembre del 1943 decise di aggregarsi alla 28^ Brigata Garibaldi di Arrigo Boldrini (Bulow), diventando “comandante di battaglione partigiano”. Servirebbero molte pagine, per raccontare quei giorni di lotta contro il nemico. La signora Sirotti, che ai tempi era una ragazzina di tredici anni e ancora non conosceva il suo futuro marito, ne narra tanti particolari, citando luoghi, nomi e incarichi, lasciando trasparire grande affetto e gratitudine per il “suo combattente”.
Una vicenda fra le tante, come altre citata anche nel libro di Luigi Martini “Dalla bici al sommergibile. Le missioni ORI dirette dai romagnoli” (in possesso della signora Maria Teresa), si svolse proprio a Viserba. Forse un segno del destino, visto che la località non era ancora nei progetti del giovane studente-partigiano. “Il 19 novembre 1943 Sirotti si imbarcò assieme a Boldrini, due aviatori alleati abbattuti dalla contraerea tedesca e altri nove partigiani, per raggiungere il comando dell’Ottava Armata al quale Bulow doveva tenere la conferenza illustrativa delle
Nella pagina accanto un giovane Quinto Sirotti In questa pagina, sopra, il dottor Sirotti in divisa militare e accanto la moglie Maria Teresa
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In questa pagina, in alto a sinistra, Quinto Sirotti in Consiglio Comunale; a destra, con amici francesi a Viserba Sotto, il dottore insieme all’amico partigiano
proposte di piano della liberazione di Ravenna. La spedizione raggiunse Viserba e venne condotta alla ‘Villa Cammeo’, sede del comando.” Al termine del conflitto Quinto Sirotti venne insignito della Croce al Merito di Guerra, con il riconoscimento della qualifica di “partigiano combattente”. Con l’aiuto e il sostegno delle sorelle riprese gli studi di medicina, laureandosi nel 1950. Lo stesso anno in cui, ad una festa del Partito Comunista a Ravenna, conobbe Maria Teresa, giovane maestra di Ravenna, figlia di un capostazione. L’arrivo in territorio riminese è del 1952, quando il medico di famiglia di Quinto, il tisiologo Enrico Bedeschi, ottenne un incarico alla casa di cura Villa Salus e portò con sé due aiutanti, il dottor Glauco Vallerini e lo stesso Sirotti. Inizialmente i due giovani medici abitarono nella clinica (li raggiunse presto anche il collega Fernando Morigi), poi, in seguito al matrimonio di Quinto e Maria Teresa, avvenuto il 12 settembre del 1953, si trasferirono a Viserba. Qui presero in affitto un appartamento sopra all’ufficio postale, di fronte all’hotel Lido: una camera per gli sposini, un’altra per Glauco,
la cucina in comune. Inoltre, il primo ambulatorio, condiviso dai due dottori. Intanto, già il primo ottobre di quell’anno, la signora Sirotti iniziò ad insegnare in provincia di Chieti, per un anno scolastico che prevedeva incontri periodici dei due piccioncini a metà strada, in quel di Pescara. In seguito, la stessa situazione professionale dei due medici (e “condominiale”) si ripeté con l’affitto della villetta di proprietà dei De Deminicis, in via Milano. Maria Teresa continuò ad insegnare alle elementari, spostandosi in varie sedi della Romagna (in totale saranno sedici anni), trovando anche il tempo per laurearsi in pedagogia e passare così alle scuole medie, dove insegnerà per altri ventiquattro anni (a Bellaria e a Viserba), fino al 1988. Nel frattempo, la nascita dei primi due figli (Claudio nel 1955 e Marina nel 1956) e l’acquisto della casa di via don Minzoni (nel 1958), dove Quinto aprirà un ambulatorio tutto suo, con ingresso su via Dati. Il terzo figlio, Roberto, che oggi ha quarantotto anni, arrivò quando la famiglia era già stabilita in questa abitazione più spaziosa. Oltre all’attività di medico di famiglia, con la specializzazione
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in pediatria conseguita nel 1971, Quinto ottenne l’incarico di direttore sanitario all’istituto per bambini handicappati “Luce sul Mare” di Igea Marina, che allora era una società a responsabilità limitata. Quando, nel 1980, la proprietà mise in liquidazione la società (“volevano farne un condominio!”, spiega Maria Teresa), lui, da vero combattente, si oppose fermamente e organizzò la protesta dei dipendenti. Una lotta vincente: il 25 luglio del 1980, infatti, si costituì la Cooperativa Luce sul Mare, nella quale Sirotti continuò a ricoprire il ruolo di direttore sanitario e assunse quella di presidente. Per l’impegno attivo sempre dimostrato, che portò ad un grande sviluppo della cooperativa sia nell’assicurazione ai ragazzi di una degna qualità di vita, sia nella
garanzia di occupazione dei lavoratori, nel 1993 a Quinto Sirotti è stato intitolato un reparto di riabilitazione. L’attività a tutto campo del dottor Sirotti non mancò di toccare la politica attiva: per vent’anni, infatti, fu consigliere per il partito comunista al Comune di Rimini. Definirlo “dottore di tutti”, quindi, pur essendo verità, non basta. Le parole dell’amico Leone Cilla descrivono l’uomo Sirotti meglio di altre: “Ha sempre perseguito elevate idealità, laiche e razionali. Un idealista, che ebbe il dono di continuare a sognare, sapendo di sognare.”
Sopra, insieme all’amico dottor Giorgio Roncucci Sotto, a Bologna nel 1942
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Medicine e Sanità dagli anni Trenta ad oggi di Marzia Mecozzi | foto archivio famiglie Morri/Comunale/Zecca
Ecco un altro tassello della nostra storia: le farmacie di Viserba. E soprattutto le famiglie che hanno fatto la storia della farmacia a Viserba: Morri, Comunale, Zecca.
La storia della farmacia ha radici lontanissime, il termine, che deriva dal greco ‘medicamento’ è riferito alla scienza che, basata su principi teorici e procedimenti pratici, ottempera alla preparazione e distribuzione dei farmaci, ovvero prodotti medicinali, terapeutici e curativi. La preparazione prevede naturalmente competenze scientifiche, chimiche e tecniche, mentre la distribuzione implica anche un’ampia conoscenza delle caratteristiche dei prodotti e soprattutto la capacità di fornire consigli sul loro corretto uso. Ora, senza dilungarci
troppo sull’arte farmaceutica e sui pilastri della medicina (da Ippocrate ad Avicenna e a Paracelso, fino a Galileo e a Pasteur) e sul percorso complesso che dallo speziale giunge fino ai nostri giorni, accenneremo, qui, al solo fatto che l’evoluzione della farmacia, dai piccoli laboratori-botteghe dove si sperimentavano continuamente tecniche e ricette per la preparazione di unguenti e decotti, sciroppi, pozioni e balsami fino ai miracolosi e moderni farmaci che hanno salvato e ogni giorno salvano le persone, è parte, anch’essa, di quella storia ru-
rale locale e di quello sviluppo di cui ci piace a lungo discorrere su queste pagine. Della storica famiglia di farmacisti Morri, ci parlano la signora Marina Morri (classe 1920), figlia di Egisto Morri, e sua nipote, la dottoressa Rosa Bianca Comunale (classe 1942) figlia di Andreina Morri (sorella di Marina) e di Alfonso Comunale; ovvero le due famiglie ‘pilastro’ di questa storia. Ma vediamo di ricostruire questo albero genealogico di farmacisti viserbesi da tre generazioni. Il farmacista Egisto Morri (n.1887 – m.1944), sposato con Angela Fabri-
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ni (n. 1888 – m. 1980) ha tre figlie: Andreina e Maria Luisa, farmaciste, e Marina. Andreina Morri, sposata con il dottor Alfonso Comunale, è madre di Rosa Bianca, sempre farmacista, Alberto e Guglielmo Antonio. La famiglia vive tutt’oggi nella bella residenza che le due signore, con un sorriso, definiscono ‘di campagna’, sulla costa di via Sacramora, a Viserba. “Mio padre Egisto – racconta Marina – originario di Serravalle di San Marino, iniziò a lavorare come farmacista a Rimini, nella farmacia Duprè; aprì la sua prima farmacia a Viserba nel 1933 rilevando la licenza dal dottor Valles e acquistando la proprietà sulla litoranea, di fronte al Nautic, dove la farmacia rimase fintanto che non venne spostata, con l’acquisto della villa della signora Manzi, sempre sulla litoranea all’angolo con la via Burnazzi, di fianco all’hotel Byron.” Egisto Morri, al quale è intitolata l’omonima strada che incrocia via Sacramora e sulla quale si affaccia la caserma dei carabinieri, negli anni del suo lavoro è stato un grande benefattore della comunità. Fra i suoi incarichi, particolarmente degno di nota è quello di essere stato Capitano Reggente della Repubblica di San Marino. Oltre a curare gratuitamente molti concittadini indigenti, al suo personale interessamento si deve la presenza a Viserba dell’istituto Sant’Onofrio, con tutti i benefici portati nel campo dell’educazione e dell’assistenza ai bisognosi dall’istituzione religiosa. “Erano tempi molto duri per tante persone – prosegue Marina – rimediare le medicine era molto difficile, molti farmaci in grado di contrastare le infezioni ancora sconosciuti. Non c’erano i sulfamidici e gli antibiotici o i farmaci come li conosciamo oggi. C’erano barattoli e ampolle che contenevano erbe, pol-
veri, infusi che andavano miscelati fino ad ottenere il composto medicamentoso. Quella volta, i farmacisti erano abili ‘alchimisti’; mio padre aveva un ricettario per la preparazione di sciroppi, pomate, addirittura supposte! Faceva venire la penicillina dall’America e, soprattutto, faceva continuamente credito alle famiglie che non potevano pagarlo…” Oggi, il sistema sanitario nazionale assiste tutti i cittadini italiani residenti, ma all’epoca, c’era il solo medico condotto che curava gratis gli indigenti assistiti dall’ECA (Ente Comunale di Assistenza). Il sistema assistenziale sanitario era basato su numerosi ‘enti mutualistici’ di cui, il più importante, era l’INAM (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le Malattie). “Ciascun ente – aggiunge Rosa Bianca - era competente per una determinata categoria di lavoratori che usufruivano dell’assicurazione sanitaria per cure mediche e ospedaliere, finanziata con i contributi versati dagli stessi lavoratori e dai loro datori di lavoro. C’erano tante persone alle quali veniva fatto credito, a volte, ben sapendo che non sarebbero state in
Nella pagina accanto, la dottoressa Andreina davanti alla farmacia sotto casa Morri Sopra, casa Morri sulla via Sacramora e sotto, Alfonso Comunale e Andreina Morri
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condizioni di saldare i loro debiti. Poi naturalmente, con il tempo le cose sono cambiate, le condizioni economiche dei più sono migliorate. Mia madre, Andreina Morri, - prosegue Rosa Bianca - alla morte del padre, dottor Egisto, ebbe in successione la farmacia essendo laureata, condizione necessaria per ottenerla, e rimase in sua proprietà fino al 1972, quando la comprò il dottor Zecca.” Oggi esistono due tipologie di farmacia: quella privata e quella pubblica. La farmacia privata è quella il cui titolare è una persona fisica laureata o una società di persone. Generalmente, la licenza per aprire una farmacia privata si ottiene con concorso o si acquista dal vecchio proprietario purché in possesso della laurea in farmacia; è cosa comune che i proprietari l’abbiano ricevuta in eredità dalla famiglia e che, a loro volta, la lasceranno in eredità a figli o parenti. Il proprietario, se laureato in farmacia ne diventa titolare e assume altri farmacisti come dipendenti in base alle sue necessità. La farmacia pubblica, o comunale, è invece quella il cui titolare è una persona giuridica, cioè il Comune rappresentato dal Sindaco. Può essere gestita diretta-
Nella foto qui sopra, la dottoressa Andreina Morri in uno scatto del 1941 Sotto, la nuova farmacia di Viserba, nel 1951, la ragazza sulla sinistra è Mafalda Bianchi
mente dal Comune (che assume un farmacista come direttore ed altri come dipendenti) oppure tramite delega all’Azienda municipalizzata. La storia della farmacia, a Viserba, prosegue con la famiglia Zecca, nome fra i più conosciuti all’interno della comunità anche perché, da tanti anni, svetta sull’insegna all’angolo fra via Dati e via Polazzi, identificando la farmacia del centro di Viserba. Oggi, il negozio è gestito dal dottor Fabio Zecca con la sorella Elisabetta, figli di Cosimo Zecca, insieme al dottor Giovanni Di Addezio e alla dottoressa Gigliola Semprini, con
la collaborazione di Enza Roberto, Anna Verecondi e Ludovica Pelliccioni. Dello storico titolare parliamo con Maria Grazia Cirielli, moglie di Cosimo, scomparso nel 1990 a soli cinquantacinque anni. Nel 1973 Cosimo Zecca, allora direttore della farmacia comunale di Cattolica, venne a sapere che a Rimini erano state messe in vendita alcune farmacie private, fra cui anche quella di proprietà della famiglia Comunale di Viserba e decise di comprarla. La farmacia aveva ancora sede in via Dati, di fianco all’hotel Byron. “Ricordo che quando acquistammo
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In questa pagina, in alto a sinistra, la signora Maria Grazia Cirielli, moglie del dottor Cosimo Zecca A destra, il dottor Cosimo Zecca nella farmacia di via Dati
la farmacia, - racconta Maria Grazia - la dottoressa Andreina Morri ci consegnò anche un libretto nel quale erano annotati, come un tempo i negozianti erano soliti fare, tutti i crediti da riscuotere. Era un sistema molto diffuso quello di ‘segnare’, che aveva origine dalla stagionalità dei mestieri. Durante l’anno i negozianti facevano ‘credito’ a tanti concittadini i quali avrebbero pagato successivamente, nel momento del lavoro e, di conseguenza, dello stipendio. Anche la farmacia non si sottraeva a tale sistema.” Negli anni seguenti, Cosimo decise di spostarsi in una struttura più spaziosa, acquistando i locali sull’angolo della via Polazzi che comprendevano anche l’appartamento per la famiglia al piano superiore. “Cosimo aveva voluto per la nuova farmacia un arredo chiaro e luminoso. – riprende la signora Zecca - Sosteneva che fosse maggiormente adatto ad una località di mare rispetto agli arredi delle farmacie tradizionali che un tempo erano ambienti molto classici, dai mobili imponenti e austeri. Era un appassionato di lavoro e, data l’assoluta vicinanza della nostra abitazione (sopra alla farmacia) potremmo definire la sua routine quo-
tidiana ‘casa e bottega’! Cosimo era anche molto amico del dottor Matrai che ci faceva visita quasi ogni giorno portando a mio marito le pagine del libro che stava scrivendo affinché le leggesse e gli desse il suo giudizio. Alla morte di Cosimo mi sono occupata io della farmacia, assumendo una direttrice, la dottoressa Barbara Tamburini, finché mio figlio Fabio, nel 2001 si è laureato, diventandone titolare.” Negli ultimi anni la Farmacia Zecca è stata oggetto di ulteriori ammodernamenti e ampliamenti degli spazi; grazie alla molteplicità dei prodotti, è una delle ‘botteghe’ più frequentate del centro di Viserba e, come abbiamo appreso, è il tassello attuale di una storia che affonda le sue radici negli albori di questo angolo di territorio.
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La Farmacista ‘di passaggio’… di Ruggero Testoni | foto famiglia Broccoli
Certe professioni sono strettamente legate alla vocazione, altre sono ‘ereditarie’ e ‘di famiglia’; ma sono soprattutto determinazione, impegno e sacrificio a fare di un mestiere, una storia di successo.
La dottoressa Loredana Arrigoni, la prima farmacista del borgo di Rivabella, con il suo racconto arricchisce ulteriormente la storia della farmacia privata nel territorio di Rimini Nord. La sua testimonianza è significativa anche nel solco di quella tradizione tutta romagnola che propone un modello femminile forte, determinato, intelligente e con una spiccata predisposizione al lavoro e all’imprenditorialità. “Sono nata a Santa Sofia, un comune della provincia di Forli-Cesena, al confine fra la Romagna e la regione Toscana. – racconta - Dopo la maturità classica, con alcune amiche del cuore abbiamo optato per la facoltà di farmacia. Da laureata ho partecipato a vari concorsi vincendoli tutti.” Nel 1954 Loredana sposa il dottor Lelio Broccoli, farmacista a Gatteo, titolare dell’omonima farmacia da tre generazioni: Lelio, infatti, aveva ereditato la farmacia dal padre dottor Pio Broccoli che, a sua volta, era subentrato al padre. Giovane, tenace e ricca di ideali, sebbene impegnata madre di tre splendidi figli, l’ideale professionale la spinge a perseguire con determinazione la strada della realizzazione anche in ambito lavorativo. “Quando, nel 1970, esce un bando di concorso per l’assegnazione di alcune farmacie nelle zone del riminese – prosegue Loredana decido di parteciparvi e, nonostante non poche difficoltà, mi sono ributtata a capofitto nello studio. Dopo
mesi di preparazione con lunghe ore sottratte al sonno, mi sono presentata al concorso. Ricordo che gli iscritti erano centoventi, provenienti da tutto il territorio nazionale; la tensione era tanta, ma fu un grande successo: ho vinto il concorso con un secondo posto assoluto, aggiudicandomi la priorità di scelta sul territorio. La mia preferenza è stata per la località di Rivabella.” La prima farmacia, stagionale, nasce in via Livenza. Erano gli anni del turismo straniero ed erano soprattutto clienti tedeschi quelli che si rivolgevano alla neo farmacista, la quale, nel periodo invernale e nei ritagli di tempo, per essere all’altezza del suo compito professionale, si era rimessa a studiare: questa volta il tedesco. “Sapete come? – ricorda con un sorriso – Con le audiocassette registrate. Tenevo l’auricolare anche durante la notte! Nell’arco di poche stagioni sono stata in grado di comprendere le esigenze dei clienti di lingua tedesca riuscendo, con loro stupore, a colloquiare discretamente.” Nei due anni seguenti la farmacia viene spostata in via Coletti, all’angolo con via Longarone; l’esercizio diventa annuale, poi, dal 1998, avviene il passaggio nell’attuale sede di via Coletti 186. “La professione di farmacista è cambiata molto dai tempi in cui si preparavano pomate, infusi e tisane… Conservo ancora scrupolosamente i diari delle antiche ricette
Nella foto Loredana Arrigoni al banco della sua farmacia
delle farmacie Broccoli, mentre ho accantonato in soffitta i tanti contenitori in ceramica che riempivano gli scaffali di allora. Nei tempi moderni, con l’avvento delle case farmaceutiche, si è passati al farmaco preconfezionato, limitando di molto la certosina preparazione di medicamenti fondamentali. Io potrei essere definita una farmacista ‘di passaggio’, fra questi due periodi. Oggi la farmacia di Rivabella è egregiamente condotta da mio figlio, Alessandro Broccoli e dalla moglie, Barbara Buccioli, anzi devo a lui, allora universitario, e alla sua determinazione, la continuità nella gestione famigliare, quando ho perso mio marito prematuramente. Aveva solo sessant’anni!“ Al racconto di Loredana si unisce quello di Alessandro, che descrive l’attuale attività. “La nostra farmacia è diventata un fornitore qualificato di prodotti igienici personali ad ampio raggio, propone servizi interni per controllo della pressione arteriosa, glicemia, colesterolo, inoltre necessita sempre più di personale laureato e documentato, perché in queste particolari zone di mare, con grande intensità di presenze e l’esiguo numero di postazioni di guardia medica, è frequente che il cliente chieda consiglio su scottature, bruciature, infezioni cutanee e bronchiali. Per prodotti tradizionali, omeopatici ed altro, noi ci siamo…”
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Come si curano i sorrisi
di Marzia Mecozzi | foto Nicola Sammarini
Il benessere dipende dal sorriso. E un bel sorriso dipende dalla cura della bocca e dei denti e, non di meno, dalla serenità del luogo di cura…
“Mi ritengo molto fortunato: faccio il lavoro dei miei sogni in un luogo da sogno.” Emanuele (detto Nene) Grossi, classe ’57, riminese, è uno dei medici che, con la sua storia, aggiunge un capitolo fra le pagine che intendono toccare il tema della sanità nel territorio di Rimini Nord. Laureato alla facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Bologna e specializzato all’Università di Siena in odontostomatologia e protesi dentale, nel giugno del 1986 apre il suo studio a Viserbella, in via Porto Palos, proprio di fronte alla chiesa di Santa Maria Assunta. L’ambiente informale e moderno dello studio, i colori caldi delle pareti nella sala d’attesa, fra le riviste e i quadri d’avanguardia, sug-
geriscono una personalità disinvolta e cordiale, attenta ai dettagli e alla psicologia di chi si appresta a diventare ‘paziente’. “La scelta di questa posizione è stata del tutto casuale, suggerita dai farmacisti Fabbri, di Rimini, clienti del ristorante dei miei genitori. – racconta Emanuele - Il perché di Viserbella? Semplicemente perché in quegli anni, in quest’area non c’erano dentisti e avrei potuto offrire un servizio davvero utile per i residenti. I locali adatti me li ha suggeriti la signora Silvana Balena, del negozio di frutta e verdura, ci tengo a precisarlo perché le sono ancora grato! – dichiara sorridendo – In questi trent’anni sono certamente cambiate molte cose,
ma credo che la serenità che riesce a trasmettere il mare nei lunghi mesi invernali e poi l’allegria festosa dei mesi turistici, sommata allo spirito del luogo, lo spirito del ‘paese’, con i suoi abitanti accoglienti e amichevoli, siano un estratto di positività che incide benevolmente anche sul lavoro. Sono un amante del mare e trovo impagabile poter svolgere la professione in un ambiente così solare e rasserenante.” Forse qualcuno dei ‘compaesani’ lo ricorderà giovanissimo, in sella alla sua ‘vespina’ del ‘72, intento a distribuire i suoi biglietti da visita nuovi fiammanti. “Il lavoro si è sviluppato subito molto bene, - prosegue il dottore – è stato un crescendo, dapprima con i pazienti del ‘vici-
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nato’, poi piano piano il volume del lavoro è aumentato. Ho iniziato da solo, con due assistenti alla poltrona e l’anno successivo si è aggiunta mia moglie Carmela che tuttora, col ruolo di segretaria, è presente all’interno dello studio; dal ’97 è iniziata la collaborazione con il dottor Cesare Spada, consulente in conservativa e endodonzia con il quale ancora oggi lavoro.” Attualmente lo studio dentistico si occupa di igiene e prevenzione, svolte dalla dottoressa Giorgia Zangheri; conservativa, endodonzia, protesi fissa e mobile, parodontologia, chirurgia orale, implantologia, pedodonzia (per bambini). “Provenendo dalla formazione universitaria, ho iniziato da subito il lavoro sulla prevenzione. – spiega ancora Emanuele – Di mia iniziativa andavo nelle scuole ad insegnare l’igiene dentale e l’importanza, come in ogni campo della medicina, dell’aspetto preventivo e dell’informazione.” La professione medico - dentistica è cambiata molto negli ultimi decenni, tutto si è evoluto grazie alle tecnologie e ai nuovi ritrovati in ambito
medico scientifico e le persone oggi sono più consapevoli e informate, anche grazie a internet che offre spiegazioni e approfondimenti che un tempo erano appannaggio di pochissimi. “Di conseguenza, - prosegue Grossi - si può affermare che il lavoro e la cura si prestano a soddisfazioni maggiori e a risultati sempre più soddisfacenti, perché le persone ci tengono molto più di un tempo, ad avere una bocca sana, curata ed esteticamente bella.” Nell’ambito del benessere della persona, la salute dei denti e della bocca è importantissima perché collegata in vari modi alla salute e al benessere generale. Oltre all’impatto sullo stato nutrizionale, una cattiva salute dentale può anche influire negativamente sul linguaggio, sulla postura e, cosa da non sottovalutare, sull’autostima. Chi conosce Nene Grossi, certamente saprà che l’eccellenza del suo studio medico è basata principalmente sulla cura della persona prima ancora che dei suoi denti, sul rapporto umano e sulla reciproca fiducia; alla grande professionalità si lega una capacità rara di far sentire il paziente
a proprio agio e soprattutto sereno, cosa non facilissima per chi si appresta a sedersi su quella ‘poltrona’. Sposato con Carmela, padre di Federico e Francesco, Emanuele Grossi è anche un grande sportivo, appassionato di motori e amante dello sci, anche se sono soprattutto gli sport legati al mare, la vela e il windsurf, ad avere un posto di primo piano nella sua vita. “Non cambierei nulla di questi trent’anni! – conclude – E se c’è una cosa che, professionalmente, auguro ai miei figli, è la fortuna di recarsi ogni giorno al lavoro con la felicità di farlo, perché per me è stato proprio così e, forse, una parte del merito va a questo luogo, Viserbella, che conserva inalterata la novecentesca atmosfera dolce e silenziosa, serena e festosa di cui a volte mi parlano alcuni dei pazienti più anziani.”
Nella pagina accanto, lo staff dello studio In questa pagina, sopra, Emanuele Grossi con la dottoressa Zangheri e un paziente; a lato, due prospettive d’ambiente dello studio
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Arriva, bella!
La storia dalle origini… di Sara Ceccarelli | foto famiglia Ceccarelli, archivio L’Ippocampo
Si amplia, con le origini di Rivabella, la storia del territorio di Rimini Nord, attraverso la viva voce di chi l’ha sentita raccontare dai propri nonni.
La spiaggia di Rivabella con le ‘tende’ in uno scatto dei primi del Novecento
Rivabella è una piccola frazione di Rimini Nord che si affaccia sul mare. Situata tra San Giuliano e Viserba, nasce ufficialmente come frazione alla fine degli anni Trenta, quando terminano i lavori del deviatore del fiume Marecchia. Fino a questo momento, la zona di Rivabella rimane un territorio di passaggio utilizzato per raggiungere il centro della città di Rimini dalla frazione di Viserba. Nel 1927 iniziano i lavori per la costruzione del deviatore in zona Celle, all’altezza dell’attuale Ponte dello Scout che congiunge via Tonale al Parco Marecchia. Con le frequenti piene, il fiume Marecchia danneggia sensibilmente il lavoro e il sostentamento degli abitanti delle aree adiacenti al suo corso, arrecando danni alle piccole imbarcazioni dei pescatori. Con
la conclusione dei lavori, nel 1938, si crea un nuovo corso d’acqua che dalle Celle scende fino al mare, creando così una definitiva separazione territoriale tra San Giuliano e Rivabella. La nuova tratta fluviale non solo ha diviso il territorio permettendo la nascita di due frazioni, ma ha dato una nuova identità alle due zone. A partire da questo momento la zona ha un nome ufficiale, che fino ad ora era solo ufficioso. Da dove deriva, quindi, il nome di Rivabella? “Rivabella non significa quello che tutti immaginano: ossia che ha una ‘bella riva del mare.” Così inizia la chiacchierata con Toni Colonna, classe 1937, scrittore locale che da anni si interessa alla storia di Rivabella e dei suoi abitanti e che ci ha accompagnato in una prima ricostru-
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In questa pagina, una delle ville che sorgevano sul litorale Sotto, Toni Colonna
zione storica della piccola frazione. “Una leggenda del luogo, - racconta Toni - narra che il nome deriva dall’espressione di un conte residente in questa zona. Il Conte Zavagli, infatti, originario di Covignano e residente con la propria famiglia a Rivabella già dai primi anni del Novecento, era solito passeggiare in calesse in riva al mare e, per fermare la propria cavalla in prossimità di casa, era solito dire ‘Arriva, bella!’. Essendo, il Conte, il personaggio più ricco e influente del luogo, ne consegue di aver avuto un ruolo fondamentale nella denominazione di questa parte di territorio.” Per anni si è continuato a chiamare la zona in questo modo, battezzandola poi ufficialmente nel 1938 con la conclusione dei lavori del deviatore. La storia relativamente nuova della piccola frazione non è documentata ufficialmente e per le informazioni si fa riferimento ai racconti degli anziani del luogo e a ciò che si ricordano
coloro che hanno in qualche modo vissuto i cambiamenti. Una volta nata la separazione tramite il fiume, l’area della frazione è scarsamente abitata. Nella zona più a sud di Rivabella si trovano le poche abitazioni dei piccoli proprietari di terreni; la maggior parte del territorio non è abitata, sono solo campi coltivati di proprietà della Curia. Fino al 1948, i campi della Curia arrivano fino all’attuale via Brenta. E, infatti, la zona più popolata risulta essere proprio quella a nord di questa strada. Qui sorgono le prime abitazioni, a seguito di una sommaria divisione dei lotti di terreno tramite il tracciamento di sei vie che si intersecano fra di loro. Queste sono le attuali via Timavo, via Livenza e via Brenta che si estendono dalla ferrovia fino al mare e che incrociano perpendicolarmente via Piave, via Isonzo e via Palmanova. Quella che ora è via XXV Marzo inizialmente viene chiamata “La strada
30| LUOGHI DEL CUORE
Piantina di Rivabella (1944) di proprietà dell’Imperial War Museum di Londra, donata all’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti di Rimini raccolta nel volume “Dalla eroica Resistenza del popolo riminese al conferimento della medaglia d’oro al valore civile al Gonfalone della città” edito a cura del Comune di Rimini nel 1965 Sotto, Giuseppe Ceccarelli ritratto sulla via Toscanelli nel 1963 e la famiglia Ceccarelli sulla spiaggia di Rivabella nel 1955
di Colonna” perché, come racconta Toni, suo nonno, che di lavoro faceva il casellante, aveva costruito la prima casa di Rivabella vicino alla ferrovia. La strada sterrata partiva da casa sua, e quindi portava il suo nome. “Insieme alla casa di Colonna c’era anche la casa del mio bisnonno Enrico Tosi, - racconta Giuseppe Ceccarelli, nato nel 1949 e poeta locale - un piccolo proprietario terriero che risiedeva in via Timavo e che ha venduto i suoi possedimenti permettendo così la nascita e l’insediamento nella zona di altre famiglie.” Le altre case lungo queste vie nascono da lì a pochi anni e sono il primo insediamento organico della frazione; tra le altre ci sono anche le case della famiglia Pasini, in via
Piave, e della famiglia Mularoni, in via Isonzo. Per quanto riguarda le case situate lungo la riva del mare, si tratta sempre di casette di pescatori utilizzate principalmente per lavoro. L’aspetto della frazione come ora lo conosciamo si differenzia molto dagli anni passati. Se si passeggia a Rivabella si notano due strade che si biforcano all’altezza di piazzale Adamello: una è la via Toscanelli e l’altra è la via Coletti. Se al momento la via principale è la via Coletti, una volta esisteva solo la via Toscanelli che si congiungeva con via Dati, la strada del lungomare di Viserba. Via Coletti infatti, è stata battuta solo nel 1961. Proprio sulla via Toscanelli durante il secondo dopoguerra nascono le prime attività commerciali a seguito del
turismo crescente che inizia a popolare anche questa zona. Nasce così una prima coscienza per il commercio e i primi esercizi commerciali, che da principio si limitano a sorgere sulla via principale. “La spiaggia era molto larga, - ricorda Giuseppe - infatti mio nonno mi diceva sempre che quando era bambino bisognava fare tanta strada per arrivare al mare.” All’inizio Rivabella è tutta spiaggia libera. Gli abitanti che vanno al mare portano le proprie tende oppure si recano in spiaggia essenzialmente per andare a fare il bagno. All’incirca dalla fine degli anni Quaranta il Comune inizia a concedere i permessi per creare i primi accenni di stabilimenti balneari. I proprietari delle case che si affacciano sul mare hanno quindi la possibilità di installare delle tende da affittare ai villeggianti. Le prime tende ufficiali sorgono davanti a Villa Sassoli, in prossimità del ristorante “La Posada”. Da quel momento in poi molte tende vengono affittate e posizionate sulla spiaggia. Dagli anni Sessanta le tende verranno poi sostituite dagli ombrelloni, che per molti anni non saranno che una manciata. Negli anni la frazione si caratterizza da un numero sempre più crescente di turisti fedelissimi, che porta alla nascita di pensioni, negozi e colonie per bambini. Così nasce Rivabella, che da “terra di mezzo” diviene un’area ben definita. Grazie al nuovo corso del fiume e all’aria di cambiamento che ha portato con sé, nuove storie ed eventi particolari faranno di quest’area una piccola cittadina. Rivabella è un piccolo territorio ‘a sé’, e i rivabellesi sono molto affezionati al loro ‘campanile’.
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Ricordi scolpiti e memorie di amici di Vincenzo Baietta
Un omaggio a Piero Guardigli Bagli (1898 - 1946) scultore bolognese di origini riminesi che a Viserbella possedeva una villa, in stile liberty, che ancora possiamo ammirare nel suo stato originario. Era un giorno del mese di maggio del 1976. Il sole, nelle prime ore pomeridiane, era ancora alto ad ovest. Seduto in giardino godevo dei suoi raggi primaverili. Una leggera brezza dal mare spirava verso terra e spandeva lungo i viali, traversi alla litoranea, il profumo dei fiori delle acacie e dei tigli ivi esistenti. I sodali Carlo ed Enea (1), di ritorno dalla passeggiata marina, come di consueto, si soffermarono alla sorgente del Surciòn. Salendo, poi, dal passo a mare di via Busignani, vennero davanti a casa mia. M’invitarono a seguirli e mi condussero in via Canuti nel tratto di strada compreso tra la litoranea e la sua parallela via Petropoli. Qui Carlo iniziò a parlare: “Ti ricordi Enea? Ai tempi della nostra gioventù (anni ’30 ndr), nell’immobile in angolo a via Canuti vi era un ostello ‘sa dal puteni’ la cui tenutaria ‘l’era la ma’ di un nostro coetaneo, Solerte
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Note: (1) - Carlo Ardini, Enea Bernardi
Nella pagina accanto, Piero Guardigli Bagli Bologna 1898 - Brescia 1946 Sopra, Marina con albero - olio su legno Heine ragazzo tedesco - busto in marmo
detto ‘è lusertulon’ (il lucertolone) a causa della sua abitudine a stare, nei meriggi estivi, disteso per ore e ore sotto il sole.” A confine con il terreno dell’ostello, a monte, vi era un lotto con un fabbricato che disponeva di una stalla per cavalli. All’ingresso, su due colonne laterali al cancello, erano state poste due belle teste di cavallo opera dello scultore Piero Guardigli Bagli, probabilmente commissionate dal figlio della soprano Concato che aveva forte passione per i cavalli. In seguito, negli anni ’50, su quel terreno, i Concato, sull’onda dello sviluppo turistico balneare riminese, costruirono l’hotel Villa dei Fiori e all’ingresso mantennero le due colonne sormontate dalle teste di cavallo (oggi purtroppo scomparse). Fu così che, per la prima volta, sentii parlare del celebre artista Piero Bagli, nato a Bologna nel 1898 ma di origine riminese. Carlo ed Enea, pur essendo di una generazione successiva a
quella di Piero Bagli, vantavano non solo la sua conoscenza ma, a loro dire, avevano goduto della sua amicizia. “Ades te tvin sa nun, che at purtem a veda la su chesa” (Adesso tu vieni con noi, che ti portiamo a vedere la sua casa). Ci inoltrammo lungo via Petropoli e Fanelli fino all’angolo con via Cenci. La villa, in stile liberty, attualmente è abitata al piano terra rialzato dalla figlia Amelia ed è ancora nel suo stato originario. Durante la camminata mi parlarono con sincero affetto e molta stima dello scultore - pittore Piero Bagli, purtroppo prematuramente scomparso nel 1946 all’età di 48 anni. Ciononostante egli fu personaggio celebre per la sua arte scultorea e pittorica, ed anche per una sua storica ed ardimentosa impresa marinaresca. Il 10 agosto del 1932, partendo dalla spiaggia di Viserba, fortemente volle, seppur febbricitante, affrontare, in solitaria, la traversata del mare Adriatico:
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da Viserbella a Rovigno d’Istria e ritornò su di un moscone a vela latina, il “Capitan Paolo” da lui stesso progettato e costruito. L’avventurosa impresa fu considerata una pazzia da famigliari, amici e conoscenti. Una pazzia per altri ma non per lo scultore Piero Bagli, che la considerò “una coraggiosa necessità per vivere intense emozioni e sentimenti” verso il mare, elemento naturale primitivo e dinamico. Quel mare che nel cuore e nell’anima malinconica dell’artista era sempre stato oggetto di forte passione e fonte primaria di pulsioni culturali poetiche e creative. Non a caso l’artista di tante belle opere aveva vissuto una parte importante della propria vita come marinaio. Allievo prediletto del più grande “artefice scultoreo” del novecento, il professor Adolfo Wildt titolare della cattedra di scultura all’Accademia di Belle Arti di Brera, Piero Bagli diventa esso stesso uno fra i maggiori scultori italiani del XX secolo. Di lui il pittore letterato Luigi Pasquini sul n. 3 di Ariminum del 1929 scriveva: “(…) Le opere del Bagli sanno esprimere malinconie mistiche ed esplosioni di dinamismo.” E ancora: “(…) quando si scolpisce in pienezza di vita, senza preoccupazione alcuna di mercati, critiche, esposizioni e, soprattutto, si scolpisce in gioia di lavoro come fa Piero Bagli (…) e quando l’opera è finita e porta con sé una parte della vita di colui che l’ha creata… non è essa, opera frutto del suo genio, il premio migliore?” Peccato che di questo artista che nel nostro cuore sentiamo come un grande illustre compaesano, diverse opere siano scomparse. Peccato che troppo poco si parli di lui e delle sue belle opere scultoree e pittoriche che qui elenchiamo:
Sopra, Amleto 1926 - bronzo; A sinistra, Autoritratto A destra, Profilo di Maria, 1935 - olio su tela
- La memoria che scopre e contempla un eroe (1923), scultura in marmo che si trova nella cappella dei caduti del Tempio Malatestiano - L’Amleto (1926), busto in bronzo che vinse il premio Fumagalli (1926) ed il premio Rubicone (1933) al Museo di Rimini - San Girolamo, bronzo del 1929 - San Luigi, busto in marmo - Heine ragazzo tedesco, busto in marmo - Il duce, 1932 busto in marmo, scomparso - San Martino, tondo in gesso - Elsa Bedotti Cavallai, 1933, busto in gesso - La sorella Maria, 1935, busto in gesso Opere pittoriche: - Fiori, natura morta, olio su legno - Marina con albero, olio su legno - Marina con capanni, olio su legno - Passaggio a livello di San Martino, olio su legno - Ritratto di signora tedesca, 1933, olio su tela - Profilo di Maria, 1935, olio su tela - Ritratto di Maria, 1941, olio su telaÂ
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Come nasce un monumento
di Maria Cristina Muccioli | foto Nicola Sammarini e archivio Berardi
Il monumento nei giardinetti ‘ex Kursaal’. Un grande diapason per tramandare, oltre ai nomi dei caduti, le loro voci.
In prima fila, un sorriso fiero, le maniche rimboccate e il badile in mano: così è ritratto Luigi (Gigi) Berardi nell’articolo de Il Resto del Carlino del 23 ottobre 1998 che annunciava l’imminente inaugurazione del Monumento ai Caduti che, su disegno di Bruno Militi, si stava allestendo nei giardinetti “ex Kursaal” di Viserba. La cerimonia, inizialmente programmata per il successivo 4 novembre, si tenne invece qualche settimana dopo: il 29 novembre. Erano presenti tantissime autorità: il sindaco Giuseppe Chicchi, il Prefetto, il Questore, assessori e consiglieri, il presidente del Quartiere, i presidenti delle associazioni combattentistiche, i comandanti di Polizia, Guardia di finanza, Marina militare, Carabinieri. Tra gonfaloni e bandiere, c’erano anche i promotori e gli ideatori dell’iniziativa, nonché
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Nella pagina accanto, il grande diapason, monumento ai caduti Sopra, particolare della base del monumento Sotto, Luigi Berardi nella sua officina A fianco, Berardi insieme a Bruno Militi con il monumento in costruzione davanti a casa
gli artisti e i tecnici che l’avevano realizzata: oltre a Bruno Militi, l’architetto Marino Padovani e l’ingegner Andrea Perazzini, il “nostro” Luigi Berardi, la ditta Belletti e Paoli, il Centro Sociale Viserba 2000, la Coop. Edile Viserbese, i volontari Umberto Del Balzo, Nino Magnani,
Giovanni Rossi, Filippo Vandi ed Elio Biagini. Mancavano, quel giorno, coloro che più degli altri si erano dati tanto da fare: Ferruccio Bernardi e Guerrino Pasini, già presidenti della Sezione di Viserba dell’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci, scomparsi poco prima di vedere realizzato il loro sogno. I caduti ricordati nel monumento sono 104: sulla sinistra sono riportati i nomi dei periti nella prima guerra mondiale (più un caduto nella guerra d’Africa); sulla destra, invece, ci sono quelli della seconda guerra. Per realizzare l’opera, Militi si era ispirato al diapason, strumento musicale che, nell’idea dell’artista, poteva tramandare, oltre ai 104 nomi riportati nel monumento, le loro voci e i suoni della guerra… “dal tuono del cannone allo scrosciar d’onde in murate navi, il sibilar del vento in sideree altezze e d’inni delle nostre fanfare.” “All’inaugurazione tutti resero omaggio soprattutto a
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Ferruccio Bernardi – ci racconta il signor Luigi – Se oggi Viserba ha un monumento ai caduti, lo si deve alla sua iniziativa e alla sua insistenza. Per anni si fece la raccolta di fondi presso la sede di Viserba 2000, organizzando feste, lotterie e manifestazioni varie. Per le offerte usavamo una grande damigiana, che, un po’ alla volta, si riempiva. Io, come fabbro, realizzai la struttura portante in acciaio inossidabile. La mia officina era diventata il centro di lavorazione, dove
spesso veniva Bruno Militi per definire questo o quel particolare.” Luigi Berardi racconta quei momenti di diciassette anni fa accogliendoci nella sua casa di Viserbella. Al piano terra, la porta dell’officina oggi è chiusa, ma per tanti anni è stata aperta a tutti coloro che avevano bisogno di lavori in ferro “fatti ad arte”. Gigi, infatti, è stato un fabbro molto apprezzato per l’originalità e la precisione delle sue opere. L’album dei ricordi mostra scalinate artistiche di alberghi, ma
In alto a sinistra, Luigi Berardi nella sua officina A destra, nel giorno dell’inaugurazione Sotto, tre particolari del monumento
anche un “aggeggio” per assemblare i lettini da spiaggia e un attrezzo usato dai bagnini per fissare sul terreno i paletti degli ombrelloni. Un inventore, quindi, oltre che artigiano. Berardi fu anche emigrato in Belgio, dove, fino al 1963, si occupò alla manutenzione delle attrezzature usate dai minatori. “Quel monumento è anche un po’ mio. – sottolinea oggi il nostro amico. – Oltre che per costruire la sua intelaiatura, ho messo fatica e sudore anche per installarlo, col badile e le maniche rimboccate!” Di quei giorni, ci piace riportare qualche riga del comunicato stampa che il portavoce del Comitato Organizzatore, Elio Biagini, inviò agli organi di stampa: “Con questo monumento vogliamo lasciare un segno tangibile affinché anche nel futuro tutte le generazioni ricordino tutti coloro che sono morti sui campi di battaglia e nei tremendi lager nazisti. Questo monumento vuole essere anche un monito per fare in modo che mai più nessuna guerra sia combattuta…” Sante parole…
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L’eroe
Celso Botteghi di Maria Cristina Muccioli | foto archivio Paolo Botteghi
L’eroica storia dell’aviatore Celso Botteghi rivive su queste pagine grazie ai ricordi del nipote Paolo.
Nei vari testi storici che ricordano e rendono omaggio alla vicenda eroica di Celso Primo Botteghi, aviatore abbattuto nella zona del Piave il 18 novembre 1917, si cita sempre come luogo di nascita il paese di Verucchio e solo in pochi casi viene documentato “residente a Viserba”. Questo giovane era figlio del nostro territorio, in quanto la sua famiglia già diversi anni prima della sua morte si era trasferita in via Forlì, in una piccola casa al civico sette, tuttora esistente. “Nelle mie ricerche non sono mai riuscito a trovare riferimenti precisi su quando i miei nonni coi loro figli si trasferirono a Viserba”, ci racconta Paolo Botteghi,
il nipote che da decenni tiene vivo il ricordo dello “zio eroe”. Paolo è un distinto signore nato a Viserba nel 1926, proprio in quella casetta di via Forlì. Babbo Adamo, classe 1898, e mamma Anna (Anita) Betti, del 1891, oltre a lui ebbero Giovanni Pietro (Gianni), Gelsomina (Celsa), Celso e Quarto. I genitori di Adamo, Facondo, del 1865, e Domenica Corazza, del 1869, avevano altri due maschi: Emilio e Celso Primo, quest’ultimo nato il 19 febbraio del 1895. E’ lui l’eroe della nostra storia: il ragazzo che a diciott’anni, da Viserba, partì per il servizio di leva di prima categoria al distretto di Forlì, dove ri-
mase fino al 16 dicembre 1914. Tempi storici, in cui già diverse nazioni erano in pieno conflitto, mentre l’Italia non avrebbe tardato a seguirle: già un mese dopo, infatti, il 14 gennaio 1915, Celso venne richiamato alle armi, incorporato fra gli allievi carabinieri a piedi. Alla dichiarazione di guerra del 24 maggio 1915 venne inviato dalla Legione di Milano, cui era assegnato, in territorio di combattimento. Dopo poco più di un anno, il 17 luglio 1916, venne distaccato e aggregato alla Scuola Aviatori di Torino. Intanto, a Viserba, la vita continuava, con gli echi della guerra che arrivavano coi mezzi allora a disposizione. Lontano da casa, la carriera di Celso continuava: il 25 febbraio 1917 conseguì il brevetto di pilota aviatore di primo grado nel campo scuola di Busto Arsizio (il suo libretto da pilota era il numero settantaquattro d’Italia!). Venne promosso vice brigadiere e il 10 aprile inviato in zona di guerra con la 31^ Squadriglia Aeroplani. L’avioporto era nei pressi di Castelgomberto, in provincia di
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Vicenza, un piccolo paese della Val d’Agno al confine tra Veneto e Trentino. Qui l’aviatore viserbese cominciò a solcare i cieli con compiti di ricognizione sulle linee nemiche. Come possiamo immaginarlo, il nostro concittadino, in quell’epoca? Sicuramente affascinante, se non altro per la divisa da aviatore, che ai tempi vestiva i protagonisti dei romanzi romantici per signorine. Oltre alle immagini di famiglia in possesso del nipote Paolo e quelle pubblicate nei libri di storia, alcuni dettagli sono presenti nel foglio matricolare: “di buona statura (m. 1,71), capelli lisci e castani, occhi cerulei, colorito bruno.” E per quanto riguarda il carattere e la passione, basti leggere un brano tratto da alcuni appunti ritrovati tra le sue cose: “Non v’è nulla di più maestoso e sublime che volare nel bel cielo delle terre irredente, appunto là dove solamente con la mia macchina volante si può giungere e si può osservare lo spazio oltre al quale segneremo domani i confini della nuova Italia”. Un “cava-
liere dell’aria”, sicuramente invidiato dai ragazzi e adorato dalle ragazze. Pur essendo il più giovane di tutta la squadriglia, ben presto Botteghi ottenne la stima dei compagni per l’audacia e l’ardire. Durante il ripiegamento dell’esercito italiano verso il Piave, moltiplicò le sue missioni e in una di queste, il 18 novembre 1917, venne assalito da quattro aeroplani austriaci. Avrebbe potuto ripiegare, ma accettò la sfida impari col nemico, cadendo successivamente in fiamme. Con lui perì il tenente dei bersaglieri Bernardo Ettore, che era a bordo dell’aereo di Botteghi in qualità di osservatore. I resti dei due vennero portati a Castelgomberto, dove furono celebrati solenni funerali, con la partecipazione dell’intera comunità locale. Nel 1918 gli venne concessa la Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: “Pilota d’aeroplano, costante esempio ai compagni di devozione al dovere e di serena audacia, compiva numerose, difficili operazioni di guerra. In una di queste, affrontava
con mirabile ardimento un’impari lotta con quattro velivoli nemici da caccia e dopo essersi difeso strenuamente cadeva col proprio velivolo, trovando morte gloriosa.” Alcune fotografie dei funerali furono inviate ai genitori Facondo e Domenica, che le tennero sempre nella loro camera, in una sorta di altare familiare che Paolo ancora ricorda. “Nella casa di via Forlì – racconta – abitavamo tutti insieme: i nonni, la mia famiglia e quella dello zio Emilio. La stanza da letto dei nonni era un luogo di passaggio e noi bambini, ogni volta che ci entravamo, dovevamo salutare per bene lo ‘zio eroe’. C’erano le fotografie e i lumini: un piccolo sacrario per Celso. Siamo cresciuti nel culto dello zio.
Nella pagina accanto Celso Botteghi Sotto, a sinistra, cerimonia dedicata all’eroe nel 1963, il terzo da sinistra è Adamo Botteghi, fratello di Celso e padre di Paolo A destra, cartolina di Celso indirizzata alla famiglia, scritta il 20 dicembre 1916 e mai spedita
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Ricordo anche che quando andavo alle elementari, in via Donizzetti, nell’atrio, in alto, c’era una targa che parlava di lui.” Il corpo di Celso venne traslato al cimitero di Rimini nel primo dopoguerra. Una benefattrice mise a disposizione il loculo, con l’indicazione che insieme a lui fossero sepolti, in seguito, “solo il padre e la madre dell’eroe”. E la strada di Viserba? Paolo ci accompagna al punto esatto e, quando il fotografo di “Vis a Vis” lo vuole immortalare sotto l’insegna del viale dedicato a Celso Botteghi, non nasconde la commozione. “Quand’ero bambino questa strada aveva già il nome dello zio. - dice - Non sono mai riuscito a scoprire a quando risale la sua intitolazione.” Allora, glielo comunichiamo noi. Grazie al fantastico strumento di Internet, troviamo nel sito del Comune di Rimini lo stradario della città: viale Botteghi si chiama così in seguito alla delibera n. 359 del 16 maggio 1938. Come ci spiega Paolo, all’inizio il nonno, poi il babbo Adamo, che fu il primo autista dell’Esso, fecero propria la missione di onorare l’aviatore con tutti i loro mezzi. Un’eredità
morale tramandata da padre in figlio. Negli anni, infatti, forse grazie anche al loro interessamento, molte iniziative sono state organizzate in omaggio di Botteghi: una anche a Viserba, nel 1965 al Cinema Teatro Nuovo, documentata da fotografie che Paolo ci mostra. Alla memoria di Celso è stata intitolata anche la sezione riminese dell’Associazione Carabinieri in congedo. E, naturalmente, il nome di Celso Botteghi è presente sia nella lapide ai caduti all’interno della chiesa di Santa Maria al Mare, sia nel monumento di Bruno Militi ai giardinetti di via Puccini. Paolo, oggi 89enne, ricevette il testimone, unico su cinque figli, dal padre Adamo, quando questi si sentì di non potersene più occupare: “Da oggi il compito di ricordare a tutti l’eroe Celso Botteghi spetta a te!” Un impegno onorato con passione, affetto e competenza, approfondendo anche le ricerche storiche e scoprendo nuovi dettagli su quanto accaduto nei cieli di Arsiero in quel lontano novembre del 1917. Paolo Botteghi da giovane e, oggi, sotto l’indicazione stradale del viale dedicato all’eroe
Paolo, “paesano” di Viserba La ricerca sulla figura del nostro eroico concittadino ci ha dato la possibilità di conoscere meglio il nipote Paolo, che da sempre ha mantenuto vivo il ricordo dello zio eroe di guerra. Paolo, trasferito a Rimini per esigenze di lavoro, è rimasto un fedelissimo della sua amata Viserba. Poco conosciuto dai più giovani, è solito passeggiare per le vie di Viserba a ricordare le case dei vecchi amici che purtroppo non ci sono più. La dimostrazione del suo attaccamento a Viserba la si può trovare nell’assidua frequentazione della famiglia d’origine e nell’educazione impartita a figli e nipoti che hanno sempre avuto amici viserbesi e si sono impegnati nella squadra di pallavolo, prima come giocatori e poi come dirigenti e allenatori. Il nipote Claudio ora vive a Viserba e la figlia Beatrice ha sposato il viserbese Franco Bulgarini. La vita professionale di Paolo, lunga e ricca di riconoscimenti, inizia durante il periodo di guerra, con l’assunzione, a soli sedici anni (appena ottenuta la licenza della scuola industriale) nella società dei telefoni Timo, poi diventata Sip. In azienda ha dimostrato grandi capacità tecniche e di relazione, fino ad avere incarichi di addestramento di giovani ingegneri; un suo studio sull’organizzazione del lavoro è stato esteso a tutto il territorio nazionale. Nel 1980 è stato insignito, con decreto del Presidente della Repubblica Italiana, della Stella al Merito del lavoro, con la nomina a Maestro del lavoro. Come consigliere regionale dell’Emilia-Romagna e poi come consigliere nazionale dell’associazione Maestri del lavoro, alla nascita della provincia di Rimini ha costituito la sede provinciale dell’associazione, di cui è stato presidente per tredici anni e di cui attualmente è “presidente emerito”. Ha concluso la carriera al massimo livello professionale possibile in azienda per la sede di Rimini. In seguito, per diciott’anni, è stato consulente presso la Segreteria di Stato della Repubblica di San Marino per la gestione dei rapporti convenzionali per le Telecomunicazioni. Per gli ottimi risultati ottenuti, lo Stato di San Marino l’ha nominato Cavaliere Ufficiale e poi Commendatore della Repubblica.
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44| DELLE ARTI E DEI MESTIERI
Dalla sabbia alla stampa
di Marzia Mecozzi | foto Nicola Sammarini, famiglia Innocenti
Nonno bagnino, padre sarto, mamma parrucchiera… Dalla ristorazione all’ospitalità fino al mestiere di grafico, Andrea Innocenti, con sua madre Pupa, ci accompagna in un excursus famigliare fra i lavori di ieri e di oggi. Dai mestieri nuovi e antichi, dalle imprese giovani e mature, dalle modifiche strutturali, paesaggistiche, economiche, generazionali non smettiamo mai di imparare, conoscere e capire questo territorio, la sua storia e la sua gente, guidati dai ricordi famigliari che, a ritroso, ricostruiscono i passaggi e le dinamiche del cambiamento. Insieme ad Andrea Innocenti e a sua madre Tonina Ciavatti (classe ’26), da tutti conosciuta come Pupa, percorriamo un tratto del nostro viaggio nel tempo alla scoperta di nuovi elementi da aggiungere al mosaico storico di questa comunità di grandi lavoratori. Molte viserbellesi ricorderanno Pupa, oggi bellissima nonna, come parrucchiera, fra gli anni Sessanta e Settanta, nel negozio di via Porto Palos.
45| DELLE ARTI E DEI MESTIERI
“Sono nata a Viserbella, dove mio padre Giuseppe (detto Pidriloun) era assegnatario di una delle prime spiagge, fatta ancora di dune e di arbusti selvatici, nel tratto di arenile di fronte a Villa Laura. – racconta Pupa - Ricordo che, da solo, costruì la prima scogliera, la ‘penna’ perpendicolare alla spiaggia, sasso dopo sasso, per arginare le mareggiate. Il paesaggio oltre la spiaggia era caratterizzato da piccole costruzioni che si affacciavano sulla litoranea. Un ricordo particolare della spiaggia di quegli anni è quello delle sabbiature; era curioso vedere le persone ‘seppellite’ sotto cumuli di sabbia.” Quella della sabbiatura era un sistema di cura nel trattamento delle artrosi e dei reumatismi molto in voga nei primi anni del secolo; consisteva nel coprire parti del corpo con sabbia scaldata dal sole, allo scopo di ottenere una vasodilatazione e una conseguente miglior circolazione sanguigna. La terapia esiste ancora oggi, ma viene eseguita nei centri talassoterapici… niente più bagnanti tumulati! Dopo la guerra, conseguito il diploma da parrucchiera, Pupa inizia a
lavorare nel negozio dei parrucchieri Bianchi (v. ‘Vis a Vis’ nr. 4) e, in seguito, dei parrucchieri Faini, a Viserba. Nel 1951 sposa Valerio Innocenti, ‘e sèrt’, il cui negozio di sartoria si trovava nell’edificio in via Roma, di fronte all’Istituto Sant’Onofrio, che oggi è stato sostituito dal parcheggio della Coop. “La sartoria, insieme alla merceria e al negozio del meccanico Poldo, si affacciava sulla via Roma, una delle strade più importanti e frequentate di
Nella pagina accanto Tonina Ciavatti detta Pupa In questa pagina, Pupa al lavoro nel negozio di Faini a Viserba (1950), si riconosce la signora Zelia Panighelli (1950)
46| DELLE ARTI E DEI MESTIERI
Viserba perché collegava la stazione con il lungomare, a pochi passi dal Cinema Roma dei signori Zignani. – prosegue Pupa – Abbiamo ancora la vecchia macchina da cucire, una ‘Singer’, con la quale mio marito lavorava.” Anche sul mestiere di sarto ci sono particolari curiosità da evidenziare e anche queste raccontano la società del dopoguerra. “Raramente ci si faceva cucire il ‘vestito nuovo’, - sorride la signora - mentre assai più spes-
so la stoffa dei vestiti vecchi veniva riutilizzata per dare vita a nuovi abiti, magari per i figli o per i fratelli più giovani, con nuove fogge e tagli d’attualità. Mio marito era un artista nel suo mestiere, pensate che, prese le misure ai clienti, disegnava i modelli direttamente sulla stoffa, con il gessetto, poi tagliava e confezionava!” Quando, valutate le nuove esigenze dei consumatori, Valerio decise di interrompere l’attività della sartoria, insieme al più giovane amico Mauro
Varriale diede vita, negli stessi locali, all’America Stracci, rivendita di abiti usati che ebbe una sua storia di successo e notorietà… Pupa, intanto, aveva aperto il suo negozio di parrucchiera a Viserbella e, lasciata la vecchia casa di via Bainsizza, la famiglia, per maggior comodità, si era trasferita nelle vicinanze dell’attività. Anche nel mestiere di parrucchiera sono tanti i cambiamenti sopravvenuti con la modernità e, fra i più particolari, Pupa segnala quello delle pettinature. “Le signore usavano farsi ‘pettinare’ anche ogni giorno. Di ritorno dalla spiaggia passavano in negozio e si facevano acconciare i capelli, con elaborati chignon, per la serata. Erano anni in cui, per cena e dopocena, si usciva in abito da sera, tutti eleganti e curati nei minimi dettagli.” Dopo aver gestito per un anno la pizzeria 'Le Ruote', in via Pedrizzi, con l’acquisto del terreno dove poi verrà costruita la loro casa in via Caprara 16, a Viserbella, la famiglia Innocenti intraprende negli anni seguenti una nuova attività: pensione con bar e pizzeria. Nell’attività di famiglia inizia a lavorare anche Andrea che, dopo gli studi tecnici, qualche esame alla facoltà di giurisprudenza a Urbino e il matrimonio con Lucia Marinelli, viene assunto come grafico alla serigrafia ECO. “Sono sempre stato appassionato di disegno, ma il mestiere di grafico è iniziato proprio per caso e un po’ per gioco… - ricorda Andrea – Avevo realizzato l’immagine per un adesivo di Radio Gamma e, portandola in serigrafia, l’allora titolare Paolo Petrini ne apprezzò la creatività e mi offrì un lavoro. Si era sul finire degli anni Settanta, quella volta era il lavoro a trovarti!” Per qualche anno Andrea lavora nella nota serigrafia riminese finché, con alcuni colleghi,
decide di mettersi in proprio aprendo una nuova attività in via Marecchiese, la serigrafia 'Il Mago' che, qualche tempo dopo, in seguito alla cessazione dell’attività della ECO, ne rileva i locali, nel capannone industriale dall’avveniristica (per quegli anni) architettura sito nella zona della Grotta Rossa dove ha sede oggi l’azienda. Fondata nel 1981, “Il Mago” rappresenta un punto di riferimento importante nel settore della comunicazione pubblicitaria, che fonda il suo successo sulle tecnologie d’avanguardia e sui moderni sistemi di stampa. Con il mestiere di Andrea, fra i più attuali del panorama professionale odierno, si conclude uno degli itinerari ‘delle arti e dei mestieri’ che hanno caratterizzato la storia lavorativa di una delle più note famiglie viserbellesi: i Ciavatti e gli Innocenti.
Nella pagina accanto, Valerio con alcuni amici nel laboratorio di via Roma, la ragazza è Rina Bevitori Sotto, Andrea Innocenti
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Il mosaico della storia
di Marzia Mecozzi | foto Nicola Sammarini, famiglia Gasperoni
Capacità di trasformazione e di rinnovamento raccontano la storia della famiglia Gasperoni.
Il quadro storico di una cittadina e di una comunità si compone anche attraverso le opere urbane che vengono realizzate e che nel tempo ne modificano le geometrie, determinando nuove forme, nuovi spazi e volumi e, in generale, un nuovo aspetto della visione d’insieme. Il cambiamento della cartolina viser-
bese della zona a monte della ferrovia negli ultimi sessant’anni, si deve alla costruzione di alcuni edifici che, per il momento storico e per il luogo in cui sono stati edificati, si sono distinti e hanno segnato la loro epoca. Fra questi c’è il noto '3G', uno dei primi palazzi, insieme al 'Milione', a dominare, dall’altezza dei suoi cin-
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que piani, il paesaggio circostante. Nel nostro viaggio fra i protagonisti delle arti e dei mestieri locali, incontriamo quindi la famiglia di Mario Gasperoni, uno dei ‘3G’, ovvero uno dei tre fratelli Gasperoni proprietari dell’omonima struttura. Mario (classe ’30), originario di Santa Cristina, con la moglie Pasquina Ridolfi, nel 1954 arriva a Viserba prendendo casa in via Napoli, dove sono nati i suoi due figli Carlo (1955) e Marco (1965). Di mestiere posatore di mosaico, Mario, nel 1956 apre il suo magazzino di pavimenti e rivestimenti sulla litoranea, nei locali in cui oggi si trova il negozio Dandy, proseguendo la sua attività fino al 1960, anno in cui compra il terreno davanti alla stazione sul quale costruisce la pensione Arlecchino, una struttura di tre piani costituita da una sala al piano terra, due piani di camere e il sottotetto, per confrontarsi, negli anni seguenti, con il nuovo mestiere di albergatore. Tre anni più tardi, nel 1963, con i fratelli Sante e Silvio, acquista il terreno adiacente alla pensione e nel giro di un
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solo anno, con la ditta Zamagna, costruisce il ‘3G’. Fra le aziende locali impegnate nella realizzazione dell’edificio, c’era anche la ditta Navacchi (si veda ‘Vis a Vis’ nr. 3). “Era una delle più grandi costruzioni di quegli anni. – ricorda Mario – Comprendeva l’albergo e diciannove appartamenti, in uno dei quali io e la mia famiglia abbiamo vissuto fino agli anni Ottanta. All’hotel 3G ho lavorato per circa quindici anni, con i miei fratelli, finché nei primi anni Ottanta sono tornato all’attività delle origini, costruendo la casa e il magazzino di pavimenti e rivestimenti, in via Marconi, attività che poi hanno proseguito e tuttora svolgono i miei figli Carlo e Marco con mia nipote Sara.” Sulla modalità di posa, Mario racconta che un tempo la lavorazione, a cemento, era più difficoltosa rispetto
a oggi, facilitata dall’avvento delle colle. “Oggi il lavoro lo preparano i muratori, - spiega - ma ai miei tempi, i posatori di mosaico dovevano fare tutto il lavoro da soli. Era un lavoro lungo ed era anche costoso per chi lo commissionava. Infatti non era diffuso come oggi, in cui le tecniche, i prodotti e le tecnologie hanno reso tutto molto più semplice e, di conseguenza, più economico.” Negli ultimi anni, la moda del rivestimento a mosaico è tornata di gran carriera: i bagni delle nuove abitazioni vorrebbero assomigliare agli hammam (bagni turchi) e ai bagni termali dell’antica Roma, le spa sono il fiore all’occhiello di tantissimi hotel, dal più esclusivo al più famigliare e Carlo, Marco e Sara Gasperoni, seconda e terza generazione di Gasperoni, dalla nuova sede che oggi si trova
Nella pagina precedente, a sinistra, la famiglia Gasperoni; a destra, un primo piano di Mario da giovane, il condominio e l’albergo 3G in fase di costruzione Sempre nella pagina precedente, sotto, i tre fratelli Gasperoni; da sinistra: Silvio, Mario, Sante In questa pagina, nella foto sopra interno della pensione Arlecchino, angolo bar A lato, l’esterno della pensione Arlecchino
in via Italia, traducono in professionale modernità quella che potremmo definire un’‘eredità’ di famiglia. Negli spazi visitabili dell’elegante showroom che prende il nome dal famoso architetto spagnolo Antoni Gaudì (noto per i suoi mosaici) con professionalità si occupano di pavimenti e rivestimenti, il cui fiore all’occhiello, naturalmente, è rappresentato dalla posa del mosaico. Fra le curiosità del mestiere, la realizzazione della superba Spa di una grande nave da crociera, quella a cui il team di Gaudì sta lavorando con grande soddisfazione proprio in questi giorni. Dal ‘3G’ al… Gaudì! Anche in questo caso una bella storia di famiglia racconta le arti e i mestieri che, di padre in figlio, si tramandano con successo quando c’è capacità imprenditoriale di trasformazione e di rinnovamento.
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L’imprenditore ever green
di Nerea Gasperoni | foto Alfredo, famiglia Bilancioni
Una famiglia numerosa, quella dei Bilancioni, impegnata da tre generazioni, con successo, fra turismo e tanto verde...
Il caldo colore del melograno, nodosi giuggioli a mela, piante da frutto a radice nuda ed enormi macrobonsai sono tra i primi a venirci incontro, man mano che ci avviciniamo al grande ingresso del vivaio Bilancioni, a Igea Marina. E sulla porta lui, il signor Adriano, che ci accoglie negli uffici dell’azienda, dove questo “ragazzo” di settantaquattro anni è tuttora molto attivo. Il suo racconto parte da tre generazioni fa. “I miei erano mezzadri sotto la parrocchia di San Giovanni in Bagno e mio nonno Enrico, rimediando qualche soldino con la sua attività di mediatore, comprò venticinquemila metri quadrati di terreno sopra la ferrovia, dove ora sorgono i campi da tennis e da calcetto. Su quel terreno ristrutturò una vecchia casa colonica, nella quale avrebbe
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Nella pagina accanto Adriano Bilancioni Sopra, i tre fratelli Bilancioni: Federico, Daniele e Stefano Sotto, Adriano e Maria con la zia Adelina e due collaboratrici, nell’albergo Bolognese
abitato con i suoi primi sei figli. In tempo di guerra, oltre alla nostra già numerosa famiglia, da noi trovarono rifugio tanti sfollati. In quella casa siamo stati persino in settanta!” Una famiglia davvero numerosa, quella dei Bilancioni. “Infatti, in seguito, sono arrivati altri cinque figli.
–conferma il sig. Adriano – Nati qui, nella casa e sui terreni di via della Lama, in San Giovanni in Bagno, acquistata da nonno Enrico nel 1937.” Qui è nata l’azienda vivaistica che porta il nome della famiglia. Il seguito del racconto ci conferma quanto fosse importante, nell’economia di quei tempi, il lavoro delle donne. “Mio padre Elio, conosciuto anche come Armando, secondogenito e primo dei fratelli maschi, ha avuto cinque figli: Corrado, Anna, Onide, Adriano e Mauro. – prosegue il signor Bilancioni - In questa casa abitavamo in ventidue persone: i figli sposati e quelli celibi, oltre ai due fratelli ‘zitelloni’ della nonna, Enrichetta Magrini, che era nata a Sogliano. L’azdora però, era la zia Adelina. Era lei che andava ai mercati e teneva la cassa di tutta la famiglia. La domenica noi bambini andavamo dalla zia ad elemosinare la paghetta per il nostro lavoro nei campi! Il cambio di passo si realizzò nel 1954, quando si poteva intuire la vocazione turistica di questo nostro tratto di costa. Così mio babbo e
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Nella foto sotto, villa Bilancioni Enrico prima della seconda guerra mondiale
mio nonno decisero di acquistare la pensione Bolognese, una struttura di sole sei camere, a Torre Pedrera, gestita da una signora di Bologna che si chiamava Facchini. Dopo qualche anno, visto il buon andamento delle stagioni estive, decidemmo di mettere mano alla struttura e la trasformammo in un albergo di trentacinque camere al quale lasciammo il nome di Bolognese. La gestione venne affidata a mio fratello Onide, mentre io, allora tredicenne, facevo il barista e la zia Adelina la cuoca. In quegli anni la stagione andava da metà luglio a metà agosto, ma col passare del tempo e l’arrivo sempre più frequente dei bagnanti tedeschi, l’apertura iniziava con la Pentecoste e la stagione, così, si allungava. Mio fratello Corrado faceva il commerciante di verdura, mentre Mauro, il più piccolo, in quegli anni faceva arrabbiare essendo un po’ vivace. Tutti, comunque,
eravamo gestiti da lei, la mitica zia Adelina!” Oltre al lavoro, c’erano anche momenti di svago…” A cavallo degli anni Sessanta, per noi ragazzi il divertimento della domenica era quello di andare nei locali da ballo. Le nostre mete erano il Garden Ceschi e la Villa dei Pini di Viserba, oppure il Cavalluccio Marino e il Grillo Verde di Torre Pedrera.” Quegli anni, per la riviera segnarono il cambiamento e l’esplosione dell’attività turistica, con un fiorire di alberghi locali, bar, negozi. “ Nel 1959 mio fratello Corrado si sposò con Anna. Nel 1960 prendemmo in affitto l’hotel Ben-Hur dal signor Fabbri di Santa Giustina. Lo tenemmo per tre anni, poi decidemmo di costruirne un altro nostro, il Doge, con quaranta camere, che prendemmo in gestione io e mia cognata Anna, moglie di Corrado. Nel 1966 mi sposai anch’io. Mia moglie, Maria Antonia Bianchi, di Viserba Monte,
è una maestra che ho conosciuto quando venne ad aiutarci al bureau del nostro albergo. Nel frattempo si sposò anche Mauro e quando, nel 1968, aprimmo il ristorante-barbirreria il Calderone, lui e la moglie Maria ne presero la gestione. Nello stesso periodo costruimmo anche il Piper, un albergo di cinquanta camere e, insieme al babbo, ci lavorarono Corrado e Anna.” Ma, pur se tutti i figli durante l’estate erano impegnati nella gestione di questo o quell’altro hotel, Adriano seguiva anche l’attività commerciale annuale del babbo Elio: il vivaio di Torre Pedrera. Racconta, infatti, che a diciotto anni, appena conseguita la patente di guida, il padre lo dotò di un camioncino a gas per il trasporto delle piante e gli depositò quindicimila lire in banca avvertendolo: “questi sono i primi e gli ultimi che ti do”. Da quel momento, con l’aiuto della zia Adelina e dello zio Quarto, Adriano ha condotto il vivaio fino ad oggi. L’intreccio tra l’attività di piante e fiori e quella ricettiva di albergatori continua anche con la terza generazione, cioè con i tre figli di Adriano e di Maria: Federico e Daniele con la gestione estiva dell’hotel Doge, e Stefano e Valentina in azienda tutto l’anno. Un esempio di integrazione riuscita tra lavoro annuale e attività stagionale, dunque, dove i numerosi componenti della famiglia Bilancioni, con tanto sudore e impegno, sono sempre risultati vincenti. Oggi e ieri, da tre generazioni.
comunicazione istituzionale
Romagna terra delle Acque
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Romagna Acque: un anno da ricordare e uno da celebrare Il 2015 che si sta concludendo è stato un anno importantissimo per Romagna Acque-Società delle Fonti spa, sia dal punto di vista degli investimenti che per quanto riguarda l’attività più generale della Società. E il 2016, a sua volta, sarà altrettanto ricco di attività previste: fra queste, grande spazio avranno le celebrazioni per il cinquantesimo anniversario della costituzione del Consorzio Acque, da cui è sorta poi Romagna Acque-Società delle fonti.
L’inaugurazione del nuovo potabilizzatore Il 25 settembre è stato ufficialmente inaugurato il grande potabilizzatore di Ravenna, il più importante degli investimenti compresi nel piano pluriennale 2011-2023, che con i circa 40 km di condotte di interconnessione di grandi dimensioni ad esso collegate, rappresenta un intervento “di sistema” per l’intera area romagnola: rendendo disponibile una rilevante quantità di risorsa aggiuntiva (per almeno 20 milioni di metri cubi anno potenziali, provenienti dal CER, il Canale Emiliano-Romagnolo), diversificando le fonti di approvvigionamento, e consentendo ad una consistente parte del territorio di disporre di una garanzia di approvvigionamento nei casi di crisi idriche e di continuità del servizio. Il NIP2 sarà infatti interconnesso alla rete del lughese, al NIP 1 ed alla dorsale adriatica dell’Acquedotto della Romagna.
Rimini, il raddoppio del depuratore Nel riminese, l’intervento più significativo a cui l’azienda ha dato un cospicuo apporto (sia a livello progettuale che come investimento) è stata la chiusura della condotta di connessione fra Rimini Nord e Santa Giustina: con il raddoppiamento del depuratore, che oggi è in grado di operare per una popolazione equivalente di 560 mila persone. L’inaugurazione ufficiale della nuova struttura si è svolta lo scorso 23 giugno. Si tratta del primo elemento del Piano di Salvaguardia della Balneazione Ottimizzato, un progetto complessivo che avrà importanti effetti positivi sulla qualità ambientale del mare Adriatico, visto l’ambizioso obiettivo di azzerare gli scarichi a mare. L’inaugurazione del nuovo potabilizzatore.
www.romagnacque.it
Ricerca e sviluppo Il 2015 è stato un anno importante anche per quanto riguarda la costante e crescente collaborazione con il mondo universitario. Negli ultimi decenni, il settore della gestione delle risorse idriche è stato caratterizzato da rilevanti innovazioni e cambiamenti di vedute. Il ripetuto verificarsi di situazioni di scarsità idrica - che sembrano prefigurarsi come primi effetti di mutamenti climatici in atto – ha generato nuove pressioni sugli usi delle risorse idriche. Le minacce ambientali, in continuo mutamento, condizionano anche la qualità dell’acqua prodotta. Per una Società come Romagna Acque, un’efficace gestione preventiva richiede una diffusa consapevolezza delle problematiche e dei processi di condivisione per la definizione delle possibili soluzioni, che presuppongono in ogni caso tempi lunghi. In tale contesto la Società ritiene fondamentale essere sempre in prima linea riguardo alle innovazioni, alle aperture, alle soluzioni teoriche e pratiche emerse dal dibattito accademico e scientifico, unica scelta in grado di coniugare sicurezza e qualità; ha scelto dunque di investire sulla ricerca, per essere sempre protagonista delle progressive evoluzioni delle competenze che via via si svilupperanno. E’ per questi motivi che si sono irrobustiti i rapporti con diverse sedi Universitarie e altri consolidati Enti di ricerca. In particolare, dopo il successo dell’anno scorso, si è svolta nel novembre 2015 la seconda edizione del Corso di Formazione sulla “Gestione sostenibile e resiliente delle risorse idriche”, diretto dal Prof. Ing. Armando Brath. Anche quest’anno, il percorso didattico si è rivolto a professionisti in possesso almeno di una laurea triennale per formarli su tematiche di grande importanza per la società odierna: la gestione delle risorse idriche, la difesa del territorio dal rischio di alluvione, il monitoraggio idrometeorologico, l’inquinamento delle acque sotterranee e superficiali. E venerdì 11 dicembre, il Centro Operativo di Capaccio – gremito di partecipanti - ha ospitato la giornata di studi su “Le nuove sfide nella gestione delle acque e del dissesto idrogeologico negli scenari di cambiamento climatico”, organizzato sempre dal DICAM. Il presidente Tonino Bernabè.
Un gruppo di ingegneri alla diga di Ridracoli.
Il Cinquantesimo Cinquant’anni di storia. Tanti ne sono passati ormai dal 1966: anno nel quale, con una scelta decisamente saggia e lungimirante, gli amministratori locali dell’epoca decisero di dare vita al Consorzio Acque per le Province di Forlì e Ravenna. La “prima pietra” di un percorso lungo mezzo secolo che oggi vede come protagonista Romagna Acque-Società delle Fonti Spa, “erede” del Consorzio nato allora. All’epoca, la situazione idropotabile della Romagna era problematica: diverse parti del territorio (soprattutto nel ravennate) registravano frequenti momenti di carenza idrica, un problema che si era tramandato nei secoli. Negli anni della ricostruzione e del boom economico, dunque, gli amministratori decisero di costituire un consorzio che avesse come obiettivo la costruzione di un grande “serbatoio” di buona acqua, e di una rete acquedottistica che la distribuisse dalla montagna alla pianura. Ecco allora la progettazione e la costruzione della diga di Ridracoli - i lavori si svolsero dal 1976 al 1982 - e finalmente, nel 1987, l’avvio della distribuzione da parte dell’Acquedotto della Romagna, che a Ridracoli fa capo. Il resto è storia più recente. Espansa la base sociale anche ai Comuni del riminese, negli anni Novanta il Consorzio si trasformò in una Società per Azioni: nel 1994 nacque così Romagna Acque, che dieci anni dopo diventò proprietaria di tutte le fonti locali che contribuiscono a costituire la rete idropotabile romagnola acquisendo la denominazione attuale, Romagna Acque-Società delle Fonti. Alla fine di questo cinquantennio fondamentale, dunque, Romagna Acque è la Società per Azioni, a capitale totalmente pubblico, proprietaria di tutte le fonti idropotabili per usi civili della Romagna, che effettua la fornitura all’ingrosso della risorsa per le province di Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini.
58| SPORTIVI DI CASA NOSTRA
Avventure su due ruote
di Ruggero Testoni | foto archivio Viserba Bike Team
Un 2016 di idee, progetti e tanta strada per l’ASD Bike Team Viserba.
E’ vero che ogni tanto i sogni diventano realtà! Così è stato per l’ASD Viserba Bike Team, gruppo nato un anno fa per passione e per scommessa, una scommessa che piano piano si sarebbe rivelata vincente: la creazione di una squadra amatoriale di ciclismo che potesse richiamare e radunare i ciclisti viserbesi e portare, impresso sulla maglietta, il nome di Viserba in ogni strada percorsa, in ogni paese attraversato. L’avventura del team è iniziata a marzo con la “Granfondo città di Riccione”, manifestazione che ha visto il debutto delle maglie del Viserba Bike Team. Da quel momento in poi la squadra non si è più fermata. L’entusiasmo è stato contagioso, tanto che oggi sono già circa cinquanta le divise che percorrono le strade del nostro territorio. La squadra comprende sia gli amanti della bici da strada, sia gli appassionati di mountain bike protagonisti quest’anno del “Sellaronda Hero”, una estenuante gara di 87 km sulle micidiali pendenze delle dolomiti per un totale di 4700 metri di dislivello. “L’agonismo non manca - dichiarano
i ciclisti – ed è normale che ci siano livelli di preparazione differenti, tuttavia per noi la priorità è che tutti i componenti si sentano protagonisti e artefici della crescita della squadra. Non è mai successo di essere tornati da un’uscita senza che ci fossimo divertiti al massimo, perché per noi, alla base di tutto c’è il rispetto, l’amicizia e la condivisione di un bel progetto.” Irrinunciabile, a fine allenamento, il rito della birra ristoratrice, perché il VSBT vuole essere anche un’occasione di partecipazione e di scambio e, come un gruppo di veri amici, è aperto a chiunque voglia condividerne l’esperienza. “Quante avventure o episodi, accaduti durante questa prima estate insieme, ci sono rimasti nel cuore! – proseguono gli sportivi - E quanto orgoglio abbiamo provato quando, alle numerose cicloturistiche sulle nostre colline, ci siamo sentiti chiamare ‘Quelli del Viserba’!” Ora, con la nascita dell’associazione sportiva, la sfida rimane più accesa che mai. Volontà del gruppo è quella di crescere mantenendo saldi i presupposti e lo spirito che hanno fatto si che tutto potesse nascere. Frequentatissime sono le pagine di Facebook ed Instragram dove sono raccolte le foto delle avventure che partono tutti i fine settimana dal punto di ritrovo: il “Caffè Turismo” nel centro di Viserba. Chiunque voglia partecipare, quindi, è invitato a presentarsi, munito di bicicletta, ai nastri di partenza!
Alcuni scatti tratti dalle avventure dei biker viserbesi
ph. Paritani